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CRISTIANESIMO E ISLAM. Scontro o incontro? Tengo a fare qualche precisazione prima di affrontare questo argomento: io non sono affatto un esperto di Islàm; riconosco che, da alcuni anni, è un argomento che m’interessa: sia perché ha a che vedere con i testi della Bibbia (e questo sarebbe il settore di mia competenza), sia perché è un fenomeno religioso e culturale che interferisce sempre più con la nostra cultura occidentale e con il quale occorre prepararsi a fare i conti. Queste le ragioni del mio interesse per l’argomento. Quanto più cerco di approfondire, però, tanto più mi accorgo che si tratta di un fenomeno complesso sul quale non è possibile emettere giudizi netti e frettolosi; mi convinco sempre più che chi pronuncia giudizi netti e frettolosi lo fa non per competenza, per cognizione di causa, ma per partito preso, sotto la spinta dell’emotività: ragiona col fegato, insomma, invece che col cervello e con il cuore. Altra precisazione: il mio non può che essere un discorso di parte, in un certo senso; parlando di Cristianesimo e Islàm io parto da una prospettiva cristiana; esattamente come sarebbe di parte un musulmano se affrontasse questo stesso argomento (io però ho la preoccupazione di lasciarmi guidare da atteggiamento critico: critico anche nei confronti del Cristianesimo che condivido; tra i musulmani, questa capacità di autocritica non pare sia molto diffusa). Ci vorrebbe qualcuno che sia sopra le parti per parlare di queste cose con obiettività; ma chi è sopra le parti dovrebbe essere agnostico, uno che non si riconosce in nessuna religione, ma non so allora con quanta cognizione di causa potrebbe parlare di rapporti tra religioni. Pertanto, mettete in preventivo che quello che dirò non potrà essere una sintesi definitiva sull’argomento, ma un contributo parziale; d’altronde, in un’epoca di grande complessità qual è la nostra, è molto più saggio accontentarsi di contributi parziali, di piccoli passi uno dopo l’altro, che pretendere di costruire sintesi definitive in quattro e quattr’otto. Fatte queste precisazioni, e prima di entrare in argomento, sarà opportuno che io richiami almeno sommariamente quelle alcune nozioni di storia che già fanno parte del nostro bagaglio culturale. Da dove viene l’Islàm? La culla della fede musulmana fu la penisola araba (attuale Arabia Saudita) all’inizio del 7° secolo dopo Cristo. Le città principali allora erano La Mecca e Medina. Non erano pochi gli ebrei che vivevano nella penisola araba in quel secolo. Anche i cristiani erano presenti. Un Cristianesimo non molto organizzato, a quanto pare, rappresentato 1

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CRISTIANESIMO E ISLAM.Scontro o incontro?

Tengo a fare qualche precisazione prima di affrontare questo argomento:io non sono affatto un esperto di Islàm; riconosco che, da alcuni anni, è un argomento che m’interessa: sia perché ha a che vedere con i testi della Bibbia (e questo sarebbe il settore di mia competenza), sia perché è un fenomeno religioso e culturale che interferisce sempre più con la nostra cultura occidentale e con il quale occorre prepararsi a fare i conti. Queste le ragioni del mio interesse per l’argomento. Quanto più cerco di approfondire, però, tanto più mi accorgo che si tratta di un fenomeno complesso sul quale non è possibile emettere giudizi netti e frettolosi; mi convinco sempre più che chi pronuncia giudizi netti e frettolosi lo fa non per competenza, per cognizione di causa, ma per partito preso, sotto la spinta dell’emotività: ragiona col fegato, insomma, invece che col cervello e con il cuore.Altra precisazione: il mio non può che essere un discorso di parte, in un certo senso; parlando di Cristianesimo e Islàm io parto da una prospettiva cristiana; esattamente come sarebbe di parte un musulmano se affrontasse questo stesso argomento (io però ho la preoccupazione di lasciarmi guidare da atteggiamento critico: critico anche nei confronti del Cristianesimo che condivido; tra i musulmani, questa capacità di autocritica non pare sia molto diffusa). Ci vorrebbe qualcuno che sia sopra le parti per parlare di queste cose con obiettività; ma chi è sopra le parti dovrebbe essere agnostico, uno che non si riconosce in nessuna religione, ma non so allora con quanta cognizione di causa potrebbe parlare di rapporti tra religioni. Pertanto, mettete in preventivo che quello che dirò non potrà essere una sintesi definitiva sull’argomento, ma un contributo parziale; d’altronde, in un’epoca di grande complessità qual è la nostra, è molto più saggio accontentarsi di contributi parziali, di piccoli passi uno dopo l’altro, che pretendere di costruire sintesi definitive in quattro e quattr’otto.

Fatte queste precisazioni, e prima di entrare in argomento, sarà opportuno che io richiami almeno sommariamente quelle alcune nozioni di storia che già fanno parte del nostro bagaglio culturale. Da dove viene l’Islàm?La culla della fede musulmana fu la penisola araba (attuale Arabia Saudita) all’inizio del 7° secolo dopo Cristo. Le città principali allora erano La Mecca e Medina. Non erano pochi gli ebrei che vivevano nella penisola araba in quel secolo. Anche i cristiani erano presenti. Un Cristianesimo non molto organizzato, a quanto pare, rappresentato più da gruppi dissidenti che da una Chiesa ben strutturata, ma che modificò comunque il comportamento delle popolazioni e permise che si sviluppassero nuove idee religiose.Muhammad nacque verso il 570: orfano già da bambino, fu allevato da uno zio. A 25 anni sposò una ricca vedova, Kadigia, e diventò suo agente di commercio nelle spedizioni carovaniere. Secondo la tradizione musulmana, quando raggiunse i 40 anni, Dio lo avrebbe chiamato e mandato a portare la sua parola, a far conoscere la sua volontà.Qual’era questa volontà? Abbandonare il politeismo (la religione dei molti dèi) e convertirsi a lui, unico Dio; lo stesso Dio che ha parlato ad Abramo, a Mosè, a Gesù...La gente benestante della Mecca però non accoglie volentieri il messaggio e Muhammad deve fuggire a Medina: 622 (è l’Egira, l’evento che segna l’inizio dell’era musulmana). Da Medina il messaggio si diffonde dappertutto e un giorno Muhammad tornerà trionfante alla Mecca che da allora sarà il grande centro religioso dell'Islàm.Il messaggio è contenuto nel Corano, il libro sacro che si sostiene sia stato rivelato direttamente dal cielo... Ma come si esprime questa fede nell’unico Dio?5 cose Dio chiede agli uomini se vogliono salvarsi: la professione di fede in lui, unico Dio; la preghiera, 5 volte al giorno; il digiuno nel mese di Ramadàn; l'elemosina ai poveri; il pellegrinaggio al santuario della Mecca (una volta in vita, nel mese annuale del pellegrinaggio). Questi sono i 5 pilastri della fede islamica. Qualcuno ne aggiunge un 6° (gli Sciiti, ad esempio, ma anche gli integralisti): la "guerra santa" jihiad = sforzo da mettere in atto per camminare sulla strada di Dio, per far trionfare i diritti di Dio… (lo si interpreta solitamente nel senso di

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ascesi personale, ma da qui si può passare anche al piano della lotta armata contro nemici o infedeli).

