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DONNE CHIESA MONDO MENSILE DELLOSSERVATORE ROMANO NUMERO 55 MARZO 2017 CITTÀ DEL VATICANO Donne e Riforma

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D ONNE CHIESA MOND OMENSILE DELL’OSSERVATORE ROMANO NUMERO 55 MARZO 2017 CITTÀ DEL VAT I C A N O

Donne e Riforma

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numero 55marzo 2017

FO CUS

La colonna portanteSI LV I N A PÉREZ A PA G I N A 24

LA S A N TA DEL MESE

I superpoteri di OliviaIRENE RA N Z AT O A PA G I N A 26

NEL NUOVO T E S TA M E N T O

La profetessa AnnaLUÍSA MARIA ALMENDRA A PA G I N A 29

ARTISTE

Dipingere come pregareANNA FOA A PA G I N A 36

ME D I TA Z I O N E

Ci salverà solo l’amore donatoA CURA DELLE SORELLE DI BOSE A PA G I N A 39

UNO SGUARD O STORICO

Donne fra cattolici e protestantiLU C E T TA SCARAFFIA A PA G I N A 3

SP I R I T UA L I T À

Tra femminile e femminismoELISABETH PARMENTIER A PA G I N A 11

IN NOVEMILA C A R AT T E R I

Una costruzione dal bassoMARCELO FIGUEROA A PA G I N A 17

IL LIBRO

Una ebrea, una protestante, una cattolicaMA R G H E R I TA PELAJA A PA G I N A 22

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UNO SGUARD O STORICO

di LU C E T TA SCARAFFIA

Donne fra cattolicie protestanti

Alungo nella tradizione cristiana si è pensato che fosse più facile irre-

tire nell’eresia le donne piuttosto che gli uomini, e proprio per questomolti cattolici cercarono di screditare la causa protestante collegando-la alla debolezza della donna. Ma veramente la Riforma attirò ledonne cattoliche più degli uomini? E veramente queste ultime trova-rono nelle confessioni protestanti la possibilità di partecipare più atti-vamente alla vita religiosa della loro comunità, e magari anche acces-so a condizioni di vita migliori? Oggi, di fronte all’evidenzadell’apertura del ministero alle donne all’interno di tutte le denomi-nazioni riformate, siamo portati a dare una risposta positiva, e quindiil mondo protestante appare come più aperto e rispettoso delle don-ne di quello cattolico. Ma è proprio vero? E soprattutto è sempre sta-to così?

In un saggio famoso — Donne di città e mutamento religioso — la sto-rica ebrea Natalie Zemon Davis cerca di rispondere a queste doman-de con una ricerca puntuale sulla Francia ugonotta di fine Cinque-cento. Prima della Riforma, quasi tutte le donne prendevano parte,in vari modi, alle attività economiche della città, anche se la loro vitaera in gran parte assorbita dal compito biologico di procreare. La lo-ro partecipazione alla vita pubblica, però, era scarsa o nulla, e il loro

D ONNE CHIESA MOND O

Mensile dell’Osservatore Romanoa cura di

LU C E T TA SCARAFFIA

In redazioneGIULIA GALEOTTI

SI LV I N A PÉREZ

Comitato di redazioneCAT H E R I N E AUBIN

MARIELLA BALDUZZI

ANNA FOA

RI TA MBOSHU KONGO

MA R G H E R I TA PELAJA

Progetto graficoPIERO DI DOMENICANTONIO

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v ad c m @ o s s ro m .v a

per abbonamenti:d o n n e c h i e s a m o n d o @ o s s ro m .v a

Lucas Cranach il Giovane« P re d i c a

di Martin Lutero»( p a r t i c o l a re )

L’anniversario della decisione di Lutero, che cinquecento anni fa hadato inizio alla separazione fra protestanti e cattolici, può essere af-frontato da diversi punti di vista. Certamente quello che a noi inte-ressa di più, cioè il confronto fra donne appartenenti alle diverseChiese nate dalla riforma e donne appartenenti alla Chiesa cattolica,apre uno dei fronti più conflittuali, e quindi più interessanti: quellodel sacerdozio femminile. Tutte le Chiese e le comunità ecclesialiprotestanti, infatti, hanno aperto alle donne l’accesso ai vari gradi disacerdozio o al ruolo pastorale, e discutono i propri progetti di futu-ro in riunioni in cui la presenza femminile non manca mai, in totalecontrasto con quanto avviene nella Chiesa cattolica. Una delle primedomande che ci si deve porre è se questa differenza nasce dal diversoatteggiamento che protestanti e cattolici hanno assunto di fronte allamodernità, che ha visto i protestanti accogliere cambiamenti che per icattolici non erano considerati accettabili (per esempio di fronte alcontrollo delle nascite, o al matrimonio omosessuale) oppure non siaradicato in più sostanziali e profonde svolte teologiche. La felice col-laborazione che, dopo il concilio Vaticano II, si è aperta fra studiosedi esegesi biblica e teologhe cattoliche e protestanti, in una comunericerca — o in un certo senso anche riscoperta — del ruolo della don-na nella tradizione cristiana, ci porta a pensare che la questione siapiù profonda e i che nodi da sciogliere, sostanziali, richiedano un la-voro ecumenico. E di questo le donne sono pienamente consapevoli.

Quello fra le donne è stato infatti, in questi ultimi decenni, unecumenismo non di dichiarazioni e di commissioni, ma di sostanza:collaborazioni e confronti intellettuali, di alto livello, ma anche lavo-ro insieme in difesa delle donne oppresse e in pericolo. Insieme in-fatti protestanti e cattoliche sono impegnate per salvare dalla schiavi-tù le giovani cristiane e indù rapite in Pakistan, le donne violentatecome prede di guerra in Africa, le immigrate che arrivano umiliate edistrutte in Europa. Con una differenza su cui riflettiamo nel nostromensile: che le donne cattoliche impegnate in queste battaglie sonomolto più numerose e organizzate, anche se il loro impegno resta in-visibile. (lucetta scaraffia)

L’EDITORIALE

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livello di alfabetismo piuttosto basso, benché in questo periodo —grazie alla diffusione delle opere a stampa — fosse in crescita l’alfab e-tizzazione maschile. La loro partecipazione alla vita religiosa, alla vi-gilia della Riforma, era meno organizzata di quella maschile: minoreil numero delle confraternite femminili, e minime le tracce di una ri-cerca di nuovi esperimenti comunitari femminili di vita, al di là deipochi monasteri. Il rapporto delle donne con la religione e con i san-ti, dunque, era generalmente di carattere privato, o affidato all’o rg a -nizzazione familiare. Bisogna poi ricordare che la presenza alle fun-zioni — sia per le donne che per gli uomini — era saltuaria, e pocofrequente anche l’adempimento del precetto pasquale. In questo qua-dro la Riforma è intervenuta come un elemento nuovo e dirompente,perché metteva nelle mani delle donne la Bibbia: «Sono tutte mezzeteologhe» dicevano con disprezzo i predicatori francescani, che chie-devano piuttosto alle donne, con le loro prediche infiammate, lacrimedi pentimento.

L’umanista Erasmo fu uno dei pochi uomini del tempo che intuì ilrisentimento che si andava accumulando nelle donne, i cui sforzi diapprofondimento dottrinale venivano scoraggiati e dileggiati dal cle-ro. In uno dei suoi Colloqui una donna dotta che viene derisa da unabate sbotta con queste parole: «Se continuerete così come avete co-minciato, anche le oche si metteranno a predicare piuttosto che sop-portare il silenzio di voi pastori. La scena del mondo è ora sottoso-pra. O ci si ritira o ciascuno dovrà fare la sua parte».

La letteratura popolare calvinista proponeva infatti una nuova im-magine di buona cristiana: doveva essere semplice e pura, ma ancheconoscere la Bibbia tanto da essere capace di vincere un confrontocon i preti. Nella propaganda protestante dei primi decenni, infatti,la donna cristiana viene identificata dal suo rapporto con la Scrittu-ra. «Anche nella realtà — scrive la storica — le donne protestanti an-davano liberando le loro anime dal dominio dei preti e dei dottori diteologia». E cita l’esempio di Marie Becaudelle, domestica a La Ro-chelle, che impara dal suo padrone il vangelo così bene da riuscire atrionfare in una disputa pubblica con un francescano. Mentre la mo-glie di un libraio dalla prigione discute di dottrina con il vescovo diParigi e con dottori in teologia. L’ugonotta regina di Navarra, sorelladel re, canta: «Quelli che dicono che non è da donne guardare i Sa-cri Scritti son uomini malvagi ed empi seduttori e anticristi...».

Negli stessi anni i cattolici invece predicano che alle donne, persalvarsi, bastano il lavoro domestico, cucire e tessere: «Metterebberoin paradiso anche i ragni, che sanno tessere alla perfezione» scrivel’autore di un opuscolo anticattolico. Non è prudente, scriveva d’altra

Lucas Cranach il Vecchio«Katharina von Bora»

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tuire il clero con pastori preparati e solidi, non rovesciare la società.Una donna, e qui tornava la solita citazione paolina, non poteva par-lare in un’assemblea cristiana. Un pastore scrisse a Calvino: «Il no-stro concistoro sarà lo zimbello dei papisti e degli anabattisti. Diran-no che siamo comandati dalle donne». Le donne, che erano state in-citate a disobbedire ai loro preti, furono ora domate dai pastori conuna certa facilità: costrette a tornare nel silenzio, scelsero in molte dinuovo la Chiesa cattolica, dove almeno ritrovavano le loro sante, laMadonna. E dove forse, alla fine, stavano meglio. Infatti, scrive Ze-mon Davis, «nessuna donna calvinista dimostrò (o fu messa in gradodi dimostrare) la creatività organizzativa delle grandi protagonistedella Controriforma cattolica... Inoltre nessuna donna della Riformaal di fuori delle cerchie nobiliari pubblicò tanti lavori quanti le don-ne cattoliche dello stesso ambiente».

