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DAESH DOSSIER SULLO “STATO ISLAMICO© GSCATULLO

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DAESH DOSSIER SULLO “STATO ISLAMICO”

© GSCATULLO

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Daesh Dossier sul sedicente “Stato Islamico”, sulla situazione culturale e storico -politica che ne ha

permesso la nascita.

Michela Loguercio – Erica Trotta – Paolo Franchi

Prefazione

Introduzione e struttura

Questo dossier è composto da oltre ventiduemila parole, disseminate in una quarantina di pagine, e cerca di

analizzare con completezza l’intera questione dello “Stato Islamico” e più in generale del fondamentalismo

islamico. Il lavoro è stato con dotto da tre ragazzi del quinto anno: Michela Loguercio, Erica Trotta e Paolo

Franchi, che si sono occupati di curare rispettivamente: un approfondimento sulla cultura islamica, un’analisi

della storia del Medioriente nel Novecento e l’analisi dei fatti recenti.

Sicuramente su Daesh e sul fenomeno dell’integralismo e del terrorismo islamista non si è detto tutto, e

questo documento non ha certo la pretesa di esaurire ogni informazione sull’argomento, più che altro di

essere una solida base di partenza, per la varietà delle fonti e dei temi, per iniziare a conoscere la questione

e così a riflettere. Dunque buona lettura e buon informazione!

Perché “Daesh”?

Il titolo di questo dossier, Daesh, potrebbe apparire certamente meno familiare di ISIS, ISIL o IS, ma c’è un

motivo che ha orientato la scelta del titolo e che è condiviso da alcuni giornalisti internazionali. “Ai piani alti”

dell’informazione c’è in effetti chi si è domandato con quale nome riferirsi all’organizzazione terroristica Stato

Islamico, di cui tratta il presente dossier.

Daesh è l’acronimo arabo di Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, ma la sua pronuncia ha un suono simile a

quello del verbo arabo calpestare, schiacciare ed è utilizzato per questo in senso denigratorio. Inoltre il nome

Daesh non esplicita nella nostra lingua la dignità di stato che essi pretendono – e abbiamo cercato di utilizzare

il “virgolettato” quando ricorriamo al termine stato ad essi riferito – ed è più internazionale di ISIS che ha

invece origine anglofona.

La Cultura Islamica

L’Islam

Introduzione

L’islam, così come l’ebraismo e il cristianesimo, è una religione monoteista, professa cioè la fede in un Dio

unico. Islam (“sottomissione a Dio”) è la denominazione scelta da Maometto (Muhammad) per la religione

da lui fondata.

Gli aderenti alla religione islamica sono chiamati musulmani. Oggi i musulmani nel mondo sono circa un

miliardo e mezzo. Le comunità più numerose si trovano nel sub-continente indiano (Pakistan, India e

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Bangladesh), nell’Africa sub-sahariana, nel Vicino e Medio Oriente. Nella Federazione Russa e nei Paesi

Balcani la presenza dei musulmani è significativa, mentre in America e in Europa è in costante aumento. In

Italia l’islam è la seconda religione dopo il cristianesimo.

Maometto e la nascita dell’Islam

Rimasto orfano di entrambi i genitori, fu allevato prima dal nonno e poi dallo zio, Abu Talib. Dopo alterne

vicende, intorno ai venticinque anni, sposò la vedova Khadijah. Fra i trenta e i quarant’anni Maometto

attraversò una profonda crisi religiosa, durante la quale si interrogò su Dio e sulla natura, appartandosi spesso

in ritiro. Nel 610, esattamente il giorno 27 del mese di ramadan (nono mese lunare del calendario

musulmano), sul monte Hira ebbe la prima visione, durante la quale, secondo la tradizione, l’arcangelo

Gabriele gli rivelò l’unicità di Allah, di cui Maometto divenne il portavoce (il Profeta). Secondo la tradizione

islamica, le visioni e le rivelazioni continuarono per ventidue anni, fino alla morte di Maometto.

Dopo un primo momento di smarrimento, Maometto cominciò ad annunciare pubblicamente il contenuto

delle visioni, intraprendendo una lotta senza quartiere contro il politeismo pagano. Ma La Mecca, oltre a

essere un nodo nevralgico dei traffici internazionali, era sede di culto e di importanti pellegrinaggi periodici

presso il santuario, all’interno del quale venivano conservati numerosi idoli, venerati dalle diverse tribù, e la

grande Pietra Nera, oggetto di culto molto diffuso, perciò il potentato della città, temendo ripercussioni

economiche, in un primo tempo ostacolò la predicazione del Profeta, poi passò a vere e proprie persecuzioni

contro Maometto e i suoi primi seguaci.

Maometto fu quindi costretto ad abbandonare la Mecca per rifugiarsi a Yathrib, l’attuale Medina (che

significa appunto “città del Profeta”). Questo trasferimento (egira) ebbe luogo il 16 luglio dell’anno 622 d.C.

e costituisce l’inizio del computo cronologico islamico.

A Yathrib venne redatto un documento, la Costituzione di Medina, che definiva, con successive modifiche, le

basi giuridiche di un potere riconosciuto dalle differenti tribù, che pur mantenendo un’autonomia per la

gestione dei vari problemi interni, accettavano l’arbitrato supremo del Profeta. Il documento sanciva l’unità

fra stato e religione: l’islam, “il retto sentiero”, era regola fondamentale sia per il rapporto religioso sia per il

contesto politico. Nella comunità musulmana, (ummah, letteralmente la comunità dei credenti), i seguaci di

Maometto erano chiamati al-muhajirum, cioè “coloro che sono migrati”, mentre gli altri, cioè gli ebrei e i

cristiani, erano chiamati dhimmi, cioè i “protetti”, sancendo una posizione non di parità, ma di sottomissione

di questi ultimi.

Dopo varie vicende e molti scontri con clan ostili, nel gennaio del 630 Maometto con i suoi seguaci entrò

trionfante a La Mecca e distrusse gli idoli presenti nella Ka’ba e la consacrò ad Allah. L’espansione – Dopo la

morte del Profeta, la guida politica e spirituale della comunità islamica fu assunta dapprima da una linea di

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successione di califfi. Il termine califfo fu il nome dato ai primi successori di Maometto, che guidarono l’islam

in sua vece, sostituendolo in tutti i ruoli, tranne quello di profeta.

Il primo califfo fu Abu Bakr, che governò dal 632 al 634 e iniziò l’espansione militare verso la Persia. Nel 634

gli succedette ‘Omar, che governò dal 634 al 644, quando fu assassinato; conquistò la Siria, nel 638 entrò in

Gerusalemme, conquistò l’Egitto e la Nubia. Il terzo califfo, ‘Othman, fece curare la prima edizione integrale

del Corano, con lo scopo di preservare il testo da manipolazioni, creando così il testo ufficiale. Sotto il suo

califfato l’islam conquistò l’isola di Cipro, si espanse fino al Caucaso e all’India. Dopo il suo assassinio, nel 656,

gli succedette ‘Alì, cugino e genero di Maometto che aveva sposato Fatima, la figlia prediletta dal Profeta.

Sotto il suo califfato, che durò fino al 661, all’interno della comunità musulmana si formarono varie coalizioni

in contrasto fra di loro.

Il titolo di califfato fu ripreso dai turchi ottomani (cosiddetti da Othman, il nome del primo sultano); infatti i

loro sultani, dopo la conquista dell’Egitto nel 1517, si erano attribuiti tale titolo. Conquistati i Balcani, nel XIV

secolo invasero l’Europa, ponendo sotto assedio Vienna per ben due volte, nel 1529 e nel 1683. Il califfato fu

definitivamente abolito nel 1924 da Atatürk, fondatore e primo presidente della Turchia.

Tra il XVII e il XX secolo, con l’espandersi del fenomeno del colonialismo, si ebbe il lento ma inevitabile

restringersi del potere islamico, dopo la cacciata degli arabi dall’Europa occidentale, dei turchi dall’Europa

orientale, dei moghul (imperatori musulmani dal 1526 al 1858) dall’India

Terminologia di riferimento

Prima di parlare delle differenze, è bene premettere che sono tutti musulmani: credono nel Corano come

definitiva rivelazione di Dio all’umanità e in Muhammad (Maometto) come suo ultimo Profeta, pregano

cinque volte al giorno, digiunano nel mese di Ramadan, fanno l’elemosina, vanno in pellegrinaggio alla Mecca

etc. Ma hanno una diversa concezione dell’autorità religiosa. Per gli sciiti questa autorità, alla morte di

Muhammad, si è trasmessa al cugino e genero ‘Alî e di lì alla sua famiglia. Per i sunniti invece l’autorità è

rimasta nel Corano e nell’esempio del Profeta e dei suoi primi compagni (la sunna), interpretati dalla

comunità e dai suoi esperti religiosi.

I termini "islamico" ed "islamista" non hanno lo stesso significato! L'islamico è colui che è legato alla cultura

del proprio Paese, alla religione, alle tradizione, alle arti, e vive in pace con la cultura dell'occidente

rispettando il suo vicino, il suo prossimo e professando solo tolleranza e amore. L'islamista invece si rifà

all'Islamismo, un'ideologia che richiede l'adesione completa dell'uomo alla legge sacra dell'Islam e rifiuta il

più possibile influenze esterne, con alcune eccezioni (quali l'accesso ai militari e tecnologia medica). È intrisa

di un profondo antagonismo verso i non musulmani e ha una particolare ostilità verso l'Occidente.

Esso equivale ad un tentativo di trasformare l'Islam, una religione di civiltà, in un'ideologia insita nella propria

mente. La parola "islamismo" è appropriata, per questo termina in "-ismo", come il fascismo e il nazionalismo

(naturalmente è diverso da questi ultimi due, anche se lo scopo è simile). L'islamismo è, in altre parole, ancora

un altro schema utopico radicale del ventunesimo secolo. Come il marxismo-leninismo e il fascismo, offre un

modo per controllare lo stato, la società e "rifare" l'essere umano. Si tratta di una versione dal sapore islamico

del totalitarismo.

La Religione e la Politica1

Il rapporto tra islam e altre culture non può essere compreso senza fare riferimento alla politica. L'islam è

una realtà apparentemente omogenea, dato che la caratteristica essenziale di questa religione è di orientare

non solo la vita spirituale dell'uomo, ma anche quella culturale, economica e politica. Essa rifiuta fermamente

la distinzione tra condotta spirituale e condotta temporale e pretende di informare con un'unica legge, quella

1 Elaborato da http://www.corsodireligione.it/religioni/islam/islam_politica.htm

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coranica, la globalità della vita di ogni credente. L'islam, insomma, nella sua forma più ortodossa, deve essere

din wa dawla, religione e stato.

Nei paesi islamici due sono gli scopi di chi ha responsabilità di governo:

- in primo luogo quello di proteggere la religione musulmana, assicurarsi cioè che sia osservata, con

tutti i mezzi disponibili;

- in secondo luogo quello di estendere l'islam a tutto il mondo.

Questa è la teoria classica dei giuristi musulmani, non è una novità; l'islam è "religione e società". Sotto

questo aspetto si comprende come sia fatto ogni sforzo, economico, culturale, politico, per estendere l'islam.

Caratteristica del mondo islamico è il prevalere della comunità sull'individuo, il che significa che la nozione di

libertà di coscienza o di diritti dell'uomo (due concetti che da due secoli contraddistinguono, nel bene e nel

male, il mondo occidentale) solo in minima parte sono stati accolti dalla cultura musulmana.

Musulmani liberali e musulmani fondamentalisti

Nei paesi musulmani c'è un'immediata identificazione fra religione e politica, che legittima lo stato di

inferiorità giuridica di chi non è di religione islamica. Il fondamento giuridico delle attuali discriminazioni fu

elaborato tra il I ed il IV secolo dell'era islamica (corrispondenti al periodo che va dal VII al X secolo dell'era

cristiana). In questo periodo fu elaborata tutta la giurisprudenza e tale dottrina è giunta fino ai nostri giorni.

L'islam nasce come progetto socio-politico ed anche militare: ciò è evidente sia nel Corano che nella sunna,

nella tradizione che include la vita e i detti di Maometto. Per un musulmano religione e politica sono

indissolubili. Coloro che invece propendono per una separazione dei due piani sono i cosiddetti musulmani

liberali, ma essi sono visti dalla maggioranza come musulmani solo di nome, il loro islam suscita dubbi, anche

perché molti non sono praticanti.

I liberali sostengono che nel Corano e nella Vita di Maometto vi sono state due tappe , la prima è quella del

periodo della Mecca (gli anni 610-622), la seconda è quella del periodo di Medina (gli anni che arrivano fino

al 632, data della morte di Maometto). Se si analizzano le fonti, secondo tale interpretazione, nel periodo

della Mecca si nota che il discorso è più spirituale che politico. Il discorso di Maometto appare fondato

sull'annuncio dell'unicità di Dio, su quello del giudizio finale che attende tutti dopo la morte (giudizio in base

al quale ciascuno sarà ricompensato con il cielo o punito con l'inferno) ed infine sul richiamo alla giustizia

sociale, alla solidarietà verso i poveri.

Questo sarebbe l'islam originario, il più autentico secondo i liberali, l'idea primaria così come appare rivelata

a Maometto. A Medina invece si sarebbe sviluppato un islam politico, perché le circostanze storiche hanno

condotto Maometto a creare un sistema sociale, ad organizzare l'esercito, fare guerre, ecc. La dottrina

relativa a tale periodo, per i liberali, sarebbe dunque secondaria, non necessaria, valida per quelle circostanze

storiche particolari e non universalmente.

Una simile interpretazione è contestata dagli - islamisti fondamentalisti, che dicono che proprio il secondo è

il vero islam, mentre il primo, quello della Mecca, era condizionato dal fatto che Maometto non era del tutto

libero di esprimere il suo progetto, aveva dovuto fare delle concessioni. Quando a Medina lui ha avuto pieno

potere, quando non era più attaccato dai Meccani, allora si è visto il vero progetto, che è un progetto socio-

politico, militare e religioso. Tra queste due tendenze è la seconda, come abbiamo visto, ad aver prevalso.

Quando gli islamisti oggi rivendicano questo progetto socio-politico sono fedeli alla tradizione islamica più

comune.

Nella cultura dei paesi arabi musulmani ha infine prevalso, al posto della categoria del cittadino, la divisione

tradizionale della società in

- credenti (coloro che seguono l'islam),

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- protetti (cristiani ed ebrei),

- miscredenti (la cui sorte può essere la morte o la conversione all'islam).

La realizzazione e la diffusione di quest'idea della società rimane il sogno della tendenza tradizionalista.

Bisogna anche dire che all'inizio del XX secolo la cultura islamica fu pervasa da un vasto movimento liberale,

suscitato anche dall'influsso dell'Occidente, che a tale movimento appariva come un modello auspicabile di

società. Vi sono stati grandi giuristi che nell'Egitto degli anni Trenta del nostro secolo hanno prodotto una

positiva integrazione tra codice napoleonico e legislazione tradizionale islamica. Tutto questo è stato

rimesso in discussione agli inizi degli anni Settanta con la guerra del 1973, la crisi del petrolio, ecc.

Il progetto politico della religione islamica

La shariah, il diritto musulmano divide i viventi secondo categorie religiose che permangono anche dopo la

morte. Innazitutto esiste la divisione tra le

- Terre d'islam (dar al-islam) e le

- Terre di Guerra (dar al-harb) o Terre di miscredenti (dar al-kufr).

Nelle Terre d'islam, la divisione è tra

- musulmani

- gente del libro (cristiani, ebrei, zorosatriani, sabatei induisti) (kafir) =miscredenti, ma con un libro-

rivelazione(ahl al-kitab)

- politeisti (kafir) (mushrik)

- apostati. (murtad)

Ciò deriva dal fatto che nel 622 Maometto così aveva organizzato la città di Medina.

Corano 49,10- i credenti musulmani sono fratelli-appartengono alla UMMA

Corano 3,110 che è la migliore comunità per gli uomini.

Ciò significa secondo l'Islam che i musulmani formano una comunità-popolo eletto. Come Ebrei e cristiani.

La guerra e l'Islam

Le terre della guerra (Dar al Harb), sono quelle ancora governate dagli infedeli. Le Terre d'Islam sono quelle

sottoposte al potere islamico, siano esse abitate da tutti musulmani o no. Le altre terre oggi sono terre di

miscredenza, ma un giorno saranno musulmane.

Quali rapporti tra i due emisferi?

Prima dell'Egira, Maometto predicava di non ricorrere mai alla guerra anche in caso di aggressione.

(Corano16,127-13,22) Dopo l'Egira, a Medina, nella Umma, i musulmani vennero autorizzati a combattere gli

aggressori. (Corano 2,190.216-8,61-22,39) Alla fine fu loro permesso di intraprendere la guerra. (Corano 9,3)

In caso di trattato-armistizio senza limiti di tempo essi possono mettere fine alla guerra. Se l'armistizio è

limitato, la guerra non può essere ripresa se non alla fine dell'armistizio. Secondo la sharia non si può fare

l'armistizio se si è superiori in forze. (Corano 47,35). Ma se si vuole non è proibito usare il dialogo e anche la

dolcezza. Nel 1058 Il capo di stato aveva il dovere di combattere coloro che invitati a sottomettersi all'Islam

si erano rifiutati.

Il valore della guerra domina il Corano, che però vieta lo spargimento del sangue di un altro musulmano. La

guerra (harb) è lecita soltanto per espandere l'Islam. E' dovere del buon musulmano partecipare alla guerra

santa (jihad) per ricondurre le terre della guerra sotto il governo dei musulmani.

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Il diffondersi del radicalismo islamico ha finito per far attribuire al termine jihad un unico e sinistro significato,

mentre nella cangiante realtà islamica il termine jihad può assumere tre significati diversi:

1) quello della guerra contro gli infedeli;

2) quello di scontro o polemica verso i musulmani tiepidi oppure traviati dalle mode occidentali;

3) quello di lotta o sforzo personale per adempiere al meglio i precetti coranici, nonostante le difficoltà

materiali e ambientali.

La guerra offensiva è legittima per i musulmani quando è intesa a estendere i diritti di Allah , la superiorità

della religione islamica sulle altre. I Musulmani sentono di avere la missione di sottomettere ad Allah tutti i

popoli, bon grè , mal grè.

Il governo dei musulmani fa capo al califfo, monarca assoluto rappresentante di Dio sulla terra, cui sono

sottoposti tutti i musulmani, indipendentemente dalla nazionalità. (Il califfato è stato abolito in Turchia da

Ataturk nel 1924, dopo la caduta dell'Impero Ottomano. Da allora L'Islam è privo di una guida e ogni deriva

è possibile). L'idea del proselitismo pacifico è estranea all'Islam, che infatti non ha missionari così come li

conosce il cristianesimo.

La conversione avviene con la spada, nel senso che le popolazioni sottomesse tendono a convertirsi

soprattutto per sfuggire all'inferiorità giuridica e materiale in cui vengono a trovarsi nello Stato islamico. Si

spiega così perché venga detta "santa" la guerra di conquista: essa è lo strumento del proselitismo islamico.

Questa distinzione in base alla fede tra i cittadini del medesimo stato islamico perdurò sino al XIX secolo, poi

cedette il passo a una concezione più vicina a quella occidentale.

Nel 1839 l'impero ottomano riconobbe l'uguaglianza dei propri cittadini in tutti i campi, meno quello militare.

Le concezioni parlamentari, più tardi, minarono la supremazia esclusiva della legge coranica. Nelle loro grandi

linee, tuttavia, le strutture dello stato islamico erano rimaste in vita per circa un millennio e oggi rivivono in

un numero crescente di stati.

L'uguaglianza laica tra i cittadini viene sempre più spesso sostituita da una legislazione che traccia una linea

di separazione tra credenti e non credenti: negli Stati dove è stato ripristinato il diritto penale islamico, ad

esempio, il non musulmano non può testimoniare in un processo contro un musulmano.

L'emigrazione dalle "terre di Islam".

Ogni musulmano che vive in terre di miscredenza è chiamato dal Corano a tornare nella terra d'Islam, appena

possibile. (Corano 4,97) a meno di poter vivere in quelle terre da vero musulmano, o di essere gravemente

malato, paralizzato, febbricitante. Ma dicono i giuristi, è sempre meglio tornare per aumentare il numero di

coloro che combattono lo sforzo contro la miscredenza. In ogni caso rimane il dovere di rientrare fino al

giorno della resurrezione.

Se un musulmano che si trova fuori dalle terre d'Islam domanda un aiuto in nome della religione, la comunità

musulamana deve soccorrerlo, fatto salvo quando si tratta di combattere un popolo con il quale la comunità

musulmana ha concluso una alleanza. (Corano 8,72).

Eguaglianza fra gli uomini nell'Islam.

Come si può notare da questi articoli di legge non esiste alcuna discriminazione razziale nell'Islam.

