CSTG-Newsletter n.82 aprile 13 · Dall’analisi junghiano-hillmaniana all’approccio...

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CSTG-Newsletter n.82 aprile 13 della learning community del Centro Studi di Terapia della Gestalt www.cstg.it ___________________________________________________________________________ Edit 1 Topic 3 Scuola e dintorni 9 Eventi 11 Dare Corpo 12 Segnalazioni 14 Perls’s pearls 16 Risonanze 16 La disabilità che è in noi 17 Visti e letti 19 Da giornali e riviste 20 Prendersi cura 23 Polis 25 Trips and dreams 25 Poiesis 26 Witz e Giochi 27 Psicologiaecounseling 29 Edit Pasqua che, nel significato etimologico rimanda all’aramaico:”pasha” (ebraico pesah) il cui senso è “passare oltre”…Un passaggio che sembra avere, più che mai, diverse implicazioni: la transizione ad una fase della vita politica italiana, il cambio nel papato (per il quale diamo voce in questa NL alla prima omelia di Francesco) e probabilmente nella vita di alcuni di noi. - Apriamo questa NL con un articolo di Marilena (Maria) Menditto che, come abbiamo anticipato nel numero scorso, ci ha lasciati da poco. Un articolo che richiama l’impegno anche sociale, oltre che psicologico di una donna di grande temperamento, come ricordiamo essere stata Marilena. Una donna che ha lottato da oltre dieci anni contro una malattia incurabile della quale tuttavia – come è stato detto nel ricordo a conclusione del Congresso FISIG di Salerno di cui si allega una foto – nessuno si ricordava veramente osservando l’impegno nelle relazioni umane e nel lavoro che l’ha accompagnata sino a pochi giorni prima di lasciarci. - Per iniziativa dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia si terranno due giornate sul tema: “Come si sceglie una scuola di specializzazione in psicoterapia? Come orientarsi all’interno dell’ampia offerta formativa presente sul territorio della Lombardia?”. Dal sito di OPL si legge “Per aiutare gli aspiranti psicoterapeuti in questa difficile scelta, l’Ordine degli Psicologi della Lombardia organizza la seconda edizione del Forum Lombardo per la Qualità della Formazione in Psicoterapia, che vedrà le scuole aderenti all’iniziativa riunirsi in un’unica giornata e in un’unica sede per incontrare il pubblico. Nella giornata di venerdì 12 aprile, come introduzione al Forum, si terrà il convegno “L’etica della formazione in psicoterapia”, che vedrà importanti docenti e terapeuti appartenenti a orientamenti teorici diversi confrontarsi su questo tema, tanto importante quanto spinoso. Durante l’intera giornata di sabato 13 aprile le scuole di psicoterapia che hanno aderito alla manifestazione presenteranno la loro offerta formativa attraverso seminari gratuiti”. Entrambe le giornate si svolgeranno presso l’Hotel Melià in Via Masaccio, 19 a Milano (M1 Lotto). La presentazione del CSTG verrà fatta da R. Zerbetto dalle 12,30 alle 13,20 di venerdì 13 aprila sul tema: “Il lavoro su sogno e l’”immaginazione attiva”. Dall’analisi junghiano-hillmaniana all’approccio esperienziale in terapia della Gestalt” - In una riunione sulla Didattica sono state decise le lezioni che possono essere aperte come “open days”: una modalità per consentire un contatto con l’approccio gestaltico per quei colleghi che desiderano esporsi ad un contatto diretto con esperienza conoscitiva e terapeutica - Il corredo fotografico proviene da Adiyaman in Turchia dove si è tenuto in questi giorni l’incontro nel contesto del Progetto ENTRY European Netwk of Trainers for Non violence and Resilience of Young people” e che, in questo caso, ha avuto per tema specifico la violenza nei confronti della donna, in particolare in età giovanile. Il prossimo incontro verterà sul tema dei “rifugiati politici” e si svolgerà in Svezia. Rappresenteranno il CSTG Filippo Petrogalli e Mara Ceruti che in questi anni hanno raccolto una esperienza personale in tal senso. Sarà con loro anche Michela Parmeggiani che, in Turchia, ha approfondito i contatti con donne turche sul tema della violenza contro le donne e che è stata richiesta insistentemente per sviluppare alcune collaborazioni in tal senso.

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CSTG-Newsletter n.82 aprile 13 della learning community del Centro Studi di Terapia della Gestalt www.cstg.it ___________________________________________________________________________

Edit 1 Topic 3 Scuola e dintorni 9 Eventi 11 Dare Corpo 12 Segnalazioni 14 Perls’s pearls 16 Risonanze 16 La disabilità che è in noi 17 Visti e letti 19 Da giornali e riviste 20 Prendersi cura 23 Polis 25 Trips and dreams 25 Poiesis 26 Witz e Giochi 27 Psicologiaecounseling 29

Edit Pasqua che, nel significato etimologico rimanda all’aramaico:”pasha” (ebraico pesah) il cui senso è “passare oltre”…Un passaggio che sembra avere, più che mai, diverse implicazioni: la transizione ad una fase della vita politica italiana, il cambio nel papato (per il quale diamo voce in questa NL alla prima omelia di Francesco) e probabilmente nella vita di alcuni di noi. - Apriamo questa NL con un articolo di Marilena (Maria) Menditto che, come abbiamo anticipato nel numero scorso, ci ha lasciati da poco. Un articolo che richiama l’impegno anche sociale, oltre che psicologico di una donna di grande temperamento, come ricordiamo essere stata Marilena. Una donna che ha lottato da oltre dieci anni contro una malattia incurabile della quale tuttavia – come è stato detto nel ricordo a conclusione del Congresso FISIG di Salerno di cui si allega una foto – nessuno si ricordava veramente osservando l’impegno nelle relazioni umane e nel lavoro che l’ha accompagnata sino a pochi giorni prima di lasciarci.

- Per iniziativa dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia si terranno due giornate sul tema: “Come si sceglie una scuola di specializzazione in psicoterapia? Come orientarsi all’interno dell’ampia offerta formativa presente sul territorio della Lombardia?”. Dal sito di OPL si legge “Per aiutare gli aspiranti psicoterapeuti in questa difficile scelta, l’Ordine degli Psicologi della Lombardia organizza la seconda edizione del Forum Lombardo per la Qualità della Formazione in Psicoterapia, che vedrà le scuole aderenti all’iniziativa riunirsi in un’unica giornata e in un’unica sede per incontrare il pubblico. Nella giornata di venerdì 12 aprile, come introduzione al Forum, si terrà il convegno “L’etica della formazione in psicoterapia”, che vedrà importanti docenti e terapeuti appartenenti a orientamenti teorici diversi confrontarsi su questo tema, tanto importante quanto spinoso. Durante l’intera giornata di sabato 13 aprile le scuole di psicoterapia che hanno aderito alla manifestazione presenteranno la loro offerta formativa attraverso seminari gratuiti”. Entrambe le giornate si svolgeranno presso l’Hotel Melià in Via Masaccio, 19 a Milano (M1 Lotto). La presentazione del CSTG verrà fatta da R. Zerbetto dalle 12,30 alle 13,20 di venerdì 13 aprila sul tema: “Il lavoro su sogno e l’”immaginazione attiva”. Dall’analisi junghiano-hillmaniana all’approccio esperienziale in terapia della Gestalt”

- In una riunione sulla Didattica sono state decise le lezioni che possono essere aperte come “open days”: una modalità per consentire un contatto con l’approccio gestaltico per quei colleghi che desiderano esporsi ad un contatto diretto con esperienza conoscitiva e terapeutica

- Il corredo fotografico proviene da Adiyaman in Turchia dove si è tenuto in questi giorni l’incontro nel contesto del Progetto ENTRY “European Netwk of Trainers for Non violence and Resilience of Young people” e che, in questo caso, ha avuto per tema specifico la violenza nei confronti della donna, in particolare in età giovanile. Il prossimo incontro verterà sul tema dei “rifugiati politici” e si svolgerà in Svezia. Rappresenteranno il CSTG Filippo Petrogalli e Mara Ceruti che in questi anni hanno raccolto una esperienza personale in tal senso. Sarà con loro anche Michela Parmeggiani che, in Turchia, ha approfondito i contatti con donne turche sul tema della violenza contro le donne e che è stata richiesta insistentemente per sviluppare alcune collaborazioni in tal senso.

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- “Women recall”, una presentazione del lavoro con le donne in Turchia verrà fatta da Michela Parmeggiani la sera dell’8 aprile cm presso la sede della Scuola (vedi di seguito). L’esperienza che ci stiamo facendo in questo ambito ci sta portando ad esplorare altre possibilità di avviare e/o condividere Progetti europei sia sul versante della educazione in ambito scolare (Comenius), che degli adulti (Grundvig) che del trasferimento di competenze professionali (Leonardo). Chi fosse interessato a partecipare a questi progetti può contattare Michela Parmeggiani [email protected].

- Quanto a notizie sulla Scuola, è stata consegnata a fine mese la relazione annuale al Ministero della Università e ricerca scientifica. Un impegno notevole che consente tuttavia di monitorare i diversi processi i atto. Nella Rubrica Bibliografia verranno riportate le pubblicazioni comparse nell’ultimo biennio che fanno parte dei dati che ci vengono richiesti. Coloro che sono interessati ad alcuni di questi contributi, possono farne richiesta agli autori. Oltre all’avvio dei Gruppi di terapia che, lo ricordiamo, sono aperti anche a clienti esterni, sono a disposizione in segreteria le date di Supervisione –distintamente per la psicoterapia e per il counseling che, del pari, prevedono la partecipazione di allievi, ex-allievi e

professionisti esterni. Da questo anno, ai supervisori della Scuola verranno affiancati allievi-didatti che hanno i titoli per conseguire, a loro volta, la qualifica di supervisore ai sensi della FISIG, per la psicoterapia, e di Assocounseling per il counseling.

- Si è tenuta regolarmente, il giorno 23 marzo, la Giornata di Intervisione tra gli allievi dei corsi di psicoterapia: una interessante occasione di confronto che consente di supervisionare il lavoro alla pari tra allievi dei diversi anni nella psicoterapia. Di grande intensità, in particolare, alcuni “lavori” che hanno messo in evidenza sensibilità e competenza nella conduzione del lavoro gestaltico-esperienziale - vi confermiamo che l’iniziativa programmata annualmente per l’invito ad un visiting professor avrà quest’anno – nei giorni 25 e 26 maggio– per argomento “EMDR DESENSIBILIZZAZIONE E RIELABORAZIONE ATTRAVERSO I MOVIMENTI OCULARI” con la partecipazione di Isabel Fernandez. Seguirà a breve il programma dettagliato. In questo anno, che per l’aspetto dell’approfondimento nella clinica verrà dedicato in particolare al tema del “trauma psichico”, viene anche previsto un workshop di Maurizio Stupiggia il 18 e 19 ottobre nonché un seminario teorico-esperienziale residenziale sull’approccio gestaltico al trauma nella settimana tra il 5 e l’11 agosto coordinato dallo scrivente.

- A seguito del riuscitissimo Expert Meeting sulla “Valutazione scientifica in psicoterapia” con la partecipazione di Robert Elliot si è tenuto il 19 ed è stato di estremo interesse, seguirà un prossimo Expert Meeting su “Le competenze nella ricerca in psicoterapia” che si terrà a Roma dall’8 al 9 aprile 2013. Consiglio vivamente di partecipare a questo incontro chi e’ interessato ad approfondire questo importante aspetto della nostra professione. - Nella rubrica Trips and Dreams compare una sintesi sull’antico Regno Commagene, regione dove si è svolto il recente incontro di ENTRY avente per tema “la violenza sulle donne”. - Nella provincia di Mantova, a conclusione del Master sul gioco d’azzardo, si è avviata la fase della concreta apertura degli Sportelli di counseling sul GAP. Anche le convenzioni con i Consigli di Zona di Milano sono state rinnovate ed estese, in certi casi, al tema delle Net-addictions. Filippo Pietrogalli, psicoterapeuta e assistente alla didattica, si è inserito nel programma di sportello di recente attivazione nella prospettiva di una utile sinergia tra le professioni di psicoterapia e counseling nel settore delle dipendenze. A Mantova si terrà il 4 maggio anche una Giornata di presentazione di un Corso di counseling per operatorii socio-sanitari. Una prospettiva tesa all’incremento delle competenze nella relazione di aiuto per professioni già orientate in tal senso, anche a prescindere dallo sviluppo di professionalità autonome.

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- Primo incontro per piano contro le dipendenze da gioco promosso da Pierfrancesco Majorino, assessore alle Politiche sociali e Cultura della salute del Comune di Milano. Un incontro per raccogliere idee ed esperienze contro le dipendenze da gioco ed elaborare un Piano cittadino di attività pubbliche e private per contrastare ogni forma di dipendenza da gioco. L’appuntamento è per martedì 23 aprile, dalle 17 alle 20, nella sala Vitman dell’Acquario Civico (viale Gadio 2). L’invito è rivolto a tutte le realtà già impegnate sul fronte delle ludopatie e a quanti desiderino dare il proprio contributo per arginare un fenomeno sempre più preoccupante indirizzando a [email protected]. Gli ex-allievi del CSTG impegnati negli Sportelli e in Orthos stanno predipsonendo un documento con delle proposte. Chi fosse interessato ad associarsi può scrivere a Giovanna Puntellini [email protected]. - Riportiamo di seguito il tragico annuncio sul numero delle “torce umane” che si sono immolate sino ad ora per rivendicare l’indipendenza del Tibet: sono giunte a ben 120! Mercoledì 10 aprile il Dalai Lama sarà ospite della Associaizone Italia-Tibet a Trento e mi auguro di potergli far avere qualche informazione relativa alla “Petizione per rivendicare il diritto di tornare in patria” sancito dalla Dichiarazione universale sui diritti umani che ha già raccolto 440 adesioni, ma che potrebbe essere rilanciata in lingue diverse a più ampio raggio. Un modesto contributo per non lasciare inascoltato il grido di dolore che ci viene da questo popolo oppresso da una brutale repressione. Nella sezione “Psicologiaecounseling” viene riportato il testo della revisione dellart 21 del Codice deontologico della Legge 56/78 proposto dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi e che verrà sottoposto ad un referendum esteso a tutti gli psicologi italiani. Al testo vengono fatte seguire alcune considerazioni strettamente personali. Tenuto conto della delicatezza e complessità del tema, ci attiveremo per predisporre l’apertura di un forum di discussione sul sito www.psicologiaecounseling.it.

