CROWDSOURCING E DESIGN DELLA COMUNICAZIONE · e Design della Comunicazione Verso un uso corretto...

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CROWDSOURCING E DESIGN DELLA COMUNICAZIONE VERSO UN USO CORRETTO DEI NUOVI STRUMENTI Di Nardo Andrea

Transcript of CROWDSOURCING E DESIGN DELLA COMUNICAZIONE · e Design della Comunicazione Verso un uso corretto...

C R O W D S O U R C I N GE D E S I G N D E L L A CO M U N I C A Z I O N EV E R S O U N U S O CO R R E T TOD E I N U OV I S T R U M E N T IDi Nardo Andrea

Crowdsourcing e Design della ComunicazioneVerso un uso correttodei nuovi strumenti

Elaborato di Tesidi Di Nardo Andrea

Relatrice prof. Pillan MargheritaCo-relatore prof. Guida Francesco Ermanno

Corso di Laurea Communication DesignPolitecnico di Milano A.A. 2012/2013

font usati:Mercury (di Jonathan Hoefler e Tobias Frere-Jones, 1997)Gotham (di Tobias Frere-Jones, 2000)

Introduzione

Design e innovazione nella storiaLa duplicazione e l’unicità dell’oggettoLa Rivoluzione IndustrialeArts & CratL’Arte LibertyLe AvanguardieBauhausIl Disegno IndustrialeLa Olivetti e la cultura del design

Design e innovazione oggiLa Nuova ModernitàNew Economy e Business ArtDemocratizzazione degli strumentiDemocratizzazione e volgarizzazioneDai bit agli atomiMakers: nuovi strumenti/nuovi modelli

CrowdsourcingDefinire il crowdsourcingCrowdcontentCustomer & Commerce ServiceSocialCrowdfundingCrowdvotingOpen-InnovationCrowdcreativity

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11.11.21.31.41.51.61.71.8

22.12.22.32.42.52.6

33.13.23.33.43.53.63.73.8

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121419222628293134

48505256586266

72747882868795

100107

Indice

Crowdcreativity e Design della ComunicazioneNasce la CrowdcreativityC’era una volta l’outsourcingEldorado della comunicazioneI modelli e il ruolo della crowdcreativityUn design rischiosoAnche mio cugino può fare il grafico

Conoscere il modello. Incontro e dibattito all’AIAPIn AIAPOrganizzazione del dibattitoL’Incontro

Conclusioni: norme e indicazioni per un corretto processo di crowdcreativityConclusioni: Regole e Cultura10 NormeProspettive Future

44.14.24.34.44.54.6

55.15.25.3

6

6.16.26.3

108110112115132140143

156158161164

180

182184194

PERCORSO STORICO

la nasc i ta del des ignla cultura del des ign

corporazionimedieval i

r ivoluzione industr ia le

i l d isegno industr ia leLA VICENDA DI OLIVETTI

evolu

zione

nel pro

durre

evolu

zione

nel pro

gettare

nuovi stumenti

nuove opportunità

nuovi model l i

manifatturedi porcel lana

la stampa

il rapporto traTECNOLOGIA

INNOVAZIONEPROGETTOCULTURASOCIETÀ

Distinzione tra atto inventivo e produzione /Facilità di duplicazione dell’oggetto /Primato dell’invenzione sulla produzione /

Il design concepito come sostanza culturale degli oggetti e come portavoce della filosofia aziendale

r ivoluzione e lettronica

arts&crafts / arte l iberty / avanguardie / bauhaus

computer / webla nuova modernità

riform

ismo per

manente

contin

ua rice

rca di in

novazione

modern

ità f

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modern

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a di valori

assoluti

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soluzio

ni per

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net economybusiness art

democrat izzazione degl i strumentiaccess ib i l i tà / volgar izzazione

EFFETTI DEL NETWORKCICLI DI RETE

COMMUNITYON-LINE

CROWDSOURCING

DESIGN DELLACOMUNICAZIONE

cultura deldes ign

piattaformedi contest on- l ine

cultura del progettoet ica profess ionale

tutela del la categor ia

crowdcontentcustomer & commercesocia lcrowdfundingcrowdvot ingopen- innovat ion

CROWDCREATIVITY

Movimento Makers

ideazioneproduzionedistr ibuzione

condiv is ione

Micro-imprenditorialitàdeboli ma diffuse

Atteggiamento artistico spontaneo applicato a logiche industriali

Quando si connettono idee e persone queste crescono in un circolo virtuale in cui le persone creano più valore in un progetto ed il valore di un progetto attira a sé più partecipanti e più persone.

Nuovi strumenti che rivoluzionanoi classici processi di generazionedi un progetto e artefatto di comunicazione

affidarela realizzazionedi un

progetto,o di unaparte di esso,

comunità on-line

nuovi s

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enti

nuove o

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nuovi a

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menti

29 maggio 2013incontro tavola rotonda AIAPcrowdsourcedcommunicat ion des ign

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0 I N T R O D U Z I O N E

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Questa tesi nasce dallo studio e analisi della vita, delle opere e del pensiero di AdrianoOlivetti. Durante il corso “Semiotica delle Culture” tenuto dal professor Emilio Renzi, al Politecnico di Milano ho avuto l’occa-sione di conoscere meglio la figura dell’imprenditore di Ivrea, la sua filosofia, la sua concezione del lavoro e il suo signifi-cativo apporto alla cultura del design. Il modello e il pensiero proposto da Adriano Olivetti negli anni ’50 è affascinante e am-mirabile ma leggere e ripercorrere la sua

vita oggi lascia una sorta di amarezza. È enorme il cambiamento avvenuto nel corso degli anni nei modelli e atteggiamenti che vivono dietro alla cultura del design. È sorto dunque spontaneo il paragone, seppur azzardato, tra quella che fu la concez-ione del design secondo Adriano Olivetti e quelli che sono i modelli attuali nati dalle nuove opportunità offerte dalle recenti innovazio-ni tecnologiche. Un paragone che non nasce con la pretesa di elogiare per far riemergere i modelli e il pensiero olivettiani ma per

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cercare di capire da dove nasce e in che di-rezio-ne sta andando oggi la cultura del de-sign e in che modo questa viene influenzata dai nuovi schemi che rivoluzionano sempre di più l’approccio classico. Questo testo si propone dunque di indagare il rapporto di profonda connessione tra innova-zione e progetto, tecnologia e metodo, modernità e design. Cerca di analizzare i modelli coi quali la cultura del design si è adattata e si sta adattando alle scoperte di innovazione tecnologica e alle opportunità tecnico-scientifiche e di interazione sociale che queste hanno introdotto nel corso della sto-ria. Fino ad arrivare alle moderne tecnolo-gie e ai nuovi modi del design che si affer-mano e si evolvono in rapporto agli scenari e alle potenzialità offerte dai nuovi strumenti.Stiamo vivendo oggi un’epoca di profondi cambiamenti: una terza rivoluzione indus-triale in cui i nuovi mezzi, le modalità di accesso, le scoperte tecnologiche-elettro-niche, gli effetti che queste hanno sulla società, sulla città e sull’uomo fanno sorgere delle problematiche impreviste legate al progetto e alla cultura del design. Il mondo del design come espressione di una cultura e quindi di una società sta assumendo una serie di cambiamenti legati proprio al mu-tare della società stessa. Un adeguamento spontaneo e necessario nell’era della new

economy e della net-economy in cui tutti i parametri di logica industriale precedenti stanno scomparendo per lasciare posto ad una nuova modernità più flessibile, varia-bile, intoccabile e irrintracciabile. Una modernità che, proprio per queste sue caratteristiche, dobbiamo ancora imparare a conoscere in alcuni suoi aspetti. Prendere coscienza di questi cambiamenti, delle loro cause e dei loro effetti sulla nuova società moderna, è alla base di un coerente, ade-guato ed aggiornato pensiero progettante.Il sociologo Zygmunt Bauman, nel 2000, ha pubblicato per le Università di Oxford e Cambridge, Liquid Modernity, un sag-gio che analizza il mutare del concetto di modernità all’inizio del XXI secolo. Bau-man affronta il concetto di modernità, anzi di post-modernità usando le metafore di soli-dità e liquidità. La scoperta del cal-colo elettronico e la sua applicazione nello sviluppo e nel ciclo industriale, la democra-tizzazione degli strumenti di sviluppo, produzione e distribuzione hanno portato ad una serie di conseguenze e alla genera-zione di una modernità così flessibile ed incerta. Il progetto di comunicazione deve necessariamente seguire questi movimenti fluttuanti della nuova modernità attraverso un atteggiamento altrettanto fluttuante o, per meglio dire, in grado di adeguarsi,

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rinnovarsi ed evolversi continuamente ai perenni cambiamenti del mercato. Ci con-centreremo sul design della comunicazione. Prenderemo in considera-zione i nuovi mo-delli di progetto nati in relazione alle nuove opportunità di social networking, vedremo come questi nuovi modelli stanno rivolu-zionando e ponendo di fronte a nuove inas-pettate problematiche la cultura del design. Analizzeremo il fenome-no del crowd-sourcing e i nuovi modelli per il design che da questo sono nati. Sempre più aziende e agenzie decidono di affidare alle comunità on-line e alle piattaforme di crowdsourcing lo sviluppo di artefatti comunicativi o di parte di essi. Scopriremo come tutto questo sta rivoluzionando i tradizionali modi di ideazione e generazione di un oggetto di comunicazione e lo stesso legame designer-azienda. La democratizzazione degli stru-menti, il crowdsourcing, la crowdcreativity, i valori e i rischi dell’affidare ad una com-munity on-line un progetto di comunicazio-ne, le questioni etiche di riconoscimento della professione e la cultura del design saranno dunque i temi centrali di questo testo.

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1 I N N O V A Z I O N E E D E S I G N

N E L L A S T O R I A

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Per comprendere al meglio il rapporto tra innovazione e cultura del design, è necessa-rio definire cosa intendiamo per “progetto” e dare uno sguardo al passato, addirittura ad un’epoca in cui il concetto di “cultura del design” non esisteva. La cultura del design si può riferire all’idea di produzione e di riproduzione secondo modelli già definiti. Un’attività cosciente della separazione dei ruoli dell’invenzione e della produzione che corrispondono a due diversi gruppi operativi. Il design ha il ruolo di integrare il rapporto tra questi due elementi comunque distinti: progetto

e produzione. Il progetto è inteso non solo in riferimento alle caratteristiche estetiche di un oggetto ma anche alle sue caratteris-tiche funzionali, qualitative, prestazionali e produttive. Allo stesso tempo la produzione non è riferita solamente ai metodi produt-tivi oggi intesi quindi legati alle logiche industriali, di consumo e di massa. La pro-duzione è un fattore variabile nella storia ed influenza la cultura, la società, i mestieri degli uomini che ci vivono, adeguandosi alle nuove scoperte, ai nuovi bisogni e ai nuovi pensieri. L’introduzione di nuove tecnologie e quindi nuove opportunità porta necessa-

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riamente ad un adattamento da parte della società e quindi, di riflesso, da parte del design. A seconda delle diverse scoperte introdotte nel corso della storia, la cultura del design ha dovuto adattarsi, rivedendo i propri modelli e a volte arrivando, talvolta, a compromessi con nuove realtà, le quali era inevitabile affrontare.La prima parte di approfondimento storico che segue non vuole essere un’analisi appro-fondita di quello che è stato il rapporto tra innovazione e modelli del design nel corso dei secoli. Ogni singola situazione è profon-damente diversa dalle altre per contesto storico in cui è avvenuta e tipo di innovazio-ne tecnica introdotta, per cui risulterebbe impossibile nonchè superficiale trarre delle conclusioni di carattere generale al termine di questo percorso. Quindi verranno ripor-tati solo alcuni esempi significativi utili ai ragionamenti che verranno dopo e riferiti alla nascita del design, la cultura su cui si poggia queste disciplina e il suo rapporto con l’evoluzione tecnica.

Un primo esempio di adeguamento della cultura del progetto all’introduzione di nuove opportunità tecnologiche risale ad-dirittura all’epoca tardomedievale e alle corporazioni. In questo periodo matura la distinzione fondamentale tra atto creativo/invenzione e realizzazione di un oggetto. Tale distinzione matura come conseguenza e adattamento all’introduzione dei nuovi metodi di duplicazione di un oggetto. Le in-novazioni tecniche portarono ad una presa di coscienza da parte del mondo del proget-to che dovette adeguarsi a dei modelli che sembravano snaturare quelli precedenti a discapito ad esempio del valore dell’unicità del pezzo. L’obiettivo delle corporazioni tardomedievali era quello di tutelare i livelli di qualità di ogni singola bottega ma soprattutto difenderla dalle fasi di cambia-mento tecnologico e sociale che stavano attraversando. Perché proprio di questo si trattava: mutamenti economici e sociali che definivano nuove soluzioni tecnologi-che e che richiedevano un adeguamento nell’organizzazione e nella concezione del lavoro. La vecchia società agraria basata sul feudalesimo stava scomparendo per lasciare posto ad una società mercantile che viveva su logiche di scambio e produzione. La funzione sociale del lavoro venne rivalutata e gli artigiani rischiavano quindi di perdere

1.1 La Duplicazione e l’unicità dell’oggetto

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1. Innovazione e design nella storia

il loro primato ed il loro ruolo all’interno di quella società mutevole. In alcune botteghe non solo si realizzava il prodotto ma si concepiva anche il progetto che a volte era affidato ad artisti spesso famosi come Giulio Romano nel caso della bottega di Benvenuto Cellini. Il valore dell’ideazione aumenta la sua importanza all’interno della società e di conseguenza l’artista comin-cia ad assumere un ruolo riconosciuto nella società. Leon Battista Alberti nel “De Pictura” introdusse il tema della dignità dell’artista che, da artigiano, “meccanico” e produttore diventa uomo di cultura e artefice della vita culturale della città. L’atto creativo e l’invenzione vengono riconosciuti come fondamentali nella creazione di un oggetto in quanto, l’invenzione sotto forma di disegno, parole o teoria si presta alla realizzazione ma soprattutto alla dupli-cazione dell’oggetto inventato, da parte di

chiunque sappia interpretare tali disegni, parole o teorie. Quello delle corporazioni è un esempio perfetto che spiega la pro-fonda connessione tra mutamenti sociali e tecnici, adeguamenti progettuali e produt-tivi. Il legame che lega questi elementi non è lineare e non si può ridurre ad una semplice causa-conseguenza ma sono tutti amalgamati in uno scenario profondamente complesso di interconnessioni e motivazioni sociali, economiche e storiche. La duplica-zione degli oggetti sfruttava sia tecniche già esistenti che videro riconfermato il proprio valore tradizionale, sia nuove tecniche. In particolare una tecnica, la cui nascita in questo periodo, risulterà poi essere alla base del mondo moderno in cui oggi viviamo: la stampa. La nascita della stampa permise per la prima volta la nascita di un sistema di duplicazione seriale meccanizzato con conseguente diminuzione del lavoro

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manuale. L’ingresso di questa tecnologia fu decisivo nel sancire una volta per tutte la distinzione tra invenzione e realizzazione evidenziando il primato dell’invenzione. L’atto inventivo risulta fondamentale poiché l’ideazione dell’oggetto lo avrebbe portato ad una possibile duplicazione e produzione seriale, mentre l’esecuzione manuale poteva addirittura essere sostituita da alcuni, nuovi macchinari. L’invenzione della stampa si può in un certo senso considerare l’atto di nascita del primo sistema meccanizzato di produzione seriale. La stampa a carat-teri mobili è una tecnica di stampa inven-tata dal tedesco Johann Gutenberg nel 1455. Consisteva nell’allineare i singoli caratteri in modo da formare una pagina, che veniva cosparsa di inchiostro e pres-sata su un foglio di carta o di pergamena. L’innovazione stava nella possibilità di riutilizzare i caratteri. Uno dei primi casi di riduzione di un lavoro manuale in termini meccanici, e la sua nascita pone la base per quella rivoluzione tecnologica che ci ha portati verso il mondo moderno. Con essa si afferma la nozione di moltiplicazione meccanica di uno stesso oggetto, riprodu-cendone esemplari identici in serie. Così il foglio stampato è riprodotto in innumerevo-li copie attraverso l’uso di un sistema dove la mano dell’uomo è assente nella definizione

qualitativa della produzione, perché la qua-lità è garantita dal ciclo produttivo. Grazie alla presa di coscienza di questa separzione si duplicano oggetti e opere d’arte che non perdono il loro valore artistico nell’essere duplicate. Un altro esempio storico di pro-fondo legame tra la cultura progettante e adattamento ai mutamenti della società si trova nelle manifatture di porcellana, che all’inizio del XVIII secolo cominceranno ad utilizzare metodi lavorativi non più propria-mente artigianali ma vicini a quelle che poi sarebbero state le organizzazioni industriali del secolo successivo. L’obiettivo di queste manifatture era la realizzazione di serie di oggetti uguali nella loro qualità per cui era fondamentale la definizione di un progetto da seguire prima di iniziare il vero e proprio ciclo produttivo. Il progetto e la produzio-ne restano distinti ma dipendenti l’uno dall’altro infatti il progetto era affidato ad artisti che poi non avrebbero messo mano al ciclo produttivo che era caratterizzato da una rigida divisione dei ruoli. Proprio per questa divisione della prduzione in ruoli e quindi in fasi operative, il progetto assume un’importanza ed un ruolo di coordinamen-to attraverso la definizione delle caratteri-stiche unitarie del prodotto. La nascita delle manifatture di porcellana sancisce il termine delle corporazioni come istitu-

Johann Gutenberg(1394-1468),inventore della stampa a caratteri mobili

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1. Innovazione e design nella storia

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zioni che monopolizzavano il mondo della produzione in serie ed anche in questo caso si deve tutto ad una mutazione sociale ed economica, nonché ad una scoperta tecnico-scientifica. La porcellana inizialmente non poteva essere prodotta in Occidente e giungeva in Europa grazie agli accordi commerciali istituiti con la Compagnia delle Indie. La produzione in Europa iniziò grazie alla scoperta fatta dall’alchimista Giovanni Federico Botter che nella vana ricerca della “pietra filosofale” si imbattè in quel materiale che giungeva da Oriente e al quale venivano attribuiti poteri divi-natori e mistici: la porcellana, nata da una miscela di creta e caolino. Aumenta quindi la richiesta di oggetti che così era possibile avere più facilmente e risulta necessario un adeguamento nei metodi ope-rativi per per-mettere la produzione in serie e in grande scala di oggetti tutti uguali. Le manifatture di porcellana nascono quindi in relazione all’affermarsi di nuove tecniche e in questi si applicano necessariamente nuovi metodi del produrre.

“La nascita e la diffusione in Europa della produzione di porcellana testimonia quelle particolari trasformazioni che nascono dall’incontro di nuove tecnologie, nuove ten-denze dei costumi, nuovi modi della produ-

zione con la ricerca scientifica e l’aspirazione all’innovazione.” [Chigiotti G., 2010]Sono questi i primi tentativi di razionaliz-zazione del lavoro e di utilizzo di macchine e utensili all’interno del ciclo produttivo che porteranno in pochi anni alla “Rivolu-zione Industriale”. Le scoperte scientifiche portano allo sviluppo di tecnologie nuove; l’allargarsi del mercato definisce l’utilizzo di nuovi beni di consumo. In questo scena-rio furono molte le società che dimostrar-ono una sensibilità verso una nuova forma di progettualità che ora risulta davvero necessaria.

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1. Innovazione e design nella storia

L’introduzione del sistema produttivo industriale coincide con un nuovo approccio totalmente nuovo al progetto dell’oggetto. Il nuovo sistema lavorativo è caratterizzato, oltre che dall’utilizzo diffuso delle macchi-ne, dalla definitiva separazione dei ruoli dei lavoratori che partecipano al ciclo produttivo. Mentre nelle strutture produt-tive artigianali delle epoche precedenti, un’unica competenza riusciva a coprire tutte le fasi della produzione, ora vengono introdotte figure più specifiche, riferite ai diversi momenti di creazione dell’oggetto. Viene introdotta e sfruttata l’operazione dell’“assemblaggio” per cui l’oggetto nella fase di ideazione e di progettazione veniva pensato come composizione di pezzi predefiniti. La razionalizzazione dei proces-si produttivi fu facilitata dall’introduzione di nuove macchine utensili. Adam Smith sostenne l’utilizzo di tali macchine e scrisse che “è evidente a tutti quanto il lavoro venga abbreviato e facilitato dall’uso di macchine adatte”. Si assiste, in questo periodo di na-scita del sistema industriale, una profonda complicità e sintonia tra il mondo scientifico e quello imprenditoriale. Le scoperte scien-tifiche ancora una volta stimolano scoperte tecnologiche che entrano in sinergia con il mondo della produzione industriale e le nuove modalità produttive. L’elemento che

costituì il motore dei nuovi sistemi opera-tivi fu la sostituzione della vecchia energia idraulica con quella del vapore. Fu James Watt a brevettare nel 1781 la macchina a vapore, sfruttando le scoperte del 1712 di Thomas Newcomen e Thomas Savery che misero a punto la prima macchina a vapore con pistone. I capitalisti industriali sfrut-tano le nuove scoperte per accelerare la produzione in serie e nascono quindi le fab-briche come luogo delle macchine.

1.2La Rivoluzione Industriale

James Watt,macchina a vapore,1765.

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Progetto dimacchina a vaporeverticale, Francia

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1. Innovazione e design nella storia

La rivoluzione industriale e quindi la ri-voluzione nel modo di produrre e progettare gli oggetti, nasce dall’applicazione della scienza moderna ai processi produttivi. Le cause scatenanti di questa grande epoca di cambiamenti, oltre alla rivoluzione tecnologica, furono anche l’espansione del commercio mondiale, che arricchì l’Inghilterra, dalla ricchezza aumentò la possibilità di creare imprese, la crescita demografica inoltre aumentò la domanda di servizi e beni materiali che a sua volta determinò l’ideazione creativa di nuove forme di vendita volte a soddisfare e alimentare tale domanda. L’affermarsi di nuovi congegni meccanici che sostituirono la manodopera artigianale e l’introduzione di una nuova energia, quella del vapore portarono alla creazione e all’ideazione di nuove forme di organizzazione produttiva.L’introduzione della nuova tecnica mec-canica all’interno dell’iter produttivo portò al continuo nascere di nuovi beni proprio grazie alla nascita di processi produttivi nuovi come lo stampaggio, la pressatura, la goffratura, la colatura e la fusione che si uniscono e si integrano ai sitemi tradiziona-li. Grazie a queste nuove tecniche l’industria poté rivolgersi ad un mercato più vasto per la grande quantità riproducibile di oggetti tutti uguali che quindi divennero accessibili

a fasce sociali sempre più ampie. La rivolu-zione meccanica che influenzò i metodi di produzione portò dunque alla nascita di nuovi prodotti e di nuovi attrezzi lontani dalla tradizione nella forma e negli usi. I nuovi prodotti a loro volta si imposero sul mercato grazie alla loro qualità e grazie a vere e proprie strategie d’impresa. La cresci-ta del commercio mondiale e l’innovazione tecnologica portò ad un aumento del reddito medio, nel 1820, e divenne ormai chiara la necessità di definire nuovi metodi di proget-to rivolgendosi al progetto industriale e ai nuovi processi produttivi. La tipicizzazione dei modelli pone le basi per una disciplina che nel giro di un secolo si sarebbe affer-mata con il nome di disegno industriale. Di fronte alle nuove possibilità offerte dalla meccanica il mondo del progetto si divide in due parti: una parte sviluppa progetti carat-terizzati da una forte componente deco-rativa che non presentava nessun legame con la dimensione funzionale dell’oggetto. Dall’altra parte si progettavano oggetti in relazione alla loro funzionalità come ele-mento principe senza preoccuparsi partico-larmente della definizione formale. È il caso degli Stati Uniti. L’attenzione alla funzione dell’oggetto e la trasformazione dell’atto decorativo artistico in un atto e movimento meccanico dipendente dall’utilizzo dei mac-

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chinari di fabbrica, portano alla separazione tra concetto di arte e concetto di produzio-ne. Nella progettazione e nell’ideazione dei prodotti era necessaria l’introduzione di una nuova competenza tecnica che fosse sensibile e cosciente dei nuovi processi produttivi. Questa necessità nasceva dal fatto che la parte progettuale non poteva più essere affidata ad artisti proprio perché gli oggetti industriali stavano perdendo la loro valenza artistica e dovevano rispondere ad esigenze di tipo tecnico-scientifico.

La rivoluzione industriale, generò innova-zione nel mondo del progetto. Nacquero diversi modi di pensare riferiti ai nuovi processi operativi ma vi furono anchemovimenti e scuole di pensiero che invece andarono contro la nuova conce-zione industriale del lavoro e dell’oggetto ma non per questo non crearono innova-zione. L’inserimento della meccanica nei nuovi processi produttivi alimentò un dibattito attorno alla qualità dell’oggetto, all’unicità del pezzo e ai metodi del pro-getto relazio-nato alla nuova industria. All’indomani della Grande Esposizione di Londra del 1851, tale dibattito viene messo in relazione alle critiche negative che sor-sero in quel momento. Critiche non solo rivolte ad alcuni prodotti che vennero presentati ma in generale riferite alle conse-guenze che l’introduzione dei nuovi metodi produttivi ed il processo industriale aveva-no portato. Il proliferare delle fabbriche produsse in molti casi malessere sociale, inquinamento e degrado urbano. Questi sono fattori di una crisi sociale che entra violentemente all’interno del dibattito sulla necessità di una nuova progettualità. Ruskin elabora la sua teoria secondo cui l’uomo e la sua arte devono essere profondamente radicati nella cultura e nell’etica. Ruskin associava la creatività all’abilità tecnica del

1.3 Arts&Craft

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1. Innovazione e design nella storia

singolo artigiano, del singolo uomo e non alla progettualità piegata dai processi indus-triali, né tantomeno alla manodopera non specializzata che lavorava nelle fabbriche. Ruskin affermò che un prodotto industriale non potesse avere un valore artistico e con-dannò i concetti della standardizzazione, di ripetibilità dei modelli e di produzione in serie di un oggetto. Le teorie di Ruskin vennero riprese da William Morris che creava i suoi progetti ponendo una partico-lare attenzione all’esecuzione dei dettagli costruttivi e decorativi degli oggetti. Mor-ris lavorava in piccoli laboratori ed il suo metodo è interessante per il suo adottare la decorazione non semplicemente ad un fine ornamentale bensì pratico e simbolico. Gli oggetti d’uso quotidiano dovevano avere un valore estetico e quindi non potevano essere prodotti industriali; era una questione ed una responsabilità morale ed etica ristabili-re la funzione estetica di tali oggetti. La sua era una proposta di ritorno al saper fare, rifiutando la produzione industriale e riuscì nel suo intento stimolando architetti e pro-gettisti a dedicarsi all’arte applicata. Attorno a William Morris si creò una comu-nità solidale di artisti che sostenevano le sue idee. Alla base di tale sostegno non vi erano motivazioni economiche o commerciali ma ideologiche legate al disgusto per i metodi

industriali e per lo sfruttamento delle nuove tecniche. Il loro operato non influenzò assolutamente l’evoluzione dei nuovi metodi industriali, a favore del cosiddetto artigia-nato colto. Queste teorizzazioni del rifiuto per la produzione in serie di oggetti senza valore estetico confluirono in associazioni di artisti e artigiani chiamate Arts&Crafts. Questi gruppi promossero nuove tecniche e processi legati al lavoro manuale stimo-lando una nuova estetica di tipo artigianale. La loro riforma non riguardava solo i modi del progetto ma anche e soprattutto quelli della produzione. Il dibattito attorno alle tematiche di valorizzazione della manualità e dell’artigianato, l’interesse per l’oggetto quotidiano, il rifiuto della produzione se-riale si fece sentire facendo sorgere la pro-blematica di conservazione della tradizione della ma-nualità. L’atteggiamento delle Arts&Crafts arrivò fino in America e Frank Lloyd Wright ne fu l’esponente di punta. Nonostante le associazioni Arts&Cafts si opponessero a quella che ai tempi era la vera innovazione, portarono a loro modo un grande apporto teorico e pratico alle concezioni progettuali. Sostenevano ad esempio l’unità delle arti e l’idea per cui le forme di creatività hanno tutte lo stesso valore nell’affermazione dell’opera d’arte totale. L’introduzione dei nuovi processi

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industriali e la manodopera non specializ-zata avevano svalutato il contributo della manualità e il valore estetico che ne deri-vava. Merito delle Arts&Crafts fu quello di riproporre l’unità tra il progetto definito tra progettisti e artisti e i processi di produ-zione attraverso la manualità. Risposero a quelli che erano i nuovi strumenti che sembravano snaturare il loro approccio al progetto attraverso un aumento della qua-lità nell’ideazione e produzione di oggetti che non nascevano da processi industriali. Al di là delle motivazioni ideologiche, Mor-ris e le Arts&Crafts si resero presto conto che non utilizzando le macchine i tempi di lavoro aumentavano e di conseguenza non si poteva più produrre a buon mercato. Tutto ciò che veniva prodotto dunque era molto costoso e non poteva essere venduto al “popolo”. Se ne rese conto la seconda generazione dei membri delle Arts&Crafts che cominciò ad avvicinarsi alla produzione seriale tanto che, alcuni di loro, aprirono delle ditte per distribuire e per produrre le loro realizzazioni. Le Arts&Crafts sono un esempio di come ad ogni scoperta tecnica, innovazione e rivoluzione dei modelli canonici si sviluppi spesso un sentimento di protesta. Ogni innovazione porta ad un cambiamento, a miglioramenti secondo la logica che “tutto quello che è nuovo è meglio”

ma anche criticità nuove e spesso inaspet-tate che vanno valutate e affrontate. E’ stato così per la stampa, per la fotografia e per i macchinari di produzione di massa. Non è giusto pensare però che questo atteggia-mento di protesta remi automaticamente contro l’innovazione. Il rifiuto delle nuove tecniche e della produzione in serie da parte delle Arts&Crafts spinsero ad un ritorno della manualità e ad un atteggiamento artistico al progetto che altrimenti sarebbe andato perso. Portò inoltre ad un aumento della qualità, unico modo per concorrere con le produzioni in serie. Hanno sviluppato un pensiero parallelo a quello legato alla ri-voluzione industriale ma che non si sostituì mai ad esso e che anzi lo incontrò a partire dalla seconda generazione, generando nuove soluzioni. Anche oggi viviamo un’epoca di grandi cambiamenti con l’introduzione delle nuove opportunità di connessione; nuovi schemi e modelli rivoluzionano e ribaltano i valori e i modelli classici che vanno affron-tati nei loro valori e nei loro difetti miglio-randoli e adattandoli alle nuove esigenze e necessità.

De Morgan William,campionario di piastrelle,Arts&Crafts

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1. Innovazione e design nella storia

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Il mercato dell’industria continua a crescere grazie anche ai contributi di Frederick W. Taylor e dei suoi studi finalizzati all’“Organizzazione scientifica del lavoro” e attorno al 1885 si giunge ad una nuova fase dell’industrializzazione. Il progresso della meccanica non era paragonabile ai ritmi del progresso dei secoli precedenti. Lo sviluppo industriale era frenetico e il rapido evolversi della tecnica richiese un rapido evolversi di modi progettanti e portò al mutare dei gusti indirizzati incessantemente verso il nuovo. La produzione industriale esprime dunque il bisogno di progetti ed oggetti sempre nuovi e moderni. I ritmi della società ac-celerano e la tecnica moderna acquisisce una sorta di contemporaneità che comincia ad interessare il mondo artistico che, in quanto parte della società, assimila una sensibilità verso la frenesia del moderno. Grazie anche alle teorie di Morris e delle Arts&Crafts nasce una nuova spontanea collaborazione tra arte e produzione. Una produzione inizialmente artigianale ma che presto avrebbe avuto una grande influenza nella definizione di un’estetica degli oggetti di produzione industriale. Così la raziona-lizzazione industriale introduce nei processi meccanici la decorazione per esprimere la natura e la funzione dell’oggetto. Si crea inoltre un nuovo rapporto tra architettura

e decorazione percui, gli architetti, oltre a definire le proprie strutture disegnano tutto ciò che definisce lo spazio domestico. L’arte si unisce all’arte applicata, la decorazione si unisce all’architettura e artisti e architetti cercano e trovano soluzioni alla nuova e insaziabile richiesta di prodotti di massa. Tendenze artistiche e conquiste tecniche lavorano assieme nella definizione del pro-getto. Nasce in questo contesto uno stile ed un movimento che pur essendo vicino al concetto di unità delle arti delle Arts&Crafts, guarda con interesse il mondo della produzione industriale. Una nuova ornamentazione e decorazione che non

1.4 L’arteLiberty

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1. Innovazione e design nella storia

aveva una valenza puramente artistica ma rispondeva ad esigenze di tipo progettuale e produttivo e quindi profondamente legata alla costruzione e alla funzione degli og-getti e degli spazi. In Francia si chiamerà Art Nouveau, in Germania Jugendstil e in Italia Liberty. Ogni Paese sviluppa varianti locali del nuovo stile. La grafica Liberty si concentra nella produzione di manifesti, riviste e libri assumendone il carattere di mezzo di comunicazione di massa, sia perchè i messaggi ad essa affidati erano diretti ad un pubblico sempre più vasto, sia perchè le nuove tecniche di stampa ne consentivano ormai la più ampia diffusione.

Le cifre stilistiche liberty sono il linearismo, la traduzione degli elementi formali in com-ponenti strutturali, il rapporto tra linguag-gio verbale e linguaggio visivo, l’utilizzo di patterns decorativi, la scrittura come componente del messaggio visivo.

“Queste soluzioni formali furono rese possibili anche dal progresso delle tecniche grafiche, che i disegnatori liberty sperimenta-rono sempre con grande interesse“[Daniele Baroni, 2007]

Pagina precedente:A. Beardsley,Copertina per “The Studio”, 1893

A sinistra:Copertina per “Emporium” 1898

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Contemporaneamente al concetto di modernità si sviluppa nel mondo dell’arte il con-cetto di avanguardia, termine che si riferisce nel campo della creatività, all’instaurazione di un modello di valori opposti alla tradi-zione. L’avanguardia è l’espressione di una visione del reale totalmente opposta a quella tradizionale, si riferisce ad una ricerca di linguaggi ed espressioni artistiche sperimentale e ad un utilizzo di tecniche mai utilizzate prima nel mondo dell’arte. Il XX secolo si presen-ta come un secolo di profondi contrasti e l’espressione artistica delle avanguardie ne è una sintesi perfetta. Il manifesto era lo strumento testuale con cui i movimenti di avanguardia esprimevano un’analisi critica di una situazione presente proponendo soluzioni future e valori sostitutivi eterni, la cifra comune dei manifesti di tutte le avan-guardie che si svilupparono nel XX secolo era la posizione di rottura nei confronti del-la tradizione intesa come visione tradizion-ale della società e dell’arte. Rifiutavano l’arte per l’arte e sostenevano il suo ruolo sociale all’interno del grande rinnovamento tecnico e sociale che la modernità stava subendo. Forte era il loro entusiasmo per le novità del mondo contemporaneo come la meccanica e l’industria e molti cercarono di definirne un’estetica.

Il ruolo sociale delle opere d’arte fu sos-tenuto in modo particolare dagli artisti dell’avanguardia russa che con le loro realizzazioni parteciparono alle violente mutazioni che la società stava subendo ed ebbero una valenza rivoluzionaria, al pari delle sommosse. Artisti come Vladimir Tatlin, Kasimir Malevich, Aleksandr Rod-cenko concepirono l’opera d’arte come un mezzo per definire una nuova società e ide-arono la concezione secondo cui attraverso l’utilizzo di prodotti per la massa, la società avrebbe presto ottenuto un livello di qualità di vita molto più alto. Il Costruttivismo con-cepì l’arte come una forma di lavoro dando origine ad un nuovo modo progettuale chiamato “artigianato produttivista” che univa i concetti di arte, lavoro, produzione e vita quotidiana. Nel raggiungere il supera-mento del divario tra arte e vita di tutti i giorni venivano sviluppati progetti e design in relazione alla produzione. I costruttivis-ti come gli esponenti di altre avanguardie cercarono di definire i fondamenti di nuovi criteri universali per la realizzazione di una migliore immagine del mondo. Rappre-sentano un’esempio di mutazione sociale e quindi progettuale come conseguenza dello svilupparsi di nuovi stili di vita e di di tec-nologie rivoluzionarie ed entusiasmanti.

