Crisi economica e vita quotidiana delle donne e delle ... · europei e in maniera altrettanto...

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Crisi economica e vita quotidiana delle donne e delle famiglie: un’indagine territoriale di Lia Lombardi Paper for the Espanet Conference “Risposte alla crisi. Esperienze, proposte e politiche di welfare in Italia e in Europa” Roma, 20 - 22 Settembre 2012 Università degli Studi di Milano; Fondazione ISMU, Milano [email protected]

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Crisi economica e vita quotidiana delle donne e delle famiglie: un’indagine territoriale

di

Lia Lombardi

Paper for the Espanet Conference“Risposte alla crisi. Esperienze, proposte e politiche di welfare in Italia e in

Europa”Roma, 20 - 22 Settembre 2012

Università degli Studi di Milano; Fondazione ISMU, [email protected]

PREMESSA

La crisi economica attuale è molto diversa dalle precedenti. Una delle differenze più rilevanti è che stavolta il peso della recessione è più uniformemente diviso tra donne e uomini, per i cambiamenti intervenuti nel tasso di occupazione femminile, nella composizione del budget familiare, e nella ripartizione dell’impatto della crisi tra i diversi settori dell’economia, con un più rilevante impatto, rispetto al passato, su quelli maggiormente femminilizzati. Ma tutto ciò rischia di restare nell’ombra, e non essere considerato nei programmi di policy contro la crisi.A livello europeo, nel 2007, poco prima dell’arrivo della recessione, le donne pesavano per il 44% sull’occupazione totale nell’Unione europea, una percentuale maggiore di quella di tutte le altre recessioni del passato. Parallelamente è cresciuto il numero delle famiglie che contano su due redditi per arrivare a fine mese, ne consegue un impatto più sensibile, rispetto al passato, della perdita di posti di lavoro femminili sui bilanci familiari. Come nelle passate recessioni, però, si sono persi più posti di lavoro nei settori a prevalente occupazione maschile, cioè manifattura, costruzioni e trasporti.Le donne hanno quindi contenuto le perdite, nel totale l’occupazione maschile mostra una perdita molto maggiore di quella femminile: meno 1,4% dal primo trimestre 2008 al primo del 2009, contro un meno 0,2% dell’occupazione femminile (meno 0,8% complessivo), sebbene sia noto a tutti che sono proprio loro a pagare il prezzo più alto di questa recessione. Ciò è dovuto alla crescita del lavoro non retribuito, domestico e di cura, che va a compensare il calo complessivo del reddito familiare che per i tagli di budget a livello locale e nazionale che riducono i servizi sociali.Insieme a questi, altri fattori contribuiscono a sottostimare l’impatto della crisi sulle donne: il modo superficiale nel quale spesso sono lette sui media le statistiche ufficiali; e il fatto che le stesse statistiche non contemplano la reale portata della disoccupazione femminile: ad esempio, una donna che accetta il part-time perché non riesce a trovare un lavoro full-time viene considerata “occupata” a tutti gli effetti, giacché non si tiene conto del cosiddetto part-time involontario, così come non emergono tutte le donne occupate in lavori precari, sommersi o a nero e che quindi non risultano nelle liste delle disoccupate. Le tendenze finora rilevate ci portano a dire che la crisi economica comporta grandi rischi sul cammino verso la gender equality, soprattutto se usata dai governi come pretesto per ripensare le politiche per l’eguaglianza o tagliare le spese in quelle politiche che aiutano le donne a stare sul mercato del lavoro.

Il disegno della ricerca

A partire da questi presupposti che riguardano, seppur in proporzioni e dimensioni diverse, i paesi europei e in maniera altrettanto differenziata le regioni italiane, l’Assessorato alle Poliche sociali del Comune di Cernusco sul Naviglio ha commissionato all’associazione BLIMUNDE – Sguardi di donne su salute e medicina, una ricerca di approfondimento della realtà cernuschese, esplorando l’impatto della crisi economica sulle donne, in quanto lavoratrici, madri, componenti delle famiglie.Pertanto, gli obiettivi posti nella ricerca sono di: a) conoscere le ricadute della recessione economica sulla “vita quotidiana” delle persone, delle donne, delle famiglie; b) aprire un focus specifico sulla recessione economica, sul lavoro/non lavoro femminile e gestione della maternità; c) rilevare i disagi, i nuovi bisogni e le possibili risorse.

Le azioni pensate per il raggiungimento dei suddetti obiettivi si dividono in due macrogruppi:

1. l’azione esplorativa che comprende una fase di ricerca quantitativa data dall’analisi dei dati secondari e dei report nazionali e territoriali e di ricerca sul campo strutturata sugli indicatori

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socio-economici, demografici e di genere; e un’altra fase di ricerca qualitativa volta a esplorare l’impatto della recessione sulla gestione e organizzazione della vita quotidiana, e delle donne in particolare; sulle relazioni tra i generi; sulla gestione familiare e genitoriale; sui servizi sociali, istituzionali e associativi del territorio. A tale proposito sono state effettuate delle interviste in profondità agli stakholders: rappresentanti di associazioni di volontariato, di servizi istituzionali, di organizzazioni pubbliche, del sindacato.

2. l’analisi dei bisogni delle donne, che comprendono le scelte procreative, la gestione della famiglia e la cura dei figli, l’inserimento/non inserimento nel mercato del lavoro; il desiderio di conciliare le “diverse anime” del lavoro femminile e il relativo impatto della recessione economica su questi temi che riguardano le giovani donne e le madri, maggiormente travolte dai cambiamenti prodotti dalla crisi.gli strumenti usati sono stati i questionari somministrati a 160 donne trai 20 e i 65 anni e la realizzazione di due focus group con le intervistate.

CRISI ECONOMICA E MERCATO DEL LAVORO: IL QUADRO NAZIONALE

L’impatto della crisi economica sul mercato del lavoro è stato molto forte, sia in Italia sia nell’Unione europea. Per l’Italia la crisi ha messo in evidenza i problemi di fondo del mercato del lavoro, dalle forti disparità territoriali alle difficoltà di inserimento dei giovani, dalla sua segmentazione tra italiani e stranieri all’elevato numero di persone che rinunciano alla ricerca di un’occupazione (ISTAT, 2011)1. Nell’Unione europea, la crescita dell’occupazione, in base ai conti nazionali, si è interrotta nel secondo semestre del 2008 quando ha raggiunto 226,5 milioni di unità Nel bilancio del 2009-2010, l’occupazione dell’insieme dei paesi dell’Ue si è in definitiva ridotta di 5,2 milioni di unità, di cui circa 4 milioni nel solo 2009: il numero dei disoccupati è cresciuto da 16,6 milioni di unità del 2008 a 23,1 milioni, un quinto dei quali concentrati in Spagna.Oltre alla Spagna, anche l’Italia ha registrato una discesa significativa dell’occupazione, soprattutto a causa della riduzione del tasso di occupazione maschile, sceso di 2,6 punti percentuali tra il 2008 e il 2010. La quota delle donne italiane (15-64 anni) occupate si è invece ridotta in maniera simile a quella Ue, segnando nella parte finale del 2010 un moderato recupero. Rimane però sostanzialmente ampio il divario del tasso di occupazione femminile tra Italia ed Europa (rispettivamente 46,1 e 58,2 per cento) (Ib.)A differenza del 2009, la riduzione del 2010 ha riguardato prevalentemente l’occupazione permanente a tempo pieno (industria, commercio, alberghi e ristorazione, pubblica amministrazione, istruzione e sanità) e, inoltre, il restringimento della base occupazionale ha interessato soprattutto le professioni più qualificate e il settore della trasformazione industriale, mentre non si è arrestata la crescita dell’occupazione nelle professioni non qualificate e nel terziario tradizionale (alberghi, ristorazione, servizi domestici e di cura). Nell’ultima parte del 2010 si è rilevato un nuovo incremento del lavoro atipico, che aveva contribuito nel 2009 per il 63 per cento alla caduta dell’occupazione totale. Se si confrontano le dinamiche relative a disoccupazione e inattività emerge una complementarità degli aspetti relativi a genere e territorio: l’incremento delle non forze di lavoro tra 15 e 64 anni è stato fondamentalmente determinato, anche nel 2010, dagli uomini, le transizioni maschili dalla disoccupazione verso l’inattività hanno, infatti, superato quelle femminili (+13,2 per cento contro +2,2 per cento) e si è anche rafforzata la permanenza degli uomini all’interno della “zona grigia”, cioè in quell’area degli individui interessati a partecipare al mercato del lavoro (+18,3 contro il +4,8% delle donne). Perciò, nonostante il differenziale si sia leggermente ridotto, il tasso di inattività femminile rimane sostanzialmente più elevato di quello maschile (48,9 e 26,7 per cento, rispettivamente).

