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ipvedì 18 I febbraio 20101 Lìbet* ZÌQII€! Uno staterello ancora di tipo feudale; un abisso il Pii delle altre nazioni europee. Mentre il re «superstizioso e rozzo» si occupa solo di «donne, cavalli e caccia» Maria. R. Calderoni Sarà pure che s'è desta e dell'elmo li Scipio s'è cinta la testa. Ma a guardarla, fa paura, tanto è brutta, 'Italia Unita anno 1861. Uno sta- :erello malconcio, misero, male in irnese, con statistica da barboni, litro che Fratelli d'Italia. Un paese :he stava alle Potenze europee co- ne Cenerentola alla Regina d'In- ;hilterra. ^a popolazione è poco più di 25 nilioni a voler contare anche Ve- icto e Lazio (21 milioni senza) e si ratta per quasi due terzi di un po- )olo di contadini in gran parte an- ora quasi servi della gleba: nel ra- no agricoltura lavora infatti il 69,7 >er cento del totale; solo il 12 nel- 'mdustria, il 13 nel terziario (vale dire soprattutto nell'amministra- ione pubblica, che conta per circa 1 9 per cento). Jn popolo lacero, povero, analfa- ieta. Mentre già il governo del luovo Stato smania per farsi am- aettere al tavolo delle Grandi Po- mze, quasi la metà degli italiani è atta di senza lavoro, il 25 per cen- D dei nuovi nati muore entro il rimo anno di vita, il 44 entro i rimi 5 anni; e la speranza di vita [email protected] > Uno scrivano a Napoli, 1870 ca. (foto di Giorgio Sommer, da "II Risorgimento", Diego Mormorio, Editori Riuniti); sono, ritratto di Vittorio Emanitele II smo e corruzione furono subito di casa, «e nel dicembre 1861 dovette essere pubblicata un'apposita diffi- da contro le agenzie private che ga- rantivano alla gente raccomanda- zioni nei vari ministeri» (come si vede, si tratta di un "vizietto" anti- co...). La leva obbligatoria e le tasse, que- sto il biglietto da visita del nuovo Stato: milioni e milioni di contadi- ni vivono ancora in una economia chiusa di tipo feudale, nelle cam- pagne quasi la moneta non esiste e le strade pure, si vive di baratto mi- serabile, il commercio è una paro- la pressoché sconosciuta e l'unico genere che si acquista nelle campa- gne è il sale. «Per lunghi periodi dell'anno, buona parte dei lavora- tori agricoli rimaneva disoccupata, mentre la sovrapopolzione com- primeva i loro salari al livello della mera sussistenza. I contadini della bassa valle del Po si nutrono esclu- sivamente di màis e si ammalano di pellagra; in Puglia i braccianti a giornata mangiano praticamente solo pane nero d'orzo cucinato due o tre volte all'anno; centinaia di migliaia di italiani vivono in grotte, in capanne di sterpi e fango prive di finestre, nelle cantine umi-

Transcript of culture@liberazione - ifontanaritorremaggioresi.com · pe fu Domenico, nato a Nizza il 4 lu-glio...

ipvedì 18 I febbraio 20101 Lìbet* ZÌQII€!

Uno staterelloancora di tipo

feudale; un abissoil Pii delle altre

nazioni europee.Mentre il re

«superstiziosoe rozzo» si occupa

solo di «donne,cavalli e caccia»

Maria. R. Calderoni

Sarà pure che s'è desta e dell'elmoli Scipio s'è cinta la testa. Ma aguardarla, fa paura, tanto è brutta,'Italia Unita anno 1861. Uno sta-:erello malconcio, misero, male inirnese, con statistica da barboni,litro che Fratelli d'Italia. Un paese:he stava alle Potenze europee co-ne Cenerentola alla Regina d'In-;hilterra.^a popolazione è poco più di 25nilioni a voler contare anche Ve-icto e Lazio (21 milioni senza) e siratta per quasi due terzi di un po-)olo di contadini in gran parte an-ora quasi servi della gleba: nel ra-no agricoltura lavora infatti il 69,7>er cento del totale; solo il 12 nel-'mdustria, il 13 nel terziario (valedire soprattutto nell'amministra-ione pubblica, che conta per circa1 9 per cento).Jn popolo lacero, povero, analfa-ieta. Mentre già il governo delluovo Stato smania per farsi am-aettere al tavolo delle Grandi Po-mze, quasi la metà degli italiani èatta di senza lavoro, il 25 per cen-D dei nuovi nati muore entro ilrimo anno di vita, il 44 entro irimi 5 anni; e la speranza di vita

[email protected]

