Da Al-Qāʿida a Wikipedia - i vantaggi della struttura organizzativa a legame debole

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Da Al-Qāʿida a Wikipedia i vantaggi della struttura organizzativa a legame debole di Luca Martino

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Il presente lavoro analizza la struttura a legame debole come approccio organizzativo di straordinaria efficacia per determinate realtà. In particolare cerca di analizzare la sua applicazione nei sistemi di produzione di sapere in modo cooperativo e nelle dinamiche proprie del web 2.0.

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Da Al-Qāʿida a Wikipedia

i vantaggi della struttura organizzativa a legame debole

di Luca Martino

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Autore: Luca Martino

Titolo saggio: Da Al-Qāʿida a Wikipedia - i vantaggi della struttura organizzativa a legame debole

Oggetto dello studio: Il presente lavoro analizza la struttura a legame debole come approccio

organizzativo di straordinaria efficacia per determinate realtà. In particolare

cerca di analizzare la sua applicazione nei sistemi di produzione di sapere in

modo cooperativo e nelle dinamiche proprie del web 2.0.

Sommario

Introduzione ...................................................................................................................................................... 2

Teoria delle strutture a legame debole ............................................................................................................. 2

Pro e contro delle strutture a legame debole ............................................................................................... 4

Le strutture a legami deboli nelle organizzazioni di persone ............................................................................ 5

Al-Qāʿida e le sue cellule ............................................................................................................................... 5

La Camorra e la rete di spaccio sul territorio ................................................................................................ 5

Wikipedia e i suoi tanti editori ...................................................................................................................... 7

Un’esperienza diretta ................................................................................................................................ 9

Brevissima storia del web ................................................................................................................................ 10

Schemi ricorrenti: i legami deboli ................................................................................................................ 11

L’interazione nel Web 2.0 ............................................................................................................................ 12

I Social Network e la creazione di legami deboli ..................................................................................... 13

I legami che fanno l’organizzazione ......................................................................................................... 16

Conclusioni ...................................................................................................................................................... 18

Bibliografia e riferimenti web .......................................................................................................................... 19

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Introduzione

Lo studio delle problematiche proprie dell’organizzazione aziendale fornisce molti utili strumenti

di analisi e progettazione. Volendo essere schematici, ci sono almeno due grandi vantaggi

nell’avere nozioni di organizzazione aziendale:

si può capire come e perché determinate organizzazioni hanno scelto un certo tipo di

struttura;

si hanno strumenti teorici per poter organizzare a propria volta un gruppo di individui,

un’associazione o un’impresa.

Ma c’è un terzo vantaggio, che chi scrive ritiene prezioso: ovvero la capacità di vedere schemi e

strutture organizzative lì dove regnava apparentemente il caos. Il poter collegare a schemi ricorrenti

determinati fenomeni organizzativi permette di avere nuove chiavi di lettura delle complessità con

cui ci confrontiamo quotidianamente.

Questo è quello che è capitato allo scrivente, il quale, pur lavorando da anni in ambito web, non

aveva strumenti interpretativi per comprendere molti fenomeni sociali che sulla rete avevano luogo.

Questa tesina, quindi, nata come un approfondimento teorico delle strutture a legane debole, si è

sviluppata principalmente su casi concreti, applicando gli strumenti di analisi, propri delle teorie

dell’organizzazione, per interpretare i recenti fenomeni collaborativi che vanno sotto il nome di web

2.0.

Teoria delle strutture a legame debole

Il termine “legame debole”, usato nell’ambito della chimica per descrivere una tipologia di legame

molecolare, è stato usato a partire dal 1973 per descrivere un concetto più ampio relativo

all’organizzazione dei sistemi viventi. Nel suo Persistence and Loose Coupling in Living Systems,

Robert B. Glassman spiega come nel caso di sistemi con poche variabili in comune o con variabili

in comune non rilevanti, si possa parlare di legame debole (loose coupling).

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Tuttavia chi ha approfondito questo concetto e lo ha usato per descrivere alcuni fenomeni

organizzativi, a partire dal 1976, è stato Karl E. Weick.

Nel suo saggio I sistemi organizzativi a connessione debole del 1990, egli evidenzia la necessità di

introdurre questo concetto per poter dotare di uno strumento analitico in più chi si approccia allo

studio di fenomeni complessi non riconducibili a schemi di struttura causali.

Una connessione lasca, secondo Weick, è una connessione in cui «gli eventi connessi rispondono

l’uno all’altro, ma dove ogni evento conserva anche la propria identità e qualche segno della propria

separatezza fisica o logica».

Questa definizione permette di individuare legami fra variabili anche lì dove regna un apparente

caos. In particolare, il concetto di legame debole permette di superare la relazione causale cui

razionalmente ricorriamo per spiegare le interazioni tra le parti di un sistema; nei sistemi biologici e

sociali, infatti, spesso non c’è un collegamento lineare, meccanico e determinato tra variabili, bensì

un gruppo di possibili connessioni a numerose altre variabili.