"...Dialogate con belle maniere con la Gente della Scrittura, eccetto quelli di loro che sono ingiusti. Dite (loro):

-Crediamo in quello che è stato fatto scendere su di noi ed in quello che è stato fatto scendere su di voi, il

nostro Dio e il vostro sono lo stesso Dio ed è a Lui che ci sottomettiamo-....." (Corano al-'Ankabut 29,46)

Il seguente versetto si riferisce a coloro che accusavano l'Inviato di Allah di discriminazione perché' il Corano

sarebbe stato rivelato solo ad una parte di famiglie di La Mecca, escludendo alcune tribù dell’Arabia (Tabari

25,65)

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"...Sono forse loro i dispensatori della misericordia del tuo Signore? Siamo Noi che distribuiamo tra loro la

sussistenza in questa vita, che innalziamo alcuni di loro sugli altri, in modo che gli uni prendano gli altri a

loro servizio. La misericordia del tuo Signore è però (di gran lunga) migliore di quello che accumulano..."

(Corano az-Zukhruf 43,32)

"...E fan parte dei Suoi Segni, la creazione dei cieli e della terra, la varieta' dei vostri idiomi e dei vostri

colori. In ciò vi sono segni per coloro che sanno..."(Corano ar-Rum 30,22)

"...Oh gente, in verità il vostro Signore è Uno ed il vostro antenato è uno: voi discendente tutti da Adamo e

Adamo era (stato creato) di terra. Presso Allah il migliore di voi è colui che Lo teme di più. (Hadith Muhammad

632 d.C.)

"...Nessun arabo è superiore ad un non-arabo, se non nella devozione..." (Hadith Muhammad 632 d.C.)

L'unica "discriminazione" che può esser fatta nell'Islam è quella fra credenti e non-credenti anche se tale

"discriminazione" non giustifica un comportamento scorretto nei confronti di chiunque (anche non-credente)

conviva pacificamente con la comunità.

L'accordo costituzionale fra cristiani e comunità islamica (632 d.C)

Nel 632 d.C., il Profeta Muhammad ricevette una delegazione di rappresentanza dei cristiani di Najran, guidati

da un Vescovo, i quali, finora, erano stati legati all'Impero Bizantino ed ora volevano stipulare un accordo con

la comunità islamica di Medina.

Ebbero l'autorizzazione a celebrare messa nella Moschea, ma durante la loro permanenza a Medina vennero

fuori alcune divergenze sulla figura di Gesù. Gli ospiti cristiani appurarono che la posizione dell'Islam nei

confronti del Messiah era quella comune all'archimandrita di Costantinopoli Eutiche (378-454 d.C. circa), già

condannato dal concilio di Calcedonia (451 d.C.). Fu così che Allah rivelò il seguente versetto:

"...In verità, per Allah, Gesù è simile ad Adamo che Egli creò dalla polvere, poi disse: -Sii, ed egli fu- (Questa

è) la verità (che proviene) dal tuo Signore. Non essere tra i dubbiosi. A chi polemizza con te, ora che hai

ricevuto la scienza, di' solo: -Venite, chiamiamo i nostri figli ed i vostri, le nostre donne e le vostre, noi stessi

e voi stessi ed invochiamo la maledizione di Allah sui bugiardi..." (Corano al-Hashr 59,61)

"...A chi polemizza con te, ora che hai ricevuto la scienza, di' solo: -Venite, chiamiamo i nostri figli ed i vostri,

le nostre donne e le vostre, noi stessi e voi stessi ed invochiamo la maledizione di Allah sui bugiardi..." (Corano

al-'Imran 3,61)

La scienza della quale parla il Corano, riguarda la verità sulla storia della nascita di Maria, madre di Gesù.

Dopo aver citato il versetto, Muhammad invitò tutti a riunirsi in un'ordalia (mubahala) come prescritto da

Allah, ed il giorno seguente dissero che non intendevano spingere oltre la loro divergenza e stipularono,

quindi, un accordo, secondo cui, in cambio del pagamento di una tassa pro-capite (denominata "jazya", "tassa

di protezione") avrebbero goduto della protezione di loro stessi, dei loro beni e delle loro chiese da parte

dello stato islamico e garantisce il pieno rispetto e libertà di professare, internamente allo stato, la loro

religione.

Per i cristiani che non vogliono convertirsi all'Islam, non vi e' obbligo:

"...Non c’è costrizione nella religione. La retta via ben si distingue dall'errore. Chi dunque rifiuta l'idolo e crede

in Allah si aggrappa all'impugnatura più salda senza rischio di cedimenti. Allah è Audiente e Sapiente…"

(Corano al-Baqara 2,256)

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Lo statuto di ebrei e cristiani e induisti nelle terre d'islam.

Nello stato islamico i credenti convivono con gli infedeli, tollerati se seguono una delle religioni che

Maometto considera rivelate, le cosiddette religioni del libro perché fondate, come l'Islam, su una Sacra

Scrittura: ebrei, cristiani, sabatei (=seguaci del Battista) zoroastriani e induisti.

(Corano 26,76) Abramo è il modello del credente (uswah); egli ha rotto con i parenti pur di seguire la via di

Allah.Così i legami religiosi sono superiori a quelli di sangue.(Lo stesso dirà Gesù a proposito dell'appartenere

a Lui e seguirlo).

Cio' che dà diritti alla persona è la sua appartenenza alla Umma di Allah. Cristiani ed ebrei non possono

avere gli stessi diritti dei musulmani. Cristiani ed ebrei possono vivere sulle terre d'Islam ma non come pari,

come dominati tra dominanti.

Cristiani ed ebrei (protetti=dhimmis) devono pagare una tassa per la protezione.

Il Patto di Omar, IX sec. a.C.

Il Patto di Omar è l’insieme di limitazioni e compromessi introdotti da un trattato fra i musulmani

conquistatori e i non-musulmani conquistati. Non abbiamo un trattato specifico per quanto riguarda gli ebrei,

ma dobbiamo ritenere che tutte le popolazioni conquistate – ebrei inclusi – lo abbiano sottoscritto.

Così, le leggi citate qui sotto, e rivolte contro le chiese cristiane, valgono anche per le sinagoghe.

Il Patto ebbe origine, probabilmente nel 637, dall’iniziativa di Omar I, dopo la conquista della Siria e della

Palestina. Attraverso l’aggiunta di nuove regole o di consuetudini precedenti, il testo si ampliò, ma

nonostante questi sviluppi l’intero Patto fu sempre attribuito a Omar.

Ne esistono molte versioni differenti e gli studiosi sono convinti che il testo che leggiamo oggi non possa

essere quello uscito dalla penna di Omar I; si è invece giunti alla conclusione che la sua forma attuale risalga

all’incirca all’inizio del IX secolo.

Il Patto di Omar è servito a governare fino ai nostri giorni i rapporti tra i musulmani e “le religioni del Libro”,

come cristiani e ebrei. Oltre alle condizioni del Patto elencate qui di seguito, gli ebrei, come i cristiani,

pagarono una tassa supplementare, in cambio di protezione e dell’esenzione dal servizio militare. A ebrei e

cristiani fu inoltre proibito di ricoprire cariche di governo.

Il Patto, come buona parte della legislazione medievale, fu stipulato più per essere infranto che per essere

effettivamente rispettato. Ciononostante, col passare del tempo il Patto divenne via via più rigoroso e, nel

XX secolo, ha ancora valore in paesi come lo Yemen.

Il Patto è scritto in arabo.

Nel nome di Dio, il Misericordioso, il Compassionevole. Questo è uno scritto rivolto a Omar dai Cristiani di

molte città. Quando voi [musulmani] vi siete mossi contro di noi [cristiani], vi abbiamo chiesto protezione per

noi stessi, i nostri successori e per coloro che credono in una religione simile alla nostra.

Abbiamo stipulato il seguente patto: non costruiremo nelle vostre città o fuori da esse nuovi monasteri,

chiese, o eremi; non ripareremo edifici religiosi caduti in rovina né restaureremo quelli che si trovano nei

quartieri musulmani delle città; non rifiuteremo l’ingresso ai musulmani nelle nostre chiese, giorno e notte;

apriremo le porte ai viaggiatori e ai pellegrini; ospiteremo ogni viaggiatore musulmano nelle nostre case, per

offrirgli vitto e alloggio per tre notti; non nasconderemo spie nelle nostre chiese e nelle nostre case, né

daremo asilo a nessun nemico dei musulmani.

[Almeno sei di queste regole erano tratte da precedenti leggi cristiane contro gli infedeli].

Noi non insegneremo il Corano ai nostri figli

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[alcuni arabi avevano paura che gli infedeli avrebbero messo in ridicolo il Corano; altri non volevano neppure

che gli infedeli ne imparassero la lingua];

non faremo pubbliche dimostrazioni della religione cristiana, né inviteremo nessuno ad abbracciarla; non

impediremo, invece, ai nostri parenti di abbracciare l’Islam, se lo desiderano. Onoreremo i musulmani e gli

cederemo il posto nelle nostre assemblee quando loro vorranno intervenirvi; non li imiteremo

nell’abbigliamento, nei copricapi, nei turbanti, nelle calzature o nella pettinatura; non useremo i loro modi

di dire, né adotteremo i loro soprannomi

[gli infedeli non dovevano far uso di saluti o di frasi tipiche utilizzate solo dai musulmani];

non saliremo in sella, né porteremo spade, né indosseremo armi, né incideremo iscrizioni arabe sui nostri

anelli; non venderemo vino

[proibito ai musulmani];

ci raderemo il viso; continueremo a portare lo stesso tipo di vestiti, ovunque saremo; porteremo in vita delle

cinture

[gli infedeli indossavano cinture di pelle o di corda; i musulmani tessuti e sete].

Non esporremo la croce sopra le nostre chiese, né metteremo in mostra le nostre croci o i nostri libri sacri

nelle strade dei musulmani o nei loro mercati; batteremo le mani nelle nostre chiese in modo leggero

[sonagli di legno o campane convocavano la gente nelle chiese o nelle sinagoghe];

non reciteremo le nostre preghiere ad alta voce quando un musulmano è presente; non porteremo rami di

palma [la domenica delle Palme]

né le nostre immagini votive in processione lungo le strade; nel corso dei funerali non canteremo ad alta

voce, né porteremo candele per le strade dei musulmani o nei loro mercati; non prenderemo nessuno

schiavo che sia già stato di proprietà di un musulmano, né faremo le spie nelle loro case; non picchieremo

nessun musulmano.

Promettiamo di osservare tutte queste regole a vantaggio nostro e di tutti coloro che credono in una religione

simile alla nostra; in cambio riceveremo da voi protezione. Se violeremo qualche condizione di questo

accordo, allora perderemo la vostra protezione e avrete la libertà di trattarci come nemici e ribelli.

I musulmani potranno sposare le donne cristiane ed ebree ma non viceversa. (Corano 2,221-5,5-60,10). I

musulmani dovranno nutrire una diffidenza costante verso di loro (Corano 5,51-3,28-9,8).

In realtà il Corano è ondivago:

60,8 Allah non vi proibisce di essere buoni e giusti nei confronti di coloro che non vi hanno combattuto per

la vostra religione e che non vi hanno scacciato dalle vostre case, poiché Allah ama coloro che si comportano

con equità. 9 Allah vi proibisce soltanto di essere alleati di coloro che vi hanno combattuto per la vostra

religione, che vi hanno scacciato dalle vostre case, o che hanno contribuito alla vostra espulsione. Coloro che

li prendono per alleati, sono essi gli ingiusti.

Ma i giuristi musulmani hanno applicato la teoria della abrogazione: un versetto su un argomento può essere

abrogato da un versetto successivo sullo stesso argomento. Così i versetti di Medina abrogano quelli di La

Mecca.

I fedeli pagano annualmente la zakat, cioè l'imposta sul bestiame, raccolti, beni commerciali ecc. E' una

imposta coranica perciò legale destinata ai poveri, ai partecipanti alla guerra santa e alla liberazione degli

schiavi e dei debitori.

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Il peso tributario gravava però soprattutto sugli infedeli cristiani ed ebrei, che pagavano due imposte: una

capitazione per ogni maschio e un tributo fondiario, che variava in funzione del modo di conquista del

territorio in cui si trovava il fondo e che era più elevato se esso era stato conquistato con la guerra, più

moderato se l'acquisizione era stata pacifica.

I proventi della guerra santa, invece, rappresentano un apporto moderato alle casse statali, poiché vengono

distribuiti quasi per intero tra i combattenti. Il bottino, d'altronde, è la forma più pratica per retribuire un

esercito senza costruire un complesso apparato amministrativo. Pare che la magnanimità religiosa degli arabi

e il rigore del loro fisco fossero le cause non ultime di conversioni in massa, che consentivano ai neofiti di

assoggettarsi al meno esoso tributo della zakat.

In seguito intervennero regole per evitare questo aumento di fedeli a scapito del gettito fiscale: si stabilì che

il mutamento di religione non comportasse un mutamento di regime tributario. Da allora il tributo fondiario

si applica ai fondi senza tenere conto della religione del loro proprietario.

Lo statuto dei non credenti e dei politeisti.

Non possono vivere sulle terre di Islam. O se ne vanno o subiscono la guerra fino alla morte.

9,29 Combattete coloro che non credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il

Suo Messaggero hanno vietato.

( Le modalità di predicazione prescritte da Francesco ai suoi frati. Esse tengono sicuramente conto

dell'esperienza del viaggio "per oltremare" di Francesco in Siria ed Egitto ; del suo soggiorno presso il sultano

al-Kamil. Da "Fratello lupo" di Franceso d'Assisi.

Dice il Signore : "Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi: siate dunque prudenti come serpi e saggi

come colombe". Perciò qualsiasi frate vorrà andare tra i saraceni a altri infedeli vada, con il permesso del suo

ministro e servo […] I frati poi che vanno fra gi infedeli possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro

in due modi.

Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio, e

confessino d'essere cristiani. L'altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola

di Dio perché essi credano in Dio onnipotente Padre, Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose, e nel

Figlio Redentore e Salvatore, e siano battezzati, e si facciano cristiani, perché chiunque non sia rinato per

acqua e Spirito Santo non potrà entrare .

Regula non bullata, XVI, in Fonti francescane, Assisi 1986, pp.21-42. )

Lo statuto degli "apostati", coloro che lasciano l'Islam per altre religioni.

L'apostasia (kufr=rinnegamento -riddah=andare indietro) viene configurata come:

- abbandono della religione

- professione di dogmi eterodossi

- insulti a Maometto o ai profeti riconosciuti dai musulmani

- attitudine di opposizione al potere politico-...

L'apostasia può essere individuale o collettiva. Non sono previste dal Corano sanzioni precise; in 9,74 si parla

di punizioni dolorose in questo mondo senza precisare. Nei detti di Maometto si parla invece di ammazzarli.

Esplicitamente: uccideteli!

Sono tre i casi in cui si può attentare alla vita di un musulmano:

- la miscredenza dopo la fede

- l'adulterio dopo il matrimonio

- l'omicidio senza una ragionevole causa

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La Shariah prevede la messa a morte dell'apostata dopo un periodo di riflessione.

Questo tipo di lettura esiste e non si può negare che certe autorità religiose si siano attenute e/o si attengano

ancora al suo senso primario e letterale. Altri sapienti nel corso dei secoli hanno proposto un'interpretazione

diversa di questo hadith tramite il lavoro di contestualizzazione necessario alla sua comprensione.

Di che cosa si tratta dunque? Nel loro commento al testo, risalgono alla situazione di conflitto nella quale si

trovava la comunità musulmana a Medina. Alcuni individui si convertivano all'islam, si mescolavano alla

comunità dei credenti, raccoglievano informazioni e alla fine rinnegavano la loro religione, trasmettendo le

informazioni che avevano raccolto ai nemici dei musulmani. Si trattava, in effetti, di ipocriti che, per mezzo

della religione, praticavano il tradimento di guerra.

Il loro comportamento metteva in pericolo la sopravvivenza della comunità ed è in questo contesto che la

condanna a morte aveva senso per i traditori di guerra. Bisogna ricordare, inoltre, che intorno al Profeta si

muovevano alcuni ipocriti notori che non cessavano di disturbare l'equilibrio della nascente comunità

musulmana. Alcuni suoi compagni volevano affrontarli ed ucciderli per porre fine a questi intrighi ed è ciò

che proposero diverse volte a proposito di uno di nome Ubay.

Il Profeta lo proibì perché il tradimento non era stato manifestato dal cambiamento di religione e dall'alleanza

esplicita col nemico. In un'altra situazione il Profeta non era intervenuto contro coloro che lasciavano Medina

per unirsi agli abitanti di La Mecca.

Secondo il patto di al-Hudaybiyya, coloro che lasciavano Medina per La Mecca potevano restarvi. Da ciò si

capisce che colui o colei che lasciava Medina faceva causa comune con i Meccani e rinnegava la sua fede.

Era in tempo di pace e mai il Profeta ha cercato di colpirli, né quando sono fuggiti, né dopo, quando è tornato

vittorioso alla Mecca. Non è possibile render conto qui di tutti i dibattiti che ci sono stati tra i sapienti

sull'argomento ma, alla luce di queste due o tre situazioni e d'altre ancora, alcuni sapienti hanno messo in

evidenza il fatto che colui o colei che lascia la sua religione per convinzione personale senza cercare in seguito

di tradire l'islam ed i musulmani, in un modo o nell'altro, questo individuo non rientra nella categoria prevista

dal hadith suddetto.

Si appoggiano inoltre al versetto coranico che, su questo punto in particolare, rinvia il giudizio solo a Dio.

L'atteggiamento richiesto è quindi solo di un minimo di rispetto della religione che si lascia e della sensibilità

di quelli che continuano a valersene.

La divisione tra terre d'islam e di miscredenza oggi.

Oggi il criterio dei confini nazionali prevale su quello religioso. Dopo l'abolizione del califfato nel 1924, la

colonizzazione e la decolonizzazione, le nazioni islamiche si sono trasformate in stati.Questo statuto di stati-

nazione ha rotto la concezione coranica del mondo.

Questi stati sono spesso in lotta tra loro, aderiscono all'Onu e, secondo il pensiero islamico, sottostanno ad

un potere, quello del Consiglio dell’ONU, parziale e tirannico. Pur essendo più di un miliardo i musulmani non

hanno diritto di veto sulle risoluzioni.

Da un punto di vista islamico, gli stati che aderiscono all'Onu fanno un trattato (adesione alla Carta dell'ONU-

Dichiarazione dei diritti dell'Uomo) con gli altri stati ed il Corano esige che i trattati vadano rispettati per cui

gli stati aderenti all’ONU cessano di essere Terre di guerra e vanno considerati come stati di armistizio-

trattato.

Secondo Al Zuhayli la divisione Coranica dell'emisfero era legata ad una situazione concreta di guerra:

cessando la guerra ed intervenendo un armistizio, la divisione cessa di essere giustificata. Ciò che conta oggi

di fatto come criterio di statuto per le Terre non è più l'adesione all'Islam ma la sicurezza (Consiglio di

sicurezza dell'ONU).

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Secondo alcuni teologi musulmani gli stati islamici che aderiscono all'ONU (e riconoscono i diritti umani) non

possono più essere considerati terre d'Islam giacché non è più possibile applicare integralmente il diritto

coranico, ma solo quello che riguarda lo statuto individuale. (Vedi Turchia).

Gli islamisti (=integralisti) rivendicano il ritorno all'antica divisione dell'Emisfero in Terre d'Islam e Terre di

Guerra.La situazione dunque è tutt'altro che stabile. Il Consiglio Islamico d'Europa dice che lo stato saggio

adotta il modello costituzionale di Jarishah (1984) secondo il quale

- La comunità islamica costituisce una sola comunità

- La migliore entità tra quelle che la compongono è quella più osservante

- tutte le barriere (frontiere, nazionalità spirito di clan) sono cadute.

Lo stato è una parte del mondo islamico ed i musulmani che si trovano in esso sono una parte della

Comunità islamica. L'unità della Comunità islamica è un compito che lo stato deve perseguire con tutti i

mezzi possibili.

L'emigrazione obbligatoria

Nessun musulmano può essere dispensato dall'emigrare quando il suo paese venisse occupato da

miscredenti a meno di malattia, paralisi o febbre grave o di intenzione di emigrare appena possibile. Esiste

una credenza radicale: L’Islam è superiore e nulla deve elevarsi al di sopra dell'Islam. La Dichiarazione

Universale dei diritti dell'Uomo nell'Islam (1981) dice all'art.23: La Dimora dell'Islam è Una. E' la Patria di tutti

i musulmani, nessuno è autorizzato a mettere ostacoli al suo dispiegarsi (barriere geografiche o frontiere

politiche) Tutti i paesi musulmani hanno il dovere di accogliere tutti i musulmani. (cf Corano 59,9)

Secondo alcuni tutti i paesi islamici dovrebbero avere frontiere aperte per qualsiasi musulmano soprattutto

per coloro che sono sotto migrazione obbligatoria. L'emigrazione obbligatoria è interdetta quando si tratta

di combattere lo jihad contro un invasore miscredente potendo contare su forze islamiche esterne. E' il caso

di una fatwa emessa dal Gran Muftì di Giordania verso i Palestinesi.

Tendenzialmente i musulmani sono restii ad adattarsi ad un potere e perciò ad un diritto che non è islamico.

E' probabile che spinte autonomiste come quelle emerse nei Balcani si manifestino in futuro nelle società

europee. Al momento la via intrapresa dai musulmani d'europa è quella di trattati con gli stati per ottenere

statuti speciali per la loro vita individuale e comunitaria negli aspetti religiosi di culto.

