DA SAPERE del travaglio e del parto. - nascerebene.ch · travaglio. Durante la giornata si parlerà...

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PRIMO PIANO 3 Corriere del Ticino GIOVEDÌ 16 NOVEMBRE 2017 PRIMO PIANO 2 Corriere del Ticino GIOVEDÌ 16 NOVEMBRE 2017 Salute Maltrattamenti in sala parto «Succede anche in Ticino» Una levatrice e diverse neomamme denunciano delle forme di violenza ostetrica: autoritarismo, interventi non necessari, poca informazione, digiuni e visite brusche IL SIMPOSIO QUANDO IL CESAREO? Domani, dalle 8.30, nella sala multiuso dell’Ospedale San Giovanni di Bellinzona si terrà il simposio «Il cesareo, quando, come e perché? Strategie per un’ostetricia basata sull’eccellenza». Ospi- ti d’eccezione Michael Stark (chirurgo e ginecologo), tra i massimi esperti di chirurgia ostetrica, cui si deve la tecni- ca del cesareo Misgav La- dach ovvero il «cesareo dol- ce» (l’idea è quella di limitare il taglio dei tessuti nella par- toriente). E Michel Odent (chirurgo e ostetrico), cono- scitore di fama mondiale del- la siologia perinatale, cui si deve l’introduzione delle va- sche per il rilassamento nel travaglio. Durante la giornata si parlerà anche di altre prati- che diffuse negli ospedali dei Paesi industrializzati, ad esempio dell’uso di sostanze anestetiche e di ormoni sin- tetici nei parti vaginali, dell’e- pisiotomia ecc. L’evento – or- ganizzato dall’Associazione nascere bene Ticino in colla- borazione con l’EOC e il Can- tone – è rivolto a medici, leva- trici e infermieri, ma anche ai genitori e a tutte le persone interessate. Per ulteriori in- formazioni scrivete a segrete- [email protected] oppure telefonate allo 077 438 29 58. Donne umiliate verbalmente durante il travaglio ed escluse dai proces- si decisionali che riguardano il proprio corpo e il parto. Costrette a di- giunare per giorni e notti, a esporsi nude di fronte ad una molteplicità di persone, a partorire sdraiate con le gambe sulle stae, a separarsi dal bambino senza una ragione medica, a subire episiotomie o cesarei non necessari. Questi sono esempi di violenza ostetrica, un fenomeno diu- so nella vicina Penisola, almeno stando alla ricerca «Le donne e il par- to» ideata dall’Osservatorio sulla violenza ostetrica Italia (OVOItalia), condotta dalla Doxa e nanziata dalle associazioni La Goccia Magica e CiaoLapo Onlus. I dati raccolti sono inquietanti: il 21% delle mamme italiane con gli dai 0 ai 14 anni – si parla di un milione di donne circa – dichiara di aver subito maltrattamenti sici o verbali durante la prima esperienza di maternità. E per 4 donne su 10 l’assistenza al parto è stata in un qualche modo lesiva della propria dignità e integrità psicosica. Per il 6% delle madri il trauma è stato così importante da convincerle a non arontare una seconda gravidanza, provocando di fatto la mancata nascita di circa 20 mila bambini ogni anno. Anche in Ticino si può par- lare di violenza ostetrica? Lo chiediamo a professionisti che conoscono bene la realtà ospedaliera cantonale. Inoltre vi segnaliamo che domani, all’Ospedale San Giovanni di Bellinzona, si terrà il simposio «Il cesareo, quando, come e perché?» (leggi scheda qui sotto). PAGINE DI ROMINA BORLA L’INTERVISTA ❚❘❙ GIACOMO GIUDICI* «Non sempre è possibile assecondare i desideri» Il medico: «Accogliamo e ascoltiamo le pazienti» ❚❘❙ La violenza ostetrica è diusa anche in Ticino e assume diverse forme, almeno stando alle testimonianze raccolte nella pagina accanto. Ma cosa ne pensano i me- dici specializzati nella gestione di momen- ti estremamente delicati quali il travaglio e il parto? Vi presentiamo il parere di Giaco- mo Giudici, viceprimario di Ginecologia e ostetricia presso l’Ospedale regionale di Locarno. «Per quello che ci riguarda, l’in- tento di accogliere la mamma, di comuni- care, di ascoltarla per comprendere le sue esigenze c’è sempre», aerma. «Malgrado ciò non sempre tutto va come previsto. È comunque importante che si tengano aperti i canali e si continui a discutere con la paziente, anche dopo il parto. Così il servizio può migliorare senza sosta, a favo- re di chi arriverà dopo. L’Ente ospedaliero cantonale (EOC) aronta l’argomento con molta serietà e impegno». Il parto è un fatto siologico e naturale, sottolinea l’intervistato. È la donna che stabilisce come vuole viverlo, quali posi- zioni adottare, se ricorrere o meno alla peridurale ecc. Aancata da un sostegno prezioso, la levatrice, con la rete di emer- genza rappresentata dal ginecologo che deve poter intervenire in ogni momento. «L’idea è che la paziente abbia sempre ra- gione. Bisogna dunque tenere presenti le sue esigenze e cercare di metterle in prati- ca, anche se al curante sembrano astruse. Naturalmente ci sono dei limiti strutturali che non si possono ignorare: ad esempio abbiamo una sola vasca e può capitare che sia già occupata da un’altra paziente. Alla donna che desidera il parto in acqua va quindi spiegato come non sia possibile, cosa che vale anche in presenza di limiti di sicurezza. Inoltre ragioni cliniche possono talvolta giusticare decisioni considerate antipatiche. Ritorno qui a ribadire il valore della comunicazione: i professionisti della