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1 CUCINA GIAPPONESE INTRODUZIONE ALLA CUCINA GIAPPONESE Armonia di forme e colori. Bellezza e soddisfazione del senso estetico. Se per gli occidentali la cucina è, prima di tutto, rivolta all’appagamento del gusto, per i giapponesi la vista è il primo senso che entra in gioco, a tavola. Ciò che viene pensato per essere gustato, viene pensato per essere gustato prima dagli occhi. Il piatto è una piccola opera d’arte che deve soddisfare regole precise di armonia e grazia, accostamenti di colori che non siano stridenti e di forme che siano complementari ed equilibrate. L’occhio poco esperto dell’occidentale non lo nota, ma quando in un ristorante giapponese vengono servite delle pietanze, si provi a fare attenzione a come sono disposte: le geometrie dei cibi e dei piatti; la regolare ed attentissima disposizione di ogni singolo pezzo di sushi; lo studio del colore di ciò che viene mangiato, nella ciotola dove viene servito. La cucina giapponese è, prima di tutto, creata per essere vista; poi, per essere assaggiata. In piccole parti, poiché in questo gioco delle forme e dei tagli un ruolo fondamentale lo ricoprono le cosiddette “bacchette”, hashi. Se il commensale non ha a sua disposizione un coltello, sarà il cuoco a risolvere il problema, tagliando il cibo nel modo più opportuno. E infatti per i cuochi giapponesi i coltelli sono strumenti importantissimi, quasi sacri: in nessuna altra cucina esiste una tale varietà di oggetti pensati per tagliare qualsiasi cosa, dal pesce crudo che verrà servito così, semplicemente perfetto in base al suo taglio (il sashimi), alle verdure, alla carne che, seppur scarsa, nella cucina giapponese esiste ed è ottima. L’arte del taglio, quindi, non riveste solo una funzione estetica ma anche pratica; o forse, in linea con la tradizione dell’arcipelago, che da sempre coniuga praticità e grazia, quella del taglio è diventata un’arte, proprio perché necessaria e utile. Attenzione, quindi, ad usare le bacchette nel modo più appropriato: non servono per tagliare, né tantomeno per “infilzare” pezzi di cibo difficili da prendere per dita occidentali inesperte: occorre tenere presente che conficcare hashi nel cibo è uno degli atti più sgradevoli che si possano compiere, a tavola. Soddisfatta la vista, ovviamente anche per i giapponesi è importante il gusto. Ma un gusto molto differente da quello occidentale. Si potrebbe pensare, sbagliando, che quella giapponese sia una cucina semplice, perché i vari ingredienti sono manipolati il meno possibile. È un errore, perché non è certo semplice esaltare il gusto di un cibo, cercando di preservarne la purezza. Gli alimenti devono essere, il più possibile, incontaminati: per questo motivo si tende a consumarli in parte crudi (pesce e verdure), mescolati tra loro il meno possibile, e serviti il più delle volte con salse a parte. Pesce e riso sono senz’altro i pilastri della cucina giapponese, e per ottimi motivi. Innanzitutto il Giappone è un arcipelago, e ha col mare un rapporto speciale. Ogni aspetto della vita giapponese andrebbe analizzato tenendo presente che tutto si basa sull’acqua e non sulla terra, non solo l’alimentazione ma anche la struttura delle case, ad esempio. Oltretutto la terra emersa è montuosa, le pianure sono scarse, il clima è difficile: l’isola più a nord, Hokkaido, ha un clima estremamente rigido e poco adatto ad

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CUCINA GIAPPONESE INTRODUZIONE ALLA CUCINA GIAPPONESE

Armonia di forme e colori. Bellezza e soddisfazione del senso estetico. Se per gli occidentali la cucina è, prima di tutto, rivolta all’appagamento del gusto, per i giapponesi la vista è il primo senso che entra in gioco, a tavola. Ciò che viene pensato per essere gustato, viene pensato per essere gustato prima dagli occhi. Il piatto è una piccola opera d’arte che deve soddisfare regole precise di armonia e grazia,