> Uno scrivano a Napoli, 1870ca. (foto di Giorgio Sommer,da "II Risorgimento",Diego Mormorio,Editori Riuniti);sono,ritratto di Vittorio Emanitele II

smo e corruzione furono subito dicasa, «e nel dicembre 1861 dovetteessere pubblicata un'apposita diffi-da contro le agenzie private che ga-rantivano alla gente raccomanda-zioni nei vari ministeri» (come sivede, si tratta di un "vizietto" anti-co...).La leva obbligatoria e le tasse, que-sto il biglietto da visita del nuovoStato: milioni e milioni di contadi-ni vivono ancora in una economiachiusa di tipo feudale, nelle cam-pagne quasi la moneta non esiste ele strade pure, si vive di baratto mi-serabile, il commercio è una paro-la pressoché sconosciuta e l'unicogenere che si acquista nelle campa-gne è il sale. «Per lunghi periodidell'anno, buona parte dei lavora-tori agricoli rimaneva disoccupata,mentre la sovrapopolzione com-primeva i loro salari al livello dellamera sussistenza. I contadini dellabassa valle del Po si nutrono esclu-sivamente di màis e si ammalanodi pellagra; in Puglia i braccianti agiornata mangiano praticamentesolo pane nero d'orzo cucinatodue o tre volte all'anno; centinaiadi migliaia di italiani vivono ingrotte, in capanne di sterpi e fangoprive di finestre, nelle cantine umi-

generale è di 33 anni. Muoionogiovani, nell'Italia dove la Vittoriamostra la chioma, giovani e igno-ranti, da veri poveracci. Saper scri-vere il proprio nome e leggere.an-che solo un po', è una cosa presso-ché inaudita, rara. Infatti, oltre l'80per cento è analfabeta; né leggerené.scrivere né far di conto, al Nordcome al Sud (78 per cento in Vene-to, 83 nelle Marche, 84 in Umbria,89 in Sicilia, e se Dio vuole quasi il90 per cento in Basilicata). La lin-gua italiana? Roba mai vista, è par-lata infatti dal 2 per cento, l'altro98 conosce solo il proprio dialetto(e appunto quando i piemontesisbarcano in Sicilia, nessuno capi-sce nessuno). E però il servizio dileva è odioso e obbligatorio e duraun'eternità, 5 anni, nel nome diquella nuova strana cosa detta Pa-tria.Italiani gran povera gente. Semprela solita arida statistica dice che,fatto 100 il consumo di un italianonel 1861, il rapporto con gli altriPaesi europei è: Gran Bretagna220; Svizzera 200; Francia 170. Edè un abisso il Pii, il reddito prò ca-pite: Italia 196, Inghilterra 775,Francia 650, Prussia 428.Pazienza, con la nuova Italia Uni-ta, sotto il Regno Sabaudo e il Go-verno all'altezza dei tempi le cosecambieranno... Sì proprio. Le ele-zioni che devono dare vita al Pri-mo Parlamento Italiano si svolgo-no il 27 gennaio; si svolgono be-ninteso secondo la legge elettoralesabauda del 1848: fondata sul cen-so. Perciò, appunto in base al cen-so, risultano avere diritto al voto,su 25 milioni di abitanti, solo418.619 fortunati, l'l,9 per cento.Sulla carta, perché alle urne si recasolo poco più della metà: i cattoli-ci infatti, obbedienti al "non expe-dit" papale, boicottano il voto. Ecosì il rapporto risulta di 1 votantesu ogni 107 abitanti, possono ba-stare 63 voti per eleggere un depu-

de deiTondaci napoletani; a Romain interi quartieri operai si vive indieci per stanza. Malaria, febbriterzane, tubercolosi, tifo sono ma-li endemici.E' rimasta quella, l'Italia descrittada Dickens nel suo libro "Visionid'Italia". Lo dice del resto lo stessoSennino: tutta la legislazione so-ciale dei primi decenni dell'Italiaunificata rimase ridotta «ad una di-sposizione sui libretti postali di ri-sparmio nel 1870 e ad una leggedel 1873, rimasta peraltro letteramorta, sul lavoro dei bambini nel-

Come eravamo. Analfabetismo, miseria e il vizio d'origine: clientelismo e corruzione

brutta Italiai ricorda qualcosa

tato, una vera esplosione di demo-crazia. In sostanza, un Parlamentodi censo, uscito da un voto di cen-so, che elegge deputati di censo.Chi sono costoro, sui banchi delPrimo Parlamento Italiano? 85 so-no ex principi, marchesi, conti, du-chi; 25 ex alti ufficiali; 72 avvocati,42 professori universitari; 5 medi-ci; 5 tecnici. Del popolo bue nem-meno l'ombra.Per andare al di là dei meri nume-ri, bisogna aggiungere che -la gran-de maggioranza degli eletti rappre-senta la classe dei proprietari terrie-ri, dal momento che dei 40-45 mi-liardi che formano la ricchezza na-zionale privata, ben 25 miliardi ap-partengono alla proprietà fondia-ria. Che all'epoca succhia dal lavo-ro contadino qualcosa come un

miliardo all'anno, una sommaenorme, superiore al valore dellastessa intera produzione industria-le.Lo Stato è bensì unificato, nel suoterritorio, nella sua lingua, sottoun governo unico; le frontiere in-terne non esistono più, abbattutigli intralci feudali. Ma i suoi vizid'origine ne fanno quello Stato lì,debole, rachitico, reazionario. Conun re che è bensì a capo del primoStato unitario ma che continua achiamarsi Vittorio Emanuele II, unuomo debole, «superstizioso e roz-zo, le cui uniche passioni erano ledonne, i cavalli e la caccia», comescrive Denis Mack Smith, e che siprodigò moltissimo, ma nella mol-tiplicazione di titoli nobiliari, pre-bende e onorificenze. Clienteli-