salute sono tenuti ad informare i pazienti, è una questione di etica professionale». Capitolo a parte: la gestione delle urgenze. Dice Giudici: «Se il curante possiede la formazione e le capacità necessarie, biso- gna permettergli di fare il suo mestiere che è proprio quello di gestire il caso con me- todi di urgenza, che non sempre permet- tono alla paziente di avere il tipo di parto che desiderava». Per quello che riguarda l’imposizione di certe posizioni, il medico sottolinea che l’ostetrica ha il compito di consigliare al meglio la donna, magari suggerendole movimenti che facilitino l’u- scita del bimbo (quando la madre non li adotta naturalmente), atteggiamenti pro- pizi al parto (se la partoriente non riesce a rilassarsi) ecc. «Di cosa si tratta? Di costri- zione o no? La donna ha la libertà di muo- versi e di scegliere, con l’aiuto della levatri- ce, la posizione che faciliterà il suo parto. Non c’è l’obbligo di partorire sul lettino o di utilizzare i gambali. Le nostre pazienti partoriscono in tutte le posizioni, sullo sgabello olandese, a carponi, sul materas- sino, sul pavimento, nella vasca ecc. Il li- mite è dettato dalla possibilità per la leva- trice o il ginecologo di lavorare in sicurezza in caso si debba intervenire. Di certo di- pende dall’intesa che si trova con la pa- ziente. Di nuovo, è fondamentale che il professionista – tenuto ad aggiornarsi in continuazione – discuta con lei e renda comprensibile le ragioni delle sue propo- ste». Mentre la manovra di Kristeller, pre- cisa Giudici, rientra nel novero dei com- portamenti scorretti in sala parto, non può dunque essere sostenuta. Ritenuta danno- sa sia per la madre sia per il feto, è una pratica che alcuni Paesi, come l’Inghilter- ra, hanno vietato. Altro tema caldo: l’epi- siotomia. Agli inizi del Duemila – spiega Giudici – è stata introdotta la registrazione dell’intervento e l’obbligatorietà dell’indi- cazione medica (deve cioè presentarsi la necessità o l’opportunità di quel particola- re trattamento in un determinato pazien- te). «In questo modo l’intervento ha smes- so di essere considerato un esercizio di routine e i casi segnalati nelle strutture tici- nesi hanno conosciuto una riduzione sen- sibile, continuata poi negli anni seguenti». Consideriamo i dati dell’Ucio federale della sanità pubblica: nel 2015 la percen- tuale di episiotomie negli ospedali canto- nali era di poco superiore al 20% del totale dei parti vaginali. Si parlava del 23,7% nelle maternità EOC, 22,4% alla Clinica Sant’An- na e 39,4% alla Clinica Santa Chiara (con- tro un 20% di media a livello nazionale). Mentre nel 2010 si situavano rispettiva- mente al 35,7%, 28,4% e 49,5%. Adesso passiamo alle continue visite vagi- nali durante il travaglio e al controllo co- stante del feto mediante il tracciato: «Non c’è nessun bisogno di esaminare il collo dell’utero ogni ora – commenta lo specia- lista – e, nei nostri reparti, nelle gravidanze a basso rischio si pratica il monitoraggio intermittente. Solo se le circostanze lo ren- dono necessario, la misurazione diventa continua. Altre strutture seguono questa prassi di routine, probabilmente per inter- cettare subito segni che facciano sospetta- re una soerenza fetale. Secondo il mio punto di vista non è una pratica giustica- bile». Nelle diverse strutture ospedaliere cantonali, ammette il nostro interlocutore, esistono varie sensibilità e sono in uso pratiche diverse. «C’è forse da dire che nel settore pubblico la struttura gerarchica è più marcata e che questo probabilmente comporta un’unità di intenti più forte». Inne uno sguardo alla legge. In Svizzera – precisa Giudici – non esiste una normati- va specica per la tutela delle partorienti e dei neonati. La Legge sanitaria in vigore, che sancisce i diritti del paziente è, secon- do il nostro interlocutore, più che su- ciente per proteggere le partorienti. La normativa sottolinea, tra le altre cose, il diritto all’informazione adeguata e al con- senso. L’esperto segnala inoltre che «pres- so l’EOC si è vericato un enorme cambia- mento di prospettiva: adesso è garantita al paziente la possibilità di presentare dei reclami, se ritiene che i suoi diritti siano stati violati e gli obblighi di comportamen- to di chi l’ha curato non siano stati confor- mi. I reclami sono gestiti dal Servizio qua- lità e non dal medico coinvolto. Alla base della maggior parte dei casi segnalati ci sono tendenzialmente delle incompren- sioni». .