accostamenti di colori che non siano stridenti e di forme che siano complementari ed equilibrate. L’occhio poco esperto dell’occidentale non lo nota, ma quando in un ristorante giapponese vengono servite delle pietanze, si provi a fare attenzione a come sono disposte: le geometrie dei cibi e dei piatti; la regolare ed attentissima disposizione di ogni singolo pezzo di sushi; lo studio del colore di ciò che viene mangiato, nella ciotola dove viene servito. La cucina giapponese è, prima di tutto, creata per essere vista; poi, per essere assaggiata. In piccole parti, poiché in questo gioco delle forme e dei tagli un ruolo fondamentale lo ricoprono le cosiddette “bacchette”, hashi. Se il commensale non ha a sua disposizione un coltello, sarà il cuoco a risolvere il problema, tagliando il cibo nel modo più opportuno. E infatti per i cuochi giapponesi i coltelli sono strumenti importantissimi, quasi sacri: in nessuna altra cucina esiste una tale varietà di oggetti pensati per tagliare qualsiasi cosa, dal pesce crudo che verrà servito così, semplicemente perfetto in base al suo taglio (il sashimi), alle verdure, alla carne che, seppur scarsa, nella cucina giapponese esiste ed è ottima. L’arte del taglio, quindi, non riveste solo una funzione estetica ma anche pratica; o forse, in linea con la tradizione dell’arcipelago, che da sempre coniuga praticità e grazia, quella del taglio è diventata un’arte, proprio perché necessaria e utile. Attenzione, quindi, ad usare le bacchette nel modo più appropriato: non servono per tagliare, né tantomeno per “infilzare” pezzi di cibo difficili da prendere per dita occidentali inesperte: occorre tenere presente che conficcare hashi nel cibo è uno degli atti più sgradevoli che si possano compiere, a tavola. Soddisfatta la vista, ovviamente anche per i giapponesi è importante il gusto. Ma un gusto molto differente da quello occidentale. Si potrebbe pensare, sbagliando, che quella giapponese sia una cucina semplice, perché i vari ingredienti sono manipolati il meno possibile. È un errore, perché non è certo semplice esaltare il gusto di un cibo, cercando di preservarne la purezza. Gli alimenti devono essere, il più possibile, incontaminati: per questo motivo si tende a consumarli in parte crudi (pesce e verdure), mescolati tra loro il meno possibile, e serviti il più delle volte con salse a parte. Pesce e riso sono senz’altro i pilastri della cucina giapponese, e per ottimi motivi. Innanzitutto il Giappone è un arcipelago, e ha col mare un rapporto speciale. Ogni aspetto della vita giapponese andrebbe analizzato tenendo presente che tutto si basa sull’acqua e non sulla terra, non solo l’alimentazione ma anche la struttura delle case, ad esempio. Oltretutto la terra emersa è montuosa, le pianure sono scarse, il clima è difficile: l’isola più a nord, Hokkaido, ha un clima estremamente rigido e poco adatto ad

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agricoltura ed allevamento per gran parte dell’anno; il resto del Giappone ha il suo da fare tra tsunami, tifoni, terremoti e vulcani. La carne è stata bandita per molto tempo, anche per motivi religiosi, e la maggior parte delle terre coltivabili sono dedicate al riso e al tè. Il riso ha, in giapponese, vari nomi, se crudo, cotto, o cotto come riso all’aceto, cioè quello che accompagna il pesce nel sushi . Uno di questi nomi, goha n, indica in questa lingua non solo il riso ma anche l’intero pasto (colazione si dice asagohan , cena bangohan etc), e questo rende l’idea dell’importanza di questo cereale nell’alimentazione. Dal riso deriva il sakè, la bevanda più importante in Giappone: ne esistono più di 50mila tipi. Anche le verdure sono importantissime nella dieta giapponese, sia nella versione più nota ai palati occidentali, tempura , ovvero in pastella, sia crude o cucinate in altro modo. Nonostante la diffusione del riso, esiste anche la pasta, ed è anzi consumatissima, anche se non è proprio identica a quella “occidentale”. Gli spaghetti orientali vengono comunemente chiamati noodle, e sono alla base di piatti notissimi, come ad esempio il ramen . Piatti tipici