Nel 1930 negli Usa è nata una Organizzazione della Nazione Islamica con prospettive di uno Stato americano

islamico indipendente. Nel 1992 i musulmani di Inghilterra hanno formato un loro privato Parlamento. Il

fenomeno contemporaneo islamico è quello di una migrazione a pioggia nelle Terre di Trattato: e qui

attenzione, perché laddove le acque non vengono assorbite, esse formano laghi oppure danno luogo a

esondazioni. Chi vuole vivere come a Medina sceglie le terre d'Islam e chi si accontenta di vivere come a La

Mecca (minoranza senza potere ma musulmana pienamente nei rapporti con Allah) sceglie di restare nei

paesi di miscredenza o di emigrarvi.

Gli integralismi- fondamentalismi- integrismi

Gli islamici integralisti fondamentalisti tradizionalisti e integristi considerano gli stessi stati islamici come

Terre di miscredenza e si ritrovano nell’obbligo coranico di emigrare in paesi migliori. Sull'esempio di

Maometto essi ritengono di doversi ritirare sulle montagne per preparare la conquista all'Islam integrale dei

loro paesi .Così come Maometto fece con i Meccani essi si sentono chiamati dal Corano a fare con i loro

connazionali infedeli. Bin Laden è uno di questi islamisti.

Nella loro rivendicazione di un diritto islamico coranico e dunque divino in tutto il mondo tendono ad esaltare

lo Jihad come una guerra a tutto e a tutti. La radicalizzazione di una tale prospettiva li chiude ad ogni dialogo

con il mondo. Ecco che le suggestioni terroristiche possono prendere facilmente piede.

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Vita del musulmano in terra di miscredenza secondo un manuale islamico libanese per l'emigrante in

terre di Guerra

l musulmano deve sentire ogni giorno tra lui e la società impura in cui vive una barriera .(Corano 9,28- I

politeisti non sono che impurità)

Questa barriera dovrebbe impedire al musulmano di integrarsi, fondersi con questa società. Deve avere il

sentimento di trovarsi in una società ingiusta, che non è la sua, che visi trova temporaneamente per

necessità fintantoché non sarà in grado di fuggirla. Il musulmano viene aiutato dalle fatua a mantenere la

sua integrità e purezza nei paesi di miscredenza.

1. E' vietato ad un musulmano di andare in paesi di miscredenza se questo implica attentare alla propria

religione come tagliarsi la barba, stringere la mano ad una donna straniera, abbandonare la preghiera o il

digiuno, mangiare cibi impuri o bere alcolici.

2. Se attentare alla religione riguardasse solo donne e bambini non deve portarli con sè

3. Se si è costretti a quel viaggio è permesso che si prolunghi solo per le necessità del caso

4. Non sedersi mai ad una tavola dove si consuma alcool

5. Non voltarsi mai verso la Mecca per i bisogni corporali facendo attenzione all'orientamento di WC

occidentali

6. Non toccare donne pagane. E' proibito sposarle come sposare musulmane apostate

7. Il matrimonio con una ebrea o cristiana può essere solo temporaneo e se la donna è vergine bisogna

chiedere il permesso al padre

8. In caso di malattia la donna si faccia curare solo da donne e l'uomo solo da uomini nel caso che la cura

implichi toccare le parti intime.

9. E' vietato seppellire un musulmano in cimiteri miscredenti: vale la migrazione obbligatoria in paesi

islamici. Solo in caso di necessità tale norma è abrogata.

10. E' possibile lavorare nei supermercati solo se non si deve vendere carne di maiale o alcool.

11. E' vietato acquistare o vendere biglietti della lotteria e strumenti musicali.

12. E' vietato per gli studenti di medicina esercitarsi su un cadavere musulmano a meno che la vita di un

musulmano dipenda da ciò e non si trovano cadaveri miscredenti.

13. E' vietato ad uno studente musulmano abitare con una famiglia non musulmana

14. Alcuni considerano peccato che merita l'inferno l'acquisizione della cittadinanza di un paese non

islamico.

15. A meno di casi di necessità un musulmano che muore in terra di miscredenza non puo' essere sepolto

se non in un cimitero musulmano.

I Curdi

Chi sono i Curdi?

In generale sono un gruppo etnico indoeuropeo che abita nella parte settentrionale e nord-orientale della

Mesopotamia. Tale territorio è compreso in parti degli attuali stati di Iran, Iraq, Siria, Turchia e in misura

minore Armenia. L'area è a volte indicata col termine Kurdistan. Piccole comunità curde sono presenti anche

in Libano, Giordania, Georgia, Azerbaigian, Afghanistan e Pakistan. Inoltre, un certo flusso migratorio, si è

diretto verso gli Stati Uniti d'America e il Nord Europa (Scandinavia e Germania).

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Si stima che i Curdi siano fra 35 e 40 milioni e che quindi costituiscano uno dei più grandi gruppi etnici privi

di unità nazionale. Per oltre un secolo molti Curdi hanno cercato di ottenere la creazione di un "Kurdistan"

indipendente o perlomeno autonomo, con mezzi sia politici sia militari. Tuttavia i governi degli stati che

ospitano un numero significativo di Curdi si sono sempre opposti attivamente all'idea di uno Stato curdo.

Le Origini

Nell’antichità essi erano i Medi (citati anche nella Bibbia), un’etnia di stirpe indoeuropea erano zoroastriani

islamizzati a forza nel VII secolo d.C. Storicamente schiacciati tra gli imperi turco, arabo e russo i Curdi sono

sopravvissuti alleandosi alternativamente con uno dei vicini a discapito di un altro (o turchi o arabi o russi).

Vivevano in tribù erano abili combattenti e obbedivano a diversi principi feudali spesso in conflitto tra loro.

Nel 16° secolo la maggior parte del Kurdistan fu inglobata nell'Impero ottomano, mentre una parte veniva

conquistata dalla Persia. Nonostante fosse stato assoggettato, il popolo curdo riuscì a mantenere una certa

autonomia conservando le sue divisioni interne in tribù patriarcali e un sistema economico-sociale di tipo

feudale. Nel corso dell'Ottocento iniziarono a manifestarsi le aspirazioni indipendentiste dei Curdi, ma le loro

rivolte furono tutte represse dagli Ottomani è proprio in quel periodo nacque il nazionalismo curdo (stiamo

parlando dei primi del ‘900 prima dell’inizio della grande guerra).

Novecento (XX secolo)

- Fine grande guerra: 10 agosto 1920 (trattato di Sevres): potenze vincitrici prima guerra mondiale firmano

un trattato con l’Impero ottomano che suggerisce la creazione di uno stato curdo.

- 1923 Losanna: nuovo accordo sancisce la spartizione del Kurdistan in 4 stati (Turchia, Iran, Siria e Iraq). I

governi in cui è spartito il popolo curdo cercano di cancellare l’identità (proibizione uso della lingua curda e

proibizione dell’uso di costumi e usanze curde). Movimenti armati di Curdi nascono in ognuno dei 4 paesi, e

agiscono limitatamente nelle zone dei paesi di appartenenza non danno vita ad azioni coordinate tra i vari

movimenti. I Curdi divengono minoranze instabili per tutti i governi che li devono amministrare.

In questo clima di oppressione i Curdi dei vari paesi danno vita a guerriglie contro i rispettivi governi dei paesi

di appartenenza, degno di nota è il movimento armato curdo in Iraq guidato dal leggendario Moustafà

Barzani, leader del partito democratico curdo, considerato da molti padre del Kurdistan iracheno.

Iraq 1958-1966 guerra civile irachena: guerriglieri (pashmargà che in curdo significa “coloro che si sono votati

alla morte”) guidati dal gen. Barzani combattono incessantemente contro le forze di sicurezza irachene al

fine di conquistare l’autonomia del kurdistan iracheno fino all’armistizio del 1966 in cui il governo iracheno

accetta di trattare con i Curdi per ascoltare le loro richieste. Le richieste effettuate al governo iracheno

vertono su 4 punti:

1) creazione di università e giornali in lingua curda

2) autonomia amministrativa del kurdistan

3) adeguata rappresentanza curda al parlamento e al governo

4) mantenimento di una forza armata curda…..richieste che verranno respinte dal governo iracheno.

-Iraq 1970 governo e Curdi giungono ad un accordo che garantisce l’utilizzo della lingua curda e l’autonomia

delle province del nord accordo mai applicato totalmente i Curdi si armano di nuovo.

-Maggio 1972 lo scià di persia chiede agli USA di armare i Curdi in Iraq, in cambio di appoggio alla CIA, per

indebolire il nemico iracheno che minaccia i suoi confini sul golfo persico. Gli USA armano i Curdi di Barzani

che insorgono contro il governo iracheno reo di non applicare gli accordi del 1970

-1974 Iran e Iraq giungono ad un accordo sui confini e lo scià di persia leva l’appoggio ai Curdi di conseguenza

gli USA smettono di armare l’esercito di Barzani che subisce ingenti sconfitte. Molti Curdi sono costretti a

lasciare le loro terre o ad essere deportati in campi di accoglienza in Iraq del sud, intellettuali e amministratori

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Curdi vengono perseguitati dalla polizia irachena e iraniana si stima che oltre 300.000 Curdi siano emigrati in

quel periodo in altri paesi del medio oriente e anche in Europa è la prima grande diaspora del popolo curdo.

-1980-1988 Guerra Iraq-Iran per i confini sul golfo persico, l’Iran chiede aiuto di nuovo ai Curdi per respingere

l’offensiva dell’Iraq di Saddam Hussein. Al termine della guerra l’Iraq ammette la sconfitta e il governo di

Saddam incolpa i Curdi e da inizio ad una serie di operazioni di pulizia etnica, tra le tante spicca Attacco

chimico di Halabja in seguito al quale moriranno circa 100.000 Curdi.

-1990 Guerra del golfo: Iraq invade il Kuwait, una coalizione di 36 paesi guidati dagli USA respinge l’invasione

irachena e incita il popolo iracheno a ribellarsi contro il dittatore Saddam, i Curdi prendono alla lettera le

parole degli USA e avviano una delle più grandi offensive mai condotte dai peshmerga contro il governo

iracheno, gli USA però non si spingono oltre e non appoggiano militarmente i Curdi i quali vengono attaccati

nuovamente dal regime di Saddam. Più di 2 milioni di profughi Curdi si riversano sui confini tra Turchia e Iran

è la seconda diaspora del popolo curdo.

15 ottobre 2005(caduta Saddam Hussein nuova costituzione dell’Iraq). IL Kurdistan iracheno diventa

formalmente regione autonoma.

Ci sono kurdi anche in altri stati del medio oriente…ma perché parlare proprio dell’Iraq? Perché L’Iraq è

l’unico stato ad aver riconosciuto questa identità, i Curdi iracheni sono gli unici ad aver potuto sviluppare una

loro lingua e cultura.

I Curdi in altri paesi

In Iran

A partire dal secondo dopoguerra lo Scià dovette a lungo confrontarsi con la guerriglia dei Curdi, guidati dalla

famiglia Barzani, in particolare dallo sceicco Mustafa Barzani. Tale fenomeno durò fino al 1974, quando gli

iracheni si riappacificarono (temporaneamente e apparentemente) con gli iraniani e ritirarono l'appoggio al

leader della guerriglia.

Il governo di Teheran ha esercitato una dura repressione nei confronti dei Curdi iraniani. Il 14 settembre 1981

18 operai Curdi furono uccisi in una fabbrica di mattoni. I Curdi iraniani hanno subìto esecuzioni sommarie,

torture e processi iniqui.

In Turchia

I Curdi in Turchia formerebbero approssimativamente il 18% della popolazione (circa 14 milioni) nel 2008.

Nonostante la Turchia abbia approvato le due Convenzioni dell'Onu e del Consiglio d'Europa contro la tortura,

Amnesty International ritiene che la tortura in Turchia sia diffusa, seppur moderatamente, verso gli

oppositori politici e gli esponenti della comunità curda.

In Siria

I Curdi sono il 5% della popolazione in Siria, per un totale di 0,6 milioni Questo fa di loro la più grande

minoranza etnica del paese. Sono concentrati prevalentemente nel nord e nel nord-est, anche se anche ad

Aleppo e Damasco sono presenti significative popolazioni curde. I Curdi usano spesso parlare la loro lingua

in pubblico, sempre che le persone presenti facciano altrettanto. Gli attivisti per i diritti umani dei Curdi

vengono maltrattati e perseguitati. Non è permessa la formazione di nessun partito politico, Curdo o di altra

natura

La nascita del Medioriente nel suo assetto attuale

Situazione agli inizi del Novecento

Negli anni precedenti la Prima Guerra Mondiale, Gran Bretagna e Francia avevano zone di influenza nei

territori che allora appartenevano all'impero Turco e alla Persia. Come emerge dalla cartina, nel corso del

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secolo XX, dopo la Grande Guerra, il Medio Oriente andò incontro ad un processo di decolonizzazione2. Al

termine della Prima Guerra mondiale, infatti, la Francia controllava parte della Turchia, la costa dell'odierna

Siria, ed esercitava influenze politico-economiche su parte dell'attuale Iraq e sul resto della Siria stessa. Oltre

i confini meridionali di queste sfere d'influenza, iniziava il dominio britannico, che controllava i territori che

giungevano fino all'odierna Arabia Saudita e al Golfo Persico. Nel frattempo, in Palestina si verificavano i primi

disordini tra gli Arabi, preoccupati dell'afflusso di ebrei in territorio palestinese, ed Ebrei, dal momento che

la Gran Bretagna si era dichiarata favorevole alla creazione di una 'national home' ebraica in territorio

palestinese.

Si ricordi, inoltre, che l'astio degli Arabi verso gli Inglesi era alimentato dalla delusione seguita alla spartizione

del Medioriente, nel 1915, senza tener conto delle aspirazioni nazionalistiche arabe, in precedenza istigati ad

una rivolta contro i Turchi, nemici degli alleati durante la guerra, e cui era stata promessa una nazione araba.

La rivolta (al-Thawra al-Arabiya) cui si fa riferimento è quella del 1916-18: durante la Grande Guerra, la

Turchia si era alleata con gli imperi centrali. Gli alleati, approfittando dell'insofferenza degli arabi del giogo

turco, stipularono con essi un accordo, che venne però differentemente interpretato: gli Arabi, infatti,

credevano che avrebbero ottenuto uno stato arabo indipendente; Gran Bretagna, Francia e Russia, invece,

negli accordi segreti di Sykes-Picot (1916) stabilirono di spartirsi i territori arabi. E' in questo contesto che

compare in scena Lawrence d'Arabia, ufficiale britannico posto dagli inglesi a controllo delle truppe arabe.

In teoria, gli stati occidentali, tramite dei mandati, avrebbero dovuto preparare gli stati, che formalmente

non erano colonie, a rendersi indipendenti, anche se, de facto, la loro presenza in Medio Oriente si risolse

nello sfruttamento economico delle risorse di quei territori. E' importante ricordare, a questo proposito, che

proprio nei primi anni del Novecento furono scoperti i primi giacimenti petroliferi in medio oriente.

2 La decolonizzazione è il processo politico, raramente pacifico e spesso conflittuale, attraverso il quale una nazione, precedentemente sottoposta a un regime coloniale, ottiene la propria indipendenza. (Wikipedia)

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L’Indipendenza degli stati mediorientali

Indipendenza della Turchia e della Giordania

Nel 1923, la Turchia seguì l'esempio dei paesi occidentali e si dichiarò indipendente, sotto la presidenza di

Mustafà Kemal Ataturk, che diede avvio ad una serie di riforme volte a modernizzare il paese.

Nello stesso anno, 1923, la Giordania (o Transgiordania) dell'hashemiro Absullah si separò dalla Palestina

(con disapprovazione dell'Arabia, che aveva perso dei territori in questo processo), cui apparteneva secondo

gli accordi inglesi, ma venne riconosciuta ufficialmente solo nel 1946.

Nascita dell'Arabia Saudita moderna

Nel 1926, il futuro re Abd-al Aziz Ibn Saud attuò un colpo di stato e, unificando due regni (quello dell'Higiaz,

conquistato nel 1925, e quello di Riad, attuale capitale dell'Arabia), prese il controllo del nuovo paese,

instaurando un regime integralista ed imponendo la sharia.

La tendenza fondamentalista si diffuse in tutto il Medio Oriente, tanto da dare origine ad organizzazioni

integraliste, quali i Fratelli Musulmani (1928) in Egitto o i membri di Hamas in Palestina (che si sarebbero poi

opposti al trattato di pace fra Israele e Palestina del 1993), autori di frequenti attentati verso gli Israeliani.

Nel 1932, il regno venne riconosciuto ufficialmente anche dalla Gran Bretagna ed assunse il nome di Arabia

Saudita. Nacque così uno stato economicamente potente (grazie ai giacimenti petroliferi), a maggioranza

sunnita wahhabita3, avente per governo una monarchia assoluta islamista.

Indipendenza dell’Iran e sviluppi

La Persia dello scià Reza Shah Pahlavi, che poi prenderà il nome di Iran, andò incontro ad una progressiva

occidentalizzazione su esempio di Kemal. Reza modernizzò l'economia, laicizzò l'istruzione e lo stato, tanto

che l'Iran divenne in poco tempo lo stato più 'occidentalizzato' del Medioriente. Ma proprio queste riforme

'moderniste' alienarono allo scià la simpatia della classe religiosa, e non ottennero gli esiti sperati in molti

campi dell'economia, che rimasero arretrati. Durante la seconda guerra mondiale, nonostante la dichiarata

neutralità, nel 1941, Gran Bretagna e URSS (da sempre 'protettori/custodi' dell'Iran) invasero il territorio

iraniano, costringendo lo scià ad abdicare in favore del figlio, per timore che la Germania nazista potesse

beneficiare delle risorse petrolifere iraniane in virtù delle relazioni amichevoli che intercorrevano fra i due

paesi. Nel 1942, gli Stati Uniti, ormai in guerra, contribuirono alla formazione del corridoio persico4, e tra il

'46 e il '53 tolsero progressivamente agli inglesi il controllo della regione.

Nel 1951, poi, fu eletto Primo Ministro Mohammad Mossadeq, che, nello stesso anno, attuò una serie di

riforme agrarie, processi di modernizzazione dell'industria, programmi per ampliare i diritti delle donne

(divorzio, voto, ecc.) e, soprattutto la nazionalizzazione dell'Anglo-Iranian Oil Company5. Questa operazione

fu ovviamente contrastata dagli Inglesi ma, all'inizio, non dagli Americani, che poi si schierarono però con i

Britannici quando questi ultimi accusarono l'Iran di tendere al comunismo. Gli USA, in piena Guerra fredda,

non potevano permettere che un paese come l'Iran cadesse sotto influenza sovietica. Inoltre, nonostante le

grandi perplessità e le opposizioni suscitate nella società dalle decisioni di Mossadeq (l'economia iraniana

non vide un'ascesa notevole), il Parlamento gli conferì sempre più poteri, tanto che, nel 1953, lo scià fu

costretto a lasciare il paese, andando in esilio a Roma. A questo punto, Servizi segreti USA e GB sostennero

un colpo di stato (Operazione Ajax) organizzato dagli oppositori di Mossadeq, costituiti soprattutto da sciiti.

3 Una forma di sunnismo austero e particolarmente severo, definito anche 'ortodosso' 4 Per 'corridoio perisoco' si intende la rotta logistica che gli alleati utilizzarono per trasportare il petrolio nell'URSS. 5 Compagnia petrolifera Anglo-Iraniana, fondata nel 1908, che conferiva benefici agli Inglesi sull'estrazione petrolifera iraniana.

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Nel 1954, tornò dunque al potere lo scià Mohammad Reza Pahlavi, che spese molto denaro per costose

celebrazioni della sua persona e della monarchia, di cui accentuò tra l'altro i caratteri nazionalistici e

assolutistici, fino a bandire, nel '71, tutti i partiti. La popolazione, vessata da anni di crisi economica, iniziava

intanto a mostrare il proprio malcontento, e Pahlavi rispose con la repressione (aveva speso molto denaro,

tra l'altro, per l'armamento dell'esercito).

Nel '78, quindi, la popolazione insorse, incitata anche dall'ayatollah tradizionalista in esilio Khomeini. Nel '79,

lo scià lasciò il paese in mano al primo ministro, democratico, che ne aveva richiesto l'esilio. Ma il potere

anche di quest'ultimo iniziò a scemare alla notizia del rimpatrio dell'ayatollah, che avvenne nello stesso anno.

Fu costituita così la Repubblica Islamica dell'Iran, basata sulla sharia, in cui il governo istituzionale (Primo

ministro, Parlamento, ecc.) non aveva che compiti gestionali, mentre gli organi di governo che si basavano

sulle leggi islamiche assunsero il potere esecutivo. In seguito a ciò, il fronte rivoluzionario si sciolse, dando

vita a numerosi gruppi indipendenti.

Intanto, l'ex scià si era recato negli USA per curare il cancro, ma il nuovo regime iraniano temette delle

trattative che avrebbero potuto portare ad un accordo simile a quello sfociato nell'operazione Ajax del '53.