Grazie e buona lettura Riccardo Zerbetto

Topic L’ESSERCI NELLA RELAZIONE E NELLA DIAGNOSI SECONDO LA PSICOTERAPIA DELLA GESTALT PSICOSOCIALE di Maria Menditto

Poche cose sono dolorose come le ferite invisibili….

e le ferite invisibili non vengono curate dal tempo..

(Nelson Mandela)

Premessa A differenza delle problematiche fisiche che spesso

sono ben riconoscibili, le ferite psicologiche, spirituali ed esistenziali rimangono nascoste o implicite dentro di noi: sono ferite invisibili. Il dolore e la sofferenza appartengono a quelle esperienze dell’uomo che non è possibile definire mai del tutto. Così come non è possibile trattenerle in una “gerarchia del dolore”, grazie alla quale sia la vittima, sia il professionista della cura possano decretare che la perdita di un figlio sia peggiore della perdita di un genitore, oppure che una separazione dal proprio coniuge sia meno dolorosa di una madre distratta. Inoltre, gli studi fin qui fatti dalla psicologia e dalla medicina hanno focalizzato l’attenzione più sull’evento traumatico o sulla malattia, piuttosto che sull’interezza della persona e sulla sua autentica capacità di reagire con coraggio all’evento difficile o imprevedibile nello sforzo di guarire. Anche l’educazione e la cultura ci hanno istillato la convinzione che la sofferenza, l’ansia e la paura che viviamo durante o dopo gli eventi traumatici scompaiono o si attenuano con il tempo. Chi non ha ascoltato il proverbio che recita: “Il tempo guarisce le ferite” “Il tempo è la migliore medicina”. In sostanza, il messaggio che ci è stato dato e che trasmettiamo a nostra volta alle persone che hanno subito un evento doloroso è: sii forte e non stare a pensare sempre a quello che ti è successo, il tempo aggiusta tutto. In sintesi, questo è stato l’orientamento teorico nei confronti della maggior parte degli eventi traumatici e dolorosi. Ora sappiamo che, al contrario, vi sono esperienze dalle quali non è possibile uscire spontaneamente: le persone possono aver bisogno di supporto, di una relazione d’aiuto, di assistenza medica, di psicoterapia per attingere alle proprie risorse interiori e alla resilienza. Gli avvenimenti emotivamente sconvolgenti non accadono solo durante un terremoto, una guerra, un attacco terroristico. Esiste una dimensione tragica in ogni vita, soprattutto quando il dolore è provocato da altri, che è parte della nostra condizione umana. Ognuno di noi prima o poi è chiamato ad attraversare una crisi devastante, che sia una malattia, una separazione, una violenza, la perdita del lavoro (Menditto, 2004).

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Dopo questi eventi tragici nulla sarà più come prima. Le nostre ferite invisibili si fissano in noi come tracce indelebili, quasi a ricordarci che abbiamo una capacità umana e sociale che ci spinge a formulare la richiesta – implica o esplicita – di sostegno nel processo di autoguarigione. Qualcuno di noi ha ben presente in sé questa tendenza, qualcun altro è titubante, quasi a bastare a se stesso, qualche altro ancora ha relegato nel territorio dell’implicito la bellezza dell’esperienza della reciprocità nella relazione (Menditto, 2010). La disciplina psicoterapeutica ha intuito sin dalle sue origini questa richiesta umana di base (racchiusa anche nei neuroni specchio e nell’empatia), e ha evidenziato che il processo di cura avviene grazie al dipanarsi dell’incontro e del dialogo nella relazione terapeutica.

Seguendo l’ottica classica, lo psicoterapeuta si imbatte in un paradosso: la sua attenzione è posta prevalentemente sulla parte “malata” e non sulla capacità di auto guarigione dell’individuo. Sebbene la malattia sia statisticamente un evento raro nell’esistenza dell’individuo, i terapeuti e i medici apprendono nella loro formazione ad ignorare la resilienza, la forza d’animo e la capacità di auto guarigione che risiede in ciascuno di noi. Essi agiscono per curare il sintomo o la malattia e così facendo, non tengono conto del bisogno primario di sopravvivere al trauma, sotteso da millenni nell’essere umano. Lo psicoterapeuta dedica lo studio, il lavoro, la formazione alla ricerca del “problema” (parte importante per es. nella formulazione della diagnosi), e tralascia gli studi e le ricerche che puntano l’attenzione sulla capacità dell’uomo di reagire con coraggio alle avversità nello sforzo di guarire. Questa formazione diviene azione nella relazione terapeutica: lo psicoterapeuta ha difficoltà a relazionarsi con chi richiede un ruolo attivo nella cura e nello stesso tempo evita di restare coinvolto nelle situazioni che esulano dalle tradizionali pratiche di guarigione. La tendenza all’autoguarigione Richard Mollica sostiene che in una situazione traumatica ci sono reazioni fisiologiche che si innescano per aiutare l’individuo a sopravvivere, come per esempio il rilascio di ormoni e la secrezione di endorfine, vale a dire la naturale risposta antidolorifica del corpo umano. Ma se non la persona non ottiene alcun sollievo, la risposta da stress diventa eccessiva, provocando una rottura del sistema. L’individuo che non può fuggire da questo circolo vizioso alla fine perde ogni speranza, finché corpo e mente restano completamente soggiogati. Ogni pensiero riferito al trauma e ogni nuovo stress contribuiscono a “far bollire la pentola”, provocando alla lunga psicopatologia o malattie gravi. In questa condizione, il distacco dell’ascoltatore non fa che rafforzare nell’individuo la sensazione di non valere e di vivere una vita priva di significato. Per Mollica la mancanza di ascolto nella relazione, e l’indifferenza del contesto sociale influiscono sul destino dell’individuo in modo ancora più grave del suo stesso trauma (Mollica, 2006). La Gestalt psicosociale individua nella dinamica della relazione di reciprocità la fonte del proprio benessere individuale, la base della comunicazione, dell’ascolto, della connessione con l’altro e la comunità (Polster, 2007; Menditto 2008; 2010). Per lo psicoterapeuta della Gestalt psicosociale non insufficiente per il processo di cura sia l’attivazione della persona, sia la relazione. A questi indispensabili e nutrienti ingredienti bisogna aggiungere un contesto, una comunità che rompa il silenzio e l’isolamento di coloro che soffrono delle ferite invisibili.

Questi elementi interconnessi consentono all’individuo di guardare con speranza oltre il sipario. Dunque, il discorso sulla sofferenza, il malessere e la patologia va riletto e aggiornato.

L’interezza della persona Amo considerare e configurare la persona nella sua interezza e complessità e nella sua appartenenza alla società. Dunque, il discorso sulla sofferenza per me si staglia da uno sfondo che contiene l’interezza della persona in connessione con l’altro e la comunità. A sostegno di questa visione della persona e del suo rapporto con la salute e la malattia, il mio collegamento scientifico e didattico con Erving Polster mi sollecita ad ampliare lo sguardo e a contemplare l’individuo nella sua unicità, nell’intreccio delle relazioni, nell’appartenenza alla polis (Polster, 207; Menditto, 2004, 2006, 2007, 2008, 2010). La polarità salute-malattia La Gestalt Psicosociale considera salute e malattia come parti interconnesse dell’esistenza umana. Estrapolare una parte dal tutto è utile per la conoscenza della realtà e facilita la categorizzazione di segni convenzionali. D’altra parte, parlare di malattia senza considerare la salute e viceversa riguarda un approccio parziale e denota

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una visione incompleta della totalità. Una polarità prende vita in funzione dell’esistenza e della correlazione con il suo opposto, come il nero per il bianco. Polarizzare chi sta bene e chi soffre Salute e malattia, benessere e malessere, quindi, appartengono alla società nel suo insieme e a ogni individuo in particolare. Etichettare il malato o chi soffre assolve anche alla funzione di emarginare aspetti spiacevoli o inaccettabili in noi stessi per arrivare, attraverso un’ingannevole visione della vita, a una estrapolazione del diverso, in cui si genera il seme dello stereotipo e della discriminazione. Salute e malattia rappresentano due polarità che coesistono e che si strutturano in primo piano o sullo sfondo a seconda dell’identificazione del momento. È la nostra rigidità o la nostra incapacità di mettere in relazione la figura con il suo sfondo che separa il «sano» dal «malato», «chi sta bene» da «chi soffre» determinando la perdita del potente potenziale relegato sullo sfondo. In questo modo, il «malato» perde il supporto della propria parte «sana» e il «sano» perde la capacità di integrare gli aspetti creativi della parte «malata». In altre parole, si nega la possibilità di comprendere la comunicazione implicita del sintomo nella totalità della persona, si

ostacola la riattivazione dell’individuo verso il cambiamento e verso il percorso della propria realizzazione. L’insieme benessere-malessere L’insieme salute-malattia, benessere-malessere accompagna l’esistenza dell’individuo dalla nascita alla morte in un continuo e mai facile avvicendamento. È questo il ritmo del naturale processo di crescita. Mantenere aperta la relazione fra le polarità salute-malattia consente all’individuo di integrare la sofferenza, il malessere, la malattia nella propria esistenza come parte della condizione umana. La sofferenza trova nella malattia o nel sintomo un veicolo di comunicazione che, se vissuto isolatamente, rischia di cronicizzarsi. In base a questo principio, l’individuo e l’ambiente sono continuamente in contatto, co-agenti in unica realtà, il campo relazionale; è al confine-contatto che essi realizzano la loro innata tendenza a cercare un punto di unione e separazione nella co-costruzione della relazione (Menditto,2004;2006; 2008;2010). La diagnosi in psicoterapia della Gestalt psicosociale Nella metodologia della psicoterapia Gestalt Psicosociale la diagnosi costituisce un metodo che descrive l’individuo «come esso appare», per favorire un ritorno all’esperienza totale e originaria dove la conoscenza non si riferisce a qualcosa di assoluto, bensì a un sapere relativo, che si riferisce ad una situazione fenomenologica concreta che si forma nel presente avendo come sfondo la storia della persona e il next, la capacità di immaginare e progettare il futuro (Menditto, 2010). In parole semplici, nel formulare la diagnosi, l’esperienza fenomenologica che lo psicoterapeuta vive nella relazione cocostruita con il paziente è osservata, sentita e descritta. Esiste un tipo di diagnosi che è una modalità diagnostica specifica della psicoterapia della Gestalt. E’ diagnosi perché è orientamento per il terapeuta e perché è un conoscere (gnosis) il qui e ora della relazione attraverso i sensi, la fenomenologia, il sentire corporeo, l’empatia (Menditto, 2010). Questo tipo di diagnosi nasce momento per momento dallo stare al confine di contatto, nell’area del tra: momento dopo momento le interazioni fra terapeuta e paziente prendono avvio, imprevedibili, caotiche, mettendo in gioco migliaia di elementi in ogni sequenza esperienziale (Polster, 1991; Menditto 2006;2010). È un’interazione incredibilmente complessa: visiva, uditiva, tattile, muscolare, gustativa e olfattiva; ed ancora è sostenuta dai neuroni specchio, dal sentire corporeo, dall’empatia, è fiduciosa che si riattivano strati di memorie, che non ricordate, si muovono in modo implicito, in attesa di partecipare alla formazione della figura. Lo psicoterapeuta può scegliere di uscire da tutto ciò, stabilendo una relazione oggettivante e utilizzando una mappa diagnostica estrinseca. L’altra scelta è quella di stare in questo incredibile caos relazionale, essere consapevole, con i sensi attivi, fidandosi della possibilità di aprirsi all’incognita dell’incontro con l’Altro, lasciandosi toccare da ciò che avviene. Lo psicoterapeuta mantenere la fiducia che questo caos abbia un suo “senso”, che gradualmente prenderà una forma condivisa nella cocostruzione della relazione. L’intenzionalità ( del contatto ) è il soffio che fa muovere questo magma. Il terapeuta non è disorientato, segue ciò che accade momento per momento; è presente; è pronto all’incontro ancor prima del paziente. È un incontro che avviene al confine dove paziente e terapeuta si incontrano; lo psicoterapeuta è pronto, vigile a cogliere l’intenzionalità e a sostenerne il dispiegarsi del soffio dell’anima.

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E’ l’intenzionalità che mette ordine nel caos intersoggettivo. Quando la freccia dell’intenzionalità perde energia e cade, il terapeuta la raccoglie e ridà nuovo slancio. Quando la freccia viene rilanciata, aumenta l’intensità emotiva del momento. I momenti in cui la pienezza dell’incontro accade emergono in un tempo che non è imprevedibile: il terapeuta non sà in quale minuto o secondo dell’incontro avviene il contatto pieno, ma è fiducioso. Ma nulla accade casualmente: il terapeuta, sostenendo l’intenzionalità del paziente che secondo per secondo si dispiega e incontra la propria, sostiene la possibilità dell’incontro fatto di contatto pieno (cfr. ciclo di relazione, Menditto 2008; 2009; 2010).