1 ISTAT, Rapporto annuale, La situazione del paese nel 2010, ISTAT, 2011, capp. 3-4

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Quanto agli aspetti generazionali dell’inattività, riscontriamo che la fascia di età 15-29 anni ha contribuito per oltre il 50% all’incremento totale degli inattivi, con una forte concentrazione al Nord. Nelle regioni meridionali, invece, la crescita dell’inattività ha interessato soprattutto le classi centrali di età. La caduta dell’occupazione è stata particolarmente pesante per i giovani (15-29 anni): Il tasso di occupazione specifico, sceso tra il 2004 e il 2008 dal 42,0 a 39,3% si è contratto ulteriormente tra il 2008 e il 2010 di circa cinque punti percentuali (cinque volte più elevata di quella complessiva) Esiste poi una quota preoccupante di giovani esclusi dal circuito formazione-lavoro, i cosiddetti Neet (Not in education, employment or training) che sono ancora in aumento e più numerosi rispetto alla media europea. La preoccupazione rispetto a queste “future generazioni” è legata al rischio di esclusione sociale come conseguenza della persistenza nella condizione di Neet.

La crisi, il lavoro, le donne

Con la crisi economa che si è abbattuta sull’Italia e sull’Europa si è accentuata la segregazione di genere, dovuta alla caduta dell’occupazione femminile qualificata a fronte dell’aumento di quella non qualificata e, anche l’aumento dell’occupazione femminile part time (+ 104 mila unità nel 2010) è principalmente imputabile alla diffusione dei fenomeni di involontarietà e dall’estensione della segregazione orizzontale in comparti di attività tradizionali. La crisi, pertanto, ha portato l’Italia ad allontanarsi ancora di più dagli standard UE, per ciò che concerne lapartecipazione delle donne al mercato del lavoro.Il già contenuto tasso di occupazione delle donne italiane è ancora più ridotto per le donne-madri che interrompono il lavoro più frequentemente degli uomini per motivi familiari e soprattutto, in seguito alla nascita dei figli. Nel biennio 2008-2009 circa 800 mila donne hanno dichiarato che nel corso della loro vita lavorativa, in occasione di una gravidanza, sono state licenziate o messe in condizione di doversi dimettere e di queste solo quattro su dieci hanno ripreso l’attività. In questo scenario, le condizioni di vulnerabilità sono ben più elevate per le donne meridionali a causa della stessa struttura difforme del mercato del lavoro in quelle regioni.La condizione svantaggiata delle donne sul mercato del lavoro è spesso aggravata dallo squilibrio nella distribuzione dei carichi del lavoro domestico e di cura tra i generi. Questo fenomeno ha sostanzialmente mantenuto le stesse caratteristiche nell’arco degli ultimi venti anni: circa il 76 per cento del lavoro familiare delle coppie è a carico delle donne e questo vale anche per le donne adulte quando nel nucleo sono ancora presenti di figli e entrambi i partner sono occupati. La crisi ha peggiorato considerevolmente i problemi strutturali dell’occupazione femminile, soprattutto per la qualità del lavoro, lasciando crescere la segregazione verticale e orizzontale, ampliando l’area degli impieghi non standard, acutizzando il sottoutilizzo del capitale umano, e aggravando ancora di più la difficile conciliazione tra tempi di vita e di lavoro. Nel corso del 2009, infatti, ha ripreso vigore la segregazione di genere, confermata nel 2010 quando, alla caduta dell’occupazione femminile qualificata, tecnica e operaia, si è accompagnato l’aumento di quella non qualificata (+108 mila unità) come le addette ai servizi di pulizia, le collaboratrici domestiche e assistenti familiari straniere (Fig. 1). L’aumento delle occasioni di lavoro a bassa specializzazione ha caratterizzato anche la sfera del lavoro impiegatizio, dove alla crescita delle impiegate amministrative si è aggiunta quella delle addette ai call center. La flessione percentuale delle posizioni lavorative è stata più forte per le donne nella trasformazione industriale (-5,6 per cento rispetto al -3,4 per cento degli uomini) (ISTAT, 2011).

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Figura 1- Occupati per sesso e professione - Anno 2010 (variazioni tendenziali assolute in migliaia di unità)

Il divario di genere si è rafforzato anche dal sottoutilizzo del capitale umano, nel 2009 la quota di occupate con un lavoro che richiedeva una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta è cresciuta a ritmi superiori a quelli maschili, raggiungendo il 23 per cento. Questo fenomeno è più accentuato per le laureate (il 40 per cento, contro il 31% degli uomini) e interessa tutto il ciclo della vita lavorativa.Riteniamo importante ricordare che la segregazione occupazionale e la minore valorizzazione delle competenze producono disparità salariale, infatti, la retribuzione netta mensile delle dipendenti è inferiore di circa il 20 per cento a quella degli uomini (1.096 contro 1.377 euro, nel 2010). Tra gli occupati a tempo pieno permangono differenze importanti tra le laureate (1.532 euro rispetto ai 1.929 euro dei maschi) e il differenziale salariale aumenta con l’età a causa degli episodi di discontinuità dovuti alla nascita dei figli. Tra il 2009 e il 2010, la trasformazione dei contratti atipici in rapporti di lavoro permanenti ha coinvolto le donne meno degli uomini (11 donne ogni cento atipiche e 17 uomini). In questo quadro, la creazione di nuova occupazione nei servizi ad alta intensità di lavoro e a bassa qualificazione ha paradossalmente avvantaggiato il lavoro femminile (le donne rappresentano il 52% degli occupati nei servizi alla persona e la quasi totalità di quelli domestici alle famiglie) (ISTAT, 2011).

Il livello di istruzione continua ad avere un ruolo centrale nell’accesso al mercato del lavoro: in Italia il tasso di occupazione delle laureate è circa due volte e mezzo superiore a quello delle donne con basso titolo di studio (71,7 contro 28,3 per cento), ma, nel confronto europeo, lo svantaggio dell’Italia si manifesta per tutti i livelli di istruzione (nel 2010 il tasso di occupazione era pari al 28,3 per cento contro il 37,0 per cento dell’UE stando ai titoli di studio più bassi). Inoltre, il tasso di occupazione delle donne italiane, già inferiore a quello medio europeo per le donne occupate senza figli, (63,9 contro 75,8 per cento), è ancora più basso quando si tratta di donne che sono anche madri e mostra un divario crescente rispetto alla UE (Fig. 2) e queste distanze con le coetanee europee si accentuano in rapporto all’età dei figli.

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Contemporaneamente, ha continuato a aumentare l’incidenza del part time involontario a ritmi più sostenuti di quelli (42,7 contro 22,3 per cento nel 2009), con valori vicini solo a quelli della Spagna (Fig. 3). In Europa la forte diffusione del part time tra le donne con figli corrisponde a un maggiore utilizzo di questo tipo di regime orario come strumento di conciliazione dei tempi di vita. In Italia, invece, l’elevata presenza del part time involontario avvalora l’ipotesi che l’utilizzo della flessibilità oraria risponda più alle esigenze delle imprese che a quelle di conciliazione dei tempi di vita (ISTAT, 2011: 152).

Fig. 2 - Tasso di occupazione femminile 25-54 anni per numero di figli in Italia e nell’Ue - Anno 2009 (valori percentuali)

Fig. 3 - Incidenza del part time involontario femminile in alcuni paesi dell’Unione europea - Anno 2009(valori percentuali)

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Il “conflitto” tra occupazione e impegno genitoriale

Secondo l’indagine ISTAT multiscopo “Famiglie e soggetti sociali”, nel 2009 più di un quinto delle donne con meno di 65 anni che lavorano o che hanno lavorato dichiara di aver interrotto (temporaneamente e/o definitivamente) l’attività lavorativa nel corso della vita a seguito del matrimonio, di una gravidanza o per motivi familiari di altra natura (il 22,4 per cento, contro il 2,9 per cento degli uomini). Per le madri questa percentuale sale al 30 per cento e per la metà di loro l’interruzione del lavoro è attribuita alla nascita di un figlio (Tab. 2). Le donne più esposte al rischio di interrompere il lavoro per motivi familiari sono quelle con basso titolo di studio (40,3 per cento) contro il 16,7 per cento delle laureate. Tra le madri più giovani è significativamente dimuita l’attitudine a interrompere l’attività lavorativa per motivi legati al matrimonio (dal 15,2 per cento delle madri nate tra il 1944 e il 1953 al 7,1 di quelle nate dopo il 1973) ma la quota di madri che interrompono il lavoro per la nascita di un figlio non presenta una diminuzione altrettanto significativa (dal 15,6 per cento delle generazioni delle donne tra il 1944 e il 1953 al 14,1 per cento).