L’abolizione delle sante come modelli religiosi per entrambi i sessideterminò una grave perdita affettiva e simbolica. E se di fatto, dallafine del XVI secolo alla fine del XVIII, sia nei paesi cattolici che inquelli protestanti le donne soffrirono per gli inasprimenti del dirittomatrimoniale, per la decadenza delle corporazioni femminili, per le

Jean Perrissin«Temple de Lyonnommé Paradis» (1565)

parte un noto predicatore gesuita, lasciare la Bibbia a discrezione «diciò che frulla nel cervello di una donna».

Il movimento protestante offriva quindi una prospettiva nuova,per la quale era essenziale l’alfabetizzazione, proprio come per gliuomini. Nei primi momenti di ribellione alla Chiesa le donne accol-sero con entusiasmo questa possibilità: leggevano pubblicamente laBibbia, la commentavano. La nuova liturgia, che adottava il volgare,introdusse i salmi cantati insieme da donne e uomini. Tutti laici, euomini e donne allo stesso livello, almeno all’apparenza, e attratti,come scrive Max Weber, da una religione che faceva appello all’atti-vità intellettuale e all’autocontrollo. Ma le donne, in cambio, furonoprivate dei santi, delle preghiere, delle immagini, delle invocazioni.Questa perdita infatti non toccava in egual modo i due sessi: mentrequesti ultimi mantenevano nella preghiera un riferimento alla loroidentità sessuale — si rivolgevano al Padre e al Figlio — la perdita diMaria privò le donne di un’immagine femminile a cui rivolgersi. Piùprofondi furono dunque gli effetti di questa perdita per l’identitàfemminile, soprattutto in un momento critico come le doglie del par-to, in cui non avevano più devozioni femminili da invocare.

Proprio questo fu il motivo — secondo Zemon Davis — per cui ilclero maschile ha aderito ai movimenti di riforma in misura moltomaggiore delle religiose. Anche di fronte a promesse di dote e di

La Riforma è intervenuta come un elemento nuovo e dirompenteMetteva nelle mani delle donne la Bibbia

«Sono tutte mezze teologhe» dicevano con disprezzoi predicatori francescani

pensione, le suore resistettero, anche perché preferivano vivere nellaloro condizione di celibato in un’organizzazione femminile separata.Nella società protestante infatti la donna poteva al massimo essereconsorte di un ministro di Dio, in un matrimonio basato sul princi-pio dell’amicizia e della solidarietà e che si supponeva fedele: nellecomunità protestanti le prostitute venivano messe al bando immedia-tamente. Ma le donne erano pur sempre soggette ai mariti.

Nel complesso i fondatori delle nuove confessioni riformate e i pa-stori in genere non avevano visto con occhio positivo questo ineditoprotagonismo femminile: per loro, la riforma doveva limitarsi a sosti-

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all’apostolato quotidiano, mentre nelle società protestanti le organiz-zazioni femminili sono poche e di modesta entità.

Questo lungo processo storico, che ha portato a una presenza e aun ruolo diversi delle donne all’interno delle diverse confessioni, haplasmato profondamente la vita religiosa sia cattolica che protestante,ed è necessario rendersene conto. Anche per creare una nuova consa-pevolezza, che suggerisce di guardare alle differenze fra il cattolicesi-mo e le confessioni riformate con altri occhi, meno inclini a dare giu-dizi frettolosi di modernità agli uni e di arretratezza agli altri. E so-prattutto suggerisce che le possibilità di collaborazione e di scambiodi esperienze è necessaria, e molto utile per tutte.

difficoltà che incontravano le donne istruite per conquistarsi un ruo-lo, la Riforma — conclude la storica — «eliminando dalla sfera reli-giosa qualsiasi identità e forma di organizzazione femminile a séstanti, rendeva le donne un poco più vulnerabili all’assoggettamentoin ogni campo».

Vediamo tracce di questa storia ancora oggi: se le Chiese prote-stanti possono vantare le donne pastore, le donne sacerdote anglica-ne e le donne vescovo, la Chiesa cattolica si fonda sul lavoro e sulladedizione di una grande massa di donne — le donne sono più dell’80per cento dei religiosi, e il 60 per cento se si aggiungono a questi isacerdoti — e questo fatto senza dubbio dà un’impronta femminile

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SP I R I T UA L I T À

di ELISABETH PARMENTIER

Tra femminilee femminismo

Che cosa accadde quando le donne protestanti divennero bibliste?Scoprirono che i testi biblici che le avevano ridotte a essere il «sessodebole» o seduttrici erano letture falsate da culture antiche. Occorre-va dunque, secondo quelle pioniere, «salvare la Bibbia» da similichiusure. La ricerca biblica quindi è partita da un femminismo socia-le per approdare poi a una teologia «femminile».

Il contributo più importante delle donne protestanti, a partire dalXIX secolo, fu la rilettura dei testi biblici tradizionalmente utilizzatiper argomentare la sottomissione delle donne, con la prospettiva diuna liberazione dagli stereotipi. Le sorelle Sarah e Angelina Grimké,quacchere americane, nel 1838 scrissero le Letters on the Equality of the

Sexes invocando l’abolizione della schiavitù e i diritti delle donne.Elisabeth Cady Stanton, con un gruppo di venti donne, tra il 1895 eil 1898, pubblicò una “Bibbia della donna” (Wo m a n ’s Bible), selezio-nando i brani che riguardavano le donne con una valutazione moltocritica.

Furono poco seguite, persino dalle donne bibliste, ma la ribellioneesigeva che si ritornasse ai testi con attenzione, a partire da studi diteologia e di ricerca biblica. Antoinette Brown, congregazionalista, funel 1847 una delle prime studentesse di teologia nell’Ohio. Analizzò

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Il femminismo avanzava nella società degli anni sessanta delloscorso secolo, ma non nella teologia, per lo meno in quella europea.La teologia protestante si accontentò d’interrogare gli stereotipi ses-suali (Francine Dumas, L’autre semblable, 1967), l’antropologia (KariBørresen, Subordination and Equivalence, 1968), la tradizione (FranceQuéré, La femme. Les grands textes des Pères de l’Ėglise, 1968), in unaprospettiva “femminile”, volta a ricordare le qualità delle donne. Lateologia protestante se ne sentì turbata, ma non messa in discussione.Saranno solo le bibliste femministe a pensare un vero progetto di li-berazione... a partire dalla Bibbia!

Questa teologia moderata con il femminismo nella teologia infattisi evolveva verso riletture più esigenti. Le esegete femministe pretese-ro, come i riformatori delle origini, che la Bibbia fosse accessibile atutti e non riservata all’élite (non più clericale ma dottorale!). Il fineera di ritrovare la potenza liberatrice dei testi biblici, a partire daivangeli dove Gesù Cristo dà spazio alle donne. Quelle bibliste, cheavevano imparato a leggere e a capire le sfumature delle lingue bibli-che, aiutate dalle conoscenze dei processi culturali di produzione deitesti, scoprivano errori o falsificazioni nell’interpretazione. Molte diloro rileggevano anche con l’aiuto di prospettive psicanalitiche, lette-rarie o sceniche. Auspicavano vivamente una teologia non d’ufficio,ma una “teologia della cucina”, intrisa dell’esperienza e delle questio-ni pragmatiche delle donne portatrici di una “saggezza” diversa dallespeculazioni filosofiche e intellettuali. Fu subito evidente che non ba-stava riabilitare solo Eva, ma anche donne lasciate nell’ombra.

Rivisitarono i testi che servivano a giustificare il ruolo secondariodella donna. L’importanza di Genesi 1, 27 — l’umanità creata «ma-schio e femmina», creata «a immagine di Dio» — era stata celata avantaggio di Genesi 2, dove Eva, creata per seconda, è fatta per sotto-mettersi al marito come sua serva. Cosa ancor peggiore, con la «ca-duta» in Genesi 3 si rendeva Eva colpevole del primo peccato, e “ladonna” peccatrice o seduttrice. Ebbene, constatarono che solo duepiccoli brani nella Bibbia riprendevano il peccato di Eva. Uno eraS i ra c i d e 25, 24 («Dalla donna ha avuto inizio il peccato, per causasua tutti moriamo»), che non era fortunatamente un libro contenutonelle bibbie protestanti. Ma l’altro, 1 Timoteo 2, 11-15, aveva fatto dan-ni, pur essendo l’unico testo biblico che afferma una salvezza attra-verso la maternità! Quelle esegete valorizzarono le figure di donnepotenti o influenti come Miriam, Debora, Maria Maddalena, Lidia ealtre, che relativizzavano la centralità di Maria madre e vergine.

Più difficile fu la rilettura delle lettere che avevano tanto segnatole Chiese della Riforma. Efesini 5, 21-24, Colossesi 3, 18-19, 1 Corinzi 11,

le lettere paoline spiegando che gli eccessi condannati dall’ap ostoloal suo tempo non si potevano trasporre al XIX secolo.