Cosa c’è di comune tra questa Fede e il cristianesimo? E quali sono invece le differenze?Ciò che abbiamo in comune lo possiamo dedurre da alcuni documenti della Chiesa (Conc. Vat.II°): "La Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano il Dio uno, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai suoi decreti anche se nascosti, come a Dio si sottomise Abramo, al quale la fede islamica volentieri si riferisce. Venerano Gesù come profeta, benché non lo riconoscano come Dio, onorano la sua madre, come vergine, Maria, che talvolta devotamente invocano. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio darà la retribuzione a tutti gli uomini risuscitati. Per questo apprezzano la vita morale e rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, le elemosine e il Digiuno. E poiché nel corso dei secoli non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra i cristiani e i musulmani, questo sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a cercare sinceramente la mutua comprensione, a difendere, a promuovere insieme la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà per tutti gli uomini".Quindi i valori comunemente condivisi con i musulmani non sono pochi, né di scarso valore:- condividono tutti la fede di Abramo e adorano lo stesso Dio- per gli uni e per gli altri questo Dio è uno, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra- sia gli uni che gli altri credono che questo Dio ha parlato agli uomini- sia gli uni che gli altri si pongono dinanzi a lui in atteggiamento di ascolto, anzi, di obbedienza- Gesù ha un posto sia nell'Islam sia nel Cristianesimo - gli uni e gli altri onorano la Madonna, che considerano vergine e madre- la risurrezione, il giudizio divino, la ricompensa finale, sia per cristiani che per musulmani costituiscono il traguardo della vita e della storia-sia i cristiani che i musulmani rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, le elemosine e il Digiuno E' un elenco di valori essenziali tutt'altro che trascurabile... Anzi, occorre aggiungere che per alcuni di questi valori i musulmani hanno qualcosa da insegnare anche ai cristiani: - ad esempio, il senso di Dio. I musulmani hanno un senso profondo di Dio: di Dio come Assoluto, Trascendente, cui si deve adorazione e obbedienza senza sconti. Il credente musulmano si sottomette di buon grado alla volontà di Dio, vi si abbandona con fiducia, attitudine - questa - che ha dato il nome alla fede islamica: Islàm infatti vuol dire sottomissione volontaria e fiduciosa. La religiosità musulmana ama ripetere i Nomi e gli attributi che il Corano o la tradizione danno a Dio; ha elencato 99 Nomi di Dio (i musulmani li ripetono aiutandosi con quel rosario fatto di 33 grani che molti di loro fanno scorrere tra le dita). Un elenco come questo dà l'idea di quanto profondo sia il senso di Dio nell'Islàm; la dà soprattutto a quei cristiani (anche trentini) per i quali Dio è soltanto "quel de sora" e altro non sanno dire...- a un senso più profondo di Dio consegue l'importanza della preghiera: una preghiera semplice e austera, come si adatta a chi vive nel deserto; una preghiera fatta più di adorazione che di richieste; e se è pur vero che non tutti i musulmani pregano 5 volte al giorno, è altrettanto vero che molti lo fanno... e in questo sono di esempio a tanti cristiani che non pregano più, o pregano solo per domandare e mai per lodare o per ringraziare.- il senso del digiuno: da molti musulmani il mese di Ramadàn è celebrato con molta serietà (digiuno dall'alba al tramonto); è un mese di sforzo per la padronanza di sé, di esercizio di volontà per dominare le passioni. Per molti è anche un tempo di istruzione religiosa e di preghiera più assidua. Tra i cristiani a quanto pare non è molto apprezzato il digiuno, anche se ridotto a due soli giorni all'anno... L'unica restrizione alimentare che tanti tra noi conoscono è ormai quella dello sciopero della fame per motivi politici, o delle diete dimagranti, che non hanno certo una motivazione religiosa.Che questa religione abbia preteso di impregnare anche la vita sociale e politica (religione e vita pubblica vanno a braccetto nei paesi islamici) è un fatto che può portare - e porta! - a delle conseguenze a volte certamente problematiche; però occorre anche domandarsi se sia perciò

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stesso preferibile la situazione di quegli Stati occidentali, che prescindono da qualsiasi riferimento religioso nei loro ordinamenti e prendono come valori etici quelli derivanti dal consenso delle masse (o semplicemente dall'arbitrio utilitaristico di quelli che sanno guidare le masse là dove vogliono loro).

Accanto a questi valori comuni, e senz’altro condivisibili, vi sono ovviamente le differenze (e in ogni confronto, in ogni dialogo serio, è importante sapere cosa si può condividere e cosa invece no).La prima sostanziale differenza rispetto al cristianesimo sta proprio nel concetto di Dio: per i musulmani Dio è uno, nel senso più rigoroso e più intransigente. Per i cristiani è uno sì, ma nella Trinità delle persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Questo i musulmani non lo accettano; trovano inconcepibile che l'Unicità di Dio possa andare d'accordo con la Trinità delle persone. Per questo, i teologi musulmani danno ai cristiani il nome spregiativo di "associatori": secondo loro i cristiani associano all'unico Dio altre entità divine, altri dèi.Differenza sostanziale anche per quanto riguarda Gesù: secondo il Corano i cristiani hanno falsificato la figura e il vero messaggio profetico di Gesù. Gesù sarebbe un profeta mandato a preannunciare l’arrivo di Maometto, nulla di più: un eccellente musulmano Gesù, ma non il Figlio di Dio. Il Corano quindi nega che Gesù sia il Figlio di Dio fatto uomo, nega la sua morte in croce (perché sarebbe una vergogna, per un profeta, morire crocifisso), nega la Redenzione, perché non c'è bisogno - secondo il Corano - che Dio si disturbi a venire nel mondo per redimere gli uomini dal peccato; il peccato originale, cioè quella radice di male che affonda nel cuore di ogni uomo e di ogni donna, per i musulmani non c'è, quindi non c'è bisogno nemmeno di redenzione. Il Corano sostiene che Gesù ha predicato una dottrina e una legge del tutto identiche alla rivelazione che ha predicato Maometto. Sostiene anche il Corano che alla fine del mondo Gesù tornerà sulla terra, prima del giudizio universale, presenterà Muhammad come vero profeta di Dio e accuserà i cristiani di aver tradito il messaggio del Vangelo (Cor 4,159).Già da questi pochi cenni intravediamo l'idea che i musulmani hanno del cristianesimo; ma non sono soltanto queste le divergenze. Rimproverano ai cristiani di voler penetrare in modo indebito nel mistero di Dio: Dio - dicono - non lo si può conoscere. Il cristianesimo attuale non sarebbe più quello autentico instaurato da Gesù; sarebbe stato deformato e corrotto da alcuni: tra questi alcuni nominano esplicitamente Paolo. Ogni valutazione del cristianesimo da parte musulmana parte dal principio che solo il Corano è fonte di interpretazione e ha valore assoluto. Ebraismo e Cristianesimo erano religioni provvisorie, dicono i musulmani, solo l'Islàm è la religione che durerà fino alla fine del mondo, l'unica vera e definitiva. Si capisce allora come possa apparire assurdo alla mentalità islamica che un musulmano si converta al cristianesimo: sarebbe come tornare indietro, retrocedendo da ciò che è definitivo a qualcosa che era provvisorio.