1.5 LeAvanguardie

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1. Innovazione e design nella storia

Nel XX secolo si svolge poi una vicenda nella quale viene condensata gran partedell’elaborazione teorica e pratica dell’architettura e del design di questo secolo. Il Bauhaus e la sua storia breve ma intensa influenzerà il mondo del progetto e la concezione del rapporto tra arte e produ-zione in relazione all’innovazione tecnico-scientifica. Il primo direttore della scuola,

nata a Weimar nel 1919, fu Walter Gropius e il suo intento era quello di formare “architetti, scultori e pittori ad un buon artigianato e a un’attività creativa au-tonoma.” [Chigiotti G., 2010] L’obiettivo finale era in realtà quello di sancire de-finitivamente l’unione tra la il momento artistico creativo e la realizzazione tecnico materiale dell’opera, l’unione tra arte e tecnica. Si punta alla creazione di una nuova

1.6 Bauhaus

Herbert Bayer,BauhausUniversal alphabet,1925

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architettura e di una nuova progettualità che sfrutta l’artigianato e la manualità per formare i propri studenti alla definizione di un’orientamento formale di oggetti che poi sarebbero stati inseriti in processi produt-tivi industriali. Era quindi essenziale unire la creatività del progetto con la precisione e la conoscenza tecnica. Si inducevano gli studenti ad una visione creativa dei processi tecnico-industriali attraverso dei labora-tori artigianali. A supervisionare la doppia preparazione tecnico-creativa degli studenti vi erano infatti a condurre questi laboratori due maestri. Un “maestro artigiano” che si occupava dell’istruzione tecnica degli allievi ed un “maestro della forma” che invece impostava la formazione creativa del lavoro. Tale lavoro doveva portare alla creazione di forme-tipo assolutamente perfette al punto di vista tecnico, commerciale ed estetico. Nonostante la produzione artigianale dei prototipi, gli studenti erano coscienti dei processi industriali e delle logiche di assem-blaggio all’interno delle quali il prodotto si sarebbe inserito. Il merito del Bauhaus fu quello di aver intuito che la differenza e la distanza tra artigianato ed industria era dato da un diverso tipo di organizzazione del lavoro e non dalla diversità degli stru-menti progettuali. Nell’artigianato tutto era nelle mani di un “maestro”, nell’industria

la suddivisione dei ruoli. Il passaggio da produzione artigianale a produzione industriale fu una mutazione spontanea dovuta al sorgere di nuove scoperte tec-niche legate alla rivolu-zione meccanica, ma l’impostazione progettuale era iden-tica purchè il progettista fosse preparato e aggiornato sulle tecniche produttive che l’oggetto inventato avrebbe potuto/dovuto affrontare. Il Bauhaus diventa una sorta di agenzia di sperimentazione produttrice di progetti e licenze da vendere alle officine e alle fabbriche interessate. Una serie di avvenimenti negativi, tra problematiche interne e con l’amministrazione statale costrinsero la scuola a trasferirsi, prima a Dessau e poi a Berlino. Dal 1931 iniziarono gli attacchi del partito nazionalista al Bau-haus definito un “covo di bolscevismo” che portarono allo scioglimento della scuola il 19 luglio 1933. La diaspora degli insegnanti e degli studenti diffusero in tutto il mondo la nuova disciplina progettuale moderna ed adeguata ai tempi che era nata in quella scuola. Un nuovo modo progettante che sfrutta una creatività aggiornata e cosciente delle possibilità offerte dalle nuove e diverse modalità produttive disponibili.

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1. Innovazione e design nella storia

I concetti di industrializzazione diffusa e consumismo di massa si diffondono insieme all’internazionalizzazione della nuova disciplina, l’industrial design e quindi di una nuova figura professionale, il designer. In America si sviluppò all’indomani della Prima Guerra Mondiale un’espansione delle capacità produttive, un’esplosione di consumi ed una forte crescita dei consumi di massa. Uno strumento per aumentare la vendita dei prodotti è l’attenzione da parte delle aziende all’aspetto formale. Il

mercato saturo spinge le fabbriche a far distinguere i propri prodotti da quelli delle altre adottando uno stile proprio. In questo contesto nasce una generazione di indu-strial designers provenienti da diversissimi campi professionali: dall’allestimento, alla pubblicità, dalla scenografia alla rappre-sentazione commerciale. Creativi che lavoravano in un’ottica commerciale che puntava all’aumento della vendita at-traverso ricerche sugli elementi formali seguendo quelle che erano le logiche di

1.7Il DisegnoIndustriale

Raymond Loewy,Redesign del pacchettodi sigarette Lucky Stricke,1940.

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Corradino D’Ascanio,Prototipo MP6Vespa Piaggio1945

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1. Innovazione e design nella storia

prodotto di riferimento. L’atteggiamento statunitense si diffonde anche in Europa ed il design anche qui comincia a rapportarsi all’industria nella scoperta di nuovi prodotti e nuovi standard qualitativi. Anche in Italia matura la concezione di un design indus-triale necessario alle metodologie delle nuove produzioni e del nuovo commercio di massa. Dopo la Seconda Guerra Mondia-le fu determinante il contatto con i modi americani che introdusse proprio questa attenzione ad un commercio non più legato ad un sistema di autoconsumo ma a delle logiche di massa. Il design italiano prende coscienza dal mondo americano ma ebbe una grande importanza per la sua formazio-ne lo sguardo al passato, verso i valori tradizionali del nostro artigianato e della cultura architettonica. Nel nostro Paese la “cultura del progetto” si è sviluppata ed ha saputo dialogare con la secolare tradizione dell’eccellenza artigianale la quale avviò la produzione di oggetti semplici e pratici in grado di risolvere le prime necessità. Gli architetti italiani, coscienti del loro ruolo sociale e politico interpretano tali oggetti e l’architettura si integra così con quanto essa contiene. Personalità come quelle di Giò Ponti, Franco Albini, Bruno Munari, Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Enzo Mari furono rivoluzionarie nell’unire la genialità

della mente a un notevole saper fare manu-ale, artigianale. Il design italiano sviluppa un linguaggio proprio avvicinandosi a quelli che erano i problemi della vera industrializ-zazione e dei consumi della nuova società di massa. La nuova domanda, il mercato in espansione, lo sviluppo di nuove tecniche e materiali stimolano nuove avventure im-prenditoriali e la creatività degli architetti. L’entusiasmo dell’imprenditoria tocca anche il mondo del progetto che dovette assettarsi, aggiornarsi ed adeguarsi in nuove forme, at-teggiamenti e teorizzazioni. Alcuni prodotti rivoluzionano le abitudini ed i comporta-menti degli italiani come le Fiat 500 e 600, di Dante Giacosa, o la Vespa della Piaggio, progettata da Corradino d’Ascanio. Nas-cono i prodotti Artflex disegnati da Marco Zanuso e le macchine per scrivere Olivetti disegnate, tra gli altri, da Marcello Nizzoli.

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La figura di Adriano Olivetti è un esempioperfetto di spinta verso l’innovazione tec-nica legata ad un approccio professionale, cosciente e aggiornato alla cultura del de-sign. Approfondiamo brevemente quella che è stata la sua opera e il suo pensiero proprio perché si inserisce perfettamente nel dis-corso del rapporto tra innovazione e design e anche perché, come già anticipato, questa tesi nasce proprio da alcune valutazionisulla concezione del lavoro e del design dell’imprenditore di Ivrea. Ad Ivrea, la città in cui nasce l’11 Aprile 1901, ha realizzato la sua comunità concreta in cui lavoro, industria, cultura, design, po-litica, produzione e solidarietà convivevano in un’armonia e in una, come diceva lui, “comune ricerca di verità e di bellezza”. Dalla sua storia fuoriesce il ritratto di un uomo che, pur essendo stato molte cose, è sempre stato animato dalla stessa vocazione e spinto dagli stessi ideali umanistici di una comunità fondata sulla cultura e sulla col-laborazione dei suoi partecipanti. Una co-munità fatta di persone coscienti di avere un compito nel raggiungimento di un comune interesse, etico e materiale. L’industriale e imprenditore Adriano Olivetti rivoluziona le regole della produzione disegnando una fabbrica a misura d’uomo, un’azienda di cultura. Le sue fabbriche-opere d’arte sono

un esempio di quanto per Adriano la cultura giochi un ruolo centrale all’interno della sua visione della comunità. Adriano non ha dub-bi: la bellezza è un mezzo per l’elevazione dell’uomo ed è proprio la cultura a rappre-sentare questa disinteressata ricerca di verità e di bellezza. Cultura è architettura, urbanistica ma anche design ed Adriano è stato uno dei primi ad accorgersene. Diceva che “un buon congegno deve avere una bella forma, ma una bella forma deve rispettare le caratteristiche di un buon congegno” [Renzi E., 2008]. Concepisce il design come nessun altro in quegli anni; una visione profonda-mente legata a quella nuova visione etica e non solo mate-riale della pratica lavorativa di cui si fece portavoce. I prodotti andavanocostruiti, venduti e quindi comunicati; co-municati come “prolungamenti di una certa concezione dell’impiego concreto - da parte di donne e di uomini nella giornata di lavoro, che per definizione è sempre lunga” [Renzi E., 2008] come diceva lo stesso Adriano. A rileggere oggi la storia della sua vita si ha l’impressione di dovere e volere imparare qualcosa sempre con un pizzico di rim-pianto. Ivrea, all’alba del xx secolo, è una ricca cittadina a nord di Torino proprio sotto la Valle d’Aosta. Una zona lenta e anonima quella del canavese. Nel giro di 40 anni Ivrea verrà definita “l’Atene degli anni

1.8La Olivetti e la cultura del design

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1. Innovazione e design nella storia

50”. Il padre di Adriano, Camillo Olivetti nel 1894 fonda ad Ivrea una società per la costruzione di strumenti per la misurazione elettrica e che poi introdurrà in Italia uno strumento che sarà destinato a cambiare le abitudini, influenzando i ritmi e la cultura, diventando testimone di una società e di uno stile tutto italiano: la macchina per scri-vere. Le ha viste in America ed in Italia an-cora nessuno le produce. Il 29 Ottobre 1908

nasce la Società Ing. C. Olivetti & C. “Prima fabbrica italiana di macchine per scrivere”, la ICO. Nel 1925 il figlio Adriano all’età di 24 anni compie, assieme al Direttore Tecnico dell’azienda Domenico Burzio un viaggio studio di 6 mesi negli Stati Uniti. Rimane colpito dal Taylorismo, sistema impiegato nelle fabbriche Ford dove allo scopo di diminuire i tempi di produzione ogni ope-raio doveva eseguire un’unica e ripetitiva

Adriano Olivettidavanti alla ICO.

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opera-zione alla catena di montaggio. Adriano capisce che il sistema di Taylor delle fabbriche Ford non poteva essere trasportato in quella forma nella sua Ivrea e nella sua Italia ma necessitava di “un assetto organizzativo duttile e in evoluzione parallela al progredire dello sviluppo aziendale”.Lo stesso Olivetti dirà “Imparai la tecnica dell’organizzazione industriale, seppi capire che per trasferirla nel mio paese doveva es-sere adattata e trasformata.” [Renzi E., 2008] Al suo ritorno ad Ivrea ha le idee chiare su come gestire l’azienda e convince il pa-dre che la cosa più importante è l’organiz-zazione del personale, propone un vasto programma di interventi per modernizzare l’attività della Olivetti: organizzazione de-

centrata, direzione per funzioni, razionaliz-zazione dei tempi e metodi di montaggio, sviluppo della rete commerciale in Italia e all’estero. Viene fondato nel 1931 l’Ufficio Sviluppo e Pubblicità affidato a Renato Zvetermich, ingegnere di origine dalmata. Adriano viene nominato nel 1932 Direttore Generale della Olivetti; riesce in breve tempo a diminuire i tempi di produzione di un terzo rispetto al passato e ha in mente il progetto di un nuovo prodotto: una nuova macchina per scrivere molto più piccola e leggera; qualcosa che ancora in Italia non si era mai visto. La prima macchina per scrivere portatile: la MP1. Nel 1933, dopo aver ammirato la loro “Villa-studio per un artista”, Adriano affida a due astri

Complesso di costruzioni Olivetti lungo Via Jervis a Ivrea,la “fabbrica di mattoni rossi” e gli stabilimenti ICO

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1. Innovazione e design nella storia

dell’architettura razionalista la costruzione di un edificio industriale moderno: Figini e Poliini progettano gli Stabilimenti Olivetti ICO. La “Fabbrica di Mattoni” rossi che ospitava la ICO fondata dal padre Camillo viene inglobata nella nuova costruzione: 23mila mq, mura di vetro, fabbrica e uffici assieme. Lo appassionano l’architettura e l’urbanistica, pensava che la fabbrica non fosse solo un luogo di produzione e profitto, ma anche il cuore pulsante dello sviluppo economico e sociale e come tale avesse delle responsabilità verso la collettività e il ter-ritorio. Olivetti immagina un capitalismo a misura d’uomo e negli stabilimenti Olivetti non ci sono solo catene di montaggio ma anche mense, ambulatori, medici, asili nido, biblioteche. Questi valori si traducono in una serie di iniziative dedicate ai rapporti tra le persone che lavoravano nelle fab-briche ICO. Per questo Adriano seleziona e aumenta le persone di cultura umanis-tica, sia in fabbrica, inserendole in settori specifici, di dirigenza e di organizzazione dell’azienda sia chiaramente nelle organiz-zazioni culturali. Adriano introduce nel processo di progettazione e di vendita l’elemento “design” come strumento per fare emergere la sostanza culturale e l’ani-ma dei suoi prodotti. Fiorisce lo stile Olivet-ti e nel 1938 l’Ufficio Pubblicità è affidato

a Leonardo Sinisgalli, ingegnere e poeta. Lui, insieme, Xanti Schewinsky (grafico) e Costantino Nivola (pittore) realizzano il pieghevole “Storia della scrittura” che pre-senta in copertina una rosa in un calamaio. “Per suggerire che il calamaio non serviva più a intingervi la penna. Meglio scrivere a macchina.” spiegò il copywriter olivettiano Giovanni Giudici. Questa passerà alla storia come l’immagine che per la sua eleganza ed evocatività, segna la nascita dello stile olivettiano. Immagine che poi verrà riuti-lizzata per promuovere la macchina per scrivere Studio 44.

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Entrano in fabbrica Marcello Nizzoli, pittore, grafico ed architetto, e Giovanni Pintori, sia designer che grafico.Dal 1946 al 1958, la crescita è significativa. L’esportazione aumenta di quasi 17 volte, il fatturato interno subisce un aumento del 600%, l’occupazione del 258% e i salari medi del 386%. Nella gestione dell’azienda assume un particolare rilievo l’attenzione al miglioramento delle condizioni di vita dei dipendenti. Questo periodo della storia aziendale dell’Olivetti è caratterizzata dalla nascita di tre prodotti di grande successo nazionale ed internazionale. Natale Cappel-laro e Marcello Nizzoli disegnano la prima calcolatrice meccanica al mondo in grado di eseguire le quattro operazioni, la Divi-summa 14 che entra in commercio nel 1948. Sempre di quell’anno, e sempre dai dis-egni di Nizzoli, è la macchina per scrivere standard Lexikon 80 che verrà definita dai curatori della mostra dedicata all’Olivetti al Moma di New York come una vera e propria “scultura”. Siamo nel 1950 invece quando nasce accompagnata da un design innovativo la più famosa tra le macchine per scrivere: la Lettera 22. Nel ‘54 vince in Italia il primo Compasso d’Oro istituito dalla Rinascente e nel ‘59 verra indicata dall’istituto tecnologico dell’Illinois come il piu bel oggetto di design del secolo. Anche

questa è una creazio-ne di Marcello Niz-zoli, solo uno dei grandi designer impiegati presso l’Olivetti: Ettore Sotsass, Marco Zanuso, Costantino Nivoli. Adriano li ra-duna attorno a sè sostenendo che il design sia l’anima e la vera sostanza del prodotto. Nel 1955 Olivetti si dimostra fedele alla sua filosofia con un progetto che porta anche nell’arretrato sud le idee più innovative. La realizzazione della fabbrica di Pozzuoli e del suo quartiere operaio sono quasi un miracolo e nel giro di pochi anni si arriverà addirittura a registrare un tasso di produt-tività superiore a quello della fabbrica di Ivrea. Proprio nel discorso in occasione dell’inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli, Adriano esprime una riflessione destinata a diventare rappresentativa del suo pensiero:

“Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?”Adriano Olivetti

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1. Innovazione e design nella storia

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Adriano sosteneva il primato della cultura all’interno della comunità come sostanzialefattore di equilibrio politico e sociale. La cultura era intesa in riferimento alla tra-dizione dei valori eterni della civiltà e allaconoscenza delle questioni generali dell’umanità, doveva concretizzarsi in una “ricerca disinteressata di verità e bellezza”.La cultura diventa mezzo per una ricerca di bellezza perché questa bellezza è elevazione dell’uomo. Adriano reinveste i capitali per costruire fabbriche moderne spaziose e confortevoli e le inserisce nel paesaggio per abbellirlo e per dare rinnovato valore alla comunità e al territorio in cui queste si collocavano. Un atteggiamento impensabile per un mondo imprenditoriale che concepi-va l’ambiente lavorativo esclusivamente infunzione del profitto. Adriano riunisce at-torno a sé i più geniali architetti degli anni ‘50 facendo di ogni suo complesso industria-le una vera opera d’arte. Nel giro di qualche decennio le imprese di Adriano Olivetti trasformano ed estendono il territorio di Ivrea che diventa un esempio eccezionale di città industriale materializzata sul modello voluto da Olivetti. A Pozzuoli afferma: “La fabbrica fu concepita alla misura dell’uomo perché questo vi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza.

Per questo abbiamo voluto le finestre basse e i cortili aperti e gli alberi nel giardino ad esclu-dere definitivamente l’idea di una costrizione e di una chiusura ostile”

Luigi Cosenza, Adriano Galli, Pietro Ciaravolo, Piero Porcinai e Marcello Nizzoli, Fabbrica Olivetti di Pozzuoli,1950-1970, vista del lato sud dello stabilimento.

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1. Innovazione e design nella storia

Guido Piovene, scrittore e giornalista di rilievo scrive così sulla fabbrica, la città e le persone di Olivetti: “La Olivetti è il caso più notevole esistente al mondo, almeno nella mia esperienza, d’industria retta come industria, il cui primo scopo è perciò il successo industriale e il mas-simo del guadagno ma che al tempo stesso vuole essere quasi uno Stato; l’incarnazione di un’idea religiosa, morale, sociale, politica. Una industria morale; ciascuna delle due pa-role, industria e morale, ha il medesimo peso... un tentativo (nell’insieme dell’architettura, negli uffici, nei corridoi decorati di fotografie di paesaggi, nei capannoni delle macchine) di fabbrica-opera d’arte, intesa ad alleviare la fatica del lavoratore e ad educarlo con il suo stesso aspetto... L’industria è per Olivetti uno strumento a doppio scopo, che deve mettere al lavoro, e redimere dal lavoro... perché gli operai sentano nella fabbrica non solo un luogo di guadagno ma in senso stretto la patria, vi sono bellissime scuole, un asilo e un nido d’infanzia altrettanto belli. Una parte dell’attività aziendale è dedicata alla cultu-ra... un insieme di prestazioni non è conside-rato laterale all’azienda; l’azienda in quanto azienda, è un centro di cultura. Le terrazze contemplano il dolce panorama del dominio nel tempo stesso spirituale e temporale; gli operai hanno un circolo nel giardino, che ap-

parteneva a un convento.”

Le Officine Olivetti sono definite dai manuali d’architettura come gli esempi più rilevanti dell’architettura industriale in Eu-ropa, divenendo capolavori dell’architettura razionalistica italiana ed internazionale.L’azienda di Ivrea diventa un cenacolo fre-quentato dai nomi più illustri della cultura e dell’arte italiana come Moravia e Pasolini. Si tenevano corsi sulla storia del movimento operaio, della rivoluzione russa e spagnola, si organizzavano festival cinematografici, mostre di pittura, sempre allo scopo di accrescere la cultura di chi lavorava all’Oli-vetti. Adriano seleziona e moltiplica le persone provenienti da studi umanistici delle quali si circonda. Sociologi, architetti, scrittori, pittori, politici, psicologi. Alla direzione Adriano colloca Geno Pampaloni, critico letterario, gli scrittori Ottiero Ottieri e Paolo Volponi, il poeta Giovanni Giudici. Altri nomi illustri rappresentanti di una cultura che donava valore e bellezza alla fabbrica di Ivrea furono Franco Momigli-ano, Bobi Bazlen, Luciano Gallino, Giorgio Puà, Franco Fortini, Francesco Novara, Bruno Zevi passando per Fichera, Soavi, Lu-ciano Foà, Lodovico Quaroni, fino a Renato A. Rozzi, Furio Colombo, Franco Ferrarotti, Tiziano Terzani.

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Il posizionamento di uomini di cultura umanistica nei ruoli di dirigenza più alti dell’azienda viene così spiegato dalla figlia di Adriano, Laura Olivetti in un’intervista rilasciata al quoti-diano La Stampa: “...gli altri intellettuali corrispondevano a un’idea di mio padre: che si ottenevano buoni frutti quando le competenze tecniche (gli ingegneri, i progettisti) erano affiancate da competenze umanistiche. Mio padre credeva rigorosa-mente nell’incontro delle due culture. Una compensava l’altra, tant’è che Paolo Vol-poni è stato direttore del personale. Da ciò l’importanza del design per dare a prodotti tecnologici e all’azienda stessa una forma estetica”. E così fu: lo straordinario successo finanziario dell’Olivetti coincide con quello di immagine e la grafica Olivettiana viene conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo. Nasce lo stile Olivetti. Anche nel settore del design Adriano fu un precursore; il primo, a quei tempi, a considerarne l’importanza culturale. Il design è concepito come espres-sione di bellezza e quindi mezzo per elevare ad un senso superiore, le cose, le idee e le persone. Percepisce l’importanza e la sostanza culturale del design all’interno di un prodotto; comprende che il design costituisce l’anima e la sostanza dei suoi og-getti esprimendone la qualità con cui sono stati concepiti. Affida al design un ruolo centrale dicendo:

Xanti Schawinsky, Manifesto per la macchina per scrivere MP1,1935

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1. Innovazione e design nella storia

“I prodotti devono essere costruiti e poi ven-duti e quindi comunicati come prolungamenti di una certa concezione del lavoro e di una certa concezione dell’impiego concreto - da parte di donne e di uomini nella giornata di lavoro”.Il design italiano si impone in tutto il mondo e con esso lo stile Olivetti. Adriano sosteneva che “un buon congegno deve avere una bella forma ma una bella for-ma deve rispondere alle caratteristiche di un buon congegno”. L’Olivetti è stata l’azienda che maggiormente ha sfruttato il design sia per il successo dei suoi prodotti sia per la stessa comunicazione aziendale; tutto questo accadde quando ancora in italia non esistevano i designer, né le scuole di design. I designer in Olivetti venivano chiamati architetti perché non era ancora nata ufficialmente quella professionalità ma non era questa l’unica motivazione. Secondo Adriano - e qui arriviamo al punto centrale di questo approfondimento sulla vicenda olivettiana - non aveva senso che un designer sapesse disegnare prodotti senza prendere in considerazione l’ambiente sociale nel quale il prodotto si sarebbe collocato. I designer in Olivetti quindi lavorano a stretto contatto con i tecnici fin dai primi passi progettuali per dare un sen-so a ogni forma dal punto di vista comuni-

cativo, funzionale, ergonomico e tali scelte estetiche in tutte le fasi di progettazio-ne venivano considerate importanti quanto le scelte tecniche o gestionali. Per questo il designer non esaurisce le sue competenze nei concetti di bellezza formale e funzionale ma la sua professione raccoglie interessi e competenze legati ad un senso dell’estetica più articolata.

Olivetti intuì che il design non riguardava

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solamente l’industria ma in esso vivevano argomenti legati alla vita e all’uomo. Il compito del design è relazionare l’azienda con la vita normale di tutti i giorni in cui il prodotto incontra l’uomo. Il design deve combinare la produzione, le difficoltà produttive, di marketing con le aspetta-tive del mondo, della società, dell’uomo, della comunità. Il design diventa portavoce della filosofia dell’azienda, fuori di essa. “Dobbiamo far bene le cose e farlo sapere” diceva Adriano e l’azienda oltre a ricercare l’eccellenza e la qualità nei suoi prodotti, deve anche saper comunicare ed esprimere tali valori attraverso una forma ed un’immagine che fosse veicolo ed espres-sione reale dei valori della realtà aziendale. Questo veicolo poteva essere il design di una macchina per scrivere, l’architettura di uno stabilimento, l’arredo di un negozio, la grafica di un manifesto o il disegno di una pubblicità. Il termine “veicolo”, sinonimo di “mezzo”, testimonia nuovamente la vicianza ai suoi ideali di ricerca di verità e bellezza come mezzo per l’elevazione dell’uomo,

della società e quindi anche della sua realtà, la Olivetti. Il primo designer chiamato da Adriano nel 1938 è Marcello Nizzoli: pittore, grafico ed architetto che disegnerà per l’Olivetti calcolatori della serie “Summa” e “Divi-summa”, le macchine per scrivere “Lexikon 80” (1948) e “Lettera 22” (1950). Il design di Nizzoli segue forme morbide e vicine ai con-cetti di ergonomia d’uso e utilizza tecniche ancora oggi sfruttate come l’alleggerimento visivo delle forme attraverso l’uso di parti trattate con colori e materie diverse. Niz-zoli era aggiornato vicino alle avanguardie artistiche del suo tempo e le forme, i colori ed i dettagli dei prodotti da lui disegnati traducono la cultura artistica del suo tempo in oggetti d’uso comune. Nizzoli concepisce il design vicino al concetto di educazione in quanto attraverso gli oggetti ben progettati l’uomo e la società imparano a riconoscere le qualità di un prodotto e a godere del va-lore che tali strumenti regalano all’ambiente e a ciò che ci circonda. Il designer ha il compito di esprimere il valori intrinsechi

Marcello Nizzoli,macchine perscrivereLettera 22 (1950),Lexicon 80 (1948)

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1. Innovazione e design nella storia

dei prodotti, il senso delle loro forme, delle loro qualità e della loro bellezza.Nel 1952 il MOMA di New York dedica una mostra al design Olivetti e qui la Lexikon 80 verrà definita una “scultura” rivoluziona-ria che integra innovazione tecnologica ed eccellenza formale. La “Lettera 22” nel ‘54 vince in Italia il primo Compasso d’Oro isti-tuito dalla rinascente. Lo storico del design Maurizio Vitta scrive: “Nel 1952 il MoMa dedicò all’azienda di Ivrea una mostra che ne sanciva il primato nel campo dell’estetica industriale: la Lexikon 80 e la Lettera 22 entrambe disegnate da Marcello Nizzoli vi figuravano come esem-plari di bellezza garantita da una sofisticata struttura tecnica. In esse si sottolineava non solo la felice intuizione estetica, ma tutta una concezione progettuale che faceva perno sulla stretta relazione tra il modello produt-tivo e la sua espressione formale. La sostanza culturale del design ne divenne così l’elemento prorompente”Nel 1957 viene introdotto come responsa-bile del design dei prodotti Olivetti, Ettore Sottsass che fra gli altri disegna l’Elea 9003. Sottsass dimostrò un’acuta attenzione per i dettagli e proclamò il significato sociale che i prodotti assumevano ed in particolare la disinvoltura e la vivacità che i prodotti d’ufficio dovevano acquisire. Anticipò uno

stile di lavoro informale e più stravagante al quale oggi siamo abituati e ne sono un esem-pio alcune sue opere come la macchina per scrivere “Valentine”, rossa, lucida e vivace, per i giovani e sorprendentemente lontana dalle linee della macchine per scrivere in produzione, forse più serie e tristi. Venne definita da Giovanni Giudici “una Lettera 32 travestita da sessantottina”. Il periodo elettronico Olivetti si apre con l’Elea 9003 (1959), il primo grande elaboratore realiz-zato in Italia. Prodotto rivoluzionario ed in-novativo nella tecnica e nel design: Sottsass per soddisfare le esigenze di modularità e combinabilità di questo sistema complesso ricorre a una brillante soluzione di cablag-gio aereo delle varie unità. Rende gli elabo-ratori più snelli e visivamente leggeri e funzionali, allontanandoli dallo stile militare che avevano assunto in America. Olivetti percepisce la centralità del design all’interno e al di fuori della produzione industriale quando ancora il design non esisteva. Ha dato la possibilità a molte professionalità di esprimersi e sperimentare soluzioni creative e funzionali in un area che ancora non si era resa veramente conto di quanto fosse importante comunicare il senso e la sostanza di un oggetto. Olivetti ha spinto il design italiano all’eccellenza che lo ha reso e lo rende famoso tutt’ora in tutto il

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Ettore Sottsass jr,macchina per scrivereportatile,Valentine,1969

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1. Innovazione e design nella storia

mondo. Lui, i suoi designer, i suoi architetti e le persone di cultura che lavorarono in Olivetti offrirono un modello di lavoro che ancora oggi molti cercano di imitare. Si cerca di trarre degli insegnamenti da quel modo di fare che vedeva nel combinarsi di diverse culture e professionalità un valore inestimabile, una collaborazione necessaria per raggiungere il valore della bellezza e dell’elevazione dell’uomo nella comunità, nella società e nel territorio.Il design nasce come una disciplina fatta di processi e metodi che portano alla realizza-zione di artefatti e soluzioni a delle esigenze di natura diversa. Ma il design è prima di tutto cultura, che è quindi la cultura del design: etiche professionali e pensieri pro-gettanti che lavorano insieme per concretiz-zare artefatti e soluzioni che vivranno con-testi sociali che fin dall’inizio del progetto vanno considerati. Le innovazioni tecniche rivoluzionano e stanno rivoluzionando oggi lo stesso approccio al pensiero progettante, e gli schemi di relazione che portano alla realizzazione di un oggetto e pongono con-tinuamente gli studiosi di design di fronte a nuovi scenari e nuove problematiche da ri-solvere. Oggi il pensiero olivettiano sembra troppo distante e designer e azienda sono sempre più lontani l’uno dall’altra.

Nei prossimi capitoli vedremo come la modernità introdotta dalla cosiddetta rivoluzione elettronica abbia influenzato e rivoluzionato la cultura del design soprat-tutto in conseguenza alle nuove opportu-nità di connessione e social networking. L’avventura olivettiana viveva un momento storico lontanissimo da quello attuale, nella società, nella moda, nella cultura, nella po-litica e nell’economia ma davvero non può insegnarci nulla? Oggi che il design della comunicazione si trova di fronte a nuovi modelli e nuovi stru-menti deve davvero dire addio alla concezi-one di design come “sostanza cutlurale e portavoce della filosofia aziendale“?L’approfondimento su Olivetti non è stato inserito all’interno di questo studio allo scopo di elogiare una vicenda che per molti aspetti oggi non sarebbe comunque ripeti-bile. Nella consapevolezza che Olivetti sia stato una mosca bianca (già ai suoi tempi) ha voluto essere un stimolo per affrontare i discorsi che seguiranno in un’ottica ed in una visione di un design professionale, virtuoso, che nasce dalla cultura e genera innovazione.