* viceprimario di Ginecologia e ostetricia presso l’Ospedale regionale di Locarno ❚❘❙ «Non sono poche le donne che, anche da noi, raccontano di brutte esperienze in sala parto», dice una levatrice con pa- recchi anni di esperienza alle spalle. «Momenti che segnano l’esistenza e in certi casi assumono la forma di vera e propria violenza ostetrica». Ma come si declina questo tipo di violenza? «Certi professionisti – ostetriche, ginecologi o altre gure professionali di supporto – tendono a gestire il momento del parto e il corpo della partoriente in maniera au- toritaria, spesso credendo di farlo a n di bene», aerma la nostra interlocutrice. «Magari obbligano la donna ad assume- re determinate posizioni (le chiedono ad esempio di sdraiarsi mentre lei desidera stare in piedi e muoversi in libertà) op- pure la sottopongono ad interventi, con- siderati di routine, non sempre necessa- ri. Come la manovra di Kristeller, che consiste nello schiacciare l’utero con lo scopo di velocizzare l’espulsione del bebè. Nonostante numerosi studi sotto- lineino la sua pericolosità, si continua a praticarla, talvolta senza informare la partoriente. Altro intervento diuso è l’episiotomia, ovvero l’incisione chirur- gica del perineo e della parete posteriore della vagina. Di tanto in tanto la si prati- ca senza consenso informato. C’è chi la chiama “mutilazione genitale” e anche per l’OMS può causare danno ed è consi- gliata solo in rari casi». Dati alla mano (vedi «Indicatori di qualità degli ospeda- li per cure acute svizzeri» dell’Ucio fe- derale della sanità pubblica), nel 2015 la percentuale di episiotomie negli ospe- dali ticinesi superava il 20% del totale dei parti vaginali (22,4% Clinica Sant’Anna e 23,7% nelle strutture dell’Ente ospeda- liero cantonale). «Sono numeri ancora troppo elevati», commenta l’intervistata. Alcune neomamme ci suggeriscono poi altri gesti che le hanno infastidite in sala IL DOCUMENTO DELL’OMS L’espressione «violenza ostetrica» è apparsa per la prima volta in alcuni Paesi del Sudamerica (in particolare Argentina, Messico e Venezuela) quando alcune ONG cominciarono in modo più sistematico a lottare per un migliore accesso delle donne alle cure. Si è poi diffusa nel mondo anglosassone e più recentemente nel resto d’Europa. Dal canto suo, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), nel 2014, ha pubblicato un documento intitolato «La prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere» in cui si dice che in tutto il mondo molte donne durante il parto in ospe- dale «fanno esperienza di trattamenti irrispettosi e abusi». Si afferma anche che queste pratiche non solo violano «il diritto delle donne ad un’assistenza sanitaria rispettosa», ma possono anche «minacciare il loro diritto alla vita, alla salute, all’integri- sica e alla libertà da ogni forma di discriminazione». Di quali pratiche si parla? Specica l’OMS: abusi sici e verbali, procedure mediche coercitive (inclusa la sterilizzazione), mancanza di riservatezza, carenza di un consenso informato, riuto di offrire un’adeguata terapia contro il dolore, gravi violazioni della privacy, riuto di ricezione nelle strutture ospedaliere, trascuratezza, detenzione delle mamme e dei loro bambini nelle strutture dopo la nascita connessa all’impossibilità di pagare. BASTA TACERE La campagna online «Basta tacere: le madri hanno voce», nata nell’aprile 2016, è un’iniziativa lanciata in Italia per portare all’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni il fenomeno della violenza ostetrica attraverso i racconti diretti sull’esperienza del parto. In 15 giorni la pagina www.facebook.com/bastatacere ha raccolto 21.000 like e oltre 1.100 testimonianze di violenza. La campagna «#Bastatacere» è legata alla proposta di legge «Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozio- ne del parto siologico», presentata nel marzo 2016 dall’onorevole Adriano Zaccagnini, per cercare di riconoscere anche in Italia la violenza ostetrica come reato. Al termine della campagna di sensibilizzazione è sorto l’Osservatorio sulla violenza ostetrica Italia (OVOItalia) per proseguire nella raccolta di testimonianze di violenza ai danni delle donne durante le fasi del travaglio e del parto. DA SAPERE parto: monitoraggi senza ne, visite va- ginali continue, magari brusche e poco rispettose, fatte senza avvisare oppure clisteri obbligatori (pratica considerata non più necessaria, ci spiega la levatri- ce). C’è chi racconta di epidurali che non arrivano mai o di essere state costrette al digiuno per giorni («potevo assumere solo zuccherini e un goccio d’acqua»). Per quel che riguarda la violenza verba- le: le segnalazioni arrivano più che altro da donne che hanno partorito oltrecon- ne e si sono sentite apostrofare: «Ades- so gridi? Non urlavi tanto quando hai concepito questo bimbo»; «Non sapeva che partorire signica sorire?» oppure «Su, non faccia tante storie. Hanno par- torito tutte, partorirà anche lei». Ma ci sono anche dei segnali positivi da rilevare. In Ticino – spiega la levatrice che abbiamo interpellato – sono stati fatti grossi passi avanti in materia di roo- ming in, la pratica di lasciare mamma e glio nella stessa stanza subito dopo la nascita. «In passato succedeva che il ne- onato veniva spesso allontanato dalla madre per i controlli di routine dopo il parto ma anche in seguito (nursery). Adesso, per fortuna, non succede più. Anche se in ritardo rispetto a strutture come il CHUV di Losanna (già negli anni Novanta si praticava il rooming in), gli ospedali ticinesi si sono allineati». Altri aspetti che rincuorano: la garanzia di ri- servatezza per le neomamme. «Nelle camere d’ospedale semiprivate e comu- ni sono presenti delle tende per proteg- gere la privacy di ognuna». Mentre, par- lando di supporto all’allattamento, tutti gli ospedali dell’EOC soddisfano i criteri di qualità dell’iniziativa «Ospedale ami- co dei bambini» dell’UNICEF. «Seguono