l'industria».«Cosa intende per nazione, signorministro? E' una massa di infelici?Piantiamo grano ma non mangia-mo pane bianco. Coltiviamo vitema non beviamo vino. Alleviamoanimali ma non mangiamo carne.Ciononostante voi ci consigliate dinon lasciare la nostra Patria? Ma èuna Patria la terra dove non si rie-sce a vivere del proprio lavoro?».La domanda era retorica; e infattiproprio in quegli anni «partono 'ebastimento per terre assai luntane».Inizia il più grande esodo migrato-rio della storia moderna: quellodegli italiani.Mentre a casa i braccianti meridio-nali in rivolta vengono definiti bri-ganti e decimati inviando laggiùun esercito di 120mila uomini.

> Lo sbarco di Garibaldi in Sicilia in un dipinto dell'epoca.Sotto, la tomba al Verano di Rosalia Montmasson, l'unicadonna a partecipare alla spedizione

-ome eravamo/2. Accorrono da tutta Italia per partecipare alla spedizione di Garibaldi: il volto bello del nostro Risorgimento

liei leggendari i£pazzi" dei Mille

•Maria R. Calderoni

I Mille, il volto bello del nostro Ri-sorgimento. Nell'ambito delle cele-brazioni per i 150 anni dell'Unità, aQuarto, sul litorale di Genova da do-ve il 5 maggio del 1860 partirono, ilcelebre scoglio, completamente ripa-vimentato, diventerà un memorialecon tutti i loro nomi incisi. I nomidei Mille, come li ha stilati di suo pu-gno lo stesso Garibaldi neH'"Albumdi Pavia" (oggi proprietà del Museodel Risorgimento di Roma) e poipubblicati ufficialmente, su lista for-nita dal ministero della Guerra, dalGiornale Militare nel 1864.Non proprio mille, ma precisamente1089 fantastici "ragazzi". A scorrereinfatti il lungo elenco stilato in ordi-ne alfabetico, la prima cosa che colpi-sce è la giovane, e anche giovanissi-ma, età dei volontari. La stragrandemaggioranza è di venticinque-tren-tenni, ma sono numerosissimi anchei ventenni, i diciottenni, anche dicias-settenni e perfino quindicenni. Co-me Arconati Rotando di Enrico, na-to a Milano il 27 luglio 1845, studen-te. O Bay Luigi di Gaetano nato a Lo-di il 31 maggio 1845. E c'è anche unundicenne, Giuseppe Marchetti, scu-gnizzo napoletano classe 1849, che siè imbarcato col padre Luigi. I più an-ziani oscillano tra i 30 e i 40, e quelli"vecchi" appar-tengono allaclasse 1809-1815; uno soloè decisamenteun matusa del 1795, Galena Ignaziodi Palermo, un colonnello dell'eserci-to. Giovani e morti giovani nella stra-grande maggioranza; non pochi inbattaglia, tra Calatafimi e Palermo, equasi tutti dieci-quindici anni dopola spedizione, tra il 1871 e il 1880 (delresto era l'Italia che registrava unasperanza di vita di 33 anni).Abba Giuseppe Cesare, AbbaglialeGiuseppe, Abbondanza Domenico,dall'a alla zeta: ultimo della lista, nu-mero 1089, Zuzzi Enrico, di Codro-po, classe 1836, medico. Al numero482 compare tale «Garibaldi Giusep-pe fu Domenico, nato a Nizza il 4 lu-glio 1807, residente a Caprera, gene-

rale, agricoltore, deputato al Parla-mento».Quei pazzi dei Mille. In maggioran-za arrivano dalla Lombardia (434, ol-tre 20 dalla sola Brescia); 194 sonoveneri, 156 liguri, 78 toscani, 45 paler-mitani (gli stranieri sono 35); pochi,una decina, i piemontesi. Arrivanodai piccoli e grandi centri, dalle cittàe dai paesini sperduri, il messaggio diGaribaldi - «il grido di sofferenza chedalla Sicilia arrivò alle mie orecchieha commosso il mio cuore» - va lon-tano, si accorre nello slancio di bat-tersi per liberare i fratelli oppressi dalgoverno borbonico laggiù in Sicilia:Milano, Firenze, Ge-nova, Palermo, Napoli,Bergamo, Brescia, Tré-viso, Messina, Monte-pulciano, Sarnico, Ve-rona, Orbetello, Pavia,Lecco, Caronno, Man-tova, Parma, Orzinuo-vi, Mestre, Salò, Legna-go, Suzzara, Monza,Gallarate, Sassello, So-resina, Pisa, Mirandola,Lodi, Borgo San Don-nino, Grosseto, Subia-co, Isola del Giglio, Ca-stellanza, eoe., è rappre-sentata tutta l'Italia (equattro o cinque rispo-sero da Nizza).