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2 I N N O V A Z I O N E E D E S I G N

O G G I

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Per comprendere le complesse influenze, dirette o indirette, che la cultura del progetto contemporanea sta ricevendo dalle innovazioni odierne, era necessario uno sguardo al secolo passato in modo da coglierne le similarità nell’evoluzione so-ciale e progettuale. Questo viaggio attra-verso la Rivoluzione Industriale è stata un‘occasione per evidenziare quanto l’intro-duzione di nuove tecnologie e l’avvento di scoperte scientifiche applicabili influenzi la “cultura del progetto” generando nuovi schemi e possibili scenari. Nuovi metodi e nuove teo-rizzazioni del design sorgono

spontanee e risultano necessarie di fronte all’ingresso nei modi di produzione, e non solo, di tecnologie che esercitano un nuovo peso sulla società, sui consumi e, sulle abitudini. La Rivoluzione industriale, nella sua complessità di scoperte e di relazioni con industrie, artigia-ni, artisti, scuole e movimenti culturali ha reso evidente lo stretto rapporto tra tecnologia, innovazione e progetto, cultura e società. La meccanica ha influenzato la società del XX secolo così come la rivoluzione elettronica sta influ-enzando il XXI secolo generando nuovi linguaggi e nuove relazioni tra chi progetta,

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chi produce e chi consuma.“I Settori creati durante il Secolo Industriale non vennero rimpiazzati da quelli che getta-rono le fondamenta per il Secolo Elettronico... Ma le loro modalità operative vennero trasformate dalle rivoluzionarie tecnologie audio, video e informatiche. La combinazione di queste tecnologie industriali ed elettroni-che ha prodotto quella che è stata chiamata all’inizio del XXI secolo, la New Economy.”[Alfred D. Chandler, 2003] Con l’innovazione elettronica le aziende ad impostazione industriale si trovarono di fronte alla necessità di aggiornare le proprie modalità operative. Contemporaneamente si formarono nuovi modelli sociali e nuove dinamiche economiche che misero di nuovo in discussione il rapporto tra innovazione, progetto, consumo e società. Tali cambia-menti stanno avvenendo tutt’oggi ed è ne-cessaria una presa di coscienza da parte dei progettisti dei mutamenti portati da questa nuova rivoluzione elettronica.L’evoluzione di tecnologie di natura di-versa portano alla formazione di culture, atteggiamenti ed abitudini sociali diverse, le quali spesso richiedono adeguamenti progettuali coerenti a tali cambiamenti nelle connessioni, nelle modalità e nei ritmi. La differenza sostanziale tra quello che è stato il secolo industriale e quello che oggi è

il secolo elettronico quindi è da individuare nella natura della tecnologia e delle logiche opera-tive che li caratterizzarono. Andrea Branzi nel suo libro “Verso una modernità debole e diffusa” definisce il XX secolo come un secolo forte, “una lunga stagione di grandi ideologie, alimentate sempre da energie di trasformazione estreme e irreversi-bili”. Un secolo forte come “la meccanica: una tecnologia forte, basata sulla trasmis-sione del movimento attraverso l’attrito dei corpi e lo stress degli ingranaggi, interioriz-zata dall’uomo moderno e dalle sue macchine, viste come strumenti di lavoro, ma anche come motori perfetti per la trasformazione della storia del mondo.” [Andrea Branzi, 2006]Nel XX secolo le ricerche scientifiche mira-vano all’acquisizione di conoscenze assolute ed eterne di spiegazione delle problematichedella natura e dell’uomo nella fiducia di una modernità razionalista. La ricerca della macchina perfetta da parte delle produzio-ni industriali piuttosto che la definizione di sistemi di valori e teorie assolute nei manifesti delle avanguardie artistiche erano sintomo di una profonda fiducia nella ragione umana nel poter raggiungere una soluzione stabile ai problemi di una società stabile e meccani-ca. Zygmunt Bauman, definì il concetto di una “solida modernità”

2.1La NuovaModernità

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1. Innovazione e design oggi

(riferita al secolo industriale) [Bauman Z., 2000] in contrapposizione allo stato liquido della modernità attuale. Una modernità che sviluppa un atteggia-mento flessibile e che tende a seguire un flusso temporale di trasformazioni. Andrea Branzi definisce anche l’elettronica come “una tecnologia meno traumatica nei suoi rapporti con l’uomo rispetto alla vecchia meccanica, ma certamente capace di modi-ficare profondamente la logica del lavoro, dell’economia, della cultura e i rapporti tra le persone.” [Andrea Branzi, 2006]La nostra modernità è quindi diversa dalla cosiddetta modernità classica proprio per le differenze sociali in cui le due modernità si sono sviluppate. La modernità attuale, nata dalla rivoluzione elettronica e dalle conse-guenze sociali-economiche da essa introdot-te, si tratta di una modernità fluida. Una

modernità caratterizzata da un’incertezza sempre presente e dall’assenza di modelli generali e dall’assenza di una ricerca di questi modelli generali. Una modernità in continua evoluzione e ogni giorno attraver-sata dal nuovo; non più alla ricerca di solu-zioni definitive ma in continua evoluzione. La caratteristica che meglio definisce la modernità attuale è il “riformismo perma-nente”. Proprio per questa continua ricerca del nuovo il mondo del progetto si trova in una sorta di crisi permanente, risolvibile in una ricerca incessante che si adegua alla dinamica ininterrottamente fluttuante del mercato, dei consumi e della società. Il termine crisi è quindi utilizzato in senso positivo come premessa per uno sviluppo e per una crescita intesa come continuo ade-guamento al nuovo. [Andrea Branzi, 2006]

Illustrazione da“A third industrial revolution“,economist.com,21 Aprile 2012

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La new economy, anche detta net-economysi è diffusa a partire dagli anni ’80, da quan-do le nuove scoperte nel campo dell’ele-ttronica hanno portato all’introduzione di robot e di elaboratori elettronici all’interno del processo progettuale e produttivo in-dustriale, dalla gestione dei magazzini allo sviluppo dei sevizi del terziario. La profonda ristrutturazione organizzativo-tecnologica che le imprese dovettero affrontare portò alla dismissione di molti lavoratori e ad una forte riduzione del personale. Tale dismis-sione portò alla nascita di una nuova forma sociale parallela a quella classicamente con-siderata economia-società industriale.Una società dismessa fatta di addetti non più inseriti nelle logiche industriali di la-voro per una retribuzione salariale. Questa nuova società è caratterizzata da un atteg-giamento di profondo adattamento che si concretizza in una invenzione e reinvenzio-ne del proprio lavoro. Si genera una sorta di micro-imprenditorialità che spesso si inserisce con buoni risultati nel mercato, rivoluzionandone i canoni classici. I settori maggiormente toccati da questo fenomeno sono quelli che non necessitano alti costi di investimento iniziale come quello dei servizi o della moda e design. Questa nuova categoria guarda con entusiasmo alla tecno-logia elettronica ed informatica come ad

uno strumento-premessa di indipendenza lavorativa. Si genera quindi una rete spon-tanea di micro-imprenditori che testimonia la diffusione di energie imprenditoriali deboli ma diffuse. “Ricerca e innovazione microscopica, che non produce capolavori o invenzioni da premio Nobel, ma una spinta continua all’aggiornamento del mercato estetico ed elettronico, attraverso nuovi prodotti, stili, link, software, portali, servizi e imprese innovative”.[Andrea Branzi, 2006]Per questo Andrea Branzi introduce il concetto di un energia “debole e diffusa” che si sta diffondendo nel mondo del progetto e in generale nel mondo dell’impresa. Bisogna sottolineare che l’idea di debolezza da lui utilizzata per descrivere la modernità che ci circonda, non ha un valore negativo di inef-ficienza. Si riferisce piuttosto alle modalità e alle logiche con cui questa si diffonde, seguendo conoscenze e trasformazioni in-complete, imperfette, non concentrate e reversibili a differenza della modernità classica che seguiva logiche geometriche e rigide ricerche di valori assoluti e soluzioni stabili. La debolezza della nostra modernità non è quindi negativa ma necessaria poiché proprio per la sua duttilità e reversibilità è in grado di adattarsi ai flessibili mutamenti sociali, economici e culturali che oggi vivi-

2.2New Economye Business Art

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1. Innovazione e design oggi

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amo. La perenne innovazione è ormai di-ventata caratteristica della società ma anche ele-mento necessario delle strategie azien-dali che si muovono in un mercato ad alta saturazione. L’innovazione è l’unica energia che permetta ad un’azienda di affrontare il mercato e la concorrenza. La democratiz-zazione e la diffusione di una micro-impren-ditorialità così mutevole e spontaneamente portatrice di innovazione, unita a questa necessità di reinventarsi e rinnovarsi da parte delle aziende hanno fatto sì che alcuni grandi aziende dell’elettronica entrassero in relazioni con le comunità generatrici di questa ricerca e innovazione spontanea. La cosa interessante è che queste comunità non sono più solo le grandi centrali della ricerca tecnica e anche e soprattutto ricercatori indipendenti. Queste comunità non profes-sioniste sono caratterizzate dalla spontanei-tà nell’acquisire un problema ed impegnarsi a risolverlo secondo logiche non industriali o produttive ma riferite anche a concetti di

realizzazione personale. Le caratteristiche di queste comunità sono: l’utilizzo di metodi lavoro non tradizionalmente intesi profes-sionali ma più legati ad una spontaneità creativa; un sapere aggiornato ed innova-tivo; la totale indipendenza da qualsiasi tipo di organizzazione programmatica; utilizzodelle tecnologie più sofisticate a volte sfruttando la disponibilità a basso costo nel mercato del riuso. Questo atteggiamento non ortodosso è in tutti sensi un comporta-mento artistico, fondamentale nella nascita di queste imprenditorialità spontanee sem-pre alla ricerca di nuove soluzioni creative a nuove scenari commerciali. L’approccio artistico da sempre considerato marginale ed estraneo alle logiche industriali oggi è entrato in contatto con strumenti di indi-pendenza lavorativa nati dalle nuove tecnologie e dalla loro democratizzazione elettronica. Assume oggi un ruolo centrale nel mercato e nel mercato delle idee e quindi nel mondo del progetto come caratteristica di un nuovo atteggiamento imprenditoriale spontaneo, creativo, debole e diffuso. Di riflesso anche il design e i modi progettanti cambiano atteggiamento adattandosi ad una società che non può essere ridotta alla defi-nizione di una “società industriale” legata ai concetti di serie e consumo di massa di oggetti industriali ma che si sviluppa in modelli e schemi che cercano di sfruttare al meglio le nuove opportunità. La società del-la quale oggi il design si deve fare interprete relazionandosi con essa è una società carat-terizzata da un rinnovo permanente, in cui tutti ormai siamo a conoscenza delle logiche imprenditoriali e commerciali che muovo-no l’economia e di conseguenza tutti siamo

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1. Innovazione e design oggi

possibili imprenditori. Lo stretto legame tra singolo e società portano anche alla fusione tra persona e impresa. La realizzazione di sé è pensata secondo logiche industriali e viceversa, i concetti di profitto ed innovazi-one oggi sembrano legati a ad una ricerca personale, artistica, creativa e spontanea. Questi atteggiamenti sono frutto di una vera e propria interiorizzazione delle problema-tiche industriali che oggi ognuno di noi è cosciente di poter risolvere o per lo meno af-frontare sfruttando gli strumenti di demo-cratizzazione e di indipendenza lavorativa che la tecnologia ci offre. Nasce in questo contesto la Business Art: oggi l’innovazione si crea inventando e immaginando il nuovo nell’idea che il nuovo sia comunque un passo verso il meglio, perché nasce da una critica intelligente della situazione attuale. L’impresa ha bisogno dell’innovazione ed assume quindi connotazioni spontanee e creative e allo stesso modo il mondo della creatività ha fatto sue le logiche imprendi-

toriali e in quest’ottica immagina il meglio in una spontanea realizzazione di sé. Oggi l’arte e la capacità creativa non si inserisco-no come aiutanti di un processo produttivo in crisi permanente ma diventano compor-tamenti permanentemente necessari. Per la prima volta nella storia industriale la ric-chezza aziendale è prodotta dall’irregolare, dall’imprevisto e dal flessibile modo creativo e spontaneo, tipico del cosiddetta cultura giovanile, creativa. “L’artista e l’imprenditore non sono più figure contrapposte, perchè entrambi sono testimoni dell’attitudine individuale (attraverso stru-menti diversi) all’innovazione e al cambia-mento“ [Andrea Branzi, 2006]

Ad for Life Savers Candy, Andy Warhol1985

Marilyn Monroe’s Lips, Andy Warhol 1962

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Il passaggio da quella che abbiamo definito modernità solida alla modernità liquida del XXI secolo è stato dovuto all’introduzione delle scoperte digitali della rivoluzione elettronica. Il calcolo elettronico e il Web 2.0. La modernità solida, forte e concentrata del XX secolo è stata sostituita da una mo-dernità fluida, quella del XXI secolo. Ana-lizzando il modello industriale del secolopassato ci rendiamo conto dei limiti che questo aveva rispetto al modello attuale. I limiti del vecchio modello industriale erano quelli che gli economisti chiamano “barrie-re”. Era difficile diventare degli imprendi-tori e far vivere le proprie idee. Qualunque idea si potesse avere, se non la si produceva e distribuiva in massa non era possibile inserirsi nel mercato. L’imprenditorialità, quando nasceva, si concretizzava per lo più in piccole attività di mercati locali. Quelli che erano gli inventori, quelli che avevano delle idee, per realizzarle dovevano comun-que andare alla ricerca dei mezzi fisici della produzione e questo spesso coincideva con il vendere la propria idea alle grandi aziende di produzione e di distribuzione. Gli inven-tori erano costretti a perdere il controllo delle proprie realizzazioni all’interno del mercato capitalistico controllato dalle gran-di e pesanti aziende. Le aziende del modello capitalistico sono pesanti perché stiamo

parlando dell’industria meccanica fatta di materia e di atomi veri, fisici e pesanti anco-ra lontana dalla leggerezza dell’era digitale dei bit odierni. Tale pesantezza si rifletteva nelle caratteristiche di tale economia e delle cosiddette barriere d’entrata. Pesanti erano anche le conseguenze dei possibili fallimen-ti. Fallire nel capitalismo del XX secolo voleva dire fare bancarotta e perdere tutto andando in rovina. Oggi la nuova rivolu-zione introdotta dalle nuove tecnologie elettroniche unite all’avvento del Web han-no ribaltato questo scenario introducendo un nuovo modello economico rivoluzionato. Oggi l’individuo coincide con la figura di un possibile imprenditore poiché come abbia-mo già detto le logiche industriali ormai sono familiari a tutti e grazie alla democra-tizzazione degli strumenti di produzione ed invenzione, tutti abbiamo gli strumenti per creare e produrre le nostre idee. Oggi è viva l’idea per cui se hai un computer e una carta di credito puoi lanciarti nel mercato e i costi d’investimento iniziale non sono neanche minimamente paragonabili a quelli delle vecchie meccaniche industriali. Oggi fallire nel Web non vuol dire una disgrazia eterna. L’era del web ha liberato i bit ridisegnando strutture culturali ed economiche più leg-gere e spontanee ma non per questo meno complesse. Oggi tutti, non solo abbiamo

2.3Democratizzazionedegli strumenti

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1. Innovazione e design oggi

commercializzazione e produzione indus-triale liberando quella che oggi è definita “imprenditoria di massa”. Grazie al Web è stata introdotta per tutti la possibilità di condividere i propri lavori che diventano fonte di ispirazione per altri e opportunità di collaborazione. Le idee ed i progetti, una volta condivisi, diventano più grandi, più ambiziosi, acquisendo una maggiore velocità di sviluppo. Il computer amplifica le poten-zialità umane offrendo gli stru-menti per creare e diffondere le proprie idee velocemente.

fra le mani gli strumenti per trasformare un’idea in un prodotto o in un servizio ma con un click è anche possibile renderla globale. La liberalizzazione e la democratiz-zazione di tali strumenti sono la caratteri-stica principale della modernità fluida. La rivoluzione digitale ha permesso la nascita di un’infinità di micro-imprenditori, inven-tori che oggi non hanno più il limite di dover trovare i mezzi di invenzione, produzione e distribuzione delle proprie idee. Il modello di connessione fatto di reti e contatti globali ha democratizzato l’innovazione che oggi è ipoteticamente nelle mani di tutti e ha dato una forte spinta all’imprenditoria. La massa da consumatore ha fatto propri i concetti di

Impianto di raffreddamento,Google’s Douglas County, Georgia, data center.

Google servers,Council Bluffs, Iowa.

da wired.com

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Oggi come conseguenza della democratizza-zione degli strumenti di distribuzione, di produzione e diffusione di oggetti e idee stiamo assistendo ad un ritorno dell’arti-gianato e ad una nuova idea, più facile ed accessibile di autoproduzione. Nuovi schemi e modelli più fluidi che non sostituiscono chiaramente il modello di produzione industriale ma si affiancano come nuovo modo di concepire il design e il mondo della produzione. Possiamo parlare di un “artigianato digitale” che non si riferisce solamente al concetto di manualità, mate-rialità e “cura del fare” ma riprende princi-palmente una sorta di personalismo nella generazione e realizzazione di un’idea, che questa sia materiale o digitale. Si sta crean-do un nuovo equilibrio tra designer e artig-iano, o meglio nei loro atteggiamenti lavora-tivi. L’opensource, prima open software, poi open hardware hanno riportato nelle mani del singolo individuo la fase della produzio-ne oltre che quella dell’ideazione ma hanno anche ridato vita al senso della collettività e della veloce e facile condivisione. È proprio sul senso della collettività che vive mag-giormente il ritorno dell’artigianato e delle idee persona-listiche. La collettività è stata mangiata dalle produzioni capitalistiche e l’opensource, creando condivisione, ha in sé i presupposti per un’evoluzione parte-

cipativa di atteggiamenti spontaneamente collettivi. Nello scenario incombente di un’autoproduzione personalistica non si può non considerare la convivenza pos-sibile tra serialità e preziosi-tà dell’unico. L’autoproduzione secondo molti è una risposta naturale da parte di chi - spesso i giovani - non trova riscontro nell’industria. L’unione progettista-produt-ore si concre-tizza affiancandosi quindi alle modalità capitalistico-industriali senza sostituirle. [Chris Andreson, 2012]L’autoproduzione è un mezzo di ricerca libera, sfruttata anche da professionisti

2.4Democratizzazionee volgarizzazione

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1. Innovazione e design oggi

affermati che cercano di comunicare idee o soluzioni che l’industria nega o semplice-mente perché vogliono sentirsi liberi di far-lo, per passione. La formazione di nuove im-prenditorialità che partono dal basso e vivo-no nella condivisione e nell’autoproduzione ha dato certamente linfa vitale a nuove si-nergie di sistema e di progettisti. Generano nuovi percorsi che si inseriscono in scenari già consolidati e la cultura del design deve tenerne conto. I nuovi strumenti e le nuove opportunità digitali offrono la possibilità di essere contemporaneamente piccoli e globali, artigianali e innovativi, high-tech e low-cost. Kevin Kelly nel 2005, in una sua analisi del mondo contemporaneo, dichia-rò su Wired che entro una decina d’anni “tutti scriveremo il nostro libro, comporremo la nostra canzone e produrremo il nostro film”. La previsione di Kelly non fu errata in quanto come abbiamo visto la democra-tizzazione degli strumenti di produzione e pubblicazione, l’innovazione e la tecno-logia sta abilitando milioni di persone a produrre contenuti. Prima di quello che abbiamo chiamato “secolo elettronico”, l’informazione (nella forma di libro o di notizia) era un bene scarso. La produzio-ne e la distribuzione di informazioni era costosa e farla circolare fisicamente costi-tuiva un limite funzionale della complessa

industria culturale. Nel giro di pochi anni quel modello ha cominciato a vacillare incontrando i cambiamenti culturali e non, introdotti dall’innovazione tecnologica. Il nostro approccio all’informazione e alla notizia si è evoluto, cambiando radialmente nei modi e nei gesti. Abbiamo fatto amicizia con YouTube ad esempio e il giornalismo è legato oggi ai blogger e alla rete assumen-done certe caratteristiche. Ad esempio per il 2013 è stato stimato che si pubblicheranno tra i 10 e i 15 milioni di libri. Le previsioni dicono inoltre che nel 2016 i libri circolanti nel mondo saranno il doppio di quelli del 2011. Tale aumento è evidentemente dovuto all’introduzione di una nuova tecnologia e di nuovi modelli quali la facilità di produrre e distribuire e-book. Lo stesso discorso vale, ad esempio per la produzione e montaggio di video: fino a qualche anno fa uno studio di montaggio era una grande avventura imprenditoriale di decine di milioni di lire. Oggi troviamo software che consentono di fare produzione video, inclusi nei sis-temi operativi di computer, anche a basso costo. Clay Shirky scrive “La pubblicazione è diventata un pulsante”. Il bottone Publish su Amazon, il pulsante Post che si trova sui blog, o l’Upload di YouTube sono il passo che divide la creazione di contenuti e la loro distribuzione. Tecnicamente quindi tutti

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possiamo produrre e distribuire i contenuti ma quello che sembra mancare in questa de-mocratizzazione degli strumenti è il domi-nio dei linguaggi espressivi. Posso pubbli-care e mettere in vendita il mio libro ma non è detto che sappia scrivere, posso produrre facilmente un video ma non è detto che io sappia farlo. Anche qui internet svolge il ruolo di strumento di informazione e di distribuzione facilitata di conoscenza. Una formidabile comunità di pratiche. Si posso-no osservare i casi di successo, condividere dati, dare e ricevere consigli, si osservano i migliori e studiare tutorial. E così si impara e si cresce. Questa è una sorta di “volgariz-zazione della cultura” per cui il concetto di “alfabettizzazione” non si esaurisce più nella pratica del leggere e dello scrivere ma piuttosto del “navigare” e dell’essere in grado di raggiungere le informazioni e le conoscenze di cui abbiamo bisogno. Ma questo non basta. La democratizzazione degli strumenti ha portato allo sfogo della creatività spontanea e collettiva. Molti modelli come vedremo utilizzano questa energie per creare valore, generando schemi che spesso non tengono conto delle diverse criticità che tale democratizzazione porta come ad esempio l’abbassamento del livello di qualità e l’appiattimento dei talenti, e quindi dei contenuti e degli oggetti.

La stessa situazione accadde con l’introdu-zione di un’altra innovazione tecnologica totalmente rivoluzionaria. La stampa. La stampa non venne vista di buon occhio dagli amanuensi e per continuare il paragone con ciò che sta avvenendo oggi, il nuovo stru-mento, il libro, era visto come causa di una “volgarizzazione culturale”. La differen-za tra quell’innovazione ed evoluzione di modelli culturali e questa innovazione ed evoluzione di modelli culturali ab-biamo già visto quel è. La meccanica e l’elettronica: la ferraglia che stampava i libri ci ha messo secoli per cambiare la grammatica, la cultura e far nascere, ad esempio il pensiero scientifico moderno, l’enciclopedia e l’ordine delle conoscenze. Il secolo elettronico invece è nato da inter-net, dalle tecnologie elettro-niche e digitali che, molto più velocemente, hanno riscritto le regole dell’industria culturale offrendo nuovi modelli e nuovi atteggiamenti proget-tuali, produttivi e sociali. La rete consente a chiunque di immettere innovazione da ogni punto inserendosi nel “ciclo della rete” e i suoi “effetti del network”. L’innovazione offre la possibilità di fare cose nuove e in nuovi modi e l’innovazione che ha attraver-sato e sta attraversando il secolo elettronico permette di farlo in modo veloce e in condi-visione (condivisione di conoscenze e stru-

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1. Innovazione e design oggi

menti). L’innovazione del secolo elettronico è veloce e si autoalimenta nel “ciclo della rete”: persone condividono il proprio sapere portando innovazione e attirando altre persone in ciclo ad accelerazione costante. E’ anche vero che nuove soluzioni e nuovi modelli introducono nuove problema-tiche come quello dell’abbondanza di informazioni e di contenuti ridefinendo il nostro approccio a questi. L’abbondanza di informa-zioni influenza anche l’aspetto del valore dei contenuti che, da scarsi e costosi diventano abbondanti e accessibili. Tale

abbondanza porta ad una diminuzione del valore della cultura o meglio dei prodotti culturali e dei contenuti. Richard Nash, edi-tore americano, in un’intervista alla stampa nel 2012 ha dichiarato che “difficilmente nei prossimi anni si faranno i soldi vendendo i contenuti”. Oggi non possiamo sapere se è vero ma quel che è certo è che la cultura e l’approccio ad essa da parte di tutti sta cam-biando e che i nuovi mezzi e l’innovazione ci porta a pensarla e concepirla in modo diverso.

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La diffusione di strumenti digitali come ad esempio le webcam ha fatto sì che tutti potessero fare tutto, l’energia e l’entusiasmo spontaneo hanno portato milioni di persone a caricare video su Youtube. La stessa cosa è avvenuta e avviene con gli strumenti digitali di editing musicale, fotografico e di creazio-ne softwares. Per cui nasce la stessa spinta creativa anche nel campo della musica, della fotografia, dell’editoria o della creazione di software. Come abbiamo detto si tratta però di creazioni esclusivamente di tipo digitale ma è interessante, nonché doveroso sottoli-neare come oggi lo stesso fenomeno di de-mocratizzazione e conseguente nascitadi comunità spontanee stia toccando ancheil mondo delle forme fisiche grazie alla diffusione di nuovi strumenti quali stam-panti 3-D e Laser Cutter. Nasce il concetto di fabbricazione digitale che vede la sfera delle “cose reali“, mantenere le sue carat-teristiche di cosa fisica e reale ma assumere dei comportamenti fluidi e liberi, tipici della sfera digitale. La digitalizzazione dell’industria. Anche il creare cose diventa digitale e anche in questo caso grazie all’introduzione di nuove tecnologie e all’unione di tecnologie già esistenti. Ricor-diamo come il Web ini-zialmente venisse utilizzato solo da compa-gnie inserite nei settori media tecnologici. Venne poi demo-

cratizzato e reso accessibile a tutti grazie all’introduzione di nuove scoperte ed in-novazioni. La conseguenza fu un aumento massiccio dei partecipanti e dei creatori/inventori a tutto ciò che era digitale. Grazie ai mercati on-line come Amazon ed E-Bay la sfera del digitale cominciò a influenzare quella delle cose reali ma in realtà rivolu-zionò la distribuzione e non la produzione. Lo strumento che più di tutti testimonia l’avvento della fabbricazione digitale è il Laser Cutter. Per la sua facilità d’utilizzo e è lo strumento digitale utilizzato per primo. Il computer guida dei motori che direzio-nano su un piano xy un laser che può sia creare una linea sottile attraversando lastre di diversi materiali, dalla plastica a metalli, sia inciderli attraverso una variazione d’intensità. Il successo di questi strumenti digitali sono la semplicità d’utilizzo dovuta anche allo sfruttamento di due sole dimen-sioni infatti tutti siamo in grado di diseg-nare in 2D e una volta creato un disegno, un Laser Cutter può tagliarlo. Sono veloci, economici e silenziosi. Oggi diversi servizi online come Ponoko o Pololu permettono a chiunque di caricare i propri file in forma digitale 2D e offrono un servizio di assisten-za di controllo dei file per poi procedere al taglio laser sul materiale scelto. Qualchesettimana dopo le tue parti verranno

2.5Dai bit agli atomi

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1. Innovazione e design oggi

Finestre realizzatecon laser cutter,Eric Standley sovrap-pone centinaia di livelli di carta incisi al laser per creare intricate vetrate

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spedite direttamente a casa tua. Esistono poi stampanti 3-D come il MakerbBot Thing-O-Matic che è uno strumento di fabbricazione digitale molto simile ad una comune stampante a getto d’inchiostro. Anziché utilizzare l’inchiostro questi stru-menti, creano oggetti spruzzando un filo di plastica fusa spesso 0,33 mm che esce da bobine multicolore. Il MakerBot possiede quattro motori, 3 per regolare la posizione del getto di plastica (x, y, z) e uno per con-durre la plastica attraverso il riscaldatore. La parte elettronica si appoggia su un pro-cessore di tipo Open Hardware, Arduino. Tali strumenti saranno sempre più acces-sibili ed oggi il prezzo è di circa 1000$ per un MakerBot Thing-O-Matic. Le stampanti 3-D sono attualmente dove era la Macin-tosh di Jobs e la stampa laser era 25 anni fa. Oggi le stampanti 3D sono ancora costose e presentano molte limitazioni. Una stam-pante 3-D media è un cubo di 20x20x20cm e quindi può lavorare solo su oggetti di pic-cole dimensioni e lavorando comunque solo con alcuni tipi di plastica (Pla e Abs). Ma ricordiamo che ci troviamo nel bel mezzo della modernità e della società fluida, in continuo cambiamento e rinnovamento di sè e infatti questi limiti vengono continu-amente messi sotto pressione. Ad esempio l’ingegnere toscano Enrico Dini utilizza D-Shape riusciendo a costruire giganteschi prototipi di edifici utilizzando la sabbia. Op-pure l’azienda israeliana Objet che comincia ad realizzare stampe 3-D utilizzando mate-riali diversi. E’ questo un mercato in con-tinuo movimento per i moltissimi stimoli in-novativi che riceve ed in espansione poiché genera forti investimenti nelle tecnologie

che portano poi ad un abbattimento dei prezzi. Sappiamo quindi che questa tecno-logia migliorerà, divenendo più economi-ca come successe per la sua antenata (la stampa a getto d’inchiostro). Presto tutti prendere-mo confidenza con questi stru-menti così come abbiamo preso confidenza con la stampa oggi comune (tutti abbiamo in casa o in ufficio una stampante o comunque sappiamo dove trovarla e sfruttarla). Si svilupperanno e si stanno già sviluppando nuovi atteggiamenti stimolati dalle nuove possibilità della nuova democratizzazione degli strumenti. Oggi la nuova democratiz-zazione crea nuove tendenze progettuali e comunità, generatrici spontanee di in-novazione seguendo logiche progettuali, creative e non ortodosse. In questo scenario nasce tra gli altri il movimento dei Makers che è interessante analizzare per vedere in che modo, ancora una volta, l’introduzione di nuove tecnologie e lo sviluppo di nuove opportunità abbia portato a delle rivoluzioni nel mondo del progetto e della produzione.

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1. Innovazione e design oggi

3D Printer,MakerBot,Replicator 2,2012

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La nascita e l’accessibilità ai nuovi strumen-ti di fabbricazione digitale ha portato ad un entusiasmo spontaneo legato ad una sorta “fame di cose vere”: i nativi digitali comin-ciano a desiderare anche la concretezza tattile della vita oltre lo schermo. Gli atomi sono molto più soddisfacenti e gratificanti dei bit e sebbene un oggetto nasca prima sullo schermo, renderlo poi tattile e utile nella vita di tutti i giorni porta ad una maggiore gratificazione e autorealizzazio-ne. I “Maker” sono oggi definiti come un movimento culturale contemporaneo che ha le sue radici in un sentimento antico, istintivo e innato della natura umana: il desiderio di creare, modificare e riparare

oggetti reali. La caratteristica che distingue la categoria dei maker dalla pura azione del fare e creare è l’utilizzo di un’arma oggi a disposizione di tutti, il digitale. La democra-tizzazione di tutti questi strumenti porta alla nascita di tanti singoli Makers che, essendo connessi globalmente diventano un movimento ed un modo di fare. I makerspartono dall’idea del singolo artigiano, un inventore romantico che oggi, però, è in grado di sfruttare le nuove potenzialità del digitale ed è quindi in grado di trasformare i tradizionali modelli di business. Il movi-mento dei Maker è nato come uno sponta-neo movimento culturale che non ha come primo obiettivo un riscontro economico,

2.6Makers: nuovi strumenti/nuovi modelli

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1. Innovazione e design oggi

ma oggi comincia a cambiare la faccia della nostra economia, facendosi portavoce di un nuovo e naturale istinto imprenditoriale in-novativo secondo cui gli hobby diventano o possono diventare piccole aziende. L’atto del “Make” diventa motore per l’innovazione anche se non è quello il suo intento come atto spontaneo. “Quello che i Maker stanno facendo è portare lo spirito “do it yourself” online - creando in pubblico - il che introduce degli effetti di connessione su una scala di massa.” [Chris Anderson, 2012] Quando si connettono idee e persone queste crescono in un circolo virtuale in cui le per-sone creano più valore in un progetto ed il valore di un progetto attira a sé più parteci-

panti e più persone. Oggi esistono al mondo un migliaio di Makerspaces ossia dei luoghi di condivisione di conoscenza, attività e macchinari di produ-zione ad alta tecnolo-gia. E stanno aumentando. Sintomo di ques-ta grande crescita sono anche il successo di alcuni Maker’s Marketplaces online come Kickstarter, Quirky o Etsy. Quest’ultimo ad esempio è un portale web di compra-vendita dedicato a Makers e solo nel 2011 oltre un milione di venditori hanno incassato circa 0,5 miliardi di $. Il movimento dei Makers sfrutta e condivide strumenti digitali per progettare sullo scher-mo dei prodotti ed inviarli a macchine per la lavorazione. Sfruttano il web per condividere e diffon-

HOWTO MAKESTUFFS

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dere le loro creazioni e questo atteggia-mento diffuso e comune genera comunità. La filosofia che vive dietro il movimento dei makers e alla loro collaborazione spontanea è la stessa che stava dietro alla rivoluzionedei computer avvenuta a metà degli anni ‘80 e al fervore che ebbe Steve Jobs. Questa ispirazione nasce dalle teorie di un uomo Stewart Brand: emerso dalla cultura psiche-delica degli anni ‘60 promosse una visione della tecnologia come una forma della liberazione delle menti e dei talenti delle persone, una visione dell’innovazione

tecnologica come amica dell’uomo. Walter Isaacon, nella sua biografia di Steve Jobs descrive con queste parole il ruolo centrale di Brand nella nascita di quello che oggi è il movimento dei Makers: “La filosofia che stava sotto diceva che la tecnologia poteva essere nostra amica. Brand scrisse nella prima pagina della prima edizione (del suo “The Whole Earth Catalog”): sta nascendo un regno di intimo e personale potere del singolo individuo a condurre la propria educazione, trovare la sua ispirazione, realizzare il suo contesto e condividere la sua avventura con

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1. Innovazione e design oggi

chiunque sia interessato. Gli strumenti che aiutano questo processo sono promossi dal Whole Earth Catalog.” [Walter Isaacson, 2011] Questi principi oggi animano migliaia di Makerspaces che utilizzano gli strumenti del ventunesimo secolo per realizzare un certo tipo di rivoluzione economica e socia-le. L’idea di poter rivolu-zionare il mondo e l’economia con un’idea, un computer ed una connessione internet oggi è chiara a tutti. La straordinaria rivo-luzione nei modelli sociali ed economici classici si possono già riscontrare nella stessa natura dei Makers. Infatti, grazie ai nuovi strumenti di fab-bricazione digitale, non vi è più una distin-zione tra inventori ed imprenditori e la loro energia creativa reinventa la produzione. I Makers sono contemporaneamente inven-tori e imprenditori, imprenditori e produt-tori, artigianali e innovativi, low-cost e high-tech ma soprattutto sono allo stesso

tempo locali e globali. La differenza tra stampare uno ed essere un amatore (usando la nostra stampante) o stampare tanti ed essere un imprenditore (inviando a servizi di stampa aperti) dipende dall’opzione che scegliamo nel menu di stampa e da quanto vogliamo spendere. La struttura industriale del XXI secolo è fortemente influenzata dall’introduzione di questi strumenti nel processo produttivo poiché portano alla nascita di innumerevoli ma distinti impren-ditori, amatori e profes-sionisti che si inser-iscono nei processi progettuali e produt-tivi riscrivendone le regole. Le piccole aziende non hanno più barriere d’entrata che avevano prima della democratizzazione dell’innovazione digitale e produttiva. Oggi le piccole aziende vendono direttamente al cliente on-line. Anziché aspettare ordini dalle grandi industrie, oggi inventano i loro prodotti e anziché competere sul

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prezzo competono sull’innovazione che da una parte è ormai raggiungibile da tutti e dall’altra è divenuto l’elemento discrimi-nante per vincere la concorrenza. I makers sono mossi da atteggiamenti spon-tanei e spesso ricercano inconsciamente una gratificazione non di tipo economico dalle loro realizzazioni ma si inseriscono nel mer-cato per “perseguire la felicità” come disse il teorizzatore di questa “Economia felice”, Erik Hurst (Economista di Chicago). I makers sono possibili imprenditori co-scienti delle logiche e dei gusti del mercato perché ne fanno parte e in fondo realizzano ciò che loro stessi vorrebbero vedere sugli scaffali del supermercato. Un altro grande vantaggio dell’atteggiamento maker è che la variabilità, oggi progettabile e program-mabile diventando parte integrante anzi “valore necessario” nella catena di produ-zione. La produzione di massa e i modelli del XX secolo favorivano la standardizza-zione e la ripetizione e la variabilità era un ostacolo ed un limite nella produzione industriale meccanica. Oggi nell’ambiente digitale si è trasformato in un vantaggio poiché oltre ad essere ricercata dai con-sumatori della modernità fluida in con-

tinua ricerca del nuovo, è anche promossa e favorita dalle nuove possibilità dei nuovi strumenti: l’individualizzazione e la per-sonalizzazione dipende semplicemente dai codici e dai file caricati ma la varietà in sé è gratis e non costa niente di più alle mac-chine di fabbricazione. Il movimento dei makers è portavoce di un atteggiamento che rivoluziona profondamente diversi modelli sociali, progettuali, economici, industriali e culturali. Il termine makers fa riferimento in particolare al mondo degli oggetti reali ma il loro atteggiamento tocca ormai qual-siasi ambito. Si generano nuovi schemi e modelli d’interazione che hanno in comune le generazione di vere e proprie comunità virtuali che hanno lo scopo come abbiamo detto di generare gli effetti del network.

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1. Innovazione e design oggi

Abbiamo visto come la società venga influ-enzata dall’ingresso di nuove tecnologie ed innovazione e come di riflesso anche il mondo del progetto spesso debba adattarsi e assumere nuove forme e modelli. Abbiamo considerato come ultimamente vengano generati continuamente e sempre più spesso nuovi modelli e schemi d’azione proprio perché nascono da una tecnologia fluida e veloce che sta trasferendo queste carat-teristiche nei contesti in cui si sviluppa. Abbiamo visto come al centro degli ultimi modelli nati in relazione all’avvento delle scoperte digitali: del computer e della con-nessione web si trovi la stessa accessibilità e connessione e la generazione spontanea di comunità che generano cicli di valore in grado di autoalimentarsi. Gli schemi gen-erati dalle opportunità di social networking sono innumerevoli. Nella prossima sezione analizzeremo un modello che si appoggia proprio sull’apporto che queste comunità possono dare all’inter-no di diversi contesti. Il crowdsourcing. Considereremo il mod-ello generale per poi scoprire alcune realtà specifiche ed analizzare come questo nuovo modello e gli schemi d’azione che genera si sta inserendo nel mondo del progetto ed in particolare del design della comunicazione.

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3 C R O W D S O U R C I N G

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La collaborazione e la condivisione in sé in quanto modo di lavorare e di progettare non è una così poi grande novità in quanto alla base della cultura del design c’è pro-prio la condivisione, il teamworking e la co-creati-vità. Quello che sta cambiando è l’evoluzione dei comportamenti progettanti dovuti proprio all’unione tra concetto di co-working e i nuovi strumenti e modalità attraverso cui questo si può esprimere. La collaborazio-ne oggi passa per la rete, non sempre si esaurisce lì, ma viene sfruttata on-line per generare comunità ed innovazione. E‘ necessario introdurre un nuovo concetto:

il crowdsourcing, ovvero l’atteggiamento, che diventa concreto modello di business, per cui si decide di affidare la realizzazione di un progetto, o di una parte di esso, una sua modifica o miglioramento ad una comu-nità on-line che spontaneamente si dedica al raggiungimento di un obiettivo generando innovazione all’interno di quello che abbia-mo definito ciclo della rete. Il crowdsour-cing è essenzialmente un modello di produ-zione e risoluzione dei problemi che si basa sul valore generato dall’intelligenza collet-tiva di una comunità on-line e dal valore che questa può generare.