insomma direttive precise in materia, il personale è tenuto ad aggiornarsi conti- nuamente. Le neomamme talvolta si la- mentano del fatto che i consigli delle ostetriche non vanno tutti nella stessa direzione ma è normale. L’allattamento non è una scienza esatta. C’è anche da dire che sul territorio esiste una rete di sostegno eciente, con le levatrici indi- pendenti e le infermiere pediatriche che arrivano a domicilio dopo la dimissione dall’ospedale». Nonostante tutto, però, la violenza oste- trica come detto esiste e colpisce in un momento molto particolare dell’esisten- za. «Le donne si trovano infatti in una si- tuazione di estrema vulnerabilità e insi- curezza», precisa la nostra interlocutri- ce. «Specie se sono al primo parto, ten- dono a seguire alla lettera i suggerimenti dei professionisti della salute, preoccu- pate per la sorte del loro bebè. Non si oppongono, anche quando avvertono sensazioni di disagio». E il disagio può in certi casi continuare a lavorare sulla psi- che. «C’è chi parla di vero e proprio trau- ma. Uno choc sottile, profondo, incon- scio che poi può emergere in diverse forme. L’ostetrica Verena Schmid, nel suo saggio “Venire al mondo e dare alla luce” , ha descritto magistralmente il mo- mento del parto, in cui la donna deve aprirsi, lasciarsi andare, perdere i con- ni, abbandonarsi. È possibile vivere que- sto processo di apertura in maniera posi- tiva, sentendosi forticate, oppure – in caso di esperienze negative – è possibile rimanere imprigionate in ferite che ven- gono spesso sottovalutate». D’altro canto anche i curanti, che a volte cadono in routine considerate dubbie dall’intervistata, spesso agiscono in buo- na fede. «Manca in questo senso un cer- to aggiornamento». Oltre alla formazio- ne di medici e ostetriche, come si può favorire un corretto approccio alla nasci- ta? «Innanzitutto è fondamentale infor- mare le madri, in modo che abbiano una visione positiva del parto. Bisogna in- somma trasformare la cultura del parto (non deve essere per forza in ospedale, in posizione ginecologica, con spinte a comando ed episiotomia quasi sicura). Il parto comporta dei rischi, è vero, ma è un passaggio naturale, che nella maggior parte dei casi si svolge senza problemi. L’ideale, in questo senso, sarebbe inco- minciare a demedicalizzare la gravidan- za, per esempio favorendo i controlli fatti da una gura professionale come la leva- trice che si basa sulla siologia, per an- dare verso un modello di parto il più na- turale possibile». Le conseguenze Le donne si trovano in una situazione di estrema vulne- rabilità e possono rimanere traumatizzate. Lo choc, sottile e profondo, può poi emergere in diverse forme La proposta Per favorire un corretto ap- proccio alla nascita bisogna puntare sull’aggiornamento dei curanti, sull’informazio- ne alle madri e sulla demedi- calizzazione della gravidanza Il principio Talvolta ragioni cliniche posso- no giustificare decisioni consi- derate «antipa- tiche» LA RICERCA In Italia per 4 donne su 10 l’assistenza al parto è stata in un qualche modo lesiva della propria dignità e integrità psicosica. (Foto Scolari) ‘‘ LA TESTIMONIANZA «Mi sono sentita giudicata» ❚❘❙ Premettiamo che ogni donna ha una sensibilità par- ticolare e vive il passaggio alla maternità in maniera sogget- tiva, valutando le situazioni che vive dentro e fuori l’ospe- dale in maniera unica, vi pro- poniamo la testimonianza di una ticinese che ha partorito di recente in una struttura ospedaliera del cantone e ri- corda, con dispiacere, non tanto l’esperienza del parto (cesareo) ma il periodo suc- cessivo. «Il compito delle le- vatrici è quello di rassicurare, dare forza e ducia alla neo- mamma. Non di farla sentire in colpa perché non ha abba- stanza latte, è troppo preoc- cupata o senza energie. Non mi considero ingenua ma do- po il parto, si sa, una donna è vulnerabile: ormoni impazzi- ti, dolori, insicurezza. E certe ostetriche mi hanno fatto sentire inadeguata e giudica- ta. Visto che la piccola perde- va peso, abbiamo dovuto ri- correre alle aggiunte di latte articiale. Mi dicevano, con tono di rimprovero: “Non va bene, non va bene” . Quando invece la cambiavo e piange- va, arrivavano di corsa per vedere cosa stessi facendo, volevano metterci le mani. Mi stavano col ato sul collo, pensando magari che fossi depressa. Mentre quando chiedevo un aiuto mi sentivo spesso rispondere: “Lo farei anche ma devi imparare, al- trimenti che succede quando uscirai di qui?” . Addirittura l’infermiera che mi ha fatto un clistere ha commentato: “Che giornata dicile, devo fare anche questo!” . Inne, quando il mio compagno è venuto a prenderci per por- tarci a casa (giacca e valigie pronte), il medico ci ha bloc- cati: “È meglio che rimanga, siamo preoccupati per la sa- lute del suo bebè” . Non pote- vano dirlo prima?». In ogni caso, osserva la signora, in Pediatria la situazione era di- versa. «Hanno capito le mie esigenze e mi hanno aiutato». Lei dice di non volere altri gli ma, se dovesse capitare, non metterebbe più piede in ospedale. «Hanno rovinato un periodo importante e que- sto è andato anche a scapito della relazione con la bimba». foto Crinari