Secondo i risultati dell’indagine ISTAT multiscopo su “Uso del tempo”2, oltre la metà delle interruzioni dell’attività lavorativa per la nascita di un figlio non è il risultato di una libera scelta da parte delle donne: nel 2008-2009, infatti, circa 800 mila madri hanno dichiarato che nel corso della loro vita lavorativa sono state licenziate o sono state messe in condizione di doversi dimettere in occasione o a seguito di una gravidanza (8,7% delle madri che lavorano o hanno lavorato (Fig. 5). Più esposte a questo genere di “maltrattamento” sono le donne appartenenti a generazioni più giovani (il 13,1% delle madri nate dopo il 1973) cioè quelle più soggette all’attuale mercato del lavoro - instabile, con poche (o senza) garanzie e senza ammortizzatori sociali - le residenti nel Mezzogiorno (10,5 %); le donne con un basso titolo di studio (10,4 per cento); le operaie (11,8%), quelle impiegate nell’industria (11,4%), con partner operaio (11,0 per cento). Tra le madri costrette a lasciare il lavoro in occasione o a seguito di una gravidanza, solo il 40,7 per cento ha poi ripreso l’attività.2 ISTAT, Indagine multiscopo “Uso del tempo, 2008-2009, ISTAT,Roma, 2012

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Questi ultimi dati dimostrano sia il deterioramento del mercato del lavoro e delle regole occupazionali, sia l’acuirsi di forme di lavoro precario, non garantito, spesso sommerso dentro cui, come abbiamo visto, le donne sono maggiormente reclutate.

Fig. 5 - Madri che hanno interrotto l’attività lavorativa in occasione di una gravidanza per generazione di nascita della madre e modalità di interruzione - Anni 2008-2009 (per 100 madri di 16-64 anni che lavorano o hanno lavorato in passato con le stesse caratteristiche)

Ciò detto non si deve trascurare il persistente squilibrio nella distribuzione dei carichi di lavoro complessivi tra uomini e donne. Se prendiamo in considerazione le coppie con donna tra 25 e 44 anni, possiamo osservare che, nel 2008-2009, quando entrambi i partner sono occupati, in un giorno medio settimanale la donna lavora 53’ in più del suo partner (9h08’ di lavoro totale femminile contro le 8h15’ degli uomini). “A farne le spese è il tempo libero delle donne occupate, che si attesta sulle 2h35’ contro le 3h29’ dei loro partner. In presenza di figli, poi, il divario nelle ore di lavoro totale cresce significativamente (+1h02’): le madri occupate complessivamente vi dedicano 9h25’ a fronte delle 8h23’ dei padri e, persino le madri non occupate lavorano più dei loro partner (8h15’ contro 7h48’)” (ISTAT, 2011: 155).

Conclusioni

La crisi economica del nostro paese si svolge in un contesto caratterizzato da un modello di welfare non adeguato a rispondere ai nuovi bisogni e difficoltà delle famiglie a cui, peraltro, è ancora prevalentemente addossato il compito e la responsabilità della cura, dell’accoglienza, del sostegno, insomma la famiglia funge ancora, e pienamente, da ammortizzatore sociale. Le donne, dal canto loro, continuano a essere il pilastro delle reti di aiuto informale, assorbendo i due terzi delle ore dedicate agli aiuti (più di 2 miliardi di ore in un anno), ma sono sempre più sovraccariche di lavoro (occupazione extradomestica, genitori anziani, figli, lavoro familiare in genere) e non riescono a soddisfare, come in passato, i bisogni di cura e assistenza della famiglia. La rete entra così in una fase di difficoltà strutturali: a fronte di un aumento dei care giver – che peraltro appartengono a fasce di popolazione sempre più anziane (50 anni in media) – si assiste ad una diminuzione delle famiglie anziane aiutate. Ne consegue che l’antico mutuo sostegno tra le generazioni di madri e di figlie è sempre meno praticabile. A causa dei grandi cambiamenti

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demografici degli ultimi decenni, la rete di parentela è diventata “stretta e lunga” e ogni potenziale care giver ha meno persone e meno tempo con cui condividere l’aiuto nella rete di parentela, ne consegue che a partire da 1998 crescono costantemente le famiglie che si avvalgono di servizi di assistenza o di aiuti economici da parte di enti pubblici (dal 2,8 del 1998 al 6,9 % del 2009) e di servizi a pagamento (dall’8,9 al 9,6 %), a sottolineare i crescenti bisogni che la rete informale non riesce a soddisfare (ISTAT, 2011). L’intervento pubblico, seppure in crescita fino al 2009, è ancora debole, poco sviluppato nel Sud e rivolto a soddisfare una fascia limitata di bisogni e il numero di persone gravemente o parzialmente limitate che non sono raggiunte da alcun tipo di aiuto è molto elevato, si tratta di circa 2 milioni di persone. In una situazione di tale crisi economica il nostro modello di welfare si mostra sempre più inadeguato, fragile e iniquo, caratterizzato com’è da un’elevata spesa per trasferimenti pensionistici e agli assegni di cura (96% circa) e da una quota residuale a favore del lavoro, delle famiglie e delle misure di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale (il 2% dell’intera spesa contro il 5,2% della media europea, il 13,6% della Spagna e quasi a pari merito con la Romania all’1,4%).

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IL TERRITORIO EST-MILANO

Il territorio di cui parliamo si estende a est di Milano e consta di circa 330 mila abitanti, 23 mila aziende (unità locali), 110 mila dipendenti.La città di Cernusco sul Naviglio, al 31 dicembre 2010 conta 31058 abitanti di cui 14875 maschi e 16183 femmine; 13117 nuclei familiari con un numero medio di componenti parti a 2.35 membri. I nuovi nati del 2010 sono 345 (173 maschi e 172 femmine) contro 247 morti e con un saldo naturale positivo pari a 98 persone. Il numero più alto di nuovi nati si ha proprio nel 2010 con una percentuale sulla popolazione totale pari a 1,11. Anche questa è la più elevata degli ultimi cinque anni: il numero dei nuovi nati è aumentato costantemente dal 2005 al 2008, anno in cui si registrano 330 pari al 1,09% della popolazione totale. Una significativa battuta di arresto si registra nel 2009 (298 nati pari allo 0,97% della popolazione totale) mentre nel 2010 si evidenza una nuova ripresa.

Crisi economica e mercato del lavoro

Nel corso degli anni 2008-2010 il mercato del lavoro territoriale dell’Est Milano, come quello nazionale, ha registrato una dinamiche “drammaticamente” negative, che si sono abbattute sui livelli di attività delle imprese, sulla produzione e sui volumi d’affari e su una serie di altri andamenti congiunturali (Oldrini, 2011)3.Nei primi sei mesi del 2010 si possono cogliere segnali di lento ma progressivo recupero che, tuttavia, non sanciscono l’avvio della ripresa, infatti, la domanda di lavoro si presenta ancora troppo debole per poter riassorbire le consistenti fasce di manodopera espulse dal mercato del lavoro e decremento occupazionale, in realtà, non si è ancora arrestato. Vi è, inoltre, molta preoccupazione su cosa accadrà una volta che gli ammortizzatori sociali avranno esaurito i loro effetti.Se si osserva la dinamica degli avviamenti e delle cessazioni dei rapporti lavorativi in corso, fa notare Oldrini, possiamo individuare gli eventi che hanno determinato gli ingressi e le uscite dal bacino degli occupati. Tanto per i primi quanto per le seconde, il biennio 2008-2009 mostra una discesa che ha coinvolto tutti i principali settori economici, industriali e terziari, con una serie di tendenze decisamente più marcate nel caso degli avviamenti rispetto alle cessazioni.

Per quanto riguarda le nuove assunzioni, nel 2009, l’Est Milano si è caratterizzato per un totale di 39.189 avviamenti al lavoro e, nei sei mesi immediatamente successivi, per altre 19.936 assunzioni e questo sta a indicare una consistente flessione dal lato della domanda aziendale. Rispetto al 2008, il 2009 mostra 9.765 comunicazioni in meno (-19,9%) e il primo semestre del 2010 segna la prosecuzione di una parabola discendente che, in buona sostanza, mostra un ulteriore calo di 672 unità (-3,3%). Questo andamento è comune al resto del territorio provinciale, sebbene i dati superino quelli medi della provincia di Milano, rispettivamente al -13,1% (biennio 2008-2009) ed al -1,0% (confronto tra il 1° semestre 2009 ed il 1° semestre 2010) (Oldrini, 2001: 44).

