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6 Breve storia della stampa 6 La nascita del linguaggio 8 La nascita della scrittura 14 Le biblioteche dell’antichità 15 La pergamena 16 L’invenzione della carta 18 Come si produce la carta fatta a mano 20 La stampa a caratteri mobili 24 Dal ’500 al ’700. Le grandi imprese editoriali 26 La censura 28 Evoluzione dei mezzi di produzione 34 Il mercato editoriale italiano nell’Ottocento 37 Il Novecento, secolo della tecnologia 38 La rivoluzione della scrivania 42 Dalla prestampa alla stampa 42 La fase di progettazione 43 La fase di impaginazione 45 La fase della “normalizzazione” 47 La fase dell’imposition CAPITOLO I | DAL MATERIALE PER LA STAMPA ALLA STAMPA IMMATERIALE 5 DAL MATERIALE PER LA STAMPA ALLA STAMPA IMMATERIALE

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6 Breve storia della stampa6 La nascita del linguaggio8 La nascita della scrittura

14 Le biblioteche dell’antichità15 La pergamena16 L’invenzione della carta18 Come si produce la carta fatta a mano20 La stampa a caratteri mobili24 Dal ’500 al ’700. Le grandi imprese editoriali26 La censura28 Evoluzione dei mezzi di produzione34 Il mercato editoriale italiano nell’Ottocento37 Il Novecento, secolo della tecnologia38 La rivoluzione della scrivania

42 Dalla prestampa alla stampa42 La fase di progettazione43 La fase di impaginazione45 La fase della “normalizzazione”47 La fase dell’imposition

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DAL MATERIALE PER LA STAMPAALLA STAMPA IMMATERIALE

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TECNOLOGIE DEI PROCESSI DI PRODUZIONE6

BREVE STORIA DELLA STAMPA

mo tracce tangibili, “materiali”, su cui poggiareconcretamente le nostre ipotesi.

Tuttavia, pur nelle incertezze di partenza, bio-

La nascita del linguaggioComunicare significa “rendere comune, far

conoscere, far sapere” e quindi anche “divulgare,rendere noto, trasmettere ad altri”.

Per trasmettere qualcosa agli altri abbiamobisogno di una base comune di comunicazione,in modo che quello che vogliamo dire sia univoco,cioè senza possibilità di equivoci, e quindi chechi lo riceve abbia le nostre stesse informazioniper decifrarlo, ovvero per comprenderlo. Questo“codice” è chiamato “linguaggio”.

Il linguaggio è “la capacità e la facoltà, pecu-liare degli esseri umani, di comunicare pensieri,esprimere sentimenti, e in genere di informare altriesseri sulla propria realtà interiore o sulla realtàesterna per mezzo di un sistema di segni vocali ografici”.

La nascita del linguaggio è ancora oggetto dicontroversie scientifiche e la sua datazione risultatuttora incerta, tra 100.000 e 50.000 anni fa. Ilmotivo di tale incertezza è dovuto al fatto che nonè possibile ricostruire né l’origine né l’evoluzionedel linguaggio nello stesso modo in cui lo si faper altre importanti caratteristiche dell’uomo inquanto, trattandosi di un’evoluzione legata allosviluppo della società preistorica ma anche allosviluppo fisico fino all’Homo sapiens, non abbia-

1 Pittura rupestre nella grotta di Altamira, Spagna

(15.000-10.000 a.C.).

«È la stampa, bellezza!».Con questa battuta Humphrey Bogart chiudeva “Deadline”, un film del 1952 dedicato alla stampa

quotidiana americana. Ma quello che conta, dietro l’odore dell’inchiostro e il rumore delle rotative chesi avviano, è capire che la parola “stampa” rimanda a qualcosa di più profondo. Qualsiasi stampa opubblicazione è il modo che l’essere umano ha trovato, nella sua storia, per trasmettere e scambiareinformazioni, conoscenza, stati d’animo, sentimenti. È la memoria salvata che dura di più e arriva più in là.

Quando parliamo di stampa, quindi, parliamo dell’uomo e del suo innato bisogno di comunicare.

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logi e neuroscienziati concordano sul fatto che ilnostro linguaggio, composto di numerose parole,altro non è che l’evoluzione di altre forme di lin-guaggio più povere, ma pur sempre in grado distrutturare una comunicazione complessa.

Le teorie scientifiche più accreditate sonoalmeno tre. La prima vede come base di partenza illinguaggio gestuale. Secondo tale ipotesi le specieumane che attraverso l’evoluzione svilupparononel cervello le cosiddette “area di Broca” e “areadi Wernicke”, due parti della corteccia cerebralecoinvolte nello sviluppo e nella comprensione dellinguaggio, crearono un complesso linguaggiogestuale, arricchito anche dai suoni.

Quando poi, nell’Homo sapiens, si è evolutol’apparato fonatorio moderno e, con esso, la pos-sibilità di articolare numerosi e complessi suoni,la parola ha preso il sopravvento sui gesti, pursenza estrometterli completamente.

Il valore scientifico di tale ipotesi è dato dalfatto che, nel nostro cervello, le aree del linguag-gio e le aree che controllano l’attività motoria sonoper buona parte coincidenti.

Un’altra teoria sostiene che la lingua dei segninon ha nulla a che fare con la lingua delle parole,in quanto il linguaggio complesso e sonoro altronon è che l’evoluzione del linguaggio sonoro

semplice dei primati che comunicano, appunto,attraverso grida e suoni.

La terza ipotesi in campo, infine, è quella chele specie di ominidi abbiano imparato a modularedei suoni di tipo nasale e che questo linguaggio deisuoni sia passato dal naso alla bocca nel momentoin cui la laringe, l’ultimo tratto delle vie aeree, si ècollocata nella posizione in alto sulla trachea.

Perché diamo importanza all’evoluzione dellinguaggio? Perché il bisogno di comunicare, aun certo punto dell’evoluzione umana, ha trovatoun ostacolo nel bisogno di trasmettere quanto sistava comunicando. Nulla, infatti, rimaneva dopoaver pronunciato una serie di suoni: pertanto solochi era vicino a colui che li pronunciava pote-va conoscere quanto detto. Nel frattempo però,nell’evoluzione umana, l’agricoltura cominciava asostituire la pastorizia, il nomadismo cominciava alasciare il passo a un sistema stanziale. Gli aggre-gati sociali cominciavano a prendere la forma divillaggi e poi di città. E nasceva la necessità di dareregole comuni e, appunto, “trasmissibili” a coloroi quali appartenevano a quelle comunità.