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GIOVEDÌ 16 NOVEMBRE 2017

Salute

Maltrattamenti in sala parto «Succede anche in Ticino»Una levatrice e diverse neomamme denunciano delle forme di violenza ostetrica: autoritarismo, interventi non necessari, poca informazione, digiuni e visite brusche

IL SIMPOSIO

QUANDO IL CESAREO?Domani, dalle 8.30, nella sala multiuso dell’Ospedale San Giovanni di Bellinzona si terrà il simposio «Il cesareo, quando, come e perché? Strategie per un’ostetricia basata sull’eccellenza». Ospi-ti d’eccezione Michael Stark (chirurgo e ginecologo), tra i massimi esperti di chirurgia ostetrica, cui si deve la tecni-ca del cesareo Misgav La-dach ovvero il «cesareo dol-ce» (l’idea è quella di limitare il taglio dei tessuti nella par-toriente). E Michel Odent (chirurgo e ostetrico), cono-scitore di fama mondiale del-la fisiologia perinatale, cui si deve l’introduzione delle va-sche per il rilassamento nel travaglio. Durante la giornata si parlerà anche di altre prati-che diffuse negli ospedali dei Paesi industrializzati, ad esempio dell’uso di sostanze anestetiche e di ormoni sin-tetici nei parti vaginali, dell’e-pisiotomia ecc. L’evento – or-ganizzato dall’Associazione nascere bene Ticino in colla-borazione con l’EOC e il Can-tone – è rivolto a medici, leva-trici e infermieri, ma anche ai genitori e a tutte le persone interessate. Per ulteriori in-formazioni scrivete a [email protected] oppure telefonate allo 077 438 29 58.

Donne umiliate verbalmente durante il travaglio ed escluse dai proces-si decisionali che riguardano il proprio corpo e il parto. Costrette a di-giunare per giorni e notti, a esporsi nude di fronte ad una molteplicità di persone, a partorire sdraiate con le gambe sulle staffe, a separarsi dal bambino senza una ragione medica, a subire episiotomie o cesarei non necessari. Questi sono esempi di violenza ostetrica, un fenomeno diffu-so nella vicina Penisola, almeno stando alla ricerca «Le donne e il par-to» ideata dall’Osservatorio sulla violenza ostetrica Italia (OVOItalia), condotta dalla Doxa e finanziata dalle associazioni La Goccia Magica e CiaoLapo Onlus. I dati raccolti sono inquietanti: il 21% delle mamme italiane con figli dai 0 ai 14 anni – si parla di un milione di donne circa – dichiara di aver subito maltrattamenti fisici o verbali durante la prima esperienza di maternità. E per 4 donne su 10 l’assistenza al parto è stata in un qualche modo lesiva della propria dignità e integrità psicofisica. Per il 6% delle madri il trauma è stato così importante da convincerle a non affrontare una seconda gravidanza, provocando di fatto la mancata nascita di circa 20 mila bambini ogni anno. Anche in Ticino si può par-lare di violenza ostetrica? Lo chiediamo a professionisti che conoscono bene la realtà ospedaliera cantonale. Inoltre vi segnaliamo che domani, all’Ospedale San Giovanni di Bellinzona, si terrà il simposio «Il cesareo, quando, come e perché?» (leggi scheda qui sotto).

PAGINE DIROMINA BORLA

L’INTERVISTA ❚❘❙ GIACOMO GIUDICI*

«Non sempre è possibile assecondare i desideri»Il medico: «Accogliamo e ascoltiamo le pazienti»❚❘❙ La violenza ostetrica è diffusa anche in Ticino e assume diverse forme, almeno stando alle testimonianze raccolte nella pagina accanto. Ma cosa ne pensano i me-dici specializzati nella gestione di momen-ti estremamente delicati quali il travaglio e il parto? Vi presentiamo il parere di Giaco-mo Giudici, viceprimario di Ginecologia e ostetricia presso l’Ospedale regionale di Locarno. «Per quello che ci riguarda, l’in-tento di accogliere la mamma, di comuni-care, di ascoltarla per comprendere le sue esigenze c’è sempre», afferma. «Malgrado ciò non sempre tutto va come previsto. È comunque importante che si tengano aperti i canali e si continui a discutere con la paziente, anche dopo il parto. Così il servizio può migliorare senza sosta, a favo-re di chi arriverà dopo. L’Ente ospedaliero cantonale (EOC) affronta l’argomento con molta serietà e impegno». Il parto è un fatto fisiologico e naturale, sottolinea l’intervistato. È la donna che stabilisce come vuole viverlo, quali posi-zioni adottare, se ricorrere o meno alla peridurale ecc. Affiancata da un sostegno prezioso, la levatrice, con la rete di emer-genza rappresentata dal ginecologo che deve poter intervenire in ogni momento. «L’idea è che la paziente abbia sempre ra-gione. Bisogna dunque tenere presenti le sue esigenze e cercare di metterle in prati-ca, anche se al curante sembrano astruse. Naturalmente ci sono dei limiti strutturali che non si possono ignorare: ad esempio abbiamo una sola vasca e può capitare che sia già occupata da un’altra paziente. Alla donna che desidera il parto in acqua va quindi spiegato come non sia possibile, cosa che vale anche in presenza di limiti di sicurezza. Inoltre ragioni cliniche possono talvolta giustificare decisioni considerate antipatiche. Ritorno qui a ribadire il valore della comunicazione: i professionisti della salute sono tenuti ad informare i pazienti, è una questione di etica professionale». Capitolo a parte: la gestione delle urgenze. Dice Giudici: «Se il curante possiede la formazione e le capacità necessarie, biso-gna permettergli di fare il suo mestiere che è proprio quello di gestire il caso con me-todi di urgenza, che non sempre permet-tono alla paziente di avere il tipo di parto che desiderava». Per quello che riguarda l’imposizione di certe posizioni, il medico sottolinea che l’ostetrica ha il compito di consigliare al meglio la donna, magari suggerendole movimenti che facilitino l’u-scita del bimbo (quando la madre non li adotta naturalmente), atteggiamenti pro-pizi al parto (se la partoriente non riesce a rilassarsi) ecc. «Di cosa si tratta? Di costri-zione o no? La donna ha la libertà di muo-versi e di scegliere, con l’aiuto della levatri-ce, la posizione che faciliterà il suo parto. Non c’è l’obbligo di partorire sul lettino o di utilizzare i gambali. Le nostre pazienti partoriscono in tutte le posizioni, sullo sgabello olandese, a carponi, sul materas-sino, sul pavimento, nella vasca ecc. Il li-mite è dettato dalla possibilità per la leva-trice o il ginecologo di lavorare in sicurezza in caso si debba intervenire. Di certo di-pende dall’intesa che si trova con la pa-ziente. Di nuovo, è fondamentale che il professionista – tenuto ad aggiornarsi in continuazione – discuta con lei e renda comprensibile le ragioni delle sue propo-ste». Mentre la manovra di Kristeller, pre-cisa Giudici, rientra nel novero dei com-portamenti scorretti in sala parto, non può dunque essere sostenuta. Ritenuta danno-