Tipologie contrattuali

La domanda dell’Est Milano continua a distinguersi dalla media provinciale per un maggiore grado di stabilità, a cui corrisponde un numero minore di avviamenti per ciascun lavoratore (1,17 contro 1,55), un uso meno frequente dei contratti di breve e brevissima durata (8,0% contro 25,3%) e la sovrarappresentazione della quota di assunzioni a tempo indeterminato (30,3% contro 21,1%). Un’altra forma contrattuale che assume un peso rilevante è il lavoro somministrato (interinale), il cui peso si è aggirato attorno al 15% nel biennio 2008-2009, per, poi, innalzarsi al 17,4% con la prima metà del 2010 (3.470 avviamenti).

3 Oldrini A., Imprese e mercato del lavoro nell’est Milano, Rapporto di ricerca, marzo 2011

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Come si può notare nella Fig. 7 “il mutamento riguarda la composizione e l’incidenza delle diverse tipologie contrattuali ed è indicativo di un progressivo spostamento della domanda in una direzione orientata sempre più al ricorso a forme di lavoro a termine, meno vincolanti per i soggetti che assumono, che, in questa fase di persistente difficoltà, optano per lo più per la messa in atto di una serie di strategie di tipo difensivo” (Oldrini, 2011: 52).

Fig. 7 – Composizione e incidenza delle diverse categorie contrattuali

Questo ricorso alla flessibilità, prosegue Oldrini (Ib: 52) “riletto con un’ottica attenta alle implicazioni che ne discendono per la persona, determina una serie di conseguenze che potrebbero tradursi in una precarizzazione della propria condizione. Tutto questo potrebbe determinare un passo molto breve verso la creazione di nuove aree di povertà, soprattutto nei casi in cui non vi siano altre entrate a sostegno del reddito.

Le qualifiche professionali

L’Est Milano si caratterizza come un territorio ancora economicamente incentrato sulla tradizionale vocazione manifatturiera dell’area, che determina una consistente richiesta di profili operai, ma si osserva anche una certa articolazione che riguarda le figure impiegatizie e tecniche, pur restando un considerevole differenziale con la media provinciale. Il gruppo dei lavoratori senza qualifica diventa così uno dei principali bacini a cui attingono le aziende del territorio e rappresenta oltre un quinto degli avviamenti complessivi: nel primo semestre del 2010, si contano 4.393 comunicazioni (22,0%). Si tratta per lo più di un insieme composito di posizioni al cui interno è possibile individuare tre tipologie lavorative: quella connessa alle attivitàgestionali (2.457 avviamenti) come uscieri, facchini e magazzinieri, quella riguardante i servizi di cura alla persona (582 avviamenti) e quella relativa all’industria e alle costruzioni (1.074 avviamenti).Un altro segmento quantitativamente importante riguarda le figure qualificate nelle attività commerciali e nei servizi (3.642 avviamenti), ma il mercato del lavoro locale presenta una domanda ancora relativamente limitata dei profili impiegatizi. Questo divario assume una particolare importanza per le professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione, la cui incidenza

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è pari alla metà dei valori medi provinciali (6,4% contro 12,2%) e per i tecnici (17,7% contro 20,6%) (Ib.).Stando a quanto fin qui riportato, emergono alcuni elementi caratteristici del territorio: le difficoltà manifestatesi sul fronte congiunturale hanno avuto pesanti ripercussioni, oltre che sulla capacità competitiva dell’Est Milano, anche sulla situazione occupazionale, determinando un consistente numero di esuberi di situazioni di emergenza (forme di nuova povertà a seguito della fuoriuscita dal mondo del lavoro).

Genere, lavoro e territorio

La caratterizzazione di genere, come abbiamo visto per la situazione nazionale, è un elemento fondamentale che contribuisce ad approfondire la fisionomia del mercato del lavoro locale.Benché la componente femminile si sia caratterizzata per una certa crescita progressiva nel corso del tempo, questa continua ad apparire sottodimensionata rispetto alla media provinciale: nel 2009 sono stati comunicati 17.843 avviamenti (44,6%) che hanno interessato 13.374 donne (43,1%), mentre per gli uomini si sono registrati 21.706 contratti (55,4%) in capo a 17.639 persone (56,9%). Nei primi sei mesi del 2010, si ripropone una situazione simile per cui la quota di lavoratrici a cui è stato attivato un nuovo rapporto subordinato o parasubordinato è pari al 39,5%, quella dei lavoratori è, invece, pari al 60,5%. A livello provinciale rileviamo, invece, un quadro più paritario: le donne rappresentano il 48,0% degli avviati nel 2009 e detengono attualmente una quota attestata al 45,8%.

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LA RICERCA QUALITATIVA

Le interviste in profondità

La scelta degli interlocutori è caduta su esponenti sindacali, rappresentanti di associazioni di volontariato, operatori sociali dell’ambito pubblico, dirigenti di agenzie di servizio che potessero leggere la crisi economica e le sue implicazioni, dal loro osservatorio privilegiato. Abbiamo così realizzato sei interviste con tre maschi e tre femmine di età compresa tra i 29 e i 65 anni con livello di istruzione superiore e laurea.

La percezione della crisi

Sono vari i segnali di crisi percepiti sul territorio. Tutti notano che le cose sono cambiate, che la situazione è peggiorata ed è visibile, per esempio:

dagli uomini in giro, uomini ovviamente in età lavorativa, (…) noi vediamo la tale azienda che è in cassa integrazione (…) Un servizio che noi forniamo, è quello delle colf e badanti. In questo specifico settore abbiamo notato che non ci sono più richieste di lavoro, non ci sono più offerte. Negli ultimi mesi mi hanno detto che è stata fatta una sola offerta di lavoro e per poche ore. Lo vediamo anche al corso d’italiano, anche lì la disoccupazione è cresciuta. Studenti che prima lavoravano ora non lavorano più [riferito agli immigrati]. (Int. 3 F).

I segnali della crisi si riscontrano anche in altri aspetti della vita sociale come indica un mercato immobiliare quasi fermo, nonostante i prezzi delle case siano diminuiti, e l’indebitamento di molti cittadini:

… abbiamo notato che c’è molta gente indebitata e questo è un grosso problema, (…) queste sono le nuove povertà, cioè persone che sentendosi in una situazione sicura ha acquistato casa, macchina e adesso non è in grado di far fronte ai debiti e questa vediamo che è una situazione diffusa … (Int. 3 F).

L’analisi attenta e circostanziata del nostro interlocutore, collega i problemi cernuschesi a quelli del territorio provinciale e nazionale,

Ovviamente si risente della crisi più generale, nel 2008 è iniziata la crisi che ha avuto un impatto crescente sul ns territorio questo ha prodotto un aumento della disoccupazione, un aumento di persone in cassa integrazione, in cassa integrazione straordinaria, in mobilità. C'è stato un numero crescente, e lo è tuttora, del numero d’iscrizione al centro per l'impiego di Melzo, addirittura doppi rispetto al 2008. Siamo a un aumento del 100%: da 3000 circa del 2008 siamo passati a 6000 nel 2009, numero che è rimasto stabile anche nel 2010, con un’incidenza degli uomini maggiore rispetto al passato. (Int. 4 M)

La composizione di genere spiega le particolari dinamiche del mercato e della domanda di lavoro al cospetto della crisi economica:

Prima c'era una percentuale intorno al 60% delle donne ad un certo punto nel 2009 questo dato si è modificato, siamo arrivati a un pareggio M/F. Questo per ciò che riguarda le iscrizioni al centro per l'impiego. Questo significa che la crisi ha colpito le aziende esistenti, la maggior presenza maschile ha portato a un ridimensionamento del personale quindi essendo loro maggiormente presenti in azienda c'è stata una maggiore espulsione di lavoratori maschi. Però la tendenza generale è che qui nel nostro territorio c'è una presenza femminile al lavoro un po' più bassa rispetto alla provincia di Milano. (Int. 4 M).

In definitiva, in termini di occupazione e di mercato del lavoro sembra che questa crisi sia maggiormente sofferta dagli uomini perché maggiormente espulsi dal mercato del lavoro, d’altra parte l’espulsione delle donne appare meno drammatica perché il tasso di disoccupazione femminile è storicamente più alto di quello maschile, in questo territorio. Inoltre, anche se un po’ rallentata grazie al settore manifatturiero, che esporta sul mercato esterno, la situazione critica permane.

131

Per quel che riguarda le caratteristiche delle aziende maggiormente in crisi, la percezione e la conoscenza dei nostri intervistati conferma i dati e le analisi mostrate nel capitolo precedente. Si parla quindi di settore manifatturiero in fase di ridimensionamento già da una decina d'anni; così l'edilizia, i servizi e il commercio che erano i settori con maggiori sbocchi alle attività lavorative.