1 Pittura rupestre nelle grotte di Lascaux, Francia

(15.000-10.000 a.C.).

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La nascita della scritturaLa scrittura pertanto diventa la cesura tra la

preistoria e la storia. Da quel momento, infatti,possiamo cominciare a “datare” gli avvenimenti ea capire quali regole i vari popoli si stavano dando,a studiare la loro società e il loro modo di pensare.

La scrittura nasce quando nasce la città ed èindissolubilmente legata a essa. Il primo sistemadi scrittura appare nella città di Uruk (oggi notacon il nome di Warka) in Mesopotamia, nel IV mil-lennio avanti Cristo. Si tratta di piccole tavolette diargilla con segni ancora pittografici incisi con unostilo di canna. Essi rappresentano numeri, oggetti,nomi propri e titoli e servono a esigenze ammini-strative, di contabilità e gestione dei magazzinidelle eccedenze agricole.

Il luogo in cui la scrittura nasce, la bassaMesopotamia, terra posta tra due fiumi, il Tigri el’Eufrate, era molto fertile, per cui un’agricolturanon più basata soltanto sulla sopravvivenza erain grado di produrre eccedenze che andarono aformare un nucleo di attività commerciali.

Il commercio creò la necessità di avere luoghiin cui potersi sviluppare, un punto dove i produt-

tori di eccedenze potessero aprire magazzini ingrado di conservarle e luoghi dove incontrare chiera interessato all’acquisto di tali derrate alimen-tari. Questi punti di scambio avrebbero formato ilprimo nucleo delle città, con una loro organizza-zione sociale in grado di gestire un elevato nume-ro di persone che si raccoglievano attorno a taliluoghi, favorendo lo sviluppo di forme elitarie dipotere, economico, ma anche religioso.

Un progresso simile lo ritroviamo anche nell’e-voluzione della civiltà egizia.

La scrittura nasce presso il popolo Sumero,che abitava la Mesopotamia, e si sviluppa comeforma legata a un distinto gruppo sociale, che inquesto caso chiamiamo, appunto, degli scribi,per la gestione centralizzata dei raccolti e la lorocontabilizzazione e, parallelamente, per l’ammi-nistrazione teocratica (quando i governanti civili ereligiosi coincidono) della società.

Abbiamo parlato di segni all’inizio ancora pit-tografici, ossia che tendono a rappresentare l’og-getto. L’evoluzione successiva è stata quella dirappresentare l’oggetto in rapporto al suono (laparola) che viene utilizzato per individuarlo. La

1-2 Individuazione della Mesopotamia.

3 Pianta della città di Uruk.

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scrittura diventa così più stilizzata. Quelle cheprima erano linee disegnative - rappresentantiun oggetto - si segmentano in una serie di tratti(cunei), perdendo sempre più quell’elemento diriconoscibilità delle forme originarie rappresenta-te, fino a diventarne indipendenti.

Nasce così la scrittura cuneiforme, legata nelsuo sviluppo anche al supporto su cui venivariportata, ossia delle tavolette di argilla su cui,attraverso la pressione e incisione con un elemen-to appuntito detto stilo, venivano impressi i segni.

La scrittura cuneiforme ha una grande diffusio-ne in tutto il Medio Oriente antico e viene assimi-lata, oltre che dai sumeri, dagli accadi, dagli assirie dai babilonesi, anche dagli ittiti e dagli egizi,che la utilizzavano per comunicare lungo le costeorientali del Mediterraneo.

Essa durò millenni e, seppure soppiantatadalla scrittura alfabetica, molto più facile da impa-rare e da utilizzare, continuò ad essere impiegatadalle comunità di scribi per la sua maggiore ric-chezza espressiva.

Abbiamo visto come il supporto sul quale siscrive diventi un elemento importante per orientarel’evoluzione delle scritture, e quindi delle lingue.Se infatti tra i Sumeri, proprio per l’uso delle tavo-

lette di argilla, si sviluppa la scrittura cuneiforme,l’utilizzo di altri materiali come supporto (quali lapietra, oppure il legno e il papiro), porta gli Egizia creare una scrittura che chiamiamo geroglifica.

Nell’antico Egitto l’evoluzione successiva, lega-ta proprio alla diffusione della scrittura stessa, lavede trasformarsi nella forma “ieratica”, corrente-mente usata nella vita quotidiana.

Possiamo, semplificando, dire che il rappor-to tra la scrittura geroglifica e quella ieratica èparagonabile al nostro rapporto tra stampatello ecorsivo.

Questa necessità, condizionata dal costante uti-lizzo, comporta una semplificazione dei segni, deiglifi, per una maggiore rapidità di scrittura e portaanche in dote nuovi strumenti e nuovi supporti.

La parola, infatti, non viene più incisa su pietra(se non in casi molto particolari), ma scritta suuna carta chiamata papiro, utilizzando una cannatagliata allo scopo, detta calamo, intinta nell’in-chiostro.

La carta di papiro risulta molto leggera, facil-mente pieghevole e quindi trasportabile e archi-viabile. Inoltre ha un colore molto chiaro, adattoquindi a creare un supporto per la scrittura attra-verso l’inchiostro.

La carta di papiro

Il “papiro” viene prodotto utilizzando una pian-ta acquatica, il Cyperus papyrus, molto comunenel Delta del Nilo. Su un supporto liscio e durovengono affiancate delle strisce ricavate dal fustodella pianta e mantenute umide. Una volta riem-pita la sezione del supporto si riparte con unnuovo strato sovrapposto e disposto ad angoloretto. Questi due strati, mantenuti umidi, vengonobattuti attraverso un martello in legno, in mododa amalgamarli, e quindi essiccati. In questomodo, senza aggiunta di colle, ma sfruttando solol’umidità e i loro succhi naturali, si creano foglirettangolari, successivamente lisciati attraversol’utilizzo di pietre arrotondate.

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Sia la scrittura cuneiforme che quella geroglifi-ca hanno un’origine comune: la pittografia. Sonopertanto formate da centinaia di simboli, sonodifficili e complesse sia da imparare che da usare.Proprio per questi motivi sono destinate a gruppidi specialisti, i cosiddetti scribi.

Quando, nel mondo antico, la circolazione dipersone e merci diventa una costante, si ponela necessità di una scrittura più semplice, imme-

diata e in grado di essere facilmente imparata eusata. Risponde a queste esigenze la scritturaalfabetica fenicia.