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Il termine “crowdsourcing” deriva dall’unio-ne delle parole “crowd” e “out-sourcing” e significa letteralmente “ester-nalizzare ad una folla”, ovvero affidare ad una community on-line la risoluzione di un certo proble-ma allo scopo di ottenere la risposta ad una domanda. La parola “crowdsourcing” è relativamente nuova, è stata coniata dal giornalista e autore di WIRED US, Jeff Howe nel 2006, “il lavoro non è sempre gratuito, ma costa molto meno di pagare i dipendenti tradizionali. Non si tratta di outsourcing, è crowdsourcing.“ [Jeff Howe, 2006]. Il concetto che vi sta dietro risale a secoli fa. Nel 1800, la prima edizione dell’ “Oxford English Dictionary” è stata in effetti realizzata in crowdsourcing da volontari che hanno contribuito inviando definizioni su fogli di carta che poi sono state raccolte e ordinate. Addirittura un secolo prima, nel 1715, il governo britan-nico promosse un concorso pubblico (The Longitude Prize) per ottenere una soluzione ad alcuni problemi di navigazione. Vinse un orologiaio di nome John Harrison. Quello che è cambiato sono essenzialmente i canali all’interno dei quali le organizzazioni e la folla interagiscono. Canali molto più veloci, accessibili e facili da gestire. Le organiz-zazioni che decidono di affidare ad una community esterna sotto forma di open call,

un’attività tradizionalmente svolta entro i perimetri aziendali si trovano di fronte ad una riduzione dei costi e alla possibilità di ricevere contributi in quantità non raggiun-gibili attraverso modelli tradizionali come ad esempio l’outsourcing.“Grazie al web .. Le aziende che si muovono ora possono sfruttare un pool globale di talenti, idee e innovazioni che supera di gran lunga quello che potevano sperare di produrre internamente“ Kevin Maney, autore di USA Today. Wikipedia è forse il sito più famoso basato sul modello del crowdsourcing e sul-la condivisione partecipativa e spontanea. Fondata dal’ ex-professore di filosofia Larry Sanger e dall’imprenditore Jimmy Wales, Wikipedia nacque con l’obiettivo di svilup-pare una enciclopedia gratis disponibile on-line. Chiunque può creare o modificare una delle centinaia di migliaia di voci che com-pongono l’enciclopedia on-line. Raccogliere e catalogare tutti gli articoli per la loro enciclopedia si rivelò essere un lavoro inter-minabile quindi decisero di percorrere una strada alternativa. Sfruttando un semplice software, chiamato Wiki - parola che deriva dal termine hawaiano che significa “veloce” - permisero ad altre persone di partecipare e contribuire. Nel gennaio 2001 Wikipedia si aprì alla folla e la folla rispose. In tre setti-mane, diciassette articoli vennero realizzati

3.1Definire il crowdsourcing

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3. Crowdsourcing

- Quando ci si affida ad una forza lavoro online per ottenere un aiuto nella risoluzio-ne di un compito;- Quando la conoscenza esiste ma è neces-sario un aiuto per raccoglierla ed organiz-zarla;- Quando si chiede alla folla un aiuto per trovare la soluzione ad un problema;- Quando si ha bisogno di idee dalla folla e delle loro opinioni e feedback.

CROWDSOURCING-

4strategie

Affidare la realizzazione di un progetto, o di una parte di esso, una sua modifica o miglioramento ad una comunità on-line che si dedica al raggiungimento di un obiettivo generando innovazione all’interno di una rete che unisce chi ha un’esigenza da soddisfare e chi ha i mezzi per offrire una soluzione

CROWDCREATION-

La produzione in massa di lavor i

creat iv i

CROWD WISDOM-

L’ut i l izzodi un’ inte l l igenza

col lett iva

CROWDVOTING-

I l f i l t ro e l ’organizzazione di molte informazioni

CROWDFUNDING-

L’ut i l izzo del portafogl io col lett ivo

del la fol la

Jeff Howedistingue 4 diversestrategie di crowdsourcing

da “Crowdsourcing: Why the Power of the Crowd Is Driving the Future of Business, 2008”

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dai partecipanti. Un mese dopo, 150 nuovi articoli vennero caricati ed entro la fine del 2001, Wikipedia aveva 15mila articoli. Oggi Wikipedia ha 30 milioni di articoli - circa 23 volte il numero di articoli contenuti nell’enciclopedia britannica. Chiaramente il discorso è molto più complicato in quanto il crowdsourcing è in realtà un modello ap-plicabile ad un ampio raggio di attivitàEcco la definizione di crowdsourcing data da Estellés Arolas, E.; González Ladrón-de-Guevara, F. « Il crowdsourcing è una tipolo-gia di attività online partecipativa nella quale una persona, istituzione, organizzazio-ne non a scopo di lucro o azienda propone ad un gruppo di individui, mediante un annun-cio aperto e flessibile, la realizzazione libera e volontaria di un compito specifico. La realizzazione di tale compito, di complessità e modularità variabile, e nella quale il gruppo di riferimento deve partecipare apportando lavoro, denaro, conoscenze e/o esperienza, implica sempre un beneficio per ambe le parti. L’utente otterrà, a cambio della sua partecipazione, il soddisfacimento di una concreta necessità, economica, di riconosci-mento sociale, di autostima, o di sviluppo di capaci-tà personali, il crowdsourcer d’altro canto, otterrà e utilizzerà a proprio beneficio il contributo offerto dall’utente, la cui forma dipenderà dal tipo di attività realizzata.”[Estellés Arolas, E.; González Ladrón-de-Guevara, F., 2012]Questa è solo una delle molte e diverse defi-nizioni del termine “crowdsourcing” ma ne coglie gli aspetti principali e dis-tintivi: il web come strumento di condi-

visione, il legame tra la comunità e chi ha una necessità da soddisfare, il valore generato dalla comunità e i benefici degli effetti del network. Tutte le definizioni del termine crowdsour-cing devono riportare questi elementi ma devono anche neces-sariamente rimanere generiche in quanto lo stesso concetto di crowdsourcing è in realtà un modello in continua evoluzione che si adatta generan-do diversi schemi a seconda dei diversi ambiti e settori in cui si inserisce, ognuno con i propri vantaggi e le proprie criticità. Sono proprio l’adattabilità e la flessibilità del crowdsourcing a renderlo un modello così forte, in grado di emergere in molte, differenti applicazioni. Come può essere utilizzato il crowdsourcing? Individuiamo 7 ambiti, modelli o strategie che si basano sullo schema del crowdsour-cing e sul valore generato spontaneamente dall’intervento in un processo delle comu-nità on-line: CrowdContent, Customer and commerce Service, Social, Crowdfunding, Crowdvoting, Open-innovation, Crowdcrea-tivity. Nei prossimi capitoli vedremo in che modo il crowdsourcing può essere utilizzato per generare valore in modo da avere una visione di insieme dei contesti in cui questo modello si può applicare fino ad arrivare a parlare del crowdsourcing applicato al mondo del design della comunicazione. La classificazione qui proposta cerca di essere lo specchio di una realtà molto più artico-lata, complessa. Tutti i progetti di crowd-sourcing che verranno presi come esempio infatti possono in realà appartenere con-temporaneamente a più aree applicative.

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3. Crowdsourcing

CROWDCONTENT

Il crowdsourcing si focalizza sullo sviluppo, condivisione, raccolta e gestione di contenuti, informazionie conoscenza.

CUSTOMER & COMMERCE SERVICE

Riguarda le generazione di community partecipative di consumatori attivi al fine di aumentare la fedeltà a un brand, ricevere feedback, generare servizi di customer care e supporto all’uso mantenendo alta la soddis-fazione dei clienti stessi.

SOCIAL

Il crowdsourcing applicato al sociale creando commu-nity di individui che partecipano a progetti di miglioramento nel campo della cultura, so-cietà, ambiente, sanità, politica.

CROWFUNDING

Basato su un processo collaborativo di un gruppo di persone che decide di utilizzare i propri soldi per trovare la soluzione ad un problema, realizzare un progetto o sostenere gli sforzi di altri.

CROWDVOTING

Prendere delle decisioni in base ai voti espressi dalla community. I prodotti che ottengono più voti sono quelli che passano una certa fase o vengono realizzati perché sono quelli che hanno più probabilità di piacere ed essere venduti.

OPEN-INNOVATION

Si generano laboratori di ricerca basati su un’intel-ligenza collettiva in cui si scambiano si scambiano intuizioni, interpretazioni e proposte.

CROWDCREATIVITY

Per generare e raccogliere sulla stessa piattaforma contributi e soluzioni nel campo della fotografia, della grafica, dell’advertising, del design, della moda o della musica.

L’aquila 3DLife in a dayiStockphoto

Stra

tegi

e e

mod

elli

IdeaStormCrowd4CareEtsy

Pazienti.orgChange.org

Local MotorsSartupBusiness

FormabilioInnocentive

QuirkyThreadless

ZooppaUserfarm

Kickstarter

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In questo primo caso il crowdsourcing si fo-calizza sullo sviluppo e condivisione di con-tenuti, informazioni e conoscenza. Le appli-cazioni variano dal questions&answers, alle recensioni, fino al citizen journalism.Progetto interessante è L’Aquila 3D dell’architetto Barnaby Gunning. Il pro-getto, partito nel 2010 prevede la raccolta di fotografie utilizzate per una ricostruzione virtuale della città dell’Aquila, direttamente ideata dalla cittadinanza. L’obiettivo del progetto di modellizzazione “L’Aquila 3D” è quello di creare una rappresentazione tridi-mensionale completa della città danneggiata

dal terremoto. Con il supporto di Google, centinaia di volontari aquilani e non, si sono impegnati nella fase di raccolta d’una impo-nente quantità di fotografie (oltre 600mila) della città, scattate per ogni suo immobile. Le foto sono state successivamente calate nel progetto con la collaborazione di model-latori 3D intervenuti on line da ogni parte del mondo. Nel giro di due anni i volontari, hanno collaborato nel modellare diverse migliaia di edifici nel centro della città. Oggi il lavoro prodotto è direttamente visibile su Google Earth. Il progetto non sarebbe stato possibile senza la collaborazione spontanea

3.2Crowd-content

da Wired.it“L’Aquila rinasce in 3D“,29 settembre 2010

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3. Crowdsourcing

di centinaia e centinaia di volontari, on-line e non, che hanno caricato e selezionato le foto utilizzate poi per la modellazione 3D della città. «Il nostro progetto crea una documentazione che evolve con la città e lo fa in modo visuale, senza bisogno di scartabel-lare documenti, tutto è immediato e disponi-bile a tutti», racconta al Corriere della Sera l’architetto: «Al MIT presenterò un viaggio virtuale nella città che poi renderò disponibile in Rete, così tutti potranno vedere in quali condizioni versa la città. Perfino chi vive lì non sa come è ridotta la sua casa, non può passare le numerose transenne che bloccano le strade senza prima aver richiesto numerosi permessi.» [Barnaby Gunning, 2013]Obiettivo puramente creativo è invece quello che sta dietro al progetto “Life in a Day” nato proprio grazie al crowdsourcing e alla possibilità di raccogliere in poco tempo una quantità enorme di materiali e contenuti generati da una comunità che in questo caso è la comunità di YouTube. Life in a Day può essere considerato il primo esperimento di social filmmaking, si tratta infatti di un lungometraggio realizzato gra-zie al contributo di migliaia di videoamatori provenienti da ogni parte del mondo. Nella giornata del 24 luglio 2010 i partecipanti a questo ambizioso progetto sono stati invitati a postare sul canale dedicato di YouTube un

video che raccontasse la loro giornata, un dettaglio del quotidiano, un avvenimento importante o semplicemente una narrazione di quello che era stato il loro sabato 24 luglio 2010. I filmati raccolti e selezionati, 1.125 su oltre 80.000 caricati sul canale, sono stati montati fino a diventare un vero e proprio lungometraggio che documenta la vita sulla Terra, in un giorno, da diversi punti di vista. Il progetto di crowdsourcing cinematogra-fico è stato realizzato dalla casa di pro-duzione di Ridley Scott in collaborazione con Youtube, Sundance Institute, National Geographic e il regista Kevin Macdonald. Il crowdsourcing permette dunque di rac-cogliere una vasta quantità di contenuti e materiali di diverso tipo da una folla che li genera spontaneamente in un rapporto tem-po impiegato/quantià di materiali vantag-giosissimo rispetto a qualsiasi altro modello. La raccolta di materiali può essere una fase di un progetto più ampio come nel caso di “Life in a Day” in cui il crowdsourcing non è sufficiente per realizzare l’intero progetto in quanto i materiali raccolti andavano suc-cessivamente visionati, classificati, filtrati e montati. In altri casi la stessa raccolta di materiali e contenuti può costituire l’anima di un progetto e la comunità è in grado di filtrarli correggerli segnalarli ed eliminarli come nel caso di Wikipedia

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3. Crowdsourcing

o di IStockphoto. iStockphoto è un fornitore on-line di materiale fotografico royalty-free , fondato da Bruce Livingstone nell’aprile del 2000 ed è stato acquistato nel febbraio 2006 da GettyImages per 50 milioni di dollari. La piattaforma offre una vastissi-ma collezione di fotografie (ma anche illustrazioni, formati vettoriali e materiale audio e video) che sono state fornite da più di 50 mila fotografi e grafici. iStockphoto a sua volta rivende queste immagini a prezzi stracciati operando secondo il modello dei micro-pagamenti. Il costo delle immagini varia a seconda della dimensione, da un minimo di 1$ a centinaia di dollari seguendo un sistema di pagamento basato su crediti. Il mondo della fotografia è uno dei settori che più è stato rivoluzionato dalle nuove opportunità e dai modelli basati sul crowd-sourcing. Basta pensare che oggi sono 140 miliardi le fotografie caricate su Facebook. Fino al 2000, erano state scattate 85 mil-iardi di fotografie. Oggi siamo arrivati a 3,5 trilioni con 250 milioni di upload giornalieri su Facebook e 40 milioni su Instagram. iStockphoto e rivoluziona totalmente il mercato della fotografia professionale: a differenza dei professionisti, chi vende foto su iStockPhoto non ha bisogno di incassare migliaia di dollari l’anno per vivere: 100 dollari extra sono sufficienti. Si generano quindi dei prezzi imbattibili coi quali i pro-

fessionisti non possono competere. E’ quello che è successo a Mark Harmel, fotografo freelance di Manhattan. Harmel viene con-tattato da Caludia Menashe che ha bisogno di foto di gente ammalata per un progetto del National Health Museum di Washington DC, USA. Decide di non utilizzare le foto d’archivio e si affida dunque a Mark Harmel , specializzato in foto legate al settore salute e medicina. Il budget era molto basso quindi il fotografo decide di far pagare le sue foto la metà di quanto avrebbe chiesto ad un cliente qualunque, circa 100 dollari a foto. Dopo settimane di lavoro, la Menashe scrive a Harmel una mail di scuse dicendo che le foto non sarebbero servite più: “ho scoperto un sito, iStockPhoto, che vende foto ad un prezzo abbordabile”. La Manshel acquistò dunque 56 foto a circa 1 dollaro l’una. Harmel dichiarò in un intervista tratta dal libro Masse Creative “Posso negoziare le mie tariffe finché si vuole ma come faccio a competere con un dollaro?” [Jeff Howe, 2006]Ecco come la democratizzazione degli strumenti e i nuovi modelli rivoluzionano il mercato e i processi consolidati di alcuni settori. Cominciamo a notare come il crowdsourcing non sia un modello positivo proprio per tutti e come anche questo pre-senti delle criticità che vanno considerate ed affrontate.

Composizione di snapshot tratti da Life in a Day, www.youtube.com/lifeinaday

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Riguarda il rapporto tra azienda e cliente e le generazione di community partecipa-tive al fine di aumentare la brand-loyalty, ricevere feedback, migliorare il servizio attraverso la co-creazione di un valore con-diviso nelle fasi di vendita e post vendita. Attraverso la partecipazione di un vasto gruppo di consumatori attivi si possono generare servizi di customer care riducendo significativamente i costi ma mantenendo allo stesso tempo alta la soddisfazione dei clienti. Sempre più spesso le aziende decidono di sfruttare il crowdsourcing e le opportunità di social networking per generare questo tipo di comunità come ad esempio Dell, società statunitense, tra i più importanti produttori di personal computer,

e la sua IdeaStorm. IdeaStorm è un sito che permet-te agli utenti di proporre le proprie idee e di giudicare, votare e commentare quelle altrui ed è legato al servizio clienti Dell. La piattaforma ha lo scopo di generare una comunità virtuale di appassionati e cli-enti Dell per aumentarne la fedeltà al brand e per creare valore migliorando il livelli di assistenza clienti e supporto all’uso dei prodotto Dell fino quindi ad aumentare la customer satisfaction. I membri della comu-nità possono condividere e proporre idee in grado di influenzare lo sviluppo dei prodotti e dei servizi Dell. Attraverso il crowdsour-cing e grazie ai suggerimenti pubblicati su Idea-Storm, Dell può individuare i punti deboli e i settori che hanno bisogno di un

3.3Customer & CommerceService

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3. Crowdsourcing

miglioramento e riesce quindi a identificare i prodot-ti o i servizi su cui concentrarsi maggiormente in base alle richieste dei membri della community on-line. Questi infatti voteranno e commenteranno le idee e i progetti che loro stessi vorrebbero trovare sul mercato in quanto loro non sono altro che un campio-ne di clienti Dell. In questo modo vediamo come IdeaStorm risulti es-sere anche un ottimo strumento di analisi di mercato e delle tendenze. Il presidente Dell e CEO Michael Dell in occasione del lancio di IdeaStorm ha dichiarato: “Noi ascoltiamo, impariamo e poi miglioriamo e innoviamo sulla base di ciò che i nostri clienti vogliono. E’ uno dei veri vantaggi dell’essere una com-pagnia diretta”.

Lo stesso discorso vale ad esempio per il VodafoneLab di Vodafone dove una co-munità composta da più di 100.000 utenti costituisce il piu grande progetto di cos-tumer care d’Italia. Crowd4Care invece è un’applicazione pensata per le esigenze di un customer care aziendale, che coinvolge i clienti esistenti o collaboratori esterni nel processo di assistenza. Sviluppata dalla Start-up, CrowdEngineering propone un nuovo approccio al crowdsourcing, portan-do all’interno dell’ambiente aziendale nuovi strumenti. La sua vision è di sfruttare il Web collaborativo e le capacità di produzi-one delle folle distribuite, per migliorare il controllo della qualità e la gestione dei processi. Le imprese che si affidano a

da www.ideastorm.com

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CrowdEnginee-ring hanno la possibilità di configurare e gestire i servizi di crowd-sourcing, capaci di estendere i benefici di questo modello ai più importanti processi aziendali “... L’innovazione è guidata da parte degli utenti finali di tutti i giorni... Oggi, sempre di più l’innovazione viene da miriadi di hobbisti e appassionati che si tro-vano ai bordi del sistema...”- Geoffrey Koch, senior manager di IntelSolution Service.All’interno di questa categoria rientrano an-che le realtà di Social Commerce che per-mettono a chiunque di vendere i propri og-getti raggiungendo più velocemente e più facilmente il cliente in quanto, come abbia-mo visto nel caso dei makers, la distinzione tra locale e globale non è più così netta gra-zie al web e alle reti sociali on-line. Le piat-taforme più famose sono E-Bay e Amazon.com ma ne esistono molte legate ad una par-ticolare community come ad esempio Etsy.com che nasce rivolgendosi ad artisti, stil-isti, designer, artigiani, appassionati del fai-da-te, i makers insomma, fino a diventarne il principale marketplace. Lanciato nel 2005

Etsy oggi ha più di 15 milioni di membri, con le vendite del 2011 ha generato circa mezzo miliardo di dollari. Le stime dell’aprile 2012 dicevano che stava vendendo 65milioni di dollari al mese in prodotti da 875 mila ven-ditori a 40 milioni di visitatori da ogni parte del mondo. Su Etsy vengono venduti pro-dotti fatti a mano, una sorta di Arts&Craft su larga scala. Ogni prodotto è realizzato da una persona infatti la regola per inserirsi nel mercato online di Etsy è che tutto deve essere in qualche modo fatto a mano ma questo non esclude l’utilizzo di strumenti di produzione nella realizzazione del prodotto. Etsy si inserisce nella ricerca generazionaledi un individualismo e di un’autenticità per cui si tende a dare più valore alle cose reali fatte da persone reali, piuttosto che a prodotti pre-confezionati da aziende. A differenza delle piattaforme di crowd-sourcing Etsy non aiuta i makers nella realizzazione dei loro prodotti ma offre un modo semplice per venderli. Coloro che decidono di vendere un prodotto su Etsy non cercano semplicemente un guadagno

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3. Crowdsourcing

economico ma cercano un pubblico ed un riscontro in qualcosa che per molti di loro è un hobby, un’arte. Per gli altri, quelli che vogliono creare un piccolo business, Etsy è un modo per iniziare ma non è una buona piattaforma per la crescita. Etsy però si sta muovendo anche in questa direzione e seb-bene intenda rimanere un marketplace per artigiani e crafters, vuole diventare anche un luogo per quegli imprenditori che utiliz-zano una produzione “in stile Makers” per far crescere la loro attività. Sebbene ci sia questa intenzione le radici che Etsy vuole mantenere sono quelle riferite alla singola

persona che sta dietro al singolo prodotto. Etsy è piuttosto uno strumento di promo-zione, distribuzione e di vendita del pro-dotto. E’ infatti possibile mettere mi piace e condividere, twittare e postare ogni singolo prodotto sui principali social networks e inoltre è possibile contattare personalmente la persona le cui mani stanno dietro ogni singolo prodotto per chiedere informazioni sulle caratteristiche o sempli-cemente per complimentarsi della sua realizzazione.

Immagini“what can you sell“ e “grow your indipen-dent creative business with Etsy“,da www.etsy.com

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Il crowdsourcing per la sua stessa natura si applica al sociale creando community di in-dividui che partecipano a progetti di miglio-ramento nel campo della cultura, società, ambiente, sanità, politica. Pazienti.org è la trasposizione italiana di Patient Opinion: un portale che offre informazioni dettagliate su tutte le struttu-re sanitarie italiane. Ogni ospedale, clinica privata o ambulatorio pos-siede una pagina dedicata dove è possibile consultare le informazioni sulla struttura, le opinioni degli altri pazienti ed inserire in forma anonima la propria esperienza o quella dei propri cari. Pazienti.org funge così da canale comunicativo tra il mondo della sanità e i cittadini. Le strutture sani-tarie, infatti, hanno la possi-bilità di rispon-dere alle storie pubblicate dai pazienti e di apportare (e in seguito comunicare) così le migliorie necessarie per andare incontro alle esigenze dell’utenza. ePart è invece un portale web che consente ai cittadini di segnalare disagi e disservizi presenti nel proprio Comune. Realizzatoda Posytron Engineering, una società di consulenza tecnologica, nasce con l’obiet-tivo di facilitare e semplificare la gestione partecipativa degli ambienti urbani e consentire ai cittadini di interagire con l’amministrazione pubblica segnalando i disservizi che incontrano sul territorio.

Dallo stesso portale è possibile seguire lo stato dei lavori fino alla risoluzione del pro blema. I comuni che decidono di acquistare ed affidarsi al sistema di ePart, possono gestire, e monitorare segnala-zioni dei citta-dini, informandoli sullo stato di avanzamen-to dei lavori in modo tempestivo. Change.org è una piattaforma on-line di campagne sociali, fondata nel 2007 negli Stati Uniti. Sulla homepage della versione italiana si legge “La piattaforma di petizioni. Che cosa cambierai?“, infatti chiunque può pubblicare una petizione. Ogni giorno 500 petizioni vengono lanciate da migliaia di persone che utilizzano gli strumenti messi a dispo-sizione da Change.org per trasformare le proprie comunità, a livello locale, nazionale e global. Le petizione sono di diverso tipo; ecco alcune delle vittorie: in Italia, il film di Bill Emmott “Girlfriend in a coma”, la cui anteprima prevista al MAXXI era stata an-nullata, è stato trasmesso da Sky. In Francia, la France Télévisions ha accettato di seguire i Giochi Paralimpici dopo che oltre 21.000 persone hanno firmato la petizione lanciata su Change.org. In America, una petizione dal titolo “Perseguire l’assassino di nostro figlio Trayvon Martin, 17 anni” ha raggiun-to un risultato senza precedenti con oltre 2.2 milioni di firme raccolte.

3.3Social

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3. Crowdsourcing

Il crowdsourcing può essere applicato per raccogliere fondi e finanziare nuovi pro-getti prendendo il nome di crowdfunding. Vengono raccolte delle micro donazioni da un vasto numero di sostenitori. Crowdfun-ding è un termine che deriva dall’inglese crowd, folla e funding, finanziamento e si riferisce ad un processo collaborativo di un gruppo di persone che decide di utilizzare i propri soldi per trovare la soluzione ad un problema, realizzare un progetto o sostene-re gli sforzi di altri. “Il Crowdfunding non dipende dalla conoscenza, energie creative, o giudizi della folla. Esso si limita a toccare la sua riserva di dollari, sterline o pesos. Il crowdfunding ha in comune con le altre forme di crowdsourcing molto più di ciò che sembra. Innanzitutto, essa rivoluziona radicalmente l’organizzazione di un campo esistente. Appiattisce le gerarchie, collegando diretta-mente le persone con i soldi alle persone che ne hanno bisogno. Inoltre il crowdfunding condivide l’impulso generalmente democra-tico del crowdsorcing” [Howe J., 2008]Un gruppo di persone, potenziali clienti di un prodotto, si impegnano a support-are collettivamente un progetto, offrendo il denaro necessario alla realizzazione di quel prodotto. Il crowdfunding è un atteg-giamento che si concretizza in una vera e propria strategia di mercato e che può rivol-

gersi a qualsiasi tipo di progetto, al sostegno dell’arte, alla beneficenza collettiva fino a diventare un esempio di finanziamento ed imprenditoria di nuova generazione. Ad esempio Barack Obama ha reso noto il crowdfunding, pagando parte della sua campagna elettorale con i soldi donati dai suoi elettori, i quali in effetti si possono considerare possibili clienti, o meglio, in questo caso, primi portatori di interesse. Allo stesso modo il Louvre attraverso l’iniziativa “Tous Mecenes” (tutti mecenati) si proponeva di raccogliere attraverso una partecipazione di crowdfunding da parte delle web community di 1 milione di euro per comprare il capolavoro di Carnach, “Le tre grazie” da un collezionista privato. Kickstarter è una delle piattaforme online che vivono sul concetto di “crowdfund-ing”: gli utenti postano descrizioni dei loro progetti e chiunque può contribuire alla realizzazione finanziandolo. Anziché fare semplicemente una donazione, coloro che contribuiscono essenzialmente pre-ordina-no il prodotto quando danno un contributo oltre una certa cifra. Non è possibile trarre un guadagno immediato “investendo” sui progetti Kickstarter ma “supportando” un progetto si riceve in cambio una ricompensa come può essere una lettera personale di ringraziamenti, t-shirt personalizzate, una

3.4Crowdfunding

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cena con un autore, il collaudo del primo prodotto, uno sconto sull’acquisto del pro-dotto. Il modello di Kickstarter è rivoluzio-nario poiché evita le tradizionali strategie di investimento sfruttando i nuovi canali. I creatori, quando inseriscono il proprio pro-getto su Kickstarter, scelgono una data di scadenza e un minimo di fondi da raggiun-gere. Il denaro impegnato dai donatori viene raccolto tramite Amazon Payments. Se l’obiettivo non viene raggiunto entro la data scelta, tutti coloro che hanno impeg-nato il proprio denaro vedranno le proprie carte di credito ricaricate. A differenza di molte altre piattaforme di crowdfunding, Kickstarter non reclama nessun diritto di proprietà sui progetti e sulle opere prodotte. I progetti lanciati sul sito però vengono sempre archiviati e rimangono accessibili al pubblico anche dopo che il finanziamento è stato completato.

Per quanto riguarda il guadagno Kickstart-er ottiene il 5% dei fondi raccolti mentre Amazon addebita un ulteriore 3,5% sul totale. Nuovi modelli e nuovi processi, po-tenzialmente nelle mani di tutti. Curioso è il caso di Alex Andon. Dopo essersi laureato in biologia nel 2006 decise di aprire una piccola attività aziendale nel garage di un amico coltivando una passione che lo aveva affascinato fin da piccolo: le meduse. Decise di costruire delle vasche che potessero contenere meduse poiché questi animali non possono essere messi in un normale acquario. Quello che succederebbe sarebbe che le correnti spingerebbero le meduse verso le pareti e gli angoli dell’acquario ed in particolare verso il punto di aspirazione della pompa. Alex Andon chiamò la sua attività “Jellyfish Art” e offriva speciali acquari, modificati con pompe speciali e particolari sistemi di correnti che tenevano

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3. Crowdsourcing

le meduse lontane dalle pareti. L’acquario ebbe successo e divenne popolare e la moda degli affascinanti animali crebbe inaspet-tatamente, quindi Alex decise di proget-tare un acquario nuovo di zecca. Il nuovo design presentava un nuovo sistema di filtrazione dell’acqua per non intrappolare le meduse nella corrente e un sistema di illuminazione LED a colori regolabile at-traverso un telecomando, inoltre il nuovo acquario era piccolo abbastanza da poter stare su una scrivania. L’avventura nella quale si stava buttando voleva dire entrare in un sistema di distribuzione a scala, il che non era certamente economico. A questo punto l’imprenditore tradizionale avrebbe cominciato a cercare finanziamenti di tipo bancario ma Alex Andon decise di affidarsi a Kickstarter. L’obiettivo che inserì era di 3000$ in 30 giorni e per coloro che avreb-bero donato più di 350$ sarebbero stati

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i primi ad ottenere l’acquario una volta disponibile e ad un prezzo inferiore ris-petto ai normali clienti. Se Alex non avesse raggiunto la cifra di 3000$ in trenta giorni nessuno avrebbe dato i soldi impegnati e lui avrebbe dovuto cercare un nuovo tipo di finanziamento. L’acquario per meduse raggiunse l’obbiettivo in meno di 24 ore e continuò sempre di più grazie al passaparola e alla condivisione e una volta raggiunto il trentesimo giorno il progetto di Alex aveva raggiunto finanziamenti per una somma di più di 160 000 $ e 330 persone pre-ordinarono l’acquario. Con il modello del crowdfunding on-line Alex e come lui molti altri che hanno seguito il suo modo di agire ottennero finanziamenti per cominciare la produzione e distribuzione delle loro idee, ordini garantiti, e la sicurezza che il mer-cato sarebbe stato interessato a quello che avrebbero creato. Tutto ciò senza rinunci-are alla propria società e indebitarsi ma postando un video e la descrizione dellapropria idea su un sito internet. [Chris Anderson, 2012] L’atteggiamento spontaneo degli sponsor che decidono di supportare un progetto che ancora non esiste genera gli effetti del network ed è alla base del successo di Kickstarter. Secondo le stime effettuate il 22 agosto 2012 il numero dei progetti lanciati su Kickstart-

er era 68224 con una percentuale di suc-cesso del 44,01%. I progetti completati con successo avevano raccolto finanziamenti per un totale di 275 milioni di dollari. Il 9 febbraio 2012 il progetto di Casey Hopkins, una docking station per iPhone, fu il primo progetto a superare il milione di dollari di finanziamento. Lo stesso giorno i finan-ziamenti per il gioco per computer Double Fine Adventure, progettato dagli svilup-patori Double Fine Production raggiunse il milione di dollari in meno di ventiquattr’ore e terminò il suo periodo su Kickstarter con oltre tre milioni di dollari. Il progetto più

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3. Crowdsourcing

finanziato nella storia di Kickstarter è il Pebble E-Paper Watch per IPhone e An-droid realizzato da Pebble Technology, che raccolse 10.266.845 $ e 85.000 pre-vendite. Come scrive Chris Anderson nel suo libro “Makers: The new industrial revolution” Il modello introdotto da Kickstarter risolve alcuni grandi problemi degli imprenditori:innanzi tutto questa piattaforma anticipa i ricavi, facendoli arrivare esattamente quando servono alle startup, ossia all’inizio di un’avventura imprenditoriale. Investire in un progetto da parte di chi lo ha realiz-zato vuol dire spendere soldi per lo sviluppo

del prodotto, l’acquisto degli utensili, delle attrezzature e per la produzione; spese che rientreranno quando effettivamente il prodotto verrà venduto. Kickstarter trasforma queste vendite in pre-vendite e l’imprenditore ottiene i soldi esattamente quando ne ha bisogno, quando deve inve-stire, senza dover chiedere un prestito o indebitarsi. Kickstarter come molte altre di queste piattaforme genera una sorta di aggregazione sociale che va ben oltre la semplice distribuzione o vendita di un pro-dotto. Kickstarter trasforma i clienti in una comunità: finanziando e quindi sostenendo

Alex Andon,Desktop Jellyfish Tank;Pebble Technology,Pebble: E-Paper watch;Casey Hopkins e Elevation Lab, Elevation Dock.

Progetti da www.kickstarter.com

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PARTICIPATIONIS THE NEWBRAND LOYALTY

Yves Béhar, Founder of Fuseproject

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3. Crowdsourcing

un progetto su Kickstarter, il consumatore sta facendo molto di più di pre-comprare un prodotto, sta effettivamente scommettendo su una squadra e quindi sta tifando per quella squadra. Si crea un legame sociale tra chi sostiene e il team di progetto che va ben oltre il classico rapporto cliente-venditore. In cambio il team aggiorna i sostenitori rendendo pubblici i progressi che il progetto sta facendo, rispondono ai suggerimenti e ai commenti finché si crea spontaneamente una comunità attorno al progetto. Un naturale senso di partecipazione trasforma il dialogo venditore-cliente in un dialogo più orizzontale tipico delle situazioni di co-working. Nel caso del Pebble E-Paper Watch, il team di progetto ricevette durante il mese in cui il progetto era pubblicato su Kickstarter alcune richieste dei sostenitori. Alcuni finanziatori richiesero una migliore resistenza all’acqua in modo che potessero nuotare con l’E-Watch al polso e così la squadra di progetto si impegnò per intro-durre questa miglioria. Altri poi chiesero il passaggio da Bluetooth 2.0 al 4.0 per avere migliori prestazioni della batteria e anche questa modifica venne apportata. Ognuno può dire la propria sul progetto e parteci-pare con consigli e suggerimenti di qual-siasi tipo. Evidentemente la generazione di queste comunità attorno alla realizzazione

di un prodotto diventa una vera risorsa per i progettisti. I sostenitori, oltre che ad aiutare effettivamente l’avanzamento del progetto con i propri consigli, diventano parte di un passaparola, che aiuta il progetto a diven-tare virale. Oltre che strumento di finan-ziamento e di aggregazione, Kickstarter è anche un strumento di ricerca di mercato. Se un progetto non raggiunge il suo ob-biettivo su Kickstarter, probabilmente non avrebbe avuto comunque successo sul mercato. Capire questo prima di aver investito denaro nell’acquisto di materiali e nella produzione di un progetto elimina uno dei maggiori rischi d’accesso per le start-up. Questi nuovi processi eliminano gran parte delle cosiddette barriere d’entrata che la medio piccola imprenditoria incon-tra quando decide di buttarsi nel mercato, alleggerendo notevolmente i rischi nella fase iniziale di capitale. Un altro grande vantaggio del Web e di Kickstarter è il riuscire a trovare le persone che effetti-vamente possono essere interessate al tuo prodotto. Quanto sarebbe costato ad Alex Andon individuare la categoria di persone e possibili target che potevano essere interes-sati a delle meduse. Chi sono le persone che possono essere interessate a questo prodot-to. Probabilmente non sono raggruppabili in una categoria ma sono semplicemente

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le persone che incontrando quel prodotto si sono innamorate dell’idea di avere un acquario di meduse sulla scrivania. Il web permette alle persone interessate di trovare il tuo prodotto. Osservando la tradizionale vita di un prodotto, Kickstarter dunque non si inserisce semplicemente nella fase di raccolta finanziamenti e nella categoria del crowdfunding ma va ben oltre, crean-do comunità spontanee di co-work utili nell’evoluzione del progetto, comunicazione e diffusione del prodotto tramite passapa-rola, ricerca di mercato e individuazione di possibili acquirenti. Il crowdfunding ridisegna le logiche tradizionali di investi-mento capitalistico e ha necessariamente bisogno di una regolamentazione per fare in modo che il sostegno economico al di fuori della borsa e del tradizionale mercato non risulti passibile di frode. Nell’Aprile 2012 il Presidente Obama ha firmato la legge JOBS (Jump start our business startups) che rende più semplice per le piccole aziende affidarsi a delle piattaforme di crowdfund-ing come Kickstarter. Così come sono stati democratizzati gli strumenti di produzione,anche gli strumenti di ottenimento di capi-tale sono ora nelle mani di tutti grazie al model-lo del crowdfunding, creando una nuova classe di inventori, più indipendenti e più vicini al movimento dei makers.

Il “making in public”, comportamento che assumono coloro che inseriscono il proprio progetto su Kickstarter trasforma la fase di “sviluppo del prodotto” in “marketing”. Il “making in pubblic” è una potentissima forma di pubblicità. Come abbiamo detto i creatori postando la propria idea, ricevendo commenti, suggerimenti, postando gli ag-giornamenti, le modifiche e l’evoluzione del prodotto, creano una comunità di sosteni-tori. Questi sostenitori tifano per il prodotto non solo perché hanno puntato su di esso dei soldi ma perché sentono una sorta di co-proprietà nella creazione del prodotto. La pubblicità e l’attrazione creata dal “Mak-ing in Pubblic” promuove effettivamente il prodotto ed è gratis per il proprietario del prodotto, anzi genera denaro e sostegno.

