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1 Il forum di bioetica vuole suscitare un interesse culturale sui principi fondanti della bioetica e aprire il dibattito sui dilemmi etici dell’epoca moderna INDICE: Principi e Dilemmi Bioetica Curare il narcisismo, sostituendo l’amore di Sé con l’amore di Gesù di Paolo Rossi Il narcisismo individuale. Narcisismo digitale. Narcisismo di massa Le rilevanze di uno sguardo. Il narcisismo è diventato democratico. Il narcisismo estremo. L’incidenza delle religioni: La crisi della modernità. Secolarizzazione. Società postsecolare. Testimonianza cristiana in un mondo postsecolare Appunti di vita interiore: La Fede. Virtù necessarie alla fede: l’umiltà, il perdono Curare il narcisismo, sostituendo l’amore di Sé con l’amore di Gesù di Paolo Rossi Oggi viviamo un epoca in cui domina un narcisismo di massa. Non è improbabile che ognuno di noi possa riconoscersi in qualcuno dei tanti modi di essere (descritti più avanti) del narcisista. Possiamo anche non saper distinguere la nostra vanità e la vanagloria con i tratti del narcisista, specie se sono subdoli e nascosti alla nostra coscienza. La vanità è il voler apparire belli per essere notati dagli altri, il narcisista non ne ha bisogno, è talmente innamorato di se stesso che si piace sempre e comunque, indipendentemente dal giudizio altrui. Il narcisismo individuale è caratterizzato dall'interesse rivolto esclusivamente al proprio io, che viene messo al centro del mondo, dal ripiegamento su di sé, dalla cura ossessiva dell'immagine, ecc. Il narcisista è un uomo tragico, guidato da ideali impossibili e da ambizioni che non ama. La vergogna e l’odio insorgono quando non sa vivere all’altezza di questo irrealismo per due fondamentali ragioni. La prima ragione è che il narcisista rappresenta il perdente per antonomasia e colui al quale è riservato il più grande quoziente di sofferenza inutile e autoprodotta; la seconda ragione è che il narcisismo non è solo una

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Il forum di bioetica vuole suscitare un interesse culturale sui principi fondanti della bioetica e aprire il dibattito sui dilemmi etici dell’epoca moderna INDICE:  Principi e Dilemmi Bioetica Curare  i l  narcisismo,  sostituendo  l ’amore  di  Sé  con  l ’amore  di  Gesù  di  Paolo  Rossi  Il  narcisismo  individuale.  Narcisismo  digitale.  Narcisismo  di  massa  Le  rilevanze  di  uno  sguardo. Il  narcisismo  è  diventato  democratico. Il  narcisismo    estremo.  L’incidenza  delle  religioni:  La  crisi  della  modernità. Secolarizzazione. Società  post-­‐secolare. Testimonianza  cristiana  in  un  mondo  post-­‐secolare  Appunti  di  vita  interiore:  La  Fede.  Virtù  necessarie  alla  fede:  l’umiltà,  il  perdono    

Curare il narcisismo, sostituendo l’amore di Sé con l’amore di Gesù di Paolo Rossi

Oggi viviamo un epoca in cui domina un narcisismo di massa. Non è improbabile che ognuno di noi possa riconoscersi in qualcuno dei tanti modi di essere (descritti più avanti) del narcisista. Possiamo anche non saper distinguere la nostra vanità e la vanagloria con i tratti del narcisista, specie se sono subdoli e nascosti alla nostra coscienza. La vanità è il voler apparire belli per essere notati dagli altri, il narcisista non ne ha bisogno, è talmente innamorato di se stesso che si piace sempre e comunque, indipendentemente dal giudizio altrui.

I l  narc is i smo   ind iv idua le  è caratterizzato dall'interesse rivolto esclusivamente al proprio io, che viene messo al centro del mondo, dal ripiegamento su di sé, dalla cura ossessiva dell'immagine, ecc. Il narcisista è un uomo tragico, guidato da ideali impossibili e da ambizioni che non ama. La vergogna e l’odio insorgono quando non sa vivere all’altezza di questo irrealismo per due fondamentali ragioni. La prima ragione è che il narcisista rappresenta il perdente per antonomasia e colui al quale è riservato il più grande quoziente di sofferenza inutile e autoprodotta; la seconda ragione è che il narcisismo non è solo una

