Crisi del 29 e grande depressione: la tesi monetarista

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1 Crisi del 29 e Grande Depressione La tesi monetarista (Friedman e Schwartz) § Indice 1. Abstract 2. Le cause principali del crollo 3. Il crollo di Wall Street 4. La Grande Depressione e il New Deal 5. L’interpretazione monetarista 6. Grafici e tabelle 7. Bibliografia

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Interpretazione monetarista (Friedman-Schwartz) della Crisi del 29 e della grande depressione

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Crisi del 29 e Grande Depressione

La tesi monetarista (Friedman e Schwartz)

§ Indice

1. Abstract 2. Le cause principali del crollo 3. Il crollo di Wall Street 4. La Grande Depressione e il New Deal 5. L’interpretazione monetarista 6. Grafici e tabelle 7. Bibliografia

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§1 Abstract

Il lavoro che si intende proporre analizza in maniera sintetica le fondamentali cause della crisi del 29: viene quindi brevemente esposto il crollo di wall street nei suoi momenti salienti fino ad arrivare alla grande depressione da questo provocata e sviluppatasi a livello internazionale.

La chiave interpretativa privilegiata è stata quella proposta da Friedman-Schwartz, interpretazione messa, poi, a confronto con le principali teorie che la letteratura ci ha fornito a riguardo della tematica affrontata.

§2 Le Cause principali del crollo:

1. Cause reali: derivanti da alcuni aspetti caratteristici del boom economico degli anni ruggenti (1920): a. Alimentazione di eccessive aspettative positive; b. Eccessivo aumento delle scorte di magazzino a livello industriale (Fordismo, Taylorismo→

aumento della produttività); c. Notevole incremento positivo del settore industriale, edile, petrolifero; si ha quindi un aumento

del profitto a livello economico aggregato che ha generato eccessive aspettative positive; d. Gli Stati Uniti diventano, dopo la Prima Guerra Mondiale, da Paese debitore a paese creditore; e. 1928: primi segnali di debolezza del sistema economico:

i. Calo della produzione -20%, prezzi -7%, reddito industriale -5%1 ii. Il sovrainvestimento aveva generato il sottoconsumo, ovvero la concentrazione del

reddito verso il mercato dei capitali aveva generato una riduzione dei consumi.

2. Cause Finanziarie: causa principale è stata la speculazione alimentata da inefficienze di mercato come: a. Margin buying: un sistema che permette agli investitori di acquistare i titoli a credito con la

semplice anticipazione di un margine iniziale; b. Presenza di trust, i quali negoziavano in maniera sistemica grandi volumi di azioni con una bassa

capitalizzazione facendo quindi grande ricorso alla leva finanziaria, contribuendo significativamente alla crescita dei prezzi;

c. Difficoltà nella valutazione dei fondamentali: in altri termini la difficoltà nel calcolo del rapporto tra il valore corrente di un’azione e capacità di un’impresa di mantenere il livello del dividendo abbastanza a lungo da pareggiare il prezzo di acquisto. Questo tipo di valutazione portava ad una crescita delle aspettative eccessive ancor prima che l’impresa avesse conseguito sufficienti profitti;

d. Indebitamento eccessivo: nel 1929 raddoppia l’indebitamento degli agenti di borsa (da 4 a 8 md$2) favorito da politiche monetarie precedenti al 1928 (bassi tassi di interesse, basse riserve obbligatorie per le banche) che avevano facilitato l’accesso al credito3.

3. Politica monetaria: a. Aumento dei tassi (1928→ politica restrittiva)4: la Federal Reserve ha alzato i tassi prima della

crisi per poter contenere l’eccessivo indebitamento ed evitare l’eccesso speculativo, sebbene tale scelta non fosse necessaria per l’economia reale;

1 Dati tratti da: Kindleberger, La grande depressione del mondo 1929-1939. 2 Ibid. 3 Secondo Y. Cassis, Le capitali della finanza: negli USA il passivo privato netto è passato dai 3 md$ circa del 1913 a un attivo netto di 4,5 md$ nel 1919. 4 Vedi Grafico 2, cfr. con Grafico 3 e Grafico 4, Friedman, Schwartz, Monetary History of the United States 1867-1960.