La crisi, le donne e il mercato del lavoro

Un altro tema affrontato con gli intervistati è stato quello di leggere i comportamenti, gli atteggiamenti e le risorse che le donne e gli uomini mettono in gioco nel fronteggiare la fase critica. Le differenze di genere che emergono appaiono un po’ standardizzate ma realmente riscontrabili

L’uomo in queste cose è molto più riservato ... l’uomo che perde il lavoro esprime in cuor suo una sofferenza e una dignità che gli impedisce di questuare. La donna invece no, questo problema lo affronta più facilmente e qui siamo di fronte ad una casistica variegata. (…) Le donne di famiglie che prima avevano la badante per i propri genitori, perdono il lavoro, il marito perde il lavoro, non hanno più la badante. (Int. 2 M).

Un altro aspetto che emerge è quello delle donne che “si rimboccano le maniche” e si rimettono in gioco, riprendono a lavorare, a quaranta e anche a cinquant’anni,

Della serie vivendo una situazione di difficoltà iniziale è stata marginalmente toccata quella fascia poco qualificata per cui loro ne sono uscite meno peggio. …. Oppure la loro capacità di adattamento, che le ha sempre viste in prima linea, sono state quelle che piuttosto che lasciarsi abbattere dalla depressione si sono rimboccate le maniche facendo di tutto. (Int. 1 F).

Il mercato del lavoro, infatti, offre loro quasi esclusivamente

Lavoro di cura, per noi è più facile trovare lavoro per le donne che curano bambini, anziani, ecc. (Int. 2 M).

Ancora una volta si conferma lo standard del lavoro femminile, più “flessibile”, più precario, spesso sottopagato e nero, magari anche per “scelta”, come spiega la nostra intervistata:

il desiderio di seguire la famiglia mette un po’ in secondo piano la famiglia e quindi accettano maggiormente lavoro instabili, con poche ore, ecc. Sento rifiutate le donne giovani dal lavoro perché rischiano di rimanere incinte, vengono scartate ai colloqui. Non è una gran novità neanche questa ma forse in una crisi come questa il fenomeno si è acuito. (Int. 3 F).

Quasi tutti sottolineano poi il senso di responsabilità e la capacità delle donne di “fare richieste” al posto di qualcun altro, di assumere su di sé le mancanze, le incapacità e le fragilità del coniuge o di altri familiari:

Secondo me sono più donne che vengono a fare una richiesta [ai servizi sociali] per il marito che hanno a casa che è fuori dalle grazie di dio, la cosa difficile diventa agganciare il marito che è a casa perché è un marito che non si è mai rivolto ai servizi, che ha un’idea dei servizi di cinquant’anni fa, che non gli puoi parlare dello psicologo perché lui vuole andare a lavorare: “datemi un lavoro e io sono a posto”, che è vero! Che magari ha cominciato a alzare un po’ il gomito perché … (Int. 6 M)

Famiglie, genitorialità, natalità

Come abbiamo già potuto riscontrare nei dati e nelle analisi dei capitoli precedenti e come vedremo dai risultati della ricerca su Cernusco S/N, le ripercussioni della crisi economica sulle famiglie, soprattutto di classe media e medio-bassa, sono elevate e spesso devastanti. Presso i servizi sociali e/o le associazioni di volontariato, oggi s’incontra, più che in passato, una richiesta maschile di aiuto che mostra delle grandi fragilità, inaspettate e verso cui non si hanno strumenti adeguatamente pensati. Si cerca quindi di capire il perché di queste grandi fragilità, se si possono interpretare come squisitamente personali o se c’è dell’altro. Proviamo quindi a riflettere su un “motore che gira piano”, come il nostro osservatore lo definisce:

141

… se tu vai a vedere la storia familiare della mamma, del papà, di suo fratello, di quell’altro, sono tutte situazioni critiche. Quindi è il contesto sociale critico, non hanno avuto la capacità di gestirsi nei momenti di “vacche grasse”, (…) Sotto c’è un motore che gira piano … Il padre, la madre, il fratello, la droga. Perciò se vuole c’è un fatto culturale. (Int. 2 M).

La crisi economica può giungere, e spesso accade, a intervenire pesantemente sull’assetto familiare fino a devastarle, dal punto di vista economico, psicologico e relazionale.A questo punto è inevitabile chiedersi come facciano le famiglie a sopravvivere, quali risorse mettono in gioco. Le risposte sono diverse e non sembrano evidenziare strategie comuni, progetti a lungo termine, azioni concertate:

Si tira la cinghia, si spera in tempi migliori. Ci sono richieste di aiuto nella ricerca del lavoro. I corsi di formazione sono abbastanza frequentati. (Int. 3 F).

Le ricadute sul Sociale

Tutti gli osservatori, sia dell’ambito pubblico, sia del volontariato e del privato sociale, sottolineano le ripercussioni della crisi economica sugli strati sociali, sui diversi gruppi sociali, rilevando, molto spesso, un aggravamento delle situazioni già al limite della marginalità. Gli operatori del servizio pubblico riscontrano una “nuova utenza” con problematiche multiple che sollecita il servizio a un nuovo approccio e a nuove risorse:

Faccio un esempio: rispetto a (…) se prima avevamo lo schizofrenico fatto e finito, adesso abbiamo una serie di persone che hanno una doppia diagnosi, abbiamo una serie di persone che perdono il lavoro, vanno in depressione e iniziano a bere. Allora lì qual è il problema maggiore, la depressione o l’alcolismo? O è un alcolista abusante e lo fa quand’è depresso? Qual è allora il servizio che lo deve seguire, il CPS o il NOA? O tutti e due insieme? Il nostro ruolo a volte è quello di fare da collante tra la persona e il servizio che lo deve prendere in carico. (Int. 6 M)

Tra le diverse tipologie di persone in carico ai servizi sociali, negli ultimi anni è comparsa una

Una fascia che va dai 40 ai 55 anni dove ci sono tutte quelle persone che hanno perso il lavoro, sono fuori dal mercato del lavoro, si sentono irricollocabili e magari hanno lavorato dall’età di 15 anni, non hanno più una strutturazione della giornata e quindi questo li massacra. (Int. 6 M)

Un’altra osservazione mette in evidenza le difficoltà della classe media, quella che era giunta a Cernusco per abitare in una città agiata, immersa nel verde, a misura di uomini, donne e bambini, ben collegata e molto vicina a Milano, che oggi non riesce più a stare al passo con gli affitti troppo alti, con il mutuo da pagare per una abitazione divenuta troppo cara e questo porta ad avere molte persone con lo sfratto [per morosità] e a richiedere il sostegno al reddito per affitti onerosi.

Le politiche, i servizi, la rete

Da quanto abbiamo potuto rilevare, sia dai dati secondari (Istat, 2010; Oldrini, 2011) sia dalle interviste in profondità, i sostegni alle persone colpite dalla recessione economica non sono sistematici e strutturali e ciò è dovuto anche alla riduzione, quella sì sistematica, delle risorse ai comuni e, di conseguenza, anche al terzo settore e al privato sociale. Fondamentalmente si parla di

Integrazione al reddito, cassa integrazione e mobilità. I comuni hanno provato, l'anno scorso in particolare, a dare qualche contributo alle persone in crisi; la curia ha costituito un fondo di alcuni milioni di euro, però credo che in qualche situazione la soglia di povertà sia vicina. (Int. 4 M).(…)Altro dato è quello di molta gente che partecipa ai tirocini che nonostante diano dei rimborsi spese molto bassi, è pur vero che mettono a disposizione qualche euro, e non sono solo i giovani in cerca di primo impiego. (...) Questo è comunque un altro canale [di sostentamento]. (Int. 4 M)

151

Con la prospettiva di costruire uno strumento capace di leggere con attenzione la realtà economica e sociale in movimento nel territorio dell’est milanese e di costruire politiche a medio e lungo termine per il superamento della fase critica, nel novembre 2010 è stato istituito un Tavolo di lavoro in cui il comune di Cernusco SN è capofila.

… quel tavolo partiva dal voler rispondere a una crisi, a una domanda di bisogni di cittadini che … possiamo dire … i comuni hanno dato tutte le risorse che avevano a vario titolo per sostenere le famiglie, però rischiavano e rischiano di essere delle politiche di mantenimento, non pensate allo sviluppo. Perché come ci insegnano gli economisti, dalle crisi o ne esci distrutto o utilizzi il momento di crisi per investire in modo che dopo la crisi se investi in tecnologie, formazione e quant’altro magari sei pronto a ripartire magari più competitivo di prima. (...) L’obiettivo è quello di mettere in campo forze sinergiche che siano più immediate nel capire e nel rispondere ad alcune esigenze, il modo con cui stiamo operando si porteranno i 2-3 casi di aziende critici e lì si comincerà a studiare … L’obiettivo è anche fare un cambiamento culturale (in cui tutti gli attori si confrontano) rispetto alla formazione continua, tant’è che l’accordo si chiama “politiche attive”. Le risorse devono essere utilizzare per riqualificare, per reinventarsi e credo che questa sia la sfida più grande: non pensare solo all’immediato ma in prospettiva del domani quindi riconvertire, acquisire nuovi strumenti, nuove professionalità, rimettersi in gioco non con un approccio di diffidenza e di paura. (Int. 1 F).