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sofferenza mentale in sé, ma anche il fondamento e il cuore di ogni tipo di sofferenza mentale, di cui costituisce il nucleo della distruttività. 1 Per la sua pervasività il narcisismo, più che una psicopatologia a sé stante, può essere considerata una malattia immunitaria della psiche, poiché rappresenta un sostrato di fragilità e di illusorietà su cui attecchiscono con facilità i sintomi clinici. Fortemente radicato nella società moderna, il narcisismo può essere letto come un inquinamento  ecologico   della   psiche   collettiva, che è nutrita da miti socioculturali perniciosi, contrari alla salute mentale e all’evoluzione della coscienza verso forme di vita più creativa, serena e consapevole. Il  carattere  narcisistico, è costituito dal bisogno inappagabile di essere sempre considerato migliore. Associato ad intensa ambizione e a scarsi valori, il carattere narcisistico è polarizzato su miti esteriori di successo, ricchezza, prestigio e su obiettivi superficiali di bellezza e potere. Sottende il carattere narcisistico l’aspettativa idealistica che tutto debba avvenire come si desidera e si crede giusto secondo prospettive egocentriche. Il rifiuto della frustrazione, la ricerca di conferma sempre e comunque, l’estrema vulnerabilità alle critiche, l’intima insicurezza e l’esterna arroganza e presunzione sono gli aspetti più evidenti del carattere narcisistico. Il fanatico innamoramento di sé, tipico del narcisista, e l’ostinata negazione dei propri difetti, limiti ed errori, porta al rifiuto   del   sentimento   della   colpa   reale,   all’incapacità   di   amare,   allo   sviluppo   del   cinismo,  dell’indifferenza  e  della  manipolazione,  nonché  a  gravi  disarmonie  nell’equilibrio  psicosomatico. Incarnando un falso sé grandioso e illusorio, il narcisista è per emblema la personalità più lontana dalla conoscenza della sua vera natura, dall’espressione delle proprie potenzialità e dei propri talenti, così come dalla consapevolezza della propria debolezza e dei propri reali bisogni. A causa della basica  non  conoscenza  di  se  stesso, il narcisista sceglie, senza saperlo, ciò che è male per sé, prende strade sbagliate, considerandole giuste, fa scelte inopportune, credendo di fare ciò che è utile a sé, e per questa grande illusorietà si trova a raccogliere frutti opposti a ciò che crede di avere seminato, senza dubbio assai lontani da quello che realmente occorre ad ogni essere umano per essere sano, forte e felice. La relazione disfunzionale con se stesso e con il mondo costruisce nella mente narcisistica una somma di conflitti (interni ed esterni), complessi (inferiorità e abbandono) ed emozioni dolorose (paura, rabbia, impotenza e vergogna), che lo spingono sempre più ad attività difensive ed a scelte compensatorie di carattere materialistico, estrovertito ed edonistico. Preda del falso sé, che corre dietro alle lucciole dell’ “avere”, del successo esteriore e dell’acclamazione altrui, il narcisista sperimenta la drammatica   rinuncia   alla   conoscenza   della   bontà   e  della   dignità   intrinseca   alla   natura   umana, rappresentando per antonomasia un’esistenza apparentemente socializzata ma intimamente solitaria e priva di valori, in cui il   terrore   della  morte,  della   vecchiaia   e   della   malattia   si   sviluppano   col   passare   del   tempo   accanto   ad   un   vuoto   di   autostima   e   di  sfiducia   nella   vita. Va sottolineato che se la direzione del narcisismo è guidata dal principio del piacere, il suo effetto, viceversa, è  legato  all’istinto  di  morte: come sottolinea il mito di Narciso, questi, fanaticamente attratto dalla sua immagine riflessa nell’acqua, muore cadendovi dentro. Il tema della morte è emblematico degli effetti dell’inconsapevolezza egocentrica, che produce azioni in contrasto con la vera natura del Sé e con i veri bisogni e valori dell’esistenza, estraniando la coscienza dalle necessità evolutive e da quelle certezze che si trovano solo nel cuore di ogni essere umano. Le conoscenze della psicoterapia insegnano che il narcisismo si presenta come un disturbo della strutturazione della personalità che è generato da una   patologia   del   super-­‐io, ovvero dalla disfunzionalità, sino all’assenza completa, di quella struttura fondamentale della mente che impone i limiti morali, le regole e le normative realistiche. È attraverso questo opera direttiva del “super-io” che l’io regola l’assolutezza del piacere, evoca il senso di colpa in caso di danno reale e spinge alla riparazione, mantenendo in tal modo l’autostima. In assenza di un super-io ben strutturato si  realizza  una  carenza  del  senso  del  dovere  e  del  senso  morale,  un  abuso  del  principio  del  piacere  ai  danni  del  principio  della   realtà,   con   una   conseguente   assenza   di   capacità   autocritica   e   di   visione   realistica   delle   cose, che è necessariamente fonte di un rapporto disfunzionale con la realtà e con il prossimo. Da questo rapporto disfunzionale si genera il senso di inadeguatezza che indebolisce l’autostima e il rapporto con la vita 2.

1 Blaise Pascal. Pensieri n.253 Amor proprio. La natura dell'amore di sé e di questo « io » umano è di amare soltanto se stesso e di considerare soltanto se stesso. Ma come farà? Non può certo impedire che l'oggetto del suo amore non sia pieno di difetti e di miserie: vuol esser grande, e si vede meschino; vuol essere felice, e si vede miserabile; vuol essere perfetto, e si vede pieno di imperfezioni; vuol essere oggetto dell'amore e della stima degli uomini, e vede che i suoi difetti meritano solamente la loro avversione e il loro disprezzo. 2 Boggio Gilot L., Crescere oltre l’io, Cittadella editrice, Assisi 1997

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Nell'organizzazione  narcisistica  della  personalità è da considerare “l'equipaggiamento interno” del soggetto, espressione del suo patrimonio genetico, nel far fronte o meno ad un certo fallimento e al dolore mentale collegato alla separazione dall'oggetto che destabilizza il suo sistema di attaccamento e la sua spontanea sintonizzazione affettiva. L 'equ ipagg iamento   in te rno non va visto come espressione di una pulsione, bensì di una funzione mentale collegata al patrimonio genetico indispensabile al soggetto nelle sue componenti affettive, emozionali e cognitive per affrontare la realtà.3 Quando l'equipaggiamento è inadeguato, l'oggetto è particolarmente frustrante e traumatico e l'ambiente violento e distruttivo (una sorta di sequestro di persona), e se costretto il soggetto si ritrova ad introiettare serie di oggetti "cattivi", violenti e persino persecutori cui può solo rispondere con una difesa proiettiva o con una riparazione.

Narc is i smo  d ig i ta le  Una particolare forma di narcisismo è quella legata alle nuove tecnologie, ed al web, viene perciò definita narcisismo digitale simile per certi aspetti all'egosurfing (descrive l'atto di inserire il proprio nome in un motore di ricerca web al fine di valutare la propria presenza e rilevanza su Internet). Si caratterizzerebbe per uno smoderato culto della personalità, dell'apparire e di esibirsi sul web con i propri scritti, foto, video e messaggi; complici le applicazioni web 2.0 che consentono a qualsiasi utente di creare contenuti auto-prodotti con estrema facilità. Il web partecipativo fatto di blog, video-audio-foto sharing (autoprodotti), twitter, mashup facilita la creazione di prodotti autoreferenziali, autocitazioni che vanno a gratificare appunto il narcisismo digitale. Il narcisismo individuale digitale si connette spesso a quello culturale,4 così in una società consumata l'individuo tende a fuggire verso una consumazione della propria immagine, con forme di negazione dell'alterità affogandola in compiacimenti autoreferenziali.