Sul piano dell’organizzazione aziendale, il legame debole gioca un ruolo importante nel descrivere

determinate strutture, non riconducibili a quelle individuate dalle teorie definite classiche (come

quelle che sottostanno all’organizzazione scientifica del lavoro di F. W. Taylor o

all’organizzazione formale di H. Fayol).

Ciò è particolarmente evidente nei sistemi organizzativi di tipo organico.

Richiamando una distinzione introdotta da Burns e Stalker nel 1961, i manager e le organizzazioni,

influenzati da mutamenti dell’ambiente esterno, e in particolar modo dalle innovazioni tecnologiche

e dai mutamenti del mercato, possono reagire in maniera diversa, a seconda del grado di instabilità

dell’ambiente; è quindi possibile individuare nelle imprese due differenti configurazioni: i sistemi

organizzativi meccanici e quelli organici.

Nel caso di un ambiente particolarmente dinamico, i sistemi tendono ad organizzarsi in maniera

semplice, poco strutturata, o meglio ancora secondo “modelli organici”.

La difficoltà di prevedere le caratteristiche future comporta un’organizzazione di tipo organico, in

cui la scarsa formalizzazione delle variabili organizzative permette di adattarsi rapidamente ai

cambiamenti e assicura flessibilità di risposta, in quanto tutte le persone sono intercambiabili.

Questo tipo di configurazione ha molti punti di contatto con le strutture a legame debole.

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Pro e contro delle strutture a legame debole Sul piano delle organizzazioni, è indubbio che le strutture a legame debole presentino numerosi

vantaggi.

In primo luogo consentono di sperimentare le innovazioni senza che eventuali effetti collaterali si

trasmettano all'intera organizzazione (dal lato opposto, permettono di conservare tradizionali

modalità di lavoro mentre il resto dell'organizzazione cambia). Similmente le connessioni lasche

impediscono o rallentano il propagarsi a tutto il sistema di problemi che possono verificarsi in

alcune parti di esso.

In secondo luogo permettono una migliore percezione dell'ambiente in cui opera l'organizzazione,

poiché le parti reagiscono in maniera autonoma agli stimoli esterni ed hanno di conseguenza anche

una migliore capacità di adattamento (in ambienti complessi ed instabili ciò costituisce un indubbio

vantaggio).

Le parti di un’organizzazione con una struttura a legame debole, inoltre, ripetono ognuna le

funzioni di base per il raggiungimento dei fini dell’organizzazione; ciò ne aumenta l’affidabilità,

poiché in caso di non funzionamento di una di esse, le altre potrebbero portare comunque a termine

l’obiettivo.

Altro elemento di vantaggio sono i limitati costi di coordinamento, grazie allo svilupparsi di

processi di auto-organizzazione.

In fine la struttura a legame debole stimola l'iniziativa individuale e la responsabilizzazione,

poiché l'autonomia e l'autodeterminazione sono forti leve per l’essere umano.

Gli aspetti negativi sono in realtà la controparte di quelli positivi sopra descritti.

Innanzitutto, lì dove c’è scarso coordinamento fra le parti è inevitabile che ci possano essere

individui o cellule che si ostacolano a vicenda, o che rendono meno efficiente il raggiungimento

dello scopo dell’organizzazione (tuttavia si fa notare che spesso il problema dell’efficienza non

interessa le organizzazioni che utilizzano questo tipo di strutture; l’unico interesse è l’efficacia,

ovvero il raggiungimento dello scopo per cui sono state create).

Vi è poi senza dubbio un problema nel reclutamento delle risorse umane. L’autonomia e la

capacità di autodeterminazione possono essere un problema se i soggetti non sono molto fidelizzati

alla causa dell’organizzazione e possono quindi deviare dagli scopi. La mancanza di una struttura

gerarchica (che è quasi sempre anche una struttura di controllo) richiede quindi che i soggetti

coinvolti siano fortemente motivati al raggiungimento degli scopi dell’organizzazione.

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Le strutture a legami deboli nelle organizzazioni di persone Una volta compresa la definizione di connessione lasca, tanti fenomeni organizzativi sembrano

trovare una loro collocazione sotto le strutture che spiegano l’interazione tra le parti e il tutto con

questo tipo di legame.

In particolare molte organizzazioni che operano fuori dalle regole del libero mercato, (e che

quindi possono rinunciare all’efficienza, puntando tutto sull’efficacia), sembrano adottare strutture a

legame debole (come le organizzazioni malavitose).

Anche quelle organizzazioni che non sono orientate ad obiettivi di tipo economico, ma di tipo

ideologico (come quelle terroristiche o alcune specifiche realtà del volontariato), sembrano

prediligere i vantaggi di una struttura a legame debole.