E come si atteggia il Cristianesimo di fronte a queste valutazioni?Uno studioso cristiano, Jacques Jomier, afferma che "l'Islàm è una specie di Antico Testamento, riletto e semplificato, che non richiede alcun Nuovo testamento per completarsi". Il suo successo su molte popolazioni fin dall'antichità, oltre che sulla forza delle armi, è dovuto al fascino che esercitava, perché è, tutto sommato, una religione semplice, chiara, perfino ragionevole: si fonda su ciò che è ragionevolmente possibile, quindi perciò stesso è attraente. L'unico dogma, da accettare tale e quale, è l'unicità di Dio e la missione di Muhammad come suo profeta definitivo. Tutto ciò che non è senz'altro ragionevole è scartato a priori: com'è possibile spiegare razionalmente che Dio sia uno nell'essenza e, al contempo, Trinità di persone? Non è possibile, non è spiegabile, quindi non può essere vero. Alla fin fine sorge il sospetto che nell'Islàm siano gli uomini a stabilire com'è fatto Dio: ciò che di Lui riescono a comprendere lo accettano, ciò che invece supera i limiti della loro comprensione lo rifiutano... L'umile storia della salvezza, così come la Bibbia la presenta, non interessa più: la Bibbia è utilizzata - cioè manipolata, strumentalizzata - a sostegno di quell'unico dogma che si vuole accreditare. Bibbia e Vangelo sarebbero stati falsificati, stando all'interpretazione che dà

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l'Islàm; l'accusa è ben nota nella storia delle religioni, è ricorrente: è sintomo di un conflitto che oppone tra loro dei gruppi umani che hanno visuali diverse; non è perché le Scritture di un gruppo sarebbero state corrotte che si prende le distanze da quel gruppo, ma perché si vuole evidenziare nettamente la propria differenza da esso: per questo si dichiara sospette le Scritture alle quali quel gruppo si riferisce. E' sempre accaduto nella storia delle religioni.In ogni caso, uno dei punti che differenziano molto i cristiani dai musulmani è proprio quello dell'atteggiamento nei confronti dei rispettivi libri sacri: la Bibbia per i cristiani e il Corano per i musulmani. Per i cristiani la Bibbia è il libro che contiene la rivelazione di Dio, ma una rivelazione che è avvenuta nel corso di una lunga storia di millenni, progressivamente, via via che la sensibilità degli uomini aumentava e poteva comprenderla; quella rivelazione fu scritta da uomini, ispirati da Dio certamente, ma che vivevano in una certa epoca, che parlavano un certo linguaggio... La Bibbia quindi per i cristiani non è un testo da applicare alla lettera, sempre e tale e quale, ma è da interpretare, da attualizzare, a seconda delle situazioni e dei tempi che cambiano in continuazione. Il Corano invece per i musulmani è un libro che era già scritto tale e quale ancor prima che fosse rivelato a Muhammad; un libro divino che non ha alcun bisogno di interpretazione perché è eterno, è sopra la storia: deve essere solo accolto e applicato alla vita. Nel Corano c'è tutto, non occorre cercare altrove. E nel Corano non c'è progressività, non c'è storia di salvezza, non c'è un Mistero divino che si rivela partendo da un minimo per arrivare a un massimo (come c'è nella Bibbia, partendo da Abramo e arrivando fino a Gesù); tutto è eguale dall'inizio alla fine: un mistero immutabile, immobile.

Quanto poi al fatto che i contenuti del Corano siano superiori a quelli del vangelo, questa è una pretesa molto discutibile; nel vangelo di Matteo, Gesù afferma: "Voi sapete che è stato detto agli antichi: non uccidere, non commettere adulterio… Ma io vi dico che se la vostra giustizia non va oltre queste antiche norme, non entrerete nel Regno dei cieli". E propone come legge il perdono degli offensori, l'amore dei nemici, l'aiuto al prossimo senza badare alla sua appartenenza culturale o religiosa: la legge nuova del Regno! Ebbene, tutto ciò è conosciuto dall'Islàm, ma non è proposto che a titolo facoltativo; l'amore e il perdono dei nemici, ad esempio: è trattato anche nel Corano ma non è mai soggetto di una legge generale e obbligante come lo è nel Nuovo Testamento. Il Vangelo insomma esige di più, il Corano domanda di meno. Per cui il musulmano può fare tutto ciò che la sua Legge gli domanda, e può essere soddisfatto. Il cristiano no: fosse anche un santo, non potrà mai dire di aver fatto tutto ciò che gli era stato chiesto; il cristiano dovrà sempre mirare più in là di ciò che la legge domanda. Basta ricordare l'appello di Gesù: "Siate perfetti come il Padre vostro che è nei cieli": chi potrà mai dire "ci sono riuscito"?Si hanno insomma due attitudini differenti di fronte alla vita, di fronte alle persone, di fronte a Dio: due attitudini differenti, come sono differenti i dogmi da cui scaturiscono. Per il musulmano, il dono supremo di Dio è il Corano: parola di Dio fatta libro. Per il cristiano, il dono supremo di Dio è Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne, fatta persona. Ne derivano modi diversi di concepire Dio. Per il musulmano, Dio è il padrone unico, infinitamente buono e onnipotente, il cui mistero però resta fuori della portata dell'uomo; per cui il musulmano è il servitore di Dio, alla stregua di un servo, che rimane alla porta del palazzo del suo signore - senza mai entrare nella sua intimità. Atteggiamento ammirevole, per certi versi (magari certi cristiani arrivassero a questo!), ma Gesù Cristo conduce l'uomo ad essere non servo ma "figlio di Dio": qui l'esperienza della Fede si arricchisce e diventa esperienza di amicizia, di intimità, di comunione. Non si parla nell'Islàm di amicizia e di comunione con Dio; la componente "amicizia", "intimità", trova posto in un movimento particolare all'interno della tradizione islamica, che è quello dei Sufi: movimento che per certi versi fa pensare alla spiritualità di Francesco d'Assisi, ma che non è mai stato ben visto dalle autorità religiose islamiche.

Nella Bibbia due sono i tratti del Mistero di Dio che emergono: Egli è il tre volte Santo, assolutamente superiore a qualsiasi realtà di questo mondo (è il tratto che emerge soprattutto

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dall'AT), ma al contempo - ed è la rivelazione portata da Gesù - Egli è il vicino più prossimo, presente nella vita degli uomini, compagno di viaggio ed amico… Ebbene, l'Islàm ha fatto suo soltanto il primo tratto della rivelazione biblica, quello della Trascendenza di Dio; quello della sua condiscendenza che lo porta a essere vicino agli uomini, l'ha rifiutato.E' abbastanza naturale che la vita morale che ne consegue possa essere minacciata dal legalismo, o dal formalismo, e che l'insegnamento al riguardo sconfini nella casistica ("fino qui, sì...più in là, no" - "questo sì...questo no"). Dove tutto è solo obbedienza e sottomissione, è arduo che si sprigioni una tensione interiore animata dall'amore a motivare e sostenere i comportamenti morali (anche se non mancano, nell’Islàm, le esortazioni a fare ogni cosa con retta intenzione, a dare un'anima a tutto che si deve fare per obbedire a Dio).

Quale dialogo è possibile allora con i musulmani?