Narcisismo  di  massa  

Il selfie è la manifestazione più diffusa di un narcisismo di massa. Termine derivato dalla lingua inglese, è una forma di autoritratto fotografico realizzata principalmente attraverso una fotocamera digitale compatta, uno smartphone, un tablet o una webcam puntati verso sé stessi o verso uno specchio. La funzione tipica è la condivisione dell'immagine sui social network . Tale dimensione sociale e l'assenza di peculiarità o intenzioni artistiche, lo distinguono dal tradizionale autoritratto fotografico. Il millennio dell’Io ci corre incontro a braccia aperte, ci vede anzi per strada braccia allungabili per fare i selfie, ed è bello perdersi negli sguardi inclinati e nelle labbra protese verso i telefoni di gruppi di amici euforici che non si parlano ma si auto-scattano, controllano il risultato, cancellano, ripetono con diversa angolazione, in totale autonomia gli uni dagli altri. Ecco qui. Il selfie di Obama con Cameron e la premier danese era decisamente molto carino, forse faceva contatto con l’atmosfera di festa danzante che era propria dei funerali di Mandela, gigante del sorriso e di tante altre cose. Il cacio sui maccheroni fu quell’impostore geniale, un Paolini al cubo falso interprete per i non udenti, che si è messo di fianco a Obama e ha fatto segni che i sordi non capivano affatto; si giustifica invece il labbro imbronciato di Michelle Obama. Le statistiche parlano chiaro: i selfie invadono la rete. I dati di alcuni mesi fa dicono che su Instagram ci sono tre milioni di foto identificate con la parola “io”, 187 milioni con “me” e 73 milioni con “selfie”. Più del 90% di queste immagini arriva da adolescenti americani che si sono scattati una foto e l’hanno caricata in rete. L’interpretazione di questo fenomeno potrebbe essere abbastanza semplice: i nativi digitali non hanno più quell’imbarazzo che in

3 Andrew Keen in The Cult of the Amateur, rivela i pericoli cui la cultura va incontro, in un'epoca in cui è caduta qualsiasi distinzione (o coscienza) fra esperti e ignoranti, fra sapere condiviso, apparentemente democratico, e conoscenza garantita. 4 «Con la modernità, in cui non smettiamo di accumulare, di aggiungere, di rilanciare, abbiamo disimparato che è la sottrazione a dare la forza, che dall’assenza nasce la potenza. E per il fatto di non essere più capaci di affrontare la padronanza simbolica dell’assenza, oggi siamo immersi nell’illusione inversa, quella, disincantata, della proliferazione degli schermi e delle immagini ».J. Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà.

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altri tempi provocava la paura di apparire come un narcisista. Carole Lieberman, uno degli psichiatri più famosi di New York, sostiene che i selfie sono un segnale della nostra ossessione di diventare delle star. “Gli autoscatti sono un grido: guardatemi!”. Le  rilevanze  di  uno  sguardo  Patologia individualista o espressione disinibita dell’umanissima necessità di essere guardati? La cultura popolare postmoderna, con i suoi eccessi, ha il vantaggio di mostrare chiaramente ciò che in altri momenti veniva occultato da un eccesso di sufficienza. L’autoritratto costituisce un fenomeno tipico della modernità: fino al Rinascimento era un’eccezione. Ma l’artista moderno, così come l’operaio, la prostituta o il santo moderni, sono affascinati dalla propria soggettività. Il nuovo spettatore ha bisogno di essere il protagonista dell’opera, come della vita. Fin dall’inizio, questo bisogno da soddisfare ha seguito due strade diverse. Alcuni interpretarono il proprio ritratto in chiave razionalista: il volto che appare sulla tela - o sullo schermo - è autosufficiente, nel proprio io tutto inizia e tutto finisce. Da qui si arriva a Hegel, a Marx e ai totalitarismi. Altri, come per Pascal, «E’ pericoloso mostrar troppo all’uomo quant’è simile ai bruti senza mostrargli insieme la sua grandezza. Egualmente pericoloso è fargli vedere troppo la sua grandezza senza mostrargli la sua bassezza. “E’ bene che l’uomo non si creda eguale né agli angeli né ai bruti e che non ignori né l’una cosa né l’altra, ma che le conosca entrambe». (Da i “Pensieri”, n.400 di Blaise Pascal). Il soggetto ritratto, nei momenti di lucidità, riconosce di esistere perché è guardato e nei momenti di difficoltà chiede di essere osservato. Guardare ed esistere coincidono. Non sembra che in questo periodo la sensibilità degli autosufficienti costituisca la maggioranza. L’ottimismo ingenuo con cui è iniziato il secolo seguente alla caduta del Muro di Berlino è scomparso. Quel positivismo ha fatto il suo tempo. Dopo la caduta delle Torri gemelle, la lotta al terrorismo internazionale, il crac di Lehman Brothers, la doppia recessione, solo pochi intellettuali superbi continuano a dire che la soluzione sta nello Stato, nel mercato o in qualche altra ideologia; l’uomo della strada si sente soffocare da queste celle razionaliste. Questo di per sé non garantisce un’apertura, ma molti riconoscono che un grido silenzioso e drammatico - guardami - ci aiuta a trascinarci fuori dal letto. Forse tutti i selfie di Instragram non sono altro che una sinfonia composta da questo clamore che attraversa il mondo. Lo  sguardo  di  Gesù. Il Vangelo secondo Giovanni comincia con uno sguardo e finisce con un altro. Il primo è quello che lo stesso Giovanni, insieme al suo amico Andrea, sentirono su di sé dopo aver chiesto a Gesù dove viveva: andarono con Lui e rimasero stupiti per come parlava e per come li guardava. L’ultimo è quello di quegli occhi che chiesero a Pietro - con la tenerezza più grande che ci sia mai stata nella storia - mi  ami? Cosa si poteva rispondere di fronte a quelle pupille? Cosa si poteva rispondere quando avevano guardato la terra, gli animali, le persone che avevano fame, i potenti, le vedove, le prostitute, i lebbrosi e - cosa ancora più importante - te stesso come mai nessun altro aveva fatto prima? Il  narcisismo  è  diventato  democratico tutti abbiamo il diritto di amarci immensamente e di specchiarci nell’acqua, di pubblicare il nostro adorato riflesso su Instagram e di aspettare trepidanti che qualcuno scriva: sei fantastica/o, sei unica/o, sei speciale. Però narcisista è un giudizio più negativo che positivo (di solito il narcisista ci ha fatto soffrire), e dentro il narcisismo infiliamo quello che non ci piace: vacuo, egocentrico, manipolatore, arrogante, bugiardo, il narcisista si sporge così tanto verso l’acqua per specchiarsi che ci trascina tutti nel fiume. Come  scoprire  che  amate  un  o  una  narcisista  All’inizio   ti   “bombardano   d’amore”.   I gesti   appariscenti   ed   esagerati   sono   la   loro   specialità.   Non   sanno  ammettere  di  aver  sbagliato.  Sono  invidiosi  dei  vostri  rapporti  con  gli  altri.  La  loro  empatia  non  è  incondizionata.  Le  conversazioni  sono  a  senso  unico.  I  vostri  bisogni  e  le  vostre  richieste  non  contano.    