Ma la crisi non riguarda solo i cittadini e le imprese, i nostri interlocutori ci mettono di fronte ai seri problemi in cui versano le amministrazioni, soprattutto quelle locali, come già dimostrano anche i dati e le analisi dei capitoli precedenti. C’è di fatto che la riduzione di risorse si risolve in qualcosa di fortemente inefficace per i cittadini e le cittadine in stato di necessità, costringendo l’istituzione e/o il servizio ad abbandonare il progetto di prevenzione delle indigenze sociali. Questo significa che crollano i redditi dei cittadini ma anche le possibilità dei servizi sociali di intervenire. Perciò alla riduzione delle risorse sull’intervento d’urgenza e di contingenza, si somma anche la riduzione dell’intervento preventivo.

Conclusione

Ciò che abbiamo potuto cogliere, sia dalla ricerca di Oldrini (2011) sia dalle interviste con gli osservatori privilegiati è che l’attenzione al territorio, ai suoi cambiamenti e alle sue prospettive non manca. Gli osservatori sono presenti e attenti a queste dinamiche, così come le istituzioni e i soggetti del terzo settore.Rimane però una mancanza di fondo, che e poi il motivo principale di questa ricerca, che è l’attenzione al mondo femminile in tutti gli aspetti della vita sociale e familiare. In definita, la prospettiva di genere è ancora assente, la realtà viene ancora, inconsapevolmente, letta attraverso le lenti del genere maschile. Persiste l’assimilazione della specificità femminile al mondo degli uomini e, di fondo, alcuni aspetti della vita sociale delle donne (come il lavoro) sono ancora sentiti come importanti sì, ma secondari. Da ciò derivano ancora molti stereotipi che ci accompagnano, e che vediamo nel corso delle interviste, quando proviamo a leggere i problemi con le lenti della differenza di genere. Ciò significa che non è che proprio nessuno si ponga il problema, come questa stessa ricerca dimostra, ma ...

Avevamo pensato di fare un altro convegno per fine anno e ci eravamo chiesti se aggiornare i dati o fare un focus sulla questione di genere, mi dispiace ma abbiamo optato per la prima. (Int. 4 M).

161

LA RICERCA QUANTITATIVA COMUNE DI CERNUSCO SUL NAVIGLIO

Per la realizzazione dell'indagine quantitativa sono state effettuate 160 interviste telefoniche a donne in età 20-65 anni residenti nel comune di Cernusco Sul Naviglio.Le interviste sono state distribuite proporzionalmente al peso di ciascuna classe di età sulla popolazione femminile di Cernusco Sul Naviglio, secondo i dati Istat 2010. La seguente tabella schematizza lo schema di campionamento:

Tab. 8 – Schema di campionamento

20-29 anni 30-39 anni 40-49 anni 50-59 anni 60-65 anni Totale

Cernusco Sul Naviglio 20 37 42 31 20 150

Qui di seguito riportiamo i risultati più salienti dell'indagine che si presenta molto più ricca e complessa.

Il campione di donne che ha risposto ai nostri questionari presenta un’età media di 44 anni, con titolo di studio prevalentemente di scuola superiore (39%), coniugate (74%), conviventi con figli e partner (49%). Il 72% ha figli (media 1,3 figli per donna sovrapponibile al dato nazionale) di cui il 44% minori di 14 anni.

Fig. 8 – Luogo di nascita e età

171

26%

29%

8%

8%

26%

3%

Cernusco Sul Naviglio

Milano

Altro comune provincia diMilano

Altro comune regioneLombardia

Altra regione italiana

Stato Estero

27%

21%

14%

12%

26%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

60-65 anni50-59 anni40-49 anni30-39 anni20-29 anni

Età media:

44,0 anni

Fig. 9 - Titolo di studio e stato civile

il 41% di esse dichiara di essere occupata, dato che si mostra di molto inferiore alla media provinciale che vanta un tasso di occupazione femminile pari al 59,3% (Direzione Provinciale del Lavoro di Milano, 2010; Oldrini, 2011); il 28% è casalinga, il 17% pensionata, il 5% studia, un 4% si dichiara in cerca di occupazione e un altro 4% è disoccupata. Per la tipologia contrattuale delle lavoratrici, prevalgono sia il tempo indeterminato (52%) sia il tempo pieno (48%); il lavoro a tempo parziale è praticato dal 25% del campione e ricalca la media nazionale che è del 27% nel 2009. Da questi dati si evidenzierebbe una situazione occupazionale femminile nel comune di Cernusco S/N, sostanzialmente stabile e ancora poco incanalata in lavori cosiddetti “atipici”, come già si osserva per il territorio Est-Milano, sebbene i tassi di occupazione non rivelino una percentuale elevata.

Fig. n. 10 - Situazione occupazionale

Occupazione Tipo di contratto

181

0%

4%

26%

15%

39%

16%

Nessuno

Licenza elementare

Licenza media

Diplomaprofessionale

Diploma scuolamedia superiore

Diplomauniversitario/laurea

19%

3%

3%

1%

74%Coniugata

Nubile

Vedova

Separata/divorziata

Convivente

1%

1%

4%

4%

5%

17%

28%

41%Occupata

Casalinga

Pensionata

Studentessa

In cerca dioccupazione

Disoccupata

Non ho bisognodi lavorare

Altro

3%

8%

15%

25%

48%

52%Tempo indeterminato

Tempo pieno

Tempo parziale

Tempo determinato

Partita IVA

A progetto

Fig. 11 - Posizione/ruolo professionale

Per meglio comprendere le ricadute della crisi sulle donne e sulle famiglie, abbiamo posto alcune domande relative ai ruoli di genere interni alla famiglia. Alla domanda “chi si occupa prevalentemente del lavoro familiare durante la settimana, 145 donne su 160 (il 91%) ha risposto “io”. Questo dato ci fa quindi pensare a una gestione della casa e della famiglia a forte connotazione tradizionale, stando ai ruoli di genere.

Fig. 12- lavoro familiare

Nel nostro campione i percettori di reddito per ogni famiglia sono due nel 53% dei casi, uno nel 42% e tre o più nel 5% dei casi; il 87% abita nella casa di proprietà e il 6% possiede altre case; il 65% possiede un’automobile e il 28% ne possiede 2; il 64% detiene un personal computer; il 49% possiede un televisore mentre il 48% ne possiede due o più. Il 56% delle intervistate può permettersi una sola vacanza l’anno, il 14% può permettersene due e il 6% tre o più, ma ben il 23% di esse non va mai in vacanza.

191

1%

3%

5%

7%

24%

91%Io

Il mio partner

Mia madre

I miei genitori

Domestica/o

Mio padre

3%

1%

1%

5%

5%

6%

14%

23%

42%Direttrice, quadro, impiegata

Operaia, commessa

Insegnante, ricercatriceDirigente, imprenditrice, libera

professionistaLavoratrice autonoma

Operatrice sanitaria

Collaboratrice domestica

Assistente familiare

Altro

Fig. 13 - percettori di reddito e beni posseduti

Quanti sono i percettori di reddito nella sua famiglia?

Quando parliamo di riduzione delle spese familiari negli ultimi cinque anni, al di là del reddito e dei beni posseduti, le risposte del nostro campione di donne indica delle considerevoli riduzioni di spese proprio a partire da quelle relative alle vacanze (57%), seguono le spese per l’abbigliamento (56%) e per l’alimentazione (27%). E’ evidente che i tagli più sostanziosi sono indirizzati ai beni ritenuti più superflui sebbene i tagli agli alimenti lasciano pensare ad una fascia di persone in più serie difficoltà economiche. D’altra parte a Cernusco si evidenzia un gruppo di popolazione agiata che, in questo caso, dichiara di non aver effettuato alcuna riduzione alle proprie spese (29%).

Fig. 14 - riduzione delle spese

Quante vacanze/viaggi la sua famiglia fa in un anno?