Sia il Cristianesimo, sia l'Islàm, ognuno si considera unica religione vera, unica assoluta: ma quale dialogo è possibile tra religioni che si considerano assolute? Ecco come risponde Giuseppe Dal Ferro, uno studioso dell’università di Padova: "Dialogo non è ricerca di un'unità impossibile, ma confronto, aiuto reciproco ad essere credenti, ciascuno nella propria religione. Dialogo è aiuto a purificarci dagli elementi spuri, che non c'entrano con la religione. Dialogo è cammino verso l'Assoluto che ci trascende, è spiritualità" (G.Dal Ferro). E' come dire: non dialoghiamo con i Musulmani con il proposito di convertire i musulmani, o di stravolgere l'Islàm per adattarlo al Cristianesimo: dialoghiamo con i musulmani per ricavarne giovamento, noi e loro: noi per imparare ad essere cristiani più autentici, loro perché possano essere più autentici musulmani, purificando le nostre rispettive esperienze di fede da quelle incrostazioni aggiunte che non hanno nulla a che vedere con la Fede vera. E, oltre a questo giovamento (che non è di poco conto), il dialogo consente di stabilire forme di reciprocità: si lasceranno cadere certi pregiudizi, si scoprirà che su certe cose è impossibile andare d'accordo, che su certe altre si hanno posizioni diverse (e comunque legittime), che su altre ancora ci si può intendere e camminare insieme. Questi obiettivi sono più che sufficienti - e urgenti - per rischiare di incontrarsi e dialogare anche tra appartenenze religiose diverse.

Uno sguardo alla storia, a tale proposito, è senz’altro utile (coloro che approdano a giudizi facili, e superficiali, su queste cose, non hanno di solito simpatia per la storia; ma ignorare la storia è trovarsi poi ignoranti anche nel formulare giudizi e nel trarre conclusioni).I rapporti dei musulmani con i cristiani, già a partire dal Corano risentono di una certa ambiguità; all'inizio della sua esperienza di inviato di Dio, Muhammad fu portato dalle situazioni ad avere un atteggiamento nei confronti dei cristiani; più tardi, altre situazioni lo porteranno a mutare atteggiamento. Se all'inizio era positivo, mutò nel corso della sua vita, approdando ad una visione negativa verso la fine. Ecco perché nel Corano troviamo sia delle professioni di stima verso i cristiani, sia delle critiche e delle messe in guardia. Muhammad, nel corso della sua vita, propose anche ai cristiani di accettare il suo messaggio, ma essi lo rifiutarono di aderire. Allora impose loro un trattato di sottomissione, che imponeva il pagamento di una tassa (la celebre dhimma, che tanta parte avrà nei secoli successivi ovunque convivano cristiani sotto dominazione islamica). Durante gli ultimi anni di vita di Muhammad e soprattutto durante le conquiste dei primi Califfi, le popolazioni pagane dei territori conquistati dall'islam dovevano convertirsi alla nuova fede. lnvece la «gente del Libro», cioè gli Ebrei e i cristiani, potevano conservare la propria religione e le proprie leggi, diventando dhimmî (protetti), e pagando la jizya (tassa di protezione). Erano tollerati, anche se godevano di minori diritti rispetto ai musulmani. Partendo dalla penisola arabica, la diffusione dell'Islàm fu rapida, anzi fulminea; in Medio Oriente giunse fino al Caucaso e alle soglie dell’Asia, in Occidente – passando per l’Africa del Nord – fino alla Spagna (nel 715 tutta la Spagna è sotto il regime dei musulmani); ed è altrettanto certo che questi territori in massima parte erano in precedenza abitati da popolazioni cristiane. In non pochi casi la conquista è stata violenta, sanguinosa. In altri, invece (ed è il caso dei Paesi del Medio Oriente: attuale Iraq, Siria, Egitto) i musulmani sono stati accolti dalle

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popolazioni cristiane come dei liberatori. Lì per lì le popolazioni cristiane del Medio Oriente pensarono che l'Islàm fosse nient'altro che una forma deviante, cioè eretica, del Cristianesimo.Di solito si afferma: dove l'Islàm è arrivato, il cristianesimo è sparito. E' quello che è accaduto certamente in Asia Minore (l'attuale Turchia asiatica): c'erano più di 600 diocesi, quasi tutte sparirono dopo la conquista turca. In Africa settentrionale (attuale Libia, Tunisia e Marocco): vi erano 200 diocesi prima della conquista araba, poi più niente. C'è però un'eccezione, che probabilmente è anche più di un'eccezione perché coinvolge un territorio tradizionalmente cristiano tutt'altro che trascurabile: il Medio Oriente (Siria, Libano, Irak, Giordania, Palestina, Egitto); qui la conclusione non vale, qui il Cristianesimo non sparì affatto. Come mai? Mons. Neophitos Edelby è un vescovo arabo che risiede ad Aleppo, in Siria, e spiega questo fatto così: il cristianesimo che trovarono i musulmani in Medio Oriente non era un blocco unico, non rappresentava un unico fronte potente e monolitico contro cui scagliarsi (come poteva essere in Asia Minore o nell'Africa del Nord); era costituito da piccole comunità, sovente appartenenti a denominazioni cristiane diverse (nestoriani, monofisiti, melchiti): è più facile scagliarsi contro un fronte unico e abbatterlo che non eliminare da un territorio un intero arcipelago di piccole comunità: l'Islàm non vide in esse un pericolo e le lasciò sopravvivere, fu tollerante. Fattostà che fino all'inizio delle Crociate, la metà della popolazione del Medio Oriente era cristiana; poi, nel secondo millennio, le situazioni cambiarono anche in Medio Oriente. Oggi i cristiani in quei paesi sono una minoranza; in ogni caso, il Cristianesimo non è affatto scomparso nemmeno al giorno d'oggi in Medio Oriente: i cristiani arabi sono circa 15 milioni."E' storicamente evidente, continua Mons.Edelby, che in Medio Oriente dove ci sono cristiani arabi, l'Islàm è più tollerante, aperto. E si deve anche riconoscere che l'Islàm primitivo era molto più tollerante e più liberale del cristianesimo. Nel tempo in cui in Europa si massacravano gli ebrei e gli eretici, l'Islàm non conosceva alcuna persecuzione di questo tipo contro i cristiani e gli ebrei. L'islàm alle origini era forse una delle religioni più tolleranti del mondo".

Per quanto riguarda la Spagna, si ha una storia di convivenza complessa e variabile, anche per il succedersi di varie dinastie a capo della potenza occupante: qui la storia della convivenza si protrasse per quasi 8 secoli. Una certa conflittualità nelle relazioni tra musulmani e cristiani caratterizzò quella convivenza fuori e fuori, dall'inizio alla fine (anche qui, ci furono dei martiri, sia da parte cristiana che da parte musulmana). Inizialmente, però, si hanno non poche testimonianze di tolleranza e di convivenza pacifica, di scambio culturale molto proficuo; (questo era dovuto anche al fatto che il califfato di Cordova, retto dagli Omayyadi, ci teneva a non mischiare troppo la religione con la politica). I cristiani allora si trovarono di fronte a un'alternativa: o asserragliarsi in comunità chiuse, attorno a conventi o a monasteri, conservando gelosamente la loro cultura cristiano-visigota e il loro latino, oppure accettare la lingua degli arabi e confrontarsi con la nuova cultura; molti cristiani delle città scelsero questa seconda alternativa, che si rivelò feconda: sul piano della scienza, anzitutto, perché - grazie a loro - gli scambi tra l'Islàm spagnolo e la cristianità occidentale divennero sempre più frequenti. Monasteri, scuole delle varie diocesi spagnole, furono i focolai protagonisti di questo passaggio di scienze e di cultura arabe a tutta quanta l'Europa. E' in questo periodo che in Europa si comincia a conoscere l'astrolabio, il quadrante, i procedimenti per la costruzione di orologi (meridiane e clessidre), i primi cannocchiali per osservare le stelle. A partire dal 1100 gli Europei conosceranno anche le opere di Aristotele, di Tolomeo, di Archimede, di Ippocrate, di Galeno, di Platone, che non erano ancora note nei testi originali: tutto ciò grazie agli arabi, che le avevano ricevute dai cristiani in Medio Oriente e in Spagna ebbero modo di farle conoscere all’Europa. Nei secoli successivi si tradurranno dall'arabo i primi grandi trattati di farmacologia, scritti arabi di fisica e di medicina, di ottica e di chirurgia; si tradurrà la famosa opera di Avicenna dedicata allo studio dell'anatomia, della fisiologia, della patologia e della medicina generale. C'è un trattato arabo di oftalmologia che, tradotto in quei secoli, è studiato con interesse ancor oggi dalla medicina moderna. Insomma, l'incontro delle due culture – localizzato soprattutto in Spagna (ma anche nell’Italia meridionale, pensiamo a Federico di Svevia) è stato quanto mai proficuo per il nostro Occidente.