sa sia per la madre sia per il feto, è una pratica che alcuni Paesi, come l’Inghilter-ra, hanno vietato. Altro tema caldo: l’epi-siotomia. Agli inizi del Duemila – spiega Giudici – è stata introdotta la registrazione dell’intervento e l’obbligatorietà dell’indi-cazione medica (deve cioè presentarsi la necessità o l’opportunità di quel particola-re trattamento in un determinato pazien-te). «In questo modo l’intervento ha smes-so di essere considerato un esercizio di routine e i casi segnalati nelle strutture tici-nesi hanno conosciuto una riduzione sen-sibile, continuata poi negli anni seguenti». Consideriamo i dati dell’Ufficio federale della sanità pubblica: nel 2015 la percen-tuale di episiotomie negli ospedali canto-nali era di poco superiore al 20% del totale dei parti vaginali. Si parlava del 23,7% nelle maternità EOC, 22,4% alla Clinica Sant’An-na e 39,4% alla Clinica Santa Chiara (con-tro un 20% di media a livello nazionale). Mentre nel 2010 si situavano rispettiva-mente al 35,7%, 28,4% e 49,5%.Adesso passiamo alle continue visite vagi-nali durante il travaglio e al controllo co-stante del feto mediante il tracciato: «Non c’è nessun bisogno di esaminare il collo dell’utero ogni ora – commenta lo specia-lista – e, nei nostri reparti, nelle gravidanze a basso rischio si pratica il monitoraggio intermittente. Solo se le circostanze lo ren-dono necessario, la misurazione diventa continua. Altre strutture seguono questa prassi di routine, probabilmente per inter-cettare subito segni che facciano sospetta-re una sofferenza fetale. Secondo il mio punto di vista non è una pratica giustifica-bile». Nelle diverse strutture ospedaliere cantonali, ammette il nostro interlocutore, esistono varie sensibilità e sono in uso pratiche diverse. «C’è forse da dire che nel settore pubblico la struttura gerarchica è più marcata e che questo probabilmente comporta un’unità di intenti più forte». Infine uno sguardo alla legge. In Svizzera – precisa Giudici – non esiste una normati-va specifica per la tutela delle partorienti e dei neonati. La Legge sanitaria in vigore, che sancisce i diritti del paziente è, secon-do il nostro interlocutore, più che suffi-ciente per proteggere le partorienti. La normativa sottolinea, tra le altre cose, il diritto all’informazione adeguata e al con-senso. L’esperto segnala inoltre che «pres-so l’EOC si è verificato un enorme cambia-mento di prospettiva: adesso è garantita al paziente la possibilità di presentare dei reclami, se ritiene che i suoi diritti siano stati violati e gli obblighi di comportamen-to di chi l’ha curato non siano stati confor-mi. I reclami sono gestiti dal Servizio qua-lità e non dal medico coinvolto. Alla base della maggior parte dei casi segnalati ci sono tendenzialmente delle incompren-sioni».