fido comunale: questi, tra gli altri, imestieri che si trovano registrati nel-l'elenco. E ci sono 150 avvocati, 100medici, 20 farmacisti, 50 ingegneri,60 possidenti (così definiti); e c'è an-che un giornalista, Bandi Giuseppe diAgostino, classe 1834, livornese; an-che due preti e uno spretato. I depu-tati, contando Garibaldi, sono 7 (nu-mero 124, «Bixio Nino fu Tommaso,nato a Genova il 2 ottobre 1821, de-putato al parlamento, tenente gene-rale e capitano marittimo, morto innavigazione ad Achim, Sumatra»; Be-nedetto Cairoli, Francesco Crispi,Giuseppe Dezza, Luigi Miceli, Fran-

dove, nel 1845, la coppia si sposa. Edè proprio come moglie di Crispi chepartecipa alla spedizione. In seguito,negli anni romani, l'unione va a roto-li, Crispi la ripudia accampando unvizio di forma nel matrimonio malte-se (sposerà la figlia di un magistratoborbonico, Lina Barbagallo). Dellapiccola garibaldina non si interessapù nessuno, Rosalia vive a Roma edè in miseria. Riesce a campare solocon la sua "pensione" di garibaldinadei Mille. Pressoché sconosciuta an-che nei libri di storia, l'unica donnadella spedizione, morta nel 1904, èsepolta al Verano: un semplice locu-

lo subito dopo La Scoglie-ra del Monte concessogratuitamente dal Comu-ne di Roma: una foto sul-la lapide, e Rosalia ripresadi profilo con indosso lasua camicia rossa con tan-te decorazioni appuntatesopra. Nell'elenco stilatodi pugno da Garibaldi, leiha il numero 662.Il 690 è il suo, IppolitoNievo: nobile, letterato,poeta, collaboratore de ECaffè, romanziere. Lui,l'autore di "Le confessionidi un italiano" - primoge-nito di un magistrato e diuna contessa titolare di

re Abba.Bello, colto, ricco, ha trent'anniquando parte coi Mille: è morto inmissione, Ippolito Nievo. Infatti luiha già lasciato la Sicilia ed è tornatoal Nord quando, l'anno dopo, feb-braio 1861, gli chiedono di tornare aPalermo a recuperare le carte dell'In-tendenza, necessarie a tacitare le vele-nose voci sorte sulla Spedizione e isuoi conti. E lui a Palermo ci va; il 4marzo, a lavoro compiuto, è di ritor-no imbarcato sul piroscafo Èrcole: abordo ci sono 80 persone tra equi-paggio e passeggeri, e con Ippolitoviaggia la voluminosa cassa che con-tiene il Rendiconto completo, le "car-te" da consegnare al generale Acerbi.Ma né lui né i documenti arriveran-no mai: il piroscafo fa naufragio e siinabissa al largo della costa sorrenti-na, davanti al golfo di Napoli. II poe-ta dei Mille è morto così, a 31 anni.Garibaldi lo ricorda fra i suoi prodi, ilre lo decora della croce al merito deiSavoia. Cesare Abba lo descrive così:«Profilo tagliante, occhio soave,,glisfolgora l'ingegno in fronte».Sui due piroscafi che sono riusciti arimediare (mediante arrembaggio) - ilPiemonte e il Lombardo - si sistemanoa fatica, molti devono restare in piediper mancanza di spazio, c'è penuriadi viveri e di acqua. Le armi sono po-che e scadenti, poco più di un miglia-

Sono giovani e giovanissimi, popolo minuto insieme con borghesi "illuminati".Sarti, ramai, braccianti, ma anche possidenti, ingegneri e deputati. E una donna

E c'era anche tutta l'Italia dei millemestieri d'allora, il popolo minuto,insieme a non pochi borghesi "illu-minati"; né mancano i militari, 'so-prattutto ufficiali (tenenti, capitani,colonnelli). Fittabile, sarto, negozian-te, ramaio, scrivano, calzolaio, panet-tiere, barbiere, armaiolo, liquorista,musicante, suonatore, impiegato delMonte di Pietà, fuochista sui vapori,telefonista, vetturale, burattinaio,bracciante, filogranista, paratore dichiese, orologiaro, bachicoltore, bet-toliere, cocchiere, cappellaio, fattori-no della Banca Nazionale, fabbrican-te di reti, sensale, fornaciaio, calafato,fonditore di caratteri, diurnista all'uf-

cesco Sprovieri). C'è un solo senato-re del Regno: l'altro Sprovieri, Vin-cenzo.C'è anche una donna: si chiamavaRosalia Montmasson, e aveva 35 an-ni quando partì con i Mille. Vestita inabiti maschili, gioca a carte con le ca-micie rosse, è una sorella che si pren-de cura dei feriti, ma non manca dicombattere, da vera gribaldina, parte-cipando ad alcune battaglie. Rosalia,originaria della Savoia, non è una si-gnorina di buona famiglia; bella, po-vera, lavandaia-stiratrice, conosceCrispi quando lui è repubblicano eribelle, in esilio a Torino, e ne divienela compagna, seguendolo a Malta,