La pietanza più nota del Giappone è senz’altro il sushi, che unisce i due cardini dell’alimentazione dell’arcipelago, riso e pesce. Il riso usato, la varieta japanica a chicco corto, è preparato con aceto, e prende il nome di sumeshi . Al riso vengono aggiunti filetti di pesce crudo, o gamberi, o uova di pesce. A seconda della forma e della preparazione il sushi ha nomi diversi. I blocchetti avvolti in alga nori, col pesce in genere al centro, si chiamano norisushi , mentre quelli modellati a mano, col pesce

semplicemente appoggiato sopra il riso, hanno il nome di nigirisushi. Il sushi viene spesso consumato con wasabi , una pasta molto piccante, e shoyu , salsa di soia. Il sashimi è conosciuto al pari del sushi , anche se spesso le due specialità vengono confuse. Il sushi prevede l‘utilizzo, imprescindibile, del sumeshi , il riso all’aceto (tanto che probabilmente ne deriva anche il nome). Il sashimi consiste invece in sottili fettine di pesce o crostacei, crudi. E nient’altro. La difficoltà di questo piatto consiste nell’abilità del taglio: non ci si improvvisa artisti del sashimi da un giorno all’altro, occorre una preparazione lunga e complessa. Oltretutto, trattandosi di pesce crudo, deve essere della migliore qualità, freschissimo. All’arte del taglio si affianca quella della disposizione nel piatto: torna il discorso sul senso della bellezza nella cucina giapponese. Il sashimi non è mai adagiato a caso nel piatto che lo contiene. I noodle giapponesi sono di diverso tipo: i più noti prendono il nome di ramen. Si tratta di pasta di farina e uova, sottile, utilizzata nelle zuppe o con altri ingredienti. I soba sono realizzati con farina di grano e di grano saraceno, mentre gli udon , i più spessi, con farina e acqua. Tempura è un nome di origine portoghese: i giapponesi infatti appresero questo metodo di cottura dai mercanti sbarcati nell’arcipelago nel 1500. Si tratta di una pastella di acqua e farina in cui si immergono verdure, ma anche pesci, crostacei e molluschi, per poi friggerli, mantenendoli leggeri e croccanti.

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Le salse più note sono quella di soia, in giapponese shoyu , che si distingue in due varietà, più chiara e più scura, e la sukiyaki, che ha lo stesso nome del piatto di carne che serve a condire, uno dei più amati dai giapponesi. Il miso è ottenuto dalla soia e serve per le zuppe, la marinatura e il condimento di piatti; ne esistono tantissime varietà, raggruppabili in tre categorie principali, in base al colore. RISO E PESCE (SUSHI) Riso e pesce. Sono i due ingredienti più importanti della cucina giapponese, la cucina di una cultura profondamente influenzata dall’acqua. Il mare che circonda l’arcipelago, l’acqua che ricopre le risaie: il Giappone è una terra dominata dall’elemento liquido. E non è un caso che dall’unione di riso e pesce nasca il piatto più famoso dell’arte culinaria nipponica, il sushi. Il riso viene coltivato in Asia da più di cinquemila anni. Tra le varietà tipiche del continente una delle più diffuse è la japanica, soprattutto quella a chicco corto che, contenendo molto amido, permette ai chicchi di attaccarsi fra loro dopo la cottura: un requisito indispensabile sia per afferrare facilmente il riso con le bacchette (hashi), sia per preparare la base del sushi , il riso all’aceto, detto sumeshi. Sushi Le possibili varianti del sushi sono tantissime, e dipendono sia dalla forma del cibo sia dagli ingredienti. Il nori sushi è avvolto in un foglio di alga nori e ha una forma tonda e cilindrica; il pesce è in genere al centro, a meno che non si tratti di uova, che vengono invece posizionate in alto. Il nigirisushi invece è un blocchetto di riso di forma allungata su cui viene adagiato il pesce. Tra pesce e riso viene spesso spalmata, in piccole quantità perché è estremamente piccante, la salsa wasabi. La base del Sushi: il Sumeshi Sciacquare 200 grammi di riso in acqua fredda, più volte, scolare e far riposare un’ora. Mettere in una casseruola profonda, aggiungere 250 cl d’acqua, coprire e far bollire a fuoco vivo per 5 minuti, quindi abbassare la fiamma al minimo e lasciar cuocere finché l’acqua non sarà completamente assorbita (circa 15 minuti). Lasciare riposare il riso, sempre coperto, per altri 15 minuti, e aggiungere un liquido composto da 8 cucchiaini di aceto di riso giapponese, 4 di zucchero e uno di sale. Mescolare e lasciar raffreddare. Nigirisushi Questa ricetta prevede l’uso di salmone crudo, che forse è più facilmente affrontabile da parte dei palati occidentali, rispetto ad altre specie di pesce. Comunque può essere realizzata anche con altro pesce, o con i gamberi. Bisogna sempre tenere presente, però, che trattandosi di pesce che va mangiato crudo, deve essere freschissimo. Per 20 pezzi sono necessari 500 grammi di riso all’aceto già preparato e raffreddato, 10 gamberi leggermente lessati e dieci fettine di salmone crudo. Per lavorare meglio il riso ed evitare che si attacchi alla pelle è bene bagnare le mani in acqua contenente aceto di riso. Con le mani si devono formare dei blocchetti di riso di forma stretta e allungata, su cui si andranno ad adagiare gli altri ingredienti. Nel caso del salmone, prima di stenderlo sul riso si può aggiungere, sul lato che andrà a contatto col riso, un po’ di salsa wasabi. I gamberi (sgusciati) vanno aperti nel senso della lunghezza; il filamento nero deve essere rimosso, ma la coda deve restare intatta. Va accompagnato con salsa di soia. Nori sushi

