D, recante“Disposizioni per Costituzione”, già approvato ... · Parlamento, Sesa Amici. ... e...

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1 Disegno di legge n. C.2613-D, recante“Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della Costituzione”, già approvato senza modificazioni, in terza lettura dal Senato e in seconda lettura dalla Camera TERZA LETTURA CAMERA _ Trattazione in Aula

Transcript of D, recante“Disposizioni per Costituzione”, già approvato ... · Parlamento, Sesa Amici. ... e...

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Disegno di legge n. C.2613-D, recante“Disposizioni per

il superamento del bicameralismo paritario, la

riduzione del numero dei parlamentari, il

contenimento dei costi delle istituzioni, la soppressione

del CNEL e la revisione del Titolo V della

Costituzione”, già approvato senza modificazioni, in

terza lettura dal Senato e in seconda lettura dalla

Camera

TERZA LETTURA CAMERA _ Trattazione in Aula

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INDICE COMMISSIONI

INDICE COMMISSIONI 2

Discussione in Commissione 3

Martedì 5 aprile 2016 4

Mercoledì 6 aprile 2016 11

Giovedì 7 aprile 2016 19

3

Discussione in Commissione

Terza lettura Camera – Testo licenziato il 7 aprile 2016

Discussione sulle linee generali del disegno di legge costituzionale: C. 2613-D

Numero seduta e data

Fase procedimento e dibattito Interventi

Seduta 5 aprile 2016

(Discussione, pag. 15)

Discussione sulle linee generali A.C. 2613-D

pag. 15

Interventi

Seduta 6 aprile 2016

(Discussione, pag. 8)

Ripresa discussione sulle linee generali A.C.

2613-D pag. 8

Interventi

Seduta n. 606 del 7 aprile

2016 (Seguito della

discussione ed

approvazione, pag. . 6)

Dichiarazioni di voto finale A.C 2613-D pag.

. 6

Interventi

4

Camera

Commissione

5 aprile 2016

Emanuele FIANO (PD), relatore, ....................................................................................................... 5

Danilo TONINELLI (M5S)................................................................................................................. 7

Giuseppe LAURICELLA (PD) ........................................................................................................... 8

Maurizio BIANCONI (Misto-CR), ..................................................................................................... 8

Mara MUCCI (Misto) ........................................................................................................................ 9

Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, ................................................................................... 10

5

Camera

Commissione

5 aprile 2016

SEDE REFERENTE Martedì 5 aprile 2016. — Presidenza del presidente Andrea MAZZIOTTI DI CELSO. –

Interviene la sottosegretaria di Stato per le riforme costituzionali e i rapporti con il

Parlamento, Sesa Amici.

La seduta comincia alle 13.50.

Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del

numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle

istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della

Costituzione.

C. 2613-D cost. Governo, approvato, in seconda deliberazione, dal Senato con la

maggioranza assoluta dei suoi componenti, già approvato, in prima deliberazione,

dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera, ulteriormente

modificato, in prima deliberazione, dal Senato e approvato, senza modificazioni, in

prima deliberazione, dalla Camera.

(Esame e rinvio).

La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

Emanuele FIANO (PD), relatore,

fa presente che il tema delle riforme costituzionali, che è stato una costante del dibattito

politico e parlamentare a partire dalla fine Pag. 16degli anni Settanta, è emerso come

una priorità politica e istituzionale fin dai primi mesi della XVII legislatura, in

particolare all'indomani della elezione del Presidente della Repubblica Giorgio

Napolitano, che alle riforme ha fatto espresso riferimento nel discorso pronunciato di

fronte al Parlamento in occasione dell'avvio del suo secondo mandato. Il Governo in

carica si è fatto motore del processo riformatore decidendo di presentare un disegno di

legge e scegliendo di percorrere la strada procedurale segnata dall'articolo 138 della

Carta fondamentale. È stata dunque scartata l'opzione di procedure derogatorie che era

stata preferita – senza successo – in altri momenti della storia repubblicana (1993 e

1997). L'8 aprile 2014 il Governo ha presentato un disegno di legge costituzionale, che

dispone il superamento del bicameralismo perfetto, rivede il riparto delle competenze

legislative tra Stato e regioni, elimina dal testo costituzionale il riferimento alle province

e reca la soppressione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Il disegno di

legge di riforma è stato approvato dal Senato, con modificazioni, nella seduta dell'8

agosto 2014, al termine di un esame parlamentare durato più di quattro mesi. Il testo è

stato quindi trasmesso alla Camera che ne ha avviato l'esame nel mese di settembre

2014 e lo ha approvato, con modificazioni, il 10 marzo 2015.

Il disegno di legge modificato dalla Camera dei deputati è stato quindi ulteriormente

modificato dal Senato e approvato da tale ramo del Parlamento in prima deliberazione il

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13 ottobre 2015, con 178 voti favorevoli, 17 voti contrari, 7 astenuti (202 votanti). Nella

seduta dell'11 gennaio 2016 la Camera ha approvato in prima deliberazione, senza

modificazioni, il testo già approvato dal Senato con 367 voti favorevoli, 194 voti

contrari e 5 astenuti (561 votanti). Il Senato ha approvato, in seconda deliberazione, il

20 gennaio 2016, il testo già approvato in prima deliberazione dalla Camera (S. 1429-

D), con 180 voti favorevoli; 112 voti contrari; 1 astenuto (293 votanti).

La pluralità dei passaggi parlamentari, l'arco di tempo impiegato per portarli a

compimento – dalla presentazione del disegno di legge sono passati due anni – e i

consensi che ha raccolto al momento del voto testimoniano che il Parlamento ha avuto

un ruolo rilevante nella definizione del testo sul quale siamo chiamati a deliberare,

anche in relazione ad aspetti significativi del disegno di legge. Ricordo a titolo di

esempio la composizione del Senato, le sue funzioni, gli istituti di garanzia (dalla

elezione del Presidente della Repubblica al controllo preventivo di costituzionalità sulle

leggi elettorali). Il processo di riforma avviato dal Governo, dunque, si è svolto in

Parlamento e dal Parlamento è stato preso attivamente in carico, con la conseguenza che

faremmo un torto a noi stessi e alla funzione che siamo chiamati ad esercitare se

continuassimo a qualificarlo un processo di riforma governativo.

Per quanto concerne il merito, il disegno di legge di revisione costituzionale

interviene su due aspetti della Carta fondamentale che hanno mostrato segni di

«debolezza» nel corso della storia repubblicana: l'organizzazione dei poteri, con

particolare riferimento alla struttura del Parlamento, e i rapporti tra lo Stato e gli enti

territoriali, con particolare riferimento alle Regioni.