L’intenzionalità orienta il processo terapeutico che è l’incontro stesso, il contatto fra paziente e terapeuta. Il perdere forza o l’interrompersi dell’intenzionalità attiva il terapeuta ad intervenire (l’intervento può essere anche il silenzio, l’immobilità, un movimento impercettibile). In che modo il terapeuta si accorge del muoversi e dell’interrompersi dell’intenzionalità? Il modo è l’essere presente al confine di contatto, con i sensi svegli e la consapevolezza delle proprie risonanze corporee, emotive, cognitive. Il criterio che guida questa consapevolezza è rigoroso: è il percepire la fluidità dell’accadere o il suo venir meno, che orienta il terapeuta nel regolare il suo modo di esser-ci-con il paziente. E’ una nota stonata, un troppo o un troppo poco, un troppo presto o un troppo tardi; non rispetto ad un modello a priori, ma nella speciale e unica modalità di ogni relazione umana. Così come sappiamo riconoscere una nota stonata, possiamo avvertire un fuori tempo o un fuori luogo, o semplicemente qualcosa di indefinitamente strano o stanco nel nostro continuo regolarci reciproco. La psicoterapia della Gestalt ha studiato queste flessioni dell’intenzionalità e perdite di spontaneità (le cosiddette interruzioni di contatto) identificando i modi e il tempo in cui ciò si può verificare. Si tratta di uno strumento per prepararsi a cogliere queste fratture e a dare alla relazione il sostegno adatto per attraversarle (Perls et al., 1971; Menditto, 2006). I punti cardinali di questo orientamento diagnostico “secondo per secondo” sono il qui (l’esperienza dello spazio), l’ora (l’esperienza del tempo) vissuti (così come si manifestano al confine di contatto): il terapeuta è recettore sensibile al variare di questi sismografi che registrano non parametri individuali, ma è un sentire che vive nella relazione nel qui e ora. Il terapeuta coglie queste variazioni e si ricolloca continuamente rispetto ad esse in una unità senso-motoria. In questo modo mette in atto non solo l’intervento diagnostico intrinseco, ma anche l’intervento terapeutico: vi è qui una completa unità di atto diagnostico-terapeutico (Perls et alii). Cogliere l’interrompersi dell’intenzionalità comporta una ri-collocazione relazionale che immediatamente regola e cura la relazione momento per momento. L’esperienza relazionale consente nel tempo di sintonizzarsi immediatamente con l’Altro in modo terapeutico senza bisogno di pensare alle coordinate diagnostiche di fondo: esse sono assimilate e fanno parte dello sguardo e del sentire del terapeuta. Esse sono il suo sfondo. Ma per essere sfondo devono essere state un tempo figura. La diagnosi di mappa è importante per chi inizia a viaggiare e per consentire ai viaggiatori di comunicare quando non sono esattamente sul posto e, scorrendo la cartina, si confrontano. Tuttavia quando ci si muove nel territorio, la cartina va ripiegata e messa nello zaino: essa va nello sfondo e lo psicoterapeuta diventa un esploratore curioso del territorio del confine di contatto. Egli sa che la può consultare: quando si perde, quando deve comunicare a qualcuno dove entrambi si trovano, quando si ferma per fare il punto della situazione. Ma l’esperienza che lo psicoterapeuta della Gestalt psicosociale ha impresso in sé è la consapevolezza che, momento dopo momento, l’esperienza si dipana senza mai ripetersi, nemmeno per una volta. Questa è il periglioso e meraviglioso viaggio di coloro che si lasciano andare al processo e alla fenomenologia dell’esperienza.

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Come si formula la diagnosi? Nel formulare la diagnosi ci atteniamo al racconto del paziente, stiamo nella relazione, utilizziamo i sensi e l’osservare ciò che appare: il disturbo è scritto nella forma del presente. La conoscenza a cui facciamo riferimento non è quella assoluta, bensì è un sapere relativo. Il sapere relativo apre tanti varchi intellettuali, valorizza l’originalità della persona, di ogni vita che ha il proprio tracciato esistenziale, unico, originale, soggettivo. Nello sfondo di una situazione raccontata e vissuta nella relazione, emerge in figura l’esperienza fenomenologica concreta. Tutto questo rende la psicoterapia della Gestalt psicosociale una terapia efficace in tempi sufficientemente ragionevoli. L’esperienza concretizzata e vissuta nel presente, poggiata sullo sfondo della storia e con lo sguardo verso il next,

va spiegata ma descritta fenomenologicamente utilizzando i possibili livelli dell’esperienza (Menditto, 2008,2009, 2010). La diagnosi nei colloqui precedenti la presa in carico. L’attenzione nei colloqui precedenti la presa in carico sulla formulazione della diagnosi viene sostenuta dallo strumento dell’osservazione fenomenologica e del proprio sentire corporeo. Nella Gestalt psicosociale lo psicoterapeuta indossa “lenti” per osservare come un esploratore curioso di una terra sconosciuta, usa i sensi vigili, è focalizzato sulle sensazioni ed emozioni che il proprio corpo rimanda; ascolta empaticamente, provando a “sentire” ciò che il paziente sente emotivamente. La diagnosi comincia in questo momento: con l’indossare questi speciali occhialetti essendo autenticamente interessato a conoscere l'altro, a descrivere ciò che ha osservato e ascoltato, sentito con il corpo. Lentamente dalla relazione stessa comincia a emergere una configurazione sull’altro e sulla sofferenza relazionale che si sta attualizzando, che porta in sé la formulazione della diagnosi. È tutto lì, nell’esperienza fenomenologica che terapeuta e paziente stanno vivendo e attualizzando come co-autori: bisogna avere fiducia nello stare in relazione, nell'osservazione, nell'ascolto, nei sensi vigili. Includere nei primi colloqui prima della presa in carico la formulazione della diagnosi induce il terapeuta a due riflessioni: • Si chiede se ha la competenza specifica a trattare la specifica sofferenza/patologia della persona; • Si domanda quali sono le risorse interiori del paziente che possano consentire di costruire un progetto

terapeutico cucito addosso al paziente per realizzare possibilità reali di cura. Nella psicoterapia della Gestalt psicosociale lo psicoterapeuta utilizza due o tre colloqui prima della presa in carico per raccogliere gli elementi indispensabili per formulare la diagnosi e il progetto terapeutico. DSM- ICD-10 Oltre alla diagnosi gestaltica, lo psicoterapeuta deve possedere la conoscenza dei manuali di descrizione della psicopatologia – il DSM o l’ICD10–. Questa competenza non solo contribuisce ad una lettura più ampia della persona e delle sue sofferenze, ma consente al terapeuta di poter dialogare con colleghi di differenti approcci. Formazione continua Così come è fondamentale la formazione continua lungo l’intera vita professionale: supervisione, aggiornamento, convegni, giornate di studio, la lettura dei testi. I valori e l’etica Dobbiamo tener presente che a volte, lo psicoterapeuta si imbatte in racconti, esperienze, traumi, valori che non è in grado di tollerare. Per esempio, se un uomo racconta dell’abuso fatto ripetutamente alla figlia, e il terapeuta trova intollerabile questo comportamento nella propria scala valoriale, deve interrogarsi singolarmente o in supervisione, sulla sua possibilità o impossibilità di avvicinarsi, entrare ed elaborare nella relazione terapeutica quell’esperienza. La neutralità in terapia non esiste e d’altro canto l’etica del terapeuta contribuisce al processo di cura e di cambiamento. l tema esistenziale Altro elemento significativo nella diagnosi e soprattutto nel progetto terapeutico è riconoscere il tema esistenziale del paziente. Nella diagnosi includiamo anche la definizione del macrociclo esistenziale, il tema di fondo della persona, quello che potremmo mettere sul nostro epitaffio. Il mio tema nel macrociclo esistenziale , per esempio,

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sarebbe : “Ha cercato di essere utile agli altri”. All’interno del tema esistenziale di fondo ci sono le micro-esperienze esistenziali, cioè la comprensione del ciclo di vita in cui si trova la persona ed i micro-cicli del periodo, noi andiamo ancora di più nei colloqui a individuare, in funzione di quel ciclo di vita ( per esempio, la mezza età) che cosa gli sta succedendo, è depresso perché il figlio vuole andare via di casa (il nido vuoto). Inoltre nei primi colloqui, come dicevo, lo psicoterapeuta della Gestalt psicosociale definisce le risorse interiori, relazionali e ambientali della persona. Lo psicoterapeuta utilizza l’osservazione delle fasi del Ciclo di relazione. La tendenza stabile alla relazione si accompagna con la tendenza al cambiamento trasformativo e all’esplorazione. Ai giorni nostri, del resto, l’individuo deve attrezzarsi per crearsi nuove mete e per attuare continui cambi di rotta. In quest’ottica, stabilità e cambiamento, relazione e esplorazione rappresentano risorse da integrare nella propria identità e nella relazione cocostruita con l’altro. L’individuo può incidere nella propria vita ma non totalmente, perché anche l’altro e l’ambiente incidono su di lui. In altre parole, possiamo non aver bisogno di interagire con l’ambiente, ma lo stesso ci sceglie, ci coinvolge, ci respinge, ci attrae, insomma, non è neutrale (cfr. Ciclo di relazione 2004; 2006; 2010). Il Ciclo di Relazione Il Ciclo di Relazione rappresenta uno degli sviluppi teorici e metodologici prodotti dalla Scuola di Formazione “Società Italiana Gestalt”(Menditto, 2002, 2004, 2006, 2008, 2010). La psicoterapia della Gestalt psicosociale attraverso lo strumento del ciclo di relazione nella comprensione del processo che si sviluppa nella relazione terapeutica, valorizza la dinamica relazionale cocreata “tra” paziente e terapeuta nel confine di contatto. L’interesse del terapeuta non è solo rivolto all’interconnessione dell’individuo con l’ambiente; è concentrato anche sull’esperienza generata dai diversi livelli dell’esperienza nella relazione terapeutica: il sensorio, il corporeo, l’emotivo, l’immaginativo, il cognitivo-verbale, l’eroico. Tutti i livelli dell’esperienza si concretizzano nella fenomenologia dell’esperienza che si realizza nell’unicità della relazione cocreata “tra” paziente e terapeuta. Per esempio, si domanda se la persona dallo sfondo indifferenziato (prima di cominciare il dialogo) è in grado di sentire e esprimere le sua intenzione di attivarsi sul problema che sta presentando, in questo caso la prima fase del Ciclo di Relazione, la fase della Tensione Attivatrice, si attiva processualmente senza interruzioni all’intenzionalità del contatto. Un’altra lettura di osservazione sono le modalità di interruzione all’intenzionalità del contatto: proiezione introiezione, deflessione, retroflessione, confluenza. Segnalare le modalità di interruzioni prevalenti, notare le fasi di interruzione e “come” avviene l’interruzione, è compito del terapeuta della gestalt. Per lo psicoterapeuta della Gestalt psicosociale i primi due/tre colloqui prima della presa in carico sono orientati a formulare la diagnosi sulla sofferenza della relazione. La diagnosi prende forma anche grazie al come paziente e terapeuta co-costruiscono la relazione, che ha nello sfondo la storia del paziente. Ipotesi e verifica del progetto Infine lo psicoterapeuta definisce l’ipotesi del progetto che si sottopone a verifica. La verifica la effettua in diversi modi: • Comunicandola al paziente e discutendone insieme • Confrontandosi in supervisione • Accettando di fare modifiche in progress • Restando in contatto con le proprie sensazioni vissute in quella specifica terapia È utile predisporre delle schede sulle quali, alla fine del colloquio, si appuntano gli elementi essenziali della seduta. Il terapeuta della Gestalt psicosociale, una volta formulata la diagnosi e definito il progetto terapeutico in modo descrittivo e senza citare termini legati alla nosografia. Come sappiamo, la diagnosi serve al terapeuta. Avere a che fare con il disagio, la sofferenza, il trauma dei nostri pazienti, ci spinge a vivere la nostra professione con un profondo rispetto delle persone e dei loro adattamenti creativi a un ambiente complesso, difficile e a volte ostile. L’incontro autentico con l’altro e la connessione con la comunità è la chiave di svolta per poter riattivare il percorso di autorealizzazione interrotto da una sofferenza indicibile e vissuta nella desolazione dell’ isolamento e della solitudine. Maria Menditto psicologa, psicoterapeuta e scrittrice. Docente all’Università La Sapienza, Roma, presso la prima Facoltà di Medicina e Chirurgia, in Scienze della formazione e psicologia delle relazioni - Insegnamento Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione. Consulente di organizzazioni pubbliche e private. Ideatrice e direttrice dei corsi di formazione in Counselling per la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale. Si è specializzata negli Stati Uniti con Erving e Miriam Polster in Psicoterapia della Gestalt, che ha insegnato. È stata in supervisione con i Polster, con I. From, J. Zinker, J.Simkin, H. Siemens, G. Parnell, M.V. Miller, G. Downing, G. Salonia, M. Spagnuolo Lobb, L. della Seta.