Intorno al XIV secolo a.C. troviamo le primetracce di una scrittura che fa riferimento ad alcunisimboli per indicare non tanto un oggetto, maun suono. Per ricordarlo meglio, ogni figura va aindicare il primo suono del suo nome. Per capiremeglio facciamo l’esempio più banale, che è ilnostro modo di insegnare l’alfabeto: mostriamo ildisegno di una banana per indicare la lettera “B”,di una casetta stilizzata per la “C” e così via.

Allo stesso modo, all’inizio, si è disegnatouna testa di bue (in lingua semitica ’alpu) perindicare la A, il palmo della mano (kappu) perindicare la K, e così via.

1 Frammento di tavoletta (IV millennio a.C.). Il foro

rappresenta un numero, i pittogrammi animali.

2 Conto d’argento di un mercante sumero (perio-

do Ur III, 2039 a.C.).

3 Libro babilonese di cucina più antico del mondo,

in lingua cuneiforme accadica (c. 1850 a.C.).

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Gli oggetti sono facilmente ricordabili ancheperché, in questo modo, il sistema di scritturaviene ridotto a soli 22 segni (lettere) che vanno aformare un alfabeto.

È una scrittura più semplice delle altre, cherichiede poco tempo per essere imparata e quin-di è adatta a tutti. Infatti, iscrizioni così com-poste da minatori sono state trovate in minie-re egizie di turchese, e operai e maestranzehanno lasciato iscrizioni durante la costruzionedi palazzi e templi.

Non solo, ma può essere riprodottasu qualsiasi tipo di superficie in manie-ra molto semplice, dalle incisioni sullapietra all’utilizzo dell’inchiostro su legno,cocci o papiro.

Viste le caratteristiche appena descrit-te, una simile scrittura si adatta partico-larmente bene alle esigenze di un popolocome quello fenicio, dedito al commercioe alla navigazione, semplificando il mododi comunicare e di tenere traccia delleloro transazioni.

Grazie anche alle loro caratteristichedi navigatori, l’alfabeto fenicio si espan-de su tutto il bacino del Mediterraneodove vi sono città dedite al commercio,influenzando il linguaggio e la scrittura diquei popoli.

Le prime tracce di scrittura feniciarisalgono al XII secolo a.C., ma è intornoall’VIII secolo a.C. che viene a contatto ecomincia a influenzare e a modificare illinguaggio greco.

Vi è stata quindi una costante “con-taminazione” nelle scritture del mondoantico, a partire dall’alfabeto fenicio, pas-sando per il greco, fino ad arrivare aglietruschi e poi ai latini.

L’alfabeto latino si diffonde nell’intera Europagrazie ai romani, passando poi alle Americhe e inOceania in seguito alle grandi scoperte geografi-che a partire dalla fine del 1400 d.C., per arrivare inTurchia, paese dove si sostituisce l’alfabeto arabocon quello latino nel 1928.

Non bisogna dimenticare, infine, che a deter-minare il dominio dell’alfabeto latino sarà, nel XVsecolo d.C., l’invenzione della stampa.

1 Diagramma che evidenzia le diverse

fasi dell’evoluzione degli alfabeti occi-

dentali.

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Abbiamo visto che nell’uomo l’esigenza di“ricordare” e di comunicare “tramandando” adaltri tale ricordo è presente sin dagli albori. Ilprimo strumento, il più semplice trovato, è statoquello di rappresentare gli avvenimenti attraversole immagini. Naturalmente, per una simile rap-presentazione, l’uomo ha avuto la necessità disemplificare gli oggetti reali e, quindi, di stabilireuna serie di convenzioni in modo che altri uominifossero in grado di riconoscere in quelle immagi-ni, non importa se incise o dipinte, il significato“altro” che se ne voleva dare.

Questo sistema di immagini, così codificato,ha dato origine alla “scrittura pittografica”, cheritroviamo ancor oggi in molte pareti di caverneabitate in età preistorica. Basti qui ricordare lepitture rupestri della grotta di Altamira, in Spagna,risalenti al Paleolitico superiore.

In tutti i tempi si è creato un patrimonio comu-ne di segni e simboli per dare informazioni: daimarchi posti sulle proprietà, agli stemmi araldi-ci, fino ad arrivare, magari più banalmente, allanostra segnaletica stradale.

Quando i segni, anziché rappresentare l’ogget-to in sé, sono passati a suggerirne il nome, cioèa indicarne la parola, si è sviluppata la “scritturaideografica”. Ne è un esempio la scrittura cinese,nata intorno al 2.500 a.C. Man mano che la linguasi arricchisce, tuttavia, occorrono sempre nuovisegni e nuove tecniche di rappresentazione. Gliideogrammi cinesi di uso corrente, infatti, sonooltre 6.000.

Il passo successivo sono stati i geroglifici,che mettono insieme segni figurativi con segnisillabici. Oggi conosciamo oltre 3.000 segni checomponevano i geroglifici egizi.

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nuense in un unico esemplare “è” stampa. Cosìcome lo è l’immaterialità di un libro digitale, sin-golo prodotto trasmissibile in un numero infinitodi copie eppure costantemente originale, ossiasempre uguale a se stesso e sempre fisso in ununico posto, in questo caso un server.

Per arrivare a questo abbiamo avuto bisognodi alcuni elementi essenziali: la scrittura, e inparticolare quella fonetica, ma anche, altrettantoimportanti, i supporti alla scrittura, dalle foglied’albero del mondo greco alle tele di lino su cui gliegizi riportavano interi libri.

Infine siamo arrivati alla “scrittura fonetica”,dove i segni grafici corrispondono a suoni. Edè allora che nasce l’alfabeto, prima fenicio, poigreco, infine, a partire dal VII secolo a.C., latino.

Il titolo di questo capitolo parla di stampa.Tuttavia, il significato di “stampa” che intendiamoapprofondire non è propriamente solo quello deltermine “ufficiale”, cioè la riproduzione in piùesemplari di testi scritti, disegni, foto. Per termine“stampa” qui intendiamo quel bisogno dell’uomodi comunicare al maggior numero di altre personepossibile. In questo senso la trascrizione ama-

Nella pagina a fianco:

1 Scrittura pitto-

grafica Dongba,

ancor oggi pre-

sente nella provin-

cia dello Yunnan,

in Cina.