In relazione alla organizzazione dei poteri, l'obiettivo è la semplificazione

dell'assetto organizzativo del Parlamento e l'efficienza dei processi decisionali del

Parlamento. Le Camere cessano di essere organi simmetrici nella modalità di

formazione ed «equipotenti» in relazione alle funzioni. Questa scelta si riverbera sugli

equilibri della forma di governo – in relazione al rapporto con il Governo – e della

forma di Stato, poiché consente ai territori di essere adeguatamente rappresentati nel

procedimento legislativo.

Alla Camera dei deputati – di cui non è modificata la composizione – spetta la titolarità

del rapporto fiduciario e della funzione di indirizzo politico, nonché il controllo

dell'operato del Governo.

Il Senato della Repubblica (che mantiene la denominazione vigente) diviene organo ad

elezione indiretta, sede di rappresentanza delle istituzioni territoriali e Camera di

raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica, chiamata a valutare le

politiche pubbliche e l'attività delle pubbliche amministrazioni. Rispetto ai 315 senatori

elettivi previsti dalla Costituzione vigente, il Senato sarà composto di 95 senatori eletti

dai Consigli regionali – in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati

consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi – tra i consiglieri regionali ed i

sindaci del territorio, cui si aggiungono gli ex Presidenti della Repubblica e 5 senatori

che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica per 7 anni.

Al fine di adeguare il procedimento legislativo al nuovo assetto costituzionale

caratterizzato da un bicameralismo differenziato, viene previsto un numero definito di

leggi ad approvazione bicamerale. Per tutte le altre leggi è richiesta l'approvazione della

sola Camera dei deputati: il Senato, al quale il testo approvato è immediatamente

trasmesso, può disporre di esaminarle e le proposte di modifica dallo stesso deliberate

sono sottoposte all'esame della Camera dei deputati che si pronuncia in via definitiva. È

attribuito un «ruolo rinforzato» al Senato per le leggi di attuazione della clausola di

supremazia di cui al nuovo articolo 117 della Costituzione.

Nell'ambito del nuovo procedimento legislativo, è introdotto l'istituto del ’voto a data

certa’, che garantisce al Governo tempi definiti sulle deliberazioni parlamentari relative

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ai disegni di legge ritenuti essenziali per l'attuazione del programma di governo. Al

contempo, vengono ’costituzionalizzati’ i limiti alla decretazione d'urgenza, già previsti

a livello di legislazione ordinaria e dalla giurisprudenza costituzionale.

Un'altra novità è costituita dall'introduzione del giudizio preventivo di legittimità

costituzionale sulle leggi elettorali per la Camera e per il Senato e dalla modifica dei

quorum per l'elezione del Presidente della Repubblica.

Al contempo, mutano le modalità di elezione dei cinque giudici della Corte

costituzionale da parte del Parlamento: viene stabilito che essi siano eletti,

separatamente, tre dalla Camera dei deputati e due dal Senato (anziché da Parlamento in

seduta comune).

Riguardo agli istituti di democrazia diretta, viene introdotto un nuovo quorum per la

validità del referendum abrogativo nel caso in cui la richiesta sia stata avanzata da

800.000 elettori. In tale caso, il quorum è pari alla maggioranza dei votanti alle ultime

elezioni della Camera. Resta fermo il quorum di validità attualmente previsto, pari alla

maggioranza degli aventi diritto al voto, nel caso in cui la richiesta provenga da un

numero di elettori compreso tra 500.000 e 800.000. Sono inoltre introdotti

nell'ordinamento i referendum propositivi e di indirizzo, la cui disciplina è affidata ad

una apposita legge costituzionale.

Per l'iniziativa legislativa popolare, è elevato da 50 mila a 150 mila il numero di firme

necessario per la presentazione di un progetto di legge da parte del corpo elettorale, con

l'introduzione al contempo del principio che ne deve essere garantito l'esame e la

deliberazione finale, pur nei tempi, forme e limiti da definire nei regolamenti

parlamentari.

Per quanto concerne il rapporto tra i livelli di governo, modifiche rilevanti

riguardano infine il titolo V della parte II della Costituzione. In particolare, di rilievo

appare la soppressione del riferimento costituzionale alle province, in linea con il

processo di riforma degli enti territoriali in atto.

Al contempo, il riparto di competenza legislativa tra Stato e regioni è ampiamente

rivisitato, anche sulla scorta dell'interpretazione che di quel riparto è stata data dagli

attori istituzionali e dalla giurisprudenza costituzionale dal 2001 in avanti. Viene

soppressa la competenza concorrente, con una redistribuzione delle relative materie tra

competenza esclusiva statale e competenza regionale. L'elenco delle materie di

competenza esclusiva statale è inoltre profondamente modificato, Pag. 18con

l'enucleazione di nuovi ambiti materiali. Di significativa rilevanza è infine

l'introduzione di una «clausola di supremazia», che consente alla legge dello Stato, su

proposta del Governo, di intervenire in materie di competenza regionale a tutela

dell'unità giuridica o economica della Repubblica o dell'interesse nazionale. Sono altresì

oggetto di modifica la disciplina del cd. «regionalismo differenziato» e del potere

sostitutivo dello Stato nei confronti degli enti territoriali.

La revisione del titolo V non trova applicazione nei confronti delle Regioni a statuto

speciale e delle Province autonome sino alla revisione dei rispettivi statuti, sulla base di

intese con gli enti interessati.

Danilo TONINELLI (M5S)

sottolinea come il disegno di legge del Governo in esame porti avanti un progetto

unilaterale di revisione della Costituzione e non certo di riforma della Costituzione

medesima, dato che il termine riforma assume in sé una volontà migliorativa del testo

costituzionale. Esprime la preoccupazione del gruppo del Movimento 5 Stelle, in quanto

le disposizioni del disegno di legge vanno lette in combinazione con altri progetti portati

avanti dal Governo, quali la legge elettorale e le norme per l'elezione del Consiglio di

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amministrazione della RAI. Si tratta di un disegno complessivo che si propone di

limitare gli spazi di partecipazione democratica e che di fatto aumenta il grado di potere

in mano a una ristretta oligarchia politica legata, come dimostrano le vicende di questi

giorni, a interessi imprenditoriali. Inoltre la conseguenza che avrà la revisione della

Costituzione sarà, a suo avviso, il caos. Basta leggere, infatti, l'articolo 70 che da una

sola frase nella versione vigente, diventa di una intera pagina con una moltiplicazione di

procedimenti legislativi che non diminuiranno affatto il ruolo del Senato, con l'effetto di

attribuire la gestione delle regole di convivenza democratica a pochi soggetti, tra

consiglieri regionali e sindaci; soggetti che, tra l'altro, sono espressione di un personale

politico che negli ultimi anni non ha dato grande prova di sé. Non ritiene accettabili le

giustificazioni addotte dalla maggioranza a sostegno del progetto di revisione

costituzionale, il cui fine esclusivo è quello di non disturbare il manovratore, sia esso il

Governo o l'eurocrazia.