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Scuola e dintorni (a cura di: Manila Cannalire [email protected])

E.N.T.R.Y. European Network of Trainers for

Nonviolence and Resilience of Young people

Presentano

Women Recall

lunedì 8 aprile dalle 20.45 serata tra donne presso il

cstg in via mercadante, 8 Milano

Evento gratuito con prenotazione via e-mail

[email protected]

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CSTG OPEN DAYS 2013

Calendario delle lezioni aperte ai corsi di Psicoterapia: Sabato 13 aprile - ore 09:30-13:30 RICCARDO ZERBETTO - Transfert e relazione intersoggettiva nella psicoterapia della gestalt Sabato 13 aprile - ore 09:30-13:30 DONATELLA DE MARINIS - Supervisione clinica sulle esperienze di tirocinio Sabato 11 maggio - ore 09:30-13:30 DONATELLA DE MARINIS - I confini nella relazione di aiuto Domenica 2 giugno - ore 09:30-13:30 RICCARDO ZERBETTO - Dall'analisi interminabile al concetto di crescita Sabato 6 luglio - ore 09:30-13:30 DONATELLA DE MARINIS - Supervisione clinica sulle esperienze di tirocinio Venerdì 13 settembre - ore 14:30-20:00 RICCARDO ZERBETTO - L'autonarrazione tra racconto ed anamnesi Sabato 16 novembre - ore 09:30-13:30 RICCARDO ZERBETTO - Personalità narcisistica in una prospettiva gestaltica Domenica 17 novembre - ore 09:30-13:30 RICCARDO ZERBETTO - La relazione terapeutica come fattore di cura Venerdì 22 novembre - ore 14:30-20:00 DONATELLA DE MARINIS - Empatia e simpatia nella relazione terapeutica, anche alla luce dei neuroni specchio Domenica 15 dicembre - ore 09:30-13:30 RICCARDO ZERBETTO - Il gioco d'azzardo e le dipendenze comportamentali

Calendario delle lezioni aperte ai corsi di counseling: Sabato 6 aprile, ore 11:30-18:30 GIUSI CARRERA – Il Colloquio nel Counseling Sabato 4 maggio, ore 11:30-18:30 GABRIELLA AGLIATI – La relazione col cibo Domenica 9 giugno, ore 11:30-18:30 SARA BERGOMI – Integrazione delle parti del Sé Sabato 14 e domenica 15 settembre, ore 09:30-18:30 RICCARDO ZERBETTO – Mitopoiesi ed archetipi Sabato 28 e domenica 29 settembre, ore 09:30-18:30 RICCARDO ZERBETTO E DONATELLA DE MARINIS – Introduzione all’Enneagramma Sabato 26 e domenica 27 ottobre, ore 09:30-18:30 RICCARDO ZERBETTO – La Gestalt come stile di vita INDISPENSABILE PRENOTAZIONE PRESSO LA SEGRETERIA : [email protected] tel: 0229408785

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Eventi

L’evento è rivolto a psicologi, medici e laureati e laureandi in medicina e psicologia. La partecipazione è libera e gratuita. Per partecipare al convegno e/o alla giornata dei seminari, si prega di confermare la presenza scrivendo a [email protected] La presentazione del CSTG verrà fatta da R. Zerbetto dalle 12,30 alle 13,20 di venerdì 13 aprila sul tema: “Il lavoro su sogno e l’”immaginazione attiva”. Dall’analisi junghiano-hillmaniana all’approccio esperienziale in terapia della Gestalt”

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LA RICERCA PER IL CLINICO.

Expert Meeting sulle competenze nella ricerca in psicoterapia

Organizzato da: FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni di

Psicoterapia) CNSP (Coordinamento Nazionale delle Scuole di

Psicoterapia) SIPSIC (Società Italiana di Psicoterapia)

Roma, 8 e 9 aprile 2013 Centro Congressi Cavour Via Cavour, 50A

L’Expert Meeting 2013 è organizzato in collaborazione da FIAP, CNSP e SIPSIC e ha l’obiettivo di sostenere lo sviluppo delle competenze inerenti la ricerca in psicoterapia. Attraverso varie tappe formative, intende offrire al clinico un contatto diretto con esperti della ricerca

in psicoterapia al fine di sensibilizzarlo a questa competenza e presentare dei modelli e metodi operativi accessibili e facilmente utilizzabili nella propria pratica clinica. È rivolto ad un gruppo di docenti e tutor (oppure specializzandi o psicoterapeuti coinvolti in progetti di ricerca) che siano interessati a sviluppare queste competenze e a partecipare a reti e progetti di ricerca. Il meeting prevede momenti di confronto ed elaborazione in gruppo a partire da interventi preordinati su modelli e metodi di ricerca in psicoterapia. Verranno presentati alcune modalità di ricerca utilizzabili dal clinico nella propria pratica psicoterapeutica. VENERDÌ IN MUSICA Concerti di beneficienza organizzati da IRCCS Policlinico San Donato e AICCA Onlus Aula magna - Ingresso libero proseguono le SERATE/CONCERTO mensili del venerdì al Policlinico San Donato, che vedono la partecipazione di musicisti sia professionisti che del nostro personale. La sera del 19 aprile alle ore 19 sarà la volta della Corale della Chiesa di San Gottardo al Corso di Milano che, con due cantanti solisti, eseguiranno pezzi famosi del repertorio lirico-classico; al pianoforte ci sarà ancora Federico Villani.

via Borgogna, 3 Milano

martedì 9 aprile 2013 ore 21.00 SPI Centro Milanese di Psicoanalisi Cesare Musatti e Casa della Cultura FRONTIERE DELLA PSICOANALISI - La scienza del sospetto e il bisogno di credere. Le figure del credere e della speranza Secondo incontro: "Tra speranza laica e speranza religiosa: la fede e il disinganno". Intervengono: Massimo Cacciari e Rita Corsa.

Dare Corpo A cura di: Alessandra Callegari, Donatella De Marinis, Valter Mader, Giovanni Montani, Cristina Tegon, Riccardo Zerbetto Il Metodo Feldenkrais® Il Metodo Feldenkrais® è un metodo di autoconoscenza e autoeducazione attraverso il movimento, messo a punto dall’ingegnere e scienziato israeliano Moshe Feldenkrais (1904-1984), uomo di poliedrica formazione personale e grande vastità di interessi (dalla fisica al

judo, di cui divenne prima cintura nera in Europa), che attraverso un affascinante percorso di crescita personale, iniziato con la ricerca di un modo per recuperare la funzionalità delle ginocchia gravemente danneggiate a vent’anni giocando a calcio, arrivò a sviluppare un metodo rivoluzionario, dalle innumerevoli potenzialità ed applicazioni.

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Il Metodo Feldenkrais® si è diffuso anche in Italia a partire dagli anni Ottanta e consiste nell’aiutare le persone a muoversi meglio, utilizzando un approccio corporeo che mira alla consapevolezza di sé. Le persone spesso si rivolgono a un insegnante Feldenkrais® per “guarire” da un dolore fisico come un generico mal di schiena, o per “riparare” il danno o il trauma conseguente a un incidente, una caduta o una malattia neurologica, ma arrivano a scoprire nuovi modi di muoversi e attraverso un processo di apprendimento senso-motorio gradatamente abbandonano le vecchie e dannose abitudini e consolidano quelle nuove. Per comprendere il Metodo Feldenkrais® non si può prescindere dal sistema nervoso, perché è un apprendimento che insegna a percepire il corpo. Il sistema nervoso permette all'organismo di ricevere e trasmettere stimoli dal mondo esterno coordinando le informazioni fra loro. Dai sensi, dalla pelle, dai visceri, dall'ambiente esterno arrivano stimoli al cervello attraverso le vie nervose, la più importante delle quali è la via somato-cinestesica. La via cinestesica inizia dai recettori sensoriali della pelle e raggiunge la corteccia attraverso le fasce connettivali. Le informazioni sensoriali provenienti dalla superficie del corpo raggiungono la corteccia sensitiva e generano una risposta relativa al controllo muscolare. Se riconoscere gli schemi mentali che vengono messi in atto in diversi momenti della nostra vita è compito della psicologia, riconoscere gli schemi motori che vengono messi in atto è materia del metodo Feldenkrais®. Non si tratta solo di semplice coordinazione ma di qualcosa di più profondo e sottile; è riconoscere e ridisegnare l’immagine che abbiamo di noi stessi, integrando pensiero, emozioni, sensazioni e movimento. Così come mettiamo in atto resistenze inconsapevoli nei processi mentali, altrettanto agiamo a livello muscolare con azioni conflittuali che rendono il modo con cui ci muoviamo difficile e faticoso fino a generare dolore o a provocare un trauma fisico, facendoci del male. Possiamo raggiungere una maggior chiarezza di pensiero riconoscendo il modo con il quale ci muoviamo e attraverso questa consapevolezza migliorare la qualità della nostra vita. È importante infatti capire come agiamo nel dolore fisico, come sorgono i conflitti interni, come ci facciamo del male e come questi conflitti vengono espressi attraverso il dolore e la malattia. “Il corpo è il deposito di eventi traumatici avvenuti nell’infanzia e ne mantiene la memoria, e questi eventi continuano a provocare sofferenze in età adulta” (Boadella e Liss, La psicoterapia del corpo, Astrolabio). Impariamo infatti da bambini a bloccare i sentimenti e gli impulsi più profondi, al fine di garantirci la sicurezza e l’approvazione dei genitori, che ci offrono un amore “condizionato”. Così, fin dalla nascita formiamo delle abitudini e veniamo educati attraverso il “potere della dipendenza”: dipendenza dall’ambiente gravitazionale e fisico e dipendenza interpersonale (nel bambino le due forme sono fuse insieme). La struttura corporea dell'uomo è il risultato dì un lungo processo evolutivo che lo pone al vertice della scala zoologica. Per adattarsi alla gravità il sistema nervoso, i muscoli e lo scheletro si sono reciprocamente influenzati e modificati per compiere azioni sempre più complesse e raffinate. Il bambino che diventa adulto riscrive nel corpo le tappe delle trasformazioni delle specie animali che l'hanno preceduto, ma questa ricchezza genetica ereditata non è oggi valorizzata. Il ritmo sfrenato della vita moderna, lo stress e le incessanti richieste sociali sommergono l'individuo facendogli dimenticare se stesso, mentre quando il corpo assume e mantiene la postura ideale la persona è vivace, gioiosa, intelligente, stabile al suolo e al centro del mondo. Il corpo è inoltre sede e strumento di manifestazioni emozionali: il corpo parla e noi parliamo con il corpo. Nonostante sia ormai diffuso il concetto di unità tra mente e corpo, quest’ultimo è ancora troppo spesso vissuto come elemento a sé, un insieme di muscoli e ossa il cui funzionamento è delegato alla sua meccanicità. Moshe Feldenkrais sostiene che il pensiero è azione, che si manifesta attraverso l’azione muscolare. Nel suo libro L’io potente ha analizzato approfonditamente i meccanismi emotivi sottostanti al modo con il quale noi ci muoviamo, sostenendo che tutto ciò che facciamo e pensiamo si manifesta attraverso i muscoli. E con il suo metodo è riuscito a creare un percorso che permette alle persone di recuperare un profondo contatto con sé proprio a partire dal movimento muscolare. Bibliografia Il corpo e il comportamento maturo, Astrolabio, Roma 1996. Conoscersi attraverso il movimento, Celuc Libri, Milano 1978. Il caso di Nora, Astrolabio, Roma 1996. Le basi del metodo per la consapevolezza dei processi psicomotori, Astrolabio, Roma 1991. Testo di Valeria Maffei. Assistente Trainer del Metodo Feldenkrais, collabora con l’Istituto di Formazione per Insegnanti del Metodo Feldenkrais® di Milano, diretto da Mara Della Pergola. Per saperne di più: www.feldenkrais.it

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Segnalazioni

Seguono alcune pubblicazioni di R. Zerbetto uscite negli ultimi due anni. Chi fosse interessato può farne richiesta Zerbetto R., Editoriale al Numero unico del Bollettino per le Farmacodipendenze del Ministero della Salute su: “Dipendenze comportamentali / Gioco d'azzardo patologico: progetto sperimentale nazionale di sorveglianza e coordinamento/monitoraggio degli interventi a cura di G. Manna e P. Jarre, 2011 Zerbetto R., La madre di tutte le dipendenze, da: Craving. Alla base di tutte le Dipendenze di Nizzoli, Caretti, Croce, Lorenzi, Margaron, Zerbetto. Mucchi editore Modena, 2011. Zerbetto R., Postfazione a “Donne e dee” di Primo Lorenzi, Alpes edizioni, Roma (2011) Zerbetto R., Progetto Orthos: come comunità terapeutica breve per giocatori d’azzardo da: Ma a che gioco giochiamo? di AA.VV. Ed. A Mente Libera, 2011. Zerbetto R., Perls e Jung, Dal Giornale storico del Centro studi di Psicologia e Letteratura (fondato da Aldo Carotenuto), n. 12, aprile 2011 Zerbetto R., Intervista con Dan Bloom Past-President del New York Institute for Gestalt Therapy, con-direttore della rivista Studies in Gestalt Therapy. Dialogical Bridges, su Quaderni di Psicoterapia della Gestalt, n. 2 2011