feudo - già seguace di Mazzini, Cat-taneo e Guerrazzi, già "Cacciatoredelle Alpi", accorre subito con Gari-baldi, combatterà e dei Mille sarà"l'Intendente di prima classe" non-ché il cronista ("Diario della spedizio-ne dal 5 al 28 maggio" e "Lettere ga-ribaldine"). Poeta-soldato, ha accetta-to comunque di buon grado quell'in-carico amministrativo, cioè di reggerl'Intendenza, quella che i volontarichiamavano scherzosammente "ilMinistero della guerra", «una carroz-za mezzo sconquassata che ci viendietro menando l'Intendenza, le car-te e il tesoro militare, a quel che inte-si un trentamila franchi», scrive Cesa-

io di fucili, a bordo si improvvisaun'officina che fabbrica cartucce (netoccano 20 a testa). Sull'isola adaspettare i "filibustieri", come li defi-nisce il Giornale del Regno deUe Due Si-cilie è pronto un esercito di 60-80 mi-la uomini; ma tra i volontari prevalel'entusiasmo e l'allegria, Garibaldi haimprovvisato dei versi che vorrebbefar cantare sulle note della Norma,ma loro preferiscono la Bella Gigogin.A Salemi il primo scontro, il primosangue versato, lì muoiono 32 ragaz-zi di Garibaldi e una decina di pic-ciotti, i ribelli siciliani che si sono uni-ti al Generale.Non fu facile essere I Mille.

> Foto dal libro diAngelo Manna "Brigantifurono loro" (Sunbooks)

Nel 1863 il Parlamento italiano approva la repressiva "legge Pica"

Fratelli d'Italia a chi?La strage dei brigantiUna brutta storiaMaria R. Calderoni

Hanno avuto bisogno di una legge speciale,anzi eccezionale. Per farla, tale legge, hannodovuto ricorrere a sedute del Parlamento aporte chiuse, secretate. Presentata nel comi-tato segreto della Camera il 3 maggio 1863,la legge contro il brigantaggio - passata al-la storia come "legge Pica", dal nome del de-putato abruzzese che l'aveva formulata - en-tra in vigore nell'agosto dello stesso anno.Di che si tratta, può essere detto in due pa-role: «Una legislazione che sottoponeva leprovincie meridionali ad uno stato d'assediopermanente e' duraturo», la de-finizione è dell'allora ministroUrbano Rattazzi e, se lo dicelui, gli si può credere!Fu una vera legge di guerra. Inbase ad essa, vengono consi-derati «colpevoli del reato dibrigantaggio» i componenti dibande armate (di almeno tremembri), i favoreggiatori, co-loro che prestano aiuto, rico-vero e informazioni, gli evasi,i renitenti alla leva, gli sbanda-ti, quelli che sono in possessodi armi: tutti costoro, in casodi resistenza, devono essere fucilati; oppuredeportati a vita o a tempo «in una terra o

e assistenza ai briganti sarà immediatamen-te fucilato». E famoso, vivaddio, pure per leferocissime punizioni, i disgustosi trofei, leteste dei briganti conficcate sui pali; metodiche sconcertarono anche uno dei suoi piùstretti ufficiali, Auguste de Rivarol, e indi-gnarono perfino Bixio (uno che, nelle circo-stanze, non si distinse certo per mitezza).Fu uno sterminio, oltre tutto perpetrato sen-za alcuna dichiarazione di guerra. Contro400 bande brigantesche, tante se ne conta-vano tra il 1860-70, il governo Ricasoli man-dò laggiù un ben armato esercito di 116 mi-la uomini, bersaglieri, truppe a cavallo, ca-

rabinieri; tanto che, sul piano militare, il bri-gantaggio è sconfitto già nel 1865, anche seoccorrerranno altri cinque anni per distrug-gerlo definitivamente. Al prezzo elevatissi-

La "grande paura" che travolse II primo governodell'Unità è dalia presenza dellebande dei Tibiirzi© e dei Crocco, dei Chiavone

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mo di distruzioni ed eccidi: i numeri anco-ra oggi sono imprecisi. 54 paesi rasi al suolosoltanto nei primi mesi, villaggi e raccoltibruciati per anni, sterminati indifferente-mente bestiame, uomini, anziani, donne,bambini. Il gen. Pinelli incendiò 14 paesi inpochi giorni; a Gaeta, distrutta a cannonatesu ordine di Enrico Cialdini, si ebbero mi-gliaia di morti; e massacri si contarono aVieste, Venosa, Bauco, Auletta, Gioia delColle, Sant'Eremo, Pizzoli, Pontelandolfo eCasalduni, qui dove furono giustiziati o uc-cisi non meno di mille poveracci. E ugualeterrore fu a Noia, a Teramo, nell'intera Basi-licata, nel basso Lazio, nel Beneventano, nelMolise, in Capitanata. La rivista "CiviltàCattolica", in articoli del tempo, scrive di unmilione di morti nell'arco del decennio ma-ledetto.I tribunali di guerra lavorarono anche loro apieno ritmo e spieiatamente (ricorrendo di-