Sottolinea il carattere di pura formalità del passaggio parlamentare del progetto di

revisione costituzionale avviato nella seduta odierna, data la rilevanza che lo stesso

Governo dà al referendum. A questo proposito osserva che il testo costituzionale

inserisce il referendum tra le garanzie costituzionali, aspetto che ne fa uno strumento

delle minoranze e che deve essere promosso solo da queste. Trova quindi sconcertante e

arrogante l'atteggiamento del Presidente del Consiglio che ha dichiarato di volerlo

promuovere, trasformandolo in un referendum a favore o meno dell'azione di Governo,

se non addirittura personalizzato sulla figura del medesimo Presidente del Consiglio.

Invita invece a riportare il dibattito sui contenuti, come la presunta abolizione del

Senato che non porterà i risparmi proclamati dal Governo. Ribadisce, infine, la ferma

opposizione del suo gruppo, sia sul piano tecnico che su quello politico.

Giuseppe LAURICELLA (PD)

interviene sulla questione relativa al referendum sollevata dal collega Toninelli, col

quale concorda solo in parte. Sottolinea come la Costituzione definisca il referendum di

cui all'articolo 138, confermativo e lo configuri come una fase eventuale del

procedimento di revisione della Costituzione. Entrando nel merito, non concorda col

collega Toninelli sul fatto che il Governo non si possa intestare l'esito referendario. Non

trova per nulla scandaloso che il Governo sostenga il voto favorevole alla conferma

dell'esito parlamentare. Concorda, invece, con quanto affermato dal collega Toninelli

sulla natura del referendum confermativo come strumento di garanzia delle minoranze.

A suo avviso, pertanto, il Governo può sostenere un voto favorevole al referendum, ma

dovrebbe evitare di richiederlo.

Maurizio BIANCONI (Misto-CR),

in aggiunta a quanto affermato dal collega Lauricella, sottolinea che il referendum

confermativo costituisce una parte meramente eventuale del procedimento di riforma

costituzionale. Senza polemica e con il dovuto garbo istituzionale, ritiene che

bisognerebbe rivendicare il ruolo di rappresentanti dei cittadini e di componenti della

Commissione affari costituzionali, ricordando al Presidente del Consiglio che il predetto

referendum confermativo non può costituire, come da lui affermato, un mezzo per

spazzare via le minoranze. Desidera denunciare un'anomalia costituita dal fatto che il

Governo, facendosi portatore dell'iniziativa del procedimento di riforma costituzionale,

ha assunto un ruolo proprio del Parlamento. Ricorda, infatti, al riguardo, la sua

esperienza di componente e presidente della Commissione speciale statuto della regione

Toscana, nonché di redattore di uno statuto comunale. In quei casi gli organi di governo

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regionale e comunale non hanno svolto alcun ruolo attivo nel procedimento legislativo.

Evidenzia, inoltre, che nel 1945, anche in una situazione di caos del nostro Paese, il

Comitato di liberazione nazionale scelse di attribuire all'Assemblea costituente il

compito di definire le regole civili e democratiche del nostro Paese. Invece oggi il

Presidente del Consiglio e il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il

Parlamento, anziché accompagnare il corretto svolgimento del procedimento di

revisione costituzionale in essere, propongono essi stessi un proprio progetto di riforma

della Costituzione. Tale atteggiamento, a suo avviso, può definirsi come una forma di

«trogloditismo costituzionale». Evidenzia, al riguardo, che il problema non risiede nella

legittima intenzione del Governo di inserire nel proprio programma la necessità di

realizzare le riforme, poiché tale obiettivo ben può concretizzarsi nel creare le

condizioni affinché il Parlamento possa portare a compimento le riforme medesime. In

questo caso, invece, l'anomalia è costituita dal fatto che il Governo intende imporre il

proprio progetto di riforma alle Camere. Del resto anche in occasione dell'approvazione

in Commissione alla Camera dei deputati, con il suo voto determinante, di un

emendamento del collega Lauricella sull'abolizione dei senatori a vita si parlò

esplicitamente di un voto contro il Governo e non di una modifica del testo. Nel

ricordare la sua posizione contraria al testo in discussione, anche quando il resto del suo

ex gruppo parlamentare di riferimento appoggiava il disegno di legge di riforma

costituzionale, sottolinea che un'ulteriore anomalia del procedimento di revisione della

Costituzione che si sta compiendo, deriva proprio dalla posizione assunta dal gruppo

Forza Italia, che oggi si dichiara all'opposizione pur avendo garantito al Governo

l'approvazione, non soltanto del suo progetto di riforma costituzionale, ma anche della

legge elettorale.

Danilo TONINELLI (M5S)

interviene per un'ulteriore precisazione in merito a un'affermazione del Presidente del

Consiglio sull'effetto disastroso sulle istituzioni che avrebbe un esito del referendum

contrario al disegno di legge di revisione costituzionale. È un'affermazione che denota

una dose di «analfabetismo istituzionale», dato che la Costituzione garantisce un

principio di continuità, come dimostrato dal referendum confermativo del 2006, il cui

esito negativo non ebbe come conseguenza, a dimostrazione della forza del principio

democratico, la caduta del Governo. Il compito della politica dovrebbe essere solo

quello di informare i cittadini, al fine dell'espressione di un voto consapevole. In merito

a quanto affermato dal collega Lauricella, sottolinea come non andrebbe assolutamente

sollecitata dal Governo la promozione di firme, probabilmente di un quinto dei membri

di una Camera, su uno strumento di garanzia delle minoranze che non può essere usato

come plebiscito sull'azione del Governo. Invita quindi il Governo a ripensarci, dato che,

tra l'altro, è stata avviata da parte del suo gruppo la raccolta delle cinquecentomila firma

di elettori che dimostra la contrarietà della società civile all'azione del Governo, al pari

della decina di referendum abrogativi di disposizioni legislative promossi da diversi

soggetti, anche non politici.

Mara MUCCI (Misto)

fa presente che più che un problema di «analfabetismo istituzionale», come sostenuto

dal collega Toninelli, il referendum confermativo che il Governo intende promuovere

costituisce un problema di «alfabetismo collettivo» se si considera che il testo in

discussione modifica ben 39 articoli della Costituzione. Pertanto, a suo avviso, chiedere

ai cittadini di decidere se prendere o lasciare tutto l'impianto delineato dal progetto di

10

revisione costituzionale in esame può limitare l'esercizio del diritto di voto dei cittadini

medesimi, i quali potrebbero, infatti, concordare solo su alcune parti del testo senza

potersi tuttavia esprimere in tal senso attraverso il referendum.

Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente,

nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

11

Camera

Commissione

Mercoledì 6 aprile 2016

INDICE

Emanuele COZZOLINO (M5S) ........................................................................................................ 12

Stefano QUARANTA (SI-SEL) ......................................................................................................... 13

Federica DIENI (M5S)..................................................................................................................... 13

Emanuele FIANO (PD) .................................................................................................................... 16

Francesco Paolo SISTO (FI-PdL) ................................................................................................... 16

Giuseppe D'AMBROSIO (M5S) ....................................................................................................... 17

Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, ................................................................................... 18

12

Camera

Commissione

Mercoledì 6 aprile 2016

Presidenza del presidente Andrea MAZZIOTTI DI CELSO indi della vicepresidente

Roberta AGOSTINI. – Interviene la sottosegretaria di Stato per le riforme costituzionali

e i rapporti con il Parlamento Sesa Amici.

La seduta comincia alle 14.40.

Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del

numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle

istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della

Costituzione.

C. 2613-D cost. Governo, approvato, in seconda deliberazione, dal Senato con la

maggioranza assoluta dei suoi componenti, già approvato, in prima deliberazione,

dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera, ulteriormente

modificato, in prima deliberazione, dal Senato e approvato, senza modificazioni, in

prima deliberazione, dalla Camera.

(Seguito dell'esame e rinvio).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 5 aprile

2016.

Emanuele COZZOLINO (M5S)

rileva che ormai si è giunti alle ultime battute parlamentari di una riforma che si

presentava come rivoluzionaria, ma che, come risultato più eclatante, ha ridotto il

Senato a una sorta di «dopolavoro». Ricorda che la ferma opposizione del suo gruppo,

anche con gesti estremi di protesta come il salire sul tetto di Montecitorio, aveva

impedito l'approvazione di una legge costituzionale che derogava alle disposizioni

dell'articolo 138 della Costituzione. In questo caso all'opposizione non resta che

promuovere, quale strumento costituzionale di garanzia delle minoranze, il referendum

confermativo, sempre che il Governo non se ne appropri, come pare sia sua intenzione.

Si tratta di una riforma non condivisa, approvata alla Camera in prima lettura dalla sola

maggioranza, dopo che le opposizioni avevano abbandonato l'Aula. È una riforma che

centralizza il potere decisionale in mano di una sola persona, cosa d'altronde che già

avviene, come dimostra la vicenda della Basilicata con la decisione di considerare

strategici determinati impianti. Se poi si legge la riforma costituzionale in combinazione

con la legge elettorale, si accentua il carattere di potere personalistico del nuovo

sistema, con i pericoli che ne conseguono. Evidenzia come non a caso la stessa ANPI

(Associazione nazionale partigiani d'Italia) ha aderito all'iniziativa referendaria per il no

alla riforma. Ritiene inoltre che una Costituzione nata dalla mediazione tra le forze

politiche nel dopoguerra non avesse bisogno di una revisione, ma di essere attuata. Si

tratta di un testo ancora attuale e semplice nella redazione. Sottolinea infine il

comportamento del suo gruppo, non solo oppositivo ma anche propositivo, con la

presentazione di pochi e mirati emendamenti nell'ambito delle precedenti letture sul

provvedimento.

13

Stefano QUARANTA (SI-SEL)

ritiene che la situazione sia ormai compromessa, dato che siamo di fronte a un

passaggio meramente formale. Ormai, quindi, non resta che lasciare la parola ai cittadini

con un referendum confermativo, a cui sono legati effetti di natura politica. Nonostante

ciò, ritiene necessario lasciare agli atti un intervento sul disegno di legge di riforma

della Costituzione. Preliminarmente, nel temere che questo sarà l'ultimo 25 aprile

festeggiato in vigenza della Costituzione nata dalla Resistenza, si chiede quale sarà il

giudizio dei posteri sulla riforma costituzionale in esame. A suo avviso si tratta di una

riforma con una pochezza di impianto culturale che la rende strampalata, superficiale,

contraddittoria e imbarazzante. Imbarazzo che aumenta se si pensa che la riforma è stata

promossa da un sedicente leader di centro-sinistra che ha creato un sistema di fiducia

politica permanente e che ha utilizzato, per approvare la riforma, il premio di

maggioranza ottenuto con una legge dichiarata incostituzionale. Così, con un margine

stretto, è stato modificato nel suo complesso un terzo della Carta costituzionale, e su tale

modifica complessiva i cittadini si potranno esprimere con un sì o con un no. È inoltre

un referendum che si sta delineando con un plebiscito su di una persona e non come una

discussione sul merito, cosa che è sintomo di decadenza politica. Sottolinea come le

ragioni addotte a difesa della riforma siano di carattere populistico, come la riduzione

dei costi della politica e il presunto aumento dell'efficienza delle istituzioni e della

semplificazione dei procedimenti. Ritiene il tutto risibile di fronte a un Senato con

cinque tipologie di senatori e del quale non si comprende il funzionamento. Non si

comprende inoltre come potranno funzionare i Consigli regionali, quando molti loro

consiglieri – nel caso della Lombardia 14 – svolgeranno le funzioni di senatori. Inoltre

si è creato un Senato delle autonomie, mentre nel contempo si è riaperta in chiave

centralistica la questione del Titolo V e del riparto di competenze tra Stato e Regioni.

Rileva come nel passaggio parlamentare non sia stato possibile inserire neanche

correttivi minimi, quali la riduzione dell'età minima per l'elettorato attivo e l'abolizione

dei senatori a vita.

Ma l'aspetto peggiore del disegno complessivo di riforma del sistema è stata la scelta di

approvare prima la legge elettorale, quindi una legge ordinaria, che ha dato il segno alla

riforma costituzionale. È un sistema basato sull'assioma di conoscere il nome del partito

vincitore la sera stessa delle elezioni, assioma incompatibile con un sistema

parlamentare e valido per elezioni monocratiche. Inoltre con il meccanismo di

attribuzione del premio di maggioranza con il ballottaggio, non si avrà una dittatura

della maggioranza, ma di una minoranza che anche con una bassa percentuale al primo

turno, potrà ottenere tale premio. Si avrà così una forza che controlla deputati nominati,

detenendo così il controllo sul potere legislativo e che, con la clausola di supremazia,

riduce il potere delle Regioni. Si tratta, quindi, di un disegno inedito e pericoloso, che

genera preoccupazioni se inserito nel complessivo sistema di governance europeo,

sistema che, a suo avviso, preferisce avere come interlocutori governi autoritari più

facili da controllare.

In conclusione ribadisce la pochezza culturale della riforma e ritiene che il Presidente

del Consiglio non sarà assolutamente ricordato come un grande riformatore.