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Zerbetto R ., Il Programma Orthos: intervento di psicoterapia intensiva in ambito residenziale con giocatori d’azzardo patologici pubblicato su: La Torre e l'Arca. Pagine di Psichiatria, Cultura, Attualità a cura di Francesco Tornesello Postato il 27 febbraio 2011 Zerbetto R , Quando il daimon si scinde in angelo o dèmone, pubblicato sul Numero monografico del Giornale storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura fondata da Aldo Carotenuto, Volume 7 ottobre 2011, Fascicolo 13 Zerbetto R., Progetto Orthos: come comunità terapeutica breve per giocatori d’azzardo da: Ma a che gioco giochiamo? di AA.VV. Ed. A Mente Libera, 2011. Zerbetto R., Sul complesso di Oreste e l’archetipo del matricidio, pubblicato sul Numero monografico del Giornale storico del Centro Studi di Psicologia e Letteratura fondata da Aldo Carotenuto, Volume 8 aprile 2012, Fascicolo 14. Numero monografico su: Uccidere donne Zerbetto R , Psicoterapia e percorso iniziatico, su Il nostro mare affettivo: la psicoterapia come viaggio a cura di P. Moselli, FrancoAngeli Ed., 2012 Zerbetto R., Schimmenti A., Poli D., Caretti V., Ricerca sugli outcomes di Orthos: programma residenziale di psicoterapia intensiva per giocatori d’azzardo, Italian Journal on Addiction Vol. 2 Numero 3-4, 2012. Di partimento Politiche Antidroga e Presidenza del Consiglio dei Ministri Zerbetto R. e Foglia C,, Gioco d’azzardo e detenzione: una ricerca nelle carceri milanesi, Italian Journal on Addiction Vol. 2 Numero 3-4, 2012. Di partimento Politiche Antidroga e Presidenza del Consiglio dei Ministri Zerbetto R., Per una piscomitopoiesi, Giornale storico del Centro studi di Psicologia e letteratura n. 15 Hillmaniana, Ottobre 2012 Zerbetto R., Bellerofonte, eroe tragico al confine tra matriarcato anatolico e patriarcato greco Riflessioni sparse su Dove nascono gli dei. Viaggio in Grecia e oltre … sulle orme di Pausania, Morlacchi-Gritti Ed. Zerbetto R., unitamente a 13 docenti del CSTG, hanno contribuito per 14 voci al Dizionario di psicoterapia curato da Giorgio Nardone e Alessandro Salvini edito da Garzanti, 2012 Zerbetto R., Eros e pathos: perché così inscindibili? presentato al 3° Convegno della S.I.P.G. Palermo, dicembre 2011su: Il Dolore e la Bellezza dalla Psicopatologia all’Estetica del Contatto a cura di G. Francesetti, in corso di pubblicazione Da www.psiconline.it: Ferdinando Pellegrino Essere o non essere leader. Miniguida per emergere nella vita familiare, sociale, lavorativa 2013, Collana: Psicologia per tutti Pagine: 102 Prezzo: € 9,00 Editore: Positive Press Marco Cacioppo, Sergio Severino (a cura di) La prossimità a distanza. Contributi psico-sociali per lo studio degli usi, abusi e dipendenze nel Web 2.0 2013, Collana: Psicologia sociale contemporanea Pagine: 176 Prezzo: € 23,00 Editore: Franco Angeli Stefano Iacone, Ludovico Verde Mente darwiniana e addiction. Evoluzionismo, neuroscienze e psicoterapia 2013, Collana: Serie di psicologia Pagine: 224 Prezzo: € 28,00 Editore: Franco Angeli Sue Hadfield, Gill Hasson Come essere assertivi in ogni situazione 2013, Collana: Trend Pagine: 192 Prezzo: € 25,00 Editore: Franco Angeli Mario Furlan Tu puoi! Come superare gli ostacoli, vincere le sfide e vivere al massimo 2013, Collana: Trend Pagine: 240 Prezzo: € 18,00 Editore: Franco Angeli Truog D.R., Browing D.M., Johnson J.A., Gallagher T.H. Errori medici. La comunicazione con il paziente e i familiari

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2013, Collana: Psicologia medica Pagine: 161 Prezzo: € 20,00 Editore: Cortina Raffaello Tony Wrighton Sicuro di te in un 1 minuto con la PNL. Le tecniche per raggiungere i tuoi obiettivi 2013, Pagine: 108 Prezzo: € 7,90 Editore: Vallardi A. Isabelle Leclerc 111 trucchi per farsi ubbidire senza perdere la calma 2013, Collana: Piccoli e grandi/Manuali Pagine: 96 Prezzo: € 12,00 Editore: Red Edizioni Laniado Nessia Come rendere felice un bambino nel primo anno di vita 2013, Collana: Piccoli e grandi/Manuali Pagine: 128 Prezzo: € 10,00 Editore: Red Edizioni

Perls’s pearls Citazioni da Perls e non solo (a cura di Laura Bianchi [email protected]) “”La terapia della Gestalt è un modo di occuparsi di un altro essere umano per dargli la possibilità di essere se stesso, ‘saldamente radicato nel potere che lo costituisce’, per prendere a prestito una frase di Kierkegaard. Sempre nella tradizione di Kierkegaard la terapia della Gestalt è una terapia esistenziale, che si occupa dei problemi creati dalla nostra paura di assumerci le responsabilità di ciò che siamo e di ciò che facciamo.”

Tratto da “L’eredità di Perls. Doni dal lago Cowichan” di Fritz Perls e Patricia Baumgardner

Risonanze (a cura di Fabio Rizzo: [email protected]) Home they brought the warrior dead; She nor swooned nor uttered cry. All her maidens, watching, said, “She must weep or she will die”. Riportarono a casa morto il guerriero. Lei non perse i sensi né emise alcun grido. E tutte le sue ancelle la guardarono e dissero: “Deve piangere o morirà”.

A. Tennyson, The Princess, in A. Koestler, L’ atto della creazione, p. 273 (Astrolabio, 1975)

Qualche anno fa, una giovane sposa si era presentata al nostro reparto di neurologia per un’improvvisa paralisi a entrambe le gambe, ma nulla era risultato a carico del suo sistema nervoso dagli esami neurologici. In una conversazione avuta nel corso di un consulto, la paziente aveva rivelato un segreto terribile: una relazione sessuale avuta sei mesi prima con il fratello del marito, che in quel periodo era ospite a casa loro. Afflitta da un profondo senso di colpa, la donna si era sentita sollevata alla partenza del cognato, che viveva in un altro stato. Ora però lui si era trasferito nella loro città, voleva riprendere quella relazione segreta e minacciava di rivelarla se lei si fosse rifiutata. Non disposta ad acconsentire, terrorizzata all’idea di respingerlo, incapace di confidare a qualche persona amica questo suo dilemma, le si erano paralizzate le gambe e non riusciva più a muoversi. Ma gli arti riacquistarono immediatamente la normale funzionalità non appena parlammo, ascoltammo e riflettemmo insieme su ciò che avrebbe potuto fare.

J.L. e M.E. Griffith, Se il corpo parlasse, p. 51-52 (Astrolabio, 1996)

Sebbene probabilmente tutti noi sappiamo per esperienza come sia preferibile dare voce ed espressione a ciò che più affligge od opprime invece che trattenersi dal farlo, giova di tanto in tanto sottolinearlo di nuovo. In tal senso i casi qui presentati mi sembrano particolarmente adatti, quello della donna creata dall’invenzione poetica non meno di quello della donna realmente esistita.

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La disabilità che è in noi (a cura di Laura Simeoni, counselor CSTG : [email protected]) DISABILITÀ: DIRITTI? “Nella galassia frastagliata e spesso misteriosa all'esame della spending review , c'è un mondo, quello della disabilità, che sta subendo da anni, dunque da ben prima del rigore imposto dal governo Monti, un martellamento costante e inesorabile nella riduzione dei sostegni finanziari. Oggi la situazione è talmente drammatica e umiliante da mettere in discussione il grado di civiltà di una nazione...”. Comincia così un articolo scritto da Alessandro Cannavò apparso sul “Corriere della Sera” il 3 novembre 2012 e continua: “… il Fondo nazionale per le politiche sociali … è passato dai 929,3 milioni del 2008 a 44,8 milioni previsti per il 2013. Il Fondo per la non autosufficienza, istituito per fornire sostegno a persone con gravissima disabilità in modo che conducano una vita dignitosa nella propria casa disponeva di 400 milioni ed è da tre anni a zero

euro.” Per chi è interessato ad approfondire e comprendere meglio l’impatto di tali tagli rimando ad un video realizzato da Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità) con la consapevolezza che anche quando i soldi c’erano si parlava di cifre che, se confrontate con altre delle spesa pubblica, erano assolutamente limitate (per es. il costo delle famose “auto blu” nel 2011 fu stimato in circa 21 miliardi di euro): http://www.personecondisabilita.it/page.asp?menu1=3&menu2=13&notizia=4 Evidenzio inoltre che aver tagliato il Fondo nazionale per le politiche sociali significa avere tolto risorse ai servizi che si occupano delle persone con disabilità ovvero i Centri dove di solito queste persone di fatto vivono soprattutto quanto diventano adulte (a Milano per es. negli ultimi anni si è creata una “lista di attesa” di circa 200 persone con disabilità, ovvero 200 persone che non sapevano cosa fare e dove andare. Ad oggi il Comune sostiene che tale lista verrà “smaltita” entro la fine del 2013 e che verrà inserita una compartecipazione economica delle singole persone in base al reddito individuale, aspetto in definizione). Ma proseguiamo perché le situazioni drammatiche non riguardano solo le politiche sociali o l’autosufficienza ma iniziano spesso molto prima per es. a scuola: “Siamo i genitori degli alunni disabili delle scuole dell'infanzia e superiori del Comune di Napoli e vi scriviamo esasperati poiché i nostri figli non hanno ancora iniziato la scuola dicono, in una missiva indirizzata ieri al sindaco de Magistris, venti firmatari ... Da settembre a tutt'oggi il Comune, colpevolmente, sta discriminando circa trecento disabili lasciandoli a casa” (articolo apparso su il “Corriere del Mezzogiorno” il 10 novembre 2012). Dietro a tutto ciò c’era un problema di appalti e questi alunni non hanno potuto andare a scuola per due mesi o forse più. Ma si tratta di un caso particolare? Forse così estremo può darsi, anche se è prassi abbastanza consolidata che gli alunni con disabilità spesso inizino la scuola dopo gli altri per mancanza di figure di riferimento adeguate disponibili o che comunque non dispongano durante l’anno delle risorse necessarie che gli dovrebbero essere attribuite per legge a seguito di specifici iter di valutazione. Questo infatti è un punto interessante che anche io sto affrontando personalmente: le famiglie che intendono sostenere i diritti dei propri figli con disabilità a scuola spesso devono fare causa al Ministero (quindi allo Stato) che disattende quanto da lui stesso definito. Le famiglie che fanno ricorso, normalmente vincendolo, attualmente in Italia sono pari al 9%. Poche direte voi, quindi allora il problema è marginale. Sbagliato, il problema è enorme e sono assai rari i casi in cui le risorse assegnate sono adeguate, solo che non tutte le famiglie hanno capacità, tempo e risorse per realizzare un ricorso: farlo non è semplicissimo e anche costa (i più ormai grazie al web, io compresa, si organizzano infatti in cause collettive: “Sostegno: la vittoria di sessantasei famiglie” – articolo apparso su “Superando.it” del 23 gennaio 2013 – “… il TAR del Lazio, che seguendo una giurisprudenza ormai consolidata, ha pienamente accolto un ricorso collettivo, condannando il Ministero, in un’unica soluzione…”). Discorsi simili, in termini di risorse mancanti e diritti negati, valgono anche per la sanità e la riabilitazione (centri di eccellenza quasi smantellati a tal punto da aver difficoltà a gestire l’utenza ma, aspetto ancora più tragico, a trasmettere le competenze. Per chi vuole approfondire può visionare il “funerale della neuropsichiatria infantile”: http://www.youtube.com/watch?v=RVnf1gwe5sc) Ma se stiamo alla cronaca forse è lecito dire che tutto questo è di fatto un’esagerazione. La campagna sui “falsi invalidi” da qualche anno è molto in voga e ha consentito di individuare non rari casi di indennità attribuite erroneamente (oltre ai singoli “furbi” addirittura è stato possibile verificare attività specifiche messe in atto dalla malavita organizzata) ma è esattamente così? “…In questi anni abbiamo imparato a nostre spese che quanto spacciato per “caccia al falso invalido” determina principalmente la criminalizzazione della spesa sociale, considerata un costo non sostenibile». «Inoltre – conclude Speziale – non possiamo più accettare che si continui senza sosta a colpire e vessare solo le persone con disabilità, senza invece avere l’onestà e il coraggio di smantellare definitivamente l’intero sistema che consente la certificazione di false invalidità. I falsi invalidi, infatti, non si certificano da soli: dietro il fenomeno si nascondono medici conniventi e interessi economici di non poco conto, che non sono di certo a beneficio delle vere persone con disabilità». (articolo apparso su “Superando.it” del 12 novembre 2012 per riportare il pensiero dell’ANFASS - Associazione