Quelle bibliste furono aiutate dall’esegesi storico-critica che si op-poneva alle interpretazioni letterali, che imponevano loro ruoli rigidinelle Chiese cui appartenevano. Questa esegesi non portò a una rivo-luzione, ma piuttosto a una lenta fecondità. Se tra le due guerremondiali l’inglese Margaret Brackenbury Crook, pastora unitaria, fula prima donna ammessa in una società biblica, fu solo nel 1964 chedecise di pubblicare il frutto della sua ricerca sulla situazione delledonne nel cristianesimo, dove dimostrava l’androcentrismo della teo-logia. Affermò però che la sua intenzione era solo documentaria.

A pagina 12Hugues Merle (1822-1881)«Le orfanelle» (particolare)e nella pagina 10un ritrattodi Elizabeth Cady Stanton

D onnee ChiesaIl 28 gennaio si ètenuta a Roma laplenaria dellaCongregazione pergli Istituti di vitaconsacrata e leSocietà di vitaapostolica e per laprima volta vi hannopartecipato diecisuperiore maggiori.Benché le donnecostituiscano quasil’83 per cento delnumero complessivodei religiosi, fino aoggi la loro presenzaera rappresentatasolo dallasottosegretaria suorNicla Spezzati.Speriamo che questosia un primo passoper unriconoscimento piùequilibrato dellapresenza femminileall’interno di questoimp ortanteorganismo ecclesiale.

Vi o l e n z ain ArgentinaOgni 31 ore unadonna viene uccisain Argentina.E in una solagiornata si registrano

DAL MOND O

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L’esegeta femminista Helen Schüngel-Straumann analizza Osea 11mostrando che l’apice della pericope (v. 9) è stato spesso attenuatodalla traduzione: «Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tor-nerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo (nel sensodi maschio); sono il Santo in mezzo a te». A importargli non è faregiustizia, ma mantenere il rapporto con i suoi, e in ciò è parziale eincoerente. Per questo l’ultima possibilità che il profeta Osea intrave-de per il suo popolo sta nell’amore materno di Dio. Se i lati maternidi Dio si trovano più frequentemente nella tradizione profetica, pole-mica riguardo alle dee, il messaggio è il seguente: perché avreste bi-sogno di una dea madre? Yahvè è addirittura più affidabile di unam a d re !

Elisabeth Schüssler-Fiorenza (In Memory of Her, 1984), ricercò ledonne nella storia cristiana, non solo quelle degli Atti degli apostoli edegli scritti di Paolo, ma anche le martiri e le responsabili di comuni-tà. Le traduzioni del Nuovo Testamento avevano permesso alla tradi-zione di minimizzare le loro responsabilità, come mostra Romani 16,1, dove Febe viene chiamata “diaconessa” o “serva” a seconda delletraduzioni, mentre il termine utilizzato per il suo ministero è “diaco-no”... al maschile, il che lascia supporre che avesse un vero ministero!Romani 16, 7 menziona due “ap ostoli”, Andronico e Giunia. Essendoquesti nomi in accusativo in greco, in francese al nominativo è stataaggiunta una s (Giunias), mentre si tratta di Giunia, una donna-apo-stolo!

Queste ricerche ovviamente interrogano le Chiese, soprattuttoquando le esegete femministe fondano l’interpretazione su “l’esp e-rienza delle donne”, che può far sì che il testo venga letto in funzio-ne di ciò che vi si vuole trovare e che ci siano prestiti selettivi dallaBibbia. Molte sono anche le esegete femministe che ritengono che al-tri scritti possano essere investiti della stessa autorità della Bibbia, so-prattutto scritti di altre religioni o culture, il che riduce la Scrittura aun “prototip o”, a un modello per altre letture, e non ne fa un canonechiuso (Schüssler-Fiorenza). Ma queste scelte non sono più solo ap-pannaggio delle donne e questi dibattiti sono condivisi anche da altriesegeti.

Le esegete hanno contribuito a un vero rinnovamento della letturabiblica e a una passione per la diversificazione dei metodi. Oggi que-sti studi sono condotti anche da donne bibliste del sud e l’esegesidelle donne sta recando frutti largamente adottati nella ricerca esege-tica degli uomini. Tale ricerca, dall’inizio del XXI secolo, non è piùappannaggio dei protestanti e prosegue in una emulazione intercon-fessionale, anzi interreligiosa.

1-16, insistendo sulla necessaria sottomissione della donna all’uomo,poiché l’uomo è la testa (il capo) della donna come Cristo è la testa(il capo) della Chiesa, non erano stati letti secondo l’intenzione deiloro autori, che era stata quella di descrivere l’amore di Cristo per laChiesa, bensì per giustificare la messa sotto tutela della donna. Atutt’oggi, queste interpretazioni sono ancora vive nelle Chiese prote-stanti fondamentaliste, mentre il testo mostra bene a che punto unaconversione di mentalità sia necessaria agli uomini per “a m a re ” le lo-ro donne.

Le esegete dimostrarono che le lettere contenevano affermazioniforti, trascurate dalla tradizione, come Galati 3, 26-28: «Siete statibattezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo négreco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna,poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù», testo interpretato in sensospirituale dai teologi, che gli attribuivano piena validità solo per ilregno di Dio!

Le esegete più femministe mostrarono Dio come donna o madre:«Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non com-muoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si di-menticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Isaia 49, 15). Il Si-gnore è addirittura provvisto di un seno materno e allatta (Isaia 46,3-4, Isaia 66, 12-13). In Giobbe (38, 8-9 e 28-29) la sua attività creatrice

Le esegete femministe pretesero, come i riformatori delle origini,che la Bibbia fosse accessibile a tutti

Il fine era di ritrovare la potenza liberatrice dei testia partire dai vangeli dove Gesù Cristo dà spazio alle donne

oltre cinquantaaggressioni di naturasessuale. È una verae propria strage: dal2008 al 2016 sonostate uccise 1900donne. Aifemminicidi siaggiungono poiviolenze di ognigenere che sfuggonoai dati ma che, senon fermate intempo, rischiano difare tante altrevittime. Su diecidonne uccise dueavevano avuto laforza e il coraggiodi denunciare leazioni di violenza digenere subite.Ma denunciareil pericolonon è statosufficientea garantire lorola sopravvivenza.

Convegno a Bosesulla Riforma«Giustificazione.L’evangelo dellagrazia»: saràdedicato a questotema centrale dellaRiforma protestantel’ottavo convegnoecumenicointernazionale inprogramma nelmonastero di Bose il26 e il 27 maggio.Ispirato dallaricorrenza del quintocentenario dellapubblicazione delletesi di Lutero, ilconvegno si proponedi riaffermare

fa eco a una procreazione. È con totale fiducia che il salmista si ripo-sa in Dio «come bimbo svezzato in braccio a sua madre» (Salmi 131,2). Mosè considera il Signore una madre (Numeri 11, 12) e ricorda alpopolo: «La roccia, che ti ha generato, tu hai trascurato; hai dimenti-cato il Dio che ti ha procreato!» (D e u t e ro n o m i o 32, 18). Dio viene pa-ragonato anche ad animali femmine: l’aquila che veglia sui suoi pic-coli (D e u t e ro n o m i o 32, 11), li porta sulle sue ali (Esodo 19, 4), li proteg-ge all’ombra delle sue ali (Salmi 17, 8; 57, 2 e 91, 4), e l’orsa che di-fende i propri figli (Osea 13, 8).

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«E siste un evento cardine nella vita ecclesialeprotestante delle donne latinoamericane ri-spetto ai dibattiti teologici, all’esegesi e alcontesto del momento. Sono passati trentacin-que anni e l’ordinazione delle donne al mini-

stero pastorale nella Chiesa evangelica luterana unita in Argentina eUruguay è un tema che oggi, riflettendo a distanza, è completamenteinteriorizzato e accettato da tutto il sinodo». Lo sostiene la pastoraAndrea Linqvist, che, insieme a quaranta delegati, tra laici e chierici,ha partecipato alla storica assemblea dove si giunse alla conclusioneche «non c’era impedimento alcuno all’ordinazione di donne al mini-stero della parola e dei sacramenti». «Io ero delegata della congrega-zione La Cruz de Cristo», ricorda. «Nelle riunioni i dibattiti moltospesso poggiavano sul fatto che le sacre Scritture non menzionavanoesplicitamente il tema. Dopo diverse riunioni, la commissione, di cuifacevo parte insieme al pastore Lisando Orlov e molti altri, elaboròuna risoluzione. Fui designata a presentarla all’assemblea, dove allafine la proposta prevalse», ha aggiunto Linqvist. «All’inizio magarialcune comunità si mostrarono più restie ad accogliere una donnapastora. All’epoca, però, non c’erano neppure tante candidate; e pianpiano quella resistenza, più al cambiamento che alle persone, scom-parve».

La questione dell’identità femminile e del ruolo della donna nellaChiesa è un tema che ha occupato, e tuttora occupa, molte scrittrici,intellettuali laici e religiosi. In un continente sempre più plurale eculturalmente diverso, in cui convivono molte etnie, religioni e stili

Una costruzionedal basso

IN NOVEMILA C A R AT T E R Idi MARCELO FIGUEROA

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nario. In poco meno di due secoli, il protestantesimo latinoamerica-no da un pugno di credenti socialmente insignificante si è trasforma-to in una fede religiosa che riunisce milioni di membri. Da credenza“strana”, o vista come straniera, è diventata un’espressione ben con-solidata e specifica delle molteplici forme dell’essere latinoamericano.Tra le diverse famiglie ecclesiastiche, le Chiese pentecostali sono ilramo evangelico con la maggiore crescita in America latina, giungen-do a rappresentare il 75 per cento dei protestanti latinoamericani. Lapopolazione attuale si avvicina ai 600 milioni, di cui il 20 per centosarebbero evangelici, ossia circa 120 milioni.