Non va comunque dimenticato che anche normali imprese orientate al profitto, soprattutto per la

loro rete distributiva sul territorio, scelgono una struttura a legame debole, che garantisce poche

spese di coordinamento e massima capacità di adattamento all’ambiente di riferimento (agenzie di

assicurazioni, procacciatori d’affari, ecc.).

Al-Qāʿida e le sue cellule Fra le realtà fuori dalle regole del libero mercato e non orientate al profitto, c’è un’organizzazione

terroristica che sembra essere basata su una struttura a legame debole: è Al-Qāʿida, tristemente

famosa per gli attentati dell’11 settembre 2001 negli USA.

L’organizzazione sembra infatti essere contraddistinta da una struttura poco verticale e molto fluida.

C’è al vertice un ristretto gruppo di leader che coordina le azioni, la propaganda ed il reperimento

delle risorse finanziarie. Ci sono campi d'addestramento in zone difficilmente individuabili. Ed in

fine ci sono le cellule operative, che hanno piena autonomia di operare, nel rispetto dei principi

ideologici condivisi dall’organizzazione. Tutti e tre i nuclei organizzativi sopra elencati mettono in

atto una comune strategia: spostamenti continui per evitare la localizzazione, legami laschi tra ogni

livello organizzativo e fra membri dello stesso livello.

La Camorra e la rete di spaccio sul territorio Analizzando le organizzazioni criminali che hanno esigenza di presidiare il territorio in maniera

capillare ed efficace (soprattutto per le attività di spaccio delle droghe), si riscontrano caratteristiche

proprie delle strutture a legame debole.

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A dispetto dell’apparente schema di potere rigido e verticale, infatti, spesso le organizzazioni che

gestiscono attività di distribuzione di droga sul territorio si avvalgono di un livello base della

piramide molto “amorfo” e indipendente dalla catena di comando.

Ciò garantisce ai vertici di non essere minimamente intaccati dagli arresti cui i loro “soldati” sono

soggetti durante le attività di spaccio.

Roberto Saviano scrive nel suo libro-indagine Gomorra: «II clan Di Lauro è stato sempre

un'impresa perfettamente organizzata. Il boss lo ha strutturato con un disegno d'azienda multilevel.

L'organizzazione è composta da un primo livello di promotori e finanziatori, costituito dai

dirigenti del clan che provvedono a controllare l'attività di traffico e spaccio tramite i loro affiliati

diretti […]. Il secondo livello comprende chi materialmente tratta la droga, l'acquista e la

confeziona e gestisce i rapporti con gli spacciatori, ai quali garantisce difesa legale in caso di arresto.

Il terzo livello è rappresentato dai capi-piazza, ossia membri del clan che sono a diretto contatto

con gli spacciatori […]. Il quarto livello, il più esposto, è costituito dagli spacciatori. Ogni livello

ha in sé dei sottolivelli che si relazionano esclusivamente con il proprio dirigente di riferimento e

non con l'intera struttura. Quest'organizzazione permette di avere un profitto pari al 500%

dell'investimento iniziale.»

È proprio il livello degli spacciatori, quello che deve essere più reattivo all’instabilità dell’ambiente

esterno, che si potrebbe quasi ritenere completamente staccato dal resto dell’organizzazione. La rete

di spaccio ha solo tre compiti: ritirare la merce, distribuirla, consegnare il ricavato.

Come vendere e come non essere arrestati è affidato alla capacità di auto-organizzazione di nuclei

di ragazzini minorenni, che in genere non superano le 4 unità: uno spacciatore e 3 pali (questi ultimi

a tutela sia dello spacciatore che dell’acquirente).

La strategia con cui l’organizzazione criminale tiene coeso l’esercito degli spacciatori è

semplice: gratificazione economica (che anche se minima in certi ambienti è considerata un

privilegio), tutela legale e supporto economico alle famiglie in caso di arresto, promessa di poter

accedere ai livelli più alti dell’organizzazione se si dimostrano capaci. Sebbene uno su mille ha la

concreta possibilità di fare la scalata nel clan, quest’ultimo “incentivo” risulta il più efficace nel

garantire la lealtà al gruppo camorristico, in quanto tocca i bisogni di autorealizzazione dei

ragazzini dei quartieri poveri del napoletano.

La struttura a “compartimenti stagni” dei livelli dell’organizzazione camorristica sopra descritta è

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una caratteristica comune alle organizzazioni che temono il propagarsi di eventi dannosi in grado di

pregiudicare il raggiungimento dei propri obiettivi (arresti, indagini della magistratura, conflitti con

clan rivali, ecc.).

Nel caso della Camorra, come si può vedere dal grafico sottostante, è triste verificare che questa

struttura ha un’incredibile efficacia nel generare utili.