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b. Stabilizzazione della moneta5 e pareggio di bilancio: la sterlina era stata sopravvalutata rispetto al dollaro, il franco era invece stato sottovalutato dalle politiche monetarie dei rispettivi governi.

4. Politica economica: adottate durante le presidenze di Harding, Coolidge e Hoover a. Leggi a favore dei sistemi: bancario, industriale e finanziario:

i. Riduzione politica antitrust e quindi riduzione della concorrenza; ii. Processo di concentrazione a favore dei grandi gruppi industriali e finanziari; nel 1929

200 imprese controllano più del 50% del sistema industriale americano.

5. Politica fiscale: a. Riduzione delle tasse sul reddito; b. Contenimento della spesa pubblica, che viene ridotta al 3% del PIL nel 1929; c. Pareggio di bilancio: diminuiscono sia G che T.

6. Politica antisindacale:

a. Dinamica salariale contenuta da una legislazione severa contro i lavoratori: la Federazione Americana del Lavoro passa dai 5,1 ai 3,4 milioni di iscritti.

7. Politica tariffaria: durante gli anni 20 i repubblicani perseguono politiche a difesa delle imprese nazionali: a. Presenza di dazi su beni di importazioni sia agricoli che industriali→ ↓importazioni b. Ritorsioni estero: 1929-1933 importazioni -66%.

§3 Il crollo di Wall Street6

I giorni peggiori furono i cosiddetti “giovedì nero” (24 ottobre 1929), “lunedì nero” (28 ottobre) e “martedì nero” (29 ottobre):

Giovedì nero 24 ottobre 1929: 13 milioni di azioni furono messe in vendita a prezzi sempre più bassi, senza trovare acquirenti. All’una del pomeriggio diversi banchieri di Wall Street si riunirono e decisero di intervenire comprando diverse azioni a prezzi molto più alti rispetto a quelli a cui venivano scambiate in quel momento. I banchieri riuscirono a contenere il crollo e nel pomeriggio vi fu una notevole ripresa che ridusse parzialmente la caduta, che si attestò al 12% in un solo giorno.

Lunedì 28 settembre la situazione si aggravò ulteriormente e la cosa più rilevante non fu il fatto che la borsa perse un ulteriore 13%, bensì che le banche si erano arrese e non avrebbero più fatto nulla per rimediare. Quel giorno i banchieri tornarono a riunirsi alle 16:30 e si limitarono ad affermare che non è compito delle banche mantenere un determinato livello dei prezzi, bensì organizzare adeguatamente il mercato in modo tale che domanda ed offerta si allineino su un determinato livello di prezzi.

5 La parola chiave degli anni venti era stabilizzazione: l’idea inglese per esempio era quella di riacquistare il tasso di cambio prima della guerra e stabilizzarsi con il dollaro grazie a una rivalutazione (AA’). Così facendo l’Inghilterra creò disoccupazione per la riduzione della produzione. Per favorire il ritorno della produzione ai livelli precedenti furono intraprese adeguate politiche monetarie, contrapposte a politiche fiscali (DD’). Nell’aprile del 1925 ci fu il ritorno ufficiale al Gold Standard con il tasso di cambio precedente di 4,86$ per sterlina. Attualmente si ritiene che tale decisione provocò una sopravvalutazione della moneta britannica [Grafico 1]. 6 Fonti: Fernando Trias De Bes, L’uomo che scambiò la sua casa con un tulipano; Kindleberger, La grande depressione del mondo 1929-1939.

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Martedì 29 ottobre: in quel giorno furono scambiati 16,4 milioni di azioni (un volume giornaliero che non sarebbe stato raggiunto nuovamente fino al 1969, ben quarant’anni dopo). L’indice Dow Jones perse un ulteriore 12%. La Borsa fece volatilizzare 14 milioni di dollari in un giorno e 30 milioni in una settimana.