2 Copia di uno

scritto vergato

da Wang Xizhi,

calligrafo cinese

durante la dina-

stia Jin (265-420).

A destra:

1 La Stele di Rosetta,

c. 196 a.C. Il testo

è unico ed è tra-

dotto in tre lingue.

Dall’alto verso il

basso, le iscrizio-

ni in geroglifico,

demotico (la lin-

gua destinata al

popolo derivata

dallo ieratico) e

greco. Attraverso

la scoperta di que-

sta stele è stato

possibile decifra-

re i geroglifici.

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Le biblioteche dellÕantichitˆDalla terracotta alla pietra, dal metallo al legno

alle tavolette cerate: tutti questi prodotti sono statiutilizzati per la scrittura, per produrre “stampa”. Eognuno di essi, proprio per il materiale intrinseco,ha determinato mutazioni e progresso nel modo dirappresentare il mondo.

Due sono gli elementi che più di tutti hannoinfluenzato la “comunicazione” e la trasmissibili-tà del sapere umano, almeno fino all’arrivo dellastampa a caratteri mobili e della carta: il papiro ela pergamena. Del papiro abbiamo già parlato. Vaqui ricordato che la sua fortuna è stata determi-nata anche dal fatto che era possibile piegarlo earrotolarlo. I libri più antichi, infatti, quelli papira-cei, ma anche quelli pergamenacei, sono a formadi rotoli, avvolti attorno ad un bastoncino di legno.

Quando ci immaginiamo le biblioteche dell’an-tichità, quindi, non pensiamo al modo in cuivediamo le nostre. La biblioteca era composta dipiù sale, ricche di scaffali nei quali erano contenutii libri, composti dai fogli di papiro che venivanoincollati uno di seguito all’altro dal lato più lungoe poi arrotolati, a formare il “Volumen”. Il nomederiva dal fatto che il rotolo si avvolgeva e svolge-va attorno a un’asta in legno, detta “Umbilicus”,fissata all’ultimo foglio; per chiuderli, invece, siusava un cordoncino o una custodia di cuoio,detta “Capsa” o “Theca”.

Se i libri non corrispondono all’idea che oggiabbiamo di essi, l’organizzazione delle bibliote-che era invece già simile alla nostra. Ogni biblio-teca aveva cataloghi (“Indices”) che descrivevanoil contenuto dei libri presenti in ciascuna stanza;per ogni sala, inoltre, vi era un elenco in ordinealfabetico degli autori. Gli scaffali, per facilitare laricerca, erano anche numerati.

Così come esistevano le biblioteche, erano

1 Un portolano (mappa redatta per la naviga-

zione) di Jacobo Russo di Messina (1533) su

pergamena.

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presenti anche le librerie che avevano lo stessofine attuale, ossia quello di fornire libri richiestidai propri clienti, ma con ben altre modalità. Esseinfatti, in base alle richieste, dovevano individuaree reperire i testi per poi trascriverli nel volumen peril cliente. Solo durante l’Impero, a Roma, il mer-cato dei libri comincia a essere sufficientementesviluppato da giustificare l’investimento di realiz-zare da subito più copie di un libro per far fronte amolteplici richieste.

La pergamenaLa pergamena viene prodotta dalla concia di

pelli di capra, pecora o vitello. Anche in questocaso l’uso è antichissimo: il primo frammentoritrovato in Egitto risale al 1100 a.C.

Tuttavia nel mondo antico la pergamena nonriesce a sostituire l’uso del papiro, in quantoquest’ultimo rimane un prodotto molto più abbon-dante e meno costoso.

Solo quando, a causa della caduta dell’im-pero romano, le vie di comunicazione vengonoprogressivamente a chiudersi, la diffusione dellapergamena, che poteva essere prodotta in loco,tende ad aumentare fino a diventare il principalesupporto di scrittura durante il Medioevo.

La pergamena, inoltre, può essere raschiata eriutilizzata per scrivere nuovi testi; è maneggevolee ha la possibilità, oltre che di essere arrotolata,anche di piegarsi a quaderno senza che questovada a danneggiare né il supporto né la scrittura.Non ultimo, consente, oltre alla scrittura, anche lapossibilità di realizzare illustrazioni in miniatura edi essere interamente ricoperta di porpora, così dacreare libri molto più ricchi di contenuto e anchemolto più preziosi.

Tuttavia il Medioevo non fu un periodo privo discontri e quindi, in molte occasioni, la richiesta didivulgazione della cultura fu limitata dalla scarsadisponibilità della materia su cui scrivere.

Fu per questo motivo, per risparmiare sullaquantità di supporto membramenaceo, che furonoescogitati due sistemi che caratterizzarono anchela forma di rappresentazione dei testi. Di uno ne

abbiamo già parlato, e consiste nel raschiare lascrittura più antica o nel decolorarla, in modo dapoter riscriverci sopra. Queste pergamene, cosìtrattate, vengono chiamate “Palinsesti” o codicirescritti. Grazie a questo procedimento gli studiosisono riusciti a recuperare testi che correvano ilrischio di essere dimenticati.

Il secondo metodo consiste invece nell’utilizzo,all’interno del testo, delle “abbreviature”, ossiaabbreviazioni codificate, come la riduzione di unaparola alla sua lettera iniziale o in altro modo, main ogni caso, come detto, con una tecnica codifica-ta e quindi decodificabile da parte di chi leggeva.Così si era in grado di risparmiare spazio nellascrittura senza perdere significato (se vogliamo,un antesignano dei nostri sms, dove tutti sannoche “TVB” sta per “ti voglio bene”, pertanto nonrisulta necessario scriverlo per esteso).

1 Un produttore di pergamena mentre raschia pelli

di animali, dopo averle lavate, allungate e asciu-

gate, per rendere la superficie liscia. Incisione di

Jost Amman del 1568.

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Abbiamo finora visto quanto il supporto abbiainfluenzato il modo di realizzare le opere scritte.Ora affrontiamo quella che è la superficie piùutilizzata a questo scopo, almeno dalla secondametà del Quattrocento in occidente, ma con unastoria molto più antica in Estremo Oriente: la carta.