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Se i narcisisti sono così affascinanti c’è un motivo: sono seducenti, irresistibili e prodighi di complimenti. Ma prima di accorgervi di quanto possano essere nocivi, probabilmente avrete già maturato dei sentimenti per loro, che sia un lui o una lei. Ovviamente, non tutti quelli che frequentate e che sembrano leggermente egocentrici avranno un conclamato disturbo narcisistico di personalità (Dnp). “Non tutti i narcisisti hanno il Dnp”, ha spiegato Malkin (docente dell’università di Harvard). “Con il termine “narcisista” si indica un soggetto che supera di molto i livelli medi di vanità. Ci sono dei segnali, ma non è detto che ci sia anche un disturbo”. Se siete innamorati di un narcisista, i vostri bisogni saranno sempre in secondo piano. Sono troppo occupati a valutare cosa vogliono da voi per vedervi come delle persone indipendenti, con i vostri desideri 5.

Il  narcisismo    estremo  Il millennio dell’Io ha riabilitato il narcisismo estremo. Ora il vero dramma è essere “ecoisti”. Uno psicologo di Harvard, convinto che sia necessario riabilitare umanamente il narcisismo, e che sia giusto e utile sentirsi speciali, ha creato un test per determinare la scala del nostro amore per noi stessi, per capire se siamo sani (e quindi sicuri di noi, allegri, ottimisti capaci di farci valere e amare) oppure estremi (in grado di rovinare la vita degli altri con questo ego fuori misura, soffocante e cieco). So che c’è qualcosa di speciale in me. Sono bravissimo in un sacco di cose rispetto alla maggior parte delle persone. Credo segretamente di essere migliore della maggior parte delle persone: bisogna attribuire un grado di entusiasmo o disapprovazione a queste affermazioni, assicurandosi che nessuno ci spii e eliminando ogni pudore. Se raggiungiamo il massimo del punteggio, con ragionevole certezza si può affermare che siamo narcisisti estremi, adoratori ciechi di noi stessi, anche nel caso in cui non ci siamo mai specchiati in una vetrina e non ci facciamo autoscatti senza vestiti. Insopportabili, ma in vasta compagnia. Ma il rischio più grande, nel millennio narcisista, è quello di essere “ecoisti” (la faccia in ombra, ansiosa e depressa, del narcisismo): “Eco” era la ninfa innamorata di Narciso, lui la respinse e di lei restò solo la voce. Bisogna dare il proprio gradimento a queste affermazioni: “Mi sento a disagio quando sono al centro dell’attenzione. Trovo difficile godermi i complimenti. Non mi piace parlare di me”. L’ecoista pensa continuamente a se stesso, ma con senso di colpa e sofferenza. Non vuole farlo pesare agli altri. Si fa gli autoscatti solo di nascosto. Si sente migliore e incompreso, si ama follemente, si sporge verso l’acqua ma ha il terrore che dicano di lui: narcisista 6.

L’incidenza  delle  religioni    La  crisi  della  modernità riapre la questione dell’origine delle civiltà, ed un contesto capace di avvertire la nuova incidenza delle religioni quali grembo delle grandi civiltà. G. B. Vico osservava nella Scienza Nuova: «Laonde, perdendosi la religione nei popoli, nulla resta per loro per vivere in società; né scudo per difendersi, né mezzo per consigliarsi, né pianta dov’essi reggano, né forma per la qual essi sien affatto nel mondo… Quindi veda Bayle se possano esser di fatto nazioni nel mondo senza veruna cognizione di Dio… Ché le religioni sono quelle unicamente per le quali i popoli fanno opere virtuose» 7, in cui Vico manifesta l’origine religiosa dei popoli e delle civiltà. Su un cammino affine si muovono vari autori fra cui S. Huntington che scrive: «La mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni dell'umanità e la fonte di conflitto principale saranno legata alla cultura. Gli Stati nazionali rimarranno gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro.» 8 . Il teologo Ratzinger, per il quale «in tutte le

5 Dr. Craig Malkin. Rethinking NarcissismThe Bad---and Surprising Good---About Feeling Special, July 7, 2015 6 ANNALENA. Quanto mi amo? il Foglio 25/07/15 7 G. Vico, Scienza nuova, Ricciardi, Napoli 1953, nn. 1109 e 1110. 8 Samuel Huntington. Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale 1996