isola lontana». La "Pica" istituisce inoltre ildomicilio coatto fino a due anni, ma nonsolo per i componenti di bande armate e si-mili, bensì anche per «gli oziosi, i sospetti, ivagabondi, i manutengoli», che d'ora in poisaranno inclusi in apposite liste redatte a cu-ra delle giunte provinciali. La competenzagiurisdizionale, inoltre, passa ai tribunalimilitari; ed è autorizzata la formazione disquadre di volontari, «a cavallo o a piedi»,destinate alla repressione del brigantaggio(diaria giornaliera di lire due oltre al sopras-soldo per i graduati, armamento fornito dalgoverno: fucile, baionetta, giberna).Appena pronta e approvata la legge, scatta ilpiano: vengono dichiarate «in stato di bri-gantaggio» pressoché tutte le provincie delMezzogiorno continentale e i tribunali conle stellette sono immediatamente istituiti aPotenza, Foggia, Avelline, Caserta, Campo-basso, Gaeta, L'Aquila, Cosenza, Bari, Ca-tanzaro, Chieti, Salerno. Può dunque esseredato il via al «salutare terrore». Per esempio,Calabria, primavera 1868. «Questa volta larepressione venne affidata al colonnello Mi-lon, che rinnovò i bandi e i metodi del Fu-mel, con vera e propria ferocia e senza alcunscrupolo per la violazione delle garanzie le-gali. Il Milon adottò il metodo della fucila-zione senza processo dei manutengoli colpretesto della "tentata fuga". Al dicembre1869 ne erano già stati fucilati 86» (FrancoMolfese, "Storia del brigantaggio dopol'Unità", Feltrinelli). Già, quel Pietro Fumel.Comandante della guardia nazionale, unocon enormi baffi e una gran casacca tuttapiena di decorazioni, famoso - un vero ter-minator - per aver distrutto le bande calabre-si Palma, Schipani, Ferrigno, Morrone, Fran-zese, Rosacozza, Molinari, Bellusci, Pinno-li. Ma anche famoso perché in Calabria«adottò i metodi della tortura e del terrore.Agiva senza tener conto di alcuna garanzialegale, faceva uso delle spie prezzolate, fuci-lava indistintamente briganti e manutengo-li, le esecuzioni più crudeli le faceva sullapubblica piazza, e lungo le strade» (AntonioDe Leo, "Brigantaggio e lotte contadine",Chiaravalle). Famoso per i bandi terroristiciemanati a Ciro, Celico, Cosenza, in Ab-bruzzo: «Tutte le pagliaie e le case di campa-gna devono essere bruciate. Chi da ricovero

Mi,

sinvoltamente a fucilazioni sommarie). An-che qui non ci sono dati certi (tenuti gelosa-mente nascosti): si parla di un numero trafucilati e uccisi che varia dai 10 ai 15 mila;sempre la stessa rivista dei gesuiti da la cifradi 9860 briganti (o presunti tali) fucilati neiprimi sei mesi e di 13.690 cacciati in galerasenza processo.Sempre secondo Molfese, le bande in azio-ne nel Sud tra il 1860 e il 1870 non eranomeno di 400 per un totale di 6-7mila uomi-ni e almeno SOmila le persone coinvolte avario titolo. Ma la "grande paura" che tra-volse il primo governo dell'Unità fino a tra-scinarlo nel sangue della repressione di mas-sa, non è data dalla presenza delle bande deiTiburzio e dei Crocco, dei Chiavone e deiPalma, dei Ninco Nanco e dei Carbone, tan-to per citare alcuni dei più famosi capobri-ganti; no, la "grande paura" proviene daquella rivolta estesa e spontanea che ha sol-levato il popolo delle campagne, "l'infimagente", come era chiamata. Contadini, brac-cianti, pastori, zappaterra, vaccari, guardia-boschi: milioni di persone alla fame, che or-mai hanno visto anche nel "nuovo" gover-no il volto della "vecchia" oppressione disempre; le loro terre come sempre nelle ma-ni dei vecchi latifondisti, le imposte semprepiù esose, la tassa sul macinato ripristinatain fretta, i salari che non bastano nemmenoper sfamarsi, la cronica mancanza di lavoro.E quell'odiosa leva obbligatoria (fu appun-to anche il gran numero dei renitenti ad in-grossare le file del brigantaggio). Da lì scatu-riva quella ribellione, una rivolta sociale piùche politica. «Il brigantaggio - lo dichiara giàal tempo Francesco Saverio Nitti - è un fe-nomeno sociale dipendente dall'oppressio-ne sotto cui la borghesia rurale mantiene icontadini».Ma preferirono chiamarli briganti. «Verso i"cafoni" e i contadini in genere - scrive an-cora Franco Molfese - l'unico problema chesi pose il governo fu la repressione terroristi-ca. Veramente una pagina oscura e un tristetirocinio per il giovane esercito italiano». Sucui «la "carità di patria" ha calato il velo piùfitto».Fratelli d'Italia a chi?

(Le prime due puntate sono usciteil 18 e il 23 febbraio. Continua...)