La carta nasce in Cina intorno al III secolo a.C.Per la sua produzione si usava la corteccia delgelso da carta, una pianta di cui era molto riccala Cina meridionale. In origine la lavorazione deri-vante da questo albero serviva alla confezionedi vestiti. La corteccia veniva dapprima battutacon l’utilizzo di mazze per poi essere immersa inacqua. In questo modo si trasformava in una polti-glia di fibre che poi veniva schiacciata finché nonvenivano formati dei fogli spessi e lanuginosi. Laparte interna della corteccia si chiama “libro”, e ilperfezionamento del procedimento portò alla suacottura, dopo avere trattato il composto in striscemolto sottili, in una lisciva di cenere di legna.Esse quindi vengono pestate fino alla separazionedelle fibre, ottenendo così una pasta filamentosa.Quest’ultima, diluita con acqua, viene distesasu un setaccio e messa ad asciugare al sole.L’ulteriore passaggio che porterà alla creazione

di una carta adatta alle esigenze della scritturaavviene all’inizio del II secolo d.C. a opera di unalto funzionario della corte degli Han, Ts’ai lun, ilquale fa applicare sul foglio una pellicola di amidodi riso, la collatura. In questo modo la carta vieneresa parzialmente impermeabile ai liquidi, e quin-di particolarmente adatta alla scrittura.

Tale tecnica si diffuse in tutta la Cina e poi,durante i secoli, in Estremo Oriente prima e in MedioOriente successivamente. Le prime testimonianzedella carta in Giappone risalgono al 610 d.C., mentrein Egitto fa la sua comparsa intorno all’800 d.C.

Nel 751, con la battaglia di Talas, i musul-mani conquistano Samarcanda, città dell’attualeUzbekistan, da secoli orientata verso l’Asia centra-le e rimasta fino ad allora sotto l’influenza dell’im-pero cinese. Da questo momento la carta cominciaa diffondersi verso tutto l’Occidente.

Da una prima cartiera costruita a Samarcanda,dove venivano utilizzati come materie prime linoe canapa (da cui il nome di “carta bombacina”,rimasto per secoli, con alcune varianti, a indicarela carta proveniente dalla macerazione degli strac-ci), ne fu edificata una seconda a Baghdad, poinello Yemen, a Damasco in Siria, infine a Tripolinell’attuale Libia.

In Occidente la carta si afferma attraversol’espansione araba, prima in Egitto, poi in tuttal’Africa settentrionale fino alla Spagna, dove tro-viamo la prima cartiera costruita in suolo europeoa Xàtiva (o Jàtiva), nella provincia di Valencia,intorno al 1150.

La Sicilia, nel X secolo d.C., proprio per la suaposizione geografica al centro del Mediterraneo,diventa un importante centro per il commercio;tuttavia, nel 1072 la città di Palermo cade nelle manidei Normanni e, sotto re Ruggero, la carta diventa ilsupporto ufficiale per i documenti del nuovo stato.

L’invenzione della carta

1 Un acquerello del XIX secolo, riproduzione di un

manoscritto del 1699, mostra la fabbricazione

della carta nel mondo islamico.

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Inoltre, nel XIII secolo, grazie alle politicheeconomiche e sociali intraprese da Federico II diSvevia, Palermo diventa un importante centrodi produzione della carta, incrementando la suaespansione nei mercati dell’Italia settentrionale ein Europa.

Fino a questo momento la carta è semprestata vista come un prodotto essenzialmen-te musulmano, suscitando notevole diffidenza.Dal XIII secolo inizia a essere utilizzata semprepiù negli atti notarili e commerciali e a entrarenelle corti europee. Proprio per la necessità difar fronte all’aumentato bisogno di materia perla scrittura nascono i primi centri di fabbricazio-ne della carta che possiamo definire “cristiani”.La città di Fabriano, nelle Marche, ne diviene ilpolo, tanto che, nel XIV secolo, non vi è istitu-zione europea che non possieda considerevoliscorte di carta prodotta in Italia. Il successo èdovuto anche a importanti innovazioni introdot-te nella preparazione della stessa.

I mulini arabi destinati alla macerazione deglistracci erano azionati a energia umana o animale.A Fabriano, invece, viene introdotta la pila idrauli-ca a magli multipli con ruota a pale.

Essa è formata da magli in legno costituiti datronchi solitamente di quercia a sezione rettango-lare. Questi tronchi sono sorretti da aste inseritein apposite spallette e sono collegati a un albero acamme a sua volta collegato a una ruota idraulicaa pale che viene trascinata dal basso. L’albero acamme è costituito da un tronco in legno posto inorizzontale che può ruotare attorno al suo asse.Nel tronco sono inseriti dei parallelepipedi inlegno sporgenti che permettono l’alternanza dibattuta dei magli presenti in ogni pila. Uno deidue rami dell’albero è rinforzato con una fascia inferro. Un telaio in legno sorregge la ruota idraulicae l’albero a camme. Le spallette sono rinforzateda elementi in legno fissati con viti in ferro chesostengono anche le aste. Le testate dei magli,rinforzate con una fascia in ferro, battono all’inter-no di vasche.

La pila a magli multipli può essere di tre tipi:

a “disgrossare”, a “raffinare” e ad “affiorare”, aseconda delle differenti operazioni da compiere.Nel primo tipo di pila, le testate sono munite digrossi chiodi appuntiti che riducono il tessutodegli stracci in “sfilacci” fibrosi. Nel secondo casosono dotate di chiodi a testa piatta, per trasforma-re gli sfilacci in semplici fibre. Il terzo tipo, invece,serve a raffinare e omogenizzare le fibre o reidra-tarle se si usa un prodotto già raffinato e poi postoa magazzino.

Gli stracci venivano messi a macerare in acqua.Successivamente questa poltiglia di stracci venivaversata nelle vasche della pila a magli. La correntedi un corso d’acqua faceva muovere la ruota idrau-lica, azionando così la pila. Il movimento venivatrasferito dalla ruota all’albero a camme e da questo

1 Pila idraulica a magli multipli nella descrizione

dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert.

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TECNOLOGIE DEI PROCESSI DI PRODUZIONE18

ai magli. La posizione delle camme sull’albero rego-lava il sollevamento alternato e graduale dei magli el’ordine di battuta. Vi erano più pile per una gradualetriturazione degli stracci. Durante la lavorazione ilpesto di stracci veniva lavato con acqua corrente.L’impasto così lavorato, una volta raffinato e omoge-neizzato nella misura voluta, veniva trasferito al tinoper la fabbricazione del foglio di carta.