Un filo conduttore nelle donne protestanti latinoamericane è la vi-sione, e la relazione, tra il globale e il locale, che è diventata un lin-guaggio comune come parte della prospettiva della globalizzazione.Un porsi esterni rispetto al globale, che ci coinvolge ma senza darcipossibilità di partecipare o agire al suo interno, porta a valorizzare dipiù il locale, dove si rafforzano le identità e i valori specifici e si con-testualizzano linguaggi e azioni. Alle donne protestanti latinoameri-cane il processo non è risultato semplice; in ambiti protestanti euro-pei, le donne sono riuscite ad abbattere muri di discriminazione e aimporre una rilettura dei testi paolini con i quali è stata giustificatastoricamente la loro discriminazione, escludendo la donna da qualsia-si posizione ecclesiastica e approfondendo teologicamente il principioriformato della libertà individuale, il cui postulato, non senza unacerta resistenza, ha finito coll’essere accettato anche dalle donne stes-se. La Chiesa metodista argentina è stata la prima in Sudamerica ascegliere una donna come vescovo. La pastora Nelly Ritchi è stataordinata nel 2001 e ha esercitato le sue funzioni fino al 2009. «Lapromozione della Bibbia è un obiettivo per cui i cristiani possono la-vorare in stretta unione a gloria di Dio e per il bene di tutta la fami-glia umana» ha affermato nel 2007 la metodista Nelly Ritchie, vesco-vo, guardando negli occhi l’arcivescovo di Buenos Aires, il cardinaleJorge Mario Bergoglio, accompagnato dai suoi vescovi ausiliari, Joa-quín Sucunza, Eduardo García, Oscar Ojea e Mario Poli, che aveva-no partecipato alla celebrazione annuale della giornata nazionale del-la Bibbia nella Chiesa metodista centrale argentina. «Quante voltenoi cristiani — si è rammaricato il cardinale Bergoglio nel prendere laparola — perdiamo la capacità di stupirci perché sappiamo già tutto»,e così «perdiamo la capacità di sentirci accarezzati dalla tenerezzadella parola, che è puro dono, pura grazia».

Il dialogo con i cristiani di altre confessioni è uno dei fili che legal’importante ruolo delle donne protestanti. Ma in America latina lesfide della post-modernità hanno imposto la seguente domanda:«Come evangelizzare in un mondo di poveri?» I protestanti scopro-

di vita differenti, le visioni parziali diventano parti del tutto che si in-tegrano, invece di escludersi. Le Chiese protestanti sono numerose,autonome e molto diverse, per cui è impossibile presentare un qua-dro dettagliato della situazione in ciascuna di esse, neanche se si con-siderano le grandi tradizioni — luterana, calvinista, metodista — nelcomplesso, poiché anche al loro interno sussistono differenze. Almassimo si può offrire una visione generale che inevitabilmenteesclude tutte le situazioni particolari e i casi eccezionali. Al di là deinumeri, una delle caratteristiche che marca la distanza tra la Chiesacattolica e quella protestante è che quest’ultima riconosce l’e s e rc i z i oda parte delle donne di tutte le funzioni e gli incarichi religiosi all’in-terno della Chiesa. Ciò significa che la donna può essere ordinatapastora e presiedere la riunione di pastori e pastore per l’adozione didecisioni organizzative. La maggior parte delle Chiese evangelichepermette l’attività pastorale delle donne, attribuendo loro uguali di-ritti e uguali funzioni. Ciò apre un intenso dibattito sul ruolo delladonna come responsabile del culto e questo crea una netta differenzacon la Chiesa cattolica. Tuttavia la percentuale di donne pastore neipaesi latinoamericani è molto bassa, a differenza di quanto accade inGermania o in Svizzera. Un fenomeno di attività pastorale femminilecollaterale si presenta nei cosiddetti pastorati matrimoniali. In questocaso, sempre più frequente, anche se quasi soltanto nelle Chieseevangeliche non tradizionali, si dice che entrambi i coniugi condivi-

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l’attualitàdell'intuizione deiriformatori circa lagiustificazione persola fede. I lavorisaranno introdotti daEnzo Bianchi. Allagiornata conclusivainterverranno ilcardinale WalterKasper e il pastorePaolo Ricca cheoffriranno il puntodi vista cattolico eprostestante di comei cristiani possanovivere insiemel’evangelo dellagrazia.

Duecento milionile vittimedelle mutilazionigenitaliSecondo i datidell’Unicef e delFondo delle NazioniUnite per lap op olazione,in tutto il mondoalmeno 200 milionidi ragazzee donne hannosofferto qualcheforma di mutilazionegenitale.Le ragazze fino ai 14anni sono 44 milionidel totale dellevittime e la più altaincidenza in questafascia di età siregistra in Gambia,Mauritania eIndonesia,dove circa la metàdelle ragazze fino aundici anni ha subitomutilazioni.Metà delle vittime

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dono il mandato ministeriale. Dato che non sempre il ruolo delladonna pastora supera l’“aiuto idoneo” del pastore principale nei mo-delli tradizionali, non è chiaro se si tratta di un ordinamento pastora-le femminile o semplicemente di un “maquillage familiare” di modellitradizionalmente noti. Personalmente ritengo più vicina alla realtà ec-clesiale la seconda ipotesi.

La lotta della donna per aprirsi uno spazio di uguaglianzanell’universo protestante è stata costante, non solo in Europa, dove ilprotestantesimo ha una storia consolidata e incardinata socialmente,ma anche in America latina, dove la presenza protestante, meno radi-cata storicamente del cattolicesimo, sta crescendo in modo straordi-

La lotta della donna per aprirsi uno spazio di uguaglianzanell’universo protestante è stata costante

Non solo in Europa ma anche in America latina

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adeguarsi alle nuove condizioni del mercato, nel suo soddisfare i bi-sogni affettivi e spirituali delle persone in una situazione di profondocambiamento, cercando di creare nuove identità per ricostruire il tes-suto sociale. È un lavoro di fede che nasce dal povero: la frugalità, ildigiuno e l’astinenza sono condizioni di oppressione in una culturache vive nella fame. È la costruzione “dal basso” che configura uncammino femminile in comune delle Chiese in un continente che ac-coglie quasi la metà dei cattolici del mondo e che è il cuore del pen-tecostalismo mondiale.

vive in tre paesi,Egitto, Etiopia eIndonesia. Lamaggioranza dellebambine è statamutilata prima dicompiere cinqueanni.

Le piccole shaolindi KabulSfidando le regolepiù conservatricidell’Afghanistan, ungruppo di ragazzepratica il wushu,un’antica artemarziale cinese. Siallenano ancheall’aperto, sulla neve,con i loropigiami di raso.Ma non serve solo lagiusta preparazionefisica, bisognarafforzare la mente, ipensieri, la propriavitalità.«Nel pensiero ultra-conservatore diquesto paese tutte ledonne danno fastidio— spiega SimaAzimi, l’insegnante,che sfidando tutti haaperto una suapalestra — noi siamodeterminate aresistere e acombattere questomodo di pensare.Nessuno qui ci aiuta,le donne si devonoaiutare da sole. Perquesto chiedo alleragazze di dimostrarequello che sono ingrado di fare,dobbiamo smetteredi avere paura erestare in silenzio».

no nella povertà una sfida centrale per la fede. E il modo in cui si ri-sponde a questa sfida si colloca al centro del messaggio di salvezza,al di là dell’appartenenza o meno alla Chiesa. La donna protestantelatinoamericana porta nella Chiesa le sue storie brevi, la sua vicinan-za alla vita quotidiana della gente, la sua capacità di dare un sensoagli spazi limitati in cui si può muovere, agli orizzonti ridotti in cuipuò progettare. Le porta nella comunità, nel quartiere povero, nellafamiglia in difficoltà, dando risposte rapide e una sensazione di sicu-rezza, nell’immagine di un Dio vicino e accessibile a tutti, nel suo

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Giovani studentessedell’Instituto Evangélico

Americano de Caseros(Buenos Aires)

A pagina 16: AntonioBerni, «Manifestazione»

( p a r t i c o l a re )

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IL LIBRO

marito muore. La vedova non si perde d’animoma prosegue e sviluppa gli affari del maritoviaggiando in tutta Europa finché si stabiliscecon un nuovo marito a Metz, dove morirà a 78anni. Viaggia, commercia, e intanto scrive. Int re n t ’anni scrive sette libri in cui racconta lapropria vita, la famiglia, le nascite, le morti, laforza necessaria ad affrontarle, i peccati in cuicade: in una parola, «discute con Dio».

Anche Marie de l’Incarnation scrive: quader-ni su quaderni in cui spiega perché, rimasta ve-dova, abbandona il figlio undicenne per entrarenel convento delle orsoline; descrive il proprioamore per Dio e «la condotta che Dio ha tenu-to nei suoi confronti», descrive visioni mistichee apparizioni diaboliche; racconta di come ab-bandona la Francia per farsi missionaria in Ca-nada, per obbedire agli ordini del direttore spi-rituale ma anche per rispondere ai richiami diuno spirito «che non poteva essere rinchiuso».Il viaggio, l’incontro con gli uroni e gli algon-chini e l’apprendimento della loro lingua, l’inse-

È un libro di storia diverso dagli al-tri Donne ai margini: comincia conun P ro l o g o teatrale, in cui l’autricecerca di rispondere alle rimostranzeimmaginarie delle donne di cui ha

scritto la biografia. Glikl bas Yehudah Leib,commerciante ebrea di Amburgo, Marie de l’In-carnation, mistica orsolina fondatrice della pri-ma scuola per amerindie, Maria Sibylla Merian,pittrice e naturalista tedesca protestante, indi-gnate chiedono all’autrice perché abbia decisodi affiancare le loro vite in modo così arbitrario.Risponde Natalie Zemon Davis: «Vi ho messoinsieme perché volevo imparare dalle vostre so-miglianze e differenze».