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3. Crowdsourcing

I consumatori di oggi sono abituati a votare e la votazione in sè è una vera e propria for-ma di crowdsourcing che prende il nome di crowdvoting. Quirky, nata nel 2009, è simile a Kickstarter per alcuni aspetti ma molto diversa in altri. Il suo fondatore Ben Kauf-man definisce la sua crazione una “social product development company” e il termine social non si riferisce alla funzione sociale del prodotto ma alla socialità nella fase di sviluppo del prodotto, al co-working. Quirky è essenzialmente una compagnia di indus-trial design che sfrutta il sito quirky.com ed il crowdsourcing per determinare quali dei progetti caricati dalla comunità online produrre. Ogni settimana Quirky mette in produzione due nuovi prodotti inventati dalla sua comunità online. La comunità di Quirky contribuisce nel decidere quale pro-dotto proposto sulla piattaforma realizzare poi una squadra di professionisti si occupa di sviluppare il prodotto guidando la realiz-zazione del progetto. I prodotti proposti su Quirky sono per lo più accessori alla mano e piccole soluzioni per la casa, per lo più del costo di meno di 50$. Non sono oggetti particolarmente rivoluzionari ma tutti i prodotti sono ben progettati, hanno un bel design, sono attrattivi e soprattutto utili. Alcuni esempi. Un tagliere per la cucina comprensivo di piccoli cassetti e scomparti-

menti per alcuni ingredienti. Una presa per la corrente multipla flessibile e regolabile. Un rompi-uova che separa automaticamente il tuorlo dall’albume. Le classiche cose di cui non si ha bisogno ma quando le vedi potresti volerle. Il fatto che tutti gli oggetti proposti su Quirky siano particolarmente attraenti non è un caso, infatti sono il risultato di una serie di step in cui i progetti vengono votati e recensiti pubblicamente.

3.4Crowdvoting

Mark Fusco,Pluck, Sunny Side Out,da Quirky.com

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Ogni step essenzialmente elimina le idee peggiori e valorizza le migliori che possono passare alla fase successiva. La vita di un prodotto su Qirky coinvolge centinaia di persone. Chi genera l’idea, chi posta com-menti o suggerisce modifiche e miglio-ramenti e chi vota la variante migliore di un prodotto. La cosa straordinaria del model-lo proposto da Quirky è il fatto che tutte queste persone vengono pagate. Per alcuni saranno solo alcuni centesimi ma l’inventore dell’idea può arrivare a guad-agnare migliaia di dollari. Non sono certo le cifre che si vedono su Kickstarter ma non è poco se si pensa che basta postare la descrizione di un progetto sul sito. Il 30%

percento delle vendite da quirky.com e il 10% delle vendite dei rivenditori vanno alla comunità. Di questo denaro il 35% va all’inventore del progetto e il resto va a tutti coloro che hanno contribuito alla sua realizzazione o hanno selezionato il design vincente. Il modello sul quale si basa Quirky è simile a quello di Kickstarter poiché anche qui troviamo conti alla rovescia e competizioni tra progetti. Anche in Quirky si genera un senso di partecipazione nella generazione ed evoluzione di un’idea, la comunità tifa per una squadra o per un progetto e l’intero apparato prende la forma di un gioco.

Product Development Timeline di “Pluck”,dettagli: Development/Refine phase,Selecting Colors, Materials and Finishes phaseda www.quirky.com

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3. Crowdsourcing

Ecco le fasi che compongono il modello di Quirky:- Qualcuno posta un’idea al costo di 10$ (per tenere lontani truffatori o spammer);- I membri della comunità vota per le idee migliori e postano commenti;- Le idee più popolari passano alla fase suc-cessiva, il design. L’inventore e la squadra di professionisti di Quirky presentano delle proposte di designs e la più votata vince;- La comunità vota per decidere il nome del prodotto, lo slogan e altri elementi;- Gli ingegneri di Quirky rendono realiz-zabile il design che ha vinto e lavorano con una fabbrica per realizzarlo;Rispetto a Kickstarter, in Quirky la compo-nente di “ricerca di mercato” è decisamente più sostanziale. Oltre ad essere uno stru-mento di aggregazione e di finanziamento il modello di Quirky offre un feedback in ogni fase del processo, riducendo molti rischi: i prodotti che ottengono più voti sono quelli che vengono realizzati perché sono quelli che hanno più probabilità di piacere ed essere venduti. Scartando i meno votati Quirky mette a disposizione il suo staff solo ai progetti per cui vale la pena investire il loro tempo. Anche Quirky come Kickstarter

sfrutta lo strumento della pre-vendita dei prodotti che quindi vengono realizzati solo quando raggiungono un certo numero di impegni d’acquisto. Attraverso il voto la comunità di Quirky aiuta un team di profes-sionisti a lavorare meglio e più velocemente influenzando le scelte che porteranno alla realizzazione del prodotto finale.Threadless invece è una comunità online di artisti un sito di e-commerce fondato da Jake Nickel e Jacob DeHart nel 2000.I disegni e progetti su Threadless sono realizzati, votati e selezionati dalla stessa comunità che oggi conta circa 1,8 milioni di persone. I membri della comunità si riunis-cono su questa piattaforma per scambiare e condividere ispirazioni, critiche ed idee. Circa 1000 progetti alla settimana vengono caricati e messi a votazione. Dopo una setti-mana lo staff di Threadless seleziona i 10 disegni più popolari e li stampa su magliette ed altri prodotti. Questi vengono distribuiti e venduti in tutto il mondo attraverso il ne-gozio on line e lo shop a Chicago. I designers i cui lavori vengono selezionati e stampati ricevono 2000$ e 500$ in una gift card di Threadless (sostituibile con 200$). Ogni volta che un disegno viene ristampato il

www.threadless.com

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Immagine realizzata in occasione del decimo anniversario dalla fondazione di Threadless, 2010

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3. Crowdsourcing

rispettivo artista riceve 500$. Nel 2006, Jeff Howe coniando il termine “crowdsourcing” associò il concetto alla piattaforma Thread-less. Il sito della comunità è diviso in 4 sezioni: make, pick, play e shop. Nella prima sezione, Make è possibile caricare i propri disegni, osservare degli esempi di successo, seguire tutorial e leggere suggerimenti da seguire nella realizzazione del progetto. Nella sezione Pick, i membri della comunità(chiunque può accedervi con un log-in) possono votare i design che preferiscono e postare commenti e suggerimenti ai singoli progetti. Cliccando su Play si può accedere al forum o ad alcuni contenuti speciali come ad esempio le storie di alcuni artisti di suc-cesso su Threadless. Infine Shop permette di entrare nel negozio online visualizzare tutti i prodotti disponibili e comprarli. Threadless dunque permette ai visitatori del sito web di valutare e giudicare le idee per le T-shirt in una scala da zero a cinque e vi è pure il pulsante “I’ll buy it!”. Ecco come Threadless utilizza il crowdsourcing e l’apporto spontaneo di volontari non solo per realizzare le grafiche delle magliette ma anche per capire quante e quali realizzare effettivamente. Il modello del crowdvoting è un buon strumento di analisi di mercato nonché un buon indicatore di qualità.Ad esempio iStockphoto mostra valutazioni

e quantità di download per tutte le sue im-magini. Chi è alla ricerca di una specifica immagine può scoprire qual è la migliore guardando come la folla ha valutato tale immagine. Migliore è un’immagine, più sarà stata scaricata - a meno che non sia stata appena caricata nel database. Ecco come l’apporto della folla nella valutazione dei contenuti possa diventare un indicatore di qualità per gli altri utenti. Anche la Sony ha sfruttato la folla per ridurre il rischio nell’indovinare il prossimo miglior artista a livello di vendita. Le stime dicono infatti che hanno venduto circa 100 milioni di album dai vincitori di American Idol il cui successo nasce da un meccanismo di voto, il televoto, generato da una folla, quella dei telespettatori appassionati del programma televisivo.

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Un ampio gruppo/folla di persone appar-tenenti alla popolazione generica porta sempre alla formazione di un altro gruppo, anch’esso ampio, formato da persone sele-zionate secondo un criterio, probabilmente perché considerate più intelligenti della media. Il Diversity Trumps Ability Theo-rem teorizzato da Scott E. Page dice che “un gruppo di problem-solver selezionato casualmente, genera un gruppo composto dai migliori problem-solver.” [Jaff Howe, 2008] Questo teorema introduce il concetto di “in-telligenza collettiva” per cui un gruppo di persone che si muovono insieme e collabo-rano può prendere delle decisioni e fornire dei risultati migliori rispetto a qualsiasi individuo singolo. La forma di intelligenza collettiva più antica è quella del voto per cui una popolazione sceglie di eleggere il proprio governo. Oggi Internet facilita l’accesso e la generazione di un’intelligenza collettiva che permette di risolvere proble-mi o rispondere a domande spesso in modo non convenzio-nale grazie all’apporto di un ampio e diversificato numero di punti di vista che offrono idee fresche e innovative. Sempre più aziende sfruttano questa forma di crowdsourcing per risolvere problemi, svolgere indagini di mercato, ottenere idee per nuovi prodotti offrendo premi in denaro per le idee migliori.

“Il fine più elevato di internet è la realiz-zazione dell’intelligenza collettiva. Oggi, se due persone distanti sanno due cose comple-mentari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l’una con l’altra, scambiare il loro sapere, cooperare.” [Pierre Léevy, 1994]

“Se le grandi menti pensano similarmente - e in molti casi lo fanno - allora in realtà costituiscono una sola mente. Un gruppo eterogeneo di problem-solveri di si traduce in molti diversi approcci ad un problema. Af-fidarsi all’intelligenza collettiva delle persone implica l’accesso a ciò che la folla già conosce. tale applicazione del crowdsourcing richiede generalmente piccoli investimenti di tempo e di energia da parte dei singoli collaboratori “.[Jeff Howe, 2008]

3.5Open-innovation

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3. Crowdsourcing

Local Motors ad esempio proietta i nuovi schemi e le opportunità offerte dai nuovi strumenti nel campo in cui la produzione capitalistica tradizionale è nata. Quello automobilistico. Local Motors è un’azienda automobilistica open source fondata da Jay Rogers e Jeff Jones nel 2007. Lo staff di Lo-cal Motors co-crea veicoli con la loro comu-nità online. Local Motors è un sito (online e non) che ospita una comunità di professio-nisti, amatori, ingegneri, designers, appas-sionati e clienti del campo dell’automobile. I membri della comunità possono condivi-dere le proprie idee, conoscenze e strumenti in virtù del bene comune e possono votare le soluzioni che preferiscono. La selezione e lo sviluppo di progetti di Local Motors è

quindi basato sul crowdsourcing e lo stesso vale per i singoli componenti del veicolo progettato. Local Motors è la proiezione su larga scala di un nuovo modo di progettare e produrre e il suo obiettivo non è quello di brevettare idee ma piuttosto di condivierle in modo che altri possano costruire su di esse e magari migliorarle. [Chris Anderson, 2010] Il nome Local Motors non è casuale, infatti si riferisce alla speranza dei suoi due fondatori di distribuire geograficamente i punti di produzione dei loro veicoli in giro per il mondo e che questi diventino delle mini fabbriche, loro concessionarie. In questo modo ognuno potrà vedere il pro-prio veicolo vicino a sé e ancora una volta possiamo notare come oggi si possa essere

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contemporaneamente globali e locali. Lo-cal Motors testimonia le potenzialità del crowdsourcing in processi complicati come la progettazione di un’automobile in cui molte persone possono dimostrare il pro-prio talento e liberamente, collettivamente creare innovazione. Nella progettazione del veicolo Rally Fighter la comunità risolse problemi di tipo tecnico e in caso di proble-mi di budget riuscì sempre a trovare la soluzione migliore ad esempio sostituendo alcuni pezzi con pezzi meno costosi ed essenzialmente uguali. La comunità collet-tivamente migliorava la propria sensibilità ai problemi tecnici e di budget del progetto e auto regolandosi optava sempre per la scelta migliore per loro e per il mercato (essendo loro possibili clienti). Essendo una open community i membri che ne fanno parte provengono da diversi campi e pos-

siedono diverse conoscenze e quello che si forma è un misto di amatori e professionisti. Una caratteristica delle open-innovation comunity come quella di Local Motors è la totale uguaglianza dei suoi membri per cui gli amatori hanno la stessa importanza ed influenza dei professionisti: chiunque può collaborare e suggerire soluzioni e le idee sono giudicate in base al merito e non in base al curriculum del collaboratore. Quello che fa vivere la comunità, la gestisce e la autoregola è l’omofilia, ovvero l’amore per il simile, per cui i membri della comunità ten-gono ad associare a sé e creare un legame con coloro che si trovano nel network. Alla base dell’open-innovation troviamo proprio questa libertà di poter esprimere il proprio talento e il proprio potenziale sia da parte dei professionisti che degli amatori che possono sentirsi realizzati nel fare qualcosa

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3. Crowdsourcing

che li appassiona ma che per loro sfortuna o scelta non è il loro lavoro. Local Motors offre la possibilità di progettare macchine anche se questo non è il tuo lavoro. Le open-innovation community offrono un nuovo approccio al mercato connettendo un’offerta latente (talenti non ancora impiegati in un campo) ad una domanda latente (prodotti non ancora abbastanza economici da creare con i metodi tradizionale di produzione). In Local Motors e nel suo modello incontriamo l’unione tra passato e futuro. Passato nel senso che queste macchine sono costruite da persone con cacciavite e chiavi inglesi, non ci sono robot ad esclusione degli stru-menti CNC per il taglio del metallo, e non vi sono catene di assemblaggio. Futuro perché la comunità open-source e il crowdsourcing offrono design veloci, economici e frutto di una ricerca di mercato.Eric Schmidt, CEO di Google dice:“La Peer production è qualcosa di più che sedersi e avere una bella conversazione ... Si tratta di sfruttare un nuovo modo di pro-duzione per promuovere l’innovazione e la creazione di ricchezza a nuovi livelli.”[Tapscott D., 2006]

“Le aziende che producono design-driven innovation danno un grande valore alle loro interazioni con questa rete di interpreti. Queste aziende capiscono di essere immerse in un laboratorio di ricerca collettiva at-traverso il quale aziende, designer, artisti e scuole stanno conducendo le proprie indagini. Questi ricercatori sono impegnati, in modo esplicito e implicito, in un dialogo continuo: si scambia-no intuizioni, interpretazioni e proposte [...]. Testano la solidità delle loro ipotesi e condividono le proprie visioni.“ [Verganti R., 2009]

Web & Crowdsourced Designed Local Motors Rally Fighter,2012

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Nello scenario italiano, Emil Abirashid è la mente che sta dietro ad una grande piatta-forma d’innovazione, non solo online, che si propone come strumento per facilitare l’incontro tra idee innovative, business, finanziamento e startup. Startup Business è un business network che si rivolge alle startup italiane, ad investiori, università, ricercatori ed innovatori. Il suo obiettivo è favorire la generazione di legami tra questi attori ed in particolare tra chi offre inno-vazione e chi può supportarne l’ingresso nel mercato. Il network elimina le barriere fisi-che e genera comunità, offre una visione ed una visibilità generale del contesto in cui le nuove realtà d’impresa italiane si muovono e si sviluppano. Gli startupper possono incon-trarsi e scambiarsi informazioni, consigli e sviluppare progetti comuni o non. In queste piattaforme le aziende confrontandosi gene-rano un valore aggiunto e possono trovare quell’innovazione che oggi costituisce la chiave d’accesso al mercato globalizzato. Quello che StartupBusiness si offre di fare è eliminare la distanza tra offerta e domanda facilitandone l’incontro. La piattaforma attraverso alcuni strumenti come il blog, il forum, il calendario eventi, i video e il ser-vizio di mailing interno, permette di diffon-dere informazioni e conoscenze utili e rile-vanti per coloro che cercano di generare

innovazione e impresa. Startup Business ha lanciato nel 2012 Formabilio, altro esempioitaliano di open-innovation network. Formabilio è una startup fonadata in Veneto che si propone di unire il Made in Italy d’eccellenza ai nuovi modelli di crowsour-cing sopra descritti. Il modello mette as-sieme competenze ed eccellenze italiane (come il design dell’arredo) con le poten-zialità delle nuove tecnologie, internet, e-commerce, crowdsourcing e comunità partecipative. Il modello di Formabilio intende rivolgersi ai progettisti attraverso concorsi per raccogliere i progetti migliori ed innovativi, i progetti rimangono pub-blici e visibili sulla piattaforma, sottoposti ai giudizi, alla valu-tazione e ai commenti della community di appassionati di design, professionisti e amatori. I design scelti dalla comunità ven-gono quindi realizzati da imprese manifat-turiere italiane. Gli stessi prodotti saranno venduti e commercializza-ti on line sullo stesso sito “formabilio.com”. Il crowdsourcing di Formabilio rivoluziona la tradizionale filiera produttiva del design dell’arredo e trae significativi benefici dalla comunità e dalla sinergia tra il capitale umano dei designer e l’interazione con i possibili clienti che votando e suggerendo i design preferiti indirizzano l’azienda verso i prodotti più commerciabili.

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3. Crowdsourcing

Nell’articolo di Jeff Howe “The Rise of Crowdsourcing” viene preso come esempio un’altra interessante applicazione del mod-ello. La società Innocentive è stata fondata nel 2001 nel Maasaachussets dal produttore Eli Lilly per il mercato farmaceutico. La piattaforma nacque con lo scopo di mettere in relazione i ricercatori con le aziende del settore ma col tempo si estese anche ad altri ambiti, oltre a quello iniziale farmaceutico e oggi la sua comunità è composta da circa 300.000 solvers. Innocentive è considerata la piattaforma leader nel crowdsourcing applicato all’open innovation. Il modello è quello classico: le organizzazioni possono affidarsi alla piattaforma e ricevono dalla

crowd una serie di soluzioni a problemi commerciali, sociali, politici, scientifici o tecnici. Il network globale di Innocentive permette alle organizzazioni, che devono pagare un costo aziendale di iscrizione di 100.000 dollari, di trasformare i propri costi di ricerca ed innovazione, attraverso la con-segna rapida di soluzioni e lo sviluppo di un programma sostenibile di open-innovation. Ali Hussein di Innocentive ha dichiarato che con il crowdsourcing viene introdotto un moltiplicatore al settore di ricerca e svi-luppo: normalmente la percentuale di suc-cesso delle soluzioni proposte è del 12 /18% ma attraverso Innocentive la percentuale di successo sale al 35% e oltre.

community globaledi problem solvers

la soluzione migl iore v iene premiata.l ’az ienda paga solo se r iceva una soluzione

staff internor icerca e sv i luppo /

col laborator i esterni

The solution process,Innocentive

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Secondo Karim Lakhani del MIT questo non rappresenta una sorpresa, in quanto il valore di reti come Innocentive è la diversità di background intellettuale dei partecipanti. Lakhani ha esaminato 166 problemi inviati ad InnoCentive da 26 diverse aziende e dice: “In realtà abbiamo notato che le probabilità di successo di un risolutore aumentavano in settori in cui non avevano alcuna competenza formale”. Affermando ciò si introduce un principio centrale della teoria delle reti, che il sociologo Mark Granovetter descrive come “la forza dei legami deboli.” Le reti più efficienti sono quelle che si collegano alla più ampia gamma di informazioni, cono-scenze ed esperienze. Moltissime impor-tanti organizzazioni e agenzie governative americane e non, come l’Air Force Research Lab, Celeveland Clinic, NASA, P&G, si sono affidate a Innocentive negli ultimi dieci anni.

“P&G ora incorpora nella ricerca di innova-zione un maggiore desiderio di collaborare con persone al di fuori Procter & Gamble .... Vogliamo continuare a crescere al ritmo col quale siamo cresciuti negli anni. Quando si arriva a essere delle dimensioni che noi ora abbiamo assunto, continuare a farlo su base interna davvero non ha senso“.Mike Addison, Procter and Gamble, New Business Development

“La NASA ... sta attuando l’approccio open innovation per raggiungere gli obiettivi di tornare sulla Luna, su Marte e spingersi oltre. La formazione di partenarships in cui sia la NASA che il suo collaboratore hanno qual-cosa di prezioso da offrire per soddisfare la necessità tecnologica dell’altro permette ad entrambe le parti di utilizzare meno risorse per risolvere i rispettivi problemi. Per la NASA, questo approccio non solo accelera ricerca e sviluppo (R & S) delle missioni spaziali, ma rende il settore ricerca e sviluppo anche più economicamente efficiente, il che è un vantaggio per i contribuenti“.Nona Minnifield Cheeks, NASA Goddard Space Flight Center

Immagine dawww.innocentive.com/pavilion/NASA

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3. Crowdsourcing

Il settore che è stato più toccato dalla rivoluzione introdotta dal crowdsourcing è stato il settore dei media. Come abbiamo visto, ognuno ha ottenuto l’accesso a stru-menti economici, software user-friendly e canali di distribuzione gratuiti. Il risultato è che un grande numero di nuovi prodotti mediatici sono stati generati e distribuiti. Gli stessi cambiamenti stanno avvenendo anche in altri campi rivoluzionando signifi-cativamente il mondo del commercio.Threadless.com vende più di 120.000 T-shirt al mese utilizzando proprio questo approccio democratico. IStockphoto ad esempio possiede una vastissima collezione di immagini fotografiche che sono state re-alizzate e fornite da più di 50 mila fotografi e artisti. Queste vengono vendute a prezzi molto più bassi di quelli dei suoi concorren-ti. Il modello definito crowdcreativity nasce quando il crowdsourcing è applicato al processo creativo per generare e raccogliere sulla stessa piattaforma contributi nel campo della fotografia, della grafica, dell’advertising, del design, della moda o della musica. Anche in questo caso sono sempre di più le aziende che decidono di affidarsi al modello del crowdsourcing per risolvere e soddisfare esigenze di comunica-zione o di creatività in generale sostituendo il modello tradizionale dell’outsourcing.

Questa categoria è quella che più di tutte tocca il mondo del progetto, del design proponendo nuove strade alle aziende e agli stessi designer riscrivendone spesso i ruoli. Vedremo nel prossimo capitolo come il crowdsourcing si inserisce nello scenario professionale di generazione di idee, solu-zioni e creatività. vedremo come i modelli classici si stanno adattando alle nuove op-portunità e come il mondo della comunica-zione visiva sta reagendo alle nuove oppor-tunità offerte dal crowdsourcing. Il mondo del progetto ed in particolare il design della comunicazione si trova di fronte a nuovi e inaspettati strumenti che ne rivoluzionano i processi. È necessario analizzarli e prendere coscienza delle opportunità che offrono per capire come e se è possibile sfruttarli man-tenendo un corretto e professionale approc-cio al progetto di definizione di un artefatto comunicativo.

3.6Crowdcreativity

3 C R O W D C R E A T I V I T Y E

D E S I G N D E L L A C O M U N I C A Z I O N E

L’introduzione di nuovi modelli, tecnologie, canali e soluzioni ridefiniscono i percorsi classici e l’approccio progettuale ai pro-dotti, la loro ideazione, generazione ed evoluzione. L’innovazione spontanea, nuovi stili e modelli nel mondo della produzione ridefini-scono la figura del designer che deve necessariamente coltivare diversi tipi di conoscenze, i quali limiti d’azione sono sempre meno netti e meno distinguibili in singole materie. Assistiamo oggi ad una ridefinizio-ne del rapporto comunicazione-prodotto e ancor più del rapporto comu-nicazione-progetto. I nuovi atteggiamenti

progettualmente non convenzionali ci spingono verso nuove questioni riguardanti il mondo della comunicazione. I makers con il loro “Making in public” trasferiscono on-line l’atteggiamento DIY (do it yourself) che diventa DIT (do it together) e così facendo generano gli effetti del network inserendosi in cicli di rete. Perciò quando connetti idee e persone, queste crescono. “E’ un circolo virtuale - più persone combinate generano più valore, che a sua volta attrae ancora più persone, e così via.” [Chris Anderson, 2012] Sono questi nuovi modi che influenzano fortemente la cultura del design che si

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evolve con essi adattandosi a volte senza valutare adeguatamente le criticità e i rischi che nuovi processi e nuovi strumenti pos-sono introdurre nel pensiero progettante. Nascono nuove realtà e strumenti che sfrut-tano e si adattano a quelli che sono i nuovi modi possibili di relazionar-si tra colleghi, clienti e oggetti. A seconda dell’ambito in cui si sviluppano si generano degli schemi diversi che sfruttano alcune delle opportu-nità offerte dal web e dal crowdsourcing. Tutte hanno però in comune il cercare di generare innovazione attraverso il supporto di una community. affidare lo sviluppo di un progetto, un prodotto o un servizio ad un insieme di persone esterne all’azienda ma che fanno parte di una stessa comunità. In queste pagine ci concentreremo su uno degli ambiti che maggiormente sono stati toc-cati da questo nuovo modello: l’ambito della creatività ed in particolare il design della comunicazione.

Anche per quanto riguarda il design della comunicazione gli strumenti di autopro-duzione e progettazione hanno raggiunto la cosiddetta democratizzazione; basti pen-sare ai software di progettazione grafica sempre più accessibili. I progetti di comu-nicazione si inseriscono nei nuovi modelli di partecipazione attraverso piattaforme di crowdsourcing che sfruttano gli effetti del network per trovare soluzioni progettuali o indirizzare il lavoro verso la scelta più popolare.Il crowdsourcing come condivisione di talenti attraverso la rete non può che essere considerato un fenomeno dei nostri tempi, nato col web e con l’accessibilità a strumentidi realizzazione e distribuzione. Ma il con-sultare la massa per avere idee, progetti e soluzioni creative era un procedimento che si seguiva già ben prima della nascita del web. Basta pensare ai concorsi pubblici.Un esempio fra tanti. In Italia nei primi anni ’50 l’Agip di Enrico Mattei scopre un impor-tante giacimento di petrolio vicino a Piacen-za e si prepara a lanciare sul mercato una nuova benzina: la “Supercortemaggiore”. Mattei, in vista della nascita dell’organismo gestore della produzione e distribuzione di idrocarburi in Italia, ENI, decide di associa-re una forte immagine pubblicitaria al nuovo carburante Agip. Viene lanciato un

4.1Nasce lacrowdcreativity

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

contest, aperto a tutti gli italiani, per la creazione di un marchio, di alcuni cartelloni pubblicitari e della grafica delle colonnine dei distributori. Il premio totale ammonta alla cifra di 10 milioni di lire (oggi sarebbero124 mila euro). C’è anche una giuria com-posta da personaggi illustri del mondo dell’arte e della comunicazione: Giò Ponti, Mario Sironi, Mino Maccari, Antonio Bal-dini, Silvio Negro. L’ufficio pubblicità Agip riceve ben quattromila progetti da appas-sionati, disegnatori e designer. La giuria si dovette riunire quattordici volte per sceg-liere ed eleggere il vincitore del concorso: il cane-drago a sei zampe dello scultore Luigi

Broggini (affiancato da Giuseppe Guzzi). Lo stesso cane a sei zampe che verrà pre-sentato ufficialmente nel 1954 diventando simbolo dell’Eni e che ancora oggi, dopo due restyling (il primo ad opera di Bob Noorda) è rimasto praticamente intatto.Un altro esempio ha come protagonista Enzo Baldoni: nato nel 1948 è uno dei più noti copywriter italiani, tra i primi ad utiliz-zare Macintosh in Italia, apre un blog quan-do ancora gli italiani non sapevano cos’era internet. Nel 2002 si inventa uno dei primi esperimenti di crowdsourcing (questa volta sfruttando anche la rete) in Italia: il concor-so per McDonalds’s “Quanto casino per un panino” viene inaugurato con l’immagine di un BigMac trafitto dalle frecce. Gli italiani vengono invitati a partecipare con un libero contributo creativo. L’agenzia di Baldoni (Le Balene) viene sommersa da 1476 proposte e i “panini” rivisitati arrivano dai soggetti più disparati: dal designer, all’architetto, dallo studente all’anziano impiegato. Risulta quindi una gigantesca azione di creatività in crowdsourcing dalla quale una giuria seleziona i vincitori. Questi esempi servono a capire quanto il crowdsourcing abbia delle origini che risalgono a decenni fa ma sep-pur riprendano certamente le modalità con cui viene sfruttato dalle aziende il crowd-sourcing oggi, presentano un processo e

Agip,Supercortmaggiore,1953.

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offrono percorsi ben lontani da quelli che vivono sulle piattaforme sulle quali oggi tale fenomeno si sviluppa. Quelli che sono cambiati sono chiaramente gli strumenti e le tecnologie che permettono di connettere molto più facilmente e velocemente tutti gli attori in gioco. Questa facilità deve però fare i conti con una serie di questioni legate alla professione del designer della comu-nicazione. Jeff Howe coniando la parola “crowdsourcing“ dichiarò: “La quantità di conoscenza e talento dispersa nell’umanità sarà sempre maggiore della nostra capacità di sfruttarla. Il crowdsourcing può correg-gere questa dispersione...ma nel fare questo il crowdsourcing scatena le forze di una distru-zione creativa.” [Jeff Howe, 2006]Cerchiamo di capire cosa sta dietro a questa “distruzione creativa”, di conoscere meglio questi strumenti e di capire come il loro ruolo di facilitatori e mediatori si inserisce oggi nel processo creativo e come sta rivo-luzionando i processi che stanno alla base del deisgn della comunicazione.

La nuova facilità di connessione e l’estrema diffusione del web stanno portando secondo Jeff Howe, ad una riduzione del divario professionisti/dilettanti, in qualsiasi set-tore. Le aziende, quindi, possono connet-tersi più facilmente con una vasta gamma di interlocutori passando dall’outsourcing (consegnare a professionisti o agenzie esterne un progetto o parte dello stesso) al crowdsourcing, rivolgendosi ad una folla, un vasto pubblico con qualsiasi livello di esperienza precostituita su un argomento per ottenere la risposta ad un’esigenza. La strategia dell’outsourcing consiste dunque nell’inviare pare del lavoro di una compa-gnia a dei fornitori o collaboratori esterni allo scopo di semplificare il proces-so lavorativo e diminuire i costi. Oggi il crowdsour-cing si affianca all’outsourcing diventandone quasi una variante come sug-gerisce la stessa etimologia del nome (crowd + outsourcing). Esternare ad una folla, ad una comunità in realtà è una strategia profondamente diversa che presenta valori, criticità e imprevisti che non facevano parte del modello “ousourcing“. Oggi appas-sionati e dilettanti all’improvviso hanno un mercato in cui esprimersi e ce l’hanno a por-tata di click; le aziende scoprono e indagano sulle nuove modalità da seguire per utiliz-zare il talento latente di questa folla. Non

4.2C’era una voltal’ousourcing

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

sempre parliamo di lavoro gratis eseguito da volontari ma senz’altro più conveniente rispetto a quello di un dipendente o profes-sionista. I prezzi favorevoli per il cliente sono senz’altro uno degli elementi che spinge le aziende a sfruttare il modello del crowdsourcing.

“Il crowdsourcing si configura come una importante e concreta idea per il business. Le definizioni in proposito possono variare, ma l’idea di base è di sfruttare l’intelligenza collettiva del pubblico per completare un pro-getto che normalmente, l’azienda dovrebbe svolgere interamente o affidare ad un’azienda esterna. Eppure, il lavoro gratis è solo una piccola parte del fascino del crowdsourcing. Più importante ancora, il crowdsourcing permette ai manager di espandere enorme-mente la fascia di creativi da cui attingere e, contemporaneamente, entrare profondamente in contatto con ciò che i consumatori vogliono davvero.“ [Jennifer Alsever, 2007]

L’azienda ha un’esigenza dicomunicazioneda soddisfare...

...individua ilprofessionistapiù adattoallo scopo

Il professionistavaluta il progetto,decide il suo costoe si mette al lavoro

Il professionistatermina il lavoroe viene pagato

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OUTSOURCING

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L’azienda ha un’esigenza dicomunicazioneda soddisfare...

L’azienda definisceun budget e indice un contest pubblicocon premio

Partecipano soloprofessionisti lavorando singolarmentesenza conoscerele propostedegli altri

L’azienda (o una giuria)valuta le proposte e premiala migliore con denaroo la commissione del lavoro

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CONCORSOPUBBLICO

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

Il crowdsourcing applicato al mondo del design della comunicazione prende la forma di piattaforme di crowdcreativity per gene-rare e raccogliere il maggior numero possi-bile di creatività da una community sullo stesso sito. Queste piattaforme svol-gono il ruolo di facilitatori e semplificano la genera-zione di un legame che senza la sua rete sarebbe più complicato generare. Su queste piattaforme web interagiscono tre soggetti principali: una community libera di grafici, creativi, fotografi, designer, autori, professionisti e non, di qualsiasi livello di esperienza ed età; il mediatore del servizio ossia la squadra che gestisce la piattaforma che può essere composta da diversi sog-getti, tra cui un community manager, che ha il compi-to di gestire e mediare le attività del sito; e infine, dall’altra parte possiamo trovare o l’azienda che propone una open call oppure un’agenzia di comunicazione che decide di affidarsi al crowdsourcing per soddisfare le esigenze del cliente per cui sta lavorando.

Il dialogo crowd-cliente nella generazione di output creativi è lineare, del tipo dia-logico domanda-risposta. Il cliente contatta la piattaforma comunicandole le proprie esigenze di comunicazione, viene quindi sviluppato e lanciata una “call to action” attraverso la pubblicazione di un brief e dei premi offerti sulla stessa piattaforma. La community connessa alla piattaforma risponde; offre al cliente proposte e soluzio-ni caricandole su un database. Caricando, condividendo e commentando le varie risposte il contest guadagna una viralità che ha due effetti positivi: innanzi tutto è una pubblicità per il brand che ci guadagna in visibilità, in secondo luogo all’interno del ciclo della rete la condivisione attira l’attenzione di nuovi possibili partecipanti e portatori di innova-zione che si uniranno alla community per cercare di raggiun-gere la soluzione migliore al problema o all’esigenza del cliente.Al termine del contest il cliente sceglie la proposta che preferisce e paga il vincitore.

4.3Eldorado della comunicazione

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risoluzione di

un problema

condivisione

di un problema

attrazione dinuovi utenti

visibi l ità

viral ità

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di saperi e strumenti

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di innovazione

“E’ un circolo virtuale - più persone com-binate generano più valore, che a sua volta attrae ancora più persone, e così via.” [Chris Anderson, 2012]

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risoluzione di

un problema

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di un problema

attrazione dinuovi utenti

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condivisione

di saperi e strumenti

generazione

di innovazione

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L’azienda ha un’esigenza dicomunicazioneda soddisfare...

Contatta unapiattaforma dicrowdcreativitye pubblica uncontest on-linecon brief epremi

Ciascun membrodella community, in base al brief,pubblica la sua proposta visibilea tutti

Viene selezionatoun vincitore eassegnati i premi

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CROWDSOURCING

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

Questo è il modello generico che può svilup-parsi in varianti diverse. Ad esempio esisto-no tre diversi tipi di relazione cliente-piattaforma. Quando la piattaforma viene contattata dal cliente che ha un’esigenza di comunicazione questa può trovarsi di fronte ad un’azienda o ad un’agenzia di comunica-zione. Nel primo caso la piattaforma interagisce direttamente con il cliente al quale è indirizzato l’output creativo svilup-pato dalla community. Se invece il cliente è un’agenzia di comunicazione la piattaforma può trovarsi ad interagire esclusivamente con questa, la quale ha bisogno di sviluppare del materiale per un terzo, il cliente; oppure può trovarsi a collaborare in triangolazione sia con l’agenzia, sia con l’azienda. La piat-taforma può quindi trovarsi a lavorare con l’agenzia, con l’agenzia e il cliente, oppure con il cliente stesso. I contest possono essere distinti in altre due categorie che si riferi-scono però all’impianto strategico di comu-nicazione che vi sta dietro. Le piattaforme possono essere coinvolte in un progetto che nasce, vive e si esaurisce sulla piattaforma stessa, o in un progetto che è un progetto strategico più ampio, di comunicazione a più ampio respiro in cui gli output della crowdcreativity sono solo uno dei tasselli. Un terzo caso, che è in grado di convivere con i primi due, è quello in cui il cliente è in-teressato maggiormaente alla viralità e alla

notizia che il contest stesso può generare, più che ai risultati veri e propri sviluppati. Il vantaggio per le aziende nell’affidarsi al modello della crowdcreativity oltre agli effetti che le “call to action” possono avere è la notizia in sè per cui più che al risultato del contest le aziende sono spesso interes-sate alla notizia che il contest in sé genera. I contest producono materiali che possono es-sere condivisi on line e sui principali social network e gli stessi contest diventano per molti aspetti una vera e propria campagna commerciale basata sulla viralità e sul web advertising che questa genera. Chi decide di pubblicare una open call su una di queste piattaforme quindi non lo fa solamente per i risultati che può ottenere ma anche per la visibilità che il scegliere di seguire questa modalità offre sia perché permette di coinvolgere ed entrare in contatto con gli stessi possibili consumatori aumentandone la fedeltà al brand sia perché si genera la no-tizia che l’azienda X ha deciso di sfruttare modelli nuovi, innovativi e sperimentali aprendosi ai nuovi sturmenti web.La scelta dei vincitore inoltre è a discrezio-ne del cliente, e può decidere se prendere lui direttamente la decisione o se richiedere l’aiuto alla piattaforma o se costituire una giuria preposta alla visione e giudizio dei risultati prodotti dalla community.