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Quei cristiani di Spagna che accettarono questo confronto, adottarono anche la lingua araba: tradussero in arabo testi della Bibbia, crearono composizioni, opere letterarie cristiane, testi liturgici; presero dagli arabi musulmani nozioni di arte e di architettura per le loro chiese e i loro monasteri. Ne derivò una cultura cristiana tipica che prese il nome di mozarabica (ben rappresentata ancora oggi in molte chiese e monumenti della Spagna). Quando poi al califfato di Cordova subentrarono gli Almoravidi, le cose per i cristiani peggiorarono notevolmente. Nella politica del governo islamico si diede sempre più spazio e parola alle autorità religiose, che imposero una legislazione sempre più intransigente e intollerante nei confronti dei dhimmi (ebrei e cristiani). Questo offrì pretesto ai Regni cristiani del Nord di avviare la famosa Reconquista, per riportare tutta la Spagna sotto il dominio cristiano. Nel 1492 tutta la Spagna era riconquistata al cristianesimo: una delle prime decisioni che presero i Cattolicissimi re di Spagna fu quella di porre i musulmani e gli ebrei di fronte all’alternativa: o convertirsi e farsi battezzare, o andarsene dal paese. E la stragrande maggioranza lasciò il paese.

Ma lasciò nel paese qualcosa che non potè portar via, come ad esempio certe testimonianze artistiche che conosciamo e che costituiscono ancor oggi per la Spagna un patrimonio invidiabile. La grande moschea di Cordova è tra queste; nel 1500 il vescovo e i canonici decisero di distruggerne una parte per costruire la cattedrale; a lavori terminati, l'imperatore Carlo V°, che era persona illuminata e venne a visitare i lavori, si espresse così: "Voi avete distrutto qualcosa che era unico al mondo, per costruire qualcos'altro che invece si può vedere dappertutto!".

Un ulteriore distanziamento nei rapporti tra cristiani e musulmani si ebbe con le Crociate. Con le crociate accadde che spesso i cristiani d'Oriente (quei cristiani arabi dei quali parlavo) venissero considerati traditori dai crociati, per il semplice fatto che convivevano in pace coi musulmani. Nello stesso tempo, anche i musulmani cominciarono a guardare con sospetto i cristiani arabi che convivevano con loro, perché pensavano: sono della stessa religione dei crociati, quindi nostri potenziali nemici! Insomma, le crociate avranno anche liberato i luoghi santi (per un breve periodo) ma hanno segnato un brusco peggioramento dei rapporti di convivenza in Medio Oriente. Da allora, anche per i motivi - tutt’altro che religiosi – che animavano le crociate, l'Islàm si convinse che il Cristianesimo non gli era affatto amico.Questo fece sì che l'Islàm si ripiegasse su se stesso e si irrigidisse in un atteggiamento di difesa, di autosufficienza, di chiusura. La fine degli scambi culturali e scientifici significò per il mondo arabo un arresto nel progredire stesso della ricerca scientifica, della filosofia, della cultura in generale; per i Paesi islamici iniziò la decadenza, il declino insomma. Ci si concentrò sulla religione, quella e basta, in una sorta di narcisismo, che in realtà diventò un sopravvivere, invece che un vivere e un progredire.Inglesi e Francesi nei due secoli appena trascorsi trovarono questa situazione molto vantaggiosa per impiantarsi nei paesi islamici che circondano il Mediterraneo: Maghreb, Egitto, Medio Oriente...Questi colonizzatori erano ovviamente occidentali e di religione cristiana: da allora quelle popolazioni sottomesse accomunarono in unico disprezzo sia il Cristianesimo sia l'Occidente. E i cristiani arabi che vivevano in quei Paesi da sempre, furono spesso tacciati di collaborazionismo con gli occupanti: la loro sorte peggiorò ulteriormente. Molti scelsero la via dell'emigrazione, e la presenza cristiana in quei paesi si assottigliò notevolmente.

E oggi, come stanno le cose?

La modernità occidentale costituisce un fenomeno ambiguo agli occhi dei musulmani: ne accolgono gli aspetti positivi (in termini di tecnologia, di scoperte scientifiche), ma ne rifiutano gli aspetti negativi (sfaldamento di valori tradizionali, relativismo morale, riduzione della religione al privato); sicchè si può dire che la modernità occidentale, unita ai ricordi amari del colonialismo, ha provocato ulteriore distanziamento da parte dell'Islàm. NeIIe Ioro Costituzioni, tutti gli Stati islamici introducono la professione di islamicità, come «l'Islàm é la religione dello Stato» o «é la religione principale" , oppure «il Capo dello stato é musulmano» o ancora si afferma iI ruolo predominante della sharî'a. Anche se Ia «gente del

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Libro» gode ancora di considerazione e di diritti maggiori rispetto ad altre religioni, che non sono riconosciute né tollerate, come Bahâi, Induisti, Buddisti, Sette religiose di vario genere. NeIIa sostanza, valgono ancora alcune restrizioni previste dallo statuto della dhimma. La Iibertà religiosa è limitata. Si riconosce ai cristiani e agli Ebrei iI diritto di culto ma non quello di missione e di propaganda religiosa. In Arabia Saudita invece Ie minoranze religiose non hannonessun diritto, non possono edificare o possedere Iuoghi di culto né celebrare iI proprio culto; non è nemmeno possibile portare con sé una Bibbia. In tutti i Paesi, I'edificazione e Ia ristrutturazione di Iuoghi di culto sono soggette a Ieggi restrittive o aIla discrezione del Capo dello Stato. Qualsiasi Iuogo o edificio in cui ha pregato un musulmano, non può essere I'edificio sacro di un'altra religione e pertanto Ie chiese confiscate non saranno mai restituite. Ogni pubblicazione cristiana di solito è soggetta aIIa censura. La conversione dall'islam ad altra religione non è tollerata: le pene per I'apostata variano dall'emarginazione sociale e familiare, aI carcere e aIIa pena di morte negli Stati più radicali. Le principali cariche pubbliche, politiche e amministrative, restano nelle mani dei musulmani (fanno eccezione l'Irak e l'Indonesia). Il diritto di proprietà fondiaria ed immobiliare in molti stati è limitato.Viene da chiedersi, a questo punto: dov'è finita la componente di tolleranza che ha comunque caratterizzato i primi secoli dell'Islàm? Ma questo è proprio l'Islàm, o è qualcos'altro? Un noto scrittore egiziano (Said El Ashmaoui) ha scritto: "Dio ha creato l'Islàm come religione; ma gli uomini ne ha fatto una politica con l'Islamismo".