Uno degli elementi scatenanti del crollo fu determinato dal ritiro dei fondi esteri prestati agli agenti di borsa, ma questo non era altro che un effetto collaterale della forte pressione che nei mesi precedenti aveva caratterizzato i mercati monetari con i vari aumenti dei tassi di sconto. La realtà fu ben diversa ed è ben espressa dalle parole di Friedman tratte da Newsweek del 25 maggio 1970:

“Il crollo della borsa del 1929 fu un evento importante, ma non causò la depressione, né fu uno dei fattori che maggiormente contribuirono ad acuirla.... In generale, qualunque cosa succeda in un mercato di titoli non può dar luogo ad una grande depressione, salvo che determini un crollo monetario, o che questo fenomeno si verifichi contemporaneamente”.

Dopo il crollo della borsa la tendenza internazionale fu quella di alleggerire la pressione diminuendo i tassi ufficiali di sconto. In realtà questo calo dei tassi di interesse non favorì l’aumento dei finanziamenti in quanto venne controbilanciato da una forza maggiore, ovvero la deflazione.

§4 La Grande Depressione e il New Deal

Le conseguenze della crisi e l’avvio della depressione Le conseguenze della crisi furono la caduta della produzione, il collasso del commercio mondiale e l’aumento della disoccupazione. “La produzione industriale mondiale diminuì del 36% tra il 1929 e il 1933, gli scambi commerciali mondiali crollarono del 25% in volume e del 48% in valore, i prezzi dei manufatti caddero del 26% e quello delle materie prime del 56%7. Tra il 1930 e il 1933, nei due paesi più colpiti dalla crisi, Germania e Stati Uniti, il tasso medio di disoccupazione fu rispettivamente del 34,2% e del 28,4%8”.

Gli Stati Uniti Kindleberger afferma che il crollo della borsa valori nell’ottobre del 29 contribuì ad acuire la crisi. La sua tesi è supportata da alcuni elementi:

Il panico della liquidità, ovvero la necessità di monetizzare il più possibile tramite la vendita delle scorte e la riduzione drastica della spesa, e quindi di conseguenza della produzione;

Il crollo dei prezzi: a. Degli immobili garantiti da ipoteche non più rinnovabili b. Delle materie prime (tra cui frumento, caffè, cacao, gomma e seta).

Il crollo delle importazioni, quasi in parallelo con quello della borsa, in quanto derivante da un errato metodo di registrazione degli ordini, i quali venivano registrati prima della consegna e che quindi al momento del crack generarono l’annullamento di molte ordinazioni già riportate a bilancio.

Il crollo della borsa generò la riduzione della produzione e delle scorte (preferenza per la liquidità), il calo del prezzo dei titoli si riverberò sul mercato delle merci comportando una riduzione del valore delle importazioni. Quindi il crollo di ottobre spinse ancor più velocemente verso la deflazione.

La Germania Berlino subì duramente la crisi delle banche tedesche che vennero inizialmente colpite dall’interruzione degli afflussi di capitale estero in Germania. Successivamente, nel Luglio del 1931, le banche non ottennero più finanziamenti dalla Reichsbank che aveva diminuito le sue riserve d’oro e di valuta. Il governo tedesco ordinò la chiusura delle banche per due giorni e introdusse controlli sui cambi limitando la libera

7 Vedi Tabella 1, tratta da Kindleberger, La grande depressione del mondo 1929-1939. 8 Y. Cassis, Le capitali della finanza.

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circolazione dei capitali: di fatto la Germania abbandonò il gold standard. Si mise in atto un processo di nazionalizzazione delle banche ed in particolare fu fondata la Akzept-und Garantiebank per creare credito a favore delle banche commerciali.