Wikipedia e i suoi tanti editori Tra le organizzazioni che non hanno scopo di lucro, non ci sono quelle terroristiche

(fortunatamente!). Moltissime associazioni di persone o di volontariato, infatti, non si pongono

problemi di efficienza, e mettono in piedi strutture a legame debole.

È il caso di Wikipedia, la famosa enciclopedia libera, realizzata con il contributo volontario di

centinaia di migliaia di individui in tutto il mondo. Rappresenta un fenomeno di produzione di

sapere in modo cooperativo di incredibile efficacia (si pensi che la versione italiana, ad oggi, conta

oltre 749.000 voci, scritte in meno di 10 anni).

Questa forza editoriale, migliaia di volte più potente di quella dell’Enciclopedia Britannica, adotta

di fatto una struttura a legame debole.

Il funzionamento di Wikipedia è piuttosto semplice: chiunque può modificare, aggiungere o

cancellare una voce. Ogni azione del singolo è soggetta al controllo di tutti gli altri membri della

comunità, che verificano il rispetto delle regole di base. Nel caso di questioni complesse, si tende a

risolverle con un voto. In generale, comunque, le regole scaturiscono per lo più da situazioni in cui i

wikipediani si imbattono e devono risolvere. Attraverso un meccanismo decisionale ben preciso, si

crea una nuova regola che potrà funzionare ad hoc nel caso il problema si ripresentasse.

Orizzontale, egualitaria e democratica. E fortemente orientata all’auto-regolamentazione.

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In realtà le cose sono un po’ più complesse, in quanto spesso conta l’anzianità di appartenenza alla

comunità da parte dell’utente per stabilire il valore delle sue modifiche rispetto a quelle di un altro.

Ma tali differenze gerarchiche si perdono nelle dimensioni della “cooperativa”.

Le unità base dell’organizzazione (i redattori), quindi, hanno una serie di regole redazionali e di

“etichetta comportamentale” cui attenersi. All’interno di queste regole possono liberamente

produrre sapere e contribuire al controllo dei contributi degli altri.

Il tutto mossi da motivazioni ideologiche o da bisogni di autorealizzazione, ma certamente non

da interessi economici (l’uso della piattaforma a scopi pubblicitari è fortemente osteggiato dai

wikipediani, che cancellano prontamente ogni voce che ha il lontano sospetto di essere a scopo

promozionale).

La “reattività” agli stimoli esterni, e quindi la capacità di correggere o cancellare voci che non

rispettano le regole base dell’Enciclopedia, è una caratteristica possibile grazie alla struttura a

legame debole che caratterizza il sistema. Ogni esperto di un certo argomento si sente chiamato a

dare il proprio contributo per mantenere la piattaforma veritiera e scevra di errori.

Tuttavia se il contributo arriva da un wikipediano che ha all’attivo molti “edits” (modifiche), non è

detto che gli altri utenti sentano di dover intervenire celermente. In effetti, mentre ogni contributo di

un nuovo utente viene subito vagliato da un utente di lungo corso, lo stesso di solito soprassiede se

il nuovo edit viene da un suo pari (in termini di anzianità nella comunità). C’è di fatto una sorta di

patto di fiducia tra i membri che hanno collaborato a lungo allo sviluppo dell’Enciclopedia.

Questo permette una certa efficienza, poiché richiede ai membri attivi una revisione solo di quelle

voci realizzate da utenti non registrati o dai membri più giovani della comunità.

Questo aspetto è molto interessante: pur trattandosi di una struttura con una ridondanza incredibile

(tutti possono fare tutto, o quasi), grazie alla fiducia fra membri della comunità, avvengono

fenomeni di efficiente distribuzione del lavoro. Accade ad esempio che, se c’è già un wikipediano

DOC all’interno di una discussione, altri si fidano nel suo lavoro e vanno ad impegnarsi lì dove non

c’è ancora un membro affidabile a dirimere le questioni.

Citando un pezzo del saggio di Valentina Paruzzi «[…] la rete, nel senso più generico del termine,

può supportare forme di auto-organizzazione tali da essere segnalate come un prodotto della

configurazione della stessa.» (cfr.)

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Un’esperienza diretta

Chi scrive ha avuto diversi gradi di coinvolgimento nel progetto Wikipedia. Dalla

donazione alla Fondazione, come riconoscimento per il servizio di cui ha usufruito, alla

modifica di alcune voci con errori lievi o di formattazione, passando per l’integrazione

di voci complesse. Ma l’esperienza più significativa è stato l’inserimento di una nuova

voce, che ha superato i vagli iniziali e ad oggi, a distanza di un anno e mezzo, è visibile,

pressoché immutata, sul sito di Wikipedia (Metafisica della Qualità).

Questa esperienza è senza ombra di dubbio quella che mi ha fatto interrogare sul perché

delle persone, senza alcun ritorno economico, dovrebbero impiegare tempo ed energie

per scrivere una voce su Wikipedia.