Oltre che con il retaggio del passato (i pregiudizi avallati dalle Crociate e dal Colonialismo, come si diceva), che già pesa di per sé nei rapporti con il mondo cristiano, l'Islàm oggi deve fare i conti con la modernità; e questa è una sfida terribile che fatica a superare e di fronte alla quale a volte reagisce con rabbia, assumendo posizioni estremiste. Le correnti radicali e fondamentaliste si devono interpretare soprattutto in questa luce. Anche l'Islàm insomma ha i suoi problemi. Il ritorno alla religiosità integrale, e a misure intransigenti nei confronti delle minoranze, ha come motivazione una crisi di identità nell'Islàm stesso: è spesso il tentativo di una Comunità delusa che vuole cambiare senza morire e senza rinunciare alla sua grandezza. Da parte dell'Occidente, e da parte del mondo cristiano in particolare, non sarebbe male se si cominciasse a valutare questi fattori e a guardare all'Islàm odierno con atteggiamento più comprensivo e più obiettivo. Se l'Islàm oggi è quello che è, e se si manifesta come si manifesta, ciò è dovuto, almeno in parte, anche a responsabilità dell'Occidente: queste responsabilità vanno quanto meno riconosciute.

Quale dialogo allora?

L'esperienza di altre Chiese, che da lungo tempo vivono in area islamica o a stretto contatto con importanti comunità musulmane, costituisce un patrimonio prezioso di indicazioni a tale riguardo. Il dialogo si situa a diversi livelli: a livello teologico, tra esperti d'ambo le parti; a livello giuridico, tra le istituzioni e i rispettivi giurisperiti; a livello di gestione e di servizio di strutture di accoglienza, di assistenza, organizzate dalle strutture statali o da istituzioni religiose; a livello di incontri su temi scelti di comune accordo per favorire scambi e conoscenza reciproca, per consolidare buoni rapporti di convivenza; a livello più personale nell'ordinaria esperienza quotidiana, sul posto di lavoro, a scuola e nel vicinato. Il dialogo tra esperti, sui contenuti delle due fedi, è meglio lasciarlo agli esperti, anche perché si è rivelato un terreno minato sul quale occorre procedere con grande cautela. Proprio a livello di teologi – cristiani e musulmani – tale dialogo ha conosciuto in questi anni anche battute d’arresto: non è facile. Ciò significa che – tra credenti che esperti non sono – è preferibile non entrare in discussioni di Fede. Ancora qualche decennio fa', le Piccole Sorelle di Carlo de Foucauld (suore presenti in molti paesi Musulmani), scrivevano così: "Il contatto con i nostri amici musulmani ci ha insegnato in questi anni che non si deve mai discutere insieme su argomenti religiosi, neanche su quelli che ci avvicinano di più, perché gli uni e egli altri abbiamo modi diversi di concepire le stesse cose, e quello che ci unisce nella semplicità della vita quotidiana potrebbe dividerci nella discussione intellettuale".Allora su cos’è che si può dialogare?

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Un vescovo dell'Algeria, Mons. Teissier, risponde così: "Le relazioni personali rimangono una forma prioritaria per il rapporto con l'Islàm. Non hanno unicamente come scopo una migliore conoscenza reciproca attraverso la quale far cadere i vicendevoli pregiudizi. I due interlocutori sono uomini e donne che affrontano insieme gli stessi problemi umani: la nascita, la vita, la morte, il lavoro, la sofferenza, il servizio al bene comune, l'uso del denaro e del tempo libero, la giustizia, la società internazionale, ecc. All'interno di queste situazioni umane lo Spirito di Dio guida tutti, cristiani e musulmani, verso la loro vera vocazione umana".Il vero dialogo, insomma, è quello della vita quotidiana, della condivisione delle situazioni di vita che tutti accomunano, del futuro da affrontare a da programmare insieme.

Sì, anche su valori di interesse sociale si può dialogare e organizzare tavole rotonde; sui diritti umani, ad esempio, sul tema della giustizia e della pace nel mondo, sulla dignità e sul ruolo della donna nella cultura islamica e nei paesi occidentali, sul diritto di famiglia, sulla libertà religiosa… anche su questi argomenti si può avviare il confronto, ma, attenzione: con un presupposto ben preciso. Se si parte da posizioni di laicismo, il confronto sarà sterile, e diventerà un’occasione di scontro anziché di incontro. Se si parte da una prospettiva di laicità – allora il confronto sarà arduo, ma sarà possibile. E qual è la differenza tra laicismo e laicità? Laicismo è la posizione di chi sostiene che tra religione e cultura – o religione e politica – ci deve essere totale separazione: una specie di muraglia cinese in mezzo che vieta al credente il diritto di far passare la sua fede nella cultura, di esprimere valutazioni e giudizi sulla cultura e sulla politica. Laicità è la posizione di chi afferma che tra religione e cultura – o religione e politica – vi è sì distinzione, ma non separazione, non ignoranza reciproca. Il credente, da questo punto di vista, sa che la cultura e la politica hanno la loro sfera di autonomia, e la rispetta, ma si ritiene anche in diritto-dovere di esprimere valutazioni, di dire la sua, e proprio in quanto credente, e senza che nessuno gli metta il silenziatore. E il politico o il legislatore, sempre da questo punto di vista, potrà senz’altro dire: “Cari cristiani…o cari musulmani…le vostre valutazioni, le vostre proposte sono interessanti, perfino belle…ma le situazioni attuali del Paese non consentono di tradurle in una legge come piacerebbe a voi…”: sì, questo il legislatore laico lo potrà dire; ma non rifiuterà mai di prendere in considerazione le proposte o le valutazioni che provengono dalla religione solo perché vengono dalla religione; perché altrimenti sarebbe il laicismo, non laicità.La difficoltà del dialogo su certi temi di attualità e di interesse comune sta nel fatto che, mentre i musulmani, presenti tra noi, provengono da Paesi dove religione e cultura – o religione e vita pubblica – si sovrappongono e coincidono, noi occidentali invece (e non raramente) partiamo da posizioni non solo laiche (il che sarebbe positivo) ma addirittura laiciste, dove la religione è lasciata fuori dalla porta per principio. Due posizioni estreme e opposte, insomma, e perciò stesso inconciliabili. Uno dei grandi campi di confronto – e speriamo che non sia di scontro – è senz’altro quello della bioetica; l’interrogativo che sta a monte di certe leggi è semplicemente questo: “Che cos’è bene e che cos’è male in questo settore?”. Delegare la risposta solo ai sondaggi d’opinione (come si ama fare in Occidente) è cosa alquanto discutibile; cosa che in ogni caso i musulmani non accetteranno mai.Se si vuole favorire un futuro d’incontro e di confronto, invece che di scontro, occorrerà che tutti, sia da una parte che dall’altra, si converga sul terreno di una sana laicità: noi occidentali dovremo abbandonare il laicismo (che esclude totalmente la religione dalla cultura) e i musulmani dovranno lasciare quel collateralismo che tende a fare della religione e della cultura un’unica cosa.