Richiesero così l'estradizione di Pahlavi, che non venne però concessa. In Iran ci furono, pertanto, diverse

manifestazioni antiamericane, che degenerarono nella cosiddetta 'crisi degli ostaggi': degli studenti

penetrarono nell'ambasciata americana a Tehran, e restituirono gli ostaggi solo nel 1981, dopo che gli USA

(che già armavano l'Iraq) acconsentirono all'armamento dell'Iran, da un anno in guerra contro l'Iraq di

Saddam Hussein.

Indipendenza dell’Iraq e sviluppi:

Durante la Prima Guerra Mondiale, l'Iraq non si era schierato con gli inglesi contro l'impero ottomano; anzi,

gli iracheni avevano osteggiato i britannici in nome dell'Islam. Quando, alla fine della guerra, gli Inglesi vi

stabilirono un 'protettorato, quindi, il malcontento era talmente accentuato che una rivolta antibritannica

diede filo da torcere per diversi mesi. Ufficialmente, l'Iraq nacque come mandato britannico nel 1920, ma

nello stesso anno venne dichiarato regno. Visto l'astio degli iracheni, infatti, non conveniva assumere un

controllo diretto sulla regione, bensì istituire un governo locale gestito 'dietro le quinte' dagli inglesi. Fu così

che salì al trono d'Iraq l'hashemita6 Faysal I, fratello del re giordano Abdullah.

Fino agli anni '30, il paese rimase sotto controllo britannico, e solo nel '32 ottenne l'indipendenza (seppur de

facto gli inglesi continuassero ad avere il controllo); l'insofferenza degli iracheni a questa situazione portò,

tra gli anni '30 e '40, a una situazione instabile, in cui furono tentati molti golpi, che non ebbero tuttavia

successo. Nel '52, però, i 'Liberi ufficiali', un gruppo nazionalista egiziano, guidati da Gamāl ʿAbd al-Nāṣer

Ḥusayn e Muhammad Naguib, abbatterono la monarchia filo-britannica, proclamando la repubblica nel

1953, di cui Naguib divenne il Presidente. MA già l'anno seguente Nasser trasformò, tramite un colpo di

mano, la repubblica in dittatura, facendo imprgionare Naguib. Egli abbracciò l'ideologia del panarabismo,

tanto che nel '58 fondò la RAU, cui, però, aderì solo la Siria, e solo per due anni. Questi avvenimenti sono

fondamentali per numerosi paesi, che seguirono l'esempio di Nasser.

Nello stesso anno 1958, infatti, l'ufficiale Qassem disertò e proclamò la repubblica d'Iraq, il cui governo

riuniva tutti i partiti: PCI (Partito Comunista Iracheno), PDK (Partito Democratico Curdo) e quello di Baath 7(nazionalsocialista). Ma si crearono subito tensioni: i baathisti sostenitori del Baath) premevano per entrare

6 Hashemita: gli hashemiti sono i membri di una dinastia originaria dell'Arabia saudita (in particolare dell'ex regno di Higiaz, regione occidentale della penisola arabica), che governò, dopo la IGM, la Transgiordania e l'Iraq. 7 Baath (o Ba'th): lett. 'rinascita, risorgimento', è un partito fondato in Siria negli anni quaranta, la cui ideologia è un misto di nazionalismo e socialismo moderato. Essa si fonda, infatti, sulla libertà della nazione araba, che deve liberarsi dagli imperialisti e costituirsi indipendente, prendendo coscienza di nazione panaraba, al di là dei singoli stati. Il socialismo che essa propone, è, come afferma Carlotta Stegagno, "una forma morbida di socialismo, che mette l’individuo al centro del sistema economico rifiutando la concezione materialistica della storia e riconoscendo la

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nella neonata RAU, poiché ne condividevano le vedute panarabiste, mentre comunisti, sciiti e Curdi si

opposero, poiché, se erano minoranze non da poco nel solo Iraq, nella RAU avrebbero costituito una presenza

insignificante. Nel 1963, Qassem, il cui potere andava scemando già da un po', venne deposto da Abdel Salam

Aref, che divenne presidente della repubblica irachena, dapprima sostenendo le idee nazionaliste del Baath,

ma poi orientandosi verso una politica più moderata. Alla sua morte salì al potere il fratello, moderato, fino

al '68, anno in cui presero il potere Ahmed al-Bakr e, in qualità di vice-presidente, Saddam Hussein.

Guerra Iran-Iraq8

Nel 1980 Saddam Hussein usò dei contrasti territoriali presso lo Shatt el-Arab (corso fluviale che consentiva

lo sbocco sul Golfo Persico) come pretesto per dichiarare guerra all'Iran. Le cause per questa guerra furono

essenzialmente due:

- la crisi economica politica in Iran susseguita alla rivoluzione del 79, di cui Saddam voleva approfittare per

guadagnare il dominio economico nell'area mediorientale;

- le incitazioni, da parte di Khomeini, a una rivoluzione sciita su modello di quella iraniana: Saddam temeva

una rivolta sciita, mentre una guerra contro il nemico Iran avrebbe unito il paese;

Nell'80, quindi, Saddam invase l'Iraq, supportato segretamente dagli USA, che si erano ufficialmente

dichiarati neutrali. Dal 1981, poi, nonostante appoggiassero l'Iraq, gli USA furono costretti ad armare anche

l'Iran, in cambio del rilascio degli ostaggi dell'ambasciata americana (crisi degli ostaggi). Alla fine, dopo otto

anni di scontri inconcludenti, l'ONU stipulò una tregua, che concluse la guerra con un nulla di fatto.

L'aggressione

Il 22 settembre 1980 l’Iraq, prendendo a pretesto un’improbabile sollevazione delle popolazioni arabe a Sud

dell’Iran, con una modalità non dissimile da quella che adotterà dieci anni dopo nei confronti del Kuwait,

attacca militarmente il vicino persiano sulla linea di confine dello Shatt al Arab. In realtà l’oggetto della guerra

è proprio il controllo di quell’estuario del Tigri e dell’Eufrate che immette nel Golfo Persico.

Si tratta di un’aggressione unilaterale, in violazione di qualsiasi norma di diritto internazionale, ma

nonostante ciò né l’ONU né alcuna grande potenza prende seriamente l’iniziativa per mettere fine alla

guerra.

Tutti guardano con favore a un ridimensionamento dell’Iran e vi sono buoni motivi per ritenere che Saddam

Hussein, prima di dare l’ordine dell’attacco, sia stato rassicurato sulla sostanziale neutralità degli USA e dei

loro alleati.

Il protrarsi della guerra e la politica dell'Occidente

La guerra, che doveva risolversi in una rapida e vittoriosa avanzata irachena, si trascina per otto anni facendo

centinaia di migliaia di morti (non se ne conosce la cifra esatta ma si pensa che non siano stati meno di 1

milione, equamente divisi fra i due contendenti) e provocando terribili sofferenze alla popolazione sia

dell’Iran sia dell’Iraq.

proprietà privata e i diritti di eredità. Secondo ‘Alfaq, l’obiettivo finale del socialismo deve essere la liberazione del talento e delle abilità degli individui, in modo da renderli in grado di dirigere il proprio destino e ottenere così il miglioramento degli standard di vita sia dei singoli sia della nazione araba nella sua interezza. Dal punto di vista strettamente pratico è di nuovo la Costituzione del 1947 che specifica il contenuto del socialismo

baathista: la ricchezza economica (art. 26), i servizi pubblici, le risorse naturali e le grandi industrie sono di proprietà

della nazione; lo stato si riserva il diritto di controllarli direttamente e di abolire le compagnie private e le concessioni

straniere (art. 29). La proprietà immobiliare (art. 33), industriale (art. 31), agricola (art. 28) e i diritti di eredità sono

ammessi, ma limitati in base all’interesse nazionale (art. 34)."

8 Dal paragrafo l’aggressione l’intero capitolo Iran-Iraq è tratto da http://www.presentepassato.it/Schede/Medioriente/guerra_Iraqiran_tx.htm consultato il 25/01/16.

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Intanto l’interesse internazionale per la guerra, così basso fino a che sembrava trattarsi solo di un problema

fra musulmani, si riaccende quando il conflitto comincia a minacciare la circolazione navale nel Golfo Persico.

Gli USA e molte altre potenze occidentali, fra cui l’Italia, mandano allora la propria marina militare a difendere

le petroliere che vanno a caricare il greggio ai terminali dell’Arabia Saudita e dei vari emirati. Ma nel momento

in cui le sorti della guerra sembrano piegare a favore dell’Iran, questo intervento internazionale, formalmente

neutrale, si rivela un utile sostegno al Governo di Baghdad. A questo non sono d’altra parte mai mancate le

forniture militari dell’Italia, della Francia e degli USA i quali non cessano di rifornire il regime di Saddam

Hussein anche dopo che il 17 maggio 1987 un missile iracheno colpisce, ufficialmente per sbaglio,

l’incrociatore statunitense Stark, nelle acque del Golfo, uccidendo numerosi marinai.

Incidenti internazionali

L’episodio non può che far aumentare la tensione nell’area facendo tacere le critiche di coloro che, nel

Congresso USA, si oppongono a un’accentuazione della presenza militare nel Golfo. Il 20 luglio 1987 viene

approvata la risoluzione 598 del Consiglio di sicurezza dell’ONU che impone il cessate il fuoco senza peraltro

distinguere, come chiede l’Iran, fra la posizione dell’aggredito e quella dell’aggressore. Il Governo di Teheran

si dichiara disposto ad accettare la risoluzione ma chiede che venga istituita una commissione per

determinare le responsabilità nell’inizio della guerra. L’Iraq si oppone e nessuno si sforza di trovare una

mediazione.

Il 3 luglio 1988 un aereo di linea iraniano, con 290 passeggeri, tutti civili, viene abbattuto da un missile

lanciato dall’incrociatore americano Vincennes. Non vi sono superstiti. Il comando statunitense si scusa

attribuendo il fatto a un improbabile errore dei sofisticati sistemi di puntamento. Nonostante le insistenze

del Governo iraniano né l’ONU né alcun altro organismo internazionale pronuncia una esplicita condanna del

fatto. L’isolamento del Governo di Teheran non potrebbe essere maggiore. Il 18 luglio il ministro degli Esteri

iraniano Velayati scrive una lettera al segretario dell’ONU Perez de Cuellar, dichiarando che il suo Governo è

pronto a sottoscrivere la risoluzione 598. Il 20 agosto scatta il cessate il fuoco.

La Prima Guerra del Golfo9

Dopo la guerra contro l'Iran, l'Iraq di Saddam era in profonda crisi. Per risollevare le sorti del suo paese e

riguadagnare consensi, Saddam mosse guerra al Kuwait, piccolo star a sud-est dell'Iraq, ricco di risorse

petrolifere. Saddam ne invase i territori, dichiarandolo territorio annesso.

L'ONU si oppose a questo atto di guerra, e formò una coalizione di più di trenta stati (il numero esatto cambia

a seconda delle fonti) capeggiata dagli USA, che invece Saddam credeva lo avrebbero appoggiato. Dopo vari

tentativi diplomatici ignorati da Saddam, la coalizione passò all'azione, prima con bombardamenti ai pozzi

petroliferi e poi con l'offensiva di terra 'Desert storm'. Dopo qualche mese l'Iraq capitolò, e il 28/02 fu firmata

la pace.

L'occupazione: tra propaganda e ragioni economiche

Il conflitto oppose l'Iraq a una coalizione Onu di 36 Stati, di cui gli Usa furono il capofila. L'obiettivo dichiarato

dell'alleanza internazionale era quello di liberare l'emirato del Kuwait, che fu occupato dal paese guidato dal

rais Saddam Hussein. Quest'ultimo, il 2 agosto 1990, invase il piccolo Stato confinante, cercando un riscatto

economico dopo la guerra con l'Iran durata 8 anni.

La motivazione ufficiale del tentativo di "annessione", ribadita da Saddam in una famosa intervista rilasciata

al nostro Bruno Vespa, fu quella che il Kuwait e l'Iraq avevano una stessa identità etnica e storica. Inoltre, per

il governo iracheno, sebbene Baghdad avesse riconosciuto l'indipendenza dell'emirato, il sovrano kuwaitiano,

Jaber Al-Ahmed Al Sabah, era illegittimo perché messo al potere dalla Gran Bretagna.

9 Dal paragrafo l’occupazione… fino alla fine del capitolo La Prima Guerra del Golfo il testo è tratto da http://www.polisblog.it/post/278080/prima-guerra-del-golfo consultato il 25/01/16.

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In realtà, la causa scatenante della campagna militare, almeno secondo la visione irachena, fu espressa

compiutamente dal ministro degli Esteri di Saddam, Tareq Aziz. Quest'ultimo, in un messaggio alla Lega

Araba, lamentò l'estrazione illegittima di petrolio, da parte del Kuwait, lungo i 120 km di frontiera. Inoltre,

per Aziz, l'emirato avrebbe colpevolmente svalutato il prezzo del greggio sul mercato. Per questi motivi, si

rendeva necessario l'annullamento del credito di 10 miliardi di dollari che il Kuwait aveva nei confronti

dell'Iraq.

L'Opec, per parte sua, cercò di accogliere parzialmente le richieste di Baghdad, aumentando il prezzo del

barile da 18 a 21 dollari (il guadagno che derivò da tale operazione non riuscì comunque a coprire il

fabbisogno del paese). Dunque, le mediazioni non sortirono effetti e l'Iraq invase il Kuwait il 2 agosto 1990.

Il ruolo dell'Arabia Saudita

A stimolare un impegno diretto degli Stati Uniti non furono solo gli interessi nell'emirato, ma anche la

potenziale destabilizzazione che Saddam avrebbe potuto portare nell'area mediorientale. A tale riguardo,

ricordiamo che l'Arabia Saudita non solo si opponeva frontalmente all'invasione irachena, ma era

territorialmente minacciata dallo stesso Saddam, che andava ripetendo che la dinastia regnante in Asia

occidentale era guardiana illegittima delle città sante (La Mecca e Medina).

Fu a quel punto che l'allora presidente George W. Bush incominciò a sostenere che il suo paese avrebbe

intrapreso un'azione difensiva a sostegno di Riyad. E le prime truppe americane arrivarono in Arabia il 7

agosto del 1990.

La risoluzione Onu e la coalizione

Il 29 novembre, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approva la risoluzione numero 678. Con tale

dispositivo si intimava all'Iraq il ritiro immediato, altrimenti, a partire dalle ore 08:00 am del 16 gennaio 1991,

sarebbero stati legittimati tutti i mezzi necessari per far recedere le truppe di Saddam. L'Urss votò a favore,

ci furono solo due no (di Cuba e Yemen) e un'astensione (della Cina).

Nella super-coalizione entrarono 35 Stati: Italia (che offrì una forza navale e dei tornado), Arabia Saudita,

Argentina, Australia, Bahrain, Bangladesh, Brasile, Canada, Cile, Cecoslovacchia, Colombia, Corea del Sud,

Danimarca, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Grecia, Honduras, Kuwait, Marocco, Nuova

Zelanda, Niger, Norvegia, Pakistan, Paesi Bassi, Polonia, Oman, Portogallo, Qatar, Regno Unito, Senegal, Siria,

Spagna, Sudafrica, Ungheria.

17 gennaio: Scatta l'Operazione Tempesta nel Deserto

Una delle operazioni militari, la più importante, diede il nome a tutta la spedizione: Desert Storm (Tempesta

nel Deserto). Questa scattò allo scadere dell'ultimatum, il 17 gennaio alle 2.38 a.m.

Poco più di un mese dopo, l'Iraq fu costretto a capitolare: contro l'imponente schieramento di forze, messo

in piedi dalla coalizione internazionale, Saddam non aveva possibilità di vittoria. Inoltre la strategia bellica

del rais si dimostrò inefficace. Il lancio di missili su Israele e Arabia Saudita, ad esempio, non sortì l'effetto

sperato. Attaccare Tel Aviv non portò ad un coinvolgimento nel conflitto dello Stato ebraico, cosa che

nell'ottica Iraquena avrebbe allontanato gli Stati arabi dalla coalizione.

Rimane dubbia, invece, la faccenda di 400 milioni di galloni di petrolio versati nel golfo Persico da parte

dell'Iraq. Secondo fonti occidentali, la più grande fuoriuscita di petrolio della storia fu orchestrata da Saddam

per bloccare lo sbarco dei marines, ma il governo di Baghdad ha sempre negato di essere il responsabile

dell'accaduto.

Della fase bellica, infine, ricordiamo il rapimento dei due ufficiali dell'aeronautica italiana, Maruzio

Cocciolone e Giammarco Bellini. I due furono liberati a fine conflitto, ma subirono, durante la prigionia, chiari

abusi di guerra. La loro immagine, trasmessa dalla tv irachena, mostrava palesi segni in tal senso. E violazioni

non dissimili subirono anche i prigionieri britannici.

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Vittime e Sindrome della Guerra del Golfo

I soldati americani morti nella guerra furono 258, di cui 145 per incidenti non legati a combattimenti (cifre

del dipartimento di Stato). La Gran Bretagna registrò 38 perdite, la Francia 9 e le nazioni arabe 47 in totale. Il

numero di feriti dell'intera coalizione fu di 776 in combattimento. Più difficile stimare le perdite Iraquene.

Secondo il Project on Defense Alternatives study, furono 3.663 tra i civili e tra 20.000 e 26.000 tra i militari.

Segnaliamo, inoltre, che dai cannoni GAU-8 Avenger e dagli aerei da attacco al suolo A-10 Thunderbolt

partirono circa 300 tonnellate di uranio impoverito (incorporato in proiettili e munizioni). La cosa avrebbe

successivamente comportato conseguenze disastrose sui reduci e la popolazione civile (la comunità

scientifica, però, non si è mai pronunciata unanimemente sulla nocività dell'uranio impoverito).

A tale riguardo, si parla oggi di una vera e propria Sindrome della Guerra del Golfo, che comprenderebbe

anche gli effetti causati dalla sperimentazione di vaccini contro l'antrace. I vaccini sarebbero stati fatti

iniettare dal Pentagono su parte dei militari. E in seguito, i loro figli nacquero con gravi malformazioni e

malattie incurabili, che produssero paralisi, problemi respiratori e la mancanza di organi interni.

Le condizioni di Bush

Bush padre decise di attenersi al mandato Onu e non rovesciò il regime iracheno. Impose, però, a Saddam di

fermare i programmi sulla produzione di armi di distruzione di massa e impose al paese sconfitto

l'accettazione degli ispettori delle Nazioni Unite, che verificarono lo smantellamento delle armi biologiche,

chimiche e nucleari (fino al 1998, quando il rais li espulse dal paese).

Inoltre furono esatte due no fly zone nel sud e nel nord del paese. Tale disposizione favorì, nella zona

settentrionale, la formazione di un'entità curda autonoma da Baghdad. Tuttavia, dobbiamo rilevare che a

conflitto finito un'insurrezione dei Curdi fu repressa nel sangue e che le loro condizioni non migliorarono

successivamente: rimasero, infatti, oggetto di rappresaglie e discriminazioni.

Infine, gli Usa decisero di continuare l'embargo (nato nel 1990) nei confronti dell'Iraq. Ciò ebbe conseguenze

disastrose sulla popolazione civile e fu solo in parte attenuato nel 1995.

La Seconda Guerra del Golfo10

Premessa

Verso la fine degli anni novanta diversi intellettuali e politici americani (soprattutto i Neocons) cominciarono

a premere per un'invasione dell'Iraq. Molti di costoro erano vicini al Partito Repubblicano e la loro influenza

crebbe enormemente con l'elezione (novembre 2000) del figlio dell'ex presidente Bush. Nella nuova

Amministrazione entrarono diversi fautori dell'invasione, fra cui il vicepresidente Cheney, il Segretario alla

Difesa Rumsfeld e probabilmente lo stesso George Bush.

Inizialmente l'Iraq venne lasciato in disparte, forse perché la relativa debolezza politica del presidente non gli

permetteva di ignorare le ragioni dei "realisti" (che temevano le conseguenze negative dell'invasione),

rappresentati entro l'Amministrazione dal Segretario di Stato Colin Powell. Gli attentati dell'11 settembre

2001 gli permisero di uscire dall'impasse presentandosi come il presidente di una nazione già in guerra. Bush

proclamò dapprima la cosiddetta guerra al terrorismo e poi enunciò la dottrina della guerra preventiva

(dottrina Bush): gli USA non avrebbero atteso gli attacchi nemici, ma avrebbero usato la propria potenza

militare per prevenirli.

È stato riferito che Bush pensasse subito all'Iraq, cambiando però idea quando si rese conto che gli attentati

erano stati compiuti dal gruppo terrorista al-Qāʿida, capeggiato dal saudita Osāma bin Lāden. bin Lāden e i

10 Paragrafo tratto ed in parte rielaborato da https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Guerra_d%27Iraq&oldid=77747283

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suoi avevano base in Afghanistan dove erano appoggiati dai Talebani, fazione che controllava gran parte del

Paese. Poiché questi rifiutarono di consegnare bin Lāden, gli USA si allearono con i loro nemici interni e li

rovesciarono, installando a Kabul un governo filo-occidentale (dicembre 2001); bin Lāden riuscì a fuggire.

