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1 Marco Trainito ARTE, SCIENZA E UMORISMO: PIRANDELLO VERSUS CROCE La polemica filosofica tra Pirandello e Croce, scatenata dalla pubbli- cazione, nel 1908, del saggio sull‟Umorismo da parte dello scrittore, cui se- guì la recensione stroncatoria da parte del filosofo, costituisce un momento particolarmente significativo nell‟estetica italiana (e non solo) dei primi anni del ‟900, forse non adeguatamente messo in rilievo dagli studiosi dell‟uno e dell‟altro nelle sue implicazioni metodologiche. Prima di addentrarmi nei dettagli della questione, ritengo opportuno osservare preliminarmente che quella che a noi oggi appare come una sorta di „gigantomachia‟ tra due protagonisti assoluti della cultura italiana della prima metà del secolo, intorno al 1909 appariva come la paternalistica re- primenda che una quasi indiscussa autorità nel campo della filosofia, e dell‟estetica in particolare 1 , rivolgeva a uno scrittore non solo non ancora famosissimo, ma anche reo di aver voluto avventurarsi sulle alture infide della speculazione filosofica e delle determinazioni concettuali (che, come vedremo, per Croce sono strutturalmente inaccessibili a un artista). Ed è proprio tale situazione a spiegare da un lato il tono di superiorità, ora sprez- zante ora paziente, usato da Croce nel criticare la tesi di Pirandello, e dall‟altro le repliche, spesso per le rime, di quest‟ultimo. Naturalmente, dal- la nostra ottica la situazione risulta capovolta: nel corso della seconda metà del secolo, infatti, a fronte del drastico ridimensionamento dell‟autorità cro- ciana in campo estetico, che ha seguito il destino complessivo dei presuppo- sti idealistici su cui poggiava, abbiamo assistito a un‟inarrestabile ascesa della fortuna pirandelliana, al punto che può risultare oggi fin troppo facile giudicare da quale parte stesse la ragione. Noi, quindi, cercheremo qui di ricostruire i termini della questione così come si ponevano allora, riservandoci solo nella conclusione di abboz- zare una specie di bilancio alla luce di alcuni percorsi successivi della filo- sofia del XX secolo. In particolare, la nostra analisi si articolerà nello svi- luppo dei seguenti punti: 1) l‟estetica crociana e il posto in essa assegnato all‟“umorismo”. 1 Ricordiamo, solo a titolo d‟esempio, che il capolavoro della filosofia crociana, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale (opera che impose Croce, soprattutto in Italia, come una vera e propria auctoritas), era uscita in prima edizione nel 1902, mentre il 1909 è l‟anno della pubblicazione dell‟altro caposaldo del sistema neoidealistico cr ocia- no, la Logica come scienza del concetto puro.

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Sulla polemica tra Croce e Pirandello in relazione alla nozione di "umorismo" (1999)

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Marco Trainito

ARTE, SCIENZA E UMORISMO:

PIRANDELLO VERSUS CROCE

La polemica filosofica tra Pirandello e Croce, scatenata dalla pubbli-

cazione, nel 1908, del saggio sull‟Umorismo da parte dello scrittore, cui se-

guì la recensione stroncatoria da parte del filosofo, costituisce un momento

particolarmente significativo nell‟estetica italiana (e non solo) dei primi anni

del ‟900, forse non adeguatamente messo in rilievo dagli studiosi dell‟uno e

dell‟altro nelle sue implicazioni metodologiche.

Prima di addentrarmi nei dettagli della questione, ritengo opportuno

osservare preliminarmente che quella che a noi oggi appare come una sorta

di „gigantomachia‟ tra due protagonisti assoluti della cultura italiana della

prima metà del secolo, intorno al 1909 appariva come la paternalistica re-

primenda che una quasi indiscussa autorità nel campo della filosofia, e

dell‟estetica in particolare1, rivolgeva a uno scrittore non solo non ancora

famosissimo, ma anche reo di aver voluto avventurarsi sulle alture infide

della speculazione filosofica e delle determinazioni concettuali (che, come

vedremo, per Croce sono strutturalmente inaccessibili a un artista). Ed è

proprio tale situazione a spiegare da un lato il tono di superiorità, ora sprez-

zante ora paziente, usato da Croce nel criticare la tesi di Pirandello, e

dall‟altro le repliche, spesso per le rime, di quest‟ultimo. Naturalmente, dal-

la nostra ottica la situazione risulta capovolta: nel corso della seconda metà

del secolo, infatti, a fronte del drastico ridimensionamento dell‟autorità cro-

ciana in campo estetico, che ha seguito il destino complessivo dei presuppo-

sti idealistici su cui poggiava, abbiamo assistito a un‟inarrestabile ascesa

della fortuna pirandelliana, al punto che può risultare oggi fin troppo facile

giudicare da quale parte stesse la ragione.

Noi, quindi, cercheremo qui di ricostruire i termini della questione

così come si ponevano allora, riservandoci solo nella conclusione di abboz-

zare una specie di bilancio alla luce di alcuni percorsi successivi della filo-

sofia del XX secolo. In particolare, la nostra analisi si articolerà nello svi-

luppo dei seguenti punti:

1) l‟estetica crociana e il posto in essa assegnato all‟“umorismo”.

1 Ricordiamo, solo a titolo d‟esempio, che il capolavoro della filosofia crociana, Estetica

come scienza dell’espressione e linguistica generale (opera che impose Croce, soprattutto

in Italia, come una vera e propria auctoritas), era uscita in prima edizione nel 1902, mentre

il 1909 è l‟anno della pubblicazione dell‟altro caposaldo del sistema neoidealistico crocia-

no, la Logica come scienza del concetto puro.

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2) la critica di Pirandello all‟estetica crociana

3) la recensione di Croce del saggio sull‟Umorismo.

4) le repliche di Pirandello nella riedizione del saggio del 1920.

1. L’estetica crociana e il posto in essa assegnato all’“umorismo”

Nel 1903, cioè un anno dopo l‟uscita dell‟Estetica, Croce pubblica

sulla “Critica” un breve saggio che ha per titolo proprio L’umorismo (che lo

stesso Pirandello avrà presente nel suo saggio, citandolo già a partire dalla

terza nota a piè di pagina). Questo saggio verrà poi da Croce inserito nei

Problemi di Estetica (1910) significativamente in apertura della parte V, in-

titolata “Concetti pseudo-estetici”. Come si vede, già la semplice colloca-

zione del saggio è carica di presupposti e di implicazioni.

Ma per comprendere come mai Croce consideri l‟“umorismo” un

concetto “pseudo-estetico”, negandogli qualsiasi valenza filosofica e ridu-

cendolo a mero concetto psicologico ed empirico (cioè a quello che pro-

priamente Croce definisce “pseudo-concetto”), occorre dire qualcosa sui ca-

pisaldi della sua filosofia dello Spirito, perché è in essa che vengono rigida-

mente demarcati i confini tra concetti e pseudo-concetti.

Secondo Croce, lo Spirito possiede due attività fondamentali, una

conoscitiva o teoretica e una volitiva o pratica: con la prima esso compren-

de le cose, appropriandosene, con la seconda, invece, le modifica, ricreando-

le. A seconda poi che queste due attività si volgano al particolare o

all‟universale, danno vita a quattro „distinti‟, ovvero alle quattro forme o

„categorie‟ dello Spirito: a) la fantasia (che conosce il particolare); b)

l‟intelletto (che conosce l‟universale); c) l’attività economica (che mira a,

vuole, il particolare)2; d) l‟attività morale (che mira a, vuole, l‟universale).

All‟interno di ciascuno dei distinti, infine, ha luogo la dialettica (in senso

2 Si noti che con “attività economica” Croce intende tutto ciò che ha un risvolto pragmatico,

servendo a ben precisi scopi utilitaristici o „economici‟ posti dall‟uomo. In tal senso, ri-

prendendo e radicalizzando tesi epistemologiche variamente presenti nello strumentalismo

di Nietzsche, nell‟empiriocriticismo di Mach e nel pragmatismo americano, Croce vi inclu-

de anche tutte le scienze empiriche e matematiche, dal momento che la funzione principale

di queste ultime è quella di mettere ordine alla nostra esperienza empirica e di agevolare la

nostra memoria per mezzo di schemi generali e di classificazioni convenzionali (si pensi

alla tassonomia delle scienze biologiche). È chiaro, allora, che, essendo il prodotto della fa-

coltà non teoretica, ma pratica, dello Spirito, queste astrazioni vengono da Croce destituite

di qualsiasi valore conoscitivo, e quindi solo impropriamente possono dirsi „concetti‟: il lo-

ro status, piuttosto, è quello di „pseudo-concetti‟, che possono essere a loro volta empirici

(come “gatto”, “tavolo”, ecc.) o puri (come “triangolo”, “moto”, ecc.).

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hegeliano) degli „opposti‟, ovvero rispettivamente: a‟) bello/brutto; b‟) ve-

ro/falso; c‟) utile/dannoso; d‟) bene/male.3

Per comprendere come da tutto ciò si sviluppi l‟estetica crociana,

possiamo partire dal celebre incipit dell‟Estetica: “La conoscenza ha due

forme: è o conoscenza intuitiva o conoscenza logica; conoscenza per la fan-

tasia o conoscenza per l‟intelletto; conoscenza dell‟individuale o conoscenza

dell‟universale; delle cose singole ovvero delle loro relazioni; è, insomma, o

produttrice d‟immagini o produttrice di concetti”4. Nella sua attività cono-

scitiva, dunque, lo Spirito produce o opere d‟arte, e in tal caso si serve solo

dell‟intuizione, cioè di quella facoltà che gli consente di cogliere direttamen-

te le cose ed esprimerle immediatamente in immagini (poetiche, pittoriche,

scultoree ecc.), oppure concetti filosofici, e in tal caso si serve della facoltà

logico-intellettiva che, partendo dal materiale empirico sulle cose fornito

dall’intuizione, lo scarnifica rivelandone e cogliendone le universali relazio-

ni (in cui propriamente consistono i concetti puri). Per citare l‟esempio che

lo stesso Croce farà nel terzo capitolo della prima parte, “questo fiume, que-

sto lago, questo rigagnolo” sono le cose che noi intuiamo, mentre “l‟acqua”

è il concetto (nella fattispecie „pseudo-concetto‟ empirico) che noi astraiamo

cogliendo la relazione astratta che sussiste tra di esse5. Inoltre, come già ac-

cennato, il concetto puro, che per Croce è l‟universale concreto (“universa-

le” perché non semplicemente “generale”, come lo è la rappresentazione

schematica delle scienze empiriche; e “concreto” sia perché non è “astratto”

come gli schemi sia perché coglie la realtà dello Spirito in tutta la sua di-

namica ricchezza) che lo Spirito coglie nella sua attività conoscitiva teoreti-

3 Questo rapporto tra „distinti‟ (le categorie dello spirito) e „opposti‟ (le „categorie‟ delle

categorie dello spirito) è fondamentale per capire la teoria crociana secondo la quale il

compito esclusivo della critica estetica è quello di discernere il bello dal brutto, cioè la poe-

sia dalla non-poesia, ovvero, come risulterà più chiaro da quello che diremo in seguito, la

compiuta conversione del sentimento in immagini nella vera rappresentazione artistica, dal-

le rappresentazioni non riuscite che risultano sbilanciate o verso il sentimento (sentimentali-

smo, romanticismo) o verso le immagini (concettismo, barocco). Tutto il resto, sostiene

Croce, è secondario, se non addirittura estraneo, come accade ad esempio quando nella va-

lutazione estetica ci si sofferma sul contenuto filosofico di un‟opera (facendo ricorso alle

categorie del vero e del falso), o su quello morale (introducendo le categorie del bene e del

male), o infine su quello edonistico (utilizzando le categorie dell‟utile e del dannoso). 4 CROCE, Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, Milano, Adelphi,

1990, I, cap. I, p. 3. 5 Si noti che questa ambiguità, per cui, volendo esemplificare la nozione di „concetto puro‟

non si trova di meglio che presentare il caso della formazione di uno „pseudo-concetto em-

pirico‟, è tipica del discorso crociano, che spesso, come già ben si avvide Pirandello nel

saggio su Arte e scienza, cade in ragionamenti circolari, in sofismi e in contraddizioni.