Federica DIENI (M5S)

sa perfettamente che non vi è argomentazione che possa indurre la maggioranza a

recedere dal suo intento di continuare lungo la china imboccata. È tuttavia suo dovere

morale continuare a mettere in guardia, anche per lasciare agli atti la netta contrarietà

del Movimento 5 Stelle rispetto a uno dei troppi provvedimenti della legislatura, e

14

questo è forse il più importante, che porteranno l'Italia verso un ordinamento caotico e

vulnerabile rispetto a progetti autocratici. Ovviamente tutto ciò, a suo avviso, sembra

oggi un paradosso. Fa presente che siamo talmente abituati a vivere in questo sistema da

sentirci liberi, dal dare per scontato che non ne possano esistere differenti, più

democratici e partecipativi. Ma nel contempo siamo anche portati a pensare che gli

spazi di libertà di cui ancora disponiamo siano eterni. Purtroppo la storia ci insegna che

democrazia e libertà si perdono proprio quando si crede che siano acquisiti, quando si

smarrisce uno spirito di vigilanza e di attenzione. Questo avviene soprattutto quando

non si è più disposti a lottare, quando ci si è abituati a dire troppi sì e si è dimenticato

l'orgoglio e la responsabilità insito in un no. Ritiene che sia la capacità di saper

contrastare scelte sbagliate che dà la prerogativa di essere uomini liberi. La rinuncia, la

continua sudditanza invece intorpidisce l'anima e rende schiavi: schiavi di una poltrona,

schiavi dei benefici economici, del proprio orticello, di uno spazio di potere. Non crede

che questo tipo di ragionamento possa smuovere i colleghi di maggioranza. Anche

quelli che qualche dubbio sulla bontà di questa riforma se lo pongono – e ce ne sono –

tranquillizzano la propria coscienza con parole confortanti e «ragionevoli» come

«realpolitik» ovvero pronunciando frasi del tipo «bisogna essere concreti e non

sognatori quando si ricopre un ruolo come quello del parlamentare» ovvero «in fondo la

politica stessa non è l'arte del compromesso ?». Invita i colleghi di maggioranza a

continuare pure a dormire sonni sereni, a tacitare la voce della consapevolezza di

sbagliare. Anche se questa riforma è, a suo avviso, come minimo un pasticcio, un testo

scritto male che inserisce in Costituzione meccanismi farraginosi, complicati e poco

trasparenti. Ritiene che, alla fine, ciò che i colleghi di maggioranza raccontano a se

stessi è che «non è poi la fine del mondo» e che «qualcosa di buono in questa riforma

c’è». Eppure, a suo avviso, non bisogna essere dei geni per sapere quello che succederà

se il referendum costituzionale confermerà questo testo. Tuttavia considera chiaro che,

come minimo, si avrà un procedimento di approvazione delle leggi che amplierà il

mercato delle vacche che già caratterizza le nostre Camere. Gli interessi, a suo avviso, si

moltiplicheranno e sarà complicato comprendere secondo quali logiche si muoveranno

dei senatori-consiglieri regionali che potranno trattare in separata sede le condizioni di

un loro avvallo ai disegni di legge. Osserva che questi accordi non si prenderanno certo

in un Senato che i neosenatori non vedranno se non per pochissimi giorni al mese. Fa

presente che il presidente del consiglio che è un fan della «disintermediazione» riesce in

questo modo a spostare ancor più fuori dal Parlamento, come se ce ne fosse bisogno, la

sede delle decisioni.

Questo, come ha già detto, va a cumularsi con un'altra serie interminabile di riduzioni di

spazi di democrazia. Province e Senato non saranno da loro rimpianti di certo. Ma

avrebbe voluto che le possibilità di dibattito democratico che essi nonostante tutto

consentivano, fossero spostati verso i cittadini e non verso le segreterie dei Partiti. Il suo

gruppo ha proposto l'allargamento del ricorso alla democrazia diretta, della trasparenza

nei processi decisionali. Il Presidente Renzi e il suo Governo, invece, hanno preso questi

spazi e li hanno ingurgitati. La legge cosiddetta Italicum, che premia il partito di

maggioranza relativa riducendo parallelamente le sedi di confronto, è, a suo avviso,

l'anticamera di una dittatura. Ritiene che, se anche i colleghi di maggioranza fossero in

buona fede, non potrebbero in cuor loro escludere che questa porta spalancata venga

utilizzata in futuro da altri.

Passando a un punto, a suo avviso, particolarmente significativo, ritiene che la

strumentalizzazione delle garanzie democratiche che sta compiendo la maggioranza, e

in particolare il Partito Democratico, diventa emblematica nel caso dell'indizione del

referendum per la conferma della riforma ai sensi dell'articolo 138. Sottolinea con

chiarezza che non è compito della maggioranza richiedere quel referendum. Fa presente

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che la previsione della Costituzione secondo cui un quinto dei membri di una Camera o

cinquecentomila elettori o Cinque consigli regionali possano chiedere il referendum,

ove la riforma non sia approvata col quorum previsto, rende evidente che tale

consultazione non sia una prerogativa della maggioranza che ha votato la modifica, ma

dell'opposizione. Al riguardo, desidera ricordare una riflessione del professor Roberto

Romboli, in cui ribadisce, per l'appunto, che, anche secondo le intenzioni del costituente

desumibili in sede di approvazione del testo della Costituzione, «tale referendum nasce»

– cita testualmente –«con lo scopo principalmente di garantire e tutelare le minoranze

parlamentari, alle quali è riconosciuta la facoltà di richiedere il ricorso al corpo

elettorale, allorché abbiano a percepire la revisione costituzionale come lesiva dei loro

diritti.» Si tratta – prosegue nella citazione – di «un referendum di minoranza e a tutela

della minoranza, di opposizione alla maggioranza espressa dai rappresentanti in

Parlamento, avente lo scopo di dimostrare che alla maggioranza parlamentare non

corrisponde quella del corpo elettorale, il quale ha così l'opportunità di smentire i propri

rappresentanti». La stessa Assemblea costituente, quindi, ebbe ben presente la necessità

di bilanciare la fondamentale scelta operata a favore della rigidità della Costituzione con

la possibilità di portare alla stessa le modifiche che con il tempo si sarebbero

inevitabilmente rese necessarie e, a tal fine, assicurando la partecipazione e l'intervento

del popolo nel procedimento di revisione costituzionale. Per la realizzazione di tale

finalità, si scelse proprio un intervento diretto dei cittadini, attraverso il referendum.

Desidera al riguardo brevemente ricordare l'anomalia che ha caratterizzato il

referendum del 2001 sul titolo V, rappresentata dal fatto che il ricorso alla votazione

popolare fu richiesto anche dalla stessa maggioranza di centrosinistra che aveva votato

in Parlamento la riforma, contraddicendo con ciò la natura oppositiva e di strumento di

minoranza propria. A ciò si aggiungeva l'altra anomalia dovuta al comportamento delle

forze politiche di centrodestra che avevano votato contro la riforma, le quali pure

avevano richiesto il referendum, con il dichiarato scopo, non tanto di voler conservare il

contenuto della Costituzione vigente, quanto di voler andare oltre nella modifica della

stessa.