Queste innovative tecniche, unite a un nuovotipo di colla, prodotto da una gelatina di origineanimale, rendono la carta realizzata a Fabrianomolto più resistente, oltre che maggiormente imper-meabile e lucida, consentendo alla città di detenereil monopolio della produzione della carta a livelloeuropeo almeno fino alla metà del XIV secolo.

Da quel momento i maggiori consumatori dicarta diventano Francia e Germania che, gradual-mente, cominciano a creare al proprio interno icentri di produzione, spostandoli dal sud verso ilnord Europa.

Come si produce la carta fatta a manoLa lavorazione degli stracciAbbiamo visto come, fin dalla creazione della

prima carta cinese, vi sia una stretta relazione trala materia per produrre abiti e la carta. Per svariatecentinaia di anni, fino alla metà del XIX secolo,la carta è stata prodotta utilizzando degli stracci,oggi diremmo “riciclando” materia destinata a nonessere più utilizzata. Prima di poter essere lavora-ti, tuttavia, gli stracci devono essere accuratamen-te lavati e ripuliti da tutti i corpi estranei. Poi vannotagliati a strisce e smistati, facendo attenzione allaqualità, al colore e all’usura del tessuto.

La produzione della pasta di cartaA questo punto le strisce di straccio sono irro-

rate d’acqua e lasciate a fermentare per diversesettimane in un maceratoio. Ciò che si ottieneviene deposto nelle pile piene d’acqua. Qui la fibramacerata viene sfibrata e battuta fino a essereridotta in poltiglia. I magli quindi, con il loro inces-sante battere, prima sfilacciano o “disgrossano”il materiale e poi lo triturano più finemente (faseche abbiamo chiamato “raffinazione”), fino a fardiventare la materia così trattata una sospensionefibrosa (portandola all’“affioramento”) di colorebiancastro: questa è la pasta di carta.

Dalla pasta al foglioQuesto liquido lattiginoso viene versato in un

tino di legno rotondo badando bene di mantener-ne costantemente tiepido il contenuto.

Chi si occupa di lavorare la pasta viene chia-mato “Prenditore”. Egli si posiziona sopra la vascacon un setaccio rettangolare (“Forma”), un attrezzoattraversato, a intervalli regolari, da sottili listelli dilegno di abete (“colonnelli”) sui quali poggia unafitta rete di fili trasversali in ottone (“vergelle”) fissa-ti a loro volta sui listelli per mezzo di fili sottilissimi.Il setaccio è munito di un telaio rimovibile che servea delimitare i bordi del foglio.

1 La produzione della pasta di carta nella descri-

zione dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert.

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Quando il “Prenditore” immerge il setaccio epoi lo ritira, l’acqua cola attraverso la rete, ma imateriali solidi rimangono attaccati alle vergelle,creando uno strato fibroso. Il reticolo metallicodella “Forma” lascia in questo modo la propriatraccia all’interno del foglio che si sta formando.

Sfruttando questo effetto e aggiungendo alreticolo un filo di ottone i cartai, nel corso deisecoli, hanno creato disegni rimasti impressi nellacarta: la cosiddetta “Filigrana”. In questo modoogni cartiera “firmava” la carta che produceva o,altre volte, era lo stesso committente a far inserireil proprio stemma nella carta che commissionava.

Non appena il setaccio ha svolto la sua funzio-ne, entra in scena una nuova figura: il “Ponitore”.Egli, una volta tolta la cornice rimovibile della“Forma”, applica un feltro sul foglio creato e “sten-de”, cioè ruota l’insieme composto da feltro, foglioe forma, in modo da poter togliere quest’ultimae lasciare il foglio semplicemente appoggiato alfeltro. Alla pila composta da feltro e foglio applicaquindi un nuovo feltro, che servirà da supporto alfoglio successivo, e via di seguito fino ad accumu-lare cento fogli.

A questo punto, con un torchio a vite similenel principio a quello che si usava per pressare levinacce, si preme la pila composta dai fogli e daifeltri in modo da eliminare l’acqua in eccesso eridurre lo spessore.

Al termine dell’operazione i fogli vengonomessi a essiccare negli stenditoi, ampie sale dota-te di aperture mobili verticali, realizzate in legno,che consentono di regolare la circolazione dell’a-ria e, quindi, la velocità di asciugatura.

La collaturaI fogli destinati alla scrittura devono avere

una superficie in grado di non assorbire l’inchio-stro. Per raggiungere questo obiettivo si utilizzauna colla che viene preparata con scarti di pelli

animali bollite che poi viene filtrata fino a otte-nerne una gelatina.

A questo compito è preposto il “Collatore”. Egliimmerge nel bagno di colla tra i cinque e i diecifogli per volta, stando attento che rimangano stac-cati gli uni dagli altri.

Una volta verificato che tutti i fogli sono statiimpregnati di collante, essi vengono pressati pereliminare quello in eccesso, quindi rimessi nellostenditoio per un’ulteriore essiccazione. Alla finedell’asciugatura vengono di nuovo pressati e pas-sati con un raschietto per eliminare eventualigrumosità.

Come ultimo atto si svolge l’operazione di“Calandratura”, che ha lo scopo di aumentare lalisciatura e il lucido del foglio. La lisciatura, o levi-gatura, viene effettuata attraverso la pressione,mentre la lucidatura deriva dall’attrito. Per farequesto si utilizza un’apposita pietra.

1 Come si realizza una “Forma” nella descrizione

dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert.

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TECNOLOGIE DEI PROCESSI DI PRODUZIONE20

Siamo ormai nel XV secolo e abbiamo vistocome l’arte della produzione di supporti per lascrittura abbia fatto innumerevoli passi avanti.Siamo passati dalle incisioni sulla pietra alletavole lignee, dalle tavolette di terracotta alpapiro e alla pergamena. Infine siamo arrivatialla carta e a una produzione sempre più raffi-nata nella qualità. Ma anche a una domanda insignificativo aumento per far fronte alle quoti-diane richieste del mercato.

Una cosa, in tutta questa evoluzione non è maicambiata: la necessità di scrivere, e trascrivere,a mano. Questo, finora, ha limitato la diffusionedella cultura, relegata a specifici centri in grado dimettere a disposizione biblioteche, magari com-poste di poche centinaia di volumi, ma preziosissi-me in quanto ogni libro, essendo scritto e miniatoa mano su pergamena, ha tempi di realizzazionemolto lunghi e, quindi, costi elevatissimi.

Inoltre, la società sta uscendo dal periodoMedievale e sta nascendo una nuova classe socia-le: la borghesia.