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La principale difficoltà nel realizzare questo piatto è trovare il metodo corretto per arrotolare insieme pesce, riso e alga nori, poiché il nori sushi è il classico sushicilindrico circondato dal foglio scuro di alga, che viene presentato in tavola dopo essere stato affettato da un blocco unico. Servono sumeshi , fogli di alga nori a piacere (4 per 30 pezzi circa), wasabi, cetriolo sbucciato, salmone crudo freschissimo, o trota, o tonno, salsa di soia. Il foglio di alga nori va adagiato su una tavoletta di bambù (o, in alternativa, su un foglio di carta oleata che comunque deve posare su una superficie piana). Il riso, già pronto e freddo, va “spalmato”, spesso e compatto, sul foglio d’alga, lasciando 5 centimetri vuoti sul margine del lato opposto a quello da cui si inizierà ad arrotolare. Al centro del riso si deve spalmare una minima quantità di wasabi, e sopra il wasabi si devono aggiungere il pesce tagliato a fettine sottili, il cetriolo e listarelle di una verdura marinata (possibilmente zenzero). L’alga si arrotola aiutandosi con la tavoletta di bambù: si parte dal fondo arrotolando tutto insieme, poi si lascia andare la tavoletta e si continua ad arrotolare il composto, strettamente. Il foglio si chiude da sé, pressando bene sul bordo lasciato libero dal riso. A questo punto si può affettare, con un coltello ben affilato, creando cilindretti di due-tre centimetri. Si serve accompagnato da wasabi e salsa di soia. Temaki sushi Il temaki sushi ha forma conica. Per realizzarlo col tonno servono riso all’aceto, filetto di tono freschissimo, cetriolo, salsa di soia, mirin (un tipo di sakè molto leggero usato per cucinare), fogli di alga nori, wasabi e semi di sesamo tostati. Il tonno tagliato a fettine sottili deve essere passato in un composto di salsa shoyu, mirin e un cucchiaio di succo di limone. Tagliare a metà il foglio di nori, schiacciarci sopra la quantità necessaria di riso, quindi spalmare un po’ di wasabi. Al centro aggiungere il cetriolo tagliato a strisce sottili, i semi di sesamo e circa 50 grammi di tonno già trattato, quindi arrotolare l’alga nori su se stessa formando un cono. Sashimi Benché a volte vengano confusi, sushi e sashimi sono piatti molto differenti: se il sushi non può prescindere dall’utilizzo di riso all’aceto, da cui probabilmente deriva anche il nome, il sashimi è invece completamente incentrato sul pesce crudo; che può essere servito insieme ad altri ingredienti, ma senza esserne, almeno in fase di preparazione e presentazione, minimamente contaminato. Si può pensare che preparare il sashimi sia facile, in fondo si tratta di pesce crudo tagliato a fette: è un grave errore. Innanzitutto già la scelta del pesce presenta delle difficoltà, in quanto deve essere perfetto e freschissimo. Il taglio delle parti adatte, poi, è considerato una vera arte. Il sashimi di tonno prevede che il pesce sia presentato con daikon fresco e zenzero tagliati a fettine, la salsa di soia