Un‟ottima analisi delle difficoltà di Croce a districarsi nella selva delle distinzioni tra con-

cetti e pseudo-concetti è fornita da Umberto Eco nel saggio Croce, l’intuizione e il guazza-

buglio, uscito nel 1991 su “La rivista dei libri” come recensione alla riedizione Adelphi

dell‟Estetica e poi incluso come Appendice 2 nel volume Kant e l’ornitorinco, Milano,

Bompiani, 1997 (cfr. in part. pp. 379-380).

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ca ed è l‟oggetto proprio della Logica, si contrappone ai concetti empirici,

intrinsecamente generali, schematici e classificatori (e quindi, in ultima ana-

lisi, pseudo-concetti) delle varie scienze particolari, come la psicologia, la

biologia, la fisica. ecc.

Ho evidenziato il fatto che per Croce la conoscenza concettuale

prende le mosse da quella intuitiva (e non viceversa), perché si tratta di un

punto cruciale e critico di tutta la teoria crociana delle „distinzioni‟ delle

forme dello Spirito (non a caso, come vedremo, nel saggio Arte e scienza,

Pirandello farà leva su di esso per scardinare tutto l‟edificio teoretico

dell‟estetica crociana). Vale la pena a tal proposito leggere un altro passo ce-

lebre dell‟Estetica, che segue di poco quello sopracitato e dal quale prenderà

le mosse lo stesso Pirandello: “Il rapporto di conoscenza intuitiva o espres-

sione, e di conoscenza intellettuale o concetto, di arte e di scienza, di poesia

e di prosa, non si può significare altrimenti se non dicendo ch‟è quello di un

doppio grado. Il primo grado è l‟espressione, il secondo il concetto: il primo

può star senza il secondo, il secondo non può stare senza il primo. Vi è poe-

sia senza prosa, ma non vi è prosa senza poesia. L‟espressione è, infatti, la

prima affermazione dell‟attività umana. La poesia è la «lingua materna del

genere umano»”6. Notiamo, incidentalmente, che in questo passo si presup-

pone già l‟altro principio fondamentale dell‟estetica crociana, e cioè

l‟assoluta equivalenza tra intuizione ed espressione. Secondo Croce, infatti,

quello dell‟intuizione di un qualcosa e quello della sua espressione in im-

magini, non sono due momenti distinti e cronologicamente consecutivi, ma

sono un unico e solo atto, perché “lo Spirito non intuisce se non facendo,

formando, esprimendo”7. Come dirà sempre Croce, e come ripeterà polemi-

camente Pirandello a sottolinearne la vacuità e astrattezza, l‟Estetica è tutta

qui, con le identificazioni e le opposizioni che ne conseguono. Per quanto

riguarda le identificazioni concettuali, espresse da definizioni, abbiamo:

“l‟arte è visione o intuizione”8, e l‟intuizione è, kantianamente, una sintesi a

priori di sentimento (contenuto) e immagine (forma)9, ovvero “un comples-

so d‟immagini e un sentimento che lo anima”10

; in tal senso, l‟arte può an-

che definirsi “contemplazione del sentimento”, o “intuizione lirica”, o anco-

ra “intuizione pura” (in quanto è pura da ogni riferimento storico alla realtà

6 Lo stesso rapporto di doppio grado sussiste sia a livello delle due forme pratiche dello

Spirito, per cui l‟attività economica può sussistere senza quella morale, ma non viceversa,

sia al livello più generale delle due attività fondamentali dello Spirito, per cui, mentre lo

Spirito può conoscere senza volere, non è pensabile che esso possa volere qualcosa senza

conoscere che cosa (cfr. ibid., pp. 57-58). 7 CROCE, ibid., p. 12.

8 CROCE, Breviario di estetica (1913), I, in ID., Breviario di estetica - Aesthetica in nuce,

Milano, Adelphi, 1990, p. 22. 9 Cfr. CROCE, ivi, II, p. 53.

10 CROCE, Aesthetica in nuce, I, in ID, op. cit., p. 193.

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o meno delle immagini di cui è costituita)11

; inoltre, poiché l‟“intuizione” di

un‟immagine, ovvero la poesia in senso lato, coincide con la sua “espres-

sione”12

, e poiché l‟“espressione” è fondamentalmente “linguaggio” (verba-

le, pittorico, musicale, ecc.), segue che l‟Estetica è non solo una “filosofia

della poesia” e una “scienza dell‟espressione”, ma anche una “filosofia del

linguaggio”13

e addirittura una “linguistica generale”, come recita lo stesso

sottotitolo dell‟Estetica. Per quanto riguarda invece le opposizioni, ovvero

la chiarificazione di ciò che l‟arte non è (posto che essa sia essenzialmente

intuizione), che Croce considera necessario complemento alla sua definizio-

ne positiva, abbiamo (considerando solo quelle che egli stesso nel primo ca-

pitolo del Breviario di estetica indica come le più importanti): l‟arte non è

un “fatto fisico”, cioè non è riducibile alle sue estrinsecazioni materiali (co-

lori, forme, suoni, ecc.), dal momento che queste ultime non sono reali,

mentre l‟arte lo è sommamente14

; l‟arte non è un “atto utilitario”, cioè non

ha nulla a che vedere con il perseguimento di uno scopo, sia esso l‟utile o il

piacevole; l‟arte non è un “atto morale”, se non altro perché quest‟ultimo at-

tiene alla sfera pratica, mentre l‟arte, come abbiamo visto, svolgendosi tutta

entro la sfera della conoscenza, è “atto teoretico”; e infine, ultima e più im-

portante negazione (cui è legata la condanna crociana di tutta una schiera di

autori, tra cui soprattutto Pirandello), l‟arte non è “conoscenza concettuale”,

né, di conseguenza, storia, perché l‟intuizione, come visto, non ha nulla a

che fare la verità e la realtà storica delle sue rappresentazioni, presupponen-

do anzi una sospensione del giudizio sul loro carattere di realtà o irrealtà;

anzi, l‟intrusione nell‟opera artistica di un elemento estraneo come la “ri-

11

Cfr. CROCE, ibid., pp. 194-195. 12

E ciò perché, prosegue Croce, “un‟immagine non espressa, che non sia parola, canto, di-

segno, pittura, scultura, architettura, parola per lo meno mormorata tra sé e sé, canto per lo

meno risonante nel proprio petto, disegno e colore che si veda in fantasia e colorisca di sé

tutta l‟anima e l‟organismo; è cosa inesistente [...] Questa profonda proposizione filosofica

dell‟identità di intuizione ed espressione si ritrova, del resto, nel comune buon senso, che

ride di coloro i quali dicono di avere pensieri ma non saperli esprimere, di aver ideato una

grande pittura ma di non saperla dipingere. Rem tene, verba sequentur: se i verba non ci

sono, non c‟è nemmeno la res” (Ivi, V, p. 211). 13

Cfr. CROCE, ivi, IX, p. 225. 14

Si noterà che qui Croce sfrutta abilmente, dalla propria ottica idealistica, talune posizioni

antimaterialistiche in tema di teoria della sciena (come il già ricordato empiriocriticismo di

Mach), le quali consideravano il mondo fisico o come una costruzione operata

dall‟intelletto umano per scopi pratici a partire dal materiale sensoriale, oppure come pro-

dotto di principi astratti che si sottraggono all‟esperienza (come gli atomi e l‟etere): in en-

trambi i casi, i “fatti fisici” non hanno alcuna realtà effettiva, o per lo meno sono molto me-

no reali di chi li crea, cioè lo Spirito umano. E poiché l‟arte esiste solo nell‟anima che la

crea e la ricrea (e non nei suoi accidentali veicoli empirici, come libri, quadri ecc.), ne con-

segue che essa è infinitamente più reale dei fatti fisici. Per questa sorprendente conseguenza

metafisica dell‟estetica crociana, cfr. Breviario di estetica, I, in CROCE, op. cit., pp. 23-25.

Per l‟idea che l‟arte esiste non nei cosiddetti “oggetti artistici”, ma nello Spirito, cfr. Aeshte-

tica in nuce, VII, in CROCE, op. cit., p. 216.

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flessione” (proprio quella che Pirandello considera la componente fonda-

mentale nel processo della creazione umoristica) conduce all‟arte intellettua-

listica, ovvero a una delle più tipiche forme di non arte15

.

Da questa caratterizzazione dell‟arte consegue tutta una serie di fa-

mose precisazioni relative allo status, ad esempio, dei generi letterari e delle

cosiddette “categorie estetiche” (sublime, comico, umoristico, tragico, lirico,

epico, idillico, romanzesco, ecc.). Com‟è noto, Croce respinge decisamente

l‟eccessiva importanza che la precettistica tradizionale ha loro attribuito, fa-

cendone addirittura vere e proprie “leggi estetiche della composizione” e

“criteri estetici di giudizio”16

. Secondo Croce, invece, non esistono cose

come i “generi letterari”, perché l‟atto artistico è sempre unico dietro tutte le

sue manifestazioni fenomeniche. Distinzioni come “genere comico”, “gene-

re umoristico”, genere tragico” e così via, non sono altro che schemi di co-

modo che l‟intelletto introduce mettendo ordine nel mare magnum della

produzione artistica, e in quanto tali sono fondamentalmente estranei all‟arte

in sé. La loro genesi è spiegabile considerandole come delle indebite intru-

sioni delle categorie logiche in quelle estetiche e, se ci si ostina a dar loro

importanza per la creazione e la valutazione dell‟opera d‟arte, si cade

nell‟intellettualismo. Nell‟ambito della sua estetica, pertanto, essi si riduco-

no a meri schemi classificatori usati per scopi pratici ben precisi (come ad

esempio per approntare l‟edizione dell‟opera omnia di uno scrittore, che per

comodità si può suddividere in opere in prosa, opere in versi e opere teatra-

li), e quindi a pseudo-concetti. È del tutto inutile, di conseguenza, impegnar-

si nelle interminabili discussioni teorico-erudite volte alla loro rigorosa defi-

nizione concettuale, perché si tratta comunque di un compito estraneo alla

scienza estetica (come Croce precisa a partire dall‟Estetica e come ribadirà

instancabilmente per tutta la vita, fino alla tarda La Poesia, apparsa nel

1936).

A questo punto, ripercorsa nelle sue linee generalissime l‟estetica

crociana (altri aspetti avremo modo di metterne in luce in seguito), risulterà

chiaro il modo in cui Croce esordisce nel breve saggio sull‟umorismo:

15

Giova a questo proposito leggere il passo seguente del Breviario, in vista sia della tesi

sostenuta da Pirandello nel saggio su Arte e scienza, sia del giudizio fortemente negativo di

Croce non solo sul concetto pirandelliano di umorismo, ma anche su tutta l‟arte dello scrit-

tore agrigentino: “L‟idealità (come anche è stato chiamato questo carattere che distingue

l‟intuizione dal concetto, l‟arte dalla filosofia e dalla storia, dall‟affermazione

dell‟universale e dalla percezione o narrazione dell‟accaduto) è l‟ulteriore virtù dell‟arte:

non appena da quell‟idealità si svolge la riflessione [corsivo nostro] e il giudizio, l‟arte si

dissipa e muore: muore nell‟artista, che da artista si fa critico di se stesso; muore nel riguar-

dante o ascoltante, che da rapito contemplatore d‟arte si cangia in osservatore cogitabondo

della vita” (Breviario di estetica, I, in CROCE, op. cit., pp. 31-32). 16

Cfr. Aesthetica in nuce, VIII, in CROCE, op. cit., p. 220.