Ripensando alla mia esperienza, ricordo di aver sentito forte la bellezza della

condivisione, del sapere che cresce grazie ai piccoli contributi di ciascuno. Fu quella

l’unica motivazione a spingermi nell’impiegare diverse ore di studio per scrivere una

nuova voce.

In questo aspetto Wikipedia risponde in pieno alle indicazioni dello Human Relations

Movement e del suo teorico Elton Mayo: un’azienda non ha il solo compito di produrre

beni o servizi, ma anche quello di creare e diffondere benessere fra i singoli membri

facenti parte della stessa.

Fra gli utenti che discutono e collaborano alle definizioni di voci complesse

dell’Enciclopedia Libera, infatti, serpeggia una sorta di orgoglio nell’appartenere alla

comunità di wikipediani; come se l’avere uno scopo nobile fosse di per sé fonte di

benessere e soddisfazione.

In conclusione, la leva della condivisione è un forte aspetto motivazionale che permette

a migliaia di singoli redattori, in totale autonomia, di progettare e donare il proprio

contributo; la somma di tutti questi contributi (pur di diversissimo livello qualitativo e

intensità delle risorse impiegate) permette al sistema cooperativo di crescere e

migliorarsi.

Questo aspetto motivazionale sembra non necessitare di altri sistemi di incentivazione

e lo ritroviamo in effetti alla base di molti fenomeni propri del cosiddetto web 2.0.

Ma prima di vedere di cosa si tratta, analizziamo meglio cos’è il web, perché sembra

essere intriso di strutture a legame debole…

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Brevissima storia del web Il web, così come lo conosciamo oggi, non è molto diverso, nei suoi tratti essenziali, da quello nato

nel 1991 da una brillante intuizione di Tim Berners-Lee, allora ricercatore al CERN di Ginevra,

Il concetto fondante è in realtà più vecchio: fin dagli anni ’30, infatti, negli studi di Vannevar Bush,

era apparsa l’idea di una macchina per pensare basata sui collegamenti fra una vasta raccolta di

informazioni.

Berners-Lee non fece altro che rendere possibile questa collezione enorme di informazioni, tutte fra

loro connesse, grazie all’introduzione di tre semplici meccanismi:

1. URI (Uniform Resource Identifier), per localizzare le risorse multimediali del Web (come

l’URL, Uniform Resource Locator);

2. protocolli condivisi, per accedere alle risorse denominate sul Web (come l’HTTP per i

documenti HTML);

3. documenti ipertestuali, la cui consultazione non avveniva esclusivamente in modo lineare,

grazie alla presenza di collegamenti (link).

In pratica è bastato mettersi d’accordo su come si chiamavano i documenti (1), stabilire le regole

per il transito dei “pacchetti di informazioni” sulla rete (2) e introdurre l’uso di rimandi ad altre

informazioni correlate agli argomenti trattati nel documento (3).

Questi semplici meccanismi, condivisi dai ricercatori del CERN, permisero loro di “mettere in rete”

le ricerche scientifiche e di collegare i tanti documenti prodotti durante studi e ricerche spesso

diversi fra loro (purché ci fosse attinenza o interesse scientifico al rimando).

A supporto di queste semplici idee, che riassumono tutto ciò che è il World Wide Web, era già da

tempo presente (ed in continua espansione) la “rete delle reti”, ovvero internet. Ciò permise al web

di diffondersi ben oltre la rete interna del CERN.

Internet negli anni ’90 era infatti una rete che aveva già una dimensione globale. Era nata nel 1969

dal progetto ARPANET della DARPA (un’agenzia dipendente dal Ministero della Difesa

statunitense) ed aveva regole e protocolli molto semplici.

Di fatto non chiedeva alle singole reti aziendali o degli enti di ricerca di modificare la loro struttura

interna, ma di accettare dei livelli di protocolli, affinché ci fossero “regole condivise” per la

comunicazione con le altre reti.

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Quando il CERN condivise col resto del mondo i meccanismi alla base del suo “sistema

informativo”, poté quindi contare su di una rete mondiale che permetteva già l’invio e la ricezione

di “pacchetti di informazioni” in maniera efficace (internet era utilizzato per lo più, fino ad allora,

per l’invio di messaggi, grazie ai programmi di posta elettronica e di file, tramite il protocollo FTP,

File Transfer Protocol).

Il grafico a lato mostra come dal 1991

al 2009 ci sia stata una crescita

esponenziale degli host internet

(numeri in milioni). Gli host, ovvero gli

indirizzi IP, sono un indice del livello

di attività sull’uso di internet, perché

corrispondono ai nodi della rete.