Londra e la fine del gold standard Inizialmente le Merchant Bank furono colpite duramente per la contrazione dei traffici internazionali. I controlli sui cambi stabiliti dalla Germania peggiorarono la situazione. La sterlina, considerata sopravvalutata, perse progressivamente fiducia, in particolare nel 1929 e successivamente nel 1931, anno in cui si manifestò una crisi politica che portò il 21 settembre del 1931 il governo britannico a sospendere la convertibilità aurea della sterlina; l’Inghilterra fu seguita da venticinque paesi tra cui in prima linea quelli appartenenti all’Impero britannico. L’abbandono del gold standard segnò negativamente il prestigio della City. Le Riforme del New Deal Nell’estate del 1932 il presidente Hoover ordinò un’inchiesta sul funzionamento del mercato dei titoli che durò due anni e diede origine ad un rapporto che influenzò negativamente l’opinione pubblica. A questo punto furono introdotte delle riforme radicali: nel 1933 furono approvate due leggi, una che riguardava il mercato dei capitali (Securities Act) e che tendeva ad aumentare le informazioni e la trasparenza sui titoli negoziati in borsa, l’altra che riguardava le banche (Banking Act) e che decretò la separazione tra attività di banca commerciale e attività di investment banking, oltre che ad introdurre l’assicurazione sui depositi. §5 L’interpretazione monetarista (Friedman e Schwartz) Tra le varie interpretazioni della crisi del 29 che la letteratura comune ci propone, quella monetarista di Friedman e Schwartz, rappresenta la più attendibile in quanto identifica i pericoli derivanti da un utilizzo scorretto ed inopportuno della politica monetaria. Nel 1936, Friedman e Schwartz pubblicano un libro molto influente sulla storia monetaria degli Stati Uniti, Monetary History of the United States 1867-1960. Gli autori sostengono che negli anni 20 non c’è stata alcuna espansione eccessiva del credito e che la gravità della crisi dipende dagli errori di politica monetaria commessi durante e dopo la crisi borsistica del 1929. Il monetarismo di Friedman e Schwartz promuove il messaggio politico che una politica monetaria espansiva sia sufficiente a far fronte alle crisi finanziarie. I monetaristi non pongono dunque sotto accusa il sistema capitalista e attribuiscono alla politica monetaria le principali responsabilità in merito alla gravità della depressione. Evidenziando gli errori commessi dalla Federal Reserve, l’ex governatore Ben Bernanke, chiude così il suo discorso di celebrazione del novantesimo compleanno di Friedman: “I would like to say to Milton and Anna: Regarding the Great Depression. You’re right, we did it. We’re very sorry. But thanks to you, we won’t do it again”. Friedman e Schwartz non sostengono che un’errata politica monetaria sia la causa della crisi, quanto piuttosto che essa costituisca un fattore che anticipa l’insorgere della crisi e che ne amplifica gli effetti: una sorta, quindi, di catalizzatore della crisi. Nel 1928 la Federal Reserve avvia una politica monetaria restrittiva (aumento dei tassi)9 che si protrae fino al crollo di borsa dell’ottobre 1929. Gli autori sostengono che le condizioni reali e monetarie non richiedevano alcuna misura restrittiva: la crescita della moneta era sotto controllo e non c’erano serie spinte inflazionistiche nell’economia reale, anzi i prezzi delle materie prime stavano scendendo10. La stretta monetaria avvia una recessione nell’agosto 1929 che inverte le aspettative ottimistiche sui mercati: questa

9 Vedi nota 4: Vedi Grafico 2, cfr. con Grafico 3 e Grafico 4, Friedman, Schwartz, Monetary History of the United States 1867-1960. 10 Vedi la Tabella 1.