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culture storiche conosciute la religione è elemento essenziale della cultura, anzi è il suo centro determinante, è ciò che definisce la compagine dei valori e dunque l’ordine interno del sistema della cultura» 9. Secolarizzazione,  termine entrato nel linguaggio giuridico durante le trattative per la pace di Vestfalia (1648), allo scopo di indicare il passaggio di beni e territori dalla Chiesa a possessori civili, e adottato in seguito dal diritto canonico per indicare il ritorno alla vita laica da parte di membri del clero. Nel 19° sec. è passato a indicare il processo di progressiva autonomizzazione delle istituzioni politico-sociali e della vita culturale dal controllo e/o dall’influenza della religione e della Chiesa. In questa accezione, che fa della secolarizzazione uno dei tratti salienti della modernità, il termine ha perso la sua originaria neutralità e si è caricato di connotazioni valoriali di segno opposto, designando per alcuni un positivo processo di emancipazione, per altri un processo degenerativo di desacralizzazione che apre la strada al nichilismo. Oggi con “secolarizzazione” si intende un processo che ha caratterizzato soprattutto i paesi occidentali in età contemporanea e ha portato al progressivo abbandono degli schemi religiosi e di un comportamento di tipo sacrale. Secondo le teorie della secolarizzazione, la modernità si accompagnerebbe inesorabilmente al declino del sacro, il quale sarebbe inversamente proporzionale all’aumento del progresso, alla diffusione dell’istruzione, ai processi di urbanizzazione e industrializzazione 10.  Società  post-­‐secolare  La parola “post-secolare” fu creata da Ju rgen Habermas 11 e ha perciò una dignità particolare nel contesto dell’epoca “Benedetto XVI” dell’evangelizzazione; ma il concetto è problematico e la caratterizzazione del XXI secolo come quello post-secolare è contestata perché la denominazione non riflette correttamente il potere prevalente della perdita dei numeri e dell’influsso della tradizione religiosa come fattore formativo della vita umana: siamo piuttosto in un tempo post-cristiano e in un mondo secolarizzato. Perciò, nonostante i suoi problemi, la descrizione del presente come “post-secolare” può risvegliare una maggiore attenzione a cinque sviluppi recenti. 1. Ci sono da cogliere nella Chiesa nuovi fermenti missionari e di un ritorno dello spirito missionario; e questo o come una riscoperta, teologicamente fondata, della gioia di annunziare il Cristo, o come reazione a un esagerato pudore di fronte alla manifestazione della propria identità. 2. Cresce la visibilità dell’Islam salafita e dell’Induismo nazionalista: fenomeni da descrivere – anche parzialmente in modo metaforico – come “fondamentalismi”. In essi si ritrova una fuga nella sicurezza e chiarezza di un immaginato passato che si incontra anche dentro alla Chiesa. 3. La sentita crescita della presenza delle religioni non-cristiane in Europa, particolarmente dell’Islam; una sfida spesso percepita come minaccia della “nostra identità” ma anche percepibile come buona occasione per interrogarci: cosa vogliamo essere, come Europa, come Chiesa, come “noi”? Chi vogliamo essere e che vogliamo trasmettere? 4. L’autocritica della modernità come estrema, fredda, inumana, pericolosamente totalitaria e il bisogno di altre fonti di orientamento, favorisce anche come movimento filosofico una “riabilitazione della tradizione” 12. 5. L’esperienza, qualche volta sorprendente, che la Chiesa è interpellata come interlocutore competente nei processi sociali, nelle discussioni intellettuali e nella strutturazione di una società locale e mondiale con una faccia umana con libertà religiosa e un senso del sacro. Ciò che sta adesso prendendo forma sotto i nostri occhi è una “deprivatizzazione” della religione. e solo nell’Occidente la religione fatica a riemergere, mentre altrove le tendenze

9 Joseph Ratzinger, Fede Verità Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, p. 61. 10 Jurgen Habermas - Benedetto XVI (Joseph Ratzinger), Ragione e fede in dialogo, Marsilio Edizioni, 2005. 11 Discorso in occasione del conferimento dello premio “Friedenspreis des deutschen Buchhandels” nel 2001, Paulskirche, Francoforte: Ju rgen Habermas, “Glauben und Wissen. Friedenspreisrede 2001“ 12 Hans-Georg Gadamer, Wahrheit und Methode. Grundzu ge einer philosophischen Hermeneutik, Tu bingen '1990, vol. 1, p. 281.

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religiose dispongono del potenziale sufficiente a conferire una diversa forma alla cultura e alla vita civile, a un livello che forse non ha l’eguale dall’epoca del sorgere del moderno nazionalismo. In Europa La presenza pubblica della religione è precaria e fortemente sfidata dal secolarismo: noi europei saremmo il caso raro di secolarismo entro un mondo che si volge alla religione. Il suo necessario rilancio non implica il superamento della differenza tra religione e politica, ma una diversa articolazione del loro nesso, che il paradigma liberale non sembra in grado di fornire. Testimonianza  cristiana  in  un  mondo  post-­‐secolare  L’“evangelizzazione” sarà coniugata tre volte con una fase della storia della Chiesa degli ultimi 50 anni, più precisamente con tre Papi: Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: persone le cui intuizioni si lasciano contraddistinguere paragonando le visioni coinvolte sul rapporto tra fede cristiana e cultura. Per Paolo VI l’evangelizzazione era l’offerta di orientamento al mondo di oggi per un progetto comune di plasmare le nostre società. Il Vangelo può, per una tale visione, ricevere un nuovo significato di guida nel discorso fra i portatori di responsabilità per la strutturazione della vita attuale; proprio perché lo stesso Vangelo può essere tradotto in atteggiamenti, orientamenti e in visioni antropologiche. Il messaggio trasmesso da parte della Chiesa poteva così trovare un nuovo valore – cioè una nuova rilevanza; e la testimonianza riceve in questa dinamica la forma di valori morali – cioè una responsabilità etica. Per Giovanni Paolo II l’evangelizzazione è diventata una proposta fatta con lo charme del pastore, un progetto per una trasformazione del mondo, quasi una nuova conquista cristiana; una chiamata pronunziata prima con stupendo dinamismo, dopo con stupenda fedeltà. Anche i movimenti che basano l’efficacia del loro apostolato sull’impressione affascinante delle figure leader trovavano, durante questo pontificato, un appoggio particolare; e il successo dell’annunzio della persona di Cristo e del personalismo contro le dottrine e regime totalitari era globale. Per i commentatori più critici mancava invece nelle decisioni e nei gesti di questo Papa carismatico della fraternità universale, un senso per l’importanza dell’alterità, dello spazio di distacco, per il funzionamento trasparente dell’amministrazione burocratica. Si trattava di una “personalizzazione” del Vangelo. In Benedetto XVI, data la sua profonda cultura, formazione e intuizione, si può attestare una certa tensione fra l’interesse per il pensiero di oggi e una sua critica; un costante avvertimento dei pericoli di arbitrarietà che egli stesso diagnostica nelle culture odierne – e il desiderio di discutere i presupposti e le conseguenze evangeliche con gli intellettuali non credenti come co-cercatori della verità. Si deve forse parlare di un’“esposizione” del Vangelo, denominando così allo stesso tempo la spiegazione razionale 13, la nuova offerta 14, la luce della riflessione filosofica contemporanea 15, ma “esposizione” anche nel senso del distacco fra cultura moderna e messaggio apostolico, e della necessaria solitudine di colui che lo espone. Troviamo quindi tre atteggiamenti non contraddittori, neanche separabili, ma distinguibili per la comprensione della dinamica dell’evangelizzazione. Essa può realizzarsi piuttosto come valorizzazione, come personalizzazione o come esposizione del Vangelo. Appunti  di  vita  interiore  La Fede