Se si confronta poi con il seguente

grafico, che riassume la crescita dei siti

web nel mondo (in rosso i siti attivi,

con aggiornamento periodico dei

contenuti), si comprendere che il

fenomeno web è probabilmente il

fenomeno più significativo avvenuto su

internet e quello che ne ha

maggiormente influenzato la diffusione

(i dati sono espressi in milioni).

Schemi ricorrenti: i legami deboli Quello che sorprende dei meccanismi sottostanti al World Wide Web è che si tratta di regole molto

semplici, che non richiedono “sforzi di adesione” da parte di chi le implementa. Come se il suo

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ideatore si fosse trovato di fronte a questa domanda: come creo un sistema informativo complesso, a

cui tutti possono accedere e che tutti possono contribuire a far crescere?

La risposta è in due parole: libertà e protocolli.

Libertà nella creazione dei contenuti, che non sono soggetti ad alcun vincolo e che possono essere

di tipo testuale o multimediale (immagini, suoni, video), unita a protocolli, ovvero “regole

condivise”, per quanto riguarda il nome da dare ai contenuti e le regole per accedervi.

E il tutto, poi, supportato da una rete globale che a sua volta sembra usare le stesse parole chiave:

libertà di strutturare la propria rete secondo le proprie esigenze, ma regole condivise per farla

interfacciare con le altre reti.

Ed è proprio in questi elementi ricorrenti che intravediamo schemi di strutture a legame debole.

L’indipendenza tra le parti del sistema, la libertà delle stesse di autodeterminarsi, e poche regole

condivise per interagire, hanno permesso al web, ed allo stesso internet, di espandersi in maniera

esponenziale.

Sembrerebbe che il successo sia tutto lì, nel porre pochi legacci a chi deve partecipare in prima

persona alla creazione di contenuti e a fornirgli semplici strumenti per la condivisione di quanto ha

prodotto. E la parola condivisione, come già detto, è alla base dell’evoluzione del web: il web 2.0.

L’interazione nel Web 2.0 L’insieme di quelle applicazioni online che permettono un elevato livello di interazione sito-utente,

viene genericamente identificato con la il termine Web 2.0. Si vuole quindi indicare un’evoluzione

del web, uno stato in cui non c’è più una fruizione passiva dei contenuti reperibili sul WWW, ma si

può interagire con essi, modificarli (come nel caso sopra descritto di Wikipedia), farli evolvere con

il proprio contributo.

L’interazione è sempre stata un fattore evolutivo e di fatto ha portato il web ad un livello di

complessità impensabile fino a pochi anni fa.

L’elemento comune agli agenti che interagiscono con un sito web, però, rimane l’estraneità degli

uni agli altri. Di solito la nascita di forum tematici, community, o progetti di sviluppo di software

open source, non prevede legami strutturati tra gli utenti che vi aderiscono. Tuttavia questi legami

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ci sono, poiché l’azione di uno di essi fa avviare processi che coinvolgono anche altri (si pensi alla

domanda posta da un utente in un forum e alle decine di risposte che seguono da parte di altri

utenti). Tuttavia non è meccanica, non presuppone necessariamente l’interazione di un certo

utente o un altro. Possiamo quindi parlare di legami deboli.

I legami deboli sembrano pervadere ogni aspetto del web 2.0, soprattutto nelle sue forme più recenti:

i Social Network.

I Social Network e la creazione di legami deboli

Se c’è un fenomeno che più di tutti ha rivoluzionato l’uso che gli utenti fanno di internet

è certamente la nascita dei Social Network.

Fra questi Facebook, Twitter, Foursquare (solo per citarne alcuni), stanno catalizzando

sempre più l’attenzione degli utenti web, che rinunciano alla ricerca dei contenuti sui

siti e si affidano alle piattaforme di condivisione fornite dai Social Network.

A questo si aggiunga che la nascita del mercato delle applicazioni (le cosiddette “apps”),

ha sostituito gran parte della “navigazione utente”, poiché ha permesso di avere servizi

o ricevere informazioni, in maniera comoda e veloce, direttamente sui dispositivi mobili

(smartphone, tablet, ecc.).

Alcuni mesi fa Chris Anderson, direttore del magazine Wired USA, ha scritto un

articolo dal titolo provocatorio: «The web is dead». E questa, per qualcuno, è davvero la

fine del “mare libero” del web a favore di “oasi” più o meno protette, caratterizzate

dall’assenza di processi democratici e molto orientate alla monetizzazione della user-

experience.

Senza dilungarci sui risvolti dell’ascesa dei Social Network, resta interessante notare i

meccanismi che ne hanno decretato il successo.

Ancora una volta il desiderio di condivisione è stato la leva che ha indotto milioni di

utenti (oltre 500 per il solo Facebook) a riempire le piattaforme dei social di foto, video,

link, ecc.

Ma la leva principale è senz’altro la possibilità di creare “connessioni” con altri utenti.