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Definizioni dell‟umorismo si trovano in quasi tutti i trattati di Esteti-

ca, pubblicati nel corso del secolo decimonono. Ma io ho cercato altrove [e

qui Croce rimanda in nota alla sua Estetica, parte I, cap. 12] di mostrare che

siffatte trattazioni del sublime, del tragico, del comico, dell‟umoristico e via

dicendo, debbono considerarsi estranee alla scienza estetica. Senza ripetere la

dimostrazione già data, basti qui osservare che l‟Estetica, in quanto tale, ha

per oggetto lo studio della potenza espressiva, fantastica, intuitiva, o

com‟altro si voglia chiamare. Certamente, la materia o contenuto delle espres-

sioni è la vita, la realtà in tutti i suoi infiniti aspetti, e perciò anche in quegli

aspetti che si dicono sublime, tragico, comico, umoristico, patetico, commo-

vente, allegro, e via all‟infinito. Ma pretendere dall‟Estetica le definizioni di

questi sentimenti sarebbe il medesimo che pretendere da lei le definizioni

dell‟amore, dell‟odio, della gioia, della felicità, della disperazione,

dell‟entusiasmo, di tutti quanti i sentimenti e le passioni che l‟uomo può pro-

vare, e di tutte le situazioni nelle quali si può trovare; e ciò per la ragione che

queste cose tutte possono essere materia d‟arte. Sarebbe, in altri termini, as-

segnare all‟Estetica il campo ch‟è proprio della Psicologia descrittiva, o, peg-

gio ancora, intendere l‟Estetica stessa come una Psicologia descrittiva. Se-

nonché l‟esclusione pronunziata di sopra concerne l‟Estetica pura, in quanto

scienza rigorosa e filosofica. Quale uso deve fare il critico letterario, il quale

ha dinanzi opere concrete e vive, e non la forma in genere, ma singole forme,

ossia particolari contenuti formati? Il che vale quanto domandare di quale uso

la Psicologia descrittiva possa essere per la Critica letteraria. Mi restringo a

dare qualche schiarimento, prendendo come esempio il concetto di umorismo,

ch‟è, senza dubbio, tra i più controversi e confusi.17

Già in questa posizione del problema abbiamo un esempio tipico del

modo di procedere di Croce (che non è sfuggito a Pirandello, il quale ne ri-

velerà la contraddittorietà con le premesse dottrinarie e il carattere di como-

do compromesso con una realtà artistica e una pratica critico-letteraria inne-

gabili): stabilito che ciò che si spaccia per concetto estetico è, in realtà, uno

pseudo-concetto, perché riconducibile a una disciplina empirica (in questo

caso la Psicologia descrittiva), si tratta allora di stabilire l‟effettivo e miglio-

re uso che può farne la critica letteraria, la quale ha un compito diverso da

quello dell‟Estetica pura in quanto coinvolta non, come quest‟ultima, con i

concetti puri, ma con i più disparati fatti artistici. In questo modo, come sot-

tolineerà polemicamente Pirandello, Croce fa rientrare dalla finestra ciò che

ha buttato fuori dalla porta dell‟edificio adamantino e astrattissimo della dot-

trina pura.

Dopo l‟apertura citata, il saggio di Croce prosegue con una dottissi-

ma digressione sulle radici etimologico-culturali del termine inglese humour

e sulle più disparate definizioni dell‟“umorismo” che in Inghilterra, Francia,

Germania e Italia si sono avanzate tra sette e ottocento (e di questa parte del

saggio, come abbiamo già avuto modo di accennare, fa tesoro lo stesso Pi-

17

CROCE, L’umorismo (1903), in ID., Problemi di estetica e contributi alla storia

dell’estetica italiana (1910), Bari, Laterza, 19666, parte V, pp. 279-280.

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randello nelle prime pagine dell‟Umorismo, dedicate, appunto, alla “parola

«umorismo»”, come dice il titolo del primo capitolo). Evitando di entrare nei

dettagli di questa digressione, osserviamo solo che al termine di essa Croce

sottolinea che alla gran varietà di definizioni corrisponde una speculare va-

rietà d‟uso da parte della critica, per cui, “per restringerci alla letteratura ita-

liana, si è ritrovato l‟umorismo in Dante, in Cecco Angiolieri, nel Pulci,

nell‟Ariosto, nel Folengo, in Carlo Gozzi, nel Manzoni, nel Leopardi, nel

Guerrazzi, nel Carducci, e perfino (pare impossibile) nel Mazzini; e altri ha

negato che questo o quello tra gli scrittori menzionati si possa dire umorista

o che abbia dell‟umorismo”18

. E, aggiunge maliziosamente Croce, se tutta la

faccenda fosse una cosa seria, ci sarebbe da meravigliarsi che nel catalogo

degli umoristi non compaia Giordano Bruno, il quale face proprio il motto

„umoristico‟ In tristitia hilaris, in hilaritate tristis.

La realtà, prosegue Croce, è che tutto questo affannarsi sulla parola

“umorismo” è inutile, e non perché, come si potrebbe erroneamente credere,

il concetto sia troppo difficile da definire e quindi occorra impegnarsi di più

nello sforzo teorico, ma semplicemente perché non ci troviamo di fronte a

un vero e proprio concetto, per cui ogni tentativo di definizione unica e de-

finitiva è viziato da un equivoco d‟origine che lo farà inevitabilmente girare

a vuoto. Ciascuno di quelli che si sono cimentati nell‟impresa “ha avuto

l‟occhio a uno o più scrittori determinati, e ha fissato il concetto

dell‟umorismo col generalizzare questa o quella qualità dalla quale era stato

colpito”19

. E quale risultato si raggiungerebbe se si prendessero in conside-

razione molti più scrittori, se non addirittura tutta la storia letteraria di tutti i

tempi e di tutti i paesi? Ebbene, risponde Croce, “chi spingesse tropp‟oltre

l‟astrazione, vedrebbe via via sfumare ogni lineamento di quel che di solito

si chiama „umorismo‟; gli resterebbero in mano, tutt‟al più, alcuni generalis-

simi e vaghi elementi di serietà e di riso”20

. Al contrario, la selva delle più

svariate definizioni dell‟umorismo e degli altri concetti pseudo-estetici do-

vrebbe insegnarci che non a caso le cose stanno così, perché, piuttosto che

concetti rigorosi, essi sono pseudo-concetti psicologici mascherati da cate-

gorie estetiche, ovvero “aggruppamenti di rappresentazioni che ubbidiscono

a fini pratici”21

, e quindi ogni loro definizione è necessariamente vaga e flut-

tuante. Chi comprende questo, allora, da un lato smetterà di inseguire la

chimera della “definizione vera (cioè rigorosa e filosofica) dell‟umorismo”,

perché “«umorismo» è nient‟altro che un nome, dato a gruppi di rappresen-

tazioni, le quali non si possono mai staccare con un taglio netto da quelle af-

fini, salvoché arbitrariamente e per comodo”; e dall‟altro “non disprezzerà le

definizioni finora offerte, ciascuna delle quali designa qualche aspetto e met-

18

CROCE, L’umorismo, in op. cit., p. 287. 19

CROCE, ibidem. 20

CROCE, ibid., p. 288. 21

CROCE, ibidem.

Page 9: crocepirandello

9

te in rilievo qualche punto notevole degli infiniti atteggiamenti dell‟animo

umano” 22

.

La critica letteraria, quindi, può di volta in volta servirsi di questa o

quella definizione, scegliendo quella che meglio corrisponde allo scopo del

momento di comprendere una certa opera o un certo scrittore. Ma sarebbe un

grave errore isolarne una e trasformarla poi, da strumento introduttivo e da

mezzo pedagogico, in un‟idea assoluta in grado di cogliere l‟essenza di uno

scrittore, di un‟epoca, o addirittura di un intero popolo (come fa ad esempio

chi con la parola humour, nel senso di “disposizione comica”, intende carat-

terizzare nella sua essenza il popolo inglese).

Ed ecco la lapidaria conclusione di Croce, che, come vedremo nel pa-

ragrafo 4, tanto ha irritato Pirandello per la sua evidente debolezza logica e

impraticabilità nella critica letteraria effettiva:

Il critico letterario deve andare oltre queste osservazioni generiche: deve

individualizzare. Per lui, non c‟è l‟umorismo, ma c‟è Sterne, Richter, Heine.

Non c‟è il sublime, ma c‟è Eschilo, Dante, Shakespeare. Non c‟è il comico,

ma c‟è Plauto, Molière, Goldoni. Le classi e i generi gli servono da sussidio;

ma egli deve intendere il poeta e lo scrittore, guardandolo in viso23

.

2. La critica di Pirandello all’estetica crociana

Che dopo una analisi così distruttiva del concetto di umorismo come

categoria estetica, condotta dall‟autorità filosofica italiana del momento e

supportata da un apparato teoretico di rara solidità e potenza esplicativa (al-

meno in apparenza), un narratore di non grandissima fama potesse trovare il

coraggio di scrivere un intero libro alla ricerca della “spiegazione di

quell‟intimo processo che avviene, e che non può non avvenire, in tutti que-

22

CROCE, ibidem. 23

CROCE, ibid., p. 289. Vale la pena riportare qui anche la nota bibliografica posta da

Croce in calce alla ristampa del saggio nei Problemi di estetica (la si confronti con la specu-

lare seconda parte della terza nota al primo capitolo dell‟Umorismo di Pirandello, dove, do-

po la menzione nell‟identica sequenza dei saggi di Baldensperger e Spingarn, è citato il

saggio di Croce): “Posteriormente a questo mio scritto sono stati pubblicati: F. BALDEN-

SPERGER, Les définitions de l’humour (in Études d’histoire littéraire, Paris, Hachette,

1907, pp. 176-222), studio che accoglie le mie conclusioni; le nuove ricerche sulle vicende

della parola „umore‟ di J.E. SPINGARN, Critical essays of the seventeenth century (Oxford,

1908), pp. LVIII-LXIII; e il libro di L. PIRANDELLO, L’umorismo (Lanciano, Carabba, 1909),

intorno al quale cfr. Conversazioni critiche, I4, 44-48” (ibid.). Il rimando finale di Croce è,

ovviamente, alla propria recensione del libro di Pirandello.

Page 10: crocepirandello

10

gli scrittori che si dicono umoristi”24

, è un fatto che di per sé dovrebbe desta-

re ancora oggi stupore e ammirazione. Ad ogni modo, una spiegazione va

cercata indubbiamente nel coevo saggio su Arte e scienza, che, in una quin-

dicina di pagine densissime, offre una critica devastante dei fondamenti teo-

retici di tutta l‟Estetica crociana, forse ancora oggi ineguagliata.

Scopo di Pirandello in questo saggio, che dà il titolo al volume di

scritti pubblicato nel 1908 presso l‟editore W. Modes di Roma, è la difesa di

una terza via sul rapporto tra estetica e critica letteraria da un lato e risultati

delle scienze dall‟altro. Pirandello nota che su tale questione, superato lo

scientismo positivistico che pretendeva di ridurre l‟estetica e la critica lette-

raria ai canoni delle scienze naturali, della sociologia e della psicologia (e a

tal proposito egli cita, fra gli altri, le note teorie di Hippolyte Taine), si è ca-

duti nell‟eccesso opposto, negando sprezzantemente alla scienza ogni diritto

di interferire con l‟arte. Egli nota che questo sdegno antiscientifico è in parte

giustificato dagli eccessi positivistici, arrivati, ad esempio, al punto che in

una conferenza tenutasi in occasione del centenario della nascita di Leopardi,

a farla da padroni erano psichiatri ed antropologi, e uno di questi ultimi,

“commentando a suo modo il Canto notturno di un pastore errante

dell’Asia, ebbe il coraggio di notare non so che povertà di colore in quel can-

to sublime, da attribuire a non so qual difetto o malattia della vista del Leo-

pardi”25

. A capo di questa crociata antiscientifica si collocava, naturalmente,

Benedetto Croce, il quale aveva elaborato un‟Estetica fondata su una metafi-

sica dello Spirito che, come abbiamo visto, collocava in due ben distinte ca-

tegorie spirituali l‟attività che presiede alla produzione e alla comprensione

dell‟arte e quella che presiede alla pratica economico-scientifica. Ora, poiché

Pirandello ha una concezione tutt‟altro che idealistica della struttura dello

Spirito (mutuata addirittura da uno psichiatra come Binet), e poiché ritiene

che, tra il dogma scientistico del positivismo e la pregiudiziale antiscientifica

di Croce, esista una terza possibilità, consistente in una saggia e cauta aper-

tura nei confronti dei possibili suggerimenti che gli strumenti ed i risultati

della scienza possono fornire all‟estetica, deve necessariamente regolare i

conti con la sempre più imperante estetica crociana. Già l‟apertura del sag-

gio, che implica un‟adesione netta alle teorie „sperimentali‟ sulla struttura

dell‟io, è una dichiarazione di guerra non tanto velata all‟idealismo crociano,

fondato, fra l‟altro, sulla pretesa che l‟io, lo Spirito, la mente umana, siano

24

PIRANDELLO, L’umorismo, Milano, Mondadori, 1992, parte II, I, p. 124. Si noti che il

passo citato si trova proprio nel bel mezzo della replica (aggiunta nell‟edizione del 1920)

alla recensione di Croce. 25

PIRANDELLO, Arte e scienza, in ID., Saggi, Poesie, Scritti vari, Milano, Mondadori,

19774, p. 163.