13 Benedetto XVI., Glaube und Vernun!. Die Regensburger Vorlesung, Freiburg 2006. 14 Il gesto non-intrusivo della proposta si trova ben impostato nella lettera dei vescovi francesi Proposer la foi dans la société actuelle del 9. novembre 1996: “Quand nous affirmons notre projet de proposer la foi dans la société actuelle, nous faisons appel à cette liberté personnelle, et nous estimons que le contexte actuel de pluralisme nous oblige à véri!er sans cesse ce que nous proposons et la fac on dont s’effectue cette proposition. Nous voulons simplement etre les témoins de ce que nous avons rec u, en participant à ce dialogue ininterrompu entre Dieu et l’humanité qui constitue l’histoire du salut et qui vaut aussi pour notre société actuelle, dans la diversité de ses composantes” (2.II.4). 15 come Theodor W. Adorno: Spe salvi, 30. novembre 2007, n. 23.

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La fede è un atto dell’intelletto, perché si tratta di conoscere delle verità, ma non essendo queste verità intrinsecamente evidenti, la nostra adesione di fede non può farsi senza l’influsso della volontà. Ma non basta. Trattandosi di verità soprannaturali deve intervenire anche la Grazia (o aiuto di Dio) per illuminare l’intelletto e aiutare la volontà nel suo assenso. La fede è, dunque, dono di Dio, ma richiede l’impegno dell’intelletto e della volontà umana. Diciamo subito anche che la fede, per essere completa e salvifica, non può limitarsi ad essere un’adesione intellettuale, ma deve essere abbandono fiducioso e confidente in Dio, cioè deve essere unita, quasi impastata, con le altre due virtù teologali della speranza e della carità. Mi pare che in tal modo sia superfluo sottolineare quanto la fede sia essenziale ad un rapporto vitale con Dio, che senza di lei manca di fondamento. Per questo il Concilio di Trento afferma che la fede “è il principio, il fondamento, la radice della nostra giustificazione”. Insomma, senza fede non è possibile stabilire un rapporto di salvezza con Dio. La  fede  viene  da  ciò  che  si  ascolta,  e  ciò  che  si  ascolta  dalla  parola  di  Cristo.      Infatti  vi  abbiamo  fatto  conoscere  la  potenza  e  la  venuta  del  nostro  Signore  Gesù  Cristo,  non  perché  siamo  andati  dietro  a   favole  abilmente   inventate,  ma  perché  siamo  stati   testimoni  oculari  della  sua  maestà.    Egli,  infatti,  ricevette  da  Dio  Padre  onore  e  gloria  quando  la  voce  giunta  a  lui  dalla  magnifica  gloria  gli  disse:  «Questi  è  il  mio  diletto  Figlio,  nel  quale  mi  sono  compiaciuto».  E  noi  l'abbiamo  udita  questa  voce  che  veniva  dal  cielo,  quando  eravamo  con  lui  sul  monte  santo. (2 Piet. 1:16-18)  Per focalizzare meglio il nostro discorso è forse utile spazzare il nostro cammino da false  o  incomplete  immagini  della  fede: ¤ La fede non è puro sentimento, emotività superficiale e passeggera. Un movimento di commozione spirituale determinato da un canto o da una situazione particolare, non può dirsi un atto di fede, anche se può esserne accidentalmente inizio, una spinta. ¤ Al limite opposto non si può dire fede, in senso salvifico e completo, l’assenso ad una verità, per esempio l’accettazione puramente intellettuale dell’esistenza di Dio. Scrive l’Apostolo Giacomo: “Tu ti limiti a credere che c’è un solo Dio? Ma anche i demoni lo credono e tremano” (Giac. 2,19). ¤ Fede vera e vitale non è neppure l’adempimento formalistico e macchinale (per abitudine?) di riti o di leggi morali. ¤ Fede non è folclore. E qui dobbiamo far bene attenzione noi che viviamo in zone in cui sono profondamente radicate tradizioni ed usanze, che hanno avuto certamente un’origine religiosa e tuttora mantengono aspetti religiosi (come la festa di un santo, una processione che parte da una chiesa ecc. ecc.), ma che, per ignoranza o fanatismo, si sono andate gradualmente svuotando di valori e sono rimaste a livello di gare sportive o di spettacoli popolari o poco più. L’aver partecipato ad una processione sgranocchiando ceci e semi di zucca abbrustoliti, chiacchierando di tutto e su tutti o addirittura dando sguardi maliziosi a destra e a sinistra; il portare una bara facendo sfoggio dei propri muscoli e forse anche lasciando andare qualche bestemmia (cose purtroppo udite con le mie orecchie!) son cose che non manifestano una fede genuina, ma piuttosto una voglia di folclore, di festa paesana. ¤ Fede non è superstizione, come la “catena di S. Antonio” o di P. Pio, o di S. Rita consistenti nel copiare una preghiera a detti santi un certo numero di volte ed inviarla ad altrettante persone che a loro volta…., o cose simili. Con la promessa di grazie particolari facendolo o di disgrazie e punizioni se si è inadempienti. Fede questa? No, stupida superstizione molto atta a discreditare la vera religione presso le persone intelligenti (se vi capitasse qualcuna di queste missive farete molto bene a stracciarle senza scrupolo e bloccare queste sciocchezze, sotto le quali potrebbe anche nascondersi qualche abile manovra commerciale, come la vendita di lumini ecc.). Sviluppo   della   fede. In riferimento al suo sviluppo in ciascuno di noi, potremmo anche paragonare la fede ad un seme divino, immesso (seminato) in noi, insieme a quello della speranza e della carità, al momento del Battesimo (di qui l’importanza del Battesimo anche