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Il FONDAMENTALISMO

E' la corrente dell'Islàm più radicale. Nasce in Egitto con il Movimento dei "Fratelli Musulmani" che nel 1928 si proponevano di contrastare la corrente liberale dell'epoca. Negli anni '50 si schierarono decisamente contro lo Stato e tentarono di assassinare il presidente Nasser. Da quel momento furono ferocemente perseguitati. Alcuni decenni dopo riuscirono ad eliminare Sadat. Attualmente, con Moubarak, si alternano momenti di tolleranza, di compromesso, e di repressione. Nel frattempo il Movimento ha varcato i confini dell'Egitto. In Siria è stato duramente represso negli anni del Presidente Assad.Al momento attuale il Movimento rappresenta una nebuolsa molto difficile da precisare. Quello che è certo è che non è più compatto. La componente più importante è il gruppo armato denominato "Guerra Santa" ('al-jihad). Un’altra formazione è quella degli Hezbollah del Libano. Un'altra organizzazione armata è il cosiddetto "gruppo islamico" che ha campi di addestramento in Sudan e diffonde il fondamentalismo in tutta l'Africa del Nord.Il successo degli integralisti è dovuto alle gravi crisi sociali in cui versano i paesi arabo-musulmani. La loro dottrina è molto semplice: tornare al Corano. Il loro motto è: "Dio è il nostro fine; il profeta il nostro modello; il Corano la nostra legge; la Guerra Santa il nostro sentiero; il martirio il nostro desiderio". Sul piano culturale, economico e sociale, il mondo arabo offre un panorama di conflitti in cui lo Stato entra in crisi per la difficoltà di mantenere le promesse fatte. Il popolo, davanti alle difficoltà sempre maggiori incontrate per raggiungere il mito dell'Occidente, cerca di separarsi dal passato e dal presente: è in queste condizioni che si sviluppa il fondamentalismo. Lo Stato si barcamena: da un lato dimostra di sostenere la religione (soprattutto per tener buoni i fondamentalisti), dall'altro cerca di varare riforme liberali e innovative e di fare alleanze con i Paesi occidentali. In realtà, il ritorno alla religione integrale è la manifestazione di una crisi di identità, oppure il tentativo di una Comunità delusa che vuole cambiare senza morire e senza rinunciare alla sua grandezza.

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il matrimonio e il diritto di famiglia:

- non essendoci sacramenti nella religione islamica, il matrimonio è semplicemente un contratto naturale tra uomo e donna; atto religioso per il motivo che è voluto da Dio; sposarsi è fare la volontà di Dio.- l'autorità spetta al capofamiglia, che è il marito: i figli appartengono a lui; è lui che decide la religione nella quale educarli (e la religione, essendo musulmano, non potrà che essere l'Islàm). Non è ammessa l'adozione. L'aborto è consentito fino al terzo mese di gravidanza.- l'uomo può sposare fino a 4 mogli: la poligamia - anche se va diminuendo - allo stato attuale è stata messa fuori legge solo dalla Tunisia (non è raro il caso dell'immigrato che sposa un'italiana, avendo già una o più mogli nel suo paese d'origine)- il Corano vieta i matrimoni tra musulmani e politeisti; li consente invece tra musulmani (maschi) e donne appartenenti alle genti del Libro (cristiani ed ebrei); non consente che donne musulmane sposino uomini cristiani o ebrei (perché i figli, in tal caso - essendo proprietà del padre - verrebbero educati in una religione che non è l'Islàm); consente in questo caso il matrimonio solo se il marito si converte all'Islàm.- vi sono casi di matrimoni di mista religione, riconosciuti anche dalla Chiesa Cattolica: la Chiesa però non considera "sacramento" un tale matrimonio, ma solo come unione naturale, anche se è celebrato in chiesa davanti a un prete cattolico. In tal caso è il vescovo che concede la dispensa, ma la concede a queste condizioni: che vi siano le garanzie per la liceità di quel matrimonio, cioè l'impegno della parte cattolica a

conservare la sua fede e a fare quanto può per educare cristianamente i figli; che siano condivisi i fini del matrimonio: il bene dei coniugi, anzitutto che siano accettate le caratteristiche dl matrimonio cristiano: l'unità (non poligamia) e

l'indissolubilità.Ora, molto spesso, queste condizioni contrastano con la realtà di fatto:- fin che la coppia vive in ambito europeo, il marito cristiano (o la moglie cristiana) riesce a mantenere la sua Fede; se invece si stabilisce in un paese islamico, facilmente la perde e passa all'Islàm;- quanto all'impegno di educare i figli cristianamente, esso contrasta con la legge islamica che impone al padre musulmano di educarli nella religione dell'Islàm; in ambito europeo, certe coppie trovano un compromesso: i figli maschi vengono educati nell'Islàm, le femmine nel cristianesimo.- il bene dei coniugi, nella cultura cristiana è il primo fine del matrimonio: non è detto che sia altrettanto nella cultura islamica; non sono rari i casi di donne italiane, sposate a musulmani, che - una volta trasferitesi in quei Paesi - si son trovate in situazioni che, se le avessero conosciute in anticipo, mai avrebbero sposato un musulmano... Fin che la coppia vive in un paese europeo è un conto, quando va a vivere in paese islamico è tutt'altro conto: l'ambiente esercita un tale condizionamento culturale che tutti i valori sperimentati in Europa e condivisi dalla coppia, vengono facilmente eclissati e spariscono.Le difficoltà che sto presentando trovano conferma dai dati reali: nel 1999 le coppie miste presenti in Italia erano 150.000; di queste, le coppie islamo-cristiane erano 11/12.000; di queste, le coppie sposate in chiesa erano 1200 (una media di 240 matrimoni all'anno). I dati rivelano anche che separazioni e divorzi coinvolgono l'80% dei matrimoni misti. E' la riprova che la religione diversa non è soltanto un soprammobile innocuo: è insieme di valori diversi, è cultura, è mentalità, è modo diverso di rapportarsi all'altro... e quanto più intensa è la relazione tra le persone, tanto più alto è il rischio che la diversità si trasformi in conflitto e faccia saltare la relazione. Motivo per cui la Chiesa, con buon senso pastorale, afferma: "considerate le numerose e gravi difficoltà giuridiche e pratiche, il matrimonio islamo-cristiano dev'essere genericamente scoraggiato, soprattutto se la coppia intende poi trasferirsi in un paese musulmano". In ambiente europeo sembra che queste unioni diano migliori garanzie, ma le diversità sostanziali a livello di coppia permangono comunque.

Questo orientamento da parte della Chiesa potrà sembrare a qualcuno di chiusura, di irrigidimento, ma la Chiesa italiana guarda anche all'esperienza delle altre Chiese (a differenza dei politici italiani che, sovente, sembrano guardare solo se stessi): le Chiese che si trovano nei Paesi arabi, ad esempio, non hanno mai accettato il matrimonio tra cristiani e mussulmani, pur vivendo gli uni a stretto contatto degli altri. Ed è una posizione che là non meraviglia più nessuno: nè i cristiani nè i musulmani.