Lìber zione

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Maria R. Calderoni

Luigi Mercantini, poeta e letterato,aveva studiato in seminario, prove-niva da una ricca famiglia marchigia-na ligia alla Chiesa, ma condividevagli ideali risorgimentali ed era segua-ce di Mazzini e Garibaldi. Ed è Ga-ribaldi in persona a chiedergli discrivere una canzone per le camicierosse. Nasce così, dai suoi versi - «Siscopron le tombe, si levano i mor-ti...» - quello che diventerà "L'Innodi Garibaldi" eseguito per la primavolta il 31 dicembre 1858. Ma la suapoesia più famosa, Mercantini l'ave-va già scritta un anno prima, verso lafine del 1957, si intitolava "La spigo-latrice di Sapri" , e lui era morto,quel bel capitano «con gli occhi az-zurri e coi capelli d'oro». Carlo Pisa-cane. Perito in quella che i libri distoria chiamano la «sfortunata spedi-zione», 2 luglio 1857. Aveva 39 annied era morto come aveva detto escritto: combattendo. Non dietro,ma in prima fila. Non da eroe, masemplicemente difendendo le ideein cui credeva (come del resto era"costume" dei ragazzi di Garibaldi,i Cairoli, i Rosolino Pilo, i LucianoManara). Insieme a Carlo Pisacane,nella «sfortunata spedizione», muo-iono Giuseppe Fanelli, Giovan Bat-tista Falcone e tanti altri «giovani eforti» massacrati su! posto, circa 200si arrendono, Nicotera ferito vienetrascinato in catene a Salerno dovesarà processato e condannato a mor-te (si salverà grazie all'intervento delgoverno inglese che riesce a far com-mutare la pena capitale in ergastoloe successivamente verrà liberato conl'intervento di Garibaldi; e sarà poiNicotera medesimo ad adottare la fhgiioletta di Pisacane, rimasta orfana).Quando alla testa dei «trecento gio-vani e forti» tenta di sbarcare neipressi di Sapri, sul litorale tra laCampania e la Basilicata, con lo sco-po di sollevare la plebe contadinacontro l'oppressione del governoborbonico e l'atavica schiavitù - co-me un Che Guevara in Bolivia inanticipo di centodieci anni - quel ca-pitano che cade cosi solo nella suadisperata battaglia, non è certo unosconosciuto, né uno sprovveduto te-merario. Quel "capitano" sa perchélo fa. Napoletano, figlio di un duca,allievo della Nunziatella che è il col-legio militare della nobiltà borboni-ca, ufficiale e funzionario governati-vo, bel ragazzo che piace alle donne,sottotenente nella Legione stranieradove si è arruolato men che venten-ne, Pisacane fin da giovanissimo èun ammiratore di Garibaldi (è lui,insieme ad altri ufficiali, a firmare lasottoscrizione per "una sciabolad'onore" da donare al Generale); finda giovanissimo è un ribelle e un an-ticonformista, uno "contro".E' un militare e la su.a battaglia risor-gimentale la conducetutta da militare. InLombardia e nel Venetocombatte contro gli au-striaci; poi è volontarionell'esercito piemontesedurante la prima guerrad'indipendenza; nel1849 è a Roma, dovecombatte in difesa dellaRepubblica romana (è capo sezionedello Stato Maggiore), a fianco diLuciano Manara, Garibaldi, Mazzi-ni, Aurelio Saffi. E dopo la sconfit-ta (per mano dei francesi chiamatida Pio K), Carlo Pisacane finisce aCastel Sant'Angelo, prigioniero diPapa Re.In carcere ci sta pochi mesi, lascial'Italia e se ne va in un lungo giroper l'Europa, Marsiglia, Losanna,Londra. E' un militare e un agitato-re politico, un pensatore, un filoso-fo. Conosce e frequenta Dumas,Hugo, de Lamartine; studia con pas-

L'aspirazione all'uguaglianza e alla giustizia sociale del garibaldino di Sapri

Violenza controi capitalisti? Ebbene sìPisacane, il socialistasione Giuseppe Ferrari e Carlo Cat-taneo.II primo nucleo del suo "nuovo"pensiero politico comincia qui. Daquel Cattaneo che denuncia comesia «erronea e pericolosa l'illusionedi poter compiere la rivoluzionecon l'appoggio di forze per loro na-

scondigli gesuiti, rosminiani, igno-rantelli, pettegole del Sacro Cuo-re...».E' così. Carlo Pisacane, quando va amettere a repentaglio la vita per ten-tare di sollevare le "masse" contadi-ne, sa che non lo fa per il re del Pie-monte e la bella faccia dei moderati

biare un ministerio o per ottenereuna costituzione, neppure per scac-ciare gli Austriaci dalla Lombardia eriunire questa provìncia al regno diSardegna». Già, perché «per mio av-viso, la dominazione della casa diSavoia e la dominazione della casad'Austria sono precisamente la stes-