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Il cliente contatta la piattaforma.La piattaforma può lavorare:- direttamente con l’azienda- con l’agenzia che lavora per l’azienda- in triangolazione con entrambe

Perchè il cliente necessita di un contest on-line- ha bisogno di creatività che sarà parte di un progetto più ampio- ha bisogno di un elemento definito di co-municazione, il progetto nasce e si conclude sulla piattaforma- il cliente è interessato alla visibilità e alla viralità del contest stesso e non ai risultati che questo genererà.

Una call-to-actionpuò essere:- aperta a tutti imembri della com-munity- ad invito, solo alcuni membri pos-sono partecipare

CROWDSOURCINGI VALORI PER IL CREATIV O CONTEST ON-LINECICLO DI VITA DEL PROCESSO

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Le piattaforme possono sviluppare diversi tipi di artefatti comunicativi, da loghi a fotografie, da video a brochure, dal nome o un pay off al concept per una campagna pubblicitaria. Alcune di queste piattaforme sono specializzate solo su un tipo di artefat-to come UserFarm per i video, altre offrono degli output più diversificati. Tali modalità prendono la forma di veri e propri concorsi, presentandone gli elementi principali: un bando/brief, un premio, dei partecipanti, una gara, la competizione, un giudizio e un vincitore. In questo scenario il crowdsour-cing non consiste nel mostrare un numero di idee e chiedere alla comunità di scegliere la migliore ma è il cliente a proporre un brief, decidere il premio nella speranza di ricevere una soluzione creativa dalla comu-nità. Queste piattaforme presentano un nuo-vo modello di business e di realizzazione e sviluppo di un progetto di comunicazione molto semplificato e si offrono al designer e alle aziende come un nuovo strumento in-novativo, veloce e cool. Il crowdsourcing è un modello giovane e in espansione. Sono sempre di più le aziende che decidono di affidarsi alle piattaforme e alle commu-nity on-line di creativi ma è evidente come questi nuovi schemi pongano il designer professionista, la cultura del progetto e le aziende stesse di fronte a delle questioni

molto complicate e che andremo ad affron-tare, questioni non solo di tipo strutturale riferite ai modelli in questione ma anche di tipo etico e legate al riconoscimento e alla tutela di una professione. Il modello però funziona, ha avuto e sta avendo successo perché si inserisce in quello che è il mercatooggi rispondendone alle esigenze. Per promuoversi le piattaforme di contest on-line mettono in evidenza il basso costo delle realizzazioni, la facilità e la velocità dei processi che portano alla generazione degli output creativi.

Evidenziamo nelle prossime pagine quali sono i valori di un processo di crowdsour-cing. A cosa è dovuto il successo di questo modello di business e quali sono i vantaggi che spingono i quattro attori in gioco ad af-fidarsi alla crowdcreativity?Azienda, creativo, piattaforma e agenzia di comunicazione partecipano ai contest on-line per godere di alcuni vantaggi che forse gli altri modelli non potrebbero offrire.

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

dawww.crowdspring.comwww.99designs.itwww.zooppa.itwww.12designer.comwww.bestecreativity.itwww.designcrowd.comwww.logotournament.com

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C R O W D S O U R C I N GI V A L O R I P E R L ’ A Z I E N D A

L’azienda ha a che fare con una community ampissima ed eterogenea ricca di potenzial i talenti nascosti

L’azienda può scegliere tra moltissime proposte

La community può diventare uno strumento per verif icare

la commerciabil i tà e i l potenziale di un prodotto

Il concorso e quindi i l brand viene condiviso on-l ine diventando virale acqui-stando visibi l i tà

L’azienda può decidere i l budget , basso r ispetto al la quantità

di idee che si ottengono

Il brand si mette sul lo stesso piano

dei consumatori aumentandone

la fedeltà

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L’azienda ha a che fare con una community ampissima ed eterogenea ricca di potenzial i talenti nascosti

L’azienda può scegliere tra moltissime proposte

La community può diventare uno strumento per verif icare

la commerciabil i tà e i l potenziale di un prodotto

Il concorso e quindi i l brand viene condiviso on-l ine diventando virale acqui-stando visibi l i tà

L’azienda può decidere i l budget , basso r ispetto al la quantità

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Può lavorare con grandibrand indipendentemente

dal suo curriculum, esperienza o disponibil i tà

di Partita IVA

Se vince viene pagatoe i l suo nome si diffondein rete nel la communitye sui social networks.

Attiva col laborazionie stringe relazionilavorative

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Attiva col laborazionie stringe relazionilavorative

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Può lavorare con grandibrand indipendentemente

dal suo curriculum, esperienza o disponibil i tà

di Partita IVA

Se vince viene pagatoe i l suo nome si diffondein rete nel la communitye sui social networks.

Attiva col laborazionie stringe relazionilavorative

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V I R A L I T ÀV I S I B I L I T À

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C O M M U N I T Y

a di n v i t o

p i a t t a f o r m a

c l i e n t e

v o t i

c o m m e n t i

c o n d i v i s i o n i

g i u r i a

a p e r t a

n o np u b b l i c h e

p u b b l i c h e

d e n a r o

r i c o n o s c i m e n t o

l a v o r o

C R O W D S O U R C I N GI V A L O R I P E R L A P I A T T A F O R M A

La piattaformaguadagna unapercentualeda ogni s ingolocontest

Con ogni contestla piattaformaguadagna visibi l i tàsol idità al imentandola sua community

C R O W D S O U R C I N GI V A L O R I P E R L ’ A G E N Z I A

L’agenzia individuae col laboracon talenticreativi .

I l budget da r ichiedere al l ’azienda è basso

r ispetto al numero di proposte che l ’agenzia

ottiene

L’agenzia può att ingeread un’ampio bacino

di creatività

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

A Z I E N D A

C L I E N T E

A G E N Z I A

P I A T T A F O R M A

C O M M U N I T Y

V I N C I T O R I

v a l u t a z i o n i s u :

N E C E S S I T ÀB U D G E T

d e fi n i z i o n e d i

B R I E FP R E M I

C A L LT OA C T I O N

V A L U T A Z I O N ED E L L E P R O P O S T E

A S S E G N A -Z I O N E D E IP R E M I

C O L L A B OR A Z I O N E

V I R A L I T ÀV I S I B I L I T À

R I S P O S T ED A L L A

C O M M U N I T Y

a di n v i t o

p i a t t a f o r m a

c l i e n t e

v o t i

c o m m e n t i

c o n d i v i s i o n i

g i u r i a

a p e r t a

n o np u b b l i c h e

p u b b l i c h e

d e n a r o

r i c o n o s c i m e n t o

l a v o r o

C R O W D S O U R C I N GI V A L O R I P E R L A P I A T T A F O R M A

La piattaformaguadagna unapercentualeda ogni s ingolocontest

Con ogni contestla piattaformaguadagna visibi l i tàsol idità al imentandola sua community

C R O W D S O U R C I N GI V A L O R I P E R L ’ A G E N Z I A

L’agenzia individuae col laboracon talenticreativi .

I l budget da r ichiedere al l ’azienda è basso

r ispetto al numero di proposte che l ’agenzia

ottiene

L’agenzia può att ingeread un’ampio bacino

di creatività

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L’azienda

� L’azienda ha a che fare con una communi-ty ampissima ed eterogenea ricca di poten-ziali talenti nascosti;

� La community può diventare uno strumento per verificare la commerciabilità e il po-tenziale di un prodotto;

� L’azienda può decidere il budget, basso ris-petto alla quantità di idee che si ottengono;

� L’azienda può scegliere tra moltissime proposte ed è libero di utilizzare il criterio di giudizio che preferisce nella selezione dei vincitori;

� Il concorso e quindi il brand viene condi-viso on-line diventando virale acquistando visibilità;

� Il contest in sè diventa una campagna commerciale di comunicazione;

� Il brand si mette sullo stesso piano dei consumatori aumentandone la fedeltà.

Il creativo

� Può lavorare con grandi brand indip-enden-temente dal suo curriculum, espe-rienza o disponibilità di Partita IVA;

� Se vince viene pagato e il suo nome si dif-fonde in rete nella community e sui social networks;

� Attiva collaborazioni, contatti e crea nuove relazioni;

� Può esprimersi liberamente.

Riassumiamo quali sono i valori percepiti che fanno del crowdsourcing un modello così di successo. Perché aziende, mmembri delle community e agenzie di comunicazione sfruttano sempre di più le piattaforme di contest on-line.

CROWDSOURCING SÌ?

131

4. Crowdcreativity e design della comunicazione

La piattaforma

� Aumentando i membri della community acquista visibilità e solidità;

� Guadagna una percentuale da ogni singolo contest;

� I brand e la community parlano della piat-taforma nei forum, condividendo con amici e colleghi.

L’agenzia di comunicazione

� Si può concentrare sulla strategia lascian-do le realizzazioni possibili alla community;

� Può attingere ad un’ampio bacino di creatività;

� Il budget da richiedere all’azienda è basso rispetto al numero di idee che si ottiene;

� Individua e collabora con talenti creativi.

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“Se avete fondato una startup e siete alla ri-cerca di un po’ di creatività, candidatevi subito, in palio ci sono nove contest in una categoria a scelta (per un valore massimo di 479 euro). Le startup selezionate, inoltre, verranno segnalate su 99designs.it e Startup-business.it.”

TheBlog.Tv ha realizzato “Crowdsourcing Network” un portale che raccoglie oltre 200 piattaforme di crowdsourcing e user-generated content. A farla da padrone sono proprio gli ambiti grafica e advertising ed incontriamo le italiane Zooppa, UserFarm o Starbytes. Il capostipite di queste piatta-forme è 99designs. Gestito dalla compagnia SitePoint, 99designs è un servizio web di logo design basato su processi di crowdcrea-tivity ed è considerato il più grande portale per il design creativo di questo tipo. Dalla sua fondazione nel dicembre 2008, 99designs ha ospitato più di 184.000 con-corsi internazionali di graphic design per startup, piccole aziende e altre organizza-zioni, erogando in totale guadagni per 45 milioni di dollari alla sua community di ol-tre 200.000 creativi. I concorsi lanciati dai clienti europei rappresentano attualmente più del 15% del totale concorsi ospitati su 99designs. Nel 2013 viene lanciata la ver-sione italiana di 99designs che, dopo quello francese e tedesco, è il terzo dominio locale lanciato dall’azienda in meno di cinque mesi.Per il lancio in Italia, 99designs e Startup-business hanno invitato le startup del paese a partecipare al concorso “99designs loves italian startups!” Ecco la descrizione della campagna dal sito 99designs.com:

4.4I modelli e il ruolodella crowdcreativity

133

4. Crowdcreativity e design della comunicazione

In Italia troviamo anche Zooppa, nata in seno alla H-Farm di Treviso che è un venture incubator che opera nell’ambito dei new media, favorendo lo sviluppo di start-up basate su nuovi modelli di business. Zooppa è stato fondato nel 2007 in Italia. Le aziende affidano a Zooppa le loro campagne pubblicitarie o parte di esse, e i membri della sua community competono per vincere i rispettivi premi in denaro. La community conta oggi 200.000 persone registrate di cui circa il 20% sono gli utenti attivi ossia che producono contenuti. Il modello oggi coinvolge aziende di rilievo nazionale ed internazionale poiché a partire da fine 2008 Zooppa ha aperto una sede anche negli Stati Uniti a Seattle che adesso è la sede centrale.tra i suoi clienti vi sono, Google, Nike, Her-shey’s, General Mills, Microsoft, NBC Uni-versal, Zinio e Mini Cooper. Oggi Zooppa è presente in Italia, Stati Uniti e anche in Brasile. Il suo team è molto piccolo nel senso che tutto viene gestito a livello Italia da 4 persone, negli Stati Uniti da una quindicina di persone. In Brasile da due persone.

Il processo su cui vive la piattaforma Zoo-ppa si sviluppa nei seguenti punti:

1: L’agenzia ha un’esigenza di comunicazio-ne da sviluppare;2: Lo staff di Zooppa cerca di capire quali sono le esigenze, quello che vuole il cliente, qual è il budget a disposizione e assiste nella pubblicazione del brief e delle richieste;3: L’azienda (o l’agenzia per lei) pubblica una open call specificando i premi finali sulla piattaforma Zooppa con la quale firma un contratto rivolgendosi alla community.4: Seguendo il brief, ciascun membro della community presenta la sua proposta (ven-gono caricati in media per singolo contest, 60-100 video e 400-1000 grafiche). 5: È possibile votare e commentare le idee altrui. Gli utenti possono seguirsi come su Twitter e partecipare a discussione su un forum;6: Al termine del bando, si valutano le proposte migliori che vengono premiate. Ci sono diverse possibilità per vincere e i premi possono essere di diverso tipo:- Client Awards, premi principali rilasciati dal cliente o da una giuria per lui;- Zooppa Staff Awards, rilasciati dallo staff di Zooppa;- Community Awards, premi rilasciati dalla comunità on-line

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MANIFESTO ZOOPPAWE WANT TO REMEMBERCarissimi Zoopper,grazie al fenomeno del web 2.0 e – con somma immodestia – anche grazie a Zooppa sta avvenendo una rivoluzione. Forse non ce ne ren-diamo conto. Siamo qui per ricordarlo, innanzitutto a noi stessi.Siamo qui per ricordare che la creatività è entrata nell’era del mash-up, degli user generated contents, delle reti sociali, della rielaborazi-one infinita, dove internet non è un luogo a sè, è dovunque. E non potremo più tornare indietro.Siamo qui per ricordare che è in atto un cambiamento epocale nelle relazioni fra le persone, le cose e le idee, in cui tutti i vecchi modelli vengono scardinati e riscritti, e quello che succederà ancora non lo sappiamo. Ma sappiamo che è già successo, mentre lo diciamo.Siamo qui per ricordare che incontrare altri appassionati di advertis-ing, far conoscere le proprie idee a chiunque, condividerle, confron-tarsi, migliorare, sperimentare, divertirsi e promuoversi come creati-vi, prima era impossibile. Oggi non solo è possibile, ma è solo l’inizio.Siamo qui per ricordare che Zooppa e quello che su Zooppa accade non è assimilabile a nulla di quello che c’era prima di Zooppa: gare creative, ruoli, mestieri, idee… il modello non è ancora stato scritto. Siamo qui per ricordare che la questione dei diritti d’autore è in evoluzione continua a livello globale, planetario, e che se qualcuno crede di avere la verità in tasca su questo tema si sbaglia.Siamo qui per ricordare che Zooppa non è una fabbrica di prodotti finiti e nemmeno un laboratorio di idee. E’ entrambe queste cose e nessuna delle due. E’ a tutti gli effetti qualcosa di mai visto prima.Siamo qui per ricordare che prima di Zooppa il mondo della pubblic-ità era diviso in due: le grandi agenzie da una parte, i grandi marchi dall’altra. Oggi c’è un terzo attore, siete voi. E noi siamo con voi, sem-pre, nel percorrere questa avventura.In Zooppa we trust.Zooppa Staff

135

4. Crowdcreativity e design della comunicazione

Quello che risulta spontaneo chiedersi è quale risulti essere il ruolo dei professioni-sti, dei grafici, dei creativi e delle agenzia di comunicazione tradizionali al sorgere di questi modelli e come possano questi com-petere con degli strumenti che sembrano offrire un valore aggiunto semplificando un processo che per sua natura deve affrontare dei passaggi non possono certamente essere sviluppati in crowdsourcing. Le questione che è necessario far sorgere sono sia di natura tecnica e riferite al metodo sia di tipo etico. Su daily.wired.it è stato chiesto a Luca Messaggi, ex Managing Deirector Europe di Zooppa, quale sia nello scenario “here comes everybody” del crowdsourcing, il ruolo dei comunicatori professionisti e delle agenzie. La sua risposta è stata: “Le agenzie andranno avanti: banalmente perché hanno una funzione diversa. Il crowd-sourcing dovrebbe essere la reinterpretazione di un brief, non il ricorrere a gente che si fa pagare meno per produrre uno storyboard già pensato. Una strategia la fai in agenzia: poi si può aprire alla gente, e produrre o anche solo testare tale strategia.”Questa affermazione però non ha sempre riscontro nella realtà. A tal riguardo, An-tonio Marazza, general manager di Landor Italia, azienda specializzata nella consul-tazione e nell’ideazione di brand si esprime

sul nuovo logo Upim nato da un concorso indetto su Zooppa.it al quale hanno parte-cipato 4.740 utenti e che ha premiato il vincitore Gianni Zardini, grafico freelancer di Verona, con ben 12.000 euro“L’idea del nuovo logo di Upim non è molto originale: graficamente, il segno che caratter-izza il logo è uguale a quello di Accenture, il cui rebranding su scala globale è stato gestito da Landor nel 2001. Anche la motivazione alla base della scelta è poco convincente: nel caso di Accenture invece c’è un chiaro legame tra posizionamento di marca, nome e identità: il concetto di ‘accento sul futuro’, che riassume la visione di una azienda che mette in pratica l’innovazione per cambiare e migliorare il modo in cui il mondo vive e la-vora. Il caso Upim – ha continuato Marazza - dimostra ancora una volta che non ci sono scorciatoie: la creazione di una identità di marca è una attività strategica, che deve es-sere gestita attraverso un processo collaudato e guidata da professionisti“.

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La questione quindi sembra essere da una parte l’approccio corretto ad un progetto di comunicazione e dall’altra il riconoscimento di una professione seria che ha alla base dei processi creativi consolidati per la genera-zione di artefatti comunicativi funzionali, che si scontra con un nuovo modello, più semplificato ma indubbiamente di successo. Secondo molti, questo nuovo modello in realtà non sostituisce completamente quelli precedenti ma vi si affianca aiutando lo svi-luppo di alcune fasi, quelle più creative, che comunque devono partire da una strate-gia aziendale che non può essere gene-rata in crowdsourcing. Spesso però l’intero processo creativo viene affidato ai nuovi modelli di crowdsourcing facendo sorgere alcune criticità che è necessario prendere in considerazione. Quando lo sviluppo di un logo, di una brand identity è guidata da una community libera di professionisti e non, che porta ad un azzeramento dei livelli e che mette tutti i talenti sullo stesso piano si ha una dispersione, piuttosto che una con-centrazione di creatività. Allo stesso modo i gestori della community e delle piattaforme privilegiano spesso la partecipazione rispet-to alla qualità: Alessandro Cappellotto (ai tempi comunity manager di Zooppa Italia) nel video in cui annunciava il vincitore del contest per il logo Upim infatti dice “siamo

contenti della grande partecipazione che c’è stata, sappiamo che c’è stata molta attesa e ci sono state tante aspettative, ci dispiace che solo una persona potrà vincere”. In questo senso i gestori dei siti di crowdsourcing devono preoccuparsi sia della loro commu-nity e del suo umore, sia dell’effettivo valore realizzato.Queste piattaforme si sviluppano dunque su due binari paralleli. Da un lato ci sono le agenzie e il cliente e dall’altra parte gli uten-ti e coloro che si iscrivono e partecipano e che danno il loro contributo. Il gestire e mantenere alto l’umore della community è un’attività centrale affidata al community manager in quanto gli utenti sono effettiva-mente la fonte primaria del modello.

In un intervista svolta dal blog Onicedesign, lo stesso Alessandro Cappellotto chiarisce quello che per Zooppa è il rapporto tra aziende, agenzie di comunicazione. Riportiamo alcuni passaggi come spunti per una riflessione su quale possa essere il rap-porto tra questi nuovi mezzi e la professione del designer:

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

E’ presumibile che, dietro ai grandi brand che si rivolgono al crowdsourcing, ci siano grandi agenzie che li seguono da molto tempo. Quale interesse può avere l’agenzia a non gestire interamente il processo creativo e lanciare invece un contest ad una folla di sconosciuti?I motivi secondo me sono almeno due, e sono imprescindibili. Il primo è la strategia. Noi non proponiamo strategie ai nostri clienti; anzi, ai brand che ci interpellano diciamo sempre che per trarre il massimo poten-ziale da Zooppa, la campagna va inserita all’interno di una strategia più ampia, che preveda magari l’uso dei social media, della viralità del web. Ti faccio notare una cosa: i nostri contest, noi preferiamo chiamarli campagne perché l’azione di interrogare una community, di lanciare input in un contesto di spiccata relazionalità e viralità, è già parte di una campagna di sviluppo del brand: e lo sviluppo del brand non può farlo la folla, deve farlo l’agenzia. Il secondo fattore sono i servizi. Quando all’azienda arriva un output creativo da Zooppa va declinato, va adat-tato ai media e ai supporti, va magari rifinito meglio. Può dunque esistere sovrapposizione tra Zooppa e agenzia per l’aspetto stretta-mente creativo, di generazione delle idee: ma tutto ciò che riguarda i servizi e la strategia, assolutamente no....

Ok, la strategia, ma è la fine dei creativi professionisti nelle agenzie?Certo che no. Intendiamoci: molta creatività potrebbe essere assegnata alla folla. Ma al-cune creatività di alto livello non possono co-munque emergere da una crowd. Ad esempio, per girare uno spot che richiede una execution complessa, l’azienda ha bisogno di profes-sionalità elevate: videomaker, set, produzi-one costosa, modelli e chissà che altro. Una creatività di alto livello, con un’alta compo-nente organizzativa di servizi non potrà che restare in agenzia, ed essere gestita secondo i processi di lavoro che ben conosciamo.

Una polemica che sento spesso sollevare riguarda il pricing delle campagna. In-somma, diciamoci la verità: investendo un budget ridotto, alla fine all’azienda restano in mano decine o centinaia di idee e input...(...) L’obiettivo di Zooppa è il coinvolgimento, prima ancora della generazione di conte-nuti per le aziende. Per questo è importante avere un forum, un blog, la possibilità per gli utenti di commentare i lavori l’un l’altro. Ogni nostro contest diventa così un’occasione di conversazione di massa: chi genera le idee apprezza soprattutto la possibilità di con-frontarsi, di vedere cosa fanno gli altri, di imparare e migliorare se stessi. L’utile per un

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utente su Zooppa non è solo il denaro vinto dai premi: è anche la community stessa.

Quindi cosa succederà? Le aziende con-tinueranno a speculare su una folla che si fa pagare meno rispetto a un professioni-sta?Tutt’altro: sono profondamente convinto che, con il crowdsourcing in rapida espansione, i budget delle singola campagna si alzeranno sempre di più. (...) Sta quindi emergendo una concorrenza tra brand... una concorrenza tutta interna al pianeta crowdsourcing, una concorrenza trasversale ai brand, che cercano di contendersi e corteggiare gli utenti della community proponendo campagne sempre più interessanti e con un alto rewarding rispetto ai concorrenti: pena la scarsa parte-cipazione. Le aziende stanno cominciando a rendersi conto che se speculano tenendo i premi bassi, l’engagement della community sarà scarsissimo.

L’iscrizione a queste piattaforme è libera e qualsiasi utente può accedervi e parteci-pare ai contest liberi. In alcuni casi i clienti hanno la possibilità di sviluppare delle call to action chiuse e rivlte solo ad alcuni utenti selezionati, i milgiori, i più premiati o i più selezionati. Inoltre non è obbligatorio fornire le proprie referenze, curriculum o portfolio ed è possibile partecipare ai con-test in forma totalmente anonima.UserFarm è un progetto di TheBlogTV, fon-data da Bruno Pellegrini in Italia ma attiva anche in Spagna, Francia e Regno Unito. I contest offerti da UserFarm riguardano perlopiù il crowdsourcing audiovisivo. L’azienda ha oggi sede a Londra e conta circa 45.000 filmakers iscritti online da 150 diversi paesi. Il modello seguito da UserFarm non si discosta molto da quello di Zooppa se non in alcuni dettagli:

Intervista a Alessandro Cappellottoda Masse Creative,Stefano Terragrossa,2011

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

L’azienda (o l’agenzia di comunicazione) ha un’esigenza di comunicazione da soddisfare, stabilisce un budget e si rivolge a UserFarm.L’azienda firma un contratto con UserFarm e interpella pubblicando il contest e il premio finale una community. Seguendo il brief. ciascun utente pubblica la sua propos-ta. La visibilità delle proposte e la qualità della community interpellata vengono de-cise dall’azienda (Si possono quindi attivare call private invitando solo alcuni creativi). Al termine del bando, l’azienda stessa o una giuria per lei (a sua discrezione) valuta la proposta migliore e il vincitore viene premiato.

Logotipo diUserfarm

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Quando le piattaforme di condivisione, e crowdsourcing sono legate al design della comunicazione e alla professione del design-er della comunicazione presentano diverse criticità soprattutto per quanto riguarda la modalità dei contest on-line che stiamo prendendo in considerazione. I rischi sono sia per il cliente che per il designer.Il cliente inevitabilmente rischia in termini di qualità. Il poco tempo e le poche energie che vengono impiegate nella realizzazione di questi lavori rischiano di far scadere l’opera in un lavoro speculativo e di puro esercizio formale. Non è possibile verifica-re la professionalità delle persone che ven-gono interpellate e la comunità on-line non offre un valore verificabile. Inoltre, sempre a causa del poco tempo a dispo-sizione vengono automaticamente chiuse le porte ad alcune delle fasi più importanti del pensiero progettante e della cultura del design: la ricerca, la considerazione pensata di alternative, lo sviluppo di una strategia, il miglioramento del progetto, la verifica di prototipi. Non potendo mostrare lo sviluppo di queste fasi viene sminuito sia il valore economico del contributo dei designer verso l’obiettivo del cliente sia lo stesso ruolo del progetto di comunicazione all’interno di un piano strategico più ampio. I designer rischiano così di essere sfruttati poiché al-

cuni clienti possono vedere questo processo facilitato come un modo per ottenere lavori gratis. A tal proposito la questione della pro-prietà intellettuale e il rischio di plagio sono altre problematiche che vanno considera-te. La facilità d’accesso alle informazioni rende ancora più sfuggevole la questione del diritto d’autore. Tali contest spesso non presentano una regolamentazione adeguata e idonea che possa tutelare le realizzazioni dei designer dallo sfruttamento da parte del cliente e da parte degli altri concorrenti. In molti casi inoltre chi copia o plagia opere altrui all’interno di questi modelli rischia solo la cancellazione del profilo dalla piat-taforma. Spesso non c’è una norma contrat-tuale che tutela legalmente il professionista. E‘ un campo minato sotto diversi aspetti e alcune di queste piattaforme non pre-sentano filtri d’accesso per i professionisti o studenti che vogliano cimentarsi in un concorso e questo porta alla generazione di vere e proprie comunità di profili e designer anonimi che lavorano per clienti e società che non conoscono minimamente. Questo comporta due tipi di problematiche. Innan-zitutto si genera un design spersonalizzato e lontano da ciò che effettivamente deve comunicare, allontanando sempre di più il designer dall’azienda e facendo percepire il rapporto deisnger-impresa e la necessità di

4.5Un design rischioso

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

un progetto di comunicazione sempre meno necessario e sempre meno professionale. La seconda problematica è riferita alla qualità degli output generati dalla folla. Appiatten-do i differenti livelli di professionalità e di talenti si abbassa anche la qualità e non sempre ricevere centinaia di proposte è la soluzione migliore per chi ha esigenze di comunicazione. “Aprire all’esterno il proprio processo creativo è una grande idea: ma raramente si ottengono buoni risultati. La frammentazione estrema della creatività condivisa fa perdere di vista l’unità del proprio lavoro. Si finisce per ragionare a strati e si perde di vista l’essenza della cosa che si vuole realizzare”, Brian Eno.[Cassandro D., 2010] Le aziende spesso si dimenticano, o non sanno, che la comunicazione è business e quella tra designer e azienda è una relazione professionale e non un gioco on-line.Tuttavia il crowdsourcing creativo si sta inserendo sempre di più nello scenario della creatività: masse di designer, creativi, studenti, professionisti e non, accettano il rischio di non venire pagati e producono contenuti sia per la piccola-media impresa sia, come abbiamo visto, per grandi brand internazionali. Allo stesso tempo le aziende accettano di affidare i propri brief a com-munity con competenze non verificabili

che condividono, votano, scambiano, collabora-no e commentano. Le aziende hanno la possibilità di decidere il prezzo delle open call pubblicate, le piattaforme ne trattengono una percentuale e il resto dei soldi vengono tradotti in premi per la community. Chi si affida al crowdsourcing è cosciente del fatto che più il premio è alto migliore sarà l’engagement ma i prezzi coi quali l’aziende decide di sviluppare un certo prodotto di comunicazione in crowdsourc-ing sono comunque molto più bassi rispetto a quelli che dovrebbe affrontare seguendo i modelli classici. I vincitori ottengono i premi ma non sempre hanno la garanzia di poter seguire lo sviluppo del progetto o l’assegnazione di altri lavori. Chi invece ha partecipato senza vincere in alcuni casi può ottenere altri premi paralleli offerti dalla piattaforma ma in fin dei conti ha lavorato gratis. Possiamo parlare di design specula-tivo che nasce quando un designer accetta di proporre al cliente un progetto senza avere la sicurezza dell’assegnazione di una commissione progettuale o di ricevere un compenso. Il design è speculativo quando il designer perde i diritti sull’opera non aven-do firmato nessun contratto che lo tuteli dallo sfruttamento della proprietà intellet-tuale.

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“Secondo CrowdSpring, i designerhanno pubblicato oltre 219.000 proposte nei vari contest fino all’Aprile 2009. Supponendo che dietro ad ogni proposta ci sia una media di un’ora di lavoro, ed è una stima decisamente al ribasso, risultano 25 anni di graphic design non pagato”

Seteve Douglas, The Logo Factory spiega così il realecosto di un’iniziativa di crowdsourcing.da Terragrossa S., Masse Creative.

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

L’atteggiamento che porta ad una forzata riduzione del proprio compenso da parte dei designer, per competere con i potenziali rivali porta ad una svalutazione sia delle ca-pacità dello stesso designer, sia quelle della professione e della categoria. Jeff Fisher della Jeff Fisher LogoMotives dice “L’unica cosa peggiore di un cliente che non dà il giusto valore al lavoro di un designer professionista, è un designer che non dà il giusto valore al proprio lavoro”.Un designer che decide di sfruttare uno dei modelli presentati potrebbe pensare che la qualità del proprio lavoro si farà distinguere, permettendogli di vincere più premi degli altri e chi in fondo questa competizione faccia bene alla sua crescita professionale e al suo portfolio. In questo ragionamento si dà per scontato che il cliente capisca e comprenda di design gra-fico di qualità ma non sempre è così e non sempre viene costituita una giuria adeguata di professionisti che permetta di trovare il risultato offerto migliore tra i tanti. Molte volte è lo stesso cliente a decretare il vin-citore basando la sua scelta su valutazioni superficiali e di tipo estetico-formale.

Perché dunque il design della comunica-zione presenta così tante criticità quando si appoggia alle nuove modalità di crowd-sourcing e crowdcreativity? Le motivazioni sono molteplici e di diversa natura. Rispetto al prodotto e agli oggetti fisici, la comu-nicazione va vista da una prospettiva diversa: innanzitutto da un lato non si ha un prodotto materiale e tangibile, quindi più difficile da cogliere. Quando si parla di comunicazione si parla di un lavoro che non è artigianale e soprattutto si parla di un lavoro che ha a che fare fin da subito con la committenza, con l’utenza e con valutazioni progettuali strategiche di comunicazione. Allora il punto sul quale bisogna realmente ragionare è quello di una responsabilità etica, deontologica che il designer della comunicazione ha nei confronti dei suoi utenti. Anche quando si parla di corporate design e di branding per aziende, il designer comunque sta affrontando un progetto strategico che non può essere legato sem-plicemente ad una sperimenta-zione formale o di materiali come invece accade spesso nei contest on-line. Il design della comunicazione non può essere semplificato eccessivamente nei suoi processi e non può ridursi ad un puro esercizio di forma e per realizzare un artefatto comunicativo profes-sionale serve una ricerca accurata di talenti

4.6Anche mio cuginopuò fare il grafico

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qualificati, la costruzione di un rapporto tra l’azienda e i designer, nonché un presidio strategico sull’intero processo. Questo può avvenire online o offline, non è questo il punto. La questione del riconoscimento di una professione che ha già di per sè proble-mi ad essere riconosciuta in diversi contesi si scontra ulteriormente con i nuovi metodi e strumenti offerti dalla crowdcreativity. Il designer in questi modelli è come se venisse affittato a basso costo ma non è partecipe effettivamente dei contenuti, della filosofia aziendale e della ricaduta sociale di ciò che deve comunicare. Un progetto di comuni-cazione non può essere distinto da ciò che deve comunicare: un’azienda, un evento, un prodotto. Richard Grefe, direttore esecutivo dell’AIGA (American Institute of Grapchic Arts) si è così espresso:“Il successo di un progetto nasce da un processo di collaborazione tra il cliente e il progettista, lo sviluppo di un chiaro senso di quelli che sono gli obiettivi della committen-za, la situazione concorrenziale e le necessità. I concorsi speculativi di design conducono ad una valutazione superficiale dei problemi e può generare solo design che è giudicato su una base superficiale. Il design crea valore per i clienti come risultato di un approccio che i progettisti seguono per affrontare i problemi e le necessità del cliente e solo al termine di

questo processo un “design” è creato”Perciò la pianificazione di un artefatto comunicativo necessita valutazioni di tipo strategico e attività di ricerca di scenari d’interazione che vengono prima dell’effet-tiva realizzazione dell’artefatto e si gen-erano dal confronto tra committenza e designer. I progetti che vengono generati da contest male organizzati e male regola-mentati sono progetti deboli e che sono più legati alla forma e al formalismo che non invece a riflessioni strategiche basate su ricerche e analisi strategiche. La presen-tazione di una strategia, di una ricaduta del progetto, immaginare degli scenari che si possono innescare non sono fasi che si pos-sono evitare nel design della comunicazione perché questo ha a che fare fin dalla nascita del progetto con la percezione dell’utente, la gestione del materiale percepibile e percepi-to. Saltando queste fasi del percorso proget-tuale il design della comunicazione viene svuotato della sua sostanza culturale. Il legame committenza-designer deve esis-tere e deve essere considerato un rapporto professionale e di reciproca collaborazione. Le aziende devono rendersi conto che senza incontrare i designer coinvolti si corre un grosso rischio. Basandosi solo sull’immagine pubblicata on-line non è possibile comprendere quali siano le reali

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

capacità del designer vincitore. L’azienda azzarderà e sceglierà quella che è la propos-ta più bella. Ma è facile realizzare una forma bella da vedere ma fare in modo che queste forme siano funzionali alla comunicazione e rispecchino tecnicamente e teoricamente le esigenze della strategia aziendale è un altro discorso. Allo stesso modo servono compe-tenze di ben diverso livello per proseguire nello sviluppo di un progetto, con modifiche e produzione.Michael Samson, co-fondatore della piat-taforma di crowdsourcing CrowdSpring ha dichiarato: “La cosa migliore è che non importa più se sei laureato alla Scuola di Design di Rhode Island o se sei una nonna nel Tennessee con del tempo libero e una copia di Adobe Illustrator. Se il cliente preferisce l’idea della nonna, sarà lei a vincere il lavoro”.