Tuttavia non si tratta, come in un primo momento di potrebbe pensare, di amicizie

simili a quelle intrattenute nella vita reale, ma di una sorta di legami molto più laschi.

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La dimostrazione è che la stragrande maggioranza degli utenti tende a stabilire

“amicizie virtuali” con una facilità non riscontrabile nella vita reale, né lontanamente

gestibile (uno studio di Robin Dunbar, antropologo dell'Università di Oxford, dimostra

che non si riescono a gestire più di 150 relazioni, sia online che nella vita reale).

E quindi a cosa dobbiamo l’instaurasi di tutti questi legami deboli?

Probabilmente una spiegazione la troviamo negli studi del sociologo statunitense Mark

Granovetter. In un suo saggio sull’influenza sociale nella ricerca del lavoro, dal titolo

significativo “La forza dei legami deboli”, Granovetter dimostra che i soggetti inseriti

in legami deboli, fatti cioè di conoscenze amicali non troppo strette, hanno più

possibilità di accesso ad informazioni e quindi di potenziali posizioni lavorative di

proprio interesse, rispetto a coloro che investono socialmente soltanto nei legami forti,

cioè i familiari, i parenti e gli amici intimi.

C’è quindi un vantaggio nell’avere una fitta rete di legami deboli, quanto meno

nella possibilità di reperire un maggior numero di informazioni (e più velocemente).

E questo è un aspetto che chiunque abbia usato Facebook può facilmente riscontrare.

L’immagine che segue è quello che Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, chiama

“social graph”. Rappresenta lo schema delle connessioni fra un utente e le sue amicizie

virtuali.

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Da Al-Qāʿida a Wikipedia - i vantaggi della struttura organizzativa a legame debole di Luca Martino

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È evidente che all’aumentare delle connessioni il soggetto è in grado di accedere ad

informazioni anche molto lontane dal proprio ambiente di riferimento e ciò costituisce

un vantaggio, sempre che non costi troppe risorse mantenere queste relazioni.

Ma i Social Network sembrano fatti proprio per questo. Favorire la creazione di legami

deboli, permettere connessioni lasche in maniera agevole e poco impegnativa.

La giornalista Zadie Smith, recensendo il film The Social Network (che racconta la

storia della nascita di Facebook), sottolinea che Zuckerberg ha costruito un mondo

intriso di superficialità. «Un software non è mai neutro. - ricorda la Smith, citando Jaron

Lainer - Un certo software diffonde una certa filosofia e queste filosofie, essendo

onnipresenti all’interno del software, diventano invisibili.»

La piattaforma di Facebook favorisce i legami deboli fra utenti, o addirittura

“presuppone” che le amicizie che avvengono online siano relazioni di natura molto

debole (basti pensare che un profilo individuale può arrivare ad avere 5000 amici).

Altre le 5000 amicizie bisogna aprire una fan page, perché evidentemente anche

Zuckerberg si rende conto che chiamare amici un gruppo di 5000 relazioni è un po’

ridicolo.

Quindi i Social Network favoriscono i legami deboli e le strutture sociali che

ricostruiscono hanno tutti i vantaggi e le potenzialità delle organizzazioni basate su

questo tipo di legami.

Non è un caso che negli ultimi tempi

molte grandi mobilitazioni abbiano

preso il via da Facebook.

Basti pensare all’efficacia della

diffusione delle informazioni.

Il grafico a lato mostra il meccanismo

con cui si diffondono le notizie sui

Social Network. Tale schema è detto

“virale”, per la velocità e capillarità

della propagazione dell’informazione.

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Questi meccanismi sono sempre di più oggetto di attenzione da parte di chi ha interesse

ad avere un alto numero di connessioni deboli. Un esempio è costituito dalla presenza

dei parlamentari sui Social Network: il 62% dei 540 esponenti del Parlamento che sono

presenti in rete ha attivato almeno un profilo personale su delle piattaforme di social

networking (percentuale che diventa del 35% sul totale dei 950 parlamentari in carica).

Sul solo Facebook, come si può vedere dal grafico sottostante, c’è il 58% della presenza

online dei parlamentari italiani.

I legami che fanno l’organizzazione

Lavorando in una web agency (archimede.nu) che tra i propri servizi fornisce anche

attività di Social Media Marketing, ho avuto modo di riscontrare un altro fenomeno

degno di attenzione che accade su Facebook.

Tracciando le interazioni di gruppi di utenti su alcune pagine gestite dalla nostra agenzia

per conto delle principali Aziende di Promozione Turistica del Trentino, ho riscontrato

fenomeni di “creazione” di gruppi di interesse.

In pratica, avviene spesso che gli utenti connessi debolmente ad un utente, qualora

interessanti all’interazione cui lui ha dato luogo su una pagina tematica, lo seguano nei

fini della stessa, interagendo a loro volta, e creando così dei micro-gruppi che portano

avanti richieste, critiche, promozione di eventi, ecc.