In apparenza accomunate solo dal secolo incui vivono, il Seicento, le tre donne si muovonoin contesti diversi e lontani: Glikl sposa a 14 an-ni un ricco commerciante e mette al mondo 14figli, di cui otto sono ancora piccoli quando il

Una ebreauna protestante

una cattolicadi MA R G H E R I TA PELAJA

gnamento alle «giovani selvagge» sono — scriveMarie — «una tale fonte di piacere che ho pec-cato, semmai, per averli troppo amati».

E anche Maria Sibylla Merian scrive e viag-gia. Dipinge pure, non per passione religiosama per passione scientifica. Non abbandona ifigli per questo: abbandona il marito, un pittoredi Francoforte, per unirsi ai labadisti, una co-munità di protestanti che aveva messo radicinella provincia olandese della Frisia, in un’esp e-rienza di rinuncia e distacco da ogni bene epreoccupazione terrena. Dopo qualche anno pe-rò, forse insofferente delle gerarchie della comu-nità o della separazione dal mondo, Maria Si-bylla parte di nuovo, sempre insieme alle figlie,e si stabilisce ad Amsterdam. Non basta ancora:

la passione che arde in lei è lo studio degli in-setti, su cui ha già scritto volumi illustrati cono-sciuti in tutta Europa, e nel Nuovo Mondo cisono insetti e piante che chiedono ancora di es-sere analizzati. Nel 1699 parte con la figlia piùpiccola per il Suriname, dove africani e amerin-di la aiuteranno nella ricerca e nello studio edove redigerà la sua opera più importante, leMetamorfosi degli insetti del Suriname. Poi torneràad Amsterdam, dove morirà nel 1717.

Vite diverse dunque, ma con molti punti dicontatto: spirito di iniziativa, propensione alviaggio e all’avventura, passione per la scrittura,una spiritualità profonda e una religiosità che laportano a conoscere e a esprimere le parti piùnascoste della propria interiorità.

Maria Sibylla Merianin un’incisione realizzatasulla base di un disegnodel figlio

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di SI LV I N A PÉREZ

«N on mi sono mai sentita sola, isolata, come don-na pastora qui in Basilea. Sin dall’inizio del mioministero mi sento accompagnata e sostenutadalle donne della comunità. Alcune appartengo-no alle diverse Chiese protestanti, altre invecesono cattoliche. Le chiamo le mie sorelle ami-che, perché oltre alla fede in Dio ci lega ancheuna bella amicizia. Loro sono per me una verafonte di empowerment femminile».

A parlare è la pastora protestante tedesca No-ra Wolf, che ha compiuto da poco 50 anni. Mi-nistro di culto, laureata in teologia protestante,negli ultimi otto anni ha svolto il suo servizionella Chiesa evangelica valdese di Basilea. «Perme, la mia parrocchia è il mondo e quanto piùpossibile cerco di essere presente nel mezzo deiproblemi della società: la nostra Chiesa è da an-ni una specie di “lab oratorio” della società sviz-zera che, a mio avviso, non è più immaginabile

La colonna portanteIntervista alla pastora Nora Wolf

FO CUS

al singolare, come realtà esclusivamente locale,ma va ormai affrontata e vissuta al plurale».

Come si struttura la presenza femminile nella Chiesa val-

dese svizzera?

Oggi più del 30 per cento del corpo pastoraleè femminile. Nella Chiesa valdese esistono ledonne pastore dal 1967. Quindi sono le donnela colonna portante senza la quale sarebbe im-possibile andare avanti. Confesso che comunqueancora oggi mi capita molte volte di sentire:«Certo, tu devi pensare anche alla famiglia...».Oppure quello che io chiamo il complimentoche profuma di pregiudizio: «Certo, tu comedonna, facendo la pastora, hai una marcia inpiù rispetto ai tuoi colleghi maschi», riferendosialla mia capacità di essere empatica e compren-siva... Mi sono trasferita circa otto anni fa dalcentro di Berlino, dove si trova il Tempio valde-se, in un piccolo quartiere di Basilea, per conti-nuare il mio ministero presso la Chiesa evange-lica metodista (le Chiese metodiste sono inunione con quelle valdesi), in una comunitàcomposta da persone provenienti da ben 19 pae-si diversi. Qui, sono le donne quelle che co-struiscono giorno dopo giorno una pacifica con-vivenza tra persone diverse tra loro, una diversi-tà riconciliata, come si direbbe usando un lin-guaggio più teologico. Io non mi sento diversada altre donne di questa città, sono una di quel-le che cerca di vivere la propria vita in modopiù coerente possibile, che sogna una vita bellaper i propri figli, ma anche per i figli e le figliedi altri meno fortunati... Sì, mi sento fortunata,perché ho la mia famiglia vicino, ho un lavoroper il quale ricevo riconoscimento, ho una casa,amici e amiche, fratelli e sorelle e un luogo diculto in cui esprimere la mia spiritualità e fede!

In che cosa consiste la collaborazione fra le donne prote-

stanti e cattoliche nella sua Chiesa?

Non vorrei sembrare retorica ma è proprionella costruzione quotidiana di un mondo di-verso, un mondo al di là della segregazione, delrazzismo e della paura. Nel nostro piccolo cer-chiamo di fare quello che ha fatto Papa France-sco nell’isola greca di Lesbo, l’ecumenismo deifatti e della «solidarietà cristiana». La nostrapresenza pastorale si è fatta continuativa e capa-ce di permeare il tessuto sociale della città, constudi biblici e conferenze ecumeniche sempreassai frequentate e apprezzate ma il lavoro con-creto con le donne cattoliche è senz’altro il no-stro gesto ecumenico più potente. Noi partiamodalle persone e poi camminiamo insieme.

Nella teologia cattolica, la Madonna è la figura femminile

più importante; e in quella protestante evangelica?

Credo che il protestantesimo abbia recuperatorecentemente il lato più “femminile” di Dio,proprio grazie alla riscoperta di sue immaginibibliche, come per esempio la madre che conso-la. Maria, la madre di Gesù, nelle Chiese prote-stanti è considerata semplicemente una sorellanella fede e non è venerata come nel cattolicesi-mo. Io mi sento particolarmente legata al mo-mento in cui Maria vive l’attesa della nascita diGesù. Non sa bene come affrontare questoevento, va da Elisabetta, sua cugina e sorellanella fede e riceve, in questo incontro, la forzaper portare avanti il progetto di Dio di un mon-do nuovo. Maria e Elisabetta sono due donneche prima di noi hanno creduto, sperato e lotta-to, hanno pregato l’una per l’altra e si sono in-coraggiate a vicenda per non perdere la speran-za che questo mondo diventi più giusto e offrala possibilità di vivere in modo dignitoso a tuttie tutte. È proprio nella collaborazione fra don-ne che a noi protestanti Maria in quanto sorellaci indica una strada per potere collaborare insie-me ad altre donne cristiane.

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LA S A N TA DEL MESE

Olivia nacque a Palermo nel 448da nobili genitori cristiani. Erauna ragazzina bellissima. Dota-ta di forza, velocità, capacitàsensoriali e resistenza sovrauma-

ne, era caratterizzata da una totale mancanza dipaura e da una profonda fede nel Signore. Perqueste sue doti, questa figlia di notabili dellacittà venne utilizzata senza troppi scrupoli dallealte sfere del governo di Palermo come armacontro i vandali di Genserico, che nel 454 con-quistavano la Sicilia e occupavano Palermo,portando il martirio tra i cristiani. Fin da picco-la e con il beneplacito dei genitori, Olivia veni-va spedita in missione e mentre le sue amichettepassavano dai giochi alla ricerca di marito, leiera impegnata nella ricerca di armi sempre piùsofisticate e si esercitava ogni giorno in gare divelocità con i palermitani più prestanti. Chiun-que immaginerebbe che il suo servizio alla co-munità portasse a Olivia onori e rispetto: non ècosì. Essere una donna anticonformista, pensarepoco a conquistarsi i favori dell’altro sesso a

La copertina del libro di Jacqueline Careydedicato alla giovane santa

a sinistra la statua nella cattedrale di Palermo

quei tempi e in quel mondo di uomini non pa-gava. Olivia parlava con gli animali (era portataper le lingue) e aveva una predilezione per i lu-pi, ed era quindi, comprensibilmente, additatacome “diversa” dal resto della comunità. Lastessa famiglia quasi si vergognava di lei, invecedi andarne fiera, e quando la sentivano commu-tare di codice, a seconda se parlasse con i mem-bri della sua famiglia o con le galline del corti-le, abbassavano lo sguardo e facevano finta dinon conoscerla. Per questo, era priva del soste-gno della famiglia e la sua lotta contro i vandalisi svolgeva in solitario. Nonostante i grandi suc-cessi iniziali (tornò un giorno con tre scalpi divandali appesi alla cintura dorata), Olivia pur-troppo fu catturata. Indomita, lungi dal perder-si d’animo, sosteneva e incoraggiava i compagnicristiani prigionieri dei vandali. Resistette a tut-te le avances, sia dei vandali, sia dei compagnidi fede, e passava le giornate in preghiera. Lafamiglia la considerava ormai perduta e noncercò di riscattarla. Ingrati. Genserico, lui sì, futoccato dalla sua forza d’animo e invece di mar-tirizzarla decise di liberarla, confidando che nonsarebbe stato difficile tenere sotto controllo unaragazzina, allora soltanto tredicenne. Uscita diprigione, e vissuto il lutto della morte della ma-dre, che la sconvolse profondamente nonostanteavesse ricevuto poco affetto anche da lei, Oliviasi unì a una comunità di orfani non integrati,

una sorta di scalcinata banda di bambini perdu-ti che, vessati continuamente sia dai palermitanisia dai vandali, trovavano solo nella fede un so-stegno alla loro vita disgraziata. L’arrivo di Oli-via nella loro piccola comunità cambiò le lorovite: i bambini perduti, nella maggioranza bam-bine, formarono un gruppo di vigilanti strettointorno alla loro nuova leader, che cominciaro-no a chiamare “santa”. Il gruppo usciva sempretutto unito per pattugliare la città. Anche la vitadi Olivia cambiò. Non era più una giustizierasolitaria ma era al centro di un gruppo di bimbiadoranti che non chiedevano di meglio che dilavorare con lei.