(shoyu), il wasabi, tutto a parte. CARNE E VERDURE Come accade in tutti gli arcipelaghi e le isole, anche in Giappone la cucina è fortemente influenzata dal mare. Basti pensare che il piatto più famoso nel mondo è ilsushi, cioè una composizione a base di pesce e riso. Nonostante il pesce faccia da indiscusso protagonista della gastronomia dell’arcipelago, è errato pensare che la carne non abbia il

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suo peso. Per quanto poco diffusa, per ragioni culturali, religiose e di struttura del territorio, è comunque presente nell’arte culinaria giapponese, con piatti di notevole gusto e complessità. Le verdure, insieme a riso e pesce, costituiscono la base vera della gastronomia dell’arcipelago. Oltre alla tempura, le verdure in pastella note in tutto il mondo, i giapponesi amano creare zuppe di verdure, consumarle sottaceto, grigliate in piatti che accompagnano la portata principale o che sono indiscussi protagonisti del pasto. Carne Storicamente, la carne in Giappone non ha avuto mai molta fortuna: bandita prima dal Buddismo, fu dichiarata fuorilegge anche dallo shogunato, fino al 1868. Non che ce ne fosse poi così bisogno: il territorio giapponese non è dei più adatti né per crescere capi di allevamento né per far prosperare pascoli. È stato dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale che la carne ha iniziato ad affermarsi nella dieta nipponica, divenendo parte integrante dell’alimentazione. L’impiego della carne spazia dall’agnello all’anatra, dal maiale al manzo; le ricette prevedono che la carne venga lessata, grigliata, fritta, accompagnata da verdure, da zuppe, usata come ripieno. A tutt’oggi è un elemento fondamentale della dieta di ogni giapponese. Alcune delle ricette più note della gastronomia dell’arcipelago sono a base di carne, come lo yakitori, che consiste in spiedini di pollo e verdura, e il celebre sukiyaki, piatto con carne di manzo che risale ai tempi in cui la carne era proibita e i contadini la cucinavano di nascosta, “cotta sul vomere dell’aratro”, traduzione letterale del nome. Yakitori Un kg di sottocoscia di pollo, tagliato in piccoli pezzi (a scelta, si possono usare in parte anche le ali) mezza tazza di sakè, mezza tazza di mirin, mezza tazza di salsa shoyu 2 cucchiai di zucchero cipollotto, tagliato in piccoli pezzi di circa 2 cm (variante con verdura: si possono aggiungere porri, asparagi, funghi enoki e shiitake) Per prima cosa è necessario mettere a bagno gli spiedini di legno (con queste quantità circa 25), per venti minuti, per poi asciugarli. Sakè, mirin, shoyu e zucchero vanno uniti in un pentolino: appena il composto raggiunge l’ebollizazione spegnere il fuoco. I pezzetti di pollo vanno infilati negli spiedini alternandoli con le verdure, quindi vanno adagiati su una piastra coperta con carta argentata. Vanno grigliati per circa 8 minuti (2 minuti a lato), rigirandoli e spennellandoli frequentemente con la salsa. Il manzo Kobe Una delle carni più famose al mondo, e forse anche la più costosa. Sul manzo Kobe circolano da sempre notizie che a volte sanno di leggenda: davvero i rarissimi capi esistenti vengono dissetati a birra e sakè? Davvero vengono massaggiati ogni giorno, perché la loro carne sia più morbida? Davvero vengono cresciuti in stalle con musica di Mozart in filodiffusione? Intanto, le certezze: questa costosissima carne proviene da pochi, selezionati capi di Kuroge Wagyu, da Kobe, prefettura di Hyogo (una volta,Tajima). Che la musica rallegri gli animali (esattamente come gli uomini, peraltro), è cosa certa, anche se non è dato sapere quale sia il compositore preferito di un manzo, se davvero venga diffusa solo musica di