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Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale – attraverso le parole del suo presidente Roberto Speziale). Effettivamente sappiate che, avendolo provato personalmente, la “caccia ai falsi invalidi” ha per certo moltiplicato le visite di controllo (due invece che una ovvero INPS e ASL) di fatto per fare la stessa identica cosa. Sappiate inoltre che le visite che vengono effettuate alle persone con disabilità per accedere ai propri diritti sanciti per legge sono tantissime anche nei casi di disabilità grave (mia figlia che ha quasi 13 anni ne ha già fatte 4 iniziando all’età di 3 anni, nonostante sia anche seguita da un ospedale pubblico che indica e certifica la sua situazione). Ma tutta questa mancanza di risorse, queste leggi disattese, questi mal funzionamenti chi li paga? Semplice, le persone con disabilità ovviamente, le loro famiglie e anche voi, sì, anche voi. Ma procediamo con calma, facciamo un passo alla volta. Se consideriamo le persone con disabilità è chiaro che il peso di mancanze nel sistema sanitario, riabilitativo, scolastico, ecc. ricadono su di loro come persone ma forse non è chiaro che tali mancanze impediscono spesso a tali persone di vivere adeguatamente e di essere presenti nella società in modo anche produttivo: “Il sistema italiano, secondo Fulvio Santagostini (presidente di Ledha, Lega per i diritti delle persone con disabilità), non vede nell’handicap una risorsa. “Un invalido civile quando lavora diventa un contribuente a tutti gli effetti. Lo Stato, oggi, vieta a 20-30 mila persone di pagare le tasse. La legislazione italiana riguardante la disabilità è una delle più avanzate d’Europa eppure si fatica a metterla in pratica.” (articolo di Giovanni Molaschi apparso su “Donna”, inserto di “Repubblica”, il 12 novembre 2012). Specifiche mancanze e leggi esistenti ma disattese privano parte della popolazione italiana di diritti fondamentali che sfociano spesso anche nell’impossibilità di accedere adeguatamente al mondo del lavoro e quindi di contribuire allo sviluppo del paese. I famigliari e le persone care? Noi, dato che io appartengo alla categoria, di solito ci rimettiamo molti soldi ma anche e soprattutto la salute. Tutte le mancanze sopra riportate ricadono sulle famiglie delle persone con disabilità che debbono sopperire (nella maggior parte lo fanno le donne: madri, mogli, figlie, sorelle). Cosa significa? Significa dover rinunciare a lavorare (se non del tutto sicuramente in buona parte), diminuendo le entrate economiche della famiglia (soldi che si vanno a sommare alle spese che spesso vengono sostenute per coprire le mancanze in termini sanitari, riabilitativi, scolastici, ecc.) e aumentando lo stato di stress che, insieme allo stress dovuto alla gestione e all’accudimento (spesso forzato perché privo di altri validi sostegni) riducono, dati statistici alla mano, l’aspettativa di vita di tali famigliari (pare dai 9 ai 17 anni meno della media). Per questo motivo in Italia le famiglie si stanno organizzando per ottenere il riconoscimento giuridico ed economico previdenziale della figura del “Family Caregiver”, come avviene anche in altri paesi. Per approfondire: http://la-cura-invisibile.blogspot.it/ E voi? Voi, inteso come il resto del paese, invece di ottenere degli sgravi economici da tutto ciò ottenete dei costi perché, come evidenziato sopra, le carenze del sistema impediscono a molte figure di essere produttive ovvero di lavorare (persone con disabilità e familiari che le seguono) peggiorando anche il loro stato di salute (che inevitabilmente si traduce anche esso in un costo). Inoltre vi private della possibilità di accedere al contatto più ampio e più diretto con persone con disabilità (dato che sono costrette a vivere in ambiti più ristretti se non addirittura in casa), aspetto che, come più volte ho scritto in questa rubrica, può avere risvolti notevoli ed arricchenti in termini di crescita personale ed integrazione delle parti oltre che di una possibile e piacevole condivisione di umanità. “La disabilità che è in noi”, senza essere accolta, ci induce a comportamenti sia da un punto di vista umano che economico inadeguati. Per farvi un’idea più concreta di quanto ho scritto vi invito ad approfondire l’ultima ricerca realizzata dal Censis su stimolo della Fondazione Serono: “I bisogni ignorati delle persone con disabilità” (ottobre 2012) in cui si rileva per es. che l’Italia è tra gli ultimi paesi in Europa per risorse destinate alla protezione sociale delle persone con disabilità (mi chiedo: la miopia di alcuni politici nostrani impedisce di ragionare a lungo termine, come evidentemente accade invece in altri paesi, tagliando risorse che invece di alleggerire a lungo andare incrementano i costi?) (http://www.abilinellapprendere.it/i%20bisogni%20ignorati.htm). Ma tale ricerca evidenzia un aspetto che a mio parere è ancora più importante ovvero che di fatto nei confronti delle persone con disabilità si è ancora in presenza di un sistema assistenzialistico invece che di diritto ed è questo il punto fondamentale, culturale e profondo, che impedisce un vero salto di qualità per tutte le parti coinvolte ovvero persone con e senza disabilità. Vi lascio allora con una parte del Preambolo della “Convenzione ONU sui DIRITTI delle persone con disabilità”: comma m): "Riconoscendo gli utili contributi, esistenti e potenziali, delle persone con disabilità in favore del benessere generale e delle diversità delle loro comunità, e che la promozione del pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali e della piena partecipazione nella società delle persone con disabilità accrescerà il senso di appartenenza ed apporterà significativi progressi nello sviluppo umano, sociale ed economico della società e nello sradicamento della povertà". Chi non conosce la Convenzione e la vuole approfondire: http://www.governo.it/backoffice/allegati/42085-5202.pdf A tutti ricordo che è stata approvata dall'ONU nel dicembre del 2006 ed è l'attuale punto di riferimento mondiale sul tema della disabilità. Dal febbraio 2009 è legge dello Stato in Italia e nel dicembre del 2010 è stata ratificata anche dall'Unione Europea. Nel 2011 anche il Comune di Milano ha sottoscritto la Convenzione. La Convenzione è stata scritta con la partecipazione delle persone con disabilità fra cui alcuni italiani, che hanno lavorato molto per la sua realizzazione: cittadini da non lasciare da parte ma di cui andare fieri.

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Visti e letti UN GIORNO DEVI ANDARE di Margherita Fratantonio da: http://www.cabiriamag.it Una storia che è un viaggio dell’anima

Tutti noi un giorno dovremmo andare; cambiar luoghi, visuali, persone, e destino. Non necessariamente fino in Brasile, non necessariamente a vivere nelle favelas. Ma concedendoci un viaggio, dell’anima, questo sì.

Un giorno devi andare di Giorgio Diritti, è il lungo e sofferto percorso di Augusta, ragazza trentenne che fugge da due lutti insostenibili: la morte del suo bambino e quella del padre. Eventi che ci vengono risparmiati: il bimbo ripreso solo nell’ecografia che è l’incipit del film, il padre in una foto sul cellulare più volte rivisitata, la stessa che compare in cornice a casa della madre di Augusta. Tutta la narrazione alterna due luoghi lontanissimi tra loro, quello d’origine, il Trentino, chiuso dalle montagne, e il Brasile dagli spazi immensi. Nei primi si riconoscono i posti chiusi a cui Giorgio Diritti ci ha abituati ne Il vento fa il suo giro e L’uomo che verrà. In Un giorno devi andare ci sono l’appartamento materno e la sua solitudine, il convento delle suore (il santuario di San Romedio) e le loro preghiere, la casa della nonna dove la madre si muove impacciata, in una relazione fatta di silenzi scontrosi, di aiuti offerti alla donna anziana e da lei rifiutati. Quando la nonna poi finisce in ospedale, la madre legge, guarda caso, “Cuccette per signora” di Anita Nair, un romanzo che parla di ricerca della felicità, attraverso un viaggio. Non ha l’aria di essere mai partita, lei, e continua a vivere tra poche parole; la stretta di mano della madre è il massimo dell’intimità tra le due donne, verso la fine del film.

Anche dall’altra parte del mondo, i dialoghi sono misurati, soprattutto quando Augusta è affidata a suor Franca, che va in giro, instancabile, nel suo lavoro di evangelizzazione. Non è di religione però che la nostra ragazza ha bisogno, ma di una spiritualità d’altro tipo, qualcosa che riempia davvero i suoi vuoti interiori. Non le certezze di una fede rivelata, troppo sicura di sé, ma la fatica dell’incertezza, della ricerca, che si appaga nei sorrisi dei bambini, nelle confidenze delle donne, in quella vita precaria in cui lei possa veramente sentirsi accettata ed utile. Perché vuole “essere e sperare” come dice in una delle sue rare lettere alla madre. Solo quando interrompe i suoi approdi nei diversi villaggi in compagnia della suora, e risponde al desiderio di partire, potrà piano piano trovare o ritrovare se stessa. Sarà un lungo processo interiore, che inizia nel momento in cui lascia l’incanto dei paesaggi, e che si conclude nello stesso splendido paesaggio, ma da sola, dopo aver attraversato esperienze altre, aver incontrato altre vite, altre perdite, altre delusioni e altri dolori.

Con Un giorno devi andare, Giorgio Diritti sembra volerci dire che i viaggi alla ricerca del Sé non sono tutti uguali e tutti ugualmente efficaci. Augusta, infatti, nella prima parte del suo girovagare, rimane impantanata nella sofferenza, se pure l’acqua e la vastità dei panorami dovrebbero suggerire un’apertura della psiche. E noi che osserviamo, ci chiediamo perché il regista abbia voluto mantenere per un bel po’ il contrasto tra ampiezza dello sguardo e ristrettezza della coscienza. Forse per dare più senso al cambiamento che avviene dopo? Augusta sorride e parla volentieri per la prima volta all’interno di una casa brasiliana, una tra le tante palafitte costruite sull’acqua marcia e melmosa, tra i rifiuti con cui i bambini hanno tanta, troppa, dimestichezza.

Perché ad Augusta non bastano neanche i fiumi e i mari incontaminati, le terre selvagge, che costringono a guardarci dentro e farci sentire ancora più piccoli, insignificanti, eppure con un tormento che non si attenua. E neanche la lettura di Simone Weil, che, però, forse, come i paesaggi mozzafiato, potrebbe essere una preparazione a quello che avverrà, nella seconda parte di questa storia fatta di così poche parole e tante suggestioni.

Al contrario, le serve il calore per guarire, e lo trova nelle vite altrui, vite semplici e accoglienti. E siccome a Giorgio Diritti non piacciono affatto le soluzioni facili, questo mondo altro non è presentato come il paradiso terrestre: ci sono miserie, materiali e umane, uomini che non hanno voglia di lavorare, che bevono e vendono anche i bambini, promiscuità, privazioni economiche, ma tutti hanno il cellulare. Significativa la scena in cui alcuni ragazzini riprendono un’abitazione che sprofonda nell’acqua e se ne va, come rifiuto insieme ad altri rifiuti.

Nutrita però da questa umanità che non ha ancora perso la voglia di ballare, Augusta sembra aver trovato il modo per affrontare l’ultimo dolore in solitudine, attraversarlo, e, speriamo, guardare dentro e fuori di sé con occhi nuovi. Tornare o rimanere (a questo punto non importa) è secondario.

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Da giornali e riviste (a cura di Silvia Ronzani: [email protected]) LA SCOMPARSA DI EDIPO. SE NEGLI ANNI DELLA CRISI I FIGLI SMETTONO DI COMBATTERE IL PADRE di Luciana Sica Da la Repubblica del 20/03/2013 Con "Il complesso di Telemaco" Massimo Recalcati ribalta il paradigma di Freud. Si sente solo, è smarrito, eppure Telemaco non è travolto dalla sfiducia. Non ha mai conosciuto suo padre, ma forse un giorno potrà riconoscerlo. In una

condizione malinconica, con lo sguardo rivolto sul mare aspetta che da quell'immenso orizzonte di acqua e di cielo, torni "qualcosa". Non un fulgido eroe senza zone d'ombra, ma un padre che sa indignarsi per le dissolutezze dei Proci e difendere i suoi affetti, un uomo anche imperfetto che però non ignora come la possibilità dell'amore sia data solo in presenza del rispetto, dell'impegno, del senso di responsabilità. Telemaco è il nuovo figlio che si affaccia sulla scena culturale grazie a Massimo Recalcati, un analista tutt'altro che estraneo alla dimensione politica, capace di riflettere sui movimenti inconsci dell'esperienza umana ma anche di uscire dai recinti del suo sapere lacaniano, efficacemente utilizzato anche come una teoria critica della società. Con Il complesso di Telemaco( sottotitolo: "Genitori e figli dopo il tramonto del padre", Feltrinelli, in libreria da oggi), Recalcati aggiunge un brillante tassello alla riflessione sul tema centrale della paternità, sulla sua "evaporazione", secondo l'espressione coniata da Lacan già alla fine degli anni Sessanta. È un libro strettamente legato a Cosa resta del padre? - titolo di gran successo ristampato più volte da Cortina. Telemaco è infatti il "giusto erede" di un genitore vulnerabile che non si propone come un modello esemplare o universale, ma può rappresentare «una testimonianza etica, singolare, irripetibile» sulla possibilità di stare al mondo con qualche passione, sulla capacità di restituire fiducia nell'avvenire. E seppure la verità che trasmette si sia indebolita, non c'è nessuna nostalgia per il pater familias, il tiranno che una volta assicurava l'ordine più repressivo, «incarnazione normativa della potenza trascendente di Dio». L'icona un po' struggente di Telemaco, che non trasgredisce la Legge ma anzi la invoca, che non si crogiola nel nichilismo ma chiede al mondo adulto la restituzione di un senso alla vita, allontana dall'immaginario la figura di Edipo, del figlio inconsapevole e colpevole. Su quel mito sofocleo, Freud ha costruito l'impianto della psicoanalisi - per dire l'interdizione paterna al desiderio della "Cosa" materna. Ma se i padri non proibiscono l'incesto e anzi lo promuovono, annullando la differenza tra le generazioni, anche Edipo "evapora", diventa una figura incapace di descrivere l'impoverimento dei legami familiari e sociali. Non basta più la sua colpa cieca per decifrare l'enigma delle identità giovanili, tanto meno l'egocentrismo di Narciso, con quel suo specchio che si rivela suicidario. Serve uno sguardo diverso sulla crisi profonda che attraversa l'Occidente e il rapporto tra le generazioni. Ci vogliono occhi ben aperti, come quelli di Telemaco, il figlio di Ulisse e Penelope, di un uomo capace di coltivare una dimensione etica della vita e di una donna che - a dispetto del corpo intaccato dagli anni - può contare su una figura maschile non titanica, ma profondamente umanizzata. «Telemaco si emancipa dalla violenza parricida di Edipo; egli cerca il padre non come un rivale con il quale battersi, ma come un augurio, una speranza, come la possibilità di riportare la Legge sulla propria terra», così scriveva Recalcati in un articolo di un paio di anni fa, uscito su queste pagine con il titolo In nome del figlio. Il libro riprende e allarga quella riflessione senza eccedere in tecnicismi scolastici, senza collezionare citazioni roboanti, ma ricorrendo anche alle suggestioni del cinema: Habemus Papam e Palombella rossa di Nanni Moretti, per dire la difficoltà di sostenere il peso simbolico della funzione pubblica, l'afasia e la dimenticanza degli Ideali; l'inferno del Salò di Pasolini per alludere all'orrore distruttivo del godimento privo di desiderio, al degrado del corpo senza Eros. Nel capitolo più originale, ecco i quattro grandi interpreti del disagio giovanile. Il protagonista del teatro freudiano, paradigma dello scontro tra il vecchio e il nuovo, fa da inevitabile punto di partenza: «Il figlio Edipo sperimenta il padre come ostacolo alla realizzazione del suo soddisfacimento. In questo senso la sua figura ha ispirato le grandi contestazioni del 1968 e del 1977». Il figlio-Anti-Edipo (Deleuze e Guattari), "sottofigura del primo", ha tenuto banco negli anni Settanta con la vocazione dell'orfano, deciso a liberarsi del padre piuttosto che a combatterlo. Ma nel tempo successivo del riflusso, quando trionfa «una falsa orizzontalità », il figlio-Narciso piega l'ordine familiare alla legge arbitraria dei suoi capricci, si specchia negli oggetti che consuma, con il penoso risultato di svuotarsi di ogni slancio vitale. È in questi anni, con la grande crisi non solo economica del mondo occidentale, che entra sulla scena Telemaco: è lui - un personaggio dell’Odissea - che «ci mostra come si può essere figli senza rinunciare al proprio desiderio». «Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero»: Recalcati evoca il celebre detto di Goethe (citato da Freud) per affermare quanto sia cruciale «il movimento di ripresa del passato», il confronto con le tracce paterne cicatrizzate nel proprio destino. Ma alla fine di un libro così pieno di pathos, nell'epilogo l'autore fa un

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passo ulteriore, si mette in gioco, racconta di sé, delle intemperanze adolescenziali e dei suoi genitori: di un padre dall'italiano incerto chino nella cura delle sue piante malate, di una madre che non è andata a scuola e lo incoraggia a studiare. «Da bambino avevo due eroi: Gesù e Telemaco. Era il mio modo di meditare sul legame con mio padre e sulla sua assenza... »: poco più di quattro pagine che emozionano, lasciano un senso di stupore. E restituiscono in pieno quel fondamento cristiano di Massimo Recalcati.