Ancora una volta, la città dimostrava pocagratitudine nei confronti di Olivia e della suabanda, ma era comunque ipocritamente feliceche i vandali fossero tenuti a bada da questogruppo di coraggiosi outsider. Genserico, ormaispazientito dalle gesta della ragazzina ribelle,dopo molti tentativi senza successo, riuscì a far-la catturare di nuovo dai suoi uomini. Ancora

di IRENE RA N Z AT O

I superpoteridi Olivia

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intenerito, forse attratto da questa ragazzetta,ma in fondo un gentleman, decise di spedirla aTunisi: sapeva che Amira, governatore di quellacittà, uomo dal polso durissimo, avrebbe potutopiegarla e convertirla al paganesimo. In ogni ca-so, era importante privare i bambini perdutidella loro guida.

A Tunisi, Olivia, sebbene di nuovo sola, sisentiva ormai non soltanto superpotente ma,per un fenomeno che gli psichiatri oggi chiame-rebbero inflazione dell’ego, sentiva anche cheforse l’appellativo di santa assegnatole dai bam-bini perduti non era un’esagerazione. Iniziò leia convertire i pagani al cristianesimo, con co-sternazione di Amira, e a operare miracoli, ben-ché gli studiosi non trovino accordo sul numeroche Olivia riuscì a compierne: secondo una stu-diosa americana, la professoressa Isabel Archerdell’università del Wisconsin, furono almenotrentasei, contando la resurrezione del canemorto di Amira; secondo il gruppo di ricercaguidato dal dottor John Knightley, PhD, di

Oxford, i miracoli non furono più di dodici. Inogni caso, Amira, quantunque ben contento diriabbracciare il cane, la spedì in un luogo deser-to pieno di leoni, serpenti e draghi perché po-tessero divorarla o almeno, se questo non fossestato possibile, perché morisse di fame.

Sappiamo ormai che la vita di Olivia era se-gnata dall’ingratitudine di coloro che avrebberodovuto ringraziarla. Colpisce comunque l’inge-nuità di Amira, che non aveva l’intelligenza diGenserico. Olivia infatti visse piuttosto benedurante il suo soggiorno nel deserto, cibandosidella ricca fauna di, appunto, leoni, serpenti edraghi. Esasperato, Amira inviò un esercito a ri-prenderla. Poiché l’immersione nell’olio bollentenon le recò alcun danno, decise di farla decapi-tare nel 463. Aveva quindici anni. La sua testagli fu portata in un cesto tra manghi e bananedurante un banchetto. Amira se ne compiacquema era troppo ubriaco per rendersi bene contoe la testa rimase dimenticata in un angolo finoal giorno dopo, quando vi trovarono il cagnoli-no addormentato accanto.

Questo triste epilogo non deve addolorarci,perché la santità opera il bene ancora di più do-po la morte. Il culto della santa è vivissimo siaa Tunisi sia in Sicilia e la santa conforta e rinvi-gorisce la fede di tutti coloro che si sentono po-co apprezzati nel luogo dove sono nati e dallepersone che in teoria dovrebbero sostenerli. Setrovate dei reietti che vi amano, ci dice la santa,unitevi a loro, quella è la vostra famiglia.

Il suo corpo non si trova e, a Tunisi lo sannobene, è meglio così. Si sa però per certo, perchécosì si tramanda nel diario di uno dei bambiniperduti, che riposa in un pozzo profondo di ac-qua fresca.

La storia di Olivia intreccia episodi della vitadella santa a particolari di finzione e a dettagliispirati alla fiaba fantasy Santa Olivia di Jacque-line Carey.

Irene Ranzato

Irene Ranzato, PhD in TranslationStudies, è ricercatrice di lingua etraduzione inglese all’università LaSapienza di Roma. I suoi interessi sirivolgono alla traduzione audiovisiva e allatraduzione intersemiotica. Ha dedicatoalla traduzione dei riferimenti culturali neidialoghi televisivi la sua più recentemonografia: Translating Culture Specific

References on Television: The Case of Dubbing

(Routledge 2016).

NEL NUOVO T E S TA M E N T O

La profetessaAnna

di LUÍSA MARIA ALMENDRA

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La menzione della profetessa Anna nel vangelo dell’infan-zia di Luca risulta effettivamente sorprendente. I motivisono piuttosto diversi: non ci sono precedenti biblici perquesta persona e il suo ruolo, tale come l’autore lo de-scrive, non presenta i tratti caratteristici dei profeti: la

vocazione, gli oracoli di giudizio, i messaggi di consolazione, le azio-ni simboliche, le visioni... Chi è allora la profetessa Anna? E perchél’autore la nomina in questo modo? Era davvero una profetessa? An-na appare, nel vangelo secondo Luca, insieme al vecchio Simeoneche accoglie Gesù nella presentazione al Tempio (cfr. 2, 22-38). Sitratta del momento della circoncisione, un rituale comune tra gliebrei, che viene realizzato all’ottavo giorno su ogni bambino ma-schio, secondo la prescrizione della Legge. Maria e Giuseppe porta-rono quindi il bambino a Gerusalemme «per offrirlo al Signore» (2,22). In questa espressione, l’evangelista introduce il lettore nel cuoredel rituale della circoncisione il cui senso profondo consiste infattinell’appartenenza al Signore. Così è scritto nella Legge: «Ogni ma-schio primogenito sarà sacro al Signore» (Luca 2, 23; cfr. Esodo 13,2.12.15).

Insieme a Maria e a Giuseppe ci sono nel Tempio due figure lumi-nose: il giusto Simeone e la profetessa Anna; un uomo giusto e unadonna profetessa, dunque due figure diverse unite da un compito —

Anna ha fatto del Tempio casa suaLì rimane notte e giorno

lodando, digiunando e pregando continuamente

il riconoscimento — straordinariamente significativo. Infatti la loro lo-de emerge dal profondo della loro fede e della loro speranza. Ambe-due, Simeone e Anna, molto anziani, sono abitati dallo Spirito santo.Ed è proprio questo Spirito che ispira la loro lode, fatta di canto eprofezia, che nessuno, fino a quel momento della narrazione evange-lica, era stato capace di proclamare. I due anziani però reagiscono inmodo diverso nella presentazione del bambino, ognuno secondo ilproprio ruolo.

Simeone è l’uomo dell’attesa (cfr. Luca 2, 25). Nel Tempio vegliavae attendeva il compimento della promessa messianica (cfr. 2, 26) an-nunciata dagli antichi profeti (cfr. Isaia 40, 1; 52, 9). Il suo cuore

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La profetessa Anna condivide pienamente questo sguardo che na-sce dalla profondità, e tuttavia l’autore la presenta come una figuramolto singolare: una donna profetessa, vedova anziana, figlia di Fa-nuel della tribù di Aser e che vive nel Tempio della città santa. Que-ste referenze non sono casuali. Fanuel richiama il nome Penuel (“vol-to di Dio”), che Giacobbe dà al luogo in cui avviene la sua lotta in-teriore nella notte con l’angelo (cfr. Genesi 32, 31). La tribù di Aserinvece richiama un’ascendenza di prestigio, cioè il figlio della ma-triarca Lia (cfr. Genesi 30, 13). Anna è, dunque, una donna con im-portanti riferimenti biblici, strettamente collegata alla storia di Israe-le. Quello che sorprende di più è che, diversamente da Simeone,l’autore non le fa dire niente, semplicemente la descrive. Anna nonirrompe come Simeone in un canto di lode, dove sono richiamate ecelebrate le speranze messianiche d’Israele. Dobbiamo vederla e im-maginarla lì, al Tempio, insieme a Simeone, Maria e Giuseppe, attra-verso la presentazione velata dell’evangelista.