Page 11: crocepirandello

11

pascolo esclusivo della filosofia teoretica, e per di più trascendentale (nel

senso kantiano26

):

Rileggendo nel libro di Alfredo Binet Les altérations de la personnalité

quella rassegna di meravigliosi esperimenti psico-fisiologici, dai quali, com‟è

noto, si argomenta che la presunta unità del nostro io non è altro in fondo che

un aggregamento temporaneo scindibile e modificabile di varii stati di co-

scienza più o meno chiari, pensavo qual partito potrebbe trarre da questi espe-

rimenti la critica estetica per la intelligenza del fenomeno non meno meravi-

glioso della creazione artistica, se oggi non fosse venuto in uso e in vezzo o-

stentare un soverchio disdegno per la intromissione (altri dice intrusione)

della scienza nel campo dell‟arte.27

Come già abbiamo avuto modo di rilevare nel paragrafo precedente,

Pirandello inizia la propria discussione dell‟Estetica crociana ricordando che

essa si basa su una netta separazione, nello Spirito, dell‟attività che produce

arte da quella che produce scienza, e a tal proposito egli cita subito il passo

dell‟Estetica, da noi riportato sopra, in cui Croce stabilisce il rapporto di

doppio grado tra conoscenza intuitiva e conoscenza intellettuale28

. Ma que-

sta distinzione e questo rapporto, nota Pirandello, sono del tutto arbitrari e

frutto di un‟astrazione intellettualistica29

, perché in effetti “le varie attività e

funzioni dello spirito [...] sono in intimo e inscindibile legame e in continua

azione reciproca” 30

. Di conseguenza, dalle arbitrarie distinzioni di Croce

26

A p. 168, ivi, lo stesso Pirandello ricostruisce la tortuosa (ma reale e da Croce stesso

ammessa) derivazione della teoria crociana dell‟„intuizione pura‟, intesa come attività dello

Spirito che produce „forme‟, dall‟“Estetica trascendentale”, cioè dalla sezione della Critica

della ragion pura in cui Kant parla delle „forme‟ a priori della sensibilità e della sua facoltà

di „intuire‟. 27

PIRANDELLO, ibid., p. 163. 28

Cfr. PIRANDELLO, ibid., p. 167. Ci pare opportuno osservare che qui Pirandello fa

qualche confusione tra il proprio uso del termine „scienza‟ e quello di Croce. Sembra chia-

ro, infatti, che quando parla di „scienza‟, Pirandello abbia in mente le scienze sperimentali,

mentre l‟occorrenza del termine in Croce (e soprattutto nel passo in questione) indica la

scienza pura, cioè la Logica, da lui intesa, appunto, come „scienza del concetto puro‟, e

quindi come filosofia trascendentale. Le scienze sperimentali, invece, secondo Croce sono

prodotte dall‟attività economica, cioè dalla prima categoria dello Spirito „pratico‟ o „voliti-

vo‟. Questa confusione, però, ci sembra non pregiudicare la validità della critica pirandel-

liana. 29

Si noti che in tutto il saggio Pirandello non fa altro che accusare beffardamente Croce di

intellettualismo nella costruzione della sua Estetica, laddove quella di intellettualismo è una

delle accuse che il Croce critico letterario ama rivolgere a molti autori, e a Pirandello in par-

ticolare, come vedremo. 30

PIRANDELLO, ibid., p. 167. Più avanti Pirandello preciserà meglio la propria „filosofia

dello spirito‟ in relazione alla creazione artistica e all‟elaborazione scientifica: “Il rapporto

tra arte e scienza, come il Croce lo pone, non esiste, perché l‟arte non sta in quel primo gra-

dino, non è un‟attività sola dello spirito, ma tutto lo spirito, che, così nella scienza come

nell‟arte, si esplica non in due modi soltanto distintamente separati, bensì tutto quanto in

Page 12: crocepirandello

12

“non poteva venir fuori che un‟Estetica astratta, monca e rudimentale”31

. Già

in queste prime battute, Pirandello trova modo di fare un rilievo, apparente-

mente incidentale, che contiene in nuce tutta la propria critica a Croce. Infat-

ti, dopo aver ricordato che Croce distingue due attività fondamentali dello

Spirito, quella teoretica (a sua volta distinta in intuitiva e in intellettiva), con

la quale conosciamo e ci appropriamo del mondo, e quella pratica (a sua vol-

ta distinta in economica e morale), con la quale mutiamo e ricreiamo il mon-

do, egli osserva:

Dato che una separazione possa farsi, parrebbe a tutti che l‟arte dovesse

piuttosto consistere nella seconda forma o attività, che implica la mutazione

delle cose e la creazione, non la semplice comprensione di esse.

Ebbene, no: il Croce considera l‟arte come attività teoretica, come cono-

scenza nel primo momento dell‟intuizione, e dà fuori quindi un‟Estetica intel-

lettualistica senza intelletto, fondata tutta su le sole rappresentazioni, natural-

mente soltanto in base a un procedimento logico, e dunque astratta, come di-

cevo, monca e rudimentale.

L‟arte, egli dice esplicitamente, è conoscenza, è forma: non appartiene al

sentimento o alla materia psichica.32

Ecco, tutta la critica pirandelliana punta a demolire l‟assunto crocia-

no che la creazione artistica sia solo ed esclusivamente un atto teoretico-

conoscitivo, sebbene al livello basso, aurorale, della pura contemplazione in-

tuitiva di immagini. E non basta. Con straordinario acume epistemologico,

Pirandello dimostra non solo che l‟arte “non è semplice conoscenza”33

, ma

che essa non può mai essere semplice conoscenza intuitiva “senz‟ombra di

riferimenti intellettuali”34

. In tal modo l‟edificio dell‟Estetica crociana crolla

sotto il fuoco incrociato di una doppia confutazione: essa, infatti, si rivela

falsa sia nella misura in cui sostiene che l‟arte è solo conoscenza, sia nella

misura in cui sostiene che si dà una conoscenza solo intuitiva, cioè alogica.

Per quanto riguarda la prima dimostrazione, Pirandello muove dalla

fondamentale tesi crociana che tra l‟intuizione dell‟uomo comune e quella

dell‟artista sussista solo una differenza di grado35

. A suo giudizio, infatti,

questo e in quel modo, liberamente, cioè solo a seconda della materia su cui si esercita e del

fine a cui tende. Né il fine e la materia limitano o determinano l‟arte: dicono soltanto che la

concezione non è a caso: essa tuttavia è libera, perché voluta per se stessa, e com‟essa si

vuole” (ibid., p. 176). 31

PIRANDELLO, ibid., p. 167. 32

PIRANDELLO, ibidem. 33

PIRANDELLO, ibid., p. 174. 34

PIRANDELLO, ibid., p. 177. 35

Nella serrata analisi dei vari aspetti di questa tesi Pirandello, con un acume da logico con-

sumato, individua nel discorso crociano una petizione di principio (Croce afferma ciò che

dovrebbe dimostrare, e cioè che non c‟è differenza qualitativa tra gli atti spirituali del per-

cepire, dell‟intuire e dell‟immaginare), un sofisma (l‟intuizione è per assunto considerata

Page 13: crocepirandello

13

l‟artista non fa altro che intuire pienamente, e quindi esprimere compiuta-

mente nell‟opera d‟arte, ciò che ciascuno di noi intuisce confusamente e

frammentariamente, e conseguentemente esprime sotto forma di “guazzabu-

glio”. Per fare un esempio, secondo Croce Leonardo può dipingere la Gio-

conda non perché possiede una tecnica pittorica che l‟uomo qualunque non

possiede (ogni abilità tecnico-pratica essendo per Croce estrinseca all‟arte in

sé), ma perché è in grado di penetrare più a fondo il proprio materiale percet-

tivo, e quindi di intuirlo veramente ed esprimerlo adeguatamente. In tal mo-

do, osserva Pirandello, la creazione artistica diventa un‟attività puramente

“astratta, meccanica, oggettiva”36

, perché si riduce a un effetto (l‟espressione

della forma artistica) automaticamente conseguente a una causa (l‟intuizione

piena di un‟impressione soggettiva)37

. In tal modo Croce lascia fuori

dall‟arte esattamente ciò che più la contraddistingue (e che ad esempio la di-

stingue dal “meccanismo”), e cioè il momento della rielaborazione libera e

soggettiva da parte dell‟artista del proprio mondo percettivo e fantastico alla

luce della propria “volontà” e dei propri “sentimenti”, i quali soltanto danno

alla creazione artistica un “modo di essere” e una “qualità” peculiari e incon-

fondibili38

; e invece “per lui si tratta soltanto di oggettivare un‟impressione

della realtà, non di dare alla realtà un‟interpretazione soggettiva”39

. Su que-

sto punto la conclusione di Pirandello, che certamente sa meglio di Croce

come si fa in concreto un‟opera d‟arte40

, è categorica:

L‟arte dunque non è semplice conoscenza. La forma di cui egli parla è og-

gettivazione meccanica, fissa, immutabile, proprio quella che in arte non ha

alcun valore; l‟intuizione che non è ridivenuta sentimento e impulso. E tutta la

teoria estetica del Croce crolla.41

non concettuale, ma poi Croce ammette che sia cosciente; ma la coscienza comporta la ca-

pacità concettuale di distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è) e una contraddizione

(da un lato Croce considera l‟intuizione come unità indifferenziata di percezione della realtà

e immaginazione del possibile, e dall‟altro distingue l‟intuizione storica, che coglie il mon-

do così com‟è, dall‟intuizione fantastica, che lo proietta nel possibile): cfr. ibid., pp. 171-

172. Da parte sua Eco, che però non cita Pirandello, individua il colossale circolo vizioso

della definizione dell‟arte su cui si regge tutta l‟Estetica e che può essere formulato in que-

sti termini: “la sola intuizione è quella artistica e l‟arte è intuizione” (ECO, Croce,

l’intuizione e il guazzabuglio, in op. cit., p. 378). 36

Questa terna di aggettivi è più volte declinata da Pirandello per indicare il carattere intel-

lettualistico della spiegazione crociana della creazione artistica. 37

Pirandello può in tal modo considerare l‟equazione crociana intuizione = espressione

come una versione camuffata del nesso meccanicistico di causa - effetto: cfr. ibid., p. 169. 38

Cfr. PIRANDELLO, ibid., p. 168. 39

PIRANDELLO, ibid., p. 169. 40

Che nei suoi punti essenziali (ad es., che arte = intuizione = espressione estrinsecazione

tecnica e materiale) l‟Estetica di Croce sia basata su una palmare ignoranza dei modi in cui

gli artisti effettivamente procedono nella loro creazione dell‟opera, è stato ben messo in lu-

ce da Eco, op. cit., p. 383. 41

PIRANDELLO, ibid., p. 174.

Page 14: crocepirandello

14

Perché avvenga il fatto estetico, dunque, non basta che

un‟impressione soggettiva venga convertita nella forma astratta

dell‟intuizione-espressione: occorre che quest‟ultima venga rielaborata, con-

cretamente, liberamente e soggettivamente dall‟artista sulla base dei propri

sentimenti e impulsi personali:

Questa concretezza, questa libertà, questa soggettività - può domandarci il

Croce - non sono già nella intuizione, conoscenza dell‟individuale? No, gli ri-

spondiamo noi, perché, finché c‟è semplice conoscenza, non ci può essere al-

tro che astrazione: cioè la forma astratta, oggettiva, meccanica

dell‟individuale. Perché sia concreta, libera, soggettiva, questa forma

dell‟individuale bisogna che cessi d‟esser semplice conoscenza e ridiventi

sentimento e impulso: non la forma d‟una impressione individuale, ma la

forma individuale d‟una impressione.42

Per quanto riguarda la seconda dimostrazione, Pirandello premette

subito di non voler entrare troppo “nella questione psicologica, se possa dar-

si veramente una conoscenza intuitiva, libera d‟ogni riferimento intellettua-

le”43

. Del resto, aggiunge, Croce lo afferma, ma si guarda bene dal dimo-

strarlo. Tuttavia a Pirandello basta riportare un brano di Croce e mostrare

che gli stessi termini ed esempi che egli usa implicano che le immagini arti-

stiche sono lungi dall‟essere meri fatti intuitivi: “si può dimostrare il contra-

rio, dimostrare cioè che il chiaro di luna non è né può essere ritratto dal pit-

tore e un contorno di paese non è né può essere delineato da un cartografo

finché restano fatti semplicemente intuitivi. Conoscere intuitivamente nel

modo come il Croce l‟intende, fuori cioè d‟ogni riferimento intellettuale, è

come conoscere soltanto di vista qualcuno”44

. Tant‟è vero che Croce stesso

usa espressioni come intuire davvero e mondo da scoprire allorché parla del

modo in cui l‟artista (per esempio un ritrattista) si pone davanti al proprio

oggetto. Ma, incalza Pirandello, “il Croce crede di rimanere, dicendo così,

nel campo intuitivo, indipendente da tutto il resto e anche dall‟intellezione:

non sospetta minimamente che ciò che egli chiama intuir davvero implica

ben altro che la semplice intuizione e anche un riferimento intellettuale, per-

ché se io debbo fare il ritratto a uno, bisogna che lo pensi anche e lo veda

come un ritratto [...], bisogna, in altri termini, ch‟io ne abbia l‟idea”45

.