Nonostante la campagna afghana non fosse conclusa, l'amministrazione Bush spostò rapidamente la propria

attenzione ad altri Stati che riteneva pericolosi per la sicurezza statunitense: nel discorso sullo stato

dell'Unione del gennaio 2002 Bush parlò del cosiddetto asse del male formato da stati canaglia quali Iran,

Iraq e Corea del Nord, cui occorreva contrapporsi. Nella pratica, gli sforzi dell'amministrazione si indirizzarono

soprattutto contro l'Iraq.

Il dibattito sulla guerra

Al prospettarsi di un intervento in Iraq l’opinione pubblica si divise tra interventisti e non, portando gli

argomenti di seguito illustrati.

Tesi favorevoli all’intervento Tesi contrarie Impedire la ricostruzione in Iraq dell’arsenale di armi di distruzioni di massa.

L’attività di costruzione dell’arsenale atomico era dubbia.

I contatti del paese con i regimi terroristici. Non vi erano indizi di un’effettiva collaborazione tra l’Iraq e terroristi attivi in USA.

Il prestigio internazionale degli USA che sarebbe uscito rafforzato dal conflitto.

In caso di insuccesso il prestigio degli USA ne avrebbe risentito, ed in ogni caso le reazioni di Iran e Corea del Nord sarebbero state sfavorevoli con l’intervento.

La possibilità di installare una democrazia in Iraq, esempio per il Medio-Oriente.

L’instaurarsi di una democrazia in Iraq non era un dato certo.

La violazione dei diritti umani e della no fly zone. La guerra preventiva era illegale, non avallata dall’ONU e pericolosa.

Le vittime della guerra avrebbero potuto superare quelle del regime.

Gli oppositori denunciarono come elementi che spinsero ad intraprendere la guerra anche:

Gli USA volevano rendere più sicuri i propri approvvigionamenti energetici, riducendo l'importanza

di Paesi come il Venezuela di Chávez, o della stessa Arabia Saudita;

Numerose compagnie americane desideravano partecipare allo sfruttamento delle risorse

petrolifere irachene (da cui erano escluse per via delle sanzioni), alla "ricostruzione" dell'Iraq, o anche

solo alla fornitura di armamenti per la guerra. Inoltre, si pensò che dopo la guerra un aumento della

produzione irachena avrebbe abbassato il prezzo del greggio, favorendo l'intera economia

occidentale; la "lobby del petrolio", però, si schierò contro la guerra.

Israele (stretto alleato degli USA con cui l'Iraq era formalmente in guerra da decenni) avrebbe

beneficiato dell'eliminazione di uno dei suoi più acerrimi avversari.

La diplomazia

L'11 ottobre 2002 Bush ottenne dal Congresso l'autorizzazione all'uso della forza per "difendere la sicurezza

nazionale degli USA contro la continua minaccia posta dall'Iraq; e per attuare tutte le risoluzioni del Consiglio

di Sicurezza dell'ONU a questo riguardo". Bush avrebbe dovuto spingere il Consiglio di Sicurezza a prendere

provvedimenti contro il mancato rispetto di 16 precedenti risoluzioni riguardanti l'Iraq; la forza sarebbe stata

ammissibile solo dopo che egli avesse determinato che ulteriori sforzi diplomatici non sarebbero valsi a

proteggere gli USA o ad attuare le risoluzioni. Tuttavia Bush non avrebbe avuto bisogno di ulteriori

autorizzazioni, né del Congresso né dell'ONU.

Dopo alcune settimane di negoziati in seno al Consiglio gli USA ottennero l'approvazione unanime della

risoluzione 1441 (8 novembre 2002), che offriva all'Iraq un'ultima possibilità di adempiere ai propri "obblighi

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in materia di disarmo" e minacciava "serie conseguenze" in caso contrario, fissando una serie di scadenze

entro le quali il disarmo sarebbe dovuto procedere.

L'Iraq accettò la risoluzione, permettendo il ritorno degli ispettori e concedendo loro prerogative (come

l'accesso illimitato ai "siti presidenziali") che aveva sempre negato. I capi degli ispettori, Hans Blix e

Muḥammad al-Barādeʿī, presentarono diversi rapporti. Nel primo di questi (30 gennaio 2003) Blix sostenne

che l'Iraq non aveva del tutto accettato i propri obblighi, pur non ponendo ostacoli diretti alle ispezioni; al-

Barādeʿī (capo dell'AIEA e incaricato della distruzione del programma nucleare) sostenne che molto

probabilmente l'Iraq non aveva un programma atomico degno di nota. Entrambi chiesero più tempo prima

di dare un giudizio definitivo.

Il 5 febbraio il segretario di stato USA Colin Powell cercò di convincere il Consiglio ad autorizzare l'uso della

forza poiché, a suo dire, l'Iraq aveva ancora una volta dimostrato di non rispettare le risoluzioni ONU. Nel suo

discorso egli espose le "prove" dell'esistenza di WMD irachene. La sua tesi fu accolta freddamente e i suoi

argomenti furono considerati molto deboli.

I successivi rapporti di Blix e al-Barādeʿī (14 febbraio e 7 marzo) furono più favorevoli all'Iraq, poiché

parlavano di progressi, anche se diversi problemi restavano irrisolti, soprattutto nel campo delle armi

chimiche: secondo Blix, sarebbero stati necessari parecchi mesi di ispezioni per venirne a capo.

Questi rapporti, uniti all'annuncio francese di un probabile veto, furono deleteri per i tentativi anglo-

americani di ottenere un'ulteriore risoluzione che autorizzasse esplicitamente l'invasione. Nonostante forti

pressioni statunitensi solo 4 dei 15 Stati presenti nel Consiglio (USA, Regno Unito, Spagna e Bulgaria) erano

intenzionati ad approvare la risoluzione (Francia, Germania, Cina, Pakistan e Siria sembravano contrari,

mentre Messico, Cile, Camerun, Angola, Guinea e Russia avevano posizioni più sfumate). La nuova risoluzione

non fu quindi sottoposta al voto e Bush dichiarò che la diplomazia aveva fallito.

La guerra in Iraq

Per quanto il presidente statunitense Bush sostenesse che la decisione di invadere l'Iraq non fosse stata

ancora presa, il comando americano cominciò con largo anticipo a pianificare l'invasione, inviando grandi

forze in Kuwait. Nella primavera 2002 la stampa USA descrisse i probabili piani di attacco: una campagna

relativamente breve ma molto massiccia di bombardamenti aerei sarebbe stata combinata con la rapida

avanzata di un esercito relativamente piccolo ma molto mobile, dotato dei più moderni mezzi. Il principale

timore era che questa forza perdesse molti dei propri vantaggi se l'esercito iracheno si fosse asserragliato

nelle città. Parecchi militari ritenevano quindi inadeguata sia la forza di 70.000 uomini proposta dal segretario

alla difesa Donald Rumsfeld (per confronto, l'esercito che nel 1991 aveva riconquistato il Kuwait era di oltre

500.000 uomini), sia le stime che parlavano di un'occupazione di circa un anno: ad esempio, il capo di stato

maggiore dell'esercito USA, gen. Shinseki dichiarò di ritenere necessarie "diverse centinaia di migliaia di

uomini" "per diversi anni". Alla fine gli USA e i loro alleati schierarono circa 250.000 uomini, metà dei quali

marinai od aviatori.

Inoltre le incursioni aeree sulle no fly zones furono intensificate: già nel settembre 2002 furono condotte

incursioni che coinvolsero oltre 100 aerei. Alla fine dell'autunno le truppe americane erano pronte

all'invasione, prevista nei mesi relativamente freschi dell'inverno, ma che fu ritardata di alcuni mesi dal

protrarsi della controversia all'ONU (forse perché la loro presenza minacciosa aveva spinto Saddam a piegarsi

alle ispezioni).

La guerra iniziò la mattina del 20 marzo del 2003, poche ore dopo un ultimo rifiuto di Ṣaddām di abbandonare

il potere e andare in esilio. Al 2 maggio l'Iraq era già stato bombardato dalla coalizione con più di trentamila

bombe oltre a ventimila missili cruise ad alta precisione paralizzando il paese.La coalizione disponeva di un

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esercito di circa 260.000 uomini, cui si aggiungevano alcune decine di migliaia di componenti della milizia

curda dei peshmerga. L'esercito iracheno contava invece poco meno di 400.000 uomini (di cui circa 60.000

guardie repubblicane), più circa 40.000 paramilitari dei Fedā'iyyīn Ṣaddām e ben 650.000 uomini

ufficialmente parte della riserva. L'esercito iracheno era però male armato e scarsamente motivato; anche i

reparti di élite della guardia repubblicana avevano mezzi piuttosto malconci (le sanzioni avevano impedito

l'importazione di pezzi di ricambio). In effetti, gran parte delle unità irachene si disintegrarono prima di

incontrare il nemico, per via dei bombardamenti, e dell'incompetenza o delle diserzioni dei loro comandanti

(spesso corrotti dalla CIA).

L'attacco di terra fu quasi contemporaneo a quello aereo. Poiché la Turchia aveva negato il transito alla

fanteria, quasi tutte le forze della coalizione partirono dal Kuwait, anche se nel nord una brigata di

paracadutisti e diverse unità di forze speciali si unirono ai peshmerga.

L'avanzata fu rapida: già nella serata del 20 marzo le forze britanniche e i Marines avevano occupato il porto

di Umm Qaṣr, impossessandosi dei giacimenti petroliferi del sud dell'Iraq, ed erano in prossimità di Basra

(che però fu presa solo il 6 aprile); il grosso degli americani avanzò invece verso ovest e verso nord, evitando

di prendere d'assalto le città salvo quando necessario per impossessarsi di ponti sul Tigri o sull'Eufrate. Gli

Iracheni opposero resistenza per alcuni giorni nei pressi di Hilla e Karbala, aiutati da una tempesta di sabbia

e dalla necessità americana di rifornire i propri mezzi. Tuttavia il 9 aprile, tre settimane dopo l'inizio

dell'invasione, gli americani entrarono a Baghdad e le rimanenti difese irachene crollarono: il 10 aprile i Curdi

entrarono a Kirkuk e infine il 15 aprile cadde anche la città natale del rais, Tikrīt.

Il 1º maggio 2003 il presidente Bush atterrò sulla portaerei Abraham Lincoln (che aveva partecipato alle

operazioni in Iraq e stava rientrando alla base) e vi tenne un discorso avendo alle spalle uno striscione che

diceva Missione Compiuta (Mission Accomplished).

Lo “Stato Islamico”

Situazione in Iraq

Sotto Saddam11

Il governo di Saddam, a capo del partito panarabo – che voleva l’unificazione cioè di tutto il mondo arabo

sotto una sola entità – di Ba’at, si improntò ad una politica laica ma che non poté far a meno di favorire, nel

11 Alcune parti tratte da https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Politica_dell%27Iraq&oldid=78359777

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conflitto interno alla società irachena, la comunità sunnita (25% della popolazione) reprimendo invece gli

sciiti (50%) e i Curdi (20%).

Nel sud sciita tutti i tentativi di rivolta (ad es. subito dopo la Prima Guerra del Golfo) erano stati repressi dal

governo centrale e quasi tutti i leader politici erano dovuti fuggire in esilio. Fra questi erano particolarmente

importanti l'Ayatollah Sayyed Muhammad Bāqir al-Hakīm ed Ibrāhīm al-Jaʿfarī, rispettivamente a capo del

Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica in Iraq (noto con l'acronimo inglese SCIRI) e del Partito Islamico

Da'wa (Daʿwa vuol dire "appello"), entrambi con forti legami con l'Iran.

L'unica autorità a cui il regime era obbligato a concedere una minima autonomia era quella ecclesiastica,

specialmente quella dei grandi ayatollah sciiti di Najaf (città santa dello Sciismo in quanto ospita la tomba di

ʿAlī ibn Abī Ṭālib, quarto califfo e primo Imam sciita). Ciò non impedì l'assassinio nel 1999 del grande ayatollah

Muhammad Sādiq al-Sadr (e di due suoi figli), fondatore di un movimento politico-religioso considerato

pericoloso da Saddam. Il suo assassinio non estinse il movimento sadrista, per quanto esso passasse in

clandestinità e subisse una scissione: la maggioranza dei suoi membri rimase fedele a Muqtada al-Sadr (un

altro figlio dell'ayatollah assassinato), mentre una consistente minoranza passò con lo sceicco Muhammad

Ya'qubi (amico del padre di Muqtada e appoggiato del Grande Ayatollah iraniano Kadhim al-Haeri), che

avrebbe successivamente fondato il partito Fadila (virtù).

I sunniti sono il blocco della popolazione irachena che ha visto la caduta del regime di Saddam nella luce

peggiore. Essi infatti hanno controllato lo stato iracheno fin dall'istituzione della monarchia negli anni venti,

spesso a spese degli altri gruppi etnico-religiosi iracheni: la caduta di Saddam ha segnato la fine di questo

predominio. Inoltre moltissimi di loro erano parte dell'apparato governativo, dell'esercito o del partito Baʿth

e l'epurazione o la dissoluzione di queste istituzioni li ha spesso lasciati senza lavoro. Tutto ciò si è sommato

ad un nazionalismo particolarmente forte ed alla convinzione di essere vittime di un sopruso (i sunniti

rifiutano di credere di non essere la maggioranza) ed ha creato un clima di ostilità diffusa nei confronti delle

truppe occupanti e delle nuove istituzioni irachene.

Questo clima, unito alle competenze militari dei sunniti (ad es. gli ex ufficiali dell'esercito potevano attingere

a depositi segreti di armi e munizioni disseminati da Saddam in tutto il Paese) ha portato alla formazione di

numerosi gruppi armati di tendenze sia laiche (ex baʿthisti) che islamiche.

Al-Zarkawi12

Le origini dello Stato Islamico possono essere rintracciate alla fine degli anni Novanta quando, Abu Musab al-

Zarkawi fondò la Jamat al-Tawhid wa-l-Jihad, dopo essersi formato insieme a bin Laden in Afghanistan

durante gli anni Ottanta. Fu l’avvio dell’operazione Iraqi Freedom che offrì lo scenario tristemente “ideale”

per testare e provare l’efficacia della sua strategia. Inizialmente l’organizzazione si limitò ad operare nel nord-

ovest dell’Iraq. In larga parte sconosciuta e principalmente composta da poche dozzine di militanti non-

iracheni, l’organizzazione di al-Zarkawi riuscì ben presto ad imporsi all’attenzione dei media e delle agenzie

di sicurezza occidentali per la sua aggressività e capacità operative sul campo. Nel 2004 si consumò un primo

importante passaggio. Limitato nelle risorse e nel numero dei suoi combattenti, al-Zarkawi comprese la

necessità di uscire dai limiti della sua organizzazione. Al-Qaida, da parte sua, era alla ricerca di un leader

carismatico sul campo capace di guidare le operazioni militari, riscattando il movimento dalle sconfitte subite

in Afghanistan. Il sodalizio si consumò e nacque al-Qaida nella Terra dei Due Fiumi (conosciuta anche come

al-Qaida in Iraq – Aqi). Già nel 2005, però, tale relazione iniziò a scricchiolare. La sconfitta nella battaglia di

Baghdad rappresentò il grande catalizzatore del più ampio dissenso strategico e dottrinale tra i sostenitori di

bin Laden e al-Zawahiri e quelli di al-Zarkawi. Quest’ultimo fu attaccato dai vertici di al-Qaida per l’eccessivo

12 Paragrafo tratto da http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/da-al-qaida-Iraq-aqi-al-califfato-una-storia-di-sangue-11103 consultato il 24 gennaio 2016.

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uso della violenza verso la popolazione irachena piuttosto che contro le truppe della Coalizione13, e per la

propensione eccessivamente radicale nell’imposizione dall’alto della shari‘a. Un’impasse interna che non

poté far altro che aggravarsi e ampliarsi nel 2006 con la morte di Abu Musab al-Zarkawi.

Da questi sviluppi nacquero prima l’organizzazione Majlis Shura al-Mujahedin e poi lo Stato Islamico in Iraq.

Quest’ultimo rappresenta idealmente il diretto predecessore dell’attuale califfato; un emirato che avrebbe

dovuto estendersi sulla maggior parte dell’Iraq centro-occidentale. In realtà il progetto politico-militare degli

eredi di al-Zarqawi non si sviluppò secondo le speranze dei suoi militanti, incontrando le resistenze e

l’opposizione dei leader delle tribù locali e della popolazione nelle regioni irachene a maggioranza sunnita.

Dall’AQI all’IS14

Dopo la morte di al Zarqawi, ucciso in un raid aereo americano il 7 giugno 2006, il movimento intensificò le

proprie attività incrementando il numero dei propri miliziani. Nell’ottobre di quello stesso anno, restando

sempre associato ad Al Qaeda, esso assunse un nuovo nome: “Stato islamico dell’Iraq” (Isi), sotto la guida di

Abu Ayyub al-Masri a cui si affiancò in seguito Abu Umar al-Baghdadi. È sotto questa nuova sigla che

l’organizza­zione iniziò allora a rivendicare un numero crescente di attentati, diventando presto il più vasto

e aggressivo gruppo terroristico operante nel paese. Nonostante l’efficace attività di controinsurrezione

messa in atto tra il 2007 e il 2008 dal generale americano David Petraeus, l’Isi riuscì a trarre infatti un forte

alimento dalla dissennata politica anti-sunnita del governo iracheno dello sciita Nuri al-Maliki.

Tra il 2010 e il 2011 due sviluppi importanti impressero una svolta ulteriore alla storia del movimento. Il primo

fu l’uccisione, nell’aprile del 2010, di al-Baghdadi e di al-Masri nel corso di un’operazione di controterrorismo

effettuata da forze irachene e americane. Ad essi subentrò alla guida dell’organizzazione l’attuale leader

dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, un personaggio dal forte richiamo carismatico. Il secondo sviluppo – messo in

moto dalle cosiddette “primavere arabe” – fu l’inizio della guerra civile in Siria tra il 2011 e il 2012, cui l’Isi

prese parte in misura sempre più significativa contro il presidente Bashr al Assad. Dapprima, stabilendo

strette anche se difficili relazioni con il Fronte al-Nusrah, anch’esso affiliato ad Al Qaeda e al suo nuovo leader

Ayman al-Zawahiri, subentrato alla guida del movimento dopo l’uccisione di Osama Bin Laden il 1° maggio

2011. E poi, nell’aprile del 2013, adottando il nome di Isil (“Stato islamico dell’Iraq e del Levante”) ovvero di

Isis (“Stato islamico dell’Iraq e della Siria”). Era un segno molto chiaro che il gruppo jihadista stava maturando

una strategia più ampia di quella sino ad allora di fatto circoscritta allo specifico contesto iracheno. La sua

sfida si stava proiettando oltre e contro la divisione del mondo arabo in stati-nazione, disegnati in modo

artificioso dalle grandi potenze vincitrici della prima guerra mondiale. Nella direzione, appunto, della

restaurazione del “califfato”.

Per il suo radicalismo estremo e per l’efferatezza delle sue operazioni militari e terroristiche nel corso del

2014 l’Isis è entrato progressivamente in collisione con gli altri gruppi jihadisti operanti in Iraq e in Siria,

alienandosi nel contempo le iniziali simpatie dello stesso mondo sunnita, che avevano conferito forza ed

efficacia alle sue azioni. Nel febbraio del 2014 esso è stato sconfessato addirittura dallo stesso al-Zawahiri, il

leader di Al Qaeda. E tuttavia, nonostante il suo isolamento, l’Isis ha continuato la sua marcia verso il

“califfato”, ufficialmente proclamato il 29 giugno 2014, scatenando nelle settimane successive una virulenta

offensiva militare e terroristica che ha impressionato il mondo intero.

13 Si fa riferimento alla coalizione multinazionale in Iraq, anche conosciuta come coalizione dei volenterosi (in inglese coalition of the willing) raccolta dagli Stati Uniti nella fase preparatoria della guerra del golfo. 14 Tratto da un saggio di Francesco Tuccari, pubblicato su http://aulalettere.scuola.zanichelli.it/argomenti/isis-lo-stato-islamico-settembre-2014/?id_tipo=401&pag=4

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La Siria

La Primavera Araba15

Le proteste cominciarono il 18 dicembre 2010, in seguito alla protesta estrema del tunisino Mohamed

Bouazizi, che si diede fuoco in seguito a maltrattamenti subiti da parte della polizia, il cui gesto innescò

l'intero moto di rivolta tramutatosi nella cosiddetta Rivoluzione dei gelsomini. Per le stesse ragioni, un effetto

domino si propagò ad altri Paesi del mondo arabo e della regione del Nord Africa. In molti casi i giorni più

accesi, o quelli dai quali prese avvio la rivolta, sono stati chiamati giorni della rabbia o con nomi simili.

Nel 2011, quattro capi di Stato furono costretti alle dimissioni o alla fuga: in Tunisia Zine El-Abidine Ben Ali

(14 gennaio 2011), in Egitto Hosni Mubarak (11 febbraio 2011), in Libia Muhammar Gheddafi che, dopo una

lunga fuga da Tripoli a Sirte, fu catturato e ucciso dai ribelli il 20 ottobre 2011 e in Yemen Ali Abdullah Saleh

(27 febbraio 2012).

I sommovimenti in Tunisia portarono il presidente Ben Ali, dopo venticinque anni, alla fuga in Arabia Saudita.