«La rivoluzione è sempre una lotta di oppressi contro una classedi oppressori, quindi se vi sarà vittoria, vi sarà eziandioanche disfatta; scacciare un re dal trono non è rivoluzione:la rivoluzione si compie quando le istituzioni, gli interessisu cui quel trono poggiava, son cangiati»

tura razionane e conservatrici, di sal-vare il nuovo e l'antico, il legittimi-smo e l'indipendenza, la scolastica eil razionalismo». Da quel Cattaneoche rifiuta «l'astratto rivoluzionari-smo dei mazziniani»; che irride alla«insensata glorificazione ed esalta-zione della casa sabauda»; e che, nel-l'esaltare su // Cisalpino (il giornaleda lui fondato) la gigantesca ondatarivoluzionaria che sommuove l'Eu-ropa, irride osservando come «daper tutto ove il terremoto politicoscoteva il suolo, si vedevano, cometalpe snidate, sbucare, dai loro na-

benpensantì. Ne fa fede il testamen-to politico che ha lasciato prima diimbarcarsi su quel pericoloso piro-scafo. Un testamento che è, insieme,un estremo arto di dignità persona-le e un proclama "rivoluzionario".«Io sono convinto che i rimedi tem-perati, come il regime costituziona-le del Piemonte e le migliorie pro-gressive accordate alla Lombardia,ben lungi dal far avanzare il risorgi-mento d'Italia, non possono che ri-tardarlo». Ed è anche più preciso.«Per quanto mi riguarda, io non fa-rei il più piccolo sacrifizio per cam-

sa cosa».La rappresentazione oleografica efalsamente liberale del Risorgimen-to sabaudo è qui svelato d'un colpo,la verità è un'altra; e Pisacane sa be-ne che sorto gli orpelli, la patina li-berale, il finto manto democratico,ben poco è cambiato; e sa che il vec-chio potere è tutto ancora lì.Quel bel capitano «con gli occhi az-zurri e coi capelli d'oro» ha visto,compreso, rifiutato l'inganno. Per-ché «questa opinione pronunciatis-sima deriva a me», dal fatto che «iosono convinto che le strade di ferro,

i telegrafi elettrici, le macchine, i mi-glioramenti dell'industria, tutto ciòfinalmente che sviluppa e facilita ilcommercio, è da una legge fatale de-stinato ad impoverire le masse finoa che il riparto dei benefizi sia fattodalla concorrenza. Tutti quei mezziaumentano i prodotti, ma li accu-mulano in un piccolo numero dimani. Dal che deriva che il tantovantato progresso termini per nonessere altro che decadenza». Per que-sto va laggiù, per suscitare la primascintilla della rivolta: perché la liber-tà non può esistere senza emancipa-zione sociaJe, senza uguaglianza. E10 ribadisce, proprio prima di parti-re. «Nel momento di avventurarmiin una intrapresa risicata, voglio ma-nifestare al paese la mia opinione. Imiei principi politici sono sufficien-temente conosciuti; io credo al so-cialismo: esso è l'avvenire inevitabi-le e prossimo dell'Italia e fors'anchedell'Europa intiera».11 socialismo, la "città del sole" incui crede, dove le terre saranno dichi le lavora, dove tutti avranno unlavoro, un salario e una casa digni-tosi, i bambini andranno a scuolagratuitamente; e, quanto alle donne,«esse saranno educate come gli uo-mini, con le modifiche nel metodo,che si debbono alla gentilezza delsesso; e al pari degli uomini, conuguali diritti, esse dovranno essereammesse in quelle società che pre-scelgono».Ha camminato, l'ex alfiere del "5°reggimento di linea Borbone"; sullasua strada ha incontrato Herzen, ilfilosofo russo teorico del «poteredelle masse»; e ha incontrato Baku-nin, «io non sono veramente liberoche quando tutti gli esseri umaniche mi circondano, uomini e don-ne, non sono ugualmente liberi». Edè ormai già molto lontano, l'ex alfie-re, dall'interclassimo mistico diMazzini (foltissima la sua critica al-la formula mazziniana "Dio e Popo-lo"): ha scoperto la «legge fatale»,quella che, anche in presenza dellemagnifiche sorti e progressive, lasciasempre più ricchi i ricchi e più pove-ri i poveri. Qyella legge fatale che sichiamava (e si chiama) capitalismo.Il "Manifesto del Partito comuni-sta" - con il suo pauroso Spettro chesi aggira per l'Europa - era già natoda quasi un decennio (in Italia saràcomunque pubblicato solo ' nel1891 e di marxismo si comincerà aparlare solo con Labriola, nei primianni del Novecento), ma PisacaneMarx non l'ha mai incontrato (nelsuo testo fondamentale, il saggiosulla "Rivoluzione", non c'è mai al-cun riferimento al pensiero del filo-sofo di Treviri): eppure gli è andatomolto, molto vicino. Scrive in quelsuo libro: «Molti osserveranno che,per attuare una simile trasformazio-

s ne (quella socialista ndr), sarà neces-sario far violenza aiproprietari ed ai capi-talisti; e noi rispon-deremo che sì, m for-za di quel diritto me-desimo che hannogli oppressi di abbat-tere la tirannide, eche ha la società pre-sente contro i ladri».

Scrive in quel suo libro: «Potete for-se voi, non già estirpare la miseria,ma evitare che cresca?». Scrive inquel suo libro: «La rivoluzione èsempre una lotta di oppressi controuna classe di oppressori, quindi sevi sarà vittoria, vi sarà eziandio an-che disfatta; scacciare un re dal tro-no non è rivoluzione: la rivoluzio-ne si compie quando le istituzioni,gli interessi su cui quel trono pog-giava, son cangiati».Ben scritto, compagno Pisacane.

(Le puntate precedenti sono statepubblicate il 18, 23 e 27febbraio. Fine)