QUEI TOPOLINI TELEPATICI CHE CI INSEGNERANNO A LEGGERE NEL PENSIERO Di Elena Dusi Da La Repubblica Del 02 marzo 2013 Può essere usato in amore o in guerra. Può raddoppiare la nostra forza o incatenarci come schiavi. Il primo ponte fra i cervelli di due esseri viventi è stato sperimentato con successo. Per il momento unisce una coppia di topolini: uno si trova in Brasile, l'altro negli Stati Uniti. Tra i due non esiste comunicazione, se non gli impulsi elettrici del cervello registrati e trasmessi via Internet. Quando la coppia riesce a muoversi all'unisono, entrambi ricevono un premio. Anche se le applicazioni del "ponte fra i cervelli" non sono dietro l'angolo, il Pentagono ha puntato sull'esperimento della Duke University pubblicato da Nature finanziandolo con 26 milioni di dollari. La telepatia fra i topolini è stata realizzata grazie ai progressi nella nostra capacità di captare e decodificare il "linguaggio del cervello". L'organo del pensiero funziona grazie a segnali elettrici fra i neuroni. Il movimento di un topolino che preme una leva con la zampa corrisponde a una serie precisa di scariche elettriche nella regione superficiale della corteccia motoria. Degli elettrodi cento volte più sottili di un capello sono stati inseriti all'interno del cranio dei topolini (e già questo rende le applicazioni sull'uomo problematiche). Il primo dei roditori si trova in Brasile, nell'Istituto di Neuroscienze a Natal. Quando spinge la leva giusta, collegata a una piccola ricompensa, i suoi segnali cerebrali vengono

registrati e spediti via Internet a Durham, nella Carolina del Nord, dove si trovano i ricercatori della Duke University. E dove, soprattutto, il partner del topolino brasiliano, con gli stessi elettrodi inseriti nel cervello, sta aspettando indicazioni sul da farsi. Gli impulsi registrati nel cervello del topolino brasiliano in pochi secondi raggiungono il cervello del suo partner negli Usa. Il topolino americano li comprende e spinge la leva giusta, facendo sì che entrambi ricevano un premio. Per raggiungere un affiatamento soddisfacente (7 successi su 10 tentativi) sono serviti alcuni mesi di prove. A volte i segnali elettrici del topolino brasiliano erano troppo deboli, annegati tra chissà quali distrazioni murine. Se il partner negli Usa sbagliava leva, nessuno dei due veniva premiato e nel tentativo seguente il topolino distratto si concentrava di più. «Il segnale successivo era più pulito e facile da decodificare» conferma Miguel Nicolelis, lo scienziato della Duke che ha guidato l'esperimento. «Quello che abbiamo realizzato - spiega il ricercatore - è una rete di cervelli che collaborano per raggiungere un obiettivo comune. In questo caso il compito è abbastanza semplice. Ma potremmo in futuro allargare la rete a più individui e sfruttare la cooperazione di più cervelli per risolvere problemi molto più complicati». L'ennesima profezia di cinema e fantascienza, a partire da Star Trek, ha trovato compimento. La "lettura del pensiero" ha già le prime applicazioni nell'aiutare le persone paralizzate e muovere sedie a rotelle o arti robotici. Attualmente i ricercatori riescono a captare i segnali di circa 2mila neuroni insieme. Nei prossimi 5 anni contano di arrivare a 2030mila. Che serva a un amato per confondersi col suo amante o a un generale per mettere in rete il suo esercito, le applicazioni resteranno comunque inquietanti. ANCHE LE FORMICHE SONO EMPATICHE Di Massimo Ammaniti Da La Repubblica Del 01 marzo 2013 Negli ultimi tempi gli studiosi del comportamento animale, e non solo, si sono interrogati se anche gli animali, come gli uomini, siano in grado di sperimentare l empatia, ossia se possano condividere le emozioni provate da un altro individuo appartenente alla stessa specie. Di empatia in campo umano se ne parla da molto tempo. In un film americano del 1957 Cenerentola a Parigi, ormai un classico, Audrey Hepburn personificava la figura di una libraia che spiegava ad un fotografo capitato nel suo negozio, interpretato da Fred Astaire, che cos'era la scienza dell'empatia. E parlando di empatia nasceva una storia sentimentale fra la libraia e il fotografo. Ho citato questa sequenza cinematografica in quanto è indicativa di un clima culturale che si cominciava a respirare negli Stati Uniti

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con la fine degli anni Cinquanta, che valorizzava non solo l'individualità personale ma anche la capacità di entrare in rapporto e condividere gli stati d'animo delle altre persone. Anche in campo psicoanalitico, in quegli stessi anni, uno psicoanalista americano di origine austriaca, Heinz Kohut, scrisse un primo articolo sul concetto di empatia che svilupperà negli scritti successivi, mettendone in luce la rilevanza nella relazione fra genitori e figli, ma anche nella relazione terapeutica. Secondo Kohut lo psicoanalista utilizzerebbe la propria empatia per comprendere e condividere lo stato d'animo del paziente. Ma per tornare al dibattito attuale sull empatia in campo animale va segnalato il libro di De Waal e Ferrari The Primate Mind (Harvard University Press). Un primo stimolo scaturì dalla ricerca di un gruppo di etologi francesi che studiarono il comportamento delle formiche quando una di loro rimane intrappolata. Vedendo il video dell'esperimento si osservano numerose formiche che si prodigano attorno alla loro compagna intrappolata cercando di togliere la sabbia che la ricopre e addirittura di mordere il filo di nailon che la blocca. Ma questo soccorso si verifica solo fra le formiche della stessa colonia, confermando il fatto che le formiche sono in grado di riconoscere i legami di parentela. Gli studiosi si sono interrogati sul significato di questi comportamenti di soccorso: si tratta di una forma di empatia per cui le formiche avvertono la sofferenza della compagna intrappolata, oppure si tratta di comportamenti di cura istintuali che hanno lo scopo di liberare la compagna per salvaguardare il gruppo? Un'analoga ricerca, pubblicata sulla Rivista scientifica Science, è stata realizzata da un gruppo di neurobiologi e psicologi americani questa volta coni topi. Se un topo rimane intrappolato, un suo compagno di gabbia lo aiuta a liberarsi e poi insieme condividono della cioccolata che si trova lì accanto. Anche in questo caso i ricercatori si sono chiesti se l'empatia abbia una base biologica e riguardi anche gli animali, come sarebbe confermato dal comportamento prosociale dei topi stimolati dalla sofferenza di un compagno. Ancora più recentemente un gruppo di ricercatori della Duke University ha pubblicato una ricerca effettuata con i bonobo, ossia scimmie fra le più vicine agli uomini. Le osservazioni hanno suscitato grande interesse per l altruismo dimostrato da queste scimmie che, avendo a disposizione del cibo, preferiscono condividerlo con una scimmia sconosciuta piuttosto che con una più familiare. Secondo Brian Hare, uno dei ricercatori, i bonobo cercano in questo modo di ampliare il loro giro sociale dando più valore alla socialità che al rafforzamento delle relazioni familiari o di amicizia. In un secondo esperimento i bonobo si sono dimostrati ugualmente disposti a concedere il cibo anche ad una scimmia sconosciuta con cui non c' è un interazione diretta ma che viene soltanto vista a distanza. Ci si può chiedere anche in questo caso se si tratti di altruismo e di empatia verso un'altra scimmia che si sente esclusa dal cibo oppure si tratti di una strategia per ampliare le proprie relazioni, evitando che scimmie sconosciute possano diventare aggressive. Soprattutto l'ultima ricerca con le scimmie sembra smentire la teoria di Freud che si nasce egoisti e solo successivamente si diventa sociali quando si scoprono i benefici che derivano dal rapporto con gli altri. Va detto che il comportamento dei bonobo è diverso dagli scimpanzé, che al contrario sono piuttosto sospettosi verso gli estranei e preferiscono tenersi il cibo per sé senza condividerlo. In campo umano notiamo entrambi i comportamenti: vi è chi si appropria egoisticamente delle risorse senza volerle condividere e chi, al contrario, è attento alle esigenze degli altri ed è disposto a fare rinunce purché gli altri abbiano, anche loro, delle risorse a disposizione. Una differenza importante fra gli uomini e i cugini più vicini, ossia le scimmie, è legata al fatto che l' uomo è in grado di avere comportamenti altruistici anche in assenza di un rapporto diretto con le altre persone, proprio perché nel corso dell'evoluzione si è acquisita la capacità cognitiva, di assumere la prospettiva degli altri, comprendendone le esigenze e i bisogni. Questa particolare capacità dipende dallo sviluppo delle zone cerebrali frontali e prefrontali, che favoriscono le capacità di comprendere le esigenze degli altri, anche se spesso queste capacità possono essere ostacolate e addirittura inibite dall'educazione familiare oppure dal contesto sociale. Non dobbiamo dimenticare che queste acquisizioni psicologiche, essendo recenti, devono essere continuamente confermate dall'educazione e dall' esperienza sociale che si vive.

BRANI DA L'"ELEGANZA DEL RICCIO" DI MURIEL BARBERY diario del movimento del mondo n. 7 .... stamattina facendo colazione ho visto un movimento. Il Movimento. La perfezione del movimento . ... guardavo il buquet sul piano di lavoro della cucina. Mi pare che stessi pensando a niente. E forse è proprio per questo che ho visto il Movimento. C'è stato un rumore lieve, un fremito di aria che ha fatto ...ahhhhhh molto, molto piano: era un bocciolo di rosa con un pezzettino di stelo spezzato che cadeva sul piano da lavoro. Nell'attimo in cui ha toccato il piano si è sentito un - pof - tipo un ultrasuono.

Era stupendo. Non ci potevo credere. Cosa poteva esserci di stupendo? L'ho capito quando mi sono avvicinata e ho guardato il bocciolo di rosa, immobile conclusa la sua caduta.

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E' una roba che ha a che fare col tempo e con lo spazio. Il movimento, quella cosa, lì c'entra con lo spazio..... Ho intuito in un millesimo di secondo l'essenza della Bellezza. Proprio io una marmocchia di 12 anni, ho avuto questa fortuna. .... Il bello è ciò che cogliamo mentre sta passando. E' l'effimera configurazione delle cose nel momento in cui ne vedi insieme la bellezza e la morte.. E' così che dobbiamo vivere? Sempre in equilibrio tra la bellezza e la morte, tra il movimento e la sua scomparsa? Forse essere vivi è proprio questo: andare alla ricerca degli istanti che muoiono ....sono seduta nella mia cucina, a Parigi, in questo mondo in cui ho scavato la mia nicchia invisibile; piango calde lacrime mentre una ragazzina dallo sguardo incredibilmente affettuoso mi tiene la mano carezzandomi dolcemente le dita - e mi rendo conto che ho detto tutto, che ho raccontato tutto. .....piango copiose, benefiche lacrime convulse, confusa ma incomprensibilmente felice per la trasformazione dello sguardo triste e severo di Paloma in un pozzo di affetto che accoglie i miei singhiozzi. "mio dio" - dico calmandomi un pò - mio dio Paloma come sono sciocca! "madame - sa, lei mi restituisce la speranza. "la speranza?" chiedo, tirando su col naso in modo patetico. "si" dice lei - mi sembra che cambiare il destino sia possibile. E rimaniamo lì a lungo tenendoci per mano, senza dire niente. Sono diventata amica di una bella anima di dodici anni verso la quale provo un'enorme gratitudine senza che l'incongruità di questo attaccamento asimmetrico per età, condizione e circostanze riesca a sminuire la mia emozione. Quando Solange Josse si presenta alla guardiola per riprendersi la figlia, ci guardiamo tutte e due con la complicità delle amicizie indistruttibili e ci salutiamo, sicure di rivederci presto. Richiusa la porta, mi siedo sulla poltrona della tivù, la mano sul petto, e mi sorprendo a dire a voce alta: forse, vivere è questo.

Prendersi cura OMELIA DI PAPA FRANCESCO Cari fratelli e sorelle!

Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza. Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità

ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.

Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 1). Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e con amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù. Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E

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Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato! La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo.

E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio! E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna. Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza! E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza! Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire! Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio. Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato! Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me!

Amen

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Polis

Cari soci, simpatizzanti e amici del Tibet, vi inviamo questa "cartolina" che sintetizza in modo chiaro e diretto la tragedia del popolo tibetano. E' necessario che più persone possibile conoscano questo dramma. Vi chiediamo perciò gentilmente di farla girare, inoltrandola ai vostri indirizzari, pagine, siti. Molte grazie!

Associazione ITALIA-TIBET

NOTA Se interessa, potete scaricare la versione (in inglese)ad alta definizione della cartolina qui: http://bit.ly/YSKhpn e qui quella con l'elenco dettagliato delle 120 persone che si sono immolate: http://bit.ly/1229fiP

Trips and dreams L’incontro di ENTRY nel Sud Est della Turchia ha rappresentato l’occasione per assaporare li fascino di una regione poco conosciuta ma di grande suggestione: il regno Commagene e il Monte Nemrut di cui facciamo seguire alcune note archeologiche (tratte da Wikipedia).

La Commagene (greco: Kοµµαγηνή, Kommagênê; armeno: Կոմմագենէ) è una regione dell'Asia Minore, posta nella moderna Turchia sud-orientale, al confine con la Siria. Già città-Stato luvia (Kummuhi, XII secolo a.C.) dopo la caduta dell'Impero ittita, fece parte dell'antica Armenia, in particolare della provincia di Sofene, ma, sotto i Seleucidi, Sofene e Commagene furono separate e andarono a costituire il Regno di Sofene.

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Successivamente, attorno al 163 a.C., i Seleucidi staccarono la Commagene dalla Sofene: in quello stesso anno, il satrapo locale, Tolomeo di Commagene, si dichiarò sovrano del Regno di Commagene, con capitale Samosata (rinominata Antiochia di Commagene e attualmente sommersa dal lago artificiale dell’Eufrate). Il Monte Nemrut, alto 2.150 metri, è considerata la montagna più alta della Mesopotamia del nord, è situato il gigantesco santuario funerario eretto nel I sec. a.C. dal Re Antioco I di Commagene. L'ingegnosità dimostrata per creare questo tumulo artificiale, fiancheggiato da terrazze ove posano le colossali statue di Apollo, Giove, Ercole, Tyche, Antioco ed altri continuano a stupire i visitatori. II tempo ha purtroppo danneggiato queste sculture; i torsi e le teste così ben scolpiti, giacciono davanti ai loro piedi. La scoperta del petrolio in questa regione, ha fatto prosperare Adıyaman (km 153 a nord- est di Gazi Antep) che conta attualmente circa 200.000 abitanti. II Museo Archeologico di Adiyaman, custodisce vari oggetti della regione, provenienti dal Basso-Eufrate e che risalgono all'Era Neolitica e Calcolitica. Merita ricordare come tali insediamenti sono tra i più antichi ritrovati (6 – 7.000 anni a.C.) a testimonianza del fatto che l’Anatolia ha rappresentato una culla della umanità, nelle sue prime fasi di organizzazione sociale più evoluta, come nessun altra. A km 5 a nord di Adiyaman si trova Pirin (Perre) e la sua necropoli con numerose tombe scavate nella roccia e utilizzata anche in epoca romana. I ritrovamenti sul Monte Nemrut (di cui alle foto) circondano il tumulo alto 50 metri ( e visibile dalla città di Adiyaman) fatto costruire da Antioco I di Commagene (69 a.C. – 36 a.C.) che fu il più importante re del piccolo stato ellenistico di Commagene. Durante il suo regno tentò di fare gli interessi del proprio regno malgrado la presenza ingombrante dei Romani, ma alla fine la Commagene entrò nella sfera d'influenza di Roma, diventando uno stato satellite sotto l'imperatore romano Augusto. Antioco fu il frutto del matrimonio del re Mitridate I Callinico con la principessa seleucide Laodice, voluto dal re Samo II di Commagene e dal re seleucide Antioco VIII Gripo, genitori degli sposi, allo scopo di siglare la pace tra il Regno di Commagene e l'Impero seleucide. Professò una forma di Zoroastrismo ellenizzato, lasciando una vasta documentazione del culto regale da lui promosso.

Poiesis l’angolo della poesia e dell’arte (a cura di Silvia Lorè: [email protected] ) Stella cometa Tutto il tuo fulgore … In un istante RZ Donna Tieni sempre presente che la pelle fa le rughe, i capelli diventano bianchi, ... i giorni si trasformano in anni… Però ciò che è importante non cambia; la tua forza e la tua convinzione non hanno età. Il tuo spirito è a colla di qualsiasi tela di ragno.

Dietro ogni linea di arrivo c’è una linea di partenza. Dietro ogni successo c’è un’altra delusione. Fino a quando sei viva, sentiti viva. Se ti manca ciò che facevi, torna a farlo. Non vivere di fotografie ingiallite… insisti anche se tutti si aspettano che abbandoni. Non lasciare che si arrugginisca il ferro che c’è in te. Fai in modo che invece che compassione, ti portino rispetto. Quando a causa degli anni non potrai correre, cammina veloce. Quando non potrai camminare veloce, cammina. Quando non potrai camminare, usa il bastone. Però non trattenerti mai!! Madre Teresa di Calcutta Nel nostro incontro d’amore, hai scordato da me l’ultimo sguardo. Non ti preoccupare, nulla di tuo andrà mai smarrito. Silvano Agosti

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Seduto in silenzio a fare niente... Arriva la primavera! e l'erba spunta da sola... (detto Zen)

Witz e Giochi per sorridere un po’ (a cura di Cristina Tegon: [email protected])

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“Ogni volta che accade qualcosa di reale…

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Psicologiaecounseling

REFERENDUM proposto dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi sull’art 21 del Codice deontologico della Legge 56/78. Nel mese di aprile gli psicologi saranno chiamati ad esprimere il loro parere rispondendo ad un referendum promosso dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi circa la modifica dell’art 21 del Codice deontologico che, nella versione in vigore, sancisce nella sostanza come “Lo psicologo, a salvaguardia dell’utenza e della professione, è tenuto a non insegnare l’uso di strumenti conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo, a soggetti estranei alla professione stessa, anche qualora insegni a tali soggetti discipline psicologiche”. Lo stesso articolo risulta molto controverso dal momento che Contraddice l’art 33 della Costituzione italiana sancisce che “Le arti e le scienze sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Nessuno disciplina può essere quindi considerata monopolio di una categoria professionale, tantomeno un “sapere”, come quello psicologico, che sconfina nella filosofia, nella letteratura, nella antropologia, nella religiosità etc.. Sulla complessa materia si rimanda alla documentazione riportata sul sito www.psicologiaecounsleing, ma si riporta di seguito il testo proposto alla votazione referendaria che cita:

1. L'insegnamento dell'uso di strumenti conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo a persone estranee alla professione stessa costituisce violazione deontologica grave.

2. Costituisce aggravante avallare con la propria opera professionale attività ingannevoli o abusive concorrendo all'attribuzione di qualifiche, attestati o inducendo a ritenersi autorizzati all'esercizio di attività caratteristiche dello psicologo.

3. Sono specifici della professione di psicologo tutti gli strumenti conoscitivi e di intervento relativi a processi psichici (relazionali, emotivi, cognitivi, comportamentali) basati sull'applicazione di principi, conoscenze, modelli o costrutti psicologici.

4. E' fatto salvo l'insegnamento di tali strumenti e tecniche agli studenti dei corsi di studio universitario in psicologia e ai tirocinanti. E' altresì fatto salvo l'insegnamento di conoscenze psicologiche.

Al testo possiamo far seguire alcune considerazioni: Fatta salva la doverosa salvaguardia dell”insegnamento di conoscenze psicologiche” (punto 4), viene ulteriormente aggravata la minaccia per l”'insegnamento dell'uso di strumenti conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo a persone estranee alla professione stessa”. La definizione di “violazione deontologica grave” (punto 1) la equipara a quanto di peggiore possa essere incriminato ad uno psicologo (abuso di pazienti, non tutela della privacy etc). Ci si chiede il perché l’Ordine, sia a livello nazionale che regionale, non sia intervenuto sino ad ora, avendone le premesse di legge, perseguendo professionisti che si sarebbero macchiati di una simile empietà … Ma se tale fosse … non andrebbero perseguiti forse gli ordini per mancato intervento sanzionatorio. Le segnalazioni di abuso sono infatti alla portata di tutti e, addirittura, elencate a decina nello stesso sito di OPL.

1. Se tale pronunciamento venisse adottato, una grande maggioranza di psicologi verrebbero deferiti al Consiglio di disciplina e potenzialmente espulsi dall’Ordine per aver svolto attività di insegnamento nella psicologia rivolte a non psicologi.

a. Fortunatamente tale norma, in 24 anni dalla approvazione della Legge, non è stata mai applicata

b. La inapplicabilità della norma viene ulteriormente sottolineata dal fatto che non è stato preso nessun provvedimento sanzionatorio, nonostante il pronunciamento della delibera di OPL n. 308/10 ed il rigetto degli appelli per la sua impugnazione da parte dei Ricorrenti

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c. È facile constatare come i Colleghi psicologi che prestavano le competenze nella didattica a corsi per non-psicologi hanno generalmente continuato ad operare senza tener conto degli irrealistici anatemi lanciati da un raggruppamento ristretto di psicologi che si identifica in Altra Psicologia (AP), che ha attualmente la maggioranza solo nell’ordine lombardo anche se spinge per egemonizzare tale orientamento a livello nazionale.

2. Volendo avanzare alcune previsioni dall’esito del presente referendum sembra lecito immaginare che il suo “successo” a conferma del testo proposto dal CNOP comporterebbe numerose conseguenze indiscutibilmente negative che andrebbero prese in considerazione. Tra queste:

a. la richiesta di formazione nel counseling verrà soddisfatta (come già sta avvenendo con un incremento preoccupante) da counselors o altre professioni (medici, educatori, pedagogisti, filosofi) con sicuro scadimento delle competenze specifiche fornite dai Corsi

b. gli psicologi perderanno una fonte importante di reddito e di riconoscimento professionale venendo esautorati da attività professionali nelle quali da decenni svolgevano un legittimo ruolo egemone

c. gli psicologi, oltre a perdere le loro competenze in ambito formativo, le perderanno nella supervisione e, verisimilmente, nella psicoterapia dei counselor in formazione che gli standards europei (ai quali le attuali organizzazioni italiane di categoria si ispirano) prevedono

d. la professione di counselor si dissocerà completamente dalla psicoterapia configurandosi come professione effettivamente autonoma e non più sviluppantesi sotto l’egida formativa e di supervisione della psicologia-psicoterapia

e. tale autonomizzazione trova la professione di counselor ancora impreparata dal momento che non esistono ancora percorsi di accreditamento adeguati agli standards europei, né per la formazione di base, né per la formazione di trainer o di supervisori

f. nella misura in cui un counselor svolge una “clinical practice” come viene detto nella normativa prevista dalla European Association for Cousnleing (EAC), la stessa richiede una supervisione che, in genere, viene garantita da psicologi-psicoterapeuti che hanno competenze professionali sul versante diagnostico e della conduzione della relazione di aiuto. Tale collegamento, sia a vantaggio di psicologi che di counselor come infine degli utenti, andrebbe utilmente previsto e rinforzato e non scoraggiato

Il mancato scioglimento del “nodo critico” rappresentato dall’art 21 del CD della L 56/89 costituirà la “spada di Damocle” per la quale ogni psicologo resterà ingiustamente esposto a procedure di incriminazione da parte del proprio ordine professionale a meno che lo stesso non tenga conto, come saggiamente hanno fatto sino ad ora tutti tranne OPL, della sua inapplicabilità sotto il profilo pratico e “deontologico”.

3. Siamo tutti assolutamente consapevoli delle difficoltà che i laureati in psicologia stanno attraversando nel reperimento di un impiego consono con le competenze professionali acquisite in ambito universitario, ma merita ricordare come:

a. tale difficoltà riguarda anche altre professioni che tuttavia non sono incorse in normative insostenibilmente protezionistiche e al limite della incostituzionalità (come l’ordine dei dentisti nei confronti degli odontoiatri, degli architetti dei geometri, degli avvocati dei mediatori, etc.)

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b. sbocchi all’impiego vanno ricercati con determinazione all’interno dei servizi di medicina scolastica, di counseling psicologico nelle diverse patologie sanitarie (trapianti, medicina riproduttiva, neoplasie, malattie neurologiche etc) come normalmente avviene in altri paesi evoluti;

c. analogamente alla medicina, una laurea garantisce solo una preparazione di base a cui si richiede di far seguire una specializzazione (psicoterapia o, analogamente a quanto avviene in altri paesi, psicologia scolastica, delle organizzazioni etc);

d. la formazione universitaria fornisce un bagaglio di nozioni teoriche ma pochi strumenti applicativi nella gestione della relazione con il Cliente. Tale situazione mette gli psicologi, spesse se neolaureati, in condizione di svantaggio nei confronti di counselors che hanno ricevuto una formazione triennale con tirocinio e supervisione nella relazione di aiuto. Tale discrepanza va affrontata a livello di impostazione didattica e non nelle aule dei tribunali;

e. la dignità della formazione nella psicologia e nella psicoterapia va inoltre difesa nei confronti di poteri forti, come quello dei medici, che ottengono l’immissione nell’elenco degli psicoterapeuti di neo-specialisti in psichiatria infantile e per adulti e psicologia clinica senza aver ricevuto alcuna formazione specifica in discipline psicologiche.

Tenuto conto della delicatezza e complessità del tema, ci attiveremo per predisporre l’apertura di un forum di discussione sul sito www.psicologiaecounseling.it