.* viceprimario di Ginecologia e ostetricia presso l’Ospedale regionale di Locarno

❚❘❙ «Non sono poche le donne che, anche da noi, raccontano di brutte esperienze in sala parto», dice una levatrice con pa-recchi anni di esperienza alle spalle. «Momenti che segnano l’esistenza e in certi casi assumono la forma di vera e propria violenza ostetrica». Ma come si declina questo tipo di violenza? «Certi professionisti – ostetriche, ginecologi o altre figure professionali di supporto – tendono a gestire il momento del parto e il corpo della partoriente in maniera au-toritaria, spesso credendo di farlo a fin di bene», afferma la nostra interlocutrice. «Magari obbligano la donna ad assume-re determinate posizioni (le chiedono ad esempio di sdraiarsi mentre lei desidera stare in piedi e muoversi in libertà) op-pure la sottopongono ad interventi, con-siderati di routine, non sempre necessa-ri. Come la manovra di Kristeller, che consiste nello schiacciare l’utero con lo scopo di velocizzare l’espulsione del bebè. Nonostante numerosi studi sotto-lineino la sua pericolosità, si continua a praticarla, talvolta senza informare la partoriente. Altro intervento diffuso è l’episiotomia, ovvero l’incisione chirur-gica del perineo e della parete posteriore della vagina. Di tanto in tanto la si prati-ca senza consenso informato. C’è chi la chiama “mutilazione genitale” e anche per l’OMS può causare danno ed è consi-gliata solo in rari casi». Dati alla mano (vedi «Indicatori di qualità degli ospeda-li per cure acute svizzeri» dell’Ufficio fe-derale della sanità pubblica), nel 2015 la percentuale di episiotomie negli ospe-dali ticinesi superava il 20% del totale dei parti vaginali (22,4% Clinica Sant’Anna e 23,7% nelle strutture dell’Ente ospeda-liero cantonale). «Sono numeri ancora troppo elevati», commenta l’intervistata. Alcune neomamme ci suggeriscono poi altri gesti che le hanno infastidite in sala

IL DOCUMENTO DELL’OMSL’espressione «violenza ostetrica» è apparsa per la prima volta in alcuni Paesi del Sudamerica (in particolare Argentina, Messico e Venezuela) quando alcune ONG cominciarono in modo più sistematico a lottare per un migliore accesso delle donne alle cure. Si è poi diffusa nel mondo anglosassone e più recentemente nel resto d’Europa. Dal canto suo, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), nel 2014, ha

pubblicato un documento intitolato «La prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere» in cui si dice che in tutto il mondo molte donne durante il parto in ospe-dale «fanno esperienza di trattamenti irrispettosi e abusi». Si afferma anche che queste pratiche non solo violano «il diritto delle donne ad un’assistenza sanitaria rispettosa», ma possono anche «minacciare il loro diritto alla vita, alla salute, all’integri-

tà fisica e alla libertà da ogni forma di discriminazione». Di quali pratiche si parla? Specifica l’OMS: abusi fisici e verbali, procedure mediche coercitive (inclusa la sterilizzazione), mancanza di riservatezza, carenza di un consenso informato, rifiuto di offrire un’adeguata terapia contro il dolore, gravi violazioni della privacy, rifiuto di ricezione nelle strutture ospedaliere, trascuratezza, detenzione delle mamme e dei loro bambini nelle strutture dopo la nascita connessa all’impossibilità di pagare.

BASTA TACERELa campagna online «Basta tacere: le madri hanno voce», nata nell’aprile 2016, è un’iniziativa lanciata in Italia per portare all’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni il fenomeno della violenza ostetrica attraverso i racconti diretti sull’esperienza del parto. In 15 giorni la pagina www.facebook.com/bastatacere ha raccolto 21.000 like e oltre 1.100 testimonianze di violenza. La campagna «#Bastatacere» è legata alla proposta di

legge «Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozio-ne del parto fisiologico», presentata nel marzo 2016 dall’onorevole Adriano Zaccagnini, per cercare di riconoscere anche in Italia la violenza ostetrica come reato. Al termine della campagna di sensibilizzazione è sorto l’Osservatorio sulla violenza ostetrica Italia (OVOItalia) per proseguire nella raccolta di testimonianze di violenza ai danni delle donne durante le fasi del travaglio e del parto. D

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parto: monitoraggi senza fine, visite va-ginali continue, magari brusche e poco rispettose, fatte senza avvisare oppure clisteri obbligatori (pratica considerata non più necessaria, ci spiega la levatri-ce). C’è chi racconta di epidurali che non arrivano mai o di essere state costrette al digiuno per giorni («potevo assumere solo zuccherini e un goccio d’acqua»). Per quel che riguarda la violenza verba-le: le segnalazioni arrivano più che altro da donne che hanno partorito oltrecon-fine e si sono sentite apostrofare: «Ades-so gridi? Non urlavi tanto quando hai concepito questo bimbo»; «Non sapeva che partorire significa soffrire?» oppure «Su, non faccia tante storie. Hanno par-torito tutte, partorirà anche lei». Ma ci sono anche dei segnali positivi da rilevare. In Ticino – spiega la levatrice che abbiamo interpellato – sono stati

fatti grossi passi avanti in materia di roo-ming in, la pratica di lasciare mamma e figlio nella stessa stanza subito dopo la nascita. «In passato succedeva che il ne-onato veniva spesso allontanato dalla madre per i controlli di routine dopo il parto ma anche in seguito (nursery). Adesso, per fortuna, non succede più. Anche se in ritardo rispetto a strutture come il CHUV di Losanna (già negli anni Novanta si praticava il rooming in), gli ospedali ticinesi si sono allineati». Altri aspetti che rincuorano: la garanzia di ri-servatezza per le neomamme. «Nelle camere d’ospedale semiprivate e comu-ni sono presenti delle tende per proteg-gere la privacy di ognuna». Mentre, par-lando di supporto all’allattamento, tutti gli ospedali dell’EOC soddisfano i criteri di qualità dell’iniziativa «Ospedale ami-co dei bambini» dell’UNICEF. «Seguono insomma direttive precise in materia, il personale è tenuto ad aggiornarsi conti-nuamente. Le neomamme talvolta si la-mentano del fatto che i consigli delle ostetriche non vanno tutti nella stessa direzione ma è normale. L’allattamento non è una scienza esatta. C’è anche da dire che sul territorio esiste una rete di sostegno efficiente, con le levatrici indi-pendenti e le infermiere pediatriche che arrivano a domicilio dopo la dimissione dall’ospedale».Nonostante tutto, però, la violenza oste-trica come detto esiste e colpisce in un