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Mozart e in base a quali criteri sia stata scelta. Il massaggio quotidiano ai capi, con guanto di crine, non è leggenda metropolitana ma verità: viene effettuato per regalare una diversa consistenza alla carne e al grasso che, sciogliendosi durante la cottura, conferisce al piatto un sapore ancora più gustoso. Anche l’alimentazione a base di birra e grano ha motivazioni tutto sommato logiche: la carne di Kobe è nota per essere estremamente grassa e questo trattamento culinario aiuta. La vera certezza è, per i pochi che hanno avuto il privilegio di assaggiarla, che è eccezionalmente buona; per i tanti che non l’hanno assaggiata mai, che è uno dei piatti più costosi al mondo. Verdure Come sempre nella cucina giapponese, anche per quanto riguarda le verdure l’estetica ha una sua importanza fondamentale, e l’estetica è dovuta principalmente al taglio. I giapponesi hanno un modo di tagliare le verdure che dipende dalla loro forma: per quelle lunghe è preferito il taglio diagonale, per quelle tonde a mezzaluna. Le verdure più amate e diffuse in Giappone sono i cetrioli, quasi uguali a quelli occidentali ma leggermente più piccoli; la soia, da cui si ricavano il tofu e la salsa; i fagioli, la varietà azuki si usa per i dolci; i funghi. Discorso a parte meritano le alghe, fondamentali nella cucina dell’arcipelago: dall’alga nori, indispensabile per il sushi, alla kombu, che si usa per il brodo, alle varietà wakame, hikiji e arame. Il daikon è un tubero bianco, che ricorda il ravanello nel sapore, fondamentale per insalate, ripieni, zuppe, stufati. Tempura La verdura in pastella, non è in realtà un’invenzione originale dei giapponesi ma è stata appresa dai mercanti portoghesi che sbarcarono nell’arcipelago nel 1500. La tempura può essere utilizzata anche con pesce, tofu, molluschi e crostacei. La pastella si prepara con 150 grammi di farina di riso e 150 grammi di farina, un pizzico di sale e acqua gelida (o la variante di acqua e birra). Le verdure tagliate in piccoli pezzi vanno immerse nella pastella e poi nello wok con olio bollente. SPEZIE, AROMI E STRUMENTI

La cucina orientale è ammantata da aromi che in occidente non esistono o sono stati importati da poco tempo, e che contribuiscono a darle quel senso di unicità e fascino. In quasi tutte le ricette giapponesi vengono usati ingredienti che non fanno parte della cultura occidentale, ma che ormai sono facilmente reperibili ovunque, non solo nei negozi specializzati ma anche nelle grandi catene di supermercati. Oltre alle spezie e alle erbe, questo tipo di gastronomia fa largo uso di alghe, salse e condimenti che

non sono familiari, ma che meritano un approccio curioso e fiducioso. Discorso a parte va fatto per gli strumenti tipici di questa cucina: abbastanza inutile rifornirsi di un intero set di coltelli da sushi e sashimi, se non si è proprio specialisti nel campo; ma un wok è utile a tutti, e dà ottimi risultati anche con le ricette occidentali. Erbe, spezie, salse e condimenti Tra le erbe e le spezie, la prima da ricordare è senza dubbio il wasabi, il condimento piccantissimo indispensabile per accompagnare sushi e sashimi. Difficile trovarlo fresco (la wasabia japonica, detta anche malvarosa, è una pianta locale) ma va benissimo