Un borghese è una persona non nobile dinascita e quindi non abita in un castello ma, pro-prio come suggerisce il nome, ha la sua casa in unborgo, dove svolge un “mestiere” che può esse-re legato al commercio o all’artigianato, oppureall’arte.

Con il progressivo distacco da un’economiadi sussistenza e, contemporaneamente, con losviluppo economico e sociale in tutta Europa, laclasse borghese diventa sempre più presente epreponderante nella vita politica e amministrativadelle città. Nel contempo essa sente il bisogno diuna maggiore istruzione e crescita culturale.

È in questo clima e da queste necessità cheprende avvio uno degli eventi più importanti dellastoria del progresso umano: l’invenzione dellastampa a caratteri mobili.

Ben prima della metà del XV secolo ci si eraposti il problema della riproduzione a stampadi volumi. In Cina era stato inventato, intorno al

1045, un sistema di tipi mobili fatti in argilla; inCorea, nel 1324, era stato impresso, utilizzandocaratteri mobili, un libro contenente i Proverbi diConfucio. Tuttavia tali esperienze non arrivaronomai in Occidente.

Qui, invece, i tentativi di riproduzione effettuatifurono legati alla xilografia, una tecnica di incisio-ne su legno. Purtroppo, la macchinosità del proce-dimento, l’impossibilità di riutilizzare per altri finiil materiale inciso e anche di correggere eventualierrori commessi relegarono questa tecnica fra itentativi non riusciti di creare una tecnologia piùadeguata alle produzioni letterarie. Tuttavia lericerche legate alla xilografia non andarono per-dute, anzi, già dal Cinquecento questa tecnicadivenne il principale complemento dei caratterimobili come mezzo per illustrare i libri a stampa.

L’invenzione dei caratteri mobili non è stata,come abbiamo cercato di spiegare, il frutto di un

La stampa a caratteri mobili

1 Ritratto di Johannes Gensfleisch, detto

Gutenberg, realizzato dopo la sua morte.

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improvviso lampo di genio, ma il risultato di unanecessità storica e sociale dell’epoca. Pertanto lapaternità di questa invenzione continua a essererivendicata da più autori e in svariate localitàdell’Europa. È certo infatti che, intorno al 1440,in più parti del continente europeo, in Germania,in Boemia, in Italia ma anche in Olanda, si stavalavorando con modalità molto simili alla creazionedei caratteri mobili.

Comunemente tale invenzione viene attribu-ita a Johannes Gensfleisch, detto Gutenberg dalnome del villaggio presso Magonza, città dellaGermania posta tra i fiumi Meno e Reno, dove eranato alla fine del 1300 e dove morì nel 1468.

Il suo mestiere originario è molto importanteper capire da dove derivano i caratteri mobili;

1 Incisione di inizio Ottocento che illustra il sistema

di Gutenberg per fondere un font. Un punzone

d’acciaio serve a imprimere la lettera in una

matrice di ottone più morbida. La matrice viene

quindi posta sul fondo di uno stampo diviso in

due parti. Lo stampo viene riempito con una lega

di piombo fuso per creare il carattere. Una volta

che la lega di piombo si è raffreddata, lo stampo

viene aperto e il carattere rimosso.

A. Punzone.

B. Matrice.

C. Stampo (con la matrice rimossa per mostrare

una nuova H forgiata).

D. ed E. Stampo aperto in modo da consentire la

rimozione della lettera H appena forgiata.

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TECNOLOGIE DEI PROCESSI DI PRODUZIONE22

egli infatti svolgeva, dopo essersi trasferito aStrasburgo, la professione di orafo e si occupava,in particolare, del conio di monete.

Lo ritroviamo sicuramente a Magonza nel 1448,perché qui fonda una “Societas” con un banchie-re, Johann Fust, e con un incisore, Peter Schöffer,con lo scopo di stampare la Bibbia, opera poidetta “delle 42 linee” dal numero delle righe checomponevano ogni colonna del testo.

Da questa data e fino al 23 febbraio 1455, quan-do il libro fu messo in vendita, Gutenberg appro-fondisce e mette a punto una serie di tecniche: daicaratteri forgiati in metallo (utilizzando il punzoneda orefice per creare una matrice dalla quale sipotevano ricavare, attraverso apposite colature,tutti i caratteri tipografici necessari), all’inchiostroper la stampa, non più a base d’acqua ma con l’u-tilizzo dell’olio di lino, fino alle attrezzature legatealla composizione, tra cui il torchio tipografico.

Gutenberg, in sostanza, utilizza materiali etecniche già presenti e sviluppati per altre atti-vità, adattandoli alla produzione libraria. Egli

infatti si discosta dalla tecnica xilografica, comeabbiamo visto troppo macchinosa e poco flessi-bile, per assemblare una pagina allineando suuna forma predisposta una serie di singoli carat-teri, realizzati con le tecniche del conio, forgiatiin una lega metallica di piombo e stagno. Unavolta disposti tutti i caratteri che compongonola pagina nella forma, si inchiostra quest’ultimae infine, appoggiato il foglio di carta o di perga-mena, si pressa con un torchio a vite derivato daquelli utilizzati fino ad allora per produrre il vino.L’insieme delle tecniche garantiva una qualitàdi stampa nettamente superiore alle precedenti.Inoltre, essendo i caratteri “mobili”, ossia singolicaratteri semplicemente affiancati uno all’altroall’interno di una forma, davano alla fine del

1 Una pagina su pergamena della bibbia “delle 42

linee” stampata in latino da Gutenberg (1454/55).

2 La bibbia in latino stampata da Johann Fust e

Peter Schöffer a Magonza nel 1462.

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lavoro la possibilità di recuperarli e riutilizzarliper altre pubblicazioni.

La Bibbia di Gutenberg, stampata in 184 esem-plari, 150 su carta di canapa importata dall’Italia e34 su pergamena, era composta da 1282 paginee circa 3.800.000 caratteri. Aveva richiesto treanni di lavoro, gli era costata il fallimento dellasua società perché non fu in grado di restituire lasomma prestatagli proprio dal suo socio Fust, mal’invenzione aveva suscitato anche l’entusiasmodi chi ne era venuto a contatto per la cura con laquale era stata realizzata.

Nel decennio successivo la nuova tecnicacomincia a diffondersi nelle varie città europeegrazie anche agli spostamenti di chi aveva colla-borato a quella prima impresa.