Siamo in uno scenario in cui il pensiero co-mune sempre più spesso è “anche mio cugino può fare il grafico”. Il cliente che pubblica un concorso on-line sceglierà chiaramente il design più bello, non il più efficace o il più funzionale alle sue esigenze comunicative. Il designer professionista è quello che legge ed interpreta le necessità del cliente e di aiutarlo spingendolo verso le scelte giuste nella soddisfazione di tali necessità. Bisogna rendersi conto e chiarire che il designer della comunicazione ha una responsabil-ità ed una ricaduta sul sociale molto forte ed è per questo che fin dall’inizio il pro-getto deve essere legato ad una strategia, all’utente e a tutte le valutazioni che questo comporta. Se si capisce questo nodo allora cambia totalmente il paradigma dal quale si affrontano tutti i ragionamenti sul design

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della comunicazione e sulle modalità di relazione tra designer della comunicazione e committenza. Le criticità sono molte certamente ma ques-ti nuovi modelli si stanno facendo notare e non possono non essere presi in considera-zione dai professionisti e dagli studiosi di design come qualcosa di certamente interes-sante e che è indice di un’evoluzione ed adattamento culturale della professione ai nuovi modi, alle nuove opportunità offerte dall’innovazione e alle necessità richieste dal mercato. Il loro successo è indice del fatto che i contest online sono effettiva-mente una risposta a quelle che sono le domande e le esigenze del cliente in relazio-ne alle nuove opportunità. Le piattaforme on-line non sono altro che la naturale conseguenza di una serie di fattori che si sono inevitabilmente uniti. Non è più pos-sibile vedere questi modelli come una moda o il trand del momento poiché anche se oggi stanno cavalcando l’onda del successo sono ormai pienamente inseriti nello scenario di sviluppo di un progetto di comunicazione. Le piattaforme come Zooppa e UserFarm propongono un modello di business nuovo ma che in realtà nasce da strumenti e da tecnologie che c’erano e che andavano solo ordinate come i tasselli di un puzzle per andare incontro a delle domande di mercato

che volevano essere soddisfatte.Tutto questo va però valutato e deve portare a considerazioni riguardanti la responsa-bilità del professionista nei confronti del cliente e della cultura di ciò che è il proprio lavoro per giungere sia ad un riconoscimen-to di una professione che deve essere difesa sia per comprendere e migliorare dei mod-elli e degli scenari che non possono essere ignorati. Ross Kimbarovski di CrowdSpring, è cosciente del fatto che il crowdsourcing, sebbene stia vivendo il suo momento d’oro, non è apprezzato da tutti, “Altri designer, nella comunità creativa, non sono contenti del crowdsourcing. CrowdSpring è un’opzione tra mille altre. I designer più esperti e professio-nisti, d’altra parte, hanno già clienti regolari e paganti, e non hanno certo bisogno del lavoro speculativo”. In realtà anche i designer professionisti stanno sentendo la pressione. Per rispond-ere adeguatamente al cambiamento che sta avvenendo, è necessario analizzare, modifi-care e regolamentare tali modelli e sensibi-lizzare designer e aziende con esigenze di comunicazione.

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

A cosa è dovuto il successo dei sistemi Zoo-ppa, UserFarm, Crowdspring o 99designs sia nei numeri delle aziende che si affidano ad essi sia (e soprattutto) nei numeri dei membri che popolano le loro community creative? I motivi sono sicuramente il poco lavoro, la tentazione di provarci e di affron-tare una sfida, un gioco, la disponibilità di tempo da dedicarci. A prima vista sembrano modelli comodi e convenienti per tutti gli attori in gioco ma come abbiamo visto è il sistema in sé a mostrare alcuni difetti poiché toglie valore all’idea, alla creatività e al design. Convince i clienti che sia meglio ricevere mille proposte tra cui scegliere piuttosto che riceverne cinque o sei studiate e progettate da un professionista. Spinge il designer a dover competere con prezzi im-battibili e con design spesso dilettantistici e mal percepiti. Questa convinzione purtrop-po sminuisce il processo progettuale in sé e l’intera categoria professionale.

Di seguito riportiamo quelle che sono le cri-ticità individuate all’interno di un processo di crowdceativity classico e i conseguenti rischi per azienda, creativo, piattaforma e agenzia.

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Non si aff ida a designer professionist i ma ad una fol la con competenze non verif ica-bi l i con i l r ischio di ottenere

solo lavori mediocri

C R O W D S O U R C I N GL E C R I T I C I T À P E R L ’ A Z I E N D A

Non può stabil ire una relazione professionale diretta col designer nel lo corso del processo, elemento base per un corretto svi luppo di un progetto di comunicazione.

Rischia di scegliere un progetto solo perché è bel lo e non perché è tecnicamente, strategicamente eff icace e funzionale al la comunicazione

Se non viene soddisfatto r ischia di distaccarsi da tutto quello che è comunicazione non essendo stato guidata da un professionista

Rischia di scegliere un designer di lettante

senza le competenze per seguire l ’evoluzione del

progetto f ino al la f ineSe sceglie un design non professionale e non ragionato r ischia di avere del le r ipercussioni sul la sua immagine nel tempo

Affida le sue necessità di comunicazione ad un brief di poche righe mentre è impor-tante inserire lo svi luppo di un artefatto al l ’ interno di un piano strategico più ampio e chiaro.

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

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Non si aff ida a designer professionist i ma ad una fol la con competenze non verif ica-bi l i con i l r ischio di ottenere

solo lavori mediocri

C R O W D S O U R C I N GL E C R I T I C I T À P E R L ’ A Z I E N D A

Non può stabil ire una relazione professionale diretta col designer nel lo corso del processo, elemento base per un corretto svi luppo di un progetto di comunicazione.

Rischia di scegliere un progetto solo perché è bel lo e non perché è tecnicamente, strategicamente eff icace e funzionale al la comunicazione

Se non viene soddisfatto r ischia di distaccarsi da tutto quello che è comunicazione non essendo stato guidata da un professionista

Rischia di scegliere un designer di lettante

senza le competenze per seguire l ’evoluzione del

progetto f ino al la f ineSe sceglie un design non professionale e non ragionato r ischia di avere del le r ipercussioni sul la sua immagine nel tempo

Affida le sue necessità di comunicazione ad un brief di poche righe mentre è impor-tante inserire lo svi luppo di un artefatto al l ’ interno di un piano strategico più ampio e chiaro.

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Lavora senza avere la certezza di r icevere una ricompensa e anche se vince i l premio in denaro non ha alcuna garanzia di entrare in contatto con l ’azienda e di lavorarci dopo i l contest

Amplif ica la percezione che chiunque possa lavorare nel l ’ambito del la creatività e che non siano necessarie del le competenze pro-fessionali specif iche, andando contro a quello che dovrebbe essere i l suo interesse lavorativo.

Non è tutelato sul la proprietà intel lettuale e sui diritt i del la sua real izzazione

Spesso i l vincitore non viene scelto da una giuria di pro-fessionist i , per cui non vince i l progetto più funzionale ma i l più bel lo esteticamente

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Lavora senza avere la certezza di r icevere una ricompensa e anche se vince i l premio in denaro non ha alcuna garanzia di entrare in contatto con l ’azienda e di lavorarci dopo i l contest

Amplif ica la percezione che chiunque possa lavorare nel l ’ambito del la creatività e che non siano necessarie del le competenze pro-fessionali specif iche, andando contro a quello che dovrebbe essere i l suo interesse lavorativo.

Non è tutelato sul la proprietà intel lettuale e sui diritt i del la sua real izzazione

Spesso i l vincitore non viene scelto da una giuria di pro-fessionist i , per cui non vince i l progetto più funzionale ma i l più bel lo esteticamente

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La piattaformaavorisce la gener-azione di lavori speculativi

L’agenzia perde i l suo ruolo professionale

L’agenzia r ischiadi legarsi a crea-t ività mediocri

L’agenzia non ha i l control lo completo sul processo crea-t ivo e r ischia di r idursi a studio di marketing

La piattaforma amplif ica la percezione che chiunque possa lavorare nel l ’ambito del la creatività e che non siano necessarie del le competenze professionali specif iche

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

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La piattaformaavorisce la gener-azione di lavori speculativi

L’agenzia perde i l suo ruolo professionale

L’agenzia r ischiadi legarsi a crea-t ività mediocri

L’agenzia non ha i l control lo completo sul processo crea-t ivo e r ischia di r idursi a studio di marketing

La piattaforma amplif ica la percezione che chiunque possa lavorare nel l ’ambito del la creatività e che non siano necessarie del le competenze professionali specif iche

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L’azienda

� Non si affida a designer professionisti, e a una folla con competenze non verificabili con il rischio di ottenere solo lavori mediocri;

� Non sempre può stabilire una relazione professionale diretta con un designer nello sviluppo di un progetto, elemento base per un corretto sviluppo di un progetto di comunicazione;

� Affida le sue necessità di comunicazione ad un brief striminzito in poche righe men-tre è importante inserire lo sviluppo di un artefatto all’interno di un piano strategico più ampio e chiaro;

� Rischia di scegliere un progetto solo perché è bello e non perché è tecnicamente, strategicamente efficace e funzionale alla comunicazione;

� Rischia di scegliere un designer dilet-tante senza le competenze per seguire l’evoluzione del progetto fino alla fine.

� Se non viene soddisfatto rischia di distac-carsi da tutto quello che è comunicazione

non essendo stato guidata da un professioni-sta;

� Se sceglie un design non professionale e non ragionato rischia di avere delle riper-cussioni sulla sua immagine nel tempo;

� Può trovarsi tra le mani un lavoro copiato o plagiato e avere delle ripercussioni legali per violazione di copyright.

Il creativo

� Lavora senza avere la certezza di ricevere una ricompensa e anche se vince il premio in denaro non ha alcuna garanzia di entrare in contatto con l’azienda e di lavorarci dopo il contest;

� Non è tutelato sulla proprietà intellettuale e sui diritti della sua realizzazione;

� Partecipa ad una gara in cui spesso il vincitore non viene scelto da una giuria di professionisti, per cui non vince il progetto più funzionale ma il più bello esteticamente;� Vive la frustrazione di essere superato da dilettanti che non hanno nessuna compe-

Riassumiamo quali sono i rischi della crowdcreativity. Perché aziende, mmembri delle community e agenzie di comunicazione rischiano di andare incontro a design deboli, speculativi e spersonalizzati.

CROWDSOURCING NO?

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4. Crowdcreativity e design della comunicazione

tenza professionale grafica e di realizzazio-ne di un progetto di comunicazione.

� Lavora in fretta per produrre più crea-tività possibile per avere più probabilità di vincere un contest, saltando alcune fasi del progetto.

� Rischia la reputazione nel pubblicare on-line progetti mediocri realizzati solo per partecipare in fretta ad un contest;

� Amplifica la percezione che chiunque possa lavorare nell’ambito della creatività e che non siano necessarie delle competenze professionali specifiche, andando contro a quello che dovrebbe essere il suo interesse lavorativo.

La piattaforma

� Favorisce la generazione di lavori specu-lativi;

� Amplifica la percezione che chiunque possa lavorare nell’ambito della creatività e che non siano necessarie delle competenze professionali specifiche;

L’agenzia di comunicazione

� Perde il suo ruolo professionale;

� Viene surclassata e superata nelle scelte creative;

� Si lega a creatività mediocri;

� Si riduce a mero studio di marketing anzi-ché completa agenzia di comunicazione

� Amplifica la percezione che chiunque possa lavorare nell’ambito della creatività e che non siano necessarie delle competenze professionali specifiche, andando contro a quello che dovrebbe essere il suo interesse lavorativo.

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5 C O N O S C E R E I L M O D E L L O :

I N C O N T R O E D I B A T T I T O A L L ’ A I A P

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Per la loro sfuggevolezza le questioni sul crowdsourcing e le relative problematiche individuate hanno bisogno di un sistema di regole e di assimilare alcune delle questioni etiche che abbiamo affrontato. Proprio per questo le piattaforme di crowdsourcing devono passare per analisi, dibattiti, ipotesi di correzione e proposte. Insomma è neces-sario incontrarle e conoscerle. Essendo cen-trale all’interno del mio studio la questione etica e riferita al ruolo dei professionisti, ho deciso di contattare l’AIAP, Associazione Italiana Design della Comunicazione Visiva, la più numerosa associazione di categoria

italiana con oltre 800 soci, molti dei migliori progettisti, ricercatori e studiosi della gra-fica e della comunicazione visiva italiana. Obiettivo di AIAP è quello di favorire e diffondere la valorizzazione e lo sviluppo della professione e della cultura del progetto grafico, sostenere il riconoscimento del ruolo fondamentale della comunicazione visiva sia in Italia che all’estero attraverso i progetti, le opere, l’impegno etico e morale dei suoi soci nell’esercizio della professione.

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Sul sito dell’AIAP si legge:“Promuovere e qualificare l’evoluzione e l’eccellenza del linguaggio grafico in am-bito professionale e didattico sono le finalità dell’Aiap e dei suoi soci. La ricerca continua, il corretto uso della tipografia, il rigore della composizione, il rispettto del fruitore, l’attenzione all’ambiente e alle risorse natura-li, la consapevolezza della storia della grafica, l’attenzione continua agli effetti che il pro-getto grafico produce sul mondo e sulle per-sone sono patrimonio condiviso da tutti i soci nonché modelli di comportamento per rendere sempre più evidente e necessaria la figura del designer della comunicazione visiva.” Nel 1989 viene redatta la “Carta del Progetto Grafico” nel corso dell’assemblea nazionale Aiap, svoltasi ad Aosta, da un comitato rap-presentativo delle realtà più impegnate del settore: l’Aiap, l’Adi (Associazione Design Industriale), il mondo dell’università, le riviste Grafica, promossa dall’Aiap, e Linea-grafica. La “Carta” stimola il dibattito sulla professione sia in Italia che all’estero e viene sottoscritta sia da professionisti che da

studiosi del settore diventando un punto di riferimento per le iniziative che intendono promuovere il riconoscimento dell’identità professionale del progettista grafico. Riprendendo alcune riflessioni della “Carta”, l’Associazione nel 1993 sviluppa un nuovo “Codice di etica deontologica e con-dotta professionale”, che promuove “atteg-giamenti di maggiore consapevolezza e responsabilità, soprattutto rispetto all’im-patto sociale, culturale e ambientale della progettazione grafica e, più in generale, della comunicazione.” [www.aiap.it]Sono venuto a conoscenza di una discus-sione attiva sul gruppo Linkedin dell’AIAP promossa da Monica F. con questa frase di apertura: “Ho scoperto questo sito dove chi ha bisogno di un marchio, sito, etc., inseri-sce il brief con il budget previsto e ottiene proposte dalla comunità dei professionisti iscritti. Peccato che in media la cifra offerta per un logo sia di 250 euro...”. Ne è nata una discussione molto attiva e piena di stimo-lanti spunti di riflessioni. Tra gli altri interventi:

5.1In AIAP

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5. Incontro e dibattito all’AIAP

“Celebriamo la morte di una professione ringraziando il “ tanto al chilo, via web”.Penso che i clienti che usano questo servizio sia meglio perderli che trovarli e chi offre questo servizio o è disperato (succede pur-troppo) o è un qualcuno con il computerino in cucina...” - Graziano V.

“Le community di crowdsourcing sono fre-quentate da dilettanti della comunicazione visiva e “smanettoni” di programmi che non hanno cognizione di progettazione e cose simili. “ - Francesco O.

“A mio parere c’è necessità di strumenti che regolarizzino la situazione pero’ evitando levergognose esperienze degli albi professionali come sono in italia... Qual è la soluzione?Sinceramente non lo so... Parliamone... “- Cristian G.

“Il problema, a mio avviso, è la mancata percezione del ruolo professionale. Il grafico/graphic per molti non è un professionista ma semplicemente un creativo, uno bravo col computer, uno con la passione“ - Chiara P.

“Il punto è che questi siti funzionano... “Stefano G...

“Io sono stufo di questo, e faccio questo mestiere da pochi anni, immagino chi di voi, invece, lo fa da decenni...“- Graziano C.

“Totale degrado, specchio dei tempi. Allonta-narsi il più possibile da queste realtà e cercare di diffondere e difendere sempre il nostro lavoro, giorno dopo giorno. “- Giancarlo D.

Sono dunque intervenuto nella conversazi-one che risaliva a qualche settimana prima per dire la mia in riferimento all’analisi che avevo svolto.

Andrea D.“Ho letto tutto e... la questione purtroppo mi sembra molto sfuggevole perché legata a temi tanto concreti quanto poco percepiti dal cli-ente: ad esempio “il non riconoscimento della professione”, “l’etica del lavoro”, “la cultura del progetto”, “la proprietà intellettuale”. Sono d’accordo con chi dice che queste piatta-forme siano lo specchio del degrado culturale di questi tempi ... ma...Non credete che questi nuovi modelli siano necessariamente delle realtà che i profes-sionisti debbano affrontare? Esistono. Chiaramente così come sono presentati oggi ci sembrano svilenti e speculativi ma sono in

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attuale socio AIAP; Piergiorgio Capozza, tesoriere dell’associazione e partecipante attivo della conversazione su Linkedin. Tutti i soci erano informati sul tema del crowdsourcing e sulla realtà delle piattaforme di contest on-line come Zooppa e UserFarm. Il loro giudizio in generale è stato critico ma aperto ad un confronto e a conoscere meglio una realtà spiazzante e certamente interes-sante. L’associazione però non aveva ancora mai espresso ufficialmente la sua opinione al riguardo.Nasce qui l’idea di organizzare un evento in collaborazione con AIAP per far incon-trare tutti gli attori dello scenario fino a qui analizzato. AIAP si è subito dimostrata interessata all’esperienza di confronto e ha aperto le porte alla mia proposta. Con i soci Francesco E. Guida e Piergiorgio Capozza abbiamo cominciato a definirne le modalità e i dettagli.

realtà la conseguenza del fatto che oggi tutti possono improvvisarsi grafico o comunica-tore. Quello che distingue il professionista chiaramente è una base culturale la culturadel progetto che non può essere messa da parte in un lavoro di comunicazione. Questo il committente spesso non lo capisce e preferisce basare il suo giudizio sulla quantità di “Mi Piace” che un progetto riceve. Come si può ri-solvere questa situazione? Educando la com-mittenza? Regolamentando questi modelli? Se si stabilissero delle regole che intendano far capire a chi vuole usufruire di quel servizio che se alza la quota la qualità è migliore?”In questa discussione le opinioni erano molte, diverse e dei più era la volontà di trovare una soluzione alle problematiche sentite. Causa forse il canale utilizzato la conversazione offriva molti spunti ma non stava portando a nulla di concreto.Ho quindi deciso di contattare AIAP per capire quale fosse di fatto la sua posizione rispetto al sorgere dei nuovi modelli e per capire l’opinione generale dell’associazione riguardo alla questione etica e professionale riferita agli strumenti che negli ultimi anni si sono inseriti nel processo di sviluppo di un progetto di comunicazione.Ho intervistato Daniela Piscitelli; attuale presidentessa dell’AIAP; Francesco Ermanno Guida, ex consigliere e

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5. Incontro e dibattito all’AIAP

un dibattito sul tema del crowdsourcing. Ho inoltre inviato l’invito a Elio Carmi e Alessandro Ubertis dell’agenzia di comu-nicazione Carmieubertis per poter avere presenti altre voci interessate.Elio Carmi, voce delle agenzie e Alessan-dro Ubertis, voce di UNICOM, Unione Nazionale Imprese di Comunicazione, punto di riferimento per le aziende di comunicazione italiane dal 1977.E’ stata fissata come data dell’incontro il 29 maggio nel tardo pomeriggio per permettere agli ospiti di essere pre-senti compatibilmente ai loro impegni. Al termine dell’organizzazione ho deciso di invitare solo due delle piattaforme di crowdcreativity che mi avevano risposto poiché erano più che sufficienti per rap-presentare la loro realtà e per alimentare il dibattito con gli altri ospiti presenti. Le due piattaforme sono le già citate Zooppa e UserFarm, scelte perché centrali nello scenario italiano del crowdsourcing ap-plicato alla comunicazione visiva e poiché erano quelle più interessate a partecipare e disponibili anche ad invitare membri delle loro community ed ospiti paralleli per poter raccontare ai presenti dei casi studio di contest on-line.

L’incontro aveva lo scopo di conoscere me-glio le piattaforme di contest on-line, farle incontrare con rappresentanti di associazio-ni di categoria e agenzie di comunicazione in modo da sviluppare un confronto dia-logico di studio e comprensione dei nuovi modelli per il design. Era quindi fondamen-tale che nella giornata di incontro fossero presenti tutti gli attori che si inseriscono nel modello crowdsourcing o ne sono diretta-mente o indirettamente influenzati, ossia:- gestori di una piattaforma di crowdsourc-ing,;- membri delle community on-line parteci-pative e attive in concorsi on-line;- aziende che hanno deciso di affidarsi al crowdsourcing per soddisfare le proprie esigenze di comunicazione;- agenzie di comunicazione; - associazioni di categoria;Ho quindi contattato via mail alcune tra le principali piattaforme di crowdsourcing attive in Italia ovvero Zooppa, Userfarm, 99Design, 12Designers, Shicon, Best Crea-tivity e Starbytes. Tutte queste escluse Best Creativity e Starbytes hanno risposto positivamente al mio invito dimostrandosi interessate al confronto. Parallelamente ho contattato (sempre via mail) alcuni membri attivi di community on-line per capire se anche loro potevano essere interessati ad

5.2Organizzazionedel dibattito

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La comunicazione e l’invito all’incontro è stato inoltrato in forma di newsletter a tutti i soci AIAP.La newsletter presentava così l’evento(pag succ.):

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5. Incontro e dibattito all’AIAP

>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>Mercoledì 29 Maggio 2013dalle ore 16.00 alle ore 19.30

AIAP Associazione italiana design della comunicazione visiva

PRESENTA

TAVOLA ROTONDA suCROWDSOURCED COMMUNICATION DESIGN

“…the world is becoming too fast, too complex and too networked for any company to have all the answers inside.”- Yochai Benkler -

Sono sempre più numerose le aziende che decidono di affidarsi al crowdsourcing e ai contest on-line per soddisfare le proprie esigenze di comunicazione.Affidarsi alla folla on-line, ricevere centinaia di proposte e premiare la migliore. La crowdcreativity rivoluziona i modelli classici di sviluppo di un progetto di comunica-zione.Il crowdsourcing offre soluzioni che influenzano il mercato e lo stesso rapporto tra designer della comunicazione e azienda.

Conosciamo meglio il crowdsourcing applicato al design della comunicazione:quali sono i valori e i difetti per designer, azienda e agenzia di comunicazione?

La tavola rotonda è aperta al pubblico previo accredito ad [email protected] fino a un massimo di 20 posti.

La tavola rotonda si terrà presso la sede Aiap in via Amilcare Ponchielli 3 a Milano.

Vi invitiamo a partecipare all’incontro per condividere spunti e riflessioni sul tema. Cordiali saluti,Segreteria Aiap

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L’incontro, in forma di tavola di dibattito si è tenuto nella giornata di mercoledì 29 mag-gio 2013 dalle ore 16 alle ore 19,30 presso la sede dell’AIAP a Milano in Via Ponchielli 3. All’incontro hanno quindi partecipato:

Francesco E. Guida, professore presso la facoltà di Design della Comunicazione del Politecnico di MIlano e socio AIAP;

Silvia Mion, Sales Manager Italia presso Zooppa;

Anna Gavazzi, relationship Marketing Manager presso Telecom Italia;

Dontmovie, Partecipanti a contest on-line e membri della community di Zooppa;

V-Team, secondi classificati al contest on-line “Reporting on Talent” promosso da TIM su Zooppa

Luca Oliverio, responsabile comunicazione di UserFarm;

Elio Carmi, socio fondatore dell’agenzia di comunicazione Carmieubertis;

Alessandro Ubertis, socio fondatore di Unicom;

5.3L’incontro

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5. Incontro e dibattito all’AIAP

In particolare, di seguito la scaletta che definiva l’incontro:

ore 16.15Introduce e moderaFrancesco E. Guida / Responsabile Gal-leria e CDPG Aiap - Scuola del Design, Politecnico di Milano

ore 16.30Intervento di aperturaAndrea Di Nardo / Definizione di crowd-sourcing

ore 17.00ZooppaSilvia Mion / Sales Manager Italia at ZooppaMatteo Fossati / Editor & Visual FX at Don’t movieJacopo Santambrogio / Direttore atDon’t movie

ore 17.45Contest Zooppa “Reporting on talent” by TIMAnna Gavazzi / Relationship Marketing Manager presso Telecom ItaliaMatteo Loschi / V-Team / Secondo clas-sificato “Reporting on Talent”

ore 18.30UserFarmLuca Oliverio / Responsabile comunica-zione di UserFarm

ore 19.00Altri punti di vistaElio Carmi / Agenzia di comunicazione CarmieubertisAlessandro Ubertis / Socio fondatore di Unicom

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L’incontro è avvenuto nella data stabilita con tutti gli ospiti presenti. Il dibattito è stato attivo, stimolante ed interessante per tutte le parti in gioco facendo sorgere diverse questioni che hanno animato la discussione.

Le piattaforme Zooppa e UserFarm si sono presentate riassumendo la loro storia e pre-sentando alcuni dei lavori sviluppati sulla loro piattaforma. Il punto che entrambe hanno sottolineate è la loro natura di stru-mento. Le piattaforme di crowdcreativity e il modello di business del crowdsourcing sono - affermavano sia Silvia Mion che Luca Oliverio - uno strumento nuovo, innovativo e che funziona. Sono stati presentati i casi studio “Reportin on Talent“ di TIM con Anna Gavazzi e V-Team, secondi classificati nella competizione e Userfarm per Barilla.Unicom e AIAP, seppur non abbiano accet-tato l’impostazione di teli modelli per come sono ora si sono rivelate aperte al dibattito ed interessate ad un fenomeno che inevita-bilmente andava affrontato. L’incontro è stato innanzitutto un’occasione per riflet-tere e far sorgere alcune questioni e rifles-sioni riferite ai nuovi modelli. In secondo luogo è stato motivo di incontro tra i diversi attori per comprendere meglio lo scenario che si è sviluppato attorno alle nuove op-

portunità di social networking. Un dialogo per capire anche se ci sono delle possibilità per piattaforme, associazioni di categoria, agenzie di comunicazione e aziende di svi-luppare un processo di valore a partire da quella che è la situazione attuale.Le problematiche riferite al modello sorte nel corso del dibattito sono state:

I premi i prezzi e le garanzie: troppo bassi per chi decide di partecipare ad un contest e se si vince non si ha nemmeno la garanzia di poter entrare in contatto con l’azienda per proseguire quel lavoro o per sviluppare collaborazioni future.

La trasparenza del modello: non è chiaro il ruolo di queste piattaforme e se dicono di essere uno strumento strategico questo non è ben comunicato.

La giuria: è necessaria per lo sviluppo di un concorso giusto e di valore l’istituzione di una giuria di professionisti che possa guidare l’azienda nella scelta dell’offerta migliore e che possa essere indice di tras-parenza e di serietà del contest.

La strategia: lo sviluppo di un artefatto dic omunicazione non può nascere e vivere su queste piattaforme perchè va inserito

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5. Incontro e dibattito all’AIAP

all’interno di un piano strategico più ampio che non puù essere deciso in crowdsourc-ing.In questo senso la crowdcreativity può es-sere un tassello all’interno di un progetto più comlesso.

La tutela della professione: le piattaforme amplificano l’idea che “anche mio cugino può fare il grafico” rendendo difficile il ri-conoscimento di una professione che ha già di per sè questo problema.

Ripresa dell’incontroAIAP,29 maggio 2013

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Tavola di dibattito,AIAP,29 maggio 2013

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5. Incontro e dibattito all’AIAP

Crowdsourcing e design della comunicazione.

Trascrizione.Incontro di dibattito tenutosiil giorno mercoledì 29 maggio 2013dalle ore 16 alle ore 19presso la sede AIAPVia Ponchielli 3, Milano

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Di seguito riportiamo la trascrizione di alcune parti del dibattito che si è tenuto. Le parti scelte sono quelle che più di altre pos-sono essere motivo di riflessione e spunti per comprendere meglio il rapporto che il crowdsourcing può avere con la generazione di un oggetto di comunicazione pensato e professionale.

Francesco Guida (introduce):“... Ci è sembrato interessante come asso-ciazione provare a capire un fenomeno che in un qualche modo ci stava sfuggendo perchè AIAP ha sempre dato particolare attenzione ai concorsi, in particolar modo pubblici, ma anche a quelli organizzati dai privati in una maniera forse forzatamente rigida rispetto all’evoluzione di quella che è l’attualità det-tata dai nuovi media e dalle nuove esigenze di mercato sia da parte dei professionisti, giova-ni sopratutto, che incontro quotidianamente in università, sia per quello che riguarda le aziende. Per cui con Andrea abbiamo provato

a ragionare su una opportunità di dialogo che potesse essere virtuoso e generatore di valore per tutte le parti: per l’associazione, per capire meglio quello che stava accadendo, per Andrea per portare avanti in maniera concre-ta un progetto di ricerca, in modo che questa potesse svilupparsi non solo on desk ma anche in maniera attiva fatta di dialogo, incontro e sperimentazione sul campo. Abbiamo quindi pensato a qualcosa che fosse un workshop, un seminario, un tavolo di discussione per capire che cosa sta avvenendo e soprattutto per capire e capirci ponendo alcune di quelle che sono le istanze che l’associazione nel tempo ha portato avanti, per vedere se ci siano dei margini di dialogo e se ci sono le possibilità per costruire ulteriore valore che non è detto che debba essere necessariamente ed unica-mente valore economico ma puo essere anche il valore dato da alcune pratiche dall’istituire dei percorsi che hanno una logica e un loro rigore che sono un po le istanze che nel tempo noi come associazione abbiamo cercato di portare avanti.”

Prof. Francesco Er-manno Guida,AIAP

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5. Incontro e dibattito all’AIAP

Silvia Mion (Zooppa): “... La nostra è una community che è nata un po’ autoselezionandosi. Inizialmente non ab-biamo messo nessun tipo di filtro all’ingresso ed è tutto gratuito e non è richiesto il carica-mento di un portofolio o di referenze. Chiara-mente poi trattandosi di call to action via via sempre più sfidanti per gli utenti e sempre. Noi abbiamo iniziato questo progetto perchè avevamo gli strumenti per farlo e lo sviluppo della tecnologia era arrivato ad un punto in cui c’erano tutti i tasselli e bastava metterli in ordine per creare questa cosa e quindi ci abbiamo provato. Zooppa nasce come uno strumento tattico nel senso che noi lavoriamo molto con le agenzie di comunicazione sia creative si agenzia media perché ci utilizzanoappunto come strumento o per trovare delle nuove idee o come laboratorio creativo o come collettore e contenitore e produttore di contenuti che poi verranno utilizzati adesso soprattutto per i canali social. Adesso che c’è quest’esplosione di social media e le aziende hanno la necessità di contenuti sempre

diversi, contenuti più vicini a quello che è il linguaggio degli utenti di internet. Cercano di trovarli attraverso piattaforme tipo Zooppa. (...) Zooppa è uno strumento che sta iniziando ad essere sfruttato adesso, nell’ultimo anno e mezzo. Prima quando andavamo a proporre questo tipo di servizio era molto difficile farlo capire e farlo apprezzare ma nell’ultimo anno e mezzo sta avendo veramente una forte ac-celerazione. (...) Io credo che il creativo che partecipa a Zooppa non lo fa solamente per il premio, che chiaramente è la prima cosa, ma anche per avere visibilità, per entrare in contatto con il cliente e da lì possono nascere altre cose. Sono cose che sono successe, utenti che poi hanno continuato a lavorare con il cliente per altri progetti. Per noi Zooppa deve essere un trampolino, un occasione, un mezzo per magari entrare in uno di quei circuiti che di solito erano molto chiusi alle piccole realtà.

Silvia Mion,ZOOPPA

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Francesco Guida (AIAP):“L’associazione chiaramente è interessata a tutelare alcune posizioni . Prima dicevi “noi abbiamo organizzato contest aperti a tutti” e questo è uno dei punti sensibili su cui alcuni soci saltano sù. Oppure ad esempio un altro penso sul quale bisognerebbe ragionare è quello del compenso, chiaramente poi va at-tualizzato rispetto alle situazioni di mercato. Se prima una pubblica amministrazione pote-va permettersi di pagare 15mila euro per la realizzazione di un marchio oggi si parlerebbe circa del 70% di quella cifra e questo è dovuto ai tagli. La realtà del mercato è questa. E’ chiaro che nel momento in cui c’è un soggetto facilitatore nel senso di mediatore, mi aus-picherei in certi passaggi anche una sorta di salvaguardia di quella che è la posizionedegli utenti della piattaforma.”

Silvia Mion (Zooppa):“... Ci sono varie sfaccettature di questo stu-mento. Secondo me la cosa che ancora non è passata del tutto è il fatto che siamo uno stru-mento, un mezzo, e come tutti i mezzi pos-sono essere usati bene o usati male da tante realtà diverse. Siamo arrivati ad un punto in cui i modelli Zooppa e UserFarm esistono perchè ci sono le tecnologie per farli esistere e loro non sono altro che l’unione di diversi tas-

selli che già esistono. Per questo mi piace dire che siamo uno strumento tattico...”

Alessandro Ubertis (Unicom):“Ci sono delle cose nel vostro modello estre-mamente interessanti e stimolanti per uno che possa governare questo processo ma è importantissimo saperlo governare...”

Luca Oliverio (UserFarm):“Il modello americano ci insegna come fare. Il modello americano dell’utilizzo della crowdcreativity ci insegna che sono le agenzie di comunicazione ad aprire i contest sulle piattaforme di crowdsourcing. Percui esiste un modello che funziona e al quale in Italia le agenzie di comunicazione, quando hanno visto la novità che veniva introdotta dalle nuove tecnologie, hanno chiuso la porta; oggi le agenzie di comunicazione stanno fallendo perché non hanno saputo cogliere gli aspetti positivi di questo cambiamento interno e allora hanno visto con un certo disprezzo tutto ciò che è nato di nuovo (...) Oggi è tardi per rendersene conto e quindi le agenzie devono correre ai ripari e correre ai ripari significa incontrare, essere coinvolti, fare engagement verso il consumatore delle marche e UserFarm e Zooppa sono degli ottimi strumenti per entrare in contatto ma senza spaventarsi perchè se le agenzie di

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5. Incontro e dibattito all’AIAP

comunicazione non imparano ad utilizzare questi strumenti, per fare ad esempio scout-ing di nuovi talenti, ricerca di idee creative o indagini di mercato.”

Alessandro ubertis (Unicom):“Quando io mi vado a vendere io dico esat-tamente cosa faccio, non è che faccio di tutto un po’. Ma se abbiamo definito un modello di business interessante come il vostro dal mio punto di vista quello che è importante è che voi vi definiate per quello che siete. Quello che viene fuori è che voi siete anche un strumento di comunicazione per le imprese perché se si lavora con Zooppa, su tutti i giornali del settore viene fuori la notizia, quindi anche quello è un media. Per cui le aziende non sono interessate alla creatività sviluppata dal contest e da centinaia di utenti che si im-pegnano ma alla visibilità e alla viralità che questo genera.”

Luca Oliverio (UserFarm):“Questo è assurdo perchè il risultato che a noi interessa e che interessa ai nostri clienti è il risultato del contest non la notizia e la visibi-lità del contest in sè. In America infatti ormai non fa più notizia e questo è indice della chiu-sura che in Italia le agenzie di comunicazione hanno nei nostri confronti.”

Elio Carmi,Carmieubertis;Alessandro Ubertis,Unicom

Luca Oliverio,Userfarm;Matteo Loschi,V-Team

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Alessandro Ubertis (Unicom):“La forte chiusura del mondo della comunica-zione è dato dal fatto che costate poco al pub-blico. È una questione di differenza tra quello che può costare il lavoro fatto da un’agenzia e da una struttura di grafica di un certo genere e quello che invece nasce da un modello come il vostro. Il presentarsi come uno strumento per le agenzie vuol dire avere chiaro il proprio ruolo. Quello che posso pensare è che forse non me l’avete comunicato abbastanza bene.”

Elio Carmi (Carmieubertis):“Ma ci sono degli altri spetti da considerare, voi vi offrite anche ad un livello diverso dalle agenzie perché Zooppa e i modelli del crowd-sourcing sono modelli che offrono a livelli diversi. Se da un certo punto di vista è rile-vante il discorso che fa Ubertis, da un altro livello va fatto un altro tipo di discorso. Un

Jacopo Santambrogio,Matteo Fossati, Dontmovie;

Matteo Loschi, V-Team;

Pubblico;

Silvia Mion, Zooppa;Anna Gavazzi, TIM

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5. Incontro e dibattito all’AIAP

discorso legato all’importanza dell’affidarsi a dei professionisti e al riconoscimento del loro ruolo all’interno di un corretto approccio al progetto di comunicazione.”