In Egitto, le imponenti proteste iniziate il 25 gennaio 2011, dopo diciotto giorni di continue dimostrazioni,

accompagnate da vari episodi di violenza, costrinsero alle dimissioni (complici anche le pressioni esercitate

da Washington) il presidente Mubarak dopo trent'anni di potere. Nello stesso periodo, il re di Giordania ʿAbd

Allāh attuò un rimpasto ministeriale e nominò un nuovo primo ministro, con l’incarico di preparare un piano

di "vere riforme politiche". Sia l'instabilità portata dalle proteste nella regione mediorientale e nordafricana,

sia le loro profonde implicazioni geopolitiche, attirarono grande attenzione e preoccupazione in tutto il

mondo

Le proteste hanno colpito non solo paesi arabi, ma anche esterni alcuni Stati non arabi, come nel caso della

Repubblica Islamica dell'Iran, che ha in un certo senso anticipato la primavera araba con le proteste post-

elettorali del 2009-2010; i due casi hanno in comune l'uso di tecniche di resistenza civile, come scioperi,

manifestazioni, marce e cortei e talvolta anche atti estremi come suicidi, divenuti noti tra i media come auto-

immolazioni, e l'autolesionismo. Anche l'utilizzo di social network come Facebook e Twitter per organizzare,

comunicare e divulgare determinati eventi è stato molto diffuso, a dispetto dei tentativi di repressione

statale. La Primavera araba ha avuto lo scopo di portare o riportare le tradizioni del mondo arabo al potere.

I social network tuttavia non sarebbero stati il vero motore della rivolta, secondo alcuni osservatori, per i

quali "il network della moschea, o del bazar, conta assai più dì Facebook, Google o delle email". Alcuni di

questi moti, in particolare in Tunisia ed Egitto, hanno portato a un cambiamento di governo, e sono stati

identificati come rivoluzioni.

I fattori che hanno portato alle proteste sono numerosi e comprendono la corruzione, l'assenza di libertà

individuali, la violazione dei diritti umani e la mancanza di interesse per le condizioni di vita, molto dure, che

in molti casi rasentano la povertà estrema. Anche la crescita del prezzo dei generi alimentari e la fame sono

da considerarsi tra le principali ragioni del malcontento; questi fattori hanno colpito larghe fasce della

popolazione nei Paesi più poveri nei quali si sono svolte le proteste, portando quasi a una crisi paragonabile

a quella osservata nella crisi alimentare mondiale nel 2007-2008. Tra le cause dell'aumento dei costi, secondo

Abdolreza Abbassian, capo economista alla FAO, vi fu la "siccità in Russia e Kazakistan, accompagnata dalle

inondazioni in Europa, Canada e Australia, associate a incertezza sulla produzione in Argentina", a causa della

quale i governi dei Paesi del Maghreb, costretti ad importare i generi commestibili, decisero per l'aumento

dei prezzi dei prodotti alimentari di largo consumo. Altri analisti hanno messo in risalto il ruolo della

speculazione finanziaria nel determinare la crescita del prezzo dei generi alimentari in tutto il mondo. Prezzi

più alti si registrarono anche in Asia e in particolare in India, dove vi furono rialzi nell'ordine del 18%, e in

Cina, con aumento dell'11,7% in un anno.

15 Tratto da https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Primavera_araba&oldid=78348408

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Cause e scoppio della guerra civile sino a Ginevra 216

Sulla scia della primavera araba nel gennaio 2011 parte della popolazione siriana, organizzandosi sui social

network, decide di scendere in piazza a protestare contro il partito Ba’th unico partito al potere dal 1970,

capeggiato dalla famiglia di Al-Assad e guidato attualmente da Bashar al-Assad che è il presidente della Siria.

In risposta alle proteste Al-Assad censura Facebook, Twitter e Youtube revocando il bando pochi giorni dopo

dichiarandosi fiducioso nel corretto utilizzo della rete, viene qualche giorno più tardi arrestata una blogger

siriana con l’accusa di lavorare per la CIA.

Nel marzo 2011 le rivolte non si placano e, mentre vengono celebrati i funerali di alcune vittime degli scontri

nelle piazze, alcuni manifestanti danno fuoco ad una sede del partito di Ba’th. Nel tentativo di sedare i

rivoltosi il governo promette una più serrata lotta alla corruzione ed un imminente aumento dei salari, non

prima di aver accusato i media stranieri di fomentare la rivolta.

Il 15 marzo scoppiano a Dar’a, nella Siria meridionale, nuove rivolte che il governo ordina di reprimere

militarmente il 18 marzo, causando 400 morti e 500 arresti. Dopo questo episodio scoppiano rivolte in altre

città siriane: Latakia, Tartus, Aleppo e nella capitale Damasco. Tra le file dei rivoltosi appaiono per la prima

volta bandiere appartenenti alla fratellanza mussulmana. A maggio il bilancio delle proteste è di mille morti

e diecimila arresti.

Il 4 giugno, a Jisr ash-Shugur, nella provincia di Idlib, la protesta assume caratteristiche violente e i

manifestanti aggrediscono le forze di polizia uccidendo otto persone e prendono il controllo della stazione di

polizia locale, saccheggiandola e distribuendo le armi trovate al suo interno. Gli scontri continuano nella

settimana seguente, provocando la morte di centoventi poliziotti.

Il 3 luglio ad Hama si svolge la più grande manifestazione contro il governo, quest’ultimo mette in campo una

durissima repressione inviando l’esercito che riesce a riportare la calma mietendo più di duecento morti.

L’azione è criticata dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Dopo queste azioni efferate alcuni ufficiali disertori

dell’esercito governativo si riorganizzano contro il regime fondando l’Esercito Siriano Libero (ESL) che istruì i

ribelli per un’eventuale guerriglia armata.

Al-Assad decise di liberare 755 detenuti e di modificare la costituzione siriana, eliminando il monopartitismo

ed introducendo un massimo di anni di mandato per la carica del presidente, democratizzando così il paese.

Il 26 febbraio 2012 il popolo può votare un referendum per approvare queste disposizioni, ma i ribelli,

insoddisfatti, lo boicottano. Le rivolte si inaspriscono e tra le file ribelli appaiono le bandiere nere di Al-Qaeda.

Per contrastare i ribelli vengono impiegati dal governo combattenti shabīḥa, bande composte da siriani

alawiti legati alla criminalità, che nell’aprile 2012 si rendono colpevoli di due massacri: la strage di Hula, 108

persone uccise a sangue freddo, e quella di Al-Qubeir, 78 morti. Il governo cerca di negare un suo

coinvolgimento attribuendo invece la colpa ai ribelli. Molte nazioni prendono le distanze dal governo di Al-

Assad espellendo l’ambasciatore siriano e sostenendo alcune apertamente i ribelli. La Turchia fornisce armi

all’ESL, e dà rifugio ai vertici militari dell’opposizione, che hanno sede ad Istanbul; USA, Francia, Gran

Bretagna e gli Stati del Golfo Persico iniziano a finanziare i ribelli, mentre l’UE inasprisce l’embargo sulla Siria.

Russia, Iran e Corea del Nord appoggiano invece il governo siriano.

Nel luglio 2012 i Curdi che vivono nel nord della Siria si organizzano militarmente per chiedere l’indipendenza.

L’Iran per supportare Assad appoggia gli sciiti libanesi di Hezbollah che si uniscono nella guerra civile.

Nell’aprile 2013 il contingente jihadista, integralisti sunniti, è largamente finanziato dai Sauditi, destando la

preoccupazione dell’Iran, paese a maggioranza sciita. Secondo fonti interne il 21 agosto 2013 il governo

siriano avrebbe usato armi chimiche contro la popolazione: l’ONU manda degli ispettori che confermano

l’episodio. Nel frattempo David Cameron, primo ministro britannico, non riceve l’appoggio del Parlamento

16 Paragrafo elaborato dal video https://www.youtube.com/watch?v=cokQDfetJsk consultato il 24 gennaio 2016.

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all’intervento in Siria, rimandando la discussione al G20 che si tiene nel settembre 2013. Durante il summit

la Russia si accorda con gli USA: l’intervento militare non avverrà ma la Siria dovrà distruggere

completamente l’arsenale chimico. USA e GB supportano apertamente l’ESL, ma la forte vicinanza dei gruppi

jihadisti ai ribelli costringe ad interrompere ogni supporto. A gennaio 2014 si apre Ginevra 2, conferenza di

pace che vede la partecipazione di tutte le parti in guerra tranne i fronti islamici estremisti.

La conferenza riesce a siglare una tregua tra le parti che permette ad una parte della popolazione di evacuare

le zone di confine. Tuttavia non si giunge ad un vero trattato di pace, ed il segretario generale dell’ONU

annuncia il fallimento del summit scusandosi con i siriani. Intanto sia il fronte ribelle che quello jihadista si

frazionano.

Dopo la conferenza17

Nella Conferenza di Pace Ginevra 2, che vede protagonisti il Governo siriano, la Coalizione Nazionale Siriana

e il fronte curdo, si riesce a siglare una tregua tra le parti, che permette, ad una parte della popolazione, di

evacuare dalle zone di conflitto. Dopo l'iniziale rischio di fallimento del negoziato, Ginevra 2 si chiude senza

altri accordi tra le delegazioni, tanto che l'inviato speciale dell'ONU ne annuncia il fallimento, scusandosi con

il popolo siriano.

Intanto sia il fronte ribelle che quello jihadista si frazionano. Alcuni membri siriani ed iracheni delle

organizzazioni islamiste, vedendo l'opportunità di rovesciare il governo di Assad, cercano di instaurare uno

Stato islamico basato sulla sharia. Il Fronte jihadista, appoggiato dai ribelli, attacca le basi dello Stato Islamico

dell'Iraq e Levante, noto alla stampa internazionale con l’acronimo ISIS. Per la prima volta si registrano scontri

significativi anche tra lo Stato Islamico e al-Nusra.

Nel giugno 2014 si svolgono le elezioni presidenziali, che, secondo la nuova costituzione siriana, permettono

la presenza di più candidati. I seggi elettorali vengono però installati solo nelle aree controllate dal governo.

I ribelli siriani, lo Stato islamico e i Curdi non partecipano al voto, definendolo una farsa. Si assiste ad una

forte presa di posizione dei governi internazionali: la maggior parte dei Paesi occidentali, tra cui Stati Uniti,

Canada, Belgio, Francia, Germania, e Arabia Saudita, Turchia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti non permettono

ai residenti siriani di recarsi a votare nella loro ambasciata. Altre 30 nazioni, tra cui Russia, Iran e Venezuela

invece riconoscono la consultazione inviando osservatori per garantire il corretto svolgimento delle

operazioni di voto.

Il governo siriano comunica un'affluenza alle urne molto alta. Nelle zone di confine tra le aree controllate dai

ribelli e dai lealisti si registrano alcuni attacchi volti a scoraggiare il voto. Bashar al-Assad esce vincitore dalle

elezioni con l'88.7% di preferenze, distanziando di molto gli altri due candidati e riconfermandosi presidente

per la terza volta.

Contemporaneamente alle elezioni, lo Stato Islamico, già attivo nell'ovest dell'Iraq, ne occupa il nord e

rapidamente conquista Mossul, seconda città del Paese, provocando la fuga di 500.000 persone. Entrano in

possesso di molte armi di fabbricazione americana, abbandonate dall'esercito iracheno, e di mezzo milione

di dollari. Vengono rilasciati 2.400 detenuti, tutti si uniscono alla causa islamista. Lo Stato Islamico si spinge

fino alla periferia di Baghdad, e contemporaneamente cancella una lunga fascia di confine tra Iraq e Siria.

Verso la fine di Giugno, il leader dello Stato Islamico, Abu Bakr al-Baghdadi, annuncia l'instaurazione di un

califfato nei territori controllati tra Siria e Iraq e chiede a tutti i musulmani di aderirvi. L’obiettivo è quello di

sconfiggere le altre formazioni dissidenti siriane, in particolare il Fronte al-Nusra. Una volta rapidamente

eliminate, gli islamisti entrano in conflitto con il governo siriano.

L’Iraq invoca l'intervento internazionale e si rivolge direttamente agli Stati Uniti, chiedendo un immediato

supporto aereo. Nell’Agosto, lo Stato Islamico rompe le linee di difesa dei peshmerga Curdi nella Regione

17 Trascrizione del video https://www.youtube.com/watch?v=c262Z_d9tHE consultato il 24 gennaio 2016.

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autonoma del Kurdistan Iracheno. Vengono conquistate alcune cittadine a maggioranza cristiana,

provocando la fuga di 200.000 persone che temono il massacro per motivi religiosi.

Viene organizzata una coalizione che raggruppa 11 paesi occidentali. L'intervento occidentale contro lo Stato

Islamico si limita all'Iraq. A Settembre, operano i primi bombardamenti sul territorio siriano. Il governo

siriano, informato con la mediazione dell'Iran, non viene consultato per coordinare gli attacchi o chiedere

l'autorizzazione. Tuttavia viene rilasciata una dichiarazione che afferma: "la Siria appoggia ogni iniziativa

internazionale nella lotta contro gli jihadisti". La coalizione guidata dagli Stati Uniti comprende 5 nazioni

arabe: Bahrein, Giordania, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Tra i primi obiettivi vi sono tutti i

principali centri urbani controllati dall'ISIS, tra cui Raqqa e, inaspettatamente, anche postazioni del Fronte al-

Nusra. Nel giorno stesso dell'inizio dei bombardamenti, viene siglato un patto di non aggressione tra ISIS e le

altre formazioni ribelli.

Sul terreno, a metà settembre, l'ISIS scatena una imponente offensiva verso la regione di Kobane, confinante

con la Turchia e controllata dalle milizie curde YPG. L'attacco provoca il flusso di 300.000 profughi verso la

Turchia. La vicinanza degli scontri, spinge la Turchia a schierare le proprie truppe al confine. Tuttavia,

ignorando le richieste della minoranza curda e degli Stati Uniti, il presidente Erdogan si rifiuta di fornire aiuti

ai miliziani Curdi. Solo a inizio Novembre viene permesso l'ingresso in città di un piccolo contingente di Curdi

iracheni.

Il Fronte al-Nusra rompe l'alleanza con l'Esercito siriano libero ed attacca le sue postazioni nel il

governatorato di Idlib, sequestrando tutto l'armamento e costringendo i miliziani a scappare in Turchia o a

unirsi al Fronte.

A Gennaio 2015, le milizie curde annunciano che la città di Kobane è riconquistata. Con il fondamentale

appoggio dei peshmerga iracheni, dell'aviazione americana e di alcune unità dell'Esercito Siriano Libero,

riescono in un mese a riconquistare tutte le cittadine perse. Nel Febbraio 2015, l'esercito siriano scatena una

potente offensiva sul fronte meridionale. Per la prima volta partecipano in maniera diretta molte unità dei

pasdaran iraniani, oltre che molti miliziani Hezbollah e alcune milizie sciite afghane.

Compaiono i primi cedimenti politici nel governo: si verificano imprigionamenti, fughe e uccisioni di membri

interni al partito Baath, accusati di ordire un colpo di stato. Nel fronte jihadista, nasce Jaish al Fatah (Esercito

della Conquista). A Marzo, Jaish al Fatah prende il controllo della provincia di Idlib, annunciando

l'instaurazione della sharia.

A Giugno, un centinaio di miliziani islamisti penetra nella città di Kobane facendo esplodere tre autobomba

vicino al confine con la Turchia, attaccando i Curdi dalle retrovie. L'effetto sorpresa rende complessa la

risposta dei Curdi, che accusano la Turchia di aver permesso l'accesso dei combattenti islamisti attraverso il

suo territorio. Intanto, il Fronte al-Nusra compie un massacro nella provincia di Idlib, uccidendo 20 civili drusi

in un villaggio, i quali reagiscono con una dichiarazione in cui spingono la popolazione a sostenere il governo

e unirsi all'esercito regolare.

Sviluppi recenti

Gli ostaggi e la propaganda

L’organizzazione terroristica si è distinta per una grande attività di propaganda attraverso i social media,

elaborando video e materiale documentario destinati alla pubblicazione online e di qualità spesso

professionale. Alcuni dei video di Daesh a scopo esplicitamente intimidatorio ritraggono le barbare

esecuzioni dei prigionieri di guerra, talvolta giornalisti occidentali i cui paesi d’origine si sono rifiutati di

pagare il riscatto. Riportiamo un articolo pubblicato da Maurizio Molinari su lastampa.it il 07/02/15:

Mezzi di propaganda, scudi umani. Così il Califfo fa politica con gli ostaggi

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Divulgare la brutalità del Califfato, scompaginare la coalizione guidata dagli Usa, portare la guerra in Europa,

moltiplicare i proseliti, irridere il nemico e ottenere vantaggi tattici: sono gli obiettivi che Abu Bakr al

Baghdadi, Califfo dello Stato Islamico (Isis), persegue con una gestione degli ostaggi che somma malvagità e

cinismo.

Mosse studiate a tavolino

L’americano James Foley è il primo ad essere decapitato, il 19 agosto, e l’intento è duplice. Primo: a 50 giorni

dalla nascita del Califfato, trasformare la jihad in un messaggio globale grazie alla miscela fra brutalità della

decapitazione ed efficienza delle produzioni video. Secondo: a due settimane dall’inizio dei raid Usa contro

Isis far capire a Obama che pagherà un prezzo alto di sangue. Il 2 settembre viene decapitato l’americano

Steven Satloff e poi identica sorte tocca ai britannici David Haines e Alan Henning. Scenografia e metodo delle

esecuzioni si ripetono per far capire che Isis punisce in ugual misura Usa e alleati. Vuole portare lo scompiglio

nella coalizione: nel «Messaggio agli alleati degli Usa» letto dal boia di Haines si esplicita l’intenzione di

«rispondere ai bombardamenti contro di noi». È la sintesi della guerra asimmetrica: voi bombardate, noi

decapitiamo.

La vendetta

A fine ottobre il Califfo sopravvive a un raid Usa e la reazione è brutale: l’americano Peter Kassig viene

decapitato in un video che mostra 18 soldati siriani sgozzati da altrettanti jihadisti, molti dei quali francesi e

inglesi a volto scoperto. Si svela così l’esistenza delle brigate europee a cui un audio del Califfo chiede di «far

esplodere i vulcani del jihad in terre nemiche». È l’annuncio di attacchi in Europa, retrovia della coalizione,

grazie a reclute jihadiste locali attirate dai video con esecuzioni cruente.

La conferma dell’uso di ostaggi a fini tattici viene dalle vicende parallele di 46 diplomatici turchi e 29 soldati

libanesi catturati. I turchi, presi a Mosul, vengono restituiti incolumi ad Ankara al termine di un negoziato

segreto reso possibile dalla scelta di Erdogan di resistere alle pressioni Usa per l’impiego di truppe di terra. I

libanesi, catturati nell’Arsal, sono a tutt’oggi oggetto di trattative con Beirut, a cui Isis chiede la liberazione

delle jihadiste detenute, inclusa l’ex moglie di al Baghdadi.

La richiesta di riscatti

Ancora in vita è John Cantlie, il britannico che diventa reporter pro-Isis in una serie di video in cui irride la

coalizione: dai falliti blitz ai milioni spesi. Cantlie è un’arma preziosa nella guerra di propaganda per reclutare,

anche qui sostenuto da tecnici video di grandi qualità. Già con Foley, Isis aveva provato a chiedere riscatti

economici ma in segreto. Con i giapponesi Haruna Yukawa e Kenji Goto la richiesta diventa pubblica - 200

milioni di dollari - tradendo la difficoltà nel reperire liquidi a seguito del crollo del greggio.

Poiché Tokyo non paga, Isis mette sul piatto un riscatto umano: la jihadista Sajida al Rishawi detenuta da

Amman, che però reagisce impiccandola. Il pilota giordano Muath Kasasbeh arso vivo è una sfida al re

Abdullah, alleato della coalizione, che si comprende meglio guardando il video dell’esecuzione: disseminato

di notizie top-segret. Nel caso dell’americana Kayla Jean Mueller l’obiettivo tattico è palese: annunciarne la

morte sotto le bombe giordane per innescare tensioni Washington-Amman.

Scudi umani

È un metodo che ricorda l’uso degli scudi umani da parte di Saddam nel 1991. D’altra parte un terzo dei 25

capi militari del Califfato vengono dal Baath iracheno. Sono questi veterani di Saddam, a cominciare dai

generali, al-Turkmani e al-Anbari, a spingere il Califfo all’uso più cinico degli ostaggi. Mentre la malvagità

viene da Omar al-Shishani, il caucasico dai modi spietati che guida i volontari stranieri ed è dunque il diretto

superiore di Jihadi John, il boia con accento di Oxford.

Gli attentati

Di seguito un elenco dei principali attacchi terroristici compiuti dall'ISIS nel mondo18.

18 Tratto da https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Stato_Islamico&oldid=78422525 e fonti annesse.

34

24 maggio 2014, Bruxelles (Belgio): un uomo apre il fuoco all'interno del Museo ebraico della capitale

belga, uccidendo quattro persone.

18 settembre 2014, Sydney (Australia): un uomo viene arrestato durante una serie di incursioni

antiterroristiche, accusato di cospirare con un capo dell'ISIS in Siria.

23 settembre 2014, Melbourne (Australia): un diciottenne simpatizzante dell'ISIS fu ucciso dopo aver

accoltellato due poliziotti davanti alla stazione di polizia di Melbourne.