Rispetto all’autovalutazione del proprio tenore di vita, l’83% delle donne intervistate lo definisce medio, il 14% lo ritiene basso e agli estremi troviamo il 2% che ritiene di avere un tenore di vita

202

5%

53%

42%

0%Nessuno

1

2

3 o più

48%

49%

19%

64%

28%

65%

6%

87%La casa in cuiabita

Altre case

Un'automobile

2 o piùautomobili

1 PC

2 o più PC

1 televisore

2 o piùtelevisori

La sua famiglia possiede … (più risposte)

1%

23%

6%

14%

56%1

2

3 o più

Nessuna/o

Mandiamo invacanza solo i

bambini/ragazzi 2 9 %

1 %

3%

27%

56%

57%Vacanze

Abbigliamento

Alimentazione

Studi

Altro

Nessunariduzione

Negli ultimi 5 anni ha dovuto ridurre delle spese relative a…? (possibili più risposte)

alto e il 1% che ritiene di averlo molto basso; il 39% del campione dichiara, infine, che sia peggiorato negli ultimi 5 anni e nessuna indica un miglioramento.

Fig. 15 - percezione del proprio tenore di vita

Come definisce l'attuale tenore di vita della sua famiglia?

Nonostante le riduzioni di spese e la percezione del peggioramento del proprio tenore di vita, le nostre intervistate dichiarano di non aver dovuto rinunciare a scelte di vita importanti (74%) come la maternità, il matrimonio, lo studio; il 9% dichiara di aver rinunciato all’acquisto della casa.

Fig. 16 – incidenza della crisi su alcune scelte di vita importanti(possibili più risposte)

Rispetto alla domanda relativa alla percezione del proprio futuro, il 45% delle donne lo vede sereno, il 36% incerto, il 15% difficile e solo l’1% agiato. Queste percentuali sono sovrapponibili a quelle relative al futuro della propria famiglia, a sottolineare il fatto che le donne sovrappongono quasi sempre il sé individuale con il sé familiare.La situazione cambia, però, considerevolmente, nella distribuzione dei dati con lo stato civile delle intervistate, dove il futuro appare ben più incerto per le nubili (58,1%) che, ricordiamo, appartengono quasi tutte alla fascia più giovane, rispetto alle coniugate (30,5).

212

1%

14%

83%

2%Alto

Medio

Basso

Molto basso

39%

61%

0%Migliorato

Rimastoinvariato

Peggiorato

Negli ultimi 5 anni il tenore di vita della sua famiglia è… ?

74%

11%

1%

1%

1%

1%

2%

3%

9%Rinunciare all'acquisto della casa

Rinunciare a terminare gli studi

Rinunciare o rimandare il matrimonio delproprio figlio/figlia

Rinunciare o rimandare il propriomatrimonio

Rinunciare ad avere un figlio

Rimandare la ricerca di un figlio

Rimandare o rinunciare al 2°/3° figlio

Altro

No, nessuna rinuncia

Fig. 17- percezione del proprio futuro e di quello familiare

Rispetto all’ultima domanda su cosa chiedono alle istituzioni, troviamo che le intervistate indicano in egual misura alcuni interventi strutturali per le famiglie. Esse ritengono quindi fondamentali: il sostegno alle persone in cerca di lavoro (75%), alle famiglie con figli (74%), alle giovani coppie (68%); il sostegno economico alle famiglie (61%); un incremento dei servizi sociali (50%), dei servizi per gli anziani (48%) e dei servizi per l’infanzia (39%).

Fig. 18 - intervento delle istituzioni in sostegno alle famiglie che fronteggiano la crisi(possibili più risposte)

Approfondimento: il focus group

A conclusione del lavoro di ricerca abbiamo realizzato due focus group con alcune donne che avevano partecipato alla ricerca quantitativa e che avevano dato la loro disponibilità per un focus di approfondimento. Hanno partecipato, in tutto dieci donne tra i 40 e i 62 anni, tutte lavoratrici, una pensionata, coniugate con figli, una donna separata con una figlia e una nubile. Come già sperimentato in altre occasioni di ricerca, anche in questa emergono una grande ricchezza riflessiva e analitica delle donne, sempre disposte a mettersi e rimettersi in gioco.

222

4%

2%

39%

48%

50%

61%

68%

74%

75%Aiuto alle persone in cerca dilavoro

Sostegno alle famiglie con figli

Sostegno alle giovani coppie

Sostegno economico alle famiglie

Più servizi sociali

Più servizi per gli anziani

Più servizi per l'infanzia

Alt ro

Nessun intervento

3%

15%

36%

45%

1%Agiato

Sereno

Incerto

Difficile

Non so 4%

12%

39%

45%

0%Agiato

Sereno

Incerto

Difficile

Non so

Il lavoro e il vissuto della crisi

Per tutte le partecipanti il lavoro è il primo fattore che viene in mente quando si parla di crisi.

La mancanza di lavoro è la prima cosa che mi viene in mente, soprattutto la perdita del lavoro a una certa età e non riuscire a trovarne un altro. (5 F)

e se ne indicano, come abbiamo già visto nei paragrafi precedenti, con chiarezza i tempi e i modi:

la stessa azienda dove lavoro io ha avuto una crisi molto forte e molte persone sono rimaste a casa, nel 2008-09, nel 2010 forse si comincia adesso a risalire un po’ la china (5 F).

Il problema del lavoro è altresì declinato sia in termini generazionali,

ma non soltanto per quelli come me, della mia età, ma anche per chi ne ha 30-35. La prima cosa è quella. Poi ci sono altre cose ma ciò che colpisce di più la famiglia è quello. (5 F).

sia rispetto alla questione di genere, cioè vengono subito sollevate le problematiche legate alle tipologie del lavoro femminile.

Ho potuto vedere a scuola di mia figlia, molte mamme hanno perso il lavoro, soprattutto quelle che facevano part-time, nell’ultimo anno e mezzo tantissime persone sono rimaste a casa con molte ripercussioni psicologiche, di sicurezza per la famiglia perché non è solo un secondo stipendio [quello della donna] ma un contributo fondamentale per la famiglia. (3 F).

Con più forza e amarezza si parla delle assurde tipologie contrattuali che colpiscono e “umiliano, i giovani e le donne. Spiega questa partecipante:

In questi giorni stiamo cercando una sostituzione maternità nel nostro ufficio ed è desolante vedere tanti giovani laureati, capaci, essere trattati come della merce, veramente! Nel senso che oggi abbiamo fatto il colloquio a una ragazza con un buon diploma, ha molta voglia di lavorare, si vede, una ragazza sveglia, costretta a subire contratti a tempo determinato di 2 settimane, senza nessun genere di sicurezza e di orizzonte, addirittura di un giorno rinnovabile con un altro giorno che mi chiedo come possa esistere forme contrattuali di questo tipo, poi sempre con la stessa azienda per due anni di fila. Come possono esistere queste cose? (3 F).

Il ragionamento è profondo, non colpisce solo l’aspetto economico, ma qui si parla di dignità, di rispetto, di considerazione di sé e degli altri.

Vorrei portare una testimonianza privata, però… lei ha 27 anni e lavora mezza giornata presso uno spedizioniere, ha la laurea in filosofia e in psicologia, però si sta dannando l’anima perché pur dando tutta la disponibilità, come altre persone, non riesce a trovare niente di decente, e la cosa che la umilia di più, lei e tutti gli altri, è proprio l’essere trattata in questo modo. (5 F).

La crisi viene anche sentita e declinata in maniera complessa, con il coinvolgimento di molti aspetti della vita di ognuna:

a me la parola crisi evoca non soltanto la crisi economica ma anche un momento di difficoltà, che può essere di tipo economico, familiare, sociale. Sicuramente se parliamo dal punto di vista sociale, oggi il lavoro è uno dei perni principali. (2 F).

Il lavoro, soprattutto per le donne, significa “altro” e si parla di indipendenza e di scelta.

La crisi è un momento di rottura di un equilibrio esistente. La mancanza di lavoro determina la perdita di uno stipendio, quindi la rottura di un equilibrio e a cascata tutti gli altri. Il lavoro, infatti, non è solo la necessità di lavoro (…) ma anche perché l’indipendenza economica comporta autonomia di sé stessi e autonomia mentale cioè l’equilibrio di sé stessi. Secondo me la crisi è proprio un’alterazione degli equilibri. (4 F)

232

Ovviamente, è inevitabile il riferimento alle politiche sociali italiane che non supportano abbastanza le donne e gli uomini nella conciliazione tra impegni lavorativi e impegni familiari.

Tornando sulle “fantasiose” tipologie contrattuale del nostro mercato del lavoro, ci chiediamo perché in assenza di lavoro si assume ugualmente ma con contratti capestro, indignitosi, svilenti per le persone e per i/le professionisti/e. Ecco le riflessioni delle nostre partecipanti:

Il problema è che il lavoro c’è però le aziende seguono delle scorciatoie per non seguire la legge, per risparmiare, per sfruttare al massimo quello che ho in mano però senza dar alcuna garanzia … però ci sono le leggi che lo permettono! (2 F).