Tornando alla revisione della riforma oggi in discussione, rileva come la maggioranza,

quindi, proponendosi di raccogliere le sottoscrizioni per indire il referendum, non solo

intenda appropriarsi delle prerogative della minoranza, ma anche stroncarle. Nel

contempo la maggioranza, a suo avviso, vuole prendersi anche i suoi spazi, previsti per

legge. Si chiede allora come ci si possa fidare dei colleghi di maggioranza quando

danno garanzie sulla tenuta democratica del sistema e si comportano nel modo

esattamente opposto.

Chiede ufficialmente alla maggioranza, a nome del suo gruppo, di desistere da questo

intento. Rileva che se si vuole imporre una riforma non ci si può accaparrare anche degli

spazi costituzionalmente garantiti a chi è contrario ad essa. Se invece la maggioranza

intende procedere, al contrario, non avrà alcuna ragione per dire che il suo gruppo

esagera quando utilizza il termine «dittatura». La dittatura, infatti, a suo avviso, non è

solo quella di un uomo solo, magari in divisa militare, ma come spiega la politologia è

anche «la dittatura della minoranza». Ricorda che Cicerone diceva: «Il buon cittadino è

quello che non può tollerare nella sua patria un potere che pretende d'essere superiore

alle leggi». Auspica, quindi, che i colleghi di maggioranza dimostrino di essere buoni

cittadini e di rispettare la madre di tutte le leggi. Sottolinea, infine, che ha svolto in

questa sede l'intervento che non potrà svolgere durante l'esame del provvedimento in

Assemblea a causa della sospensione che le è stata comminata dall'Ufficio di

Presidenza. In considerazione della rilevanza del dibattito sulle riforme costituzionali, si

sarebbe aspettata che la Presidente Boldrini posticipasse l'avvio Sottolinea come il

procedimento di riforma della Costituzione sia avvenuto nel silenzio paradossale di chi,

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solo poco tempo fa, sosteneva che la nostra Carta costituzionale, la più bella del mondo,

non potesse essere toccata. Una Costituzione nata dalla convergenza di tutte le forze

democratiche, mentre questa riforma è opera di una sola persona che vuole fondare una

nuova Repubblica, sul modello di Charles De Gaulle, senza averne il carisma né

tantomeno l'appoggio popolare. Ricorda, infatti, come De Gaulle, ritiratosi dal Governo,

fu richiamato dopo cinque anni e fu allora che riformò la Costituzione, dimostrando le

sue doti di statista.

Ritiene che la riforma costituzionale non durerà a lungo. Prima di tutto perché non

risponde alle esigenze dei cittadini italiani, esigenze che nascono dall'esistenza di una

questione settentrionale e di una meridionale, questioni che non necessitano di una

visione centralista. Ma essenzialmente non durerà a lungo per il metodo che è stato

usato per approvarla, a maggioranza e con il contributo di numerosi parlamentari

provenienti da altri schieramenti. Si tratta, infatti, di un precedente che potrà essere

utilizzato da futuri Presidenti del Consiglio che non sono espressione dell'attuale

maggioranza, ma, ad esempio, della sua parte politica, per riformare a sua volta la

Costituzione. Vengono inoltre messi in mano a una sola persona strumenti costituzionali

di potere, magari a un leader con lo stesso «pelo sullo stomaco» e con la stessa «stima»

verso il Parlamento dell'attuale Presidente del Consiglio, come denotato

dall'atteggiamento arrogante dimostrato proprio alla Camera nel corso della prima

lettura del disegno di legge di riforma costituzionale. Sottolinea, inoltre, come proprio

coloro che si ergono a custodi della democrazia stiano preparando il terreno a forme

potenzialmente autoritarie.

Rileva come non sia vero che il bicameralismo non funzioni, come dimostra il sistema

degli Stati Uniti d'America, dove tale sistema funziona, grazie e ai giusti contrappesi

che fanno sì che il Presidente, che ha notevoli poteri, si debba confrontare con un

Parlamento con una maggioranza eventualmente diversa. È quella che viene definita la

fatica della politica, mentre in Italia si è scelta la strada di un sistema sostanzialmente

monocamerale con la maggioranza espressione del Presidente del Consiglio. Ricorda

come, anche nell'Assemblea costituente, si ebbero momenti di confronto acceso.

Con riguardo al nuovo Senato, non si capisce la sua funzione e, a suo avviso, i

consiglieri regionali dovrebbero svolgere solo il loro ruolo. In sostanza sarebbe stato

meglio abolire il Senato a favore di un vero sistema monocamerale.

Ma la sua preoccupazione vera non è legata alla figura del Presidente del Consiglio ma

al confronto con altri Paesi europei che viaggiano a una velocità maggiore della nostra.

Si chiede, quindi, quale sarà il futuro del nostro Paese tra venti anni.

Emanuele FIANO (PD)

intervenendo sull'ordine dei lavori, ritiene accettabile qualsiasi critica politica, ma

ritiene anche che debba essere rispettata la funzione esercitata dalla quarta carica dello

Stato.

Francesco Paolo SISTO (FI-PdL)

ritiene singolare la discussione su un provvedimento non modificabile, cosa che rende

gli interventi in questa fase un esercizio di resistenza culturale senza incidenza.

Osserva che la sua valutazione sul provvedimento è negativa prima di tutto su un

piano metodologico, per la personalizzazione politica e per l'assenza di condivisione.

Non apprezza poi la banalizzazione e il demansionamento che vengono portati avanti.

Ma il vulnus maggiore è, a suo avviso, la mancanza di rispetto per una Costituzione che

è l'orgoglio del Paese anche per il modo come è nata. Trova inaccettabile che non venga

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rispettato quello che equivale a un testo sacro solo per un tornaconto personale. Reputa

inoltre inaccettabile che il Governo tenda a forzare la volontà del Paese con pressioni

legate agli effetti politici dell'esito del referendum.

Per comprendere poi il valore o il disvalore del disegno di legge di riforma, bisogna

inserirlo nel contesto attuale, fatto di un abuso del ricorso alla decretazione d'urgenza e

alle leggi di delegazione, nonché della posizione della questione di fiducia. È un sistema

che crea l'abitudine alla patologica percussione dei meccanismi parlamentari. L'effetto è

la discussione di pochi provvedimenti e che si grida allo scandalo quando vengono

approvati emendamenti con una loro logica, come nel caso dell'omicidio stradale, ma

che modificano la linea tenuta dal Governo.

Ricorda che il suo gruppo, anche nella fase in cui collaborava con la maggioranza per

una riforma condivisa, è stato sempre contrario al meccanismo di elezione dei senatori.

Il risultato finale è una formula equivoca, un punto interrogativo che, a seconda di come

sarà sciolto, avrà conseguenze sull'equilibrio complessivo della riforma. Inoltre, il ruolo

dei senatori sindaci o consiglieri regionali, portatori di diversi interessi, potrà inoltre

inceppare la macchina di questo monocameralismo partecipato. Un problema più grave

del conflitto d'interessi, il cui testo di legge approvato dalla Camera è ritenuto dal

Governo uno dei suoi fiori all'occhiello.