Con quest‟ultimo riferimento all‟“idea”, che a suo giudizio fa parte

integrante del gioco della creazione artistica, Pirandello si avvia alla conclu-

sione del saggio riagganciandosi al tema del rapporto tra arte e scienza.

42

PIRANDELLO, ibid., p. 175. 43

PIRANDELLO, ibid., p. 176. 44

PIRANDELLO, ibid., p. 177. 45

PIRANDELLO, ibidem.

Page 15: crocepirandello

15

L‟arte, dice Pirandello, non si distingue dalla scienza perché è alogica, come

sostiene Croce, ma perché in essa l‟idea, creata dall‟intelletto, passa attraver-

so la fantasia, che la rielabora in immagini e la concretizza nell‟opera d‟arte.

Da parte sua, invece, la scienza nasce allorché l‟idea passa attraverso la fa-

coltà logica, che la svolge in ragionamenti e la esibisce nell‟argomentazione.

Arte e scienza, dunque, fanno capo entrambe all‟intelletto produttore di idee,

e differiscono solo per il diverso percorso che queste seguono per giungere a

manifestarsi: “Funzioni o potenze antitetiche, insomma, son fantasia e logi-

ca, non fantasia e intelletto: antitetiche, ma non così nettamente separate e

distinte da non aver reciproca azione tra loro. Tanto è vero che ogni opera di

scienza è scienza e arte, come ogni opera d‟arte è arte e scienza. Solo, come

spontanea è l‟arte nella scienza, così spontanea è la scienza nell‟arte”46

.

È questa la base filosofica su cui Pirandello poggia per superare la

segregazione della scienza imposta dall‟estetica crociana e per auspicare il

ritorno a un dialogo reciproco e a una fertile interazione tra i metodi e i risul-

tati della scienza e la critica letteraria, prefigurando così, con straordinaria

intuizione anticipatrice sui successivi approcci formalisti, strutturalisti e se-

miotici all‟arte, la possibilità di pervenire a una sorta di scienza dell’arte,

ovvero di logica della composizione artistica:

Dalle combinazioni sintetiche e simultanee create spontaneamente dall‟arte

non può forse svolgere la critica, col sussidio dell‟analisi scientifica, tutti quei

rapporti razionali e tutte quelle leggi che dimostrano come in ogni arte sia in-

clusa una scienza, non riflessa, ma istintiva; rapporti, leggi, che vivono

nell‟istinto degli artisti, e a cui l‟arte obbedisce senza neppure averne il so-

spetto?

Per quanto libera, per quanto in apparenza indipendente da ogni regola, essa

ha pur sempre una sua logica, non già immessa e aggiustata da fuori, come un

congegno apparecchiato innanzi, ma ingenita, mobile, complessa.

L‟armonia d‟ogni opera d‟arte può essere scomposta dalla critica, per mez-

zo dell‟analisi, in rapporti intelligibili; e in quest‟armonia la critica può scor-

gere una scienza, un insieme di leggi complesse, di calcoli senza fine, che

l‟artista ha concentrato nella sua azione spontanea. Tutte le osservazioni di lui

si rivelano, appajono penetrate d‟intelligenza; il suo piacere è uno strumento

di precisione che calcola senza saperlo.47

E dopo aver fornito un interessante esempio che dimostra in concreto

come un siffatto approccio possa funzionare (in un verso come “aspra stride

la ruota del carro” il poeta, per meglio rendere l‟impacciato e stentato pro-

cedere della ruota, „istintivamente‟ obbedisce alla „legge‟ per cui le conso-

nanti, allungando le sillabe, ritardano il ritmo del verso, legge che l‟analisi

46

PIRANDELLO, ibid., p. 178. 47

PIRANDELLO, ibidem.

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16

critica poi scopre per „spiegare‟ l‟efficacia del verso medesimo48

), Pirandello

chiude non senza aver lanciato un‟ultima frecciata polemica alla teoria cro-

ciana della valutazione estetica49

:

Chi non s‟accontenta più d‟un giudizio su le opere d‟arte fondato soltanto o

quasi del tutto su gli effetti che essa produce su la sensibilità relativa e vuole

spiegarsi le riposte ragioni della loro efficacia possente, deve pur ricorrere a

questa critica che ci pone in grado di intravedere almeno tali ragioni: quella

scienza che l‟artista spontaneamente concentrava in quelle espressioni

d‟arte.50

3. La recensione di Croce del saggio sull’Umorismo

Il quadro teoretico delle rispettive concezioni dell‟arte delineato nei

due paragrafi precedenti, ci consente di andare al cuore dell‟aspra disputa

sullo status del concetto di umorismo sorta tra Pirandello e Croce e occasio-

nata dalla recensione stroncatoria di quest‟ultimo al saggio dello scrittore,

uscita su “La Critica” del 20 maggio 190951

.

Uno dei motivi che può in qualche modo spiegare il tono altezzosa-

mente didascalico della recensione di Croce è, forse, non tanto il fatto che il

tentativo di dare all‟umorismo la dignità di categoria estetica equivale a una

sfida alla sua tesi sostenuta nel saggio del 1903 e a una messa in discussione

di tutto l‟impianto teorico della sua Estetica, ma il fatto che un tale tentativo

48

Cfr. PIRANDELLO, ibid., p. 179. 49

Basata quasi esclusivamente sulla „verifica‟ che il sentimento „privato‟ dell‟artista si sia

pienamente convertito in immagini, presentandosi come “sentimento contemplato e perciò

risoluto e superato” (CROCE, Aesthetica in nuce, I, in op. cit., p. 194), e che quindi sia in

grado di consonare con il sentimento del lettore e dell‟umanità tutta (da qui “il carattere di

totalità dell‟espressione artistica”, come dice il titolo di un saggio famoso del 1917, poi ag-

giunto da Croce in coda alle successive edizioni del Breviario di estetica): nel qual caso il

critico sancisce che si ha poesia, mentre in ogni altro caso si ha non poesia o, tutt‟al più,

„letteratura‟. 50

PIRANDELLO, ibid., p. 179. 51

Lo scritto è stato poi incluso da Croce nel primo volume delle Conversazioni critiche,

Bari, Laterza, 1918, pp. 44-48 (ried. 1950, ivi, pp. 43-48). Noi citeremo dalla sua ristampa

come punto 2 del capitolo su Pirandello che si trova in B. CROCE, La letteratura italiana,

a cura di Mario Sansone, Bari, Laterza, 1960, vol. IV: “La letteratura contemporanea”, cap.

XV, pp. 345-349 (il primo punto del capitolo, pp. 327-344, riproduce il più esteso interven-

to di Croce su Pirandello e le sue opere, apparso su “La Critica” del 20 gennaio 1935 e poi

ristampato nel quarto volume di CROCE, La letteratura degli italiani, Bari Laterza, 1940).

Il curatore ha inoltre segnalato e ampiamente citato in nota gli altri interventi di Croce su

Pirandello rinvenibili in Conversazioni critiche, V, Bari, Laterza, 1939, pp. 162-165; Pagi-

ne sparse, Napoli, 1943, vol. III, pp. 72-73; Nuove pagine sparse, vol. II, Napoli, 1949, pp.

118-119 e Terze pagine sparse, Bari, Laterza, 1955, vol. II, pp. 70-71 (si tratta, per lo più,

di interventi occasionali contenuti in recensioni di saggi su Pirandello).

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provenga non da un filosofo di professione, al quale soltanto per Croce è af-

fidato il compito di occuparsi di definizioni concettuali, ma da un artista, il

quale, in base alla dottrina crociana, dovrebbe invece solo fare arte e non fi-

losofare su di essa.

La recensione, peraltro, è un breve scritto di quattro pagine, quasi la

metà delle quali costituita da citazioni del saggio pirandelliano. Croce esor-

disce riportando due passi dell‟inizio del secondo capitolo della parte secon-

da (quello dove si trova l‟esempio celeberrimo della “vecchia signora coi

capelli ritinti”) in cui Pirandello caratterizza da un lato il modo di procedere

dell‟opera d‟arte „ordinaria‟ e dall‟altra quello dell‟opera „umoristica‟, rile-

vando che, mentre la prima nasce da un libero gioco della vita interiore che

organizza idee e immagini in una forma armoniosa, nella seconda interviene

esplicitamente un‟attività riflessiva da parte dell‟autore, il quale, giudicando,

analizzando e scomponendo il proprio sentimento risolto in immagine este-

tica, ne fa sorgere uno affatto nuovo, che egli chiama “sentimento del con-

trario” e che propriamente costituisce l‟essenza dell‟arte umoristica. Da que-

sti passi, rileva Croce, sembrerebbe che Pirandello venga a proporre la tesi

assurda che l‟umorismo sia cosa diversa dall‟arte (o perlomeno dall‟arte or-

dinaria): “In tal caso, che cosa è mai? Riflessione su l‟arte, cioè filosofia

dell‟arte? Riflessione sulla vita, cioè filosofia della vita? O una nuova forma

dello spirito, che bisognerebbe a ogni modo dimostrare e connettere con le

altre forme, assegnandole l‟ufficio proprio?”52

. È interessante in questo pas-

so quello che Croce dice nell‟ultima parte, perché inavvertitamente egli rive-

la che la sua maggiore preoccupazione è che la definizione pirandelliana

venga a portare scompiglio nella sua filosofia dei quattro „distinti‟, cioè del-

le quattro forme o categorie dello Spirito. In effetti, se esistesse qualcosa

come il “sentimento del contrario”, scaturito dall‟intervento analitico della

riflessione sul sentimento, e per giunta in grado di produrre un tipo di opere

diverse da quelle prodotte dall‟arte ordinaria, ci troveremmo di fronte nien-

temeno che a una nuova „forma‟ o „categoria‟ dello Spirito, cioè a un quinto

distinto, con effetti disastrosi facilmente immaginabili su tutta la filosofia

crociana. Ecco perché Croce, dopo il riferimento alla eventuale “nuova for-

ma dello spirito”, comincia ad assumere un tono quasi di comprensiva deri-

sione e di paternalistico richiamo all‟ordine: “Ma è probabile che la parola

sia andata di là dal suo vero pensiero, e che egli non intenda già che

l‟umorismo non sia arte, ma piuttosto che esso è un genere dell‟arte, che si

distingue dagli altri o addirittura dal complesso degli altri tutti”53

. A questo

punto Croce è entrato nel gioco del gatto col topo, e porge una via d‟uscita

che in realtà è una trappola. Scartando l‟assurda tesi che l‟umorismo sia

qualcosa d‟altro rispetto all‟arte (tesi che, però, egli insinua, è nella “paro-

52

CROCE, “A proposito della dottrina dell‟umorismo di L. Pirandello”, in ID., La Lettera-

tura italiana, cit., vol. IV, cap. XV, 2, pp. 346-347. 53

CROCE, ibid., p. 347.