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ai bambini, non solo per cancellare in loro il peccato originale e renderli figli di Dio, ma per introdurli gradualmente in un rapporto intimo e personale con Lui). E’ chiaro che ogni seme per germogliare e svilupparsi ha bisogno di trovare un terreno adatto (il clima di fede di una famiglia cristiana!), di essere protetto, coltivato, nutrito. Ma come in pratica? ★ Con la preghiera assidua (soprattutto quella di ascolto) ★ Con la grazia dei sacramenti. Chi trascura la pratica liturgica e sacramentale con il pretesto di mantenere la fede nel cuore anche senza di essa, si potrebbe paragonare ad uno che pretendesse mantenere in vita una pianticella, magari ancora tenera (gli adolescenti che non vanno più in chiesa!) senza bagnarla mai. Potrà durare un po’, ma poi s’infiacchirà ed incomincerà a seccare. Certamente non porterà molto frutto. ★ Importante anche, per lo sviluppo della fede, la purezza dei pensieri e dei costumi, secondo la parola di Gesù: “Beati  i  puri  di  cuore,  perché…”. Certe crisi di fede adolescenziali o giovanili hanno qui un motivo molto più frequente e realistico che non altre ragioni teoriche. ★ Determinante poi per la conservazione e lo sviluppo della fede soprattutto nelle nuove generazioni l’esempio reciproco. L’ambiente – soprattutto quello familiare – influisce moltissimo. Persino persone notoriamente non religiose, non possono non ricordare la fede semplice ma profonda dei propri genitori e tale commozione è indice di un segreto richiamo alle proprie radici, di cui spesso lo Spirito Santo si serve per richiamare un’anima e salvarla. E quello che si dice per la famiglia vale anche per l’ambiente parrocchiale, sociale, scolare in cui si è passati. Di qui l’urgenza di ricreare nei nostri paesi ambienti vivi di fede e di santità, che siano come fecondi vivai di nuove generazioni veramente cristiane. ★ Un ultimo accenno, riguardo a questo tema dello sviluppo della fede, non possiamo omettere l’importanza  dell’istruzione  religiosa. L’ignoranza religiosa non è amica della fede. La non conoscenza dei termini della fede o, forse più ancora, le mezze conoscenze in persone presuntuose, produce una nebulosità mentale dannosissima e paralizzante del nostro rapporto di fede e di amore con Dio. (Catechismo della Chiesa Cattolica). Se il patrimonio inapprezzabile della nostra fede cattolica va deteriorandosi progressivamente, fino al punto di far definire la nostra “un’epoca post-cristiana” o “della morte di Dio”, questo è certamente anche colpa nostra perché non abbiamo coltivato in noi una fede contagiosa ed irradiante e non ci siamo sufficientemente impegnati a propagarla. E qui si apre il discorso, tanto caro a Giovanni Paolo II, della “nuova evangelizzazione”. La fede, come tutti i fenomeni divini, è una realtà   dinamica. Di natura sua tende ad espandersi, comunicarsi, un pò come il fuoco che, divampando, tende a diventare incendio; altrimenti si esaurisce e si estingue. Se pretendiamo tener la nostra fede nascosta nel nostro intimo (“Io mi faccio i fatti miei; degli altri non mi interessa”), finiamo col soffocarla. Anche perché Dio ha voluto la comunità dei credenti come una comunione universale (Ecclesia catholica) e tutto ciò che non si apre a questa universalità voluta da Gesù «Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20) non è autenticamente cristiano. In molti di noi, che pur ci riteniamo cristiani, c’è dunque da operare una grande conversione: far passare la nostra fede da un fenomeno unicamente personale (è fuori dubbio che la fede stabilisca un rapporto personale con Dio), ad un’ardente passione, ad un bruciante desiderio di comunicare agli altri i suoi tesori. Sarebbe anche il modo di superare la debolezza e l’anemia della nostra fede stessa, perché è donando che si riceve. Una comunità ecclesiale ripiegata su se stessa e priva di slancio missionario, è una comunità moribonda, se non già morta. Virtù  necessarie  alla  fede  L'umiltà poggia sulla consapevolezza del posto che occupiamo al cospetto di Dio e degli uomini, e sulla saggia moderazione dei nostri sempre smisurati desideri di gloria. Questa virtù non ha niente da spartire con la timidezza, la pusillanimità o la mediocrità. Non si oppone all'essere