È come se i legami deboli fra gli utenti creassero delle micro-organizzazioni, di durata

in genere limitata, con lo scopo di raggiungere un fine comune.

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Non si riscontrano fenomeni di leadership all’interno di questi gruppi e quindi non c’è

un effetto di trascinamento di un leader su un insieme di amici; sembrerebbe piuttosto

che l’avere un utente nella propria cerchia di legami deboli costituisca una ragione

sufficiente per seguirlo nelle azioni che compie.

Non a caso la sofisticata piattaforma pubblicitaria messa in

piedi da Facebook rende visibile all’utente chi fra i suoi

amici ha cliccato su un certo annuncio.

L’immagine a lato mostra un annuncio promozionale per un

gioco online, e riporta il nome degli ultimi amici che lo

hanno usato.

Sembrerebbe proprio che i legami deboli riescano a

condizionarci e a farci compiere azioni “di gruppo”.

C’è poi un altro aspetto che è legato ai fenomeni sopra descritti: è il bisogno di provare

un senso di appartenenza.

Si tratta di un bisogno abbastanza forte, poiché tocca molti aspetti centrali della

piramide di Maslow (bisogni di sicurezza, appartenenza, affetto, stima).

Sia in Facebook che in Wikipedia, infatti, si riscontra questo aspetto motivazionale,

caratteristico delle reti sociali.

L’appartenenza ad un gruppo o ad una comunità, costituisce quindi una forte

motivazione all’interazione.

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Da Al-Qāʿida a Wikipedia - i vantaggi della struttura organizzativa a legame debole di Luca Martino

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Conclusioni Le strutture a legame debole possono essere riscontrate in moltissimi fenomeni organizzativi, in

particolar modo lì dove ci sono reti di persone connesse in maniera non causale, il cui livello di

interazione necessita di essere spiegato con un qualche tipo di collegamento debole.

Il Web, la sua evoluzione nel Web 2.0, ma soprattutto i Social Network, sembrano essere permeati

di strutture a legame debole, sia nei meccanismi fondanti che negli aspetti incentivanti. Ciò ha

conseguenze inaspettate, compreso il verificarsi di fenomeni organizzativi che partono dalla

semplice esistenza di legami deboli (ne sono quindi conseguenza e non causa).

Recuperando un concetto elaborato da Weick, lo scrivente può affermare di aver “trovato un senso”

in fenomeni organizzativi con cui si confronta quotidianamente. Ma il sensemaking di Weick non è

«sinonimo di interpretazione, è semmai una fase cognitiva precedente, durante la quale le persone

generano ciò che interpretano» (cit. Simona Rosati).

In tal senso ho forse dato un ordine ed uno schema di lettura a realtà che ontologicamente, o almeno

nei loro aspetti fondativi, non lo presupponevano.

Ma se questo “senso” aiuta a comprendere, interpretare e relazionarsi alla realtà,… ben venga il

sensemaking.

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Bibliografia e riferimenti web

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Science” ( n° 18.2 del 1973)

Enciclopedia dell’Economia, editore Garzanti (2007)

Organizzazione Aziendale - Manuale Corso Universitario, di Giovanni Costa e Paolo

Giubitta, editore McGraw Hill (2004)

Gomorra, di Roberto Saviano, editore Mondadori (2006)

I sistemi organizzativi a connessione debole, di Weick K.E e Orton D.J., in “Sviluppo e

Organizzazione” (n° 122 del 1990)

Il web è morto, di Chris Anderson, in “Wired” (n° 20 dell’ottobre 2010)

Dal mare libero alle oasi protette, di Giulio Meazzini, in “Città Nuova” (n°22 Anno LIV del

25 novembre 2010)

Generation why?, di Zadie Smith, in “Internazionale” (n° 873 del 19 novembre 2010)

- Wikipedia, http://en.wikipedia.org/wiki/Karl_E._Weick

- Palomar, http://www.palomar.ao.it/terminiglossario/glleg.htm

- Produrre sapere in rete in modo cooperativo - il caso Wikipedia, di Valentina Paruzzi,

http://tinyurl.com/Wiki-know

- Decisioni e creazione di senso nelle organizzazioni, di Simona Rosati,

http://tinyurl.com/Dire-fare-pensare

- Gandalf, http://gandalf.it/dati/dati1.htm

- ComplexLab, http://complexlab.com/glossario/teoria-delle-reti/

- Whole World Trip, http://wholeworldtrip.blogspot.com/2009/06/la-metafisica-della-

qualita.html

- SpinDoc, http://www.spindoc.it/2009/06/10/political-divide-2-pote-piu-facebook-che-i-siti-

o-i-blog/

- Blogfolio Archimede, http://blogfolio.archimede.nu/agenzia-di-comunicazione/2010/05/i-

segreti-del-viral-marketing.html