Page 18: crocepirandello

18

la”, cioè nel senso letterale del discorso pirandelliano), forse Pirandello vuo-

le dirci che l‟umorismo è un particolare “genere” d‟arte. Bene. Ma se

l‟umorismo è un “genere”, incalza Croce, allora è un “concetto empirico,

non definibile a rigore e non filosofabile”54

, e questo Pirandello avrebbe do-

vuto saperlo, visto che dichiara di accogliere la di lui critica dei generi lette-

rari ed artistici. A questo punto Croce ha messo al muro l‟avversario, e può

passare, dopo il rimprovero di dilettantismo filosofico, alla definitiva confu-

tazione, condotta con scolastica dialettica:

Pirandello non si sarà reso pieno conto dell‟idea che ha accettata da me, e io

non voglio abusare della sua inesperienza dottrinale; e perciò continuerò a

mostrargli, analizzando la sua definizione, che l‟umorismo come arte non si

può distinguere dalla restante arte. Invero, la riflessione che egli considera ca-

rattere distintivo dell‟arte umoristica, o entra come materia dell‟arte e il carat-

tere distintivo cade, perché in qualsiasi opera d‟arte, tragedia o commedia, il

pensiero e la riflessione possono entrare insieme con la restante materia; - ov-

vero rimane estrinseca all‟opera d‟arte, e allora si avrà critica e non mai arte,

e di conseguenza nemmeno arte umoristica. Il medesimo vale pel «sentimento

del contrario», il quale o è la visione dialettica della vita, e fa parte di ogni

opera d‟arte; o è consecutivo a una determinata immagine artistica, e sarà al-

lora l‟accenno a un‟altra rappresentazione, a un‟altra opera d‟arte, diversa

dalla prima. Che se si mette in armonia e si fonde con la prima, si torna al ca-

so precedente, della rappresentazione dialettica della vita.55

54

CROCE, ibidem. 55

CROCE, ibidem. Cfr. la parte finale della breve sezione dedicata all‟Umorismo nel citato

scritto del 1935: “Un‟arte umoristica, così dedotta, è altrettanto inconcepibile quanto inesi-

stente, perché, se la riflessione semplicemente accompagna il sentimento, ne rimane distin-

ta, al modo di una critica che segua passo passo una poesia, e perciò è distinta dalla poesia;

e, se, invece, si sforza di introdursi nel sentimento e nella fantasia, ne nasce lo sconcerto che

può ben pensarsi e che è evidente nella seconda maniera del Pirandello (ivi, 1, p. 329). Per

Croce, l‟arte di Pirandello, a partire dalla „maniera‟ inaugurata dal Mattia Pascal (e cioè

dopo la stagione „verista‟, che ha un‟estrema e tarda propaggine ne I vecchi e i giovani, da

Croce assai significativamente considerato, al di là dei suoi limiti di opera fredda e conven-

zionale, “il migliore dei suoi romanzi”, ibid., p. 328) è irrimediabilmente condannata alla

non poesia a causa delle sue inutili velleità filosofiche, che, se da un lato tradiscono la sua

inesperienza nel campo dei problemi speculativi, dall‟altro inquinano la sua opera con ele-

menti assolutamente estranei all‟arte. Vale la pena, a tal proposito, leggere il seguente con-

ciso giudizio complessivo di Croce sull‟arte pirandelliana, in cui compare anche un raro

quanto significativo riconoscimento dei pregi dello scrittore siciliano: “Se io dovessi defini-

re in poche parole in che cosa propriamente questa sua maniera consiste, direi: in taluni

spunti artistici, soffocati o sfigurati da un convulso inconcludente filosofare. Né arte schiet-

ta, dunque, né filosofia: impedita da un vizio d‟origine a svolgersi secondo l‟una o l‟altra

delle due. Donde altresì l‟aspetto sorprendente e sconcertante con cui essa si presenta, e le

discussioni che suscita, e i sottilizzamenti ermeneutici, e le perplessità persistenti, e il vuoto

che pare pieno e il pieno che si sente vuoto, e, infine, nei lettori o spettatori, un malcontento

e un‟irritazione tanto maggiori in quanto l‟autore non è di certo scarsamente dotato

d‟ingegnosità, di vivacità dialogica, di eloquenza, e a tratti tramanda anche lampi di affetto

e di poesia” (ibid., p. 329).

Page 19: crocepirandello

19

La teoria di Pirandello non funziona, prosegue Croce, perché è vizia-

ta da una gran confusione concettuale sulle facoltà spirituali messe in gioco

nella definizione del processo da cui scaturirebbe l‟umorismo, come dimo-

strano le sue diverse versioni e il continuo ricorrere a immagini metaforiche.

A tal proposito egli cita di seguito ben cinque passi della parte seconda (uno

della fine del capitolo II, tre della parte iniziale del capitolo III e uno della

conclusione riassuntiva56

) dai quali emerge il continuo spostamento del tiro

cui Pirandello è costretto a ricorrere (arrivando persino, nel terzo passo, ad

attribuire all‟umorista la qualità quasi autocontraddittoria di “critico fantasti-

co”, oltre che di poeta, ciò che per Croce, come sappiamo, è semplicemente

scandaloso), con la conseguenza che la definizione diventa sempre più vaga

e imprecisa e “i concetti si sformano tra mano quando li prende per porgerli

altrui”57

. Alla fine, Croce non può che riprendere e ribadire quanto detto nel-

la conclusione del saggio del 1903:

Certamente il Pirandello ha avuto l‟occhio a qualcosa di effettivo, a certe

opere d‟arte (o di non arte?), e a certi atteggiamenti spirituali; ma poiché si

trattava di sfumature logicamente indefinibili, la definizione che egli ha data

dell‟umorismo ha il valore delle altre tutte (per es., l‟umore è la giovialità di-

sperata; è il riso tra le lacrime; è il bacio della gioia e del dolore; è il sublime

rovesciato; ecc. ecc.), alle quali io non muovo già guerra, ché anzi il mio mo-

do di rifiutarle filosoficamente è di accettarle tutte, empiricamente.58

Unica nota di merito, conclude cavallerescamente Croce, che intanto

ha tolto i panni del filosofo per indossare quelli del critico letterario, è che il

libro non è tutto in questa sua inutile ricerca dell‟“inafferrabile” definizione

56

Eccoli nell‟ordine: “[Il] sentimento del contrario nasce [...] da una speciale attività che

assume nella concezione di siffatte opere d‟arte la riflessione” (ed. cit., p. 131); “nella con-

cezione umoristica , la riflessione è, sí, come uno specchio, ma d‟acqua diaccia, in cui la

fiamma del sentimento non si rimira soltanto, ma si tuffa e si smorza: il friggere dell‟acqua è

il riso che suscita l‟umorista; il vapore che n‟esala è la fantasia spesso un po‟ fumosa

dell‟opera umoristica” (p. 132); “ogni vero umorista non è soltanto poeta, è anche critico,

ma - si badi - un critico sui generis, un critico fantastico: e dico fantastico non solamente

nel senso di bizzarro o di capriccioso, ma anche nel senso estetico della parola, quantunque

possa sembrare a prima giunta una contraddizione in termini. Ma è proprio così; e però ho

sempre parlato di una speciale attività della riflessione” (p. 133); “la riflessione, dunque, di

cui io parlo, non è un‟opposizione del cosciente verso lo spontaneo; è una specie di proje-

zione della stessa attività fantastica” (p. 134); “l‟umorismo consiste nel sentimento del con-

trario, provocato dalla speciale attività della riflessione che non si cela, che non diventa,

come ordinariamente nell‟arte, una forma del sentimento, ma il suo contrario, pur seguendo

passo passo il sentimento come l‟ombra segue il corpo. L‟artista ordinario bada al corpo

solamente: l‟umorista bada al corpo e all‟ombra, e talvolta più all‟ombra che al corpo; nota

tutti gli scherzi di quest‟ombra, com‟essa ora s‟allunghi ed ora s‟intozzi, quasi a far le smor-

fie al corpo, che intanto non la calcola e non se ne cura” (p. 163). 57

CROCE, ivi, 2, p. 348. 58

CROCE, ibid., pp. 348-349.

Page 20: crocepirandello

20

vera e definitiva dell‟umorismo, “ma contiene anche molte pagine degne di

essere lette intorno a particolari opere letterarie”. Egli può così lasciare

l‟ultima parola all‟avversario, citando con approvazione un passo dalle pagi-

ne del capitolo VI della prima parte in cui Pirandello lamenta da un lato la

“ritrosia” degli stessi critici italiani ad usare la parola “umorismo” per certe

opere nostrane, e dall‟altro l‟abuso che se ne fa quando la si riferisce a qua-

lunque manifestazione di comicità.

3. Le repliche di Pirandello nella riedizione del saggio del 1920

Abbiamo già avuto modo di osservare che la riedizione del saggio del

1920 non presenta ripensamenti e modifiche di carattere teorico e che in essa

Pirandello si limita soltanto a rispondere alla dura recensione di Croce. Da

quanto siamo venuti dicendo fin qui, il fatto risulta facilmente spiegabile.

Contrariamente a quello che Croce potesse pensare, Pirandello, col saggio su

Arte e scienza, era ben consapevole di aver guadagnato una filosofia dell‟arte

(legata a una filosofia dello spirito che qualcuno ha assimilato all‟attualismo

gentiliano59

) talmente solida e organica da fornire una base teorica di tutto

rispetto alla propria caratterizzazione del processo estetico e „cerebrale‟ che

dà vita alle opere di tutti gli artisti che si dicono „umoristi‟60

. Ecco perché la

critica di Croce non ha lasciato alcuna traccia sulla riedizione del 1920.

Nel parlare della recensione di Croce ho intenzionalmente sottolinea-

to i passaggi in cui il filosofo ostenta tutta propria (presunta) superiorità spe-

culativa nei confronti dello scrittore, perché altrimenti non si comprendereb-

be appieno il tono risentito e altrettanto sprezzante delle repliche di Pirandel-

lo. Queste ultime sono distribuite nel corpo del saggio in tre momenti princi-

pali: il primo è costituito da una lunga nota (la terza) al IV capitolo della

prima parte; il secondo è costituito da un‟aggiunta finale al testo del I capito-

lo della parte seconda (che peraltro comprendeva già un riferimento critico

all‟Estetica di Croce e alla sua riduzione dell‟umorismo a mero pseudo-

concetto psicologico, e in quanto tale, come già sappiamo, indefinibile con

rigore logico); il terzo, invece, che è anche il più esteso, è costituito dalla se-

conda metà del III capitolo, sempre della parte seconda.

Il testo relativo alla nota è il seguente: “L‟umorismo, come vedremo,

per il suo intimo, specioso, essenziale processo, inevitabilmente scompone,

disordina, discorda; quando, comunemente, l‟arte in genere, com‟era inse-

gnata dalla scuola, dalla retorica, era soprattutto composizione esteriore, ac-

cordo logicamente ordinato”61

. L‟ho riportato perché esso anticipa proprio il

59

Cfr. S. GUGLIELMINO, “Introduzione” a PIRANDELLO, L’umorismo, cit., p. XIII. 60

“Noi abbiamo dimostrato altrove e anche nel corso di questo lavoro, che il fatto estetico

non è né può essere quel che il Croce intende” (ivi., parte II, cap. I, p. 122). 61

PIRANDELLO, ibid., p. 39.

Page 21: crocepirandello

21

senso dei due passi della parte seconda da cui Croce, come si ricorderà,

prende le mosse nella sua recensione; e questo spiega perché Pirandello inse-

risca a questo punto la prima replica, che mette conto riportare integralmen-

te:

Il Croce, in una recensione su la prima edizione di questo mio saggio, nel

VII volume di Critica, ha voluto credere ch‟io, dicendo così, contrapponessi

arte e umorismo e affermassi che umorismo è l‟opposto dell‟arte, perché que-

sta compone e quello scompone. Veda il lettore intelligente se è lecito e giu-

sto argomentare dalle mie parole una così recisa e assoluta contrapposizione

o opposizione; se è lecito e giusto, dopo aver con molta leggerezza e senza

alcun fondamento argomentato così, aggiungere come fa il Croce: «Ma, forse,

la parola è andata di là dal pensiero del P., il quale non voleva già dire che

l‟umorismo non sia arte, ma piuttosto che sia un genere d‟arte, che si distin-

gue dagli altri generi d‟arte o dal complesso di essi» [si noti che la citazione

di Pirandello non è testuale: cfr. quella da noi riportata nel § 3]. Ritornerò su

questo appunto più oltre, quando tratterò della speciale attività della riflessio-

ne nella concezione dell‟opera umoristica. Mi contenterò qui per ora di ri-

spondere al Croce, ch‟egli fa - non so se volutamente o no - una confusione

tra i così detti «generi letterari» come li intendeva la retorica, la cui elimina-

zione è da accettare, con quelle distinzioni, che non solo sono legittime, ma

anche necessarie tra le varie espressioni, quando non si voglia confondere

l‟una con l‟altra, abolendo ogni critica, per concludere filosoficamente che

tutte sono arte e che ciascuna come arte non si può distinguere dalla restante

arte. L‟umorismo non è un «genere letterario», come poema, commedia, ro-

manzo, novella, e via dicendo: tanto vero che ognuno di questi componimenti

letterarii può essere o non essere umoristico. L‟umorismo è qualità

d‟espressione, che non è possibile negare per il solo fatto che ogni espressio-

ne è arte e come arte non distinguibile dalla restante arte. La molta prepara-

zione filosofica (la mia, si sa, è pochissima) ha condotto il Croce a questa edi-

ficante conclusione. Si può sí parlare di questo o di quell‟umorista; egli, filo-

soficamente, non ha nulla in contrario; ma guai a parlar dell‟umorismo! Subi-

to la filosofia del Croce diventa un formidabile cancello di ferro, che è vano

scrollare. Non si passa! Ma che c‟è dietro quel cancello? Niente. Questa sola

equazione: intuizione = espressione, e l‟affermazione che è impossibile di-

stinguere arte da non arte, l‟intuizione artistica da intuizione comune. Ah, va

bene! Non vi pare che si possa benissimo passar davanti a questo cancello

chiuso, senza neanche voltarci a guardarlo?62

Come si vede, in questa nota così densa e aspramente polemica Pi-

randello non fa che riprendere (in maniera peraltro molto ellittica) e ribadire

alcuni motivi di fondo della sua critica all‟estetica crociana contenuta nel

saggio Arte e scienza: la cristallina astrattezza della propria Estetica porta

Croce a bandire dal campo dell‟analisi concettuale tutto ciò che non ha a che

fare con le pure categorie dello spirito, e a relegarlo nel ghetto degli pseudo-

concetti. In tal senso, essa è protetta da un vero e proprio cancello di ferro,

62

PIRANDELLO, ibid., pp. 39-40, nota.