Jacopo Santambrogio (Dontmovie) C’è stato un momento in cui come casa di pro-duzione tutto sommato facevamo dei lavori abbastanza ripetitivi, abbiamo visto quello che faceva Zooppa e abbiamo ritrovato un po’ quella possibilità di sperimentazione che difficilmente in un rapporto con un cliente o con un’agenzia puoi avere. Nel novembre del 2011 abbiamo partecipato al contest di Uni-credit e abbiamo vinto 3 premi su 5 video che avevamo fatto e sui quali avevamo investito 3 giorni di lavoro. Zooppa effettivamente non paga tanto come d’altra parte stanno facendo i clienti e le agenzie. Quindi noi siamo sempre stati abituati purtroppo per noi a lavorare in economia.

V-Team:Questi modelli facilitatori non possono però diventare motivo di scusa per ridurre i paga-menti perché altrimenti non lavoriamo.Fondamentalmente io posso capire e sfruttare tale modello ma vogliamo sottolineare che a noi non interessano i soldi del premio ma noi vogliamo delle garanzie che dopo ci daranno del lavoro dopo o ci pubblicano il video. Ques-

ta è una differenza sostanziale tra quella che è la struttura di Zooppa e Userfarm adesso e quella che potrebbe diventare dando delle indicazioni anche al cliente dicendo “se tu partecipi ti prendi un’idea a 1400 euro però in cambio offri un legame con l’azienda e della visibilità”. Loro acquisiscono la possibilità di utilizzare e sfruttare il video o il materiale scelto on-line e sui social ma in cambio ab-biamo anche necessità di avere delle garanzie oltre che il premio.Quindi se avete un altro lavoro da fare o se dovete sviluppare un altro spot con la vinci-trice di x-factor fatelo fare a noi.

Anna Gavazzi (TIM, Telecom Italia Mo-bile):

“Anche per un’azienda grossa non è così sem-plice, Zooppa viene incontro ad esigenze di questo tipo. Noi essendo una grande azienda siamo regolamentati quasi come un’ente pubblico, abbiamo un albo fornitori e per es-sere iscritti all’albo fornitori TIM e Telecom bisogna fare tutta una serie di procedure. Noi possiamo fare gare dirette solo col nostro albo fornitori quindi se devo sviluppare del mate-riale di comunicazione io posso fare gare solo con agenzie accreditate dall’albo fornitori.Invece Zooppa offre una scappatoia in questo senso perché noi relazionandoci con loro

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riusciamo ad aggirare questo vincolo. Per noi non è un modo per sostituire le agenzie pro-fessionali, queste ci coprono un altro tipo di bisogno, in questo caso è piu un riuscire a ri-volgersi a quel mondo di creativi che altri-menti non riusciremmo a contattare. Sono d’accordo però che si potrebbe chiedere uno sforzo in più ai clienti che potrebbero ad esempio inserire i vincitori del contest all’albo professionale e magari contattarli per le pic-cole produzioni web abbattendo una barrie-ra.“

Francesco Guida (AIAP):“Non ritenete che il tema della giuria possa essere l’elemento che possa dare veramente valore all’intero processo? “

Silvia Mion (Zooppa):“Zooppa a volte è coinvolto nella scelta del vincitore quando il cliente decide di costituire una giuria che richiede anche la nostra parte-cipazione però è a discrezione del cliente. Zooppa svolge il ruolo di moderatore e di controllo dei contenuti ma non applica alcun filtro di giudizio. “

Francesco Guida (AIAP):“Come associazione la questione della giuria cerchiamo spesso di imporla. La giuria non va disposta a caso, se fai un concorso di place

branding, di brand di una città, bisogna pensare a qualcuno che si occupa non solo di branding ma che abbia anche quella cultura capace di valutare le necessità di un’amministrazione o di un sistema di orga-nizzazione legato ad un territorio ed interpre-tare le richieste di un committente. Questo vuol dire scegliere dei giurati competenti che ti aiutino e aiutino il committente: a questo servono le organizzazioni che possono essere AIAP o Zooppa, a dire scegliamo quella per-sona e abbiamo una certa garanzia di avere un risultato adeguato. Il risultato adeguato si raggiunge con una giuria competente ma anche mettendo sul piatto non solo il premio in denaro ma anche quell’adueguato ricono-scimento che stimoli la partecipazione.Se decidi di investire 10 anzichè 100 perchè ti rivolgi ad un gruppo di futuri professionisti o giovani professionisti può essere scorretto a meno che a quei giovani garantisci proprio un ritorno di altro tipo. “

Alessandro Ubertis (UNICOM):“Ciò a cui dobbiamo puntare come professio-nisti rispetto all’impresa è che il ruolo profes-sionale sia considerato e rispettato ma perchè sia salvaguardato dobbiamo fare del bene all’impresa stessa. La cosa che mi piacerebbe che voi piattaforme faceste è che diceste alle imprese - attenzione perchè voi possiate

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5. Incontro e dibattito all’AIAP

avere un buon ritorno, oltre a noi servono dei professionisti che ci supportino nel dare a voi e al prodotto il meglio di quell’investimento. Perchè altrimenti ci rimettiamo tutti.“

Elio Carmi (Carmieubertis):Voi dite che è un nuovo mezzo ma se è un mezzo diverso va visto in un’altra logica. Questo milione di proposte sviluppate dalla crowd che valore economico hanno? E’ vero che vincono 1 2 e 3 ma tutti gli altri a che cosa servono? Voi potete darmi tutti i numeri che volete ma a questo punto come AIAP io devo salvaguardare la categoria, la questione è - come faccio a salvaguardare la categoria che si sta ponendo delle questioni di professionali-tà e perché è un mestiere che sta cambiandoin modo radicale ed è cambiato in modo radi-cale. Il mestiere del grafico oggi che cos’è? Come si pone il crowdsourcing nel mestiere del grafico? E’ giustificato che oggi tutti possano accedere a una gara collettiva pre-sentando una proposta perché sono dotati di software perchè la scarichi facilmente, perchè la competenze che sono richiesta apparente-mente sono irrisorie? E in che modo avviene un criterio critico per poter analizzare questi dati. E’ giusto che tutti possano partecipare? -Ci sono questioni questioni di questo tipo da affrontare, non solo questioni - secondo me - del modello. Il modello è corretto e il mercato

Momenti di dibattitoAIAP

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è in grado di appropiarsene. Cosa bisogna bisogna fare? Come gestisco questo qualche cosa dal punto di vista dell’associazione? Questa è la questione che l’associazione si deve porre.(...) E’ altrettanto chiaro che fare il mestiere del grafico è molto complicato perché in un elemento di sintesi devi costruire un elemento di forza tant’è che esistono mille casi in cui - Zoppa stesso ne avrà nella sua case history - dei marchi che sono usciti premiati vincitori di qualità apparente, messi alla prova nell’at-to dei fatti cascano perché non sono gestibili perché i contenuti non sono stati verificati con intelligenza che verrebbe dalla profes-sionalità, perché presenta dei problemi banali come la traduzione dalla quadricromia al b/n o nella gestione dei contenuti la comunicazi-one non è internazionale ma localizzata.”

Alessandro Ubertis (UNICOM):“Il video è una cosa. Ma se andiamo a parlare di logotipo, progetto grafico di una rivista, attività di naming.”

Silvia Mion (Zooppa):“Ci sono delle tipologie di espressione creative che noi stessi riteniamo che non sono gestibili attraverso questo tipo di modello. Se qual-cuno mi viene a chiedere anche solo il design di un sito web sappiamo che non è una cosa

gestibile perchè ci sono una serie di passaggi che non potremmo affrontare.”

Alessandro Ubertis (UNICOM):“Dietro ad un nome, ad esempio, non c’è il mi piace di facebook, non può essere giudicato solo sul mi piace o non mi piace, deve ssere giudicato su altri valori. E se più nomi diamo al cliente, più facciamo del male al prodotto perchè arriviamo a costruire casino. Un nome, come un logo deve vneire fuori da un razionale.“

Elio Carmi (Carmieubertis):Il vostro è un mezzo che in passato è stato cavalcato per dare diffusione e notorietà.Ma il futuro sta andando verso una segmen-tazione e il sistema sta stratificando i livelli e sicuramente questo modello è una risorsa per il mercato, la questione è arrivare ad un’etica di questa situazione per consentire anche ai veri professionisti della cultura del design di partecipare in modo attivo e di non sentirsi sfruttato perchè lavora e nessuno poi lo sceglie.

Luca Oliverio (UserFarm):“Se riuscissimo ad aprirci al confronto con AIAP io sono ben disposto a dire, “creiamo elementi di valore” ad esempio “istituiamo assieme una giuria competente”.

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5. Incontro e dibattito all’AIAP

Francesco Guida (AIAP):“Questo sicuramente è uno degli obiettivi di oggi ossia cercare una forma di dialogo. Quello che può essere interessante è propriocercare di valorizzare il sistema nel suo insieme e per questo credo che sia importante comprendere queste vostre piattaforme.”

Luca Oliverio (UserFarm):“Quello che io rimprovero al mondo delle as-sociazioni è l’essersi chiuso troppo presto.”

Francesco Guida (AIAP):“Questa è stata una prima opportunità inter nos per conoscersi. Per il prossimo autunno oganizziamo un nuovo incontro.”

Alessandro Ubertis (UNICOM)“Qual è l’errore dell’agenzia dal mio punto di vista? È che non ha saputo conquistare nel tempo il ruolo sull’impresa dove l’agenzia veniva ascoltata per il saper governare quelli che erano le risorse o le occasioni di comu-nicazione. Olivetti ha chiamato attorno a se tanti cervelli ma poi era lui che governava i cervelli!” Questo è il momento in cui le agenzie hanno l’opportunità di riprendere un ruolo, e anche su un progetto di grafica e di identità non potete pensare di dare questo mi piace e questo mi piace meno a una pmi,

perche in quel momento la pmi, se non si tro-va poi qualcosa che può sfruttare, si allontana da qualunque tipo di comunicazione. Quando si rendono conto che non siete piu utili voi come non è più utile l’agenzia cambiano. Ma la pmi si stacca da tutto quello che è comuni-cazione e l’italia è fatta da pmi. Le proposta senza una giuria viene scelta dal punto di vista estetico, mi piace o non mi piace.

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6 C O N C L U S I O N I /

N O R M E E I N D I C A Z I O N I P E RU N C O R R E T T O P R O C E S S O D I

C R O W D R E A T I V I T Y

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I contest online possono avere una forma corretta e costituire un bene di valore nel momento in cui chi li gestisce e li governa stabilisce un regolamento e dei paletti e chiarisce il proprio ruolo e la propria fun-zione. Senza questi paletti questi concorsi risultano totalmente liberi e discriminatori verso chi affronta la professione del comuni-catore in maniera seria, convinta e con una base culturale. Senza uno schema che stabi-lisce delle regole i comunicatori vengono au-tomaticamente mortificati. Questi concorsi assumono le caratteristiche di un gioco in cui c’è un premio e dei concorrenti e come in ogni gioco sono necessa-rie delle regole ben chiare perché in assenza di regole ognuno fa quello che vuole. Le piattaforme di crowdcreativity non sono esempi negativi e costituiscono una spontanea evoluzione di un sistema e la naturale applicazione di tecnologie e quindi delle opportunità che queste offrono (creare legami, condividere materiali, essere globali) a delle esigenze del mercato. Quello che sembra essere successo è che molte di queste piattaforme, assumen-do le caratteristiche della tecnologia sulla quale sono nate, si siano sviluppate troppo in fretta perdendo di vista alcuni degli as-petti che in questo testo abbiamo individu-ato e senza considerare l’importanza che la cultura e un corretto e trasparente sistema

di regole potrebbero dare all’intero modello. Proprio per questa fretta di affermarsi e di inserirsi nel mondo della comunicazione molte di queste piattaforme hanno perso di vista l’idea di qualità, approccio culturale alla disciplina del design e rispetto per la professione del progettista di comunicazio-ne. Quindi è il sistema delle regole che va progettato nel rispetto di chi viene coinvolto in questo “gioco”. E’ questo un sistema molto complesso da definire ma darebbe sostanza e solide basi a degli strumenti che sono sicuramente in-teressanti. Le regole sono indice di un certo livello di professionalità e quindi di qualità delle realizzazioni offerte dalla comunità. Le regole sono necessarie anche per impos-tare un modello che mantenga al centro del percorso di generazione di un progetto quella che è la cultura del design. Spesso i designer della comunicazione vengono visti come meri esecutori di sperimentazioni e di esercizi formali e questo accade come già detto quando non si tiene conto di alcuni passaggi progettuali come la ricerca o la generazione di una strategia. La centralità della cultura progettuale si concretizza nella capacità di interpretare dei problemi e proporre delle soluzioni ma allo stesso tem-po avere una solida base di modelli culturali per poter ricercare delle risposte adeguate

6Conclusioni:Regole e Cultura

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6. Norme per un corretto uso della crowdcreativity

a quelle che sono le necessità della commit-tenza. La democratizzazione degli stru-menti ha portato alla nascita di moltissimi operatori che si inventano soluzioni perché il digitale lo ha permesso. Per cui sempre di più si pensa “anche mio cugino può fare il grafico” o “mio nipote sa disegnare quindi può farmi un logo”. Chi lo fa di professione sa che non è così ma evidentemente questo non basta. Allora in questo scenario in cui gli strumenti sono nelle mani di tutti anche nel campo della comunicazione quello che fa la differenza è il fattore culturale che fa del designer un regista in grado di interlo-quire con diverse professionalità, avere un pensiero trasversale, valutare e considerare problematiche di diverso tipo, dalla tecnica all’estetica. Per valorizzare questo aspetto della professione i concorsi in primo luogo e poi i sempre più diffusi contest on-line necessitano di alcuni perfezionamenti che permettano ai professionisti di comunica-zione di mantenere il loro ruolo e di non vedere il loro lavoro sminuito e svuotato della propria sostanza culturale: un sistema di regole. Purtroppo la questione è molto sfuggevole poiché riguarda schemi e model-li che, sebbene si scontrino con quella che è l’etica professionale e la cultura del design della comunicazione, offrono delle risposte a delle richieste e a delle domande di mer-

cato che riescono effettivamente ad attirare, e in grandi quantità; sono strategie di busi-ness giovani, nuove, moderne, al passo coi tempi. Si sono sviluppate velocemente nel giro degli ultimi 7 anni cavalcando l’onda del social marketing e sfruttando strumenti altrettanto veloci. I modelli analizzati non sono e non possono essere evitati e sem-plicemente attaccati dai professionisti della comunicazione di oggi perché comunque si guardi la questione questi schemi non sono totalmente negativi e sono strumenti inte-ressanti che seguono l’evoluzione dei canali comunicativi e delle tecnologie. Quella che bisogna portare avanti è un istanza culturale e considerare, come già detto, la cultura come elemento discriminante tra un design professionale e funzionale e un design formale e speculativo. è necessaria dunque una regolamentazione etica che, da una parte ne definisca i processi, e dall’atra possa essere indice di qualità.

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Come risultato di tutta l’analisi svolta e degli spunti e riflessioni maturate nel corso del dibattito tenutosi lo scorso 29 maggio 2013 presso l’AIAP è stata sviluppata una proposta. Una serie di norme e indicazioni che, a partire dai modelli già esistenti, pos-sano generare dei processi di crowdsourcing virtuosi e corretti. Le norme e i suggeri-menti che verrano di seguito proposti sono dei suggerimenti che, se seguiti, possono dare vita a degli schemi e a dei processi di crowdcreativity rispettosi verso le profes-sioni e gene-ratori di valore per tutte le parti in gioco. Una serie di indicazioni che possano dare trasparenza a credibilità a dei

processi che, in molti casi, sono nati senza tenere conto di diverse problematiche, generando così design speculativi e rischio-si. Il contest on-line basato sul modello della crowdcreati-vity è una delle forme di partecipazione più democratica e produt-tiva, ma i risultati di un contest on-line sono direttamente proporzionali alla qualità del contest proposto, alla trasparenza del pro-cesso seguito sulla piattaforma mediatrice, all’adeguatezza dei premi, alla qualificazi-one di una giuria predisposta. L’obiettivo di questa proposta è fare emergere le modalità da seguire per lo sviluppo di un contest on-line.

6.2

NORME E INDICAZIONIPER UN CORRETTO PROCESSO DI CROWDCREATIVITY

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6. Norme per un corretto uso della crowdcreativity

La piattaforma di crowdcreativity per esse-re conforme alle norme etiche qui proposte dovrà riservare una sezione del proprio sito on-line alla presentazione di sè e del proprio modello in modo da definire il proprio ruolo e il ruolo del crowdsourcing a chi decide di sfruttarlo nello sviluppo di un progetto di comunicazione. È fondamentale definire il ruolo di strumento e sottolineare che la piattaforma e il processo i generazione di creatività che vive in esso deve essere solo un passaggio ed un tassello all’interno di un progetto di comunicazione strategico più ampio. Deve essere chiaro alle aziende e alle agenzie di comunicazione che un adeguato artefatto comunicativo (sia questo un video, un logotipo o la veste grafica di una rivista) non può nascere essere totalmente svilup-pato e concludersi in crowdsourcing ma che deve appoggiarsi ad una strategia che solo un team di professionisti della comunica-zione legati all’azienda possono sviluppare. La crowdcreativity può essere sfruttata per raccogliere una proposta, o decidere la strada migliore da seguire ma se all’azienda non sarà chiaro il ruolo di strumento tat-tico di tali piattaforme rischia di andare in contro ad un design rischioso che può avere effetti negativi anche sulla sua immagine.Per questo il manifesto deve essere chiaro e deve presentare tutte le norme etiche su cui

il modello si appoggia sia dal punto di vista dell’azienda, sia della community, sia della piattaforma stessa.Presentare un manifesto solido, etico e professionale, sottoscritto da associazioni di categoria e chiarire il proprio ruolo a chi si avvicina ad un modello che è a tutti gli effetti nuovo, aumenta il valore perceptio. Spingerebbe anche i professionisti, che vogliono vedersi tutelati, a cimentarsi in gare di crowcreativity e proteggerebbe le aziende da uno scorretto e speculativo uti-lizzo di tale strumenti.

1. COMUNICAREIL PROPRIO RUOLO

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La piattaforma, quando verrà contattata dall’azienda o dall’agenzia di comunicazio-ne che ha deciso di sviluppare un progetto attraverso un processo di crowdcreativity, dovrà comprendere a fondo quali sono le esigenze del cliente e se queste possano essere effettivamente soddisfatte dalla community on-line. Se questo è possibile verrà firmato un contratto tra cliente e piat-taforma per cui entrambe si impegneran-no a rispettare le norme sia tecniche che etiche che reggono l’intero processo. La piattaforma dovrà assistere il cliente nella definizione del contest on-line e di tutte le sue parti nel rispetto delle indicazioni qui offerte e di tutte le norme espresse dal contratto. La stesura di un brief chiaro, corretto e articolato è il primo passo per la pubblicazione di contest corretto. Il brief non deve essere sintetico ma adeguatamente articolato in tutte le sue parti. Dovrannono essere chiare alla community quali sono le esigenze del cliente, i suoi obiettivi e soprat-tutto il piano strategico di comunicazione all’interno del quale il contest e l’attività di corwdsourcing intrapresa si inserisce. Dovranno essere chiare le caratteristiche tecniche degli output richiesti (formato, di-mensioni ecc...) e gli elementi di forma e di contenuto che l’azienda richiede e sui quali la giuria baserà la propria valutazione.

L’azienda dovrà nominare un responsabile referente con il compito di mantenere at-tive le interazioni con la community attra-verso la piattaforma (e l’intermediario che può essere lo stesso community manager). L’intermediario indipendente dovrà essere nominato per agire tra i promotori e i con-correnti. Il nome dell’intermediario dovrà essere annunciato nello stesso momento del bando di concorso. La piattaforma potrò richiedere informa-zioni, riportando le domande della com-munity e dei partecipanti al contest all’intermediario che dovrà essere quindi disponibile, reperibile e rintracciabile per dare delle risposte. Le figure degli interme-diari sono necessario per mantenere un le-game più stratto tra cliente e piattaforma e quindi tra cliente e creativo che quindi avrà la facoltà di chiedere chiarimenti all’azienda tramite la piattaforma.

2. DEFINIRE UN BRIEFCHIARO E COMPLETO

3. NOMINARE INTERMEDIARI

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6. Norme per un corretto uso della crowdcreativity

La piattaforma ha la facoltà di offrire al cliente che la contatta due diversi tipi di contest on-line: aperto o ad invito.Per “aperto” si intende un contest al quale possono partecipare tutti i membri della community iscritti alla piattaforma. Per contest “ad invito” si intende una call-to-action rivolta solo ad alcuni membri della community ritenuti particolarmente adatti alla realizzazione di un certo lavoro. La piattaforma si preoccuperà di fare presente al cliente i vantaggi dell’istituire un contest on-line ad invito spiegando che non sempre è vantaggioso ricevere tante risposte, quanto piuttosto riceverne alcune ma da professionalità idonee e selezionate.

4. OFFRIRE CONTESTAD INVITO

5. PROTEGGEREPROPRIETÀ E COPYRIGHT

I membri della community che decidono di partecipare ad un contest on-line hanno la facoltà di proteggere preventivamente la propria opera mediante il deposito di brevetto. Il pagamento del premio in denaro dà all’azienda la facoltà di utilizzare le proposte vincenti a patto che venga ripor-tato al momento della riproduzione/diffu-sione/condivisione il nome della persona o del team autore di tale realizzazione.L’azienda non può modificare in alcun modo il lavoro ottenuto senza il consenso scritto dell’autore. I partecipanti non premiati pos-sono richiedere alla piattaforma che il loro lavoro venga rimosso dal data-base.

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Le proposte caricate dalla community non dovranno essere visibili pubblicamente fino alla data di conclusione del contest. Le proposte varranno caricate su un database accessibile solo ai membri della giuria e dal cliente promotore della gara. Allo scopo di tutelare la proprietà intellettuale dei lavori. Una volta decretati i vincitori tutti i lavori verranno resi pubblici e visibili da chiunque acceda alla pagina on-line dedicata alla gara. Questo per mantenere alcuni valori che se eleminati mortificherebbero la stessa natura di un processo di crowdsourcing, ossia la viralità e la condivisione di progetti, saperi, contenuti e strumenti. I parteci-panti non vincitori avranno la facoltà di richiedere l’eliminazione del proprio lavoro dalla pagina.

6. GESTIRE LA VISIBILITÀ DEI LAVORI

Per evitare l’appiattimento dei talenti e la generazione di una community fatta di profili anonimi e di competenze non verificabili è opportuno che ogni membro della community on-line faccia riferimento ad un profilo personale sulla stessa piat-taforma seguendo le logiche di uno schema di social networking classico. Al momento dell’iscrizione l’utente o l’agenzia dovrà inserire i propri dati, curriculum vitae e link ad un portfolio on-line. In questo modo ogni profilo visibile pubblicamente on-line sarà verificabile e qual ora il cliente voglia sviluppare una call-to-action ad invito avrà la facoltà di scegliere gli invitati in base alla propria competenza. La verificabilità della professionalità, dell’esperienza e del livello di qualità di ogni membro della comunity dà automaticamente trasparenza e solidità all’intero processo ed abbassa il rischio per le aziende di avere a che fare con creatività mediocri e permette ai professionisti di sentirsi riconosciuti potendo mostrare il proprio trascorso. Ogni profilo presenterà dunque tutti i dati personali e professionali dell’utente e anche una history della sua es-perienza sulla piattaforma con elenco delle gare a cui ha partecipato, premi vinti, lavori pubblici.

7. DARE UN VOLTOAI MEMBRI DELLACOMMUNITY

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6. Norme per un corretto uso della crowdcreativity

L’azienda o l’agenzia di comunicazionedevono definire il numero dei premi e il loro valore monetario. I premi devono essere adeguati alla richiesta fatta alla community on-line. I premi dovranno essere presentati on-line al momento della pubblicazione del contest e tale informazione deve essere ac-cessibile e visibile a tutti coloro che deci-dono di partecipare al contest.Uno dei motivi per cui sempre più aziende si affidano al crowdsourcing è il basso costo che devono affrontare rispetto alla quantità di proposte ricevute. Il crowdsourcing non deve diventare motivo di scusa per ridurre i pagamenti. I premi non possono essere fissi in quanto dipendono dalle esigenze, dalle richieste e dalle possibilità del singolo cliente. Nella decisione dei premi però la piattaforma deve guidare il cliente verso valutazioni riferite alla diffusione, al valore strategico e commerciale, alla quantità di ore, alle spese e ai costi che un certo tipo di lavoro richiederà. In questo senso è dovere della piattaforma fissare dei paletti ai premi e seguire il cliente stesso in una corretta definizione di tali premi. Dovranno esseremessi in palio premi in relazione alla com-plessità del lavoro richiesto. Al cliente deve essere chiaro che il numero e soprattutto il livello di qualità delle proposte ricevute sarà direttamente proporzionale all’offerta fatta

alla community. Il cliente deve comprendere che decidere di affidarsi al crowdsourcing solo per ottenere un maggiore numero di proposte senza interessarsi della qualità che queste possono avere è indice di un errato approccio al progetto di comunicazione. Non è possibile fissare o imporre dei prezzi al mercato ma è possibile educare il cliente e le piattaforme al rispetto di una professione. Affidarsi ad una community offrendo premi bassi genera design speculativo e i creativi che decidono di partecipare accettano di essere sfruttati e di non dare il giusto valore al proprio lavoro. Se si decide di investire 10 anzichè 100 perchè ci si rivolge ad una com-munity con professionalità non verificabile, futuri professionisti o giovani profession-isti, è scorretto a meno che a quei giovani si garantisce un ritorno di altro tipo.

8. FISSARE PREMI CONGRUIE ADEGUATI

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9. OFFRIRE GARANZIE LAVORATIVE

Le aziende e le agenzie di comunicazione dovranno assicurare ai vincitori del contest on-line la possibilità di entrare in contatto diretto con l’azienda stessa promotrice del concorso. Soprattutto nel caso in cui la creatività sviluppata in crowdsourcing risulti essere solo la prima parte o l’inizio di un progetto di comunicazione più comples-so, al vincitore dovrà essere garantita la possibilità di seguire successivamente alla chiusura del contest, lo sviluppo della propria realizza-zione. Qualora il progetto premiato richie-desse ulteriori sviluppi, all’autore deve essere garantita la priorità dell’esecuzione o deve comunque collabo-rare alla finalizzazione del progetto stesso. Se invece non è prevista la produzione e lo sviluppo dei progetti vincitori o la collabo-razione diretta tra vincitori e azienda, ciò deve essere chiaramente espresso nel bando di concorso. Le piattaforme devono essere viste dalle aziende come degli strumenti per generare dei legami con creativi e/o profes-sionisti che altrimenti avrebbero difficoltà a raggiungere e non solamente come collet-tori, contenitori e produttori di contenuti. Nello sviluppo di un corretto aretfatto co-municativo è centrale il legame tra azienda e designer. Senza questo legame il designer non è partecipe di ciò che deve effettiva-mente comunicare e rischia di creare lavori

deboli. Questo punto deve essere chiaro sia all’azienda che ai creativi ed entrambi devo-no vedere il crowdsourcing come motivo per stringere legami e relazioni lavorative e non solamente come raccoglitore di lavori da condividere e rendere virali. Affiancare questo tipo di garanzie ai premiè stimolante per i partecipanti e rende l’intero processo più virtuoso.

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6. Norme per un corretto uso della crowdcreativity

10. ISTITUIRE UNA GIURIA COMPETENTE

L’azienda o l’agenzia di comunicazione che decide di pubblicare un open-call ha il compito istituire di una giuria competente di professionisti che decretarà il vincitore o i vincitori del contest. La piattaforma ospitante o AIAP possono assistere il cliente nella scelta dei professionisti adeguati. La giuria va disposta con criterio e devono essere selezionate delle persone che pos-siedono la cultura capace di valutare il progetto in questione in tutte le sue sfac-cettature, e di considerare le necessità della committenza. Selezionare giurati compe-tenti da valore all’intero sistema: i parteci-panti alla gara, sapendo di essere valutati da dei professionisti non sentono la frustazio-ne di poter essere superati da lavori solo esteticamente belli ma non efficienti, quindi avranno la percezione di partecipare ad una gara seria, solida, ben strutturata e regolamentata. La piattaforma ci guadagna appunto in solidità e trasparenza. Il livello di qualità dei prodotti erogati aumenterà in quanto i partecipanti sapendo di essere valutati da dei professionisti cercheranno di sviluppare proposte in grado di essere presentate a tele giuria.L’azienda, affidandosi ad una commissione di giurati competenti avrà una certa garan-zia di avere un risultato adeguato. La commissione dovrà essere composta da

almeno 5 giurati o comunque in numero dis-pari. La giuria con i nomi dei singoli giurati dovrà essere presentata on-line al momento della pubblicazione del contest e deve es-sere accessibile e visibile a tutti coloro che decidono di partecipare al contest. In base agli obiettivi richiesti dal cliente nel brief, dovranno essere comunicate con trasparen-za le norme di valutazione attraverso le quali la giuria decreterà i vincitori. Compito della giuria sarà valutare tutte le proposte conformi alle norme del contest on-line. I giurati hanno la facoltà di visionare i lavori nel periodo di durata del concorso ma astenendosi dal commentare, dare giudizi o richiedere modifiche prima dello scadere ultimo del contest. Al termine del contest i giurati potranno valutare le proposte e pub-blicare a decisione definitiva e i nomi dei vincitori.

192

A Z I E N D A

C L I E N T E

A G E N Z I A

P I A T T A F O R M A

C O M M U N I T Y

V I N C I T O R I

v a l u t a z i o n i s u :

N E C E S S I T ÀB U D G E T

d e fi n i z i o n e d i

B R I E FP R E M I

C A L LT OA C T I O N

V A L U T A Z I O N ED E L L E P R O P O S T E

A S S E G N A -Z I O N E D E IP R E M I

C O L L A B OR A Z I O N E

V I R A L I T ÀV I S I B I L I T À

R I S P O S T ED A L L A

C O M M U N I T Y

a di n v i t o p i a t t a f o r m a

c l i e n t e

v o t i

c o m m e n t i

c o n d i v i s i o n i

g i u r i a

a p e r t a

n o np u b b l i c h e

p u b b l i c h e

d e n a r o

r i c o n o s c i m e n t o

l a v o r o

NOMINARE IN-TERMEDIARIDevono essere nominati due intermediari (piat-taforma e cliente) per mantenere attiva l’interazione tra community e azienda...

COMUNICARE IL PROPRIO RUOLO DI STRUMENTOLa piattaforma deve definire sul proprio sito e ai clienti il suo ruolo di strumento chiarendo che il processo di generazione di creatività che vive in essa deve essere solo un passaggio ed un tassello all’interno di un progetto di comunicazione strategico più ampio definito a priori...

DEFINIRE UN BRIEFCHIARO E COMPLETOLa piattaforma deve assistere il cli-ente nella stesure di un brief adeguata-mente articolato. Dovranno essere chiare alla community quali sono le esigenze del cliente, i suoi obiettivi e soprattutto il piano strategico di comunicazione all’interno del quale il contest e l’attività di corwdsourcing intrapresa si inserisce.

DARE UN VOLTO AI MEMBRI DELLA COMMUNITYOgni membro della community on-line deve fare riferimento ad un profilo personale sulla stessa piattaforma. La verificabilità della professionalità, dell’esperienza e del livello di qualità di ogni mem-bro della comunity dà automaticamente trasparen-za e solidità all’intero processo...

FISSARE PREMI CONGRUIE ADEGUATII premi devono essere adeguati alla richiesta fatta alla community on-line. la piattaforma deve guidare il cliente verso valutazioni riferite alla diffusione, al valore strategico e commerciale, alla quantità di ore, alle spese e ai costi che un certo tipo di lavoro richiederà.

CROWDSOURCING10 NORME E INDICAZIONIPER UN CORRETTO PROCESSODI CROWDCREATIVITY

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6. Norme per un corretto uso della crowdcreativity

A Z I E N D A

C L I E N T E

A G E N Z I A

P I A T T A F O R M A

C O M M U N I T Y

V I N C I T O R I

v a l u t a z i o n i s u :

N E C E S S I T ÀB U D G E T

d e fi n i z i o n e d i

B R I E FP R E M I

C A L LT OA C T I O N

V A L U T A Z I O N ED E L L E P R O P O S T E

A S S E G N A -Z I O N E D E IP R E M I

C O L L A B OR A Z I O N E

V I R A L I T ÀV I S I B I L I T À

R I S P O S T ED A L L A

C O M M U N I T Y

a di n v i t o p i a t t a f o r m a

c l i e n t e

v o t i

c o m m e n t i

c o n d i v i s i o n i

g i u r i a

a p e r t a

n o np u b b l i c h e

p u b b l i c h e

d e n a r o

r i c o n o s c i m e n t o

l a v o r o

OFFRIRE CONTEST AD INVITOLa piattaforma deve fare presente al cliente i vantaggi dell’istituire un contest ad invito spiegando che non sempre è vantaggioso ricevere tante risposte, quanto piuttosto riceverne alcune ma da professionalità idonee e selezionate...

PROTEGGERE PROPRIETà E COPYRIGHTIl pagamento del premio in denaro dà all’azienda la facoltà di utilizzare le proposte ri-portando ogni volta il nome della persona o del team autore di tale realizzazione. L’azienda non può modificare in alcun modo il lavoro ottenuto senza il consenso scritto dell’autore...

ISTITUIRE UNA GIURIA COMPETENTEIl cliente ha il compito istituire di una giuria competente di pro-fessionisti che decretarà il vincitore o i vincitori del contest. La giuria va disposta con criterio e devono essere selezionate delle persone che possiedono la cultura capace di valutare il progetto in questione in tutte le sue sfaccettature, e di considerare le necessità della committenza. Selezionare giurati competenti da valore all’intero sistema

GESTIRE LA VISIBILITÀ DEI LAVORILe proposte dElla community non devono essere visibili pubblicamente fino alla data di conclusione del contest allo scopo di tutelare la proprietà intellettuale dei lavori...

OFFRIRE GARAN-ZIE LAVORATIVEIl cliente deve gar-antire ai vincitori del contest la possibilità di entrare in contatto diretto con l’azienda stessa promotrice del concorso e la possibilità di seguire lavori e sviluppi suc-cessivi alla gara della propria opera.

Terminato il contes e una volta decretati i vincitori tutti i lavori verranno resi pubblici e visibili da chi-unque acceda alla pagina on-line dedicata alla gara.

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Questo testo ha voluto essere un’analisi di quelli che sono i nuovi ed interessantissimi strumenti ma che purtroppo molto spesso si scontrano con quello che dovrebbe essere un metodo progettuale cosciente, profes-sionale e di cultura. Esistono i presupposti per far incontrare il mondo della comu-nicazione professionale tradizonalmente intesa e le straordinarie opportunità offerte dal crowdsourcing e dalla crowdcreativity. Dall’incontro organizzato all’AIAP il giorno 29 maggio 2013 tra piattaforme di contest on-line e associazioni di categoria (cap 5) è stato evidente l’intenzione di venirsi incon-tro per tentare di correggere e rivalutare degli strumenti nati troppo in fretta e per avvicinare due realtà che devono necessa-riamente convivere. È nata da quell’incontro la volontà di ri-incontrarsi, per l’autunno 2013, in un evento più strutturato e pub-blico, per far portare nuovamente sullo stesso tavolo le realtà italiane coinvolte nel modello del crowdsourcing per generare un processo virtuoso nel rispetto e nella tutela della professione del designer della comu-nicazione. Un incontro che questo testo e l’incontro di dibattito che ha raccontato sperano di aver stimolato e di stimolare in futuro.

6.3Prospettivefuture

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Crowdsourcing e Design della ComunicazioneVerso un uso correttodei nuovi strumenti

Elaborato di Tesidi Di Nardo Andrea

Relatrice prof. Pillan MargheritaCo-relatore prof. Guida Francesco Ermanno

Corso di Laurea Communication DesignPolitecnico di Milano A.A. 2012/2013

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