In Italia, uno degli iniziali luoghi di sviluppodella nuova tecnica di stampa diventa il mona-stero benedettino di Subiaco, vicino Roma. Giàfamoso per la produzione di manoscritti, dal1464 ospita due prototipografi tedeschi, ArnoldPannartz e Konrad Sweynheym, avviando conessi una produzione non più solo legata a testireligiosi e liturgici, quanto piuttosto rivolta aiclassici latini.

Tale “spostamento” di attenzione verso testisempre più mondani, ossia che “riguardano ilmondo in quanto luogo dell’uomo e dei suoiaffetti, desideri, attese”, sarà fonte di ulteriorisviluppi nel campo del linguaggio. Infatti, conquesta innovativa tecnica si aprivano nuovi mer-cati al libro, che poteva raggiungere molte piùpersone, soddisfacendo quella sete di saperee istruzione che era costantemente in crescitanella nuova classe borghese. Questo vasto mer-cato rimaneva tuttavia precluso a quei potenzialilettori che non conoscevano le lingue classichecome il latino. Proprio per raggiungere costoro,cominciarono a nascere traduzioni delle opereprincipali nei dialetti tra i più diffusi d’Europa,portandoli gradatamente ad affinarsi con unasempre maggiore accuratezza, anche ortografi-ca, fino a diventare una spinta importante allosviluppo delle lingue ufficiali dei vari Paesi.

Da Subiaco a Roma il passo è breve ma, inrealtà, neanche quindici anni dopo l’uscita dellaprima bibbia a stampa, è tutta l’Italia a essere unagrande fucina di opere a stampa. A Venezia i primistampatori compaiono nel 1469 e in pochissimotempo la Serenissima diventa il centro più impor-tante d’Europa per il libro arrivando a produrre,nella prima metà del Cinquecento, quasi la metàdei libri stampati in Italia. Nella prima fase la scel-ta si concentra soprattutto sui testi filosofici e didiritto. Nel frattempo anche Milano e Firenze svi-luppano attività editoriali puntando su opere reli-giose e letterarie, mentre Bologna diventa famosaper le opere di diritto e quelle scientifiche, in parti-colare di astronomia.

1 Una pagina del “De oratore” di Cicerone stampa-

ta a Venezia nel 1470 da Vindelino e Giovanni da

Spira (in realtà Wendelin e Johann von Speyer),

due tipografi tedeschi che introdussero nella

Serenissima la stampa a caratteri mobili.

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TECNOLOGIE DEI PROCESSI DI PRODUZIONE24

È nel Cinquecento che, a fronte di un fioriredi piccoli tipografi, in Europa nascono le primegrandi imprese editoriali: a Venezia Aldo Manuzio,i Giunti, i Giolito, a Parigi gli Estienne, in OlandaChristophe Plantin. Esse si strutturano come veree proprie aziende nel senso moderno del termine,con una serie di dipendenti ma anche con veri epropri progetti editoriali e avvalendosi dei mag-giori eruditi dell’epoca, nonché di quella che stadiventando una vera e propria nuova figura pro-fessionale: il progettista e incisore di nuove fami-glie di caratteri. Giusto per fare alcuni nomi, i cuilavori continuano a essere utilizzati anche oggi,ricordiamo Francesco Griffo (o Grifo), nato e mortoa Bologna (1450-1518 ca.), il creatore del corsivodetto aldino perché utilizzato nelle pubblicazionidi Aldo Manuzio; Claude Garamond (1499-1561),che collaborava con gli Estienne a Parigi; RobertGranjon, che creò caratteri per Plantin ad Anversae per la stamperia vaticana. Per quest’ultima inci-se, tra l’altro, piccoli caratteri arabi (Avicenna, in

folio, 1593) e un alfabeto caldeo-siriaco (1589).Con la nascita di queste grandi imprese si

diffonde anche la consapevolezza del ruolo socia-le e, quindi, della dignità professionale, che glistampatori cominciano ad assumere nella socie-tà. Così, se nei manoscritti niente permetteva diriconoscerne l’autore, ora sempre più si diffondel’utilizzo del “frontespizio”, ossia la prima paginadi un libro nella quale vengono riportati non solo ilnome dell’autore e il titolo, ma anche il luogo e ladata di stampa e il nome dell’editore. Sempre piùconsapevoli del ruolo assunto, autori e stampatoricercano di tutelare le opere provenienti dal proprioingegno, impedendo ad altri di riprodurle senzail relativo consenso. Nasce così già sul finire delQuattrocento, e diventa pratica comune nel secolosuccessivo, la cosiddetta “patente di privilegio”.Essa viene rilasciata dall’autorità locale e garan-tisce agli autori o ai tipografi i diritti esclusivi distampa o di vendita per un certo numero di anni su

Dal ’500 al ’700. Le grandi imprese editoriali

1 Un fonditore di caratteri. Incisione di Jost Amman

del 1568.

2 Frontespizio dell’“Hypnerotomachia Poliphili”,

edizione Parigi, 1600.

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uno o più libri. Ma non solo: Aldo Manuzio, infatti,chiede di tutelare il tipo di caratteri realizzati perlui da Francesco Griffo.

Questa “patente”, essendo legata all’autoritàche la rilascia, si scontra a livello normativo con gliinnumerevoli stati presenti. Solo il papato, teori-camente, rilascia privilegi di valore universale, mapoi dipende dalla reale influenza che il clero ha inquella determinata area geografica.

Tuttavia, se da un lato si pone in modo impel-lente la necessità di tutelare il proprio lavoro intel-lettuale da parte degli autori e degli stampatori,dall’altra le possibilità di divulgazione offerte dalnuovo modo di intendere la stampa (traduzione in“volgare” dei testi scritti in lingue classiche e pub-blicazione di opere scientifiche) rendono moltopiù efficace la diffusione di idee, anche radicali.La Riforma di Lutero in Germania ne è un esempioeclatante. Le persone in grado di leggere e scriveresono ancora poche, ma le opere come la Bibbia,tradotte in volgare e lette ad alta voce duranteriunioni collettive, raggiungono anche il pubblicoanalfabeta fino a quel momento escluso del tuttodai movimenti sociali e religiosi.

1 Una pagina interna del “De Bello Civili” di Lucano,

edito ad Anversa nell’Officina Plantiniana di

Christophe Plantin nel 1592.

2 Abraham Bosse, L’interno di una stamperia, 1642.