Page 22: crocepirandello

22

come dice Pirandello, dal quale non si esce se si è dentro, né si entra, se si

sta fuori. Ma, d‟altra parte, la critica letteraria ha sempre fatto, fa e farà sem-

pre uso degli pseudo-concetti e dei generi letterari, e allora, come sappiamo,

Croce li accoglie “empiricamente”, cioè come meri strumenti per l‟amena

discussione critico-erudita, e non certo come criteri per la valutazione esteti-

ca. Ma poiché quest‟ultima si riduce esclusivamente a un verdetto di poetici-

tà o non poeticità, e poiché la produzione artistica, la critica letteraria e la

fruizione estetica sono molto di più, investendo in pieno il dominio di ciò

che Croce chiama “guazzabuglio” dell‟espressione (pseudo-)artistica ordina-

ria, ecco allora che Pirandello può giustamente concludere che l‟Estetica

crociana è così iperuranica e inattingibile - sintetizzandosi nella quasi misti-

ca equazione intuizione = espressione - che la si può tranquillamente igno-

rare.

Questa inapplicabilità nella prassi critica ordinaria dei veti e delle di-

stinzioni stabiliti da Croce, è meglio messa in luce da Pirandello nella sua

seconda replica. Qui Pirandello parte dalla lapidaria considerazione del Bal-

densperger, il quale, nel suo saggio del 1907 sulle definizioni

dell‟umorismo, richiamandosi esplicitamente alla tesi espressa da Croce nel-

la conclusione del saggio del 1903, affermava: “Il n’y a pas d’humour, il n’y

a que des humouristes” (“Non c‟è l‟umorismo; ci sono solo gli umoristi”)63

.

Con il sigillo di simili autorità, e con la stroncatura da parte di Croce del ten-

tativo di Pirandello, la questione sembrerebbe esaurita:

Esaurita? Torniamo e torneremo sempre a domandare come mai, se

l‟umorismo non c‟è, né si sa, né si può dire che cosa sia, ci sieno poi scrittori,

di cui si possa sapere e dire che sono umoristi. In base a che cosa si saprà e si

potrà dire?

L‟umorismo non c‟è; ci sono scrittori umoristi. Il comico non c‟è; ci sono

scrittori comici.

Benissimo! E se un tale, sbagliando, afferma che un tale scrittore umorista è

un comico, come farò io a chiarirgli lo sbaglio, a dimostrargli che è un umori-

sta e non un comico?

Il Croce pone innanzi la pregiudiziale metodica circa la possibilità di defini-

re un concetto. Io gli pongo innanzi questo caso, e gli domando come potreb-

be egli dimostrare, per esempio, all‟Arcoleo, il quale afferma che il personag-

gio di don Abbondio è comico, che invece no, quel personaggio è umoristico,

se non avesse ben chiaro in mente che cosa sia e che debba intendersi per

umorismo.

Ma egli dice, in fondo, di non muover guerra alle definizioni, e che anzi il

suo modo di rifiutarle tutte, filosoficamente, è l‟accettarle tutte, empiricamen-

te. Anche la mia; che del resto non è, né vuol essere una definizione, ma piut-

tosto la spiegazione di quell‟intimo processo che avviene, e che non può non

avvenire, in tutti quegli scrittori che si dicono umoristi.

63

Cfr. PIRANDELLO, ibid., p. 123. Pirandello aveva già citato questo passo, ricordandone

la derivazione da Croce e anticipando anche la critica cui l‟avrebbe sottoposto, all‟inizio del

primo capitolo del libro: cfr. p. 6.

Page 23: crocepirandello

23

L‟Estetica del Croce è così astratta e negativa, che applicarla alla critica non

è assolutamente possibile, se non a patto di negarla di continuo, com‟egli

stesso fa, accettando questi cosiddetti concetti empirici che, cacciati dalla

porta, gli rientrano dalla finestra.

Ah, una bella soddisfazione, la filosofia!64

Ma è nel terzo momento della sua replica che Pirandello mira dritto

al cuore dell‟argomentazione - che sopra abbiamo definito scolasticamente

dialettica - formulata da Croce nella recensione. Dopo aver ribadito il pecu-

liare „gioco‟ tra le facoltà della fantasia, del sentimento e della riflessione

che sta all‟origine della creazione umoristica, la quale in ultima analisi “po-

trebbe dirsi un fenomeno di sdoppiamento nell‟atto della concezione”, Pi-

randello ricorda che “a questo punto si fa avanti il Croce con tutta la forza

della sua logica raccolta in un cosicché, per inferire da quanto ho detto più

su, ch‟io contrappongo arte e umorismo”65

, e prosegue parafrasando i primi

passi della recensione (da noi già citati nel paragrafo precedente) in cui Cro-

ce ironicamente si chiede cosa sia mai l‟umorismo, se non è arte (Filosofia

64

PIRANDELLO, ibid., pp. 124-125. Per vedere quanta ragione avesse Pirandello

nell‟osservare che il Croce critico letterario è costretto a far rientrare dalla finestra ciò che il

Croce filosofo aveva cacciato via dalla porta, basterà considerare (e questa è un‟ironia della

sorte) che nel suo intervento su Pirandello contenuto nel terzo volume delle Pagine sparse,

cit., Croce entrerà nel merito della discussione se il teatro pirandelliano sia tragico o meno,

sostenendo che la “tragicità” non gli può mai competere, dal momento che quest‟ultima “ha

a sua condizione la credenza nella responsabilità morale e nell‟identità personale, cose che

il Pirandello disconosce e nega. L‟opera di lui, nonostante le doti d‟ingegno che vi appaio-

no, sarà psicologica, non mai tragica” (in CROCE, La letteratura italiana, vol. IV, cit., pp.

344-345, nota). Viceversa, nell‟intervento contenuto nella quinta serie delle Conversazioni

critiche, cit., discutendo il libro di L. Baccolo, L. Pirandello, Genova, 1938, dove sono con-

tenuti riferimenti polemici al suo scritto del 1935 su Pirandello (da cui in precedenza ab-

biamo citato il passo-chiave del giudizio complessivo sull‟arte pirandelliana), Croce ribadi-

sce che la critica dovrebbe solo preoccuparsi di discernere la poesia dalla non poesia: “La-

sci dunque [il Baccolo] che un vecchio studioso di questi problemi lo ammonisca che, per

contrario, la critica non consiste sostanzialmente in altro che nel discernere il bello dal brut-

to, e che, anche per Pirandello, questa è la sola cosa che interessi, la sola che importi (non

certamente il suo filosofare che non ha né capo né coda, e nemmeno la sua dottrina cosmica,

che dovrebbe far sorridere un principiante di filosofia, della Vita come flusso e della forma,

che arresta e congela questo flusso: quasi che il flusso non abbia forma e che la forma non

sia vivente e perciò fluente!). E a quest‟unico punto del valore estetico, della bellezza o me-

no, dell‟opera del Pirandello io tentai di volgere la riflessione nel saggio al quale il nuovo

critico più volte allude” (in CROCE, La letteratura italiana, vol. IV, cit., p. 341, nota).

Come si vede, la contraddizione è netta: in teoria, i generi letterari non esistono, o, al più

sono pseudo-concetti empirici del tutto secondari, e quello che conta è discernere la poesia

dalla non poesia; in pratica, però, Croce non solo mette bocca in questioni che riguardano

la collocazione in un genere (nella fattispecie quello tragico), ma lo fa usando espressioni

come “tragicità” e “condizione” della tragicità, che anche un „principiante di filosofia‟ rico-

nosce come tipiche di un linguaggio concettuale in grande stile. 65

PIRANDELLO, ibid., p. 134.

Page 24: crocepirandello

24

dell‟arte? Filosofia della vita? Nuova categoria dello Spirito?). A questo

punto, Pirandello può ribadire e rendere ancora più esplicita la replica ab-

bozzata nella nota e basata sostanzialmente su un‟accusa di colpevole (forse

perché voluto?) fraintendimento:

Io mi guardo attorno sbalordito. Ma dove, ma quando mai ho affermato

questo? Qui sta tra due: o io non so scrivere, o il Croce non sa leggere. Come

c‟entra la riflessione sull’arte che è critica d‟arte, e la riflessione sulla vita che

è filosofia della vita? Io ho detto che ordinariamente, in generale, nella con-

cezione d‟un‟opera d‟arte, cioè mentre uno scrittore la concepisce, la rifles-

sione ha un ufficio che ho cercato di determinare, per poi venire a determina-

re quale speciale attività essa assuma, non già sull’opera d‟arte, ma in quella

speciale opera d‟arte che si chiama umoristica. Ebbene, perciò l‟umorismo

non è arte, o è più che arte? Chi lo dice? Lo dice lui, il Croce, perché vuol

dirlo, non perché io non mi sia espresso chiaramente, dimostrando che è arte

con questo particolare carattere, e chiarendo da che cosa le provenga, cioè da

questa speciale attività della riflessione, la quale scompone l‟immagine creata

da un primo sentimento per far sorgere da questa scomposizione e presentar-

ne un altro contrario, come appunto s‟è veduto dagli esempi recati e da tutti

gli altri che avrei potuto recare , esaminando a una a una le più celebrate ope-

re umoristiche.66

La confutazione crociana, prosegue Pirandello, sembra partire dal

presupposto che l‟opera d‟arte sia una specie di “pasticcio” che si compone,

come da ricetta, “con tanto d‟uovo, tanto di farina, tanto di questo e di

quell‟altro ingrediente, che si potrebbe anche mettere o lasciare fuori”67

(e

va bene che questa può sembrare un‟osservazione “ingiuriosa”, ma, ammette

Pirandello con finto imbarazzo, essa è consentita da quello che lo stesso

Croce dice). Come si ricorderà, infatti, l‟argomento di Croce era di questo

tipo (e ci si consenta, in questa nostra riformulazione, il prolungamento del-

la metafora culinaria):

L’umorismo, come lo intende Pirandello, non può essere un partico-

lare genere artistico, perché è logicamente possibile dimostrare, sulla base

degli stessi ingredienti con cui egli lo cucina, che esso o è arte, come tutte le

altre cose (commedia, tragedia, ecc.), o è cosa affatto diversa dall’arte (ed

è, ad esempio, critica). Infatti, la riflessione, o è un condimento che entra a

far parte integrante della materia artistica, oppure è un condimento che si

aggiunge da fuori a opera compiuta. Ora, se vale il primo caso, l’opera

umoristica è arte come tutte le altre arti, perché anche in queste ultime la

riflessione può entrare come condimento essenziale. Se invece vale il secon-

do, una riflessione condotta su un’opera già formata dà vita a una critica

d’arte, e non all’arte, né tantomeno all’arte umoristica. Quod erat demon-

strandum.

66

PIRANDELLO, ibid., p. 135. 67

PIRANDELLO, ibidem.