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consci dei talenti ricevuti, né al metterli a frutto con rettitudine d'intenzione; l'umiltà non rimpicciolisce il cuore, lo allarga. L'umiltà scopre che tutto quanto esiste in noi di buono, tanto nell'ordine della natura quanto in quello della grazia, appartiene a Dio, "perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni" (l Cor 1,5). Tutto ciò che c'è di buono e grande in noi viene dal Signore; nostre sono invece la miseria e la fragilità. L'umiltà è il fondamento di tutte le virtù e senza di essa nessuna virtù potrebbe svilupparsi. Senza l'umiltà il nostro agire è come "un mucchio molto voluminoso di paglia che abbiamo innalzato, ma che viene demolito e disperso dal primo soffio dei venti. Il demonio teme poco le devozioni che non sono fondate sull'umiltà poiché sa bene che le può annientare quando vuole". (Santo Curato D'Ars, Omelia sull'umiltà). Non è possibile aspirare alla santità se non c'è una seria lotta per vivere questa virtù, non potrà esservi neppure un'autentica personalità umana. La persona umile ha anche una particolare facilità all'amicizia, pure con persone di gusto ed età molto diversi: ne viene assai facilitato l'apostolato personale. L'umiltà è, in particolare, il fondamento della carità. Le dà concretezza e la favorisce: «La carità ha la sua sede nell'umiltà», diceva sant'Agostino (sulla verginità 51). Quanto più l'uomo si dimentica di sé stesso, tanto più potrà occuparsi degli altri e dedicarsi a loro. Molte mancanze di carità sono state provocate da precedenti atti di vanità di orgoglio, di egoismo, di smania di eccellenza. E queste due virtù umiltà e carità «sono come le madri per le altre virtù che le seguono come i pulcini seguono la chioccia» . (San Francsco di Sales, Lettere, n. 378). Chi è umile non prova piacere a mettersi in mostra. Sa bene che non per brillare o ricevere elogi si trova nel posto che occupa, bensì per servire, per svolgere una missione. «Non metterti al primo posto…invece, quando sei invitato, va' a metterti nell' ultimo posto» (Lc 14,7 ss). E se il cristiano si ritrova ai "primi posti", occupando una posizione di preminenza, sa che «le doti per cui uno eccelle sono date da Dio per il bene degli altri. Cosicché la stima e l'onore che un uomo riceve per la sua eccellenza, in tanto devono piacergli, in quanto gli preparano la via per giovare agli altri» 16. Dobbiamo stare al nostro posto (nelle conversazioni, in famiglia, in ufficio, ecc.), lavorare guardando a Dio, evitando di farci accecare dall'ambizione. Men che meno vogliamo che la nostra vita, sotto la spinta della vanità si trasformi in una corsa appresso a cariche sempre più alte, nelle quali forse non saremo utili e che più tardi potrebbero essere occasione di profondo malessere quando, umiliati, ci rendessimo conto che non siamo nel posto adatto a noi e, forse, che non abbiamo le doti necessarie per il ruolo che occupiamo. Tutto ciò senza d'altra parte sminuire in alcunché la chiamata del Signore a far rendere al massimo i nostri talenti, con molti sacrifici quando si tratta di impiegare al meglio il nostro tempo. L'umiltà si oppone recisamente alla mancanza di rettitudine d'intenzione, chiaro sintomo di superbia. La persona umile sa incarnare il suo ruolo, si sente a posto ed è felice nella sua attività. Inoltre è sempre di aiuto. Conosce i propri limiti e possibilità e non si lascia facilmente ingannare dall'ambizione. Un'altra manifestazione di umiltà è evitare il giudizio negativo sugli altri. La conoscenza delle nostre debolezze ci porterà a «non pensare mai male di nessuno, nemmeno se le parole o le opere di qualcuno te ne danno ragionevole motivo» (J. Escrivà, Cammino, 442.) Ci avvicineremo agli altri con rispetto e comprensione. Queste stesse virtù ci spingeranno, quando sarà necessario, a esercitare la correzione fraterna. Fra le strade per giungere all'umiltà la prima è desiderarla ardentemente, averne grande considerazione e chiederla al Signore. Conquisteremo l'umiltà soprattutto per mezzo della carità attraverso costanti dettagli di servizio allegro degli altri. Gesù è l'esempio più alto di umiltà. Nessuno ha mai posseduto una dignità paragonabile alla sua, e nessuno mai ha servito gli uomini con tanta sollecitudine: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22, 27). L'umiltà ci dispone e ci aiuta ad aver pazienza coi difetti di chi ci sta accanto, e

16 San Tommaso, Somma teologica, II-II, q. 131, a. l.

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anche coi nostri. Presteremo piccoli servizi nella convivenza quotidiana, senza dar molta importanza al fatto e senza chiedere nulla in cambio; e impareremo da Gesù e Maria a convivere con tutti, a saper comprendere gli altri anche coi loro limiti. Se faremo in modo di vedere gli altri così come il Signore li vede, ci sarà facile accettarli come Lui li accetta. Il  perdono  Di fronte a Dio noi ci troviamo nella condizione di "debitori che non sanno come pagare" 17. La parabola del servo spietato, che corona l'insegnamento del Signore sulla comunione ecclesiale, termina con queste parole: "Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello". È lì, infatti, "nella profondità del cuore" che tutto si lega e si scioglie. Non è in nostro potere non sentire più e dimenticare l'offesa; ma il cuore che si offre allo Spirito Santo tramuta la ferita in compassione e purifica la memoria trasformando l'offesa in intercessione. (catechismo n. 2844) La preghiera cristiana arriva fino al perdono dei nemici “Voi avete udito che fu detto: "Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico". Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano” (Mt 5,43-44). Essa trasfigura il discepolo conformandolo al suo Maestro. Il   perdono   è   un   culmine   della   preghiera   cristiana. È la condizione fondamentale della Riconciliazione «Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione». Il soggetto di questa frase è il pronome indefinito «tutto questo» (ta panta tutte le cose). Esso si riferisce al contesto letterario precedente (vv. 14-17), in cui Paolo ha evocato sinteticamente la morte e la risurrezione di Cristo, definendo gli effetti salvifici universali di tale evento in termini di «nuova creazione» (v. 17). Tutta l’opera salvifica di Dio viene presentata come una riconciliazione, di cui il protagonista non è Paolo, ma Dio stesso. Paolo è solo un intermediario, al quale è stato affidato il «ministero» (diakonia) della riconciliazione, cioè il compito di rendere attuale ed efficace questo dono divino per i suoi ascoltatori. (2 Cor 5,18-21) dei figli di Dio con il loro Padre e degli uomini tra loro.» Non c'è né limite né misura a questo perdono essenzialmente divino.

17 Matteo 18,23-35 parabola del debitore spietato "Il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse avere anche tu pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello". (catechismo n. 2843).

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