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Situazione in ITALIAIl fenomeno dell'immigrazione dei musulmani compare all'inizio degli anni '80 (il contesto non è affatto predisposto per incontro multiculturale e multietnico).Legge 1991 > rende più difficile l'ingresso ma consente i ricongiungimenti familiari. Tra censiti e irregolari oggi superano il milione di persone.Si possono individuare 4 gruppi importanti:- i Tunisini: soprattutto in Sicilia, ma anche in grandi città del Nord (ove c'è qualche cellula anche del gruppo integralista al-Nahda, messo al bando in Tunisia)- i Marocchini: 1/3 dei musulmani italiani; la loro immigrazione è recente e non ha ancora avuto modo di imporsi sul resto della società islamica;- i Senegalesi: dopo aver fatto spesso gli ambulanti, hanno cercato di inserirsi nelle industrie delle città del Nord tra Milano e Venezia (Brescia in particolare)- gli Egiziani: di medio livello culturale > a Milano e in Emilia-Romagna. Per quanto riguarda le organizzazioni culturali, i centri più attivi sono a Milano, Roma e Napoli. A Milano: Centro Islamico e Istituto Culturale Islamico; il primo ha un marcato accento fondamentalista anticristiano; possiede un giornale: Il messaggero dell'Islàm.A Roma ha sede il Centro Islamico Culturale d'Italia, localizzato nella grande moschea: sia moschea che Centro esistono e funzionano a spese dell'Arabia Saudita e della Lega del Mondo Musulmano. Presenta un Islàm molto ufficiale, controllato dagli Stati musulmani.Anche in Italia, come in tutta Europa, la presenza islamica si presenta molto variopinta: è impossibile, anche di fronte allo Stato, individuare un referente unico per tutti i musulmani. L'Unione delle Comunità islamiche (che raggruppa una decina di associazioni) ha presentato al Consiglio dei Ministri una bozza d'intesa nel 1992; nel 1993 il Centro di Roma ha presentato una sua bozza d'intesa; l'Associazione Musulmani d'Itali ne ha presentata una terza....Sono forti le pressioni di Stati integralisti (Arabia Saudita) per influenzare una rappresentanza rispetto ad un'altra. Il Governo italiano ha convocato i vari rappresentanti in un Consiglio perché discutano un unico documento d'intesa. Punti importanti in quest'intesa sono: le norme a tutela della par dignità della donna, dell'effettiva libertà religiosa, dell'insegnamento della religione nella scuola... (Il rifiuto della libertà religiosa e della parità femminile ha indotto la Germania a respingere l'intesa con i musulmani).

ScuolaOvunque in Europa il problema è quello della pretesa da parte dei musulmani di avere scuole proprie, dove si insegna il Corano, finanziate dallo Stato. Gli Stati europei sono diffidenti al riguardo; dove si concede, si pone la condizione di un controllo da parte dello Stato.

Costruzione di MoscheeI musulmani fin'ora hanno adibito al culto vari edifici di quartiere. Hanno tre moschee "cattedrali" (Roma, Segrate, Catania). Ne vorrebbero altre nelle grandi città, ma i problemi connessi sono numerosi: - la mancanza di unità tra i musulmani: la moschea cattedrale non risolve il problema... - la dirigenza della moschea: a quale corrente islamica spetta? - in tutta Europa siamo in un periodo di occupazione integralista delle grandi moschee: gli imam che le dirigono rifiutano l'integrazione e sono impreparati alla modernità.Quindi, più che fretta a concedere permessi, occorre saggezza (la Francia ha atteso la maturazione della terza generazione di musulmani prima di concedere la moschea di Lione).Da parte cristiana va chiarito: non si concedono luoghi di culto cristiano ai musulmani in nessun caso, neanche in via provvisoria (la concessione è percepita dai musulmani come un cedimento del Xmo all'Islàm, e inoltre - per loro - quello sarà per sempre un luogo di culto islamico).Non ha invece fondamento, da parte dell'autorità civile, negare ai musulmani il diritto ad avere luoghi di culto per il solo fatto che i loro Paesi di provenienza non rispettano la reciprocità. La Costituzione italiana garantisce l'espressione religiosa come diritto inalienabile tra i diritti dell'uomo. Occorre piuttosto far pressione sullo Stato e sulla Comunità Europea perché a loro volta levino la voce contro la mancanza di libertà religiosa nei Paesi islamici e non si limitino a stipulare intese solo di carattere economico con quei Paesi.

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ISLAM E DEMOCRAZIA

L’Islàm è compatibile con la democrazia?Una domanda che fa venire i brividi agli specialisti (Ottavia Schmidt di Friedberg).La questione non è semplice e non bastano poche parole o tranciare un giudizio…Prima di tutto perché già in Occidente, dove la democrazia ha visto la luce e si è sviluppata, non esiste consenso su cosa sia democrazia (la definizione che si dà è diversa a seconda che ci si collochi in una prospettiva liberale, oppure socialista).“Per democrazia credo che intendia-o grosso modo due cose differenti: la prima è una prassi di gestione della cosa pubblica e del consenso che passa attraverso le elezioni a suffragio universale individuali, alternanza delle forze politiche al potere, il rapporto maggioranza-mino- ranza. Tutte queste cose naturalmente sono figlie dello sviluppo di pensiero occidentale ottocentesco e novecentesco. La seconda cosa è più sfuggente e difficile da definire ma assai più sostanziale: si tratta di poter vivere in un paese dove i diritti umani siano rispettati, dove un individuo possa lavorare, spostarsi, avere rapporti sociali, e vivere come meglio crede indipendente dalla sua appartenenza etnica, di genere, di classe di casta, di istruzione; in un cui lavoro, istruzione e salute siano garantiti. Non si tratta della stessa cosa. Se chiamiamo la prima "democrazia delle forme" e la seconda "democrazia della sostanza", possiamo dire che se molti arabi o musulmani rifiutano o non conoscono o considerano estranea la democrazie delle forme, tutti desiderano e auspicano la democrazia del contenuti”.

C’è chi ragiona da una prospettiva culturalista, cioè sostiene che certe popolazioni non potranno mai cambiare perché sono fatte così (per cui le popolazioni dei Balcani saranno sempre in lotta perché ce l’hanno nel sangue di combattersi e di farsi guerra…) è alquanto pessimista al riguardo. Due studiosi ben noti in questo settore sono Iohan Galtung, Samuel Hanghtinghton (quest’ultimo ha addirittura profetizzato un prossimo futuro scontro di civiltà…). Ma la prospettiva culturalista è parziale; parziale perché trascura questioni molto determinanti come ad esempio l’impatto dell’ordine economico e politico internazionale sui Paesi del Terzo Mondo…(e allora ci si deve chiedere: ma i musulmani rifiutano la democrazia perché sono musulmani o perché, nella stragrande maggioranza, si trovano a un livello economico così basso da non poter nemmeno immaginare una democrazia in cui poter vivere meglio?). Autoritarismo, disuguaglianze di genere, autoritarismo, oltre che povertà e scarsa istruzione, sono tra le cause che rendono difficile, oggi, l'approdo alla democrazia da parte del mondo islamico. Se non muta il contesto sociale, economico, religioso e culturale, la democrazia troverà ostacoli nell'affermarsi nel mondo della Mezzaluna. Perché la democrazia si impianti realmente, il mondo musulmano ha bisogno, oltre che di una revisione culturale profonda, di un decollo economico che permetta la modernizzazione della società. La pretesa di esportare la democrazia dall’Occidente ai Paesi islamici è alquanto ingenua, e fa piuttosto ridere…Proprio al storia della democrazia insegna che essa richiede tempi molto lunghi di gestazione all’interno di un Paese: non è una pianta esotica che si possa importare da fuori, deve spuntare e crescere dal di dentro… Se ne potranno favorire le condizioni, i presupposti perché possa germogliare e crescere: ma è dall’interno che può venire alla luce, non li si può importare o esportare già bell’ e fatta…

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