24 settembre 2014, Algeria: militanti rapiscono e decapitano un turista francese dopo la chiamata

dello Stato Islamico a danneggiare gli europei in rappresaglia per gli attacchi aerei in Iraq e in Siria.

20 ottobre 2014, Montreal (Canada): un venticinquenne che di recente aveva aderito all'Islam

radicale corre verso due soldati uccidendone uno.

22 ottobre 2014, Ottawa (Canada): un islamico convertito spara e uccide un soldato di guardia al

Memorial nazionale della guerra di Ottawa, prendendo poi d'assalto il parlamento del Canada e

sparando molte volte prima di essere ucciso.

23 ottobre 2014, New York (Stati Uniti): un uomo brandendo una scure attacca quattro poliziotti nel

quartiere Queens. L'Isis disse che l'attacco fu un risultato diretto della sua "chiamata" di settembre.

Novembre 2014, Hebron (Cisgiordania): I servizi segreti israeliani bloccano una cellula palestinese

identificata come facente parte dello stato islamico nella città di Hebron.

15 dicembre 2014, Sidney (Australia): un uomo entra in una cioccolateria e prende in ostaggio clienti

e dipendenti del locale. All'arrivo della polizia ne scaturisce una sparatoria che provoca due vittime

oltre al terrorista.

8-9 gennaio 2015, Parigi (Francia): un uomo uccide una poliziotta in centro e quattro persone in un

supermercato ebraico Kosher, sincronizzando i suoi attacchi con l'attentato alla sede di Charlie

Hebdo. Mentre quest'ultimo viene rivendicato da Al-Qāʿida nella Penisola Arabica, gli altri sono

attribuiti allo Stato Islamico.

14-15 febbraio 2015, Copenhagen (Danimarca): un giovane apre il fuoco in un locale dove si teneva

un convegno sulla libertà di espressione e uccide una persona ferendo tre poliziotti, poi si sposta nei

pressi della sinagoga dove ferisce gravemente un ebreo che morirà in seguito. Il terrorista viene

ucciso in seguito dalla polizia. (attentati di Copenaghen).

18 marzo 2015, Tunisi (Tunisia): attentato al museo nazionale del Bardo a Tunisi, tre terroristi

irrompono al Museo nazionale del Bardo sparando sui turisti all'interno e all'esterno del museo,

uccidendo ventidue persone e ferendone quarantacinque. Due dei tre terroristi vengono uccisi dalla

polizia.

18 aprile 2015, Jalalabad_ (Afghanistan): due esplosioni rivendicate dall'Isis provocano la morte di

oltre trentacinque persone.

3 maggio 2015, Dallas (Stati Uniti): due uomini aprono il fuoco con fucili d'assalto a un concorso di

vignette su Maometto ferendo un agente; la sicurezza risponde al fuoco e uccide gli attentatori.

26 giugno 2015, Susa (Tunisia): attentato di Susa, uomini armati sparano sui turisti in spiaggia

provocando trentanove morti.

26 giugno 2015, Kuwait City (Kuwait): nello stesso giorno dell'attacco sulla spiaggia tunisina, un

kamikaze dello Stato Islamico si fa esplodere in una moschea sciita, le vittime sono ventisette.

11 luglio 2015, Il Cairo (Egitto): una bomba scoppia sotto il consolato italiano nella capitale egiziana,

nessun ferito. L'Isis rivendica l'attentato.

20 luglio 2015, Turchia (confine con la Siria): una kamikaze si fa esplodere nella città di Suruç

provocando oltre trenta vittime.

21 agosto 2015, tratta ferroviaria Amsterdam-Parigi: sventato attentato sul treno, un uomo armato

di kalashnikov viene fermato da due militari in borghese prima che potesse compiere una strage.

Feriti un militare e un passeggero.

35

10 ottobre 2015, Ankara (Turchia): un attacco kamikaze dello Stato Islamico durante una marcia della

pace organizzata da filo-Curdi uccide almeno centoventotto persone.

31 ottobre 2015, Sinai (Egitto): un aereo passeggeri russo precipita nel deserto del Sinai uccidendo

tutte le 224 persone a bordo, l'ISIS dichiara sua la responsabilità nell'aver piazzato un ordigno che è

esploso durante il volo disintegrando l'aereo.

4 novembre 2015, Egitto: affiliati del califfato del Sinai in Egitto commettono un attacco suicida

uccidendo quattro poliziotti.

12 novembre 2015, Beirut (Libano): l'ISIS dichiara sua la responsabilità di un doppio attentato suicida

che uccide almeno qurantatre persone in un distretto dello shopping nell'ora di punta a Beirut.

13 novembre 2015, Parigi (Francia): attacco terroristico di Parigi, una serie di attacchi coordinati in

vari punti della città portati a termine da un commando dell'ISIS formato da nove esecutori materiali

e da fiancheggiatori uccidono centotrenta persone e ne feriscono trecentocinquanta. Vengono colpiti

da sparatorie a colpi di Kalasnikov il teatro Bataclan e vari ristoranti e locali nel centro parigino, tre

kamikaze si fanno saltare in aria all'esterno dello Stade de France durante l'amichevole di calcio

Francia-Germania. Si tratta del peggior attentato mai avvenuto in Francia e il secondo più grave in

Europa dopo quelli di Madrid del 2004.

14 novembre 2015, sud-est Turchia: in concomitanza con l'inizio del G20 nella città di Antalya, un

attacco suicida ferisce quattro agenti di polizia.

24 novembre 2015, El Arish (Egitto): autobomba davanti a un hotel provoca sei vittime, tra cui due

giudici. Un gruppo legato all'ISIS rivendica nelle ore immediatamente successive.

24 novembre 2015, Tunisi (Tunisia): lo stesso giorno dell'attacco in Egitto un kamikaze si fa esplodere

su un minibus di guardie presidenziali causando la morte di dodici persone, anche questo attentato

viene rivendicato dall'Isis.

2 dicembre 2015, San Bernardino (Stati Uniti): l'ISIS si attribuisce la responsabilità della strage

compiuta da un uomo e sua moglie all'interno di un centro disabili: le vittime sono quattordici.

6 dicembre 2015, Aden (Yemen): l'Isis rivendica un attacco in cui sono rimasti uccisi il governatore di

Aden e sei guardie del corpo.

1º gennaio 2016, Tel Aviv (Israele): un uomo israeliano di origine araba entra in un pub nel centro

della capitale israeliana e apre il fuoco uccidendo due persone e ferendone una decina, prima di

fuggire; nei giorni successivi verrà individuato e ucciso dalla polizia. In seguito l'ISIS dichiarerà che

l'attentatore era un proprio sostenitore.

7 gennaio 2016, Zliten (Libia): un camion bomba viene lanciato contro un centro di addestramento

di polizia, provocando 74 vittime. L'azione viene immediatamente rivendicata dal califfato islamico,

nel pieno di una nuova offensiva nel Paese nord-africano.

11 gennaio 2016, Baghdad (Iraq): una ventina di uomini armati fanno irruzione in un centro

commerciale aprendo il fuoco, dopo aver fatto esplodere un ordigno all'esterno. I morti sono 38, 18

civili, oltre ai 20 terroristi uccisi dalla polizia. Nello stesso giorno un uomo si fa saltare in aria in un

casinò nell'est del Paese a 80 km dalla capitale, all'arrivo dei soccorsi viene fatta esplodere un

autobomba all'esterno provocando una strage: almeno 23 le vittime. Lo Stato Islamico rivendica

entrambi gli attacchi in un comunicato.

12 gennaio 2016, Istanbul, (Turchia): un kamikaze si fa esplodere nel cuore della capitale in una zona

turistica, uccidendo 10 turisti tedeschi e ferendo altre 15 persone. L'ISIS ne rivendica anche in questo

caso la responsabilità.

14 gennaio 2016, Giacarta (Indonesia): un commando di terroristi tiene sotto assedio per ore la

capitale indonesiana, con esplosioni di bombe e sparatorie, provocando la morte di due persone e

diversi feriti. Cinque attentatori che si erano asserragliati in un edificio dove vi è situata una sede

dell'ONU vengono uccisi dalla polizia. L'ISIS rivendica nuovamente gli attentati terroristici. Il Paese

36

nel mirino dell'estremismo islamico da anni prevalentemente da parte di Al Qaeda, subisce così il

primo attacco dello Stato Islamico.

I Foreign Fighters

Riportiamo un articolo di Claudio Galzerano19 pubblicato su Poliziamoderna di marzo 2014.

Foreign fighters

Militanti islamisti europei vanno ad ingrossare le fila dei gruppi terroristici.

Tra le molteplici, drammatiche conseguenze connesse alla spiralizzazione del conflitto siriano, la comunità

internazionale della sicurezza ha da tempo richiamato l’attenzione su un fenomeno in particolare, quello dei

militanti islamici che dai Paesi dell’Unione Europea raggiungono il teatro delle operazioni per partecipare alle

ostilità.

Questi viaggi del jihad, compiuti cioè da militanti “europei” per combattere all’estero tra le fila di milizie che

utilizzano metodi terroristici in conflitti non convenzionali, non sono un fenomeno del tutto nuovo, anzi.

Già negli Anni ’80 e ’90, poi ancora nello scorso decennio, i Servizi antiterrorismo di mezza Europa

documentarono con le loro indagini l’esistenza di un vasta attività di reclutamento, spesso effettuata

all’ombra delle moschee più radicali stanziate nel vecchio continente, finalizzata a istradare giovani

mujahedin verso zone caratterizzate da conflitti interetnici e religiosi.

Dalla regione afgano-pakistana al Nord Africa, dal Caucaso all’Iraq, ovunque in pratica le fazioni islamiche

locali avessero impugnato le armi per abbattere le istituzioni sostituendole con emirati islamici fondati

sull’applicazione integrale della shari’a (legge islamica), si assistette già allora ad un consistente flusso di

aspiranti combattenti provenienti dall’Europa (vedi Poliziamoderna aprile 2012, ndr).

Quella che risulta veramente nuova, rispetto all’attuale conflitto siriano, è la dimensione numerica assunta

dal fenomeno.

Polarizzando i mai sopiti istinti ribellisti-jihadisti presenti nella quota più esasperata degli ambienti

integralisti islamici europei, la Siria ha finito per costituire un ampio canale di sfogo in cui sono confluiti non

solo vecchi protagonisti della scena islamista europea – spesso già indagati, processati, condannati ed espulsi

per le loro attività terroristiche – ma anche le nuovissime leve della cosiddetta inspire generation. Con questo

termine si individua una specifica categoria di militanti, in genere estranei agli ordinari circuiti delle moschee,

19 Direttore 2^ divisione del Servizio centrale antiterrorismo della Dcpp/Ucigos, presidente del Terrorism working group del Consiglio Europeo durante il semestre di Presidenza italiana.

37

all’apparenza isolati, talvolta autoctoni, privi di connessioni evidenti con i network terroristici internazionali,

la cui adesione incondizionata ad una visione jihadista dell’Islam è conseguenza diretta della propaganda

radicale diffusa in Rete grazie a magazine esclusivamente online come Inspire.

Attraverso questa curatissima rivista web ideologi radicali del calibro di Anwar al-Awlaqi – il cittadino

americano di origine yemenita ucciso in Yemen da un drone statunitense nel settembre 2012 – sono riusciti

nell’intento di inoculare in tanti giovani musulmani residenti in Occidente rapidi processi di radicalizzazione,

trasformandoli in veri e propri mujahedin internauti e aprendo di fatto loro la strada verso scenari di conflitto,

come quello siriano, dove vanno ad ingrossare le fila dei gruppi qaedisti Jabhat al-Nusra e Stato islamico

dell’Iraq e del Levante (ISIL).

In una di queste organizzazioni sembrerebbe militare, dal settembre del 2013, un immigrato marocchino

21enne della provincia di Brescia, protagonista di un rapido percorso di radicalizzazione jihadista su Internet

che aveva attirato l’attenzione dell’Antiterrorismo.

Questo ragazzo – nom de guerre di Anas al Italy (Anas l’Italiano) – infatti aveva creato un blog, Sharia4Italy,

con cui manteneva contatti con i vertici del movimento islamico ultra radicale pan-europeo Sharia4, stanziati

in Belgio. Arrestato, nella sua abitazione a Vobarno, nel giugno dello scorso anno per addestramento con

finalità di terrorismo, Anas al Italy era stato rimesso in libertà dal tribunale del riesame dopo circa un mese

di detenzione. L’autorità giudiziaria, pur avendo riconosciuto le sue posizioni radicali, aveva infatti ritenuto

che questi non fosse in procinto di attuare concreti programmi di violenza.

In chiave di prevenzione, il fenomeno dell’afflusso verso la Siria di questa tipologia di militanti islamici desta

forti preoccupazioni per più di un motivo. Europol, nel suo rapporto sul terrorismo 2013, e il coordinatore

antiterrorismo dell’UE, Gilles De Kerchove, hanno già da tempo reso pubblico il timore delle istituzioni

europee circa il fatto che questa diaspora di combattenti abbia in sè il potenziale di creare una futura ondata

di terrorismo capace di minacciare gli Stati dell’Unione.

Le incognite connesse al fenomeno del ritorno dei reduci dalle zone di conflitto (cosiddetto reducismo)

risiedono soprattutto nella considerazione che questi ex combattenti, forti delle capacità operative e del

carisma acquisiti sul campo, possono contribuire al processo di radicalizzazione di individui più vulnerabili,

così come alla costituzione di reti attive nel reclutamento e nell’instradamento di volontari o, addirittura, alla

pianificazione di progettualità terroristiche autonome o dettate dai gruppi nei quali hanno militato.

Secondo cifre rese note nel dicembre del 2013 dalla presidenza lituana del Consiglio dell’Unione Europea, il

numero dei foreign fighters che hanno lasciato l’Europa alla volta della Siria ammonterebbe a circa 2.000

militanti.

Sempre il rapporto di EuropoI sul terrorismo 2013 evidenzia come importanti operazioni di polizia connesse

alla partenza o al ritorno di militanti islamisti dal quadrante siriano siano state condotte soprattutto in Belgio,

Francia, Olanda e Regno Unito, Paesi questi dove la problematica è fortemente preoccupante. Analogamente

ad altri Paesi dell’Europa meridionale, il fenomeno ha per il momento assunto in Italia dimensioni

numericamente piuttosto modeste..

Al netto della dozzina o poco più di militanti nazionalisti siriani oppositori del regime di Assad tornati in patria

per unirsi al Free Syrian Army, la presenza sul fronte siriano di jihadisti partiti, transitati o comunque, a vario

titolo, collegati all’Italia è da stimarsi intorno a poche unità.

Con l’eccezione della drammatica vicenda del ventiquattrenne genovese Giuliano Delnevo, convertitosi

all’Islam col nome di Ibrahim, rimasto ucciso nei pressi di Aleppo all’inizio del maggio 2013 in uno scontro

che vedeva impegnata la milizia a guida cecena in cui il giovane militava, si tratta per lo più di stranieri che

risiedono o hanno risieduto nel nostro Paese, alcuni dei quali già emersi in precedenti attività di settore.

38

Allo stato, le indagini non hanno confermato la presenza di filiere stabili attive nel nostro Paese

nell’instradamento di estremisti verso la Siria.

L’impegno del Servizio centrale antiterrorismo della Dcpp/Ucigos nel sistematico monitoraggio del

fenomeno, implementato anche grazie allo scambio informativo con il comparto nazionale intelligence e con

gli uffici antiterrorismo del Police working group on terrorism (Pwgt), ha consentito di individuare foreign

fighters che, partendo dagli altri Paesi europei, hanno utilizzato il territorio nazionale come hub per

raggiungere o ritornare dal conflitto siriano.

Su questo fronte, un importante risultato investigativo è stato colto con il rintraccio – operato dalla polizia

di frontiera il 16 gennaio scorso nel porto di Ancona – del foreign fighter franco-tunisino Abdelkader Tliba,

destinatario di un mandato di cattura europeo emesso dalla Francia per associazione con finalità di

terrorismo.

L’arresto dello straniero – estradato in Francia il 31 gennaio scorso, a sole due settimane dall’arresto – si

inserisce nel contesto di una vasta indagine da tempo sviluppata in Francia anche con la collaborazione del

Servizio centrale antiterrorismo della Dcpp/Ucigos in seguito allo smantellamento, nell’ottobre del 2012, di

una cellula radicale islamica stanziata tra le città di Strasburgo, Torcy e Cannes.

Il capo della cellula, l’antillano 33enne Jeremy Louos-sidney, responsabile tra l’altro di un attacco

dinamitardo perpetrato il 19 settembre 2012 contro una drogheria kosher di Sarcelles (periferia di Parigi),

era rimasto ucciso in uno scontro a fuoco con la polizia il successivo 6 ottobre 2012.

Proprio al settembre del 2012 si deve far risalire la partenza di Abdelkader Tliba verso la Siria, avvenuta

grazie alla filiera di istradamento di combattenti jihadisti facente capo al defunto Jeremy Lous-Sidney.

Sulla scorta della dimensione paneuropea del fenomeno dei foreign fighters, Consiglio e Commissione

Europea hanno già segnalato la necessità di ampliare lo spettro delelle misure preventive per il loro

monitoraggio (rafforzamento dei controlli di frontiera, introduzione di un Pnr europeo ecc.) e di attuare

misure di dissuasione basate sul dialogo e sul contrasto della radicalizzazione.

In attesa della verifica di fattibilità circa l’introduzione nel quadro giuridico comunitario della

criminalizzazione dei viaggi effettuati con finalità di terrorismo, l’Italia ha dal canto suo intenzione di

contribuire fattivamente al potenziamento degli interventi di natura preventiva proponendo, nell’ambito del

prossimo semestre di presidenza italiana del Gruppo terrorismo (Twp), la costituzione di squadre

multinazionali ad hoc con il fine di mettere a disposizione degli Stati membri effettivamente interessati dal

fenomeno dei foreign fighters uno strumento specifico che consenta un più efficace scambio informativo con

finalità operative.

Dati

Membri noti20

Membri attuali

Abu Bakr al-Baghdadi ("Emiro" autoproclamato dello Stato Islamico dell'Iraq nel 2010 e califfo dello

Stato Islamico dal 29 giugno 2014)

Abū ʿAlī al-Anbārī (vice comandante in Siria)

Abū Muḥammad al-ʿAdnānī (portavoce ufficiale)

Abū ʿOmar al-Shishānī (comandante ceceno in Siria)

Abū Waḥib (guerrigliero nel governatorato di al-Anbar, Iraq)

20 Tratto da https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Stato_Islamico&oldid=78422525

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Jihadi John (membro dello Stato Islamico britannico, presente in alcuni video di decapitazioni.

Risulterebbe ucciso in un raid aereo americano il 13 novembre del 2015, notizia poi confermata

dallo stesso Stato Islamico il 19 gennaio 2016)

Abū Yūsuf (comandante superiore per la sicurezza)

Abū Sulaymān al-Nāṣir ("ministro" della guerra)

Ex comandanti

Abū Muṣʿab al-Zarqāwī (ucciso nel 2006)

Abū Ayyūb al-Maṣrī (ucciso nel 2010)

Abū ʿOmar al-Baghdādī, anche noto come Abū ʿAbd Allāh al-Rāshid al-Baghdādī (ucciso nel 2010)

Abū Muslim al-Turkmanī (vice comandante in Iraq, ucciso nel 2014)

Ex membri

Abū Anas al-Shāmī (ucciso nel 2004)

Abū ʿAzzām (ucciso nel 2005)

Abū ʿOmar al-Kurdī (catturato nel 2005)

ʿAbd al-Hādī al-'Irāqī (catturato nel 2006)

Shaykh ʿAbd al-Raḥmān (ucciso nel 2006)

Ḥāmid Jumʿa Fāris Jurī al-Saʿīdī (catturato nel 2006)

Abū Yaʿqūb al-Maṣrī (ucciso nel 2007)

Haytham al-Badrī (ucciso nel 2007)

Khālid al-Mashhadānī (catturato nel 2007)

Māhir al-Zubaydī (ucciso nel 2008)

Muḥammad Mūmū (ucciso nel 2008)

Huthayfa al-Batawī (ucciso nel 2011)

Modalità di finanziamento di Daesh21

Uno studio di duecento documenti (lettere personali, note spesa e registri dei membri) appartenenti ad al-

Qaida in Iraq e all'ISIS stesso è stato effettuato dalla RAND Corporation nel 2014. Si è scoperto che tra il 2005

e il 2010 le donazioni dall'estero arrivavano solo al 5% del capitale a disposizione del gruppo, il resto veniva

raccolto in Iraq. Nel periodo di tempo studiato, alle cellule era richiesto d'inviare fino al 20% degli introiti

derivanti da rapimento, estorsione e altre attività, al livello superiore della gerarchia del gruppo. I comandanti

di grado più alto avrebbero poi distribuito i fondi alle celle provinciali o locali che si trovavano in difficoltà o

avevano bisogno di soldi per condurre gli attacchi. I dati mostrano che per il denaro liquido ISIS contava su

membri di Mossul, la cui dirigenza era usata per elargire ulteriori fondi ai miliziani di Diyāla, Ṣalāḥ al-Dīn

(Salahuddin) e Baghdād che si trovavano in difficoltà.