Per leggere la riforma costituzionale nel contesto di altre riforme, prende a modello il

libro di Joël De Rosnay «Il macroscopio», volto a fornire una visione globale dei

fenomeni. E in questo quadro si devono guardare infatti non solo la legge elettorale, ma

anche i provvedimenti adottati o in corso di discussione sui partiti politici, dato che sono

organismi garanti della democrazia. La sottrazione di risorse pubbliche a tali organismi

ha creato a suo avviso un danno incalcolabile alla democrazia.

Reputa che tutto il sistema di personalizzazione avrà come effetto quello di trasformare

organismi democratici di controllo in organismi garanti del potere. Anche la costante

tendenza all'eliminazione o all'indebolimento di corpi intermedi quali segretari

comunali, camere di commercio e organi di giustizia amministrativa, toglie

ammortizzatori posti a difesa dei cittadini. Osserva poi come la Costituzione non debba

dipendere dalla politica, ma che questa debba dipendere dalla Costituzione e come

vadano recuperati i canoni di garanzia della Costituzione del 1948. Auspica che il

referendum si volga su temi propri del contenuto della riforma e auspica altresì

un'informazione chiara ai cittadini.

Giuseppe D'AMBROSIO (M5S)

ricorda che il gruppo del Movimento 5 Stelle ha posto l'accento sull'opportunità di

procedere alle riforme costituzionali considerato che questa legislatura è nata monca per

via della dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge elettorale da parte della

Corte costituzionale. A ciò aggiunge che il Governo basa la sua maggioranza sui voti di

moltissimi parlamentari che hanno cambiato casacca. Ritiene, pertanto, che gli attori in

campo testimoniano la mancanza di credibilità del sistema politico, circostanza che

avrebbe suggerito in modo opportuno di non proseguire nel percorso riformatore.

Sottolinea che se l'obiettivo dichiarato della riforma costituzionale in discussione,

secondo il Presidente del Consiglio, era quello di tagliare la macchina burocratica dello

Stato, è stato palesemente smentito. È evidente, infatti, che il risparmio sbandierato dal

medesimo Presidente del Consiglio, derivante dalla cosiddetta abolizione del Senato,

pari a 1 miliardo di euro, è assolutamente irrealizzabile. Quanto poi all'affermazione

relativa alla riduzione dei tempi del procedimento legislativo operata dal testo di riforma

in esame, si tratta, a suo avviso, di un'ulteriore proposizione priva di fondamento.

Sottolinea al riguardo che quando il Parlamento, come nel caso della legge sul

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finanziamento dei partiti, vuole approvare in fretta una proposta di legge, lo fa in tempi

brevissimi. Quando, invece, come nel caso della legge sul contrasto alla corruzione, il

Parlamento vuole rallentare il percorso legislativo, i tempi diventano biblici. È evidente

quindi che i tempi del procedimento legislativo sono legati solo alla volontà politica.

Evidenzia che il gruppo Movimento 5 Stelle ritiene che la revisione della Costituzione

non sia una priorità per il Paese. Osserva che il Governo stesso attribuisce valore a

questa riforma attraverso un vero e proprio ricatto politico, legando infatti la sua

esistenza all'approvazione del testo oggi in discussione. Rileva che il Senato, lungi

dall'essere abolito, come peraltro aveva suggerito il suo gruppo, diverrà un pericoloso

ago della bilancia nel sistema democratico del nostro Paese. Fa presente che ancora una

volta lo strumento del referendum popolare viene violentato, come è accaduto nel caso

del referendum sulle trivelle, da parte dell'Esecutivo. Anche nel caso del disegno di

legge di modifica della Costituzione un fondamentale strumento di democrazia diretta

perde valore, poiché non deve essere la maggioranza a farsi promotrice del referendum

ex articolo 138 al fine di legare la sua sorte all'esito favorevole della tornata

referendaria. Il referendum confermativo di cui al citato articolo 138 è infatti uno

strumento posto a garanzia delle opposizioni. In tal modo, a suo avviso, si creano

pericolosi precedenti e lo sorprende che tale comportamento sia tenuto da una forza

politica che fino a pochi anni fa scendeva in piazza a difendere la nostra Costituzione,

definendola la più bella del mondo. Chiede pertanto alla maggioranza di fare un passo

indietro e lasciare alle opposizioni il compito, ove lo ritengano necessario, di

promuovere il referendum confermativo.

Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente,

nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

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Camera

Commissione

Giovedì 7 aprile 2016

INDICE

Danilo TONINELLI (M5S)............................................................................................................... 19

Andrea GIORGIS (PD) .................................................................................................................... 20

Alfredo D'ATTORRE (SI-SEL) ......................................................................................................... 20

Emanuele FIANO (PD), relatore, ..................................................................................................... 21

Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, ................................................................................... 21

SEDE REFERENTE

Giovedì 7 aprile 2016. — Presidenza del presidente Andrea MAZZIOTTI DI CELSO. –

Interviene la sottosegretaria di Stato per le riforme costituzionali e i rapporti con il

Parlamento Sesa Amici.

La seduta comincia alle 11.55.

Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del

numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle

istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della

Costituzione.

C. 2613-D cost. Governo, approvato, in seconda deliberazione, dal Senato con la

maggioranza assoluta dei suoi componenti, già approvato, in prima deliberazione,

dal Senato, modificato, in prima deliberazione, dalla Camera, ulteriormente

modificato, in prima deliberazione, dal Senato e approvato, senza modificazioni, in

prima deliberazione, dalla Camera.

(Seguito dell'esame e conclusione).

La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 6 aprile

2016.

Danilo TONINELLI (M5S)

preannuncia da parte del suo gruppo la presentazione di una relazione di minoranza e

che egli stesso svolgerà le funzioni di relatore di minoranza.

Desidera ritornare sulla questione di chi abbia il diritto, ai sensi della Costituzione, di

promuovere il referendum confermativo. Notizie provenienti da organi di stampa

confermano infatti che sarebbe intenzione della maggioranza e, in particolare, del

Partito Democratico, promuovere la raccolta della quota parlamentare di firme prevista

dall'articolo 138 della Costituzione. Anche se ci sono precedenti in tal senso, ritiene si

tratti di un errore enorme proprio in riferimento alla dottrina costituzionale. Nessun

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costituzionalista, infatti, negherebbe come sia un fatto ovvio che il referendum debba

essere promosso dalle minoranze contrarie alla riforma costituzionale e non da chi l'ha

approvata. Si tratta di una violazione dei paradigmi e delle stesse fondamenta sui quali

si basa il patto sociale sancito dalla Costituzione.