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acquistarlo in polvere o già in pasta. La pasta si ottiene mescolando un cucchiaino di polvere e uno d’acqua, e lasciando riposare per dieci minuti. Spesso viene usato il rafano, che ha un sapore simile; ma chiaramente i puristi lo sconsigliano. I semi di sesamo sono molto usati nella cucina giapponese, e vengono chiamati goma. Vanno tostati leggermente prima dell’uso. Lo shoga è il succo di zenzero fresco: si grattugia la radice, si schiaccia la polpa ottenuta e col succo si accompagnano i pesci alla griglia. Per quanto riguarda le salse, la più celebre e usata è quella di soia, ma in Giappone, dove viene chiamata shoyu, ne esistono di vari tipi, basati principalmente sul colore. L’usukuchi è la salsa di soia più chiara, più salata, indispensabile per insaporire le zuppe; koikuchi, più scura e più dolce, fa da base per preparare altre salse. Un’altra shoyu dolce è la varietà sukiyaki, utilizzata per preparare l’omonimo piatto, uno dei più amati della cucina giapponese. Dalla soia si ottiene anche il miso, un composto salato che deriva dai semi pestati, mescolati con farina, riso, orzo e semi, e lasciato fermentare per tre anni. Anche il miso si divide in categorie che dipendono dal colore: shiromiso, bianco, che si ottiene col riso;akamiso, rosso, dall’orzo, kuromiso, nero, dai semi di soia. Questo condimento può essere aggiunto a zuppe, salse o usato per marinare pesce e carne. Altro alimento che deriva dalla soia è il tofu: la soia secca e macinata viene cotta, e se ne estrae un latte che, coagulato e pressato, dà origine a panetti bianchi e soffici. Il tofu, benché considerato un “formaggio”, è privo di colesterolo, povero di sodio, ricco di calcio e proteine. Può essere consumato come piatto a sé, alla griglia, al vapore e fritto, ma i giapponesi lo usano per unirlo ad altre pietanze, perché assorbe il sapore degli alimenti con cui viene cotto. Un condimento indispensabile per le zuppe, e dal sapore veramente ottimo è il dashi, a base di acqua, alga kombu e pezzi di tonno essiccato. Si trova, in genere, pronto in granulare. Il mirin è un tipo di sake poco forte, utilizzato solo per cucinare; ha un sapore dolce. Una ricetta con miso, tofu, dashi e mirin: Zuppa di miso: 250 grammi di tofu, 1 cipollotto, un litro d’acqua, 80 grammi di granulare di dashi, 100 grammi di miso, un cucchiaio di mirin. Per prima cosa è necessario tagliare a dadini il tofu e in fettine di circa un centimetro il cipollotto. In una ciotola, amalgamare bene miso e mirin. Il dashi va portato a ebollizione insieme all’acqua: appena bolle, si deve aggiungere il composto di miso e mirin. Mescolare a fuoco medio finché il miso non si scioglie completamente, quindi

interrompere l’ebollizione, aggiungere i cubetti di tofu, cuocere a fuoco bassissimo per 5 minuti, e quindi servire, aggiungendo il cipollotto come guarnizione. Strumenti Gli strumenti principi della cucina giapponese sono i coltelli: ogni esperto ne ha una collezione che farebbe invidia a uno chef. Dai classici per verdure e multiuso, si

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arriva agli affilatissimi coltelli per sushi e sashimi, piatti il cui segreto risiede proprio nella perfezione del taglio. Del resto quella giapponese è una cucina basata sull’estetica, la presentazione dei cibi, la perfetta armonia delle forme. È quindi naturale che l’attenzione sia focalizzata su quegli strumenti che permettono al cuoco di dare ad ogni ingrediente la forma desiderata. Wok è sinonimo di frittura leggera, asciutta, perfetta per cuocere rapidamente qualsiasi tipo di cibo. Ha la forma di una padella sfasata, dai bordi alti, in ghisa con fondo pesante. È proprio la forma particolare che permette al calore di raggiungere in modo uniforme tutta la superficie dello strumento, che si rivela così perfetto per saltare i cibi, assicurare una cottura omogenea e soprattutto rapida. Benché sia di origine cinese, è ormai da molto tempo diffusissimo in Giappone (e sta iniziando a conquistare anche l’occidente). Altri strumenti caratteristici della cucina giapponese sono gli hashi, le cosiddette bacchette: gli orientali le usano per mangiare ma anche, particolarità che non tutti sanno, per cucinare. Quelli che servono per la cottura del cibo presentano diverse forme, più allungate rispetto a quelli usati a tavola. In una cucina in cui gli ingredienti pestati hanno una rilevanza fondamentale, non poteva mancare un tipo particolare di mortaio, il suribachi, accompagnato dal pestello detto surikogi. Oltre al metallo di coltelli e wok e al legno degli hashi, nelle cucine orientali troneggia il bambù: viene usato sia per realizzare i cestelli per la cottura al vapore, sia per gli stuoini indispensabili per arrotolare il sushi. DOLCI E SAKÈ