Nella metà del 2014 lo spionaggio iracheno ha ottenuto informazioni da un membro dell'ISIS, il quale ha

rivelato che le risorse del gruppo ammontano a due miliardi di dollari statunitensi. L'ISIS è così il più ricco

gruppo jihadista del mondo. Alcune voci dicono che circa tre quarti di questa somma è rappresentata da

risorse di cui il gruppo si è impadronito durante la presa di Mossul nel giugno del 2014; queste includono fino

a 429 milioni di dollari rubati dalla banca centrale di Mossul, assieme ad altri milioni e a una grande quantità

di lingotti d'oro rubati da altre banche di Mossul. È stato però messo in dubbio il fatto che l'ISIS abbia potuto

recuperare una somma così imponente dalla banca centrale e abbia realizzato le rapine in banca di cui è

accusata.

21 Fonte: testo Wikipedia (vedi nota precedente), immagine https://www.forexinfo.it/ISIS-tutte-le-fonti-di

40

L'ISIS ha regolarmente praticato l'estorsione, ad esempio domandando denaro ai camionisti, minacciandoli

di far esplodere il loro carico. Le rapine in banca e alle gioiellerie sono state altre fonti di guadagno. È risaputo,

inoltre, che il gruppo abbia ricevuto

fondi da donatori privati dagli Stati

del Golfo, e sia il primo ministro

iraniano sia quello iracheno Nuri al-

Maliki hanno accusato l'Arabia

Saudita e il Qatar di finanziare l'ISIS,

senza però fornire prove.

Si pensa che il gruppo riceva dei

considerevoli finanziamenti dalle

sue operazioni nella Siria orientale,

dove ha sequestrato campi

petroliferi e contrabbandato

materiali grezzi e beni archeologici.

ISIS guadagna denaro anche dalla

produzione di petrolio greggio e

vendendo energia elettrica nella

Siria settentrionale e al governo

siriano. Fin dal 2012 l'ISIS ha

prodotto rapporti annuali dando

informazioni numeriche sulle sue

operazioni in uno stile che ricorda i

report aziendali, incoraggiando

potenziali donatori.

Come si vive nel Califfato

Riportiamo un articolo comparso22 su lastampa.it che spiega come si vive nel Califfato islamico.

Cavi elettrici riparati, affitti calmierati, marciapiedi verniciati, norme per proteggere la pesca, partorire negli

ospedali ma anche sul bando di prodotti Apple, le punizioni feroci, la vendita di protesi, e il diktat ai cristiani:

ad un anno dalla proclamazione il Califfato si distingue non solo per l’efferato terrore imposto ai circa 12

milioni di sudditi ma anche per l’impegno logistico ed amministrativo teso a migliorare le strutture pubbliche,

cercando di cementare il consenso per il potere assoluto. Regolando in maniera capillare ogni aspetto della

vita quotidiana. Ecco alcuni esempi, frutto di testimonianze e documenti raccolti dal ricercatore britannico

Aymenn Jawad Al-Tamimi, che descrivono come il Califfo gestisce il proprio territorio.

Il costo per partorire negli ospedali

L’amministrazione medica del Wilayat (Provincia) al-Kheir, l’ex siriana Deir az-Zor, ha stabilito i costi da

sostenere per far nascere i bambini in ospedale: 80 dollari per il parto cesareo e 55 per quello naturale con

la possibilità di tenere, in entrambi i casi, i bebè ricoverati nelle 12 ore seguenti alla nascita.

Pesca senza fare uso di esplosivi

L’intento nel Wilayat dell’Eufrate è «garantire l’abbondanza di pesci» e dunque vengono vietati lungo i fiumi

«l’uso della corrente elettrica, di materiali esplosivi e di tossine chimiche» perché «uccidono troppi pesci e

22 http://www.lastampa.it/2015/06/28/esteri/regole-divieti-e-punizioni-cos-si-vive-nel-califfato-pJtmaxHPfQk0MTuB8bGIxH/pagina.html

41

rischiano di avvelenare ciò che altri mangeranno». È inoltre vietato «pescare durante la riproduzione dei

pesci» perché «distruggere le uova significa nuocere alla futura abbondanza di pesce».

Marciapiedi verniciati e fognature

Nel Nord della Siria il Califfato assicura ai residenti del Wilayat di Raqqa il ripristino dell’elettricità, la

realizzazione di impianti fognari «nel sottosuolo» e la verniciatura dei marciapiedi «per migliorare la vita dei

residenti».

Limiti ai profitti dei farmacisti

Tutte le farmacie del Califfato devono far avere alle amministrazioni locali i titoli di studio dei farmacisti e

non possono imporre alla clientela «aumenti di prezzo superiori al 20 per cento dell’etichetta».

Le scuole dell’obbligo a Raqqa

Nella maggiore città del Califfato in Siria le scuole dell’obbligo durano 9 anni, divise in 5 di elementari e 4 di

superiori. Dopo avviene la «selezione per college e atenei». Gli insegnanti devono aver seguito «un corso

preparatorio di 10 mesi» che include «60 giorni di lezioni sulla Sharia» e la firma di un documento finale di

«pentimento» per quanto fatto in passato contravvenendo alle norme dell’Islam.

Memorizzazione del Corano

Il comitato per l’«Insegnamento del Nobile Corano» prevede che ogni insegnante frequenti un corso a due

livelli, memorizzando prima «5 parti» e poi «3 parti» dimostrando una «corretta recitazione del testo». Per

frequentare bisogna avere fra 18 e 40 anni, senza assentarsi «se non quando la Sharia prevede».

Offerte di lavoro «qualificato»

Nella provincia di Raqqa gli uffici di collocamento offrono lavoro a chi è «qualificato» in «Scienze della

Sharia», contabilità, computer, amministrazione d’affari, educazione scientifica ed umanistica, preparazione

di insegnanti. Inoltre, il «Centro Hisbah» della polizia islamica cerca veterinari, guardie, ispettori sanitari,

macellai, boia «per tagliare le gole» e «addetti alle pulizie».

Limiti al movimento delle donne

Le donne sotto i 50 anni non possono uscire dai confini di Raqqa senza permessi e documenti di transito

emessi dalla polizia islamica, gli è «proibito» recarsi «nelle terre degli infedeli eccetto assolute urgenze

mediche». Le donne anziane non sono obbligate ad indossare l’hijab. Le donne possono salire e scendere

dagli autobus solo nei garage delle apposite fermate.

Le donne mostrino solo un occhio

La fatwa numero 40 del Califfato prevede che «mogli, figlie e donne dei credenti devono indossare all’esterno

abiti che non le facciano riconoscere o violentare». Per questo «le donne devono coprire i loro volti sin da

sopra la testa, mostrando solo l’occhio sinistro».

I reclami dei cittadini per i risarcimenti

Il Wilayat della provincia di Aleppo prevede che «chi ha subito torti e danni, personali o nelle proprietà, da

soldati o dirigenti dello Stato Islamico» può sottomettere dei «reclami» per ottenere «risarcimenti». Di

conseguenza a «soldati e dirigenti» viene chiesto di «fare attenzione ad evitare oppressione e aggressione

nei confronti dei cittadini» perché «vi saranno conseguenze anche nella vita futura».

L’ultimatum ai cristiani di Mosul

Emesso a Mosul dal Wilayat di Ninawa, offre ai «fedeli del Nazareno» tre scelte: «Convertirsi all’Islam,

accettare il patto di sottomissione pagando la tassa annuale “jizya” o “se rifiutano andranno incontro alla

spada».

Il divieto ai prodotti Apple

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Si tratta di una disposizione del Califfo «a tutte le province, le sotto province ed i comitati locali» perché

«nell’interesse pubblico di proteggere le anime dei credenti» e «combattere i crociati» viene decretato il

«bando di ogni dispositivo elettronico con il gps» a cominciare da «telefoni, tablet e computer di Apple»

capaci di «creare gravi rischi a tutti».

La sharia

Per chi viola le norme della Sharia le punizioni sono le più feroci. La blasfemia è punita con la morte e se

l’insulto è nei confronti del Profeta «neanche il pentimento può salvare». L’adulterio è punito con la

lapidazione, l’omosessualità con la morte «sia dell’attivo sia del passivo», il furto con l’amputazione della

mano, bere il vino con 80 frustate, uccidere e rubare con la morte per crocifissione e «diffondere paura» con

l’«espulsione dal territorio».

Niente autostop sui camion

Nella provincia di Ninawa, in Iraq, camion e furgoncini hanno il divieto di dare passaggi a soldati o esponenti

del Califfato. È una misura tesa ad evitare che diventino obiettivi dei droni.

Affitti calmierati

Nel Wilayat dell’Anbar in Iraq, il Califfato stabilisce un tetto massimo di 84 dollari al mese per gli affitti di

case, circa un terzo del valore precedente perché «tocca ad Allah occuparsi delle cose materiali» mentre i

mujaheddin devono combattere.

Marchi contraffatti

Vendere prodotti con etichette falsificate è «proibito dal legislatore Maometto» perché si tratta di «un

inganno»: «chi vende deve spiegare con cura di dettagli produzione e provenienza».

Riflessione

Ci abbiamo lavorato parecchio ad un dossier sullo “Stato Islamico”, destinato ad essere aggiornato con lo

sviluppo degli eventi, speriamo possa essere una guida di riferimento nell’intricata questione. Per concludere

questo breve percorso vorrei proporre una breve analisi, giornalistica, non sarei in grado di sostenerne una

di rigore scientifico, richiamandomi ad alcuni concetti di antropologia per inquadrare meglio la questione.

Infatti se le dinamiche che hanno portato alla formazione dell’entità “Stato Islamico” sono molte e vanno

ricercate nella storia del popolo iracheno e di quello siriano, non si può trascurare la riflessione sulla loro

cultura e sui meccanismi sociali-antropologici che si instaurano nei periodi di crisi. Non è infatti un caso che

l’organizzazione abbia scelto di richiamarsi al califfato e al salafismo, islam sunnita integralista che si rifà alle

prime generazioni mussulmane dopo Maometto, e che Ibrāhīm ʿAwwād Ibrāhīm ʿAlī al-Badrī al-Sāmarrāʾī si

faccia chiamare Abū Bakr al-Baghdādī, omaggio ad Abu Bakr, primo califfo dell’Islam: per l’antropologia una

società in crisi tende a riproporre modelli vincenti, sia a livello politico, che, soprattutto, a livello culturale là

dove la società in crisi si rivolge alla tradizione per trovare elementi vincenti (e per questo tramandati da

essa) che permettano di conservare l’identità del popolo, che è aggregante.

Non si pensi però che questo richiamo ai primi tempi dell’Islam sia un tentativo di ritorno ad una sorta di

“Medioevo islamico”, o che Daesh sia in qualche modo “antico”: è invece moderno, qualcuno azzarderebbe,

non a torto, per alcuni aspetti, postmoderno, basti pensare alla diffusione propagandistica tramite video

montati ad arte e alla presenza dell’organizzazione sui social media. Ma non può dirsi neppure pienamente

omologato alla civiltà moderno-occidentale con cui in effetti si pone in contrasto, anzitutto violando il

paradigma della convivenza multiculturale che vige nel nostro mondo globalizzato, per cui tutte le culture

coesistono pacificamente: l’Islamismo jihadista ha richiamato più di una volta ad uno scontro diretto,

ottenendo in cambio il biasimo dell’Islam moderato occidentale (e.g. il CAIM).

Ciò permette di considerare un altro aspetto interessante della questione: l’efferata violenza del gruppo

terroristico colpisce anche altri mussulmani, sia gli sciiti (e.g. attentato alla moschea di Najaf) per motivi

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religiosi, che i ribelli sunniti siriani e i mussulmani moderati, vittime ad esempio di alcuni degli attentati in

Occidente. Daesh è infatti anzitutto un gruppo con una fortissima tendenza integralista, su quest’ultimo

punto e sul rapporto intransigenza-Islam dovrebbe sorgere una riflessione. L’Islam, in effetti, che non nasce

intransigente, ha delle predisposizioni a diventarlo più facilmente che la cultura Occidentale. Questo accade

perché nella cultura musulmana il concetto di laicità e di separazione della sfera civile da quella religiosa

(riassumibile nel Date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio) è del tutto assente. Ciò genera

un’idealizzazione della legge come precetto trascendente e dunque non contempla la possibilità di mutarla,

conducendo all’integralismo, oltre che all’identificazione delle istituzioni statali con organi religiosi

(teocrazia). Tuttavia quella dell’integralismo resta una scelta, e non una prassi.

Il sedicente Stato Islamico, il cui cambio di nome nel 2014 (da ISIS/ISIL) ne tradisce la volontà espansionistica

di “creazione di un califfato mondiale”, confinato in Medioriente non rappresenta una vera e propria

minaccia politica in Occidente: sia a livello locale, con l’Iran ed Israele, che internazionale vi sono una serie di

nazioni pronte ad intervenire un’eccessiva espansione territoriale oltre la Siria e l’Iraq. E questione minore

sarebbero le possibili discussioni al Consiglio di Sicurezza, soprattutto USA-Russia, sulle eventuali modalità di

intervento.

Ma il vero problema legato all’islamismo sunnita per l’Occidente sono i lupi solitari – in gergo giornalistico -,

i terroristi nati e/o cresciuti in Europa, spesso convertiti in moschee integraliste, pronti a commettere

attentati anche mortali in nome della causa islamista. Questo fatto si può spiegare con una delle

caratteristiche del già citato postmodernismo, la perdita dell’identità e del senso dell’esistenza stessa. A

sposare la causa di Daesh sono infatti persone disposte a rischiare la vita, ma non per disprezzo verso di essa,

ma per caricarla, con la morte, di senso: in qualche modo, per loro, dei martiri.

Resta ancora aperta la questione dello Stato Islamico, che è riuscito a cambiare in pochi anni gli equilibri –

precari – del mondo del terzo millennio, che colpisce per l’efferata violenza e che si dichiara anti-Occidentali,

pur utilizzando gli stessi linguaggi comunicativi. Si propone con questo fenomeno un’occasione (necessaria)

di riconciliazione dell’Occidente con sé stesso, alla ricerca, che potrebbe essere riscoperta, di un’identità che

ha visto sfumare negli ultimi decenni e che ha portato alla crisi del proprio modello culturale, di

interpretazione della realtà, tanto che qualcuno è arrivato a rifiutare il concetto stesso di modello, crisi anche

di valori e dell’umano.

Sommario e fonti

Fonti

Storia del Medioriente

http://doceo.pbworks.com/w/file/fetch/65728710/decolonizzazione.pdf

http://www.limesonline.com/i-confini-del-medio-oriente-dopo-la-prima-guerra-mondiale/66192

https://it.wikipedia.org/wiki/Arabia_Saudita#Storia

https://it.wikipedia.org/wiki/Iran#Rivoluzione_costituzionale_e_Reza_Shah

https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_del_Golfo#Il_dopoguerra

http://www.fisicamente.net/ISR_PAL/index-1225.htm

http://www.ecn.org/reds/guerra/iraq/iraq0210storia.html

http://www.partitodialternativacomunista.org/dmdocuments/Marceca-%20Nazionalismo%20arabo.pdf

http://www.sirialibano.com/siria-2/unita-liberta-socialismo-il-pensiero-politico-di-michel-aflaq.html

http://www.saylor.org/site/wp-content/uploads/2011/06/Nasserism.pdf

http://documentazione.altervista.org/usa_iraq_descret.htm

http://www.saylor.org/site/wp-content/uploads/2011/08/HIST351-11.1.4-Iran-Iraq-War.pdf

http://www.treccani.it/scuola/lezioni/in_aula/storia/esame/12.html

44

Cultura

http://www.corsodireligione.it/religioni/islam/islam_politica.htm

Lo Stato Islamico

https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Guerra_d%27Iraq&oldid=77747283

https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Politica_dell%27Iraq&oldid=78359777

http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/da-al-qaida-Iraq-aqi-al-califfato-una-storia-di-sangue-11103

http://www.lastampa.it/2015/06/28/esteri/regole-divieti-e-punizioni-cos-si-vive-nel-califfato-

pJtmaxHPfQk0MTuB8bGIxH/pagina.html

http://aulalettere.scuola.zanichelli.it/argomenti/isis-lo-stato-islamico-settembre-

2014/?id_tipo=401&pag=4

https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Primavera_araba&oldid=78348408

https://www.youtube.com/watch?v=cokQDfetJsk

https://www.youtube.com/watch?v=c262Z_d9tHE

https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Stato_Islamico&oldid=78422525

https://www.forexinfo.it/ISIS-tutte-le-fonti-di

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Sommario

Sommario Prefazione .......................................................................................................................................................... 2

Introduzione e struttura ................................................................................................................................ 2

Perché “Daesh”? ............................................................................................................................................ 2

La Cultura Islamica ............................................................................................................................................. 2

L’Islam ............................................................................................................................................................ 2

Introduzione .............................................................................................................................................. 2

Maometto e la nascita dell’Islam .............................................................................................................. 3

Terminologia di riferimento ...................................................................................................................... 4

La Religione e la Politica ................................................................................................................................ 4

Musulmani liberali e musulmani fondamentalisti ..................................................................................... 5

Il progetto politico della religione islamica ............................................................................................... 6

La guerra e l'Islam ...................................................................................................................................... 6

L'emigrazione dalle "terre di Islam". ......................................................................................................... 7

Eguaglianza fra gli uomini nell'Islam.......................................................................................................... 7

L'accordo costituzionale fra cristiani e comunità islamica (632 d.C) ......................................................... 8

Lo statuto di ebrei e cristiani e induisti nelle terre d'islam. ...................................................................... 9

Il Patto di Omar, IX sec. a.C........................................................................................................................ 9

Lo statuto dei non credenti e dei politeisti. ............................................................................................ 11

Lo statuto degli "apostati", coloro che lasciano l'Islam per altre religioni. ............................................. 11

La divisione tra terre d'islam e di miscredenza oggi. ............................................................................... 12

L'emigrazione obbligatoria ...................................................................................................................... 13

Gli integralismi- fondamentalismi- integrismi ......................................................................................... 13

I Curdi .......................................................................................................................................................... 14

Chi sono i Curdi? ...................................................................................................................................... 14

Le Origini .................................................................................................................................................. 15

Novecento (XX secolo) ............................................................................................................................. 15

I Curdi in altri paesi .................................................................................................................................. 16

La nascita del Medioriente nel suo assetto attuale......................................................................................... 16

Situazione agli inizi del Novecento .............................................................................................................. 16

L’Indipendenza degli stati mediorientali ..................................................................................................... 18

Indipendenza della Turchia e della Giordania ......................................................................................... 18

Nascita dell'Arabia Saudita moderna ...................................................................................................... 18

Indipendenza dell’Iran e sviluppi ............................................................................................................. 18

Indipendenza dell’Iraq e sviluppi: ............................................................................................................ 19

46

Guerra Iran-Iraq ........................................................................................................................................... 20

L'aggressione ........................................................................................................................................... 20

Il protrarsi della guerra e la politica dell'Occidente ................................................................................ 20

Incidenti internazionali ............................................................................................................................ 21

La Prima Guerra del Golfo ........................................................................................................................... 21

L'occupazione: tra propaganda e ragioni economiche ............................................................................ 21

Il ruolo dell'Arabia Saudita ...................................................................................................................... 22

La risoluzione Onu e la coalizione ........................................................................................................... 22

17 gennaio: Scatta l'Operazione Tempesta nel Deserto ......................................................................... 22

Vittime e Sindrome della Guerra del Golfo ............................................................................................. 23

Le condizioni di Bush ............................................................................................................................... 23

La Seconda Guerra del Golfo ....................................................................................................................... 23

Premessa ................................................................................................................................................. 23

Il dibattito sulla guerra ............................................................................................................................ 24

La diplomazia ........................................................................................................................................... 24

La guerra in Iraq ....................................................................................................................................... 25

Lo “Stato Islamico” .......................................................................................................................................... 26

Situazione in Iraq ......................................................................................................................................... 26

Sotto Saddam .......................................................................................................................................... 26

Al-Zarkawi ................................................................................................................................................ 27

Dall’AQI all’IS ........................................................................................................................................... 28

La Siria .......................................................................................................................................................... 29

La Primavera Araba.................................................................................................................................. 29

Cause e scoppio della guerra civile sino a Ginevra 2 ............................................................................... 30

Dopo la conferenza .................................................................................................................................. 31

Sviluppi recenti ............................................................................................................................................ 32

Gli ostaggi e la propaganda ..................................................................................................................... 32

Gli attentati .............................................................................................................................................. 33

I Foreign Fighters ..................................................................................................................................... 36

Dati .............................................................................................................................................................. 38

Membri noti ............................................................................................................................................. 38

Modalità di finanziamento di Daesh........................................................................................................ 39

Come si vive nel Califfato ........................................................................................................................ 40

Riflessione .................................................................................................................................................... 42

Sommario e fonti ............................................................................................................................................. 43

Fonti ............................................................................................................................................................. 43

47

Sommario .................................................................................................................................................... 45

Realizzato da Michela Loguercio, Erica Trotta e Paolo Franchi.

V BC - Liceo G. Valerio Catullo - A.S. 2015/2016

gscatullo.altervista.org