Osserva che tale violazione è confermata, sul piano politico, dal fatto che il Partito

Democratico manda al voto finale dell'Assemblea il disegno di legge costituzionale in

presenza di un Governo su cui pendono le mozioni di sfiducia presentate

dall'opposizione e che saranno votate solo il 19 aprile. A nulla sono valse le richieste

dell'opposizione per una calendarizzazione al Senato del voto questa settimana o per

rinviare il voto alla Camera sulle riforme a dopo lo svolgimento del referendum

abrogativo. Rileva che il voto al Senato sulle mozioni di sfiducia potrebbe far uscire una

maggioranza diversa da quella che ha approvato la revisione della Costituzione, grazie

al probabile appoggio di alcuni parlamentari usciti dall'opposizione. Sottolinea come

tutto questo serva solo ad esacerbare di più i cittadini e ad aumentare la possibilità di

reazioni come quella di ieri a Napoli. Ribadisce che l'atteggiamento del Governo è

inaccettabile e osserva che il voler modificare la Costituzione una volta andati al potere

è prerogativa di governi militari o di governi come quello turco o quello ungherese.

Andrea GIORGIS (PD)

evidenzia come la ratio del referendum confermativo, così come previsto dall'articolo

138 della Costituzione, a suo avviso, appare quella di conferire alle forze politiche, che

non hanno condiviso una proposta di riforma costituzionale, uno strumento con il quale

consultare i cittadini, laddove tale provvedimento non sia stato approvato da ciascuna

Camera, nella seconda deliberazione, a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti.

Pur facendo notare che, a suo avviso, secondo una interpretazione letterale dell'articolo

138 della Costituzione, qualunque deputato sarebbe legittimato a sottoscrivere una

richiesta di referendum, così come peraltro è già avvenuto in passato, ritiene

politicamente inopportuno che un partito di maggioranza come il Partito democratico,

che sostiene la proposta di riforma in esame, si faccia promotore di una simile iniziativa

referendaria. Nel far notare che tale scelta sarà comunque discussa approfonditamente e

meditata in seno al proprio schieramento politico, auspica che il suo gruppo possa

limitarsi a concentrarsi sui contenuti della riforma, spiegando ai cittadini il senso

dell'intervento e lasciando alle forze politiche di opposizione il ruolo di attivazione del

referendum medesimo. Si augura altresì che il dibattito pubblico possa concentrarsi sul

merito della riforma, evitando che il quesito referendario venga interpretato come la

richiesta di esprimere o meno un consenso nei confronti dell'operato del Governo.

Alfredo D'ATTORRE (SI-SEL)

intende rifarsi, per le osservazioni sul contenuto del disegno di legge in esame, a quanto

affermato nella seduta di ieri dal collega deputato Quaranta. Preannuncia da parte del

suo gruppo la presentazione di una relazione di minoranza e che le funzioni di relatore

di minoranza saranno svolte dal collega Quaranta.

Riguardo all'eventuale promozione del referendum confermativo da parte della

maggioranza, di cui al momento non c’è conferma, osserva come si tratterebbe di

un'anomalia che si andrebbe ad aggiungere alle altre che hanno costellato l’iter del

disegno di legge di riforma della Costituzione, come anche quello della legge elettorale.

Su un piano teorico e astratto concorda con il collega Giorgis sul fatto che il dibattito sul

referendum debba svolgersi sui contenuti del disegno di legge. Ma se ci si cala nella

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concretezza dell'attualità politica e se si prende in considerazione l'atteggiamento del

Governo, il discorso cambia.

Faceva cenno alle anomalie dell'esame dei disegni di legge di riforma costituzionale e di

modifica della legge elettorale, provvedimenti strettamente legati, come dimostra il fatto

che la legge elettorale riguarda solo la Camera dei deputati. Tali anomalie sono state ad

esempio l'aver posto la fiducia sulla legge elettorale e la sostituzione in I Commissione

di dieci deputati del Partito Democratico in occasione dell'esame della medesima legge

elettorale. Ma la maggiore anomalia consiste nel fatto che il Governo abbia sempre

legato l'esito della riforma della Costituzione alle sorti del Governo medesimo o

addirittura della legislatura, attribuendosi in tal caso poteri non propri. E ancora oggi il

Presidente del Partito Democratico in un'intervista adombra l'ipotesi di elezioni

anticipate nel caso di esito negativo del referendum confermativo. Tutto questo

conferisce una caratterizzazione politica al referendum, trasformandolo in un giudizio

sul metodo di governo estraneo al dibattito sui contenuti della riforma.

Sottolinea come si debba aggiungere a tutto questo l'espropriazione delle prerogative

parlamentari che il Governo ha compiuto, sottraendo di fatto al dibattito parlamentare

materie che dovrebbero essere di esclusivo appannaggio del Parlamento.

Ribadisce, in conclusione, la netta contrarietà del suo gruppo al disegno di legge

costituzionale in esame e l'impegno per difendere la Costituzione e per ripristinare

l'equilibrio tra i poteri dello Stato.

Emanuele FIANO (PD), relatore,

nel ringraziare i deputati intervenuti per il contributo fornito al dibattito, rilevato che si è

in procinto di concludere un importante e delicato iter parlamentare, ritiene opportuno

che ci si concentri sul merito della proposta di riforma, evitando di perdersi in

polemiche procedurali o di metodo, che, peraltro, seppur legittimamente espresse, si

sente di non condividere. Soffermandosi, dunque, sui contenuti del provvedimento,

respinge con forza qualsiasi rilievo critico volto a rappresentare il testo in esame come

suscettibile di minare l'impianto democratico delle istituzioni, sottolineando come il

provvedimento, lungi dal favorire derive di tipo autoritario, garantisca, insieme alla

nuova legge elettorale, un rafforzamento dei principi democratici. Fa notare che in tal

senso vanno le modifiche apportate alla Costituzione, che prevedono, tra l'altro, il

superamento del bicameralismo perfetto, la semplificazione dei processi decisionali del

Parlamento e del rapporto fiduciario con il Governo, nonché i cambiamenti inerenti al

rapporto tra i livelli di governo, derivanti dagli interventi sul titolo V della medesima

Costituzione. Rileva, in conclusione, che l’iter parlamentare, che è stato lungo e

complesso, si è svolto nell'ambito di un ampio contraddittorio che ha permesso di

giungere ad un testo diverso da quello proposto dal Governo, nel segno della piena

valorizzazione del ruolo del Parlamento. Ringraziando tutti i componenti della

Commissione per il positivo lavoro svolto, ricorda che il Senato ha già approvato il

testo, in seconda deliberazione, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, senza

raggiungere, dunque, quella maggioranza qualificata dei due terzi, che, secondo

l'articolo 138, comma terzo, della Costituzione, escluderebbe lo svolgimento del

referendum, raggiunta nella seconda votazione di entrambe le Camere. Evidenzia,

pertanto, che il tema del referendum appare di assoluta attualità e concretezza.

La Commissione delibera di conferire al relatore, deputato Emanuele Fiano, il mandato

di riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento in esame.

Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente,

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si riserva di designare i componenti del Comitato dei nove sulla base delle indicazioni

dei gruppi.