Ma fanno di peggio, sfruttano le leggi esistenti: io ho toccato con mano il caso di aziende che hanno messo in cassa integrazione per non licenziare e anche quando il lavoro è ripreso hanno continuato con la Cassa Integrazione, ritardando le commesse … , pur di non riassumere regolarmente i lavoratori. (5 F).

Assodato che la crisi economica, con tutto ciò che ne consegue, è un dato reale, chiedo se, secondo loro, le donne ne pagano le spese più alte. La condizione non paritaria delle donne emerge da quasi tutti gli interventi, a conferma di quanto abbiamo già potuto vedere nei capitoli precedenti, riguardati sia le analisi quantitative sia quelle qualitative.

Le donne non sono pari, per il fatto stesso che nella donna già vedono il problema delle maternità … a parità di titolo preferiscono assumere un uomo, secondo me. La donna determina sempre più problematiche, maternità, famiglia. Noi siamo sempre più sfaccettate ma siamo dei diamanti invece che pietre grezze come altri [sorride]. Dobbiamo rivestire talmente tanti ruoli che quando il datore di lavoro si trova di fronte due candidati, si pensa sempre che i problemi della maternità della cura possano essere trasferiti sul posto di lavoro. (4 F).

Il problema culturale

Le nostre partecipanti non dimenticano gli aspetti culturali e sociali che sono alla base di una pratica discriminatoria nei confronti del genere femminile. Seguono così le linee del loro discorso:

Per principio le donne sono maggiormente discriminate, da sempre, è un modo di pensare … e noi forse l’abbiamo accettato come conditio sine qua non, poi col tempo, per fortuna, le cose sono cambiate ma c’è ancora molto da fare. Forse abbiamo cominciato a dire qualche volta di no e a non accettare determinate cose. Per cambiare la mentalità perché non ci sia più questo pregiudizio penso occorra ancora molto tempo. (5 F).

Si chiamano in questione i media e i modelli di comportamento che questi richiamano:

Io penso che l’Italia abbia da questo punto di vista un grosso problema culturale perché le televisioni, una certa politica, abbia dato un carico da undici, un progetto che è partito con [nomina una TV privata], ci hanno reso tutti uguali. Purtroppo c’è un’intera generazione che è appiattita su quello. (3 F)

Purtroppo i modelli sono quelli dati dai media che i nostri giovani seguono con troppa non chalance.(2 F)

La percezione oggettiva della crisi economica a Cernusco

La discussione sulla percezione della crisi nel contesto cernuschese, ricalca un po’ quanto già evidenziato dagli stakholders e dall’analisi quantitativa. Si evidenziano così i problemi delle persone sole, più adulte con un reddito non alto, E quelli delle famiglie con figli:C’è poi una visibilità della crisi che si conta, come già abbiamo visto prima, nei bisogni e nelle richieste degli altri :

A scuola si fa il dona-cibo, i bambini vengono invitati a portare degli alimenti, è una specie di banco alimentare. Ecco, è quasi raddoppiato il numero di famiglie che si avvale del dona-cibo. (3 F).

Ma emergono anche le situazioni più difficili,

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Io porto la mia testimonianza. Io sono da sola con mia figlia, sono 10 anni che non faccio le ferie, vivo con lo stipendio di mezza giornata, mia figlia lavora mezza giornata forse lei qualche giorno riesce a farlo però preferisco che lo faccia lei e non lo faccio io. E’ vero che io arrivo a fine mese e faccio i salti mortali per fare la spesa perché sono abituata a non sprecare. Detto questo non è piacevole vivere così. (5 F)

Crisi, gestione familiare e rinunce

Ognuna delle partecipanti illustra un problema legato alla gestione familiare, spesso messa in difficoltà dalla crisi economica e dall’aumento dei prezzi.

… rispetto alla spesa, io pensavo, un po’ di anni fa io facevo anche la scorta, adesso vai con la lista della spese perché poi alla fine del mese pesa se hai acquistato più di quanto ti serviva. (2 F)

Oppure si è costretti a rinunciare a un sogno, un desiderio. Si organizza la propria vita in base alle risorse che si hanno a disposizione:

Un’altra cosa, quando mi sono sposata 14 anni fa con mio marito si diceva, ah se uno o l’altro prendesse questa cifra l’altro potrebbe anche stare a casa e magari fare delle attività, per esempio lui ha sempre sognato di insegnare in una palestra (…) Io oggi prendo esattamente la stessa cifra di 14 anni fa e non potrei mai …! (3 F).

Abbiamo anche chiesto quali categorie e gruppi sociali soffrono maggiormente la crisi economica e le risposte prevalenti hanno riguardato gli anziani, per la situazione contingente:

Per me sono gli anziani e i giovani. Gli anziani perché prendono pensioni minime, sono quasi sempre in affitto, sono soli e se non c’è un figlio che li aiuta sono davvero in difficoltà. (4 F).

E poi i giovani, in prospettiva. Il problema della disoccupazione giovanile viene anche letto in maniera più complessa e nelle stesse dimensioni strutturali dello stato.

Infine, rispetto al modo di affrontare la crisi, anche in senso lato, individuano atteggiamenti e vissuti diversi tra uomini e donne, aspetti che abbiamo già sentito spiegare da altri interlocutori. Si sottolinea la fragilità maschile nella gestione degli aspetti legati al lavoro, ma anche alla famiglia, e l’ecletticismo, la capacità femminile di fronteggiare (magari perché non c’è nessun altro che lo fa o che è capace di farlo) ogni tipo di situazione critica. Forse perché abituata a farlo, fin da piccola.

Noi forse abbiamo una capacità di adattamento maggiore rispetto agli uomini. O forse non accettano [gli uomini] di rimettere tutto in discussione e cominciare daccapo. (5 F).

Istituzioni: aiuti e sostegni

Per motivi diversi, dettati dalla propria condizione di lavoratrice, madre, pensionata, vengono sollevate alcune critiche alle istituzioni locali. Rispetto però alle misure prese dall’amministrazione rispetto alla crisi economica e al sostegno alle famiglie, non si sa molto. Si evidenziano, più che altro, i disagi della propria vita quotidiana che vanno dalle strutture per i bambini ai servizi e alle infrastrutture del quartiere,

Il futuro

Come sempre alla fine di questo tipo di indagine chiudiamo con le suggestioni dei partecipanti sul futuro, sia soggettivo sia oggettivo. Ciò che emerge dagli interventi di queste donne, che ricalca quanto abbiamo già scoperto con l’indagine quantitativa, sono delle preoccupazioni e qualche velato auspicio. Ovviamente questo dipende anche dalla condizione socio-demografica personale:

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cerco di non pensarci [al futuro], tanto non c’è prospettiva di cambiamento, per me cosa vuoi che ci sia sono pensionata, anzi peggio spero di non ammalarmi perché o vai dal medico o fai la spesa all’esselunga … andare dal dermatologo mi è costato come la spesa mensile all’esselunga (1 F].

Béh anch’io vedo nel futuro delle difficoltà perché con tre bambini, e una famiglia da mantenere non sarà facile con queste prospettive, per dare un futuro almeno a loro … (2 F).

Però c’è chi ha le idee chiare e la consapevolezza che il cambiamento bisogna crearlo, costruirlo:

io auspico un cambiamento, io spero che noi tutti cominciamo a prendere in mano la situazione, a prenderci delle responsabilità. Certo parlano bene tutti ma quando c’è da aumentarsi lo stipendio di 1200 euro [si riferisce ai parlamentari], l’hanno fatto, tutti d’accordo ed è passato sotto silenzio, l’abbiamo saputo attraverso i canali alternativi e questo è un modo. Deve esserci però una presa di coscienza da parte della società civile. (4 F).

A questa sollecitazione anche le altre partecipanti intervengono con maggiore determinazione, sottolineando, infatti, la necessità della partecipazione dei cittadini alla vita sociale e politica, locale e nazionale, per intervenire nelle decisioni ma anche, per produrre il cambiamento culturale e si chiedono impegni precisi alle istituzioni, a partire dalla dignità e senso di responsabilità civile:

prima di tutto avere dignità loro perché non ce l’hanno e ci prendono in giro in modo palese e arrogante. Noi non viviamo in una società che dovrebbe garantire tutta una serie di servizi che noi non abbiamo. Noi viviamo in una società che si arrabatta. Oggi vengono calpestati tutti i diritti conquistati anche col sangue. (4 F).

E poi si chiedono azioni concrete, come il mettere a disposizione spazi e creare occasioni d’incontro:

io ho apprezzato molto questa serata, sono venuta apposta per avere un confronto anche con le altre. Bisogna continuare così … (2 F).

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