È da notare un particolare: Anna «non si allontanava mai del

Luísa Maria Almendrainsegna presso lafacoltà di teologia,dell’Università cattolicaportoghese, dottoratoin teologia biblica,nell’area Scrittisapienziali.Tiene corsi e seminarisull’Antico e il NuovoTestamento e insegnalingue bibliche. Èmembro della Societyfor the Study of

gioisce, perché è capace di comprendere che Gesù è la salvezza pro-messa da Dio. In altre parole, la promessa divina si è realizzata inquel bambino offerto al Signore. Immerso nello Spirito, Simeone ècapace di vedere e capire il significato profondo di quello che sta vi-vendo: «I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te da-vanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo po-polo, Israele» (Luca 2, 30). L’evangelista Luca ci offre la chiave percomprendere i fatti narrati: il riconoscimento di Gesù come realizza-zione della promessa messianica dipende dalla comunione con loSpirito santo, per mezzo del quale ci è donata la capacità di vederein profondità (cfr. Isaia 52, 10).

L’autrice

Ambrogio da Fossanodetto il Bergognone

(1453–1523)Biblical and SemiticRhetoric,dell’Asso ciationCatholique Françaisepour l’étude de laBible e della Society ofBiblical Literature. Èresponsabile del corsodi teologia della facoltàe dei rapportiinternazionali dellastessa facoltà.

Tempio» (Luca 2, 37). Cosa vuole dirci Luca con que-sta immagine: una vedova che faceva del Tempio lasua casa? A nostro parere, è un modo per dire cheAnna ha trascorso la sua lunga vita (aveva ottanta-quattro anni) in preghiera e quindi in comunione conDio. Non è lì per caso, è lì perché aveva eletto quelposto — l’abitazione di Dio — come sua dimora abi-tuale: il Tempio era il centro della sua vita. A questopunto, l’evangelista aggiunge una ulteriore informa-zione: Anna serviva Dio «notte e giorno con digiuni epreghiere» (Luca 2, 37). È un’affermazione impressio-nante, l’anziana vedova era “s e m p re ” impiegata nellostesso servizio, cioè aveva una dedicazione di sé pienae totale. L’affermazione colpisce ancora di più quando ci si rendeconto che niente di simile è stato mai detto, prima o dopo, di un’al-tra donna, neppure di Maria o Elisabetta. Ambedue appaiono inun’ambiente familiare. Non si distaccano dalla loro attività quotidia-na, pur rimanendo concentrate sulla propria interiorità e capaci diaprirsi alla sorpresa di Dio. Anna invece ha fatto del Tempio casasua. Lì rimane notte e giorno, lodando, digiunando e pregando con-tinuamente. Possiamo intuire che per Anna questa lode continua èdiventata il senso della sua vita, la ragione d’essere della sua esisten-za. Pur essendo una donna fragile, in quanto anziana e vedova, essasperimenta in carne propria la gioia autentica e inesauribile che soloil Signore può donare.

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novità di quello di Elisabetta o la grandezza di quello di Maria, peròin lei si anticipano i tratti più rilevanti dei discepoli e delle discepoledi Gesù. Come profetessa, Anna continua la lunga tradizione delledonne profetesse nell’Antico Testamento la cui presenza, benché mol-to discreta, è attestata in diversi scritti biblici e va interpretata all’in-terno del contesto generale della profezia in Israele. Pensiamo a Mi-riam, la sorella di Mosè e di Aronne (cfr. Esodo 15, 20), una figuramolto ammirata nella letteratura rabbinica; a Deborah, profetessa egiudice, che annunciò a Barak la vittoria di Israele per volontà diDio (cfr. Giudici 4, 4.9); a Culda, di cui abbiamo parlato prima (cfr.2 Re 22, 14); o perfino alla moglie di Isaia, detta la profetessa (cfr.Isaia 8, 3). La nostra protagonista, però, nel fare del Tempio casasua, oltrepassa la soglia dell’Antico Testamento, anticipando il ruolodelle donne profetesse dei primi tempi della Chiesa (cfr. Atti degli

apostoli 2, 17; 21, 9; 1 Corinzi 11, 5). La sua benedizione consiste in lo-dare Dio e parlare del bambino «a quanti aspettavano la redenzionedi Gerusalemme» (Luca 2, 38). Infatti, Giuseppe e Maria, nel lorodesiderio di obbedire alla Legge riguardo alla circoncisione del bam-bino e alla purificazione della madre, ricevono la benedizione di Diotramite Simeone e Anna. Tuttavia, quello che viene sottolineato è illoro atteggiamento di attesa e di lode. Maria e Giuseppe rimangonoall’ombra. Sembra che Luca voglia avvertire i suoi lettori che sta periniziare un tempo nuovo, un tempo in cui la lode e l’annunzio pren-dono il sopravvento.

Il racconto biblico è permeato, da un lato, dalla bellezza del ritua-le ebraico e, dall’altro, dalla fede di Maria e Giuseppe attraverso leparole di Simeone e la presenza della profetessa Anna. Le parole delvecchio Simeone costituiscono il centro del racconto, nonostanteemergano in un contesto segnato da elementi teologici carichi di si-gnificato: ubbidienza alla Legge, celebrazione di una nascita, adora-zione nel Tempio e riconoscimento che la promessa di Dio si è realiz-zata. La celebrazione nel Tempio non rappresenta un’intrusione nellaloro vita, ma la realizzazione della loro fede. Maria e Giuseppe vive-vano in un contesto di alleanza e volevano introdurre loro figlio nel-lo stesso ambiente. Simeone e Anna, sensibili alla presenza di Dionegli eventi del passato d’Israele, rispondono all’ubbidienza di Giu-seppe e Maria con parole di benedizione. Questa loro benedizioneha dato alla celebrazione della presentazione del bambino un signifi-cato che altrimenti non avrebbe mai avuto. Immaginiamo che Mariae Giuseppe abbiano sempre ricordato questa benedizione, segno diun Dio che è in mezzo a noi, ma questo rimane mistero indicibile.Gesù è un Dio che è venuto nella storia per darci la gioia, ma rimanein attesa della nostra intimità e speranza.

Non sappiamo perché l’evangelista la chiami profetessa. La com-prensione che abbiamo dei profeti è piuttosto collegata all’ascolto in-teriore, all’annuncio della salvezza e alla denunzia dei misfatti; in-somma, al parlare esplicitamente in nome di Dio. Questo, Anna nonlo fa. Il lettore rimane stupito davanti al silenzio di Anna, non riescea capire che una profetessa non profetizzi. E subito gli viene in men-te Culda, la profetessa che, oltre a confermare l’autenticità del rotolotrovato nel tempio durante il regno di Giosia, annunciò la caduta delregno del Sud (cfr. 2 Re 22). Allora, come mai non ascoltiamo la vo-ce di Anna? Perché tace davanti al salvatore del mondo? Orbene, lerisposte a queste domande si devono cercare nel modo di raccontaredi Luca. Egli presenta la profezia in modo diverso da come la pre-sentano gli autori dei libri profetici. Per Luca la profezia si svolge,non nella piazza pubblica o nella corte dei monarchi, ma nella pre-senza e nel rapporto intimo di Dio, diventando così una totalità divita, come nel caso della nostra profetessa. Anna risponde perfetta-mente a questo “nuovo tipo” di profezia.

Proprio in questo consiste la dimensione profetica di molti cristia-ni, dei primi e di tutti tempi. Detto diversamente, la profezia è unadecisione libera di essere e di rimanere in un rapporto personale e in-timo con Dio; un rapporto di amore da dove emerge la testimonian-za eloquente di fede e di lode. Forse l’autore ha capito che alla testi-

Anna continua la lunga tradizione delle donne profetessenell’Antico Testamento

La sua presenza va interpretata nel contesto della profezia in Israele

monianza di Simeone mancava quella di Anna; alla parola profeticadi Simeone che annuncia a Maria il drammatico destino di suo figlioe di lei come madre (cfr. Luca 2, 34-35), mancava la testimonianza difede di Anna, maturata nell’incommensurabile interiorità di una vita.Anna è la prima di un lungo elenco di profeti e profetesse che svol-geranno un ruolo fondamentale nell’annunzio di Gesù Cristo, pur ri-manendo fino a oggi ignorati e sconosciuti da molti cristiani.

Come Elisabetta e Maria, Anna è una donna che comunica unaverità che non si confonde con le altre: il riconoscimento di Gesù co-me dono di salvezza ha bisogno di un cuore capace di attendere nelsilenzio e nell’interiorità notte e giorno. Il ruolo di Anna non ha la

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La donna in preghiera ha il capo co-perto da un velo leggerissimo, lemani raccolte sul candelabro a novebraccia, un’hannukkiah. Ha appenaacceso le candele e sta mormorando

la benedizione, tutta avvolta tra le mani a cop-pa e il capo velato. È un quadro, uno dei primida lei dipinti, di Antonietta Raphael Mafai, cheraffigura sua madre. In un altro quadro, del1931, dipinto a Londra, vediamo uno Yom Kip-pur in sinagoga. È fitto di teste di ebrei in pre-ghiera, e sullo sfondo una figurina «molto mi-stica», come lei stessa racconta in una lettera almarito Mario Mafai, quasi la tela godesse diuna sua autonomia e si dipingesse da sé. Sonoquadri carichi di silenzio, di raccoglimento, dipreghiera. Quadri densi di misticismo, potrem-mo definirli. Eppure, Antonietta era lungidall’essere una mistica o anche soltanto unadonna religiosa. Già la pittura era di per sé unatrasgressione per una ebrea, come lo era perChagall, di cui Antonietta era stata definita dalcritico Roberto Longhi «una sorellina di latte».Ma la pittrice aveva avuto una vita intensa eturbinosa, carica degli stessi colori che usavanelle sue tele straordinarie.