momento molto particolare dell’esisten-za. «Le donne si trovano infatti in una si-tuazione di estrema vulnerabilità e insi-curezza», precisa la nostra interlocutri-ce. «Specie se sono al primo parto, ten-dono a seguire alla lettera i suggerimenti dei professionisti della salute, preoccu-

pate per la sorte del loro bebè. Non si oppongono, anche quando avvertono sensazioni di disagio». E il disagio può in certi casi continuare a lavorare sulla psi-che. «C’è chi parla di vero e proprio trau-ma. Uno choc sottile, profondo, incon-scio che poi può emergere in diverse forme. L’ostetrica Verena Schmid, nel suo saggio “Venire al mondo e dare alla luce”, ha descritto magistralmente il mo-mento del parto, in cui la donna deve aprirsi, lasciarsi andare, perdere i confi-ni, abbandonarsi. È possibile vivere que-sto processo di apertura in maniera posi-tiva, sentendosi fortificate, oppure – in caso di esperienze negative – è possibile rimanere imprigionate in ferite che ven-gono spesso sottovalutate».D’altro canto anche i curanti, che a volte cadono in routine considerate dubbie dall’intervistata, spesso agiscono in buo-

na fede. «Manca in questo senso un cer-to aggiornamento». Oltre alla formazio-ne di medici e ostetriche, come si può favorire un corretto approccio alla nasci-ta? «Innanzitutto è fondamentale infor-mare le madri, in modo che abbiano una visione positiva del parto. Bisogna in-somma trasformare la cultura del parto (non deve essere per forza in ospedale, in posizione ginecologica, con spinte a comando ed episiotomia quasi sicura). Il parto comporta dei rischi, è vero, ma è un passaggio naturale, che nella maggior parte dei casi si svolge senza problemi. L’ideale, in questo senso, sarebbe inco-minciare a demedicalizzare la gravidan-za, per esempio favorendo i controlli fatti da una figura professionale come la leva-trice che si basa sulla fisiologia, per an-dare verso un modello di parto il più na-turale possibile».

Le conseguenzeLe donne si trovano in una situazione di estrema vulne-rabilità e possono rimanere traumatizzate. Lo choc, sottile e profondo, può poi emergere in diverse forme

La propostaPer favorire un corretto ap-proccio alla nascita bisogna puntare sull’aggiornamento dei curanti, sull’informazio-ne alle madri e sulla demedi-calizzazione della gravidanza

Il principioTalvolta ragioni cliniche posso-no giustificare decisioni consi-derate «antipa-tiche»

LA RICERCA In Italia per 4 donne su 10 l’assistenza al parto è stata in un qualche modo lesiva della propria dignità e integrità psicofisica. (Foto Scolari)

‘‘LA TESTIMONIANZA

«Mi sono sentita giudicata»❚❘❙ Premettiamo che ogni donna ha una sensibilità par-ticolare e vive il passaggio alla maternità in maniera sogget-tiva, valutando le situazioni che vive dentro e fuori l’ospe-dale in maniera unica, vi pro-poniamo la testimonianza di una ticinese che ha partorito di recente in una struttura ospedaliera del cantone e ri-corda, con dispiacere, non tanto l’esperienza del parto (cesareo) ma il periodo suc-cessivo. «Il compito delle le-vatrici è quello di rassicurare, dare forza e fiducia alla neo-mamma. Non di farla sentire in colpa perché non ha abba-stanza latte, è troppo preoc-cupata o senza energie. Non mi considero ingenua ma do-po il parto, si sa, una donna è vulnerabile: ormoni impazzi-ti, dolori, insicurezza. E certe ostetriche mi hanno fatto sentire inadeguata e giudica-ta. Visto che la piccola perde-va peso, abbiamo dovuto ri-correre alle aggiunte di latte artificiale. Mi dicevano, con tono di rimprovero: “Non va bene, non va bene”. Quando invece la cambiavo e piange-va, arrivavano di corsa per vedere cosa stessi facendo, volevano metterci le mani. Mi stavano col fiato sul collo, pensando magari che fossi depressa. Mentre quando chiedevo un aiuto mi sentivo spesso rispondere: “Lo farei anche ma devi imparare, al-trimenti che succede quando uscirai di qui?”. Addirittura l’infermiera che mi ha fatto un clistere ha commentato: “Che giornata difficile, devo fare anche questo!”. Infine, quando il mio compagno è venuto a prenderci per por-tarci a casa (giacca e valigie pronte), il medico ci ha bloc-cati: “È meglio che rimanga, siamo preoccupati per la sa-lute del suo bebè”. Non pote-vano dirlo prima?». In ogni caso, osserva la signora, in Pediatria la situazione era di-versa. «Hanno capito le mie esigenze e mi hanno aiutato». Lei dice di non volere altri figli ma, se dovesse capitare, non metterebbe più piede in ospedale. «Hanno rovinato un periodo importante e que-sto è andato anche a scapito della relazione con la bimba».

foto Crinari