Page 25: crocepirandello

25

Ma, incalza Pirandello, un‟argomentazione siffatta nasconde un cla-

moroso equivoco, perché Croce non coglie la differenza decisiva tra “rifles-

sione” (che lui intende tendenziosamente come „ingrediente‟ a sé dell‟opera

d‟arte) e “speciale attività della riflessione” (che per Pirandello è invece un

“processo intimo” che accompagna e struttura l‟opera umoristica)68

. A que-

sto punto, messo a nudo il sofisma che si nasconde sotto l‟argomentazione

crociana, Pirandello può affondare la stoccata decisiva e proseguire indistur-

bato verso la conclusione della sua ricerca:

Mi domando io, come c‟entra questo pasticcio, questa composizione

d‟elementi come materia dell‟opera d‟arte, qualunque e comunque sia, con

quello che io ho detto più su e che ho fatto vedere, punto per punto, parlando

per esempio del Sant’Ambrogio del Giusti, quando ho mostrato come la ri-

flessione, inserendosi come un vischio nel primo sentimento del poeta, che è

d‟odio verso quei soldatacci stranieri, generò a poco a poco il contrario del

sentimento di prima? E forse perché questa riflessione, sempre vigile e spec-

chiante in ogni artista durante la creazione, non segue qua il primo sentimen-

to, ma a un certo punto gli s‟oppone, diventa perciò estrinseca all‟opera

d‟arte, diventa perciò critica? Io parlo d‟una attività intrinseca della riflessio-

ne, e non della riflessione come materia componente dell‟opera d‟arte. È

chiaro! E non è credibile che il Croce non l‟intenda. Non vuole intenderlo. E

ne è prova quel suo voler far credere che siano imprecise le mie distinzioni e

che io le ripeta e le modifichi e le temperi di continuo e che, quando altro non

sappia, ricorra alle immagini; mentre invece negli esempii ch‟egli cita di que-

ste mie pretese ripetizioni e modificazioni e soccorrevoli immagini, sfido chi-

unque a scoprire il minimo disaccordo, la minima modificazione, il minimo

temperamento della prima asserzione, e non piuttosto una più chiara spiega-

zione, una più precisa immagine; sfido chiunque a riconoscere con lui il mio

imbarazzo, poiché i concetti, a suo dire, mi si sformano tra mano quando li

prendo per porgerli altrui.

Tutto questo è veramente pietoso. Ma tanto può sul Croce ciò che una volta

egli s‟è lasciato dire: che cioè dell‟umorismo non si debba, né si possa parla-

re.

Andiamo avanti.69

Da ciò si comprende, dunque, perché in seguito i due abbiano prose-

guito ognuno per la propria strada, e perché quello che abbiamo cercato di

riprodurre in queste pagine assomigli per certi versi a una specie di dialogo

fra sordi: guidato dalla stella di una teoria dell‟arte che crede bene fundata,

l‟uno ha sempre creduto di non avere assolutamente nulla da imparare

dall‟altro.

68

Cfr. PIRANDELLO, ibidem. 69

PIRANDELLO, ibid., pp. 136-137.

Page 26: crocepirandello

26

5. Considerazioni conclusive

Oggi, come si accennava in apertura, considerato lo stato della fortu-

na crociana, potrebbe risultare troppo facile sopravvalutare i meriti teorici di

Pirandello (che pure sono innegabili e in certi casi straordinari), nonché le

sue intuizioni anticipatrici. Tuttavia, alla luce di talune conquiste metodolo-

giche dell‟epistemologia e della filosofia del linguaggio di questo secolo

(penso soprattutto all‟antiessenzialismo semantico del secondo Wittgen-

stein, e a quello metodologico di Popper), sembra che Croce sia in grado di

prendersi un‟imprevedibile e per certi versi paradossale rivincita, proprio in

un momento in cui pochi (e io non sarei certamente tra questi) sarebbero di-

sposti a scommettere sulla filosofia crociana dello Spirito.

Il carattere paradossale della rivincita di Croce consiste in questo: se

da un lato la sua filosofia dello spirito è la quintessenza della „metafisica‟

(se si vuole nell‟accezione più spregiativamente neopositivistica che si possa

dare a questo termine), dall‟altro, la sua analisi di alcuni „pseudo-concetti‟, e

in particolare proprio quella dell‟umorismo, lo conduce inaspettatamente a

una posizione che anticipa di almeno trent‟anni quella che sta alla base della

teoria tardo-wittgensteiniana del „significato=uso‟ e dei „giochi linguistici‟,

con la connessa nozione di „somiglianza di famiglia‟ tra i diversi significati

di un certo termine.

Mi spiego. Verso la fine del breve saggio sull‟umorismo, dopo aver

detto che “umorismo” è il nome che diamo a gruppi di “rappresentazioni”,

che selezioniamo di volta in volta in conformità a certi “fini pratici” e che

pertanto “non si possono mai staccare con un taglio netto da quelle affini,

salvoché arbitrariamente e per comodo” (osservazione in cui, si noti, è in

nuce la nozione di gioco linguistici), Croce prosegue con un esempio in cui

ricorre l‟espressione “aria di famiglia” in un senso chiaramente wittgenstei-

niano ante litteram: “Non è vero che, tra molti scrittori d‟inghilterra, c‟è un

modo di scherzare che conferisce loro un‟aria di famiglia e li differenzia dai

tedeschi, e, molto più profondamente, dai francesi e dagli italiani?”70

. Si

tenga presente, infatti, che nel dire questo Croce intende proprio scongiurare

l‟uso essenzialistico di un termine come “umorismo”, uso che conduce, ad

esempio, come egli precisa subito dopo, a credere che esso ci permetta di

cogliere l‟essenza di un popolo, ovvero il tratto che ne accomuna tutti i

70

Tanto per non scomodare i celeberrimi §§ 66 e 67 delle Ricerche filosofiche, si confronti

tutto ciò, ad esempio, con i primi capoversi del § 36 della Grammatica filosofica: “Se con-

sideriamo l‟uso effettivo di una parola, vediamo qualcosa di fluttuante. - Nelle nostre consi-

derazioni contrapponiamo questo che di fluttuante a qualcosa di più saldo. Come quando,

del quadro sempre mutevole di un paesaggio, si dipinge un‟immagine ferma. [...] Se, per i

nostri scopi, vogliamo sottomettere l‟uso di una parola a regole ben determinate, accanto al

suo uso fluttuante ne poniamo un altro, cogliendo nelle regole un aspetto caratteristico del

primo” (L. WITTGENSTEIN, Grammatica filosofica [1930-1933], tr. it. Firenze, La Nuo-

va Italia, 1990, p. 42).

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membri (o, se non altro, tutti gli scrittori). L‟espressione, peraltro, applicata

alle classificazioni della retorica, ricorre anche nell‟Estetica71

, e la sua va-

lenza “pre-wittgensteiniana” non è sfuggita a Umberto Eco, che però nel

saggio citato vi dedica solo un‟intenerita esclamazione parentetica.72

Ora, il problema è che Pirandello e Croce sono, ciascuno a suo mo-

do, degli essenzialisti metodologici, intendendo questa espressione nel pre-

ciso senso attribuitole da Popper nel § 10 di Miseria dello storicismo73

. Non

a caso, infatti, se la domanda “Che cos‟è l‟arte?” ricorre praticamente in tutti

i testi crociani di Estetica in maniera più o meno esplicita (il Breviario, addi-

rittura, si apre con essa), la seconda parte del saggio pirandelliano

sull‟Umorismo inizia proprio con la domanda “Che cosa è l‟umorismo?”.

Tuttavia, il modo forte, iper-speculativo di Croce di essere un essenzialista

metodologico si risolve in un curioso vantaggio „storico‟ su quello apparen-

temente debole, anti-filosofico di Pirandello. Infatti, Croce è un super-

essenzialista metodologico solo per i suoi pochissimi e astrattissimi “concet-

ti puri” (tra i quali, ad esempio, c‟è quello dell‟arte), che ritiene dominio as-

soluto della filosofia dello spirito; mentre, di fronte alla selva degli “pseudo-

concetti”, egli, come visto, per quanto riguarda il loro significato e uso, per-

viene a un approccio quasi wittgensteiniano che si potrebbe definire tipico

di una „semantica fuzzy‟, oggi di gran lunga più interessante di quella „es-

senzialista‟ (a tal proposito è sintomatico un libro come Kant e l’ornitorinco

di Umberto Eco, che comprende il saggio su Croce cui abbiamo fatto riferi-

mento). E malgrado il fatto che egli tenesse, dal punto di vista filosofico, più

ai concetti che agli pseudo-concetti, sul piano pratico (cioè tanto nella vita

71

“Parrebbe che, a questo modo, si volesse negare ogni legame di somiglianza delle espres-

sioni o delle opere d‟arte tra loro. Le somiglianze esistono, e in forza di esse le opere d‟arte

possono essere disposte in questo o quel gruppo. Ma sono somiglianze quali si avvertono

tra gl‟individui, e che non è dato mai fissare con determinazioni concettuali: somiglianze,

cioè, alle quali mal si applicano l‟identificazione, la subordinazione, la coordinazione e le

altre relazioni dei concetti, e che consistono semplicemente in ciò che si chiama aria di fa-

miglia, derivante dalle condizioni storiche tra cui nascono le varie opere, o dalle parentele

d‟anima degli artisti” (CROCE, Estetica, cit., parte I, cap. IX, p. 93). 72

Cfr. ECO, “Croce, l‟intuizione e il guazzabuglio”, in op. cit., p. 382. Ma sulle difficoltà

definitorie, spinte fino al paradosso dell‟impossibilità delle stesse, in cui si avvita tutto il

discorso di Pirandello, cfr. dello stesso Eco il saggio “Pirandello ridens”, in U. ECO, Sugli

specchi e altri saggi, Milano, Bompiani, 1985, ried. 2001, pp. 261-270. 73

“La corrente di pensiero che propongo di denominare essenzialismo metodologico e che

fu introdotta e patrocinata da Aristotele sostiene che la ricerca scientifica deve penetrare

nell‟essenza delle cose, per poterle spiegare. Gli essenzialismi metodologici tendono a for-

mulare domande scientifiche in termini come i seguenti; „cos‟è la materia?‟, oppure „cos‟è

la forza?‟, oppure „cos‟è la giustizia?‟. Ed essi credono che una risposta penetrante a queste

domande che riveli il significato reale o essenziale di questi termini, e pertanto la natura

reale o vera delle essenze denotate con essa, sia almeno un prerequisito necessario per la

ricerca scientifica, se non il suo scopo principale” (K. POPPER, Miseria dello storicismo

[1944-1945 & 1957], tr. it. Milano, Feltrinelli, 1993, p. 39). Ma si veda anche ID., La so-

cietà aperta e i suoi nemici [1945], tr. it. Roma, Armando, vol. II, cap. 11, § 2, pp. 18-34

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ordinaria quanto nella normale prassi della critica letteraria), come intuì già

Pirandello e come ha ribadito Eco, a contare molto di più sono gli pseudo-

concetti. L‟analisi di questi ultimi fornita da Croce, pertanto, è in grado di

sopravvivere al crollo dell‟improbabile castello in aria del Super Ordine dei

Super Concetti Puri sognato dalla sua Logica. Viceversa, nonostante le sue

dichiarazioni anti-filosofiche (soprattutto in risposta ironica alle accuse di

dilettantismo rivoltegli da Croce), Pirandello si viene a trovare nello scomo-

do e (per noi oggi) perdente ruolo di difensore di un approccio essenzialista

nella ricerca della definizione di uno „pseudo-concetto‟ come quello di umo-

rismo. Sicché, mentre da un lato possiamo, come sapeva lo stesso Pirandel-

lo, fare benissimo a meno delle varie (ma equivalenti) definizioni essenziali-

stiche del concetto di arte formulate da Croce, senza per questo recar danno

alla validità di tante sue analisi letterarie basate su un uso sapientissimo de-

gli pseudo-concetti, dall‟altro ci accorgiamo di non poter fare alcun uso „eu-

ristico‟ delle pur magistrali osservazioni pirandelliane sulle opere e sui per-

sonaggi letterari „umoristici‟ (si pensi solo a quelle su Don Abbondio e Don

Chisciotte), se decidiamo che la sua definizione essenzialistica

dell‟umorismo, dopo i pur diversissimi argomenti contro l‟essenzialismo

semantico e metodologico avanzati dal secondo Wittgenstein e da Popper, è

ormai insostenibile.

30 agosto - 5 settembre 1999.