Era nata a Ekaterinoslav, una città dell’Ucrai-na russa situata a nord del Mar Nero, nel 1895.Era figlia di un rabbino e da parte di madre di-scendeva da un’importante famiglia rabbinica diVilnius, di origini sefardite. Sua madre, Kaia,era una donna forte. Nel 1905, dopo la mortedel marito, si trasferì a Londra dove già viveva-no i suoi figli maggiori, portando con sé la pic-cola Antonietta. Dallo shtetl russo a Londra ilsalto non fu da poco. Antonietta, che aveva die-ci anni al momento dell’arrivo a Londra, scelsedi studiare musica, diplomandosi in violino epianoforte. Aveva davanti a sé una promettentecarriera, che però fu troncata da un blocco ner-voso che le impediva di esibirsi in pubblico.Cambiò modalità artistica e iniziò a frequentareil mondo culturale londinese, diventando amicadi pittori e scultori, ed entrando perfino a farparte di una piccola compagnia teatrale. Nel1922, la morte della madre la spinse ad abban-donare Londra. Voleva girare il mondo, primala Francia, poi Roma, dove però si fermerà. Quiconobbe un giovane pittore romano, più giova-ne di lei di sette anni, Mario Mafai. Fu l’iniziodi una storia di amore, passione e rotture chesegnerà per sempre la vita di entrambi. Nasconotre figlie, la prima Myriam poi Simona e poiGiulia. In un bel libro di memorie di Giulia ri-troviamo la vita turbinosa ma anche severa dellafamiglia, con Antonietta che ne rappresentava ilmotore, Mario sempre un po’ defilato anche selegatissimo alle figlie, e le ragazze strette da unrapporto intensissimo a quella madre tanto fuoridal comune, che le dipinge in mille forme e cheera tuttavia anche capace di abbandonarle unpoco. «Per anni ho creduto che fosse unica, di-versa da tutte le madri, da tutte le donne che

ARTISTE

D ipingerecome pregare

di ANNA FOA

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avessi incontrato», scrive di lei Giulia nel suo li-bro La ragazza con il violino.

Mario si afferma, Antonietta anche, sia purein maniera meno “canonica”. Formano, insiemecon Scipione, quella che è stata definita come lascuola romana di via Cavour. Ma presto Anto-nietta, per non far concorrenza a Mario ma for-se anche per differenziarsi maggiormente, si vol-ge verso la scultura. Vanno a Parigi, poi Anto-nietta va da sola a Londra e vi resta per alcunianni. Vi ritrova gli amici di un tempo, studiascultura, riprende possesso di se stessa. Quandoritorna, impianta un suo studio a piazza Indi-pendenza. Come scultrice ha bisogno di spazio,le sue sculture sono grandi, devono respirare.Sono gli anni della Fuga da Sodoma, del N a rc i s o .Resta anomala nel panorama artistico italiano, e

troverà la sua affermazione solo negli anni cin-quanta, quando diventerà un’artista nota e affer-mata. Le leggi razziali vedono l’intera famigliarifugiarsi a Genova: Antonietta è ebrea, le figliesono miste e non battezzate. Ma dopo il 25 lu-glio tornano a Roma, credendo che tutto sia fi-nito. Durante i mesi dell’occupazione sono aRoma, più o meno nascosti, protetti dalla loroincoscienza più che dalle misure di sicurezzaprese. Tutti sapevano che erano là, la loro casaera sempre affollata di amici e partigiani. So-pravvivono, e la vita riprende, tutta dedicataall’arte, in quella straordinaria Roma del dopo-guerra percorsa da fermenti culturali vivacissimi,povera e vitale. Mario muore nel 1965, Anto-nietta gli sopravvive di dieci anni, continuandoa scolpire, viaggiando, manifestando fino alla fi-ne la sua incredibile vitalità. Va in Sicilia, da so-la, e viene scambiata per una matta fuggita dalmanicomio. Va in Cina, e sviene dall’emozionevedendo l’alba nascere sulla Grande Muraglia.

Era una pittrice diversa dalle altre pittrici ita-liane, anche da quelle ebree. La forza del mon-do ebraico dell’Europa orientale, quello appun-to reso immortale dalla pittura di Chagall,erompeva nei suoi dipinti. La ragazza con ilviolino, il violino appunto, lo strumento che gliebrei preferiscono, secondo la vecchia barzellet-ta: «Perché? Hai mai provato a fuggire portan-do un pianoforte sulle spalle?». E poi, l’afflatomistico, che ci ricorda i chassidim con i loro ric-cioli, gli abiti scuri dei rabbini dell’Est. Nullanella sua vita ci parla di un’Antonietta religiosasecondo le norme dell’ebraismo, ma tutto nellasua pittura e nella sua arte ci parlano diun’ebrea pienamente e totalmente tale, che nonva forse in sinagoga a Kippur per pregarvi mache vi va per osservare pregare gli altri e disse-zionarne l’anima. Era anche questo, per la di-scendente di dinastie di rabbini, un modo perlegarsi alla sua lunga storia. Per pregare, sia pu-re, come in tutto quello che faceva, in modo di-verso dagli altri.

MAT T E O 25, 31-47

Q uesta è l’ultima predicazionedi Gesù prima della sua Pas-sione, ci parla dell’amore peril prossimo come di untutt’uno con l’amore per il Si-g n o re .

A chi vuole seguirlo per vivere con lui Gesùdice, con una sorta di parabola, dove incontrar-lo nel lungo tempo della storia in attesa del suoritorno.

Quando il Figlio dell’uomo verrà, giudicheràognuno sull’amore prestato al prossimo biso-gnoso. Non saremo giudicati su null’altro. Nonsulla fede, non sulla speranza, tanto menosull’appartenenza religiosa, ma solo sull’unico emolteplice frutto cui è ordinata tutta la Rivela-zione: sull’amore, sul nostro farci prossimi a chiè nel bisogno.

E il bisogno che affligge la povertà, così co-me l’amore che lo soccorre, è narrato in modopreciso e concreto, e viene ripetuto nel testo con

ME D I TA Z I O N E

Ci salverà solol’amore donato

a cura delle sorelle di Bose

Jan Provoost, «Giudizio finale» (1505)nella pagina successiva: Kandinsky (1912, particolare)

«Fiori» (1966)nella pagina precedente: «Autoritratto col violino» (1928)

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insistenza martellante, a indicare che agli occhidi Dio è questa la cosa seria della storia e delmondo: la fame delle persone affamate, la setedelle assetate, la multiforme povertà e umilia-zione delle persone straniere, il freddo e la ver-gogna e l’isolamento di quelle nude, carcerate,malate, abbandonate.

In tutta la Scrittura questa miseria dolorosa èil grido incessante che il Signore ode salire dallaterra, come udì il grido muto del sangue diAbele, il grido da Sodoma dove l’ospitalità ve-niva tradita e gli stranieri usati, il grido della se-te di Ismaele, della disperazione di Agar, il gri-do dall’Egitto, dove Israele era schiacciato dallaschiavitù. E poiché questo grido d’angoscia nonha smesso mai di salire al cielo, il Signore ci havisitati venendo in mezzo a noi umano e poveronell’uomo Gesù, esposto al patire come noi.

E il Figlio dell’uomo è annunciato nell’atto dirivelare chi lo ha amato, perché è l’incarnazionedel Dio compassionevole e il Servo del Signoreche patisce e porta su di sé come suo propriostrazio e tribolazione e piaga il dolore di tutti gliesseri umani sofferenti, fino a identificarsi conloro. Oggi ci è rivelata la piena coincidenza, nel-

la storia e oltre, tra il corpo umiliato delle perso-ne povere e quello del Signore, tra il suo volto eil loro volto. Sono loro le membra del suo cor-po. Ed è con queste parole profetiche che Gesùrende per sempre i poveri e gli ultimi la presen-za più preziosa e la più esigente per discepoli ediscepole, magistero quotidiano per aver partecon lui in questo mondo e in quello futuro. Larisposta verso chi è in condizioni di debolezzadiventa il criterio per discernere in noi stessi enella Chiesa e nel mondo ogni progetto e gestodi empietà, perché l’empietà, che è idolatria, hasempre, come cuore e frutto, l’indifferenza el’odio per le persone deboli, povere, straniere,sempre giudicate irrilevanti.

Le Scritture ci attestano che il diritto del Si-gnore nostro Dio coincide col diritto del nostroprossimo nel bisogno, perché è il Signore stessoche attende nella persona dei poveri il nostrosoccorso, la condivisione di ciò che siamo e ab-biamo. Così chi umilia e ignora una personapovera, umilia e ignora il Signore. Il Signore dàla propria voce e il proprio volto ai poveri ditutta la storia, e svela la beatitudine di chi lo hasoccorso e l’infelicità di chi non lo ha soccorso.Fa molta impressione che qui neppure siano no-minate le violenze e le angherie che noi umanisappiamo infliggere alle persone più deboli dinoi e che la Bibbia ben conosce. Qui bastal’omissione di soccorso per essere rivelati malva-gi e del tutto estranei al Signore. In quel giornonessuno dirà la povertà che ha patito, il suo bi-sogno tormentoso: perché di tutto questo doloresi farà voce il Signore rivelandolo come suo do-lore, come il dolore di Dio. Ma ognuno sarà ri-conosciuto sull’attenzione e la risposta, offerta onegata, al dolore del suo prossimo, alla fame,alla sete, alla nudità e alla vergogna, all’isola-mento e all’umiliazione, all’afflizione patite dalsuo prossimo.

Ancora una volta Gesù ci insegna che non ilnostro dolore ci salva, ma sempre e soltantol’a m o re .

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