La cucina giapponese non è particolarmente rinomata per la pasticceria. Solo recentemente è invalsa l’abitudine di mangiare i dolci a fine pasto: fino a poco tempo fa erano consumati come snack, in momenti di pausa nella giornata, o accompagnandoli al tè: durante la cerimonia del tè verde si usano dolci specifici, i cosiddetti wagashi. In genere i dolci vengono preparati con riso, fagioli dolci (azuki), zucca e patate dolci. Dolci di riso con anko (pasta di azuki) 200 grammi di riso tipo giapponese 400 grammi di azuki 100 grammi di zucchero

sale Il riso va fatto bollire a fiamma bassa per un quarto d’ora, in 20 cl d’acqua. Una volta raffreddato, va modellato a forma di polpetta che verrà poi ricoperta con l’anko. La pasta di fagioli azuki si ottiene facendo cuocere i fagioli a fuoco medio e aggiungendo lo zucchero durante la cottura. Si deve ottenere un impasto denso e continuare a mescolare a fuoco bassissimo finché l’impasto non sia del tutto privo di liquido. Fare raffreddare almeno mezz’ora prima di coprire il riso. Bevande Il sakè (in giapponese, nihonshu), è senz’altro la bevanda più famosa dell’arcipelago, che peraltro non si distingue per un’ampia scelta di alcolici. Il vino viene prodotto solo dalla fine della seconda guerra mondiale e non è destinato all’esportazione. La birra, già più diffusa, è molto leggera ed è tipo lager. Nell’arcipelago le bevande alcoliche più

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diffuse sono i distillati: oltre al sakè, che viene realizzato grazie alla fermentazione del riso, si consumano in grandi quantità lo shochu, un altro distillato del riso con l’aggiunta di cereali e a volte patate dolci, e l’umeshu, un distillato che deriva da tipi di prugne molto simili alle nostre albicocche, chiamate ume. Sakè (nihonshu) e Shochu Perfetto come aperitivo, durante i pasti, per cucinare o bevuto da solo: il sakè giganteggia nella vita dei giapponesi, come bevanda nazionale e simbolo stesso del Paese del Sol Levante all’estero. Esistono oltre cinquantamila tipi differenti di sakè, a seconda del tipo di riso da cui viene fatto distillare, da quanto è raffinato, dagli usi a cui è destinato. Con esclusione del tipo ghinjo, il sakè si beve caldo nelle apposite piccole brocche dette tokkuri. I tokkuri sono fondamentali non solo per bere il sakè ma anche per scaldarlo. Il modo corretto di assumere questa bevanda, infatti, è di versarla in un tokkuri, che a sua volta va immerso in una casseruola dove stia sobbollendo dell’acqua, e lasciarlo finché non raggiunge la temperatura desiderata (circa 5 minuti). Il sakè si produce a partire dal riso più o meno raffinato, cotto a vapore e lasciato a fermentare per venti giorni. Il liquido estratto viene pastorizzato e lasciato riposare ancora. Non è un distillato a cui giovi l’invecchiamento: va consumato entro un anno circa dalla produzione. Anche lo shochu deriva dal riso, con l’aggiunta di altri cereali e, spesso, patate dolci. La sua gradazione alcoolica varia dai 20 ai 45 gradi. Umeshu L’umeshu è un distillato che tradizionalmente viene preparato in casa, nel mese di maggio. Andrebbe realizzato con ume, frutti giapponesi che ricordano una via di mezzo tra le prugne e le albicocche; per chi volesse provare a realizzare l’umeshu in casa, anche senza ume, è sufficiente scegliere un tipo di frutta che si adatti alla realizzazione di un distillato, scegliendo frutti ancora acerbi (le ume devono essere verdi). Ingredienti: un chilo di ume 180 cl di liquore intorno ai 35 gradi (possibilmente shochu) circa mezzo chilo di zucchero La frutta perfettamente lavata e senza picciolo va stesa in due strati in un grande contenitore sterilizzato e che si possa chiudere ermeticamente; fra i due strati va messo lo zucchero. Il tutto va coperto con il liquore, e lasciato a riposare in un luogo buio per almeno tre mesi (possibilmente sei, se non un intero anno), rigirando il contenitore una o due volte al mese.