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stretta monetaria è in definitiva la causa della crisi valutaria internazionale che porta alla crisi della sterlina del 1931 e ai successivi attacchi speculativi contro il dollaro. Ma ancor più grave è la scelta della Federal Reserve di rispondere a questi attacchi con una nuova stretta monetaria. In piena recessione, dinanzi alla scelta tra economia reale e rigore monetario, la banca centrale americana privilegia senza scrupoli il mantenimento della convertibilità, sacrificando produzione e occupazione. Estendendo l’analisi anche ad altri paesi, Friedman e Schwartz traggono la conclusione che la durezza della crisi economica nei vari paesi è positivamente correlata alla difesa della convertibilità e alla durata del regime del gold standard. In effetti, notano gli autori, l’Inghilterra e i paesi scandinavi, che abbandonano la convertibilità nel 1931, si riprendono più rapidamente di Francia e Belgio, che fanno ogni sforzo per restare agganciati al gold standard. A conferma di questa tesi, gli autori riportano anche il caso della Cina, dove grazie al sistema argenteo non si hanno conseguenze di rilievo. Monetaristi vs marxisti L’impatto del libro di Friedman e Schwartz è importante perché ribalta la tesi marxista secondo cui le cause della grande depressione siano intrinseche al sistema: secondo Marx, la causa della crisi si basa sull’analisi della caduta tendenziale del saggio di profitto, sviluppata, in particolare, nei capitoli 13, 14 e 15 del terzo volume del Capitale. Friedman e Schwartz affermano invece che esse siano da imputarsi in gran parte alla cattiva gestione monetaria. L’implicazione che se ne trae è dunque di affinare gli strumenti di politica monetaria e non di riformare o superare il sistema capitalistico. Monetaristi vs keynesiani Se per i monetaristi le cause della grande depressione sono da attribuire agli errori di politica monetaria, per Keynes sono gli errori di politica fiscale ad aver rivestito un ruolo determinante. La principale opera di Keynes è The general theory of employment, interest and money, del 1936. Nella teoria keynesiana, il livello di produzione e di occupazione dipende essenzialmente dagli investimenti, che sono sostanzialmente determinati dalle aspettative degli imprenditori, le quali sono per lo più irrazionali, essendo influenzate dal grado di ottimismo/pessimismo circa l’andamento generale dell’economia (i così detti animal spirits). Qualora il livello di investimenti sia insufficiente ad occupare tutta la forza lavoro e le risorse produttive esistenti, si determina un equilibrio di sotto-occupazione. In questo caso, secondo l’economista inglese, l’unico modo di rilanciare l’economia è quello di aumentare la spesa pubblica, portando la domanda complessiva ad un livello compatibile con la piena occupazione. Con questo schema in mente, Keynes interpreta la gravità della depressione degli anni trenta come conseguenza delle scelte di politica fiscale: la spesa pubblica avrebbe potuto sostenere la domanda aggregata e rilanciare l’economia verso la piena occupazione; la scelta del governo americano di perseguire una politica di bilancio in pareggio, dovuta in parte anche ai vincoli imposti dal gold standard e in parte alla concezione economica dominante di tradizione liberista, ha portato invece l’economia ad assestarsi su un equilibrio di sotto-occupazione. Lo scoppio della crisi finanziaria, quindi, ha invertito rapidamente le aspettative degli investitori, consolidatesi in senso positivo durante gli anni ruggenti, durante i quali il freno alla crescita imposto dalla politica di bilancio è più che compensato dall’ottimismo degli imprenditori, sostenuto da una politica governativa in favore del grande capitale11. Critica ai monetaristi – il pensiero austriaco ripreso da Kurt Richebacher L’interpretazione austriaca è ripresa in tempi recenti da Kurt Richebacher, secondo il quale la gravità della caduta del Pil (-9% nel 1930) dimostra che le cause sono strutturali e che non possono dunque essere attribuite ad eventuali errori successivi al crollo delle quotazioni di borsa.

11 A proposito della politica fiscale adottata dagli USA nel 1920 si veda a pag. 2: Le cause principali del crollo, politica fiscale.

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La contrazione del 42% nell’offerta di moneta, su cui insiste Friedman, inizia nel 1930, dopo la crisi borsistica, e non può dunque essere la causa della recessione. Per Richebacher sono piuttosto le perdite in conto capitale derivanti dal crollo borsistico (85md$ in totale, di cui 25 causati dai primi crolli di fine ottobre – inizio novembre) a impoverire le famiglie e a far crollare i consumi, invertendo la spirale espansiva che consentiva alle famiglie elevati consumi proprio in virtù dell’aumento delle quotazioni di borsa. Ma, oltre alle perdite del potere d’acquisto dei consumatori, la crisi borsistica ha effetti sulla liquidità complessiva in circolazione. Richebacher sostiene che la liquidità non deve essere ridotta alle misure strettamente monetarie (M1, M2, M3), ma deve tenere conto delle attività finanziarie, che nella fase espansiva vengono privilegiate12 ma divengono difficilmente liquidabili in una fase di crisi. Il punto, sostengono gli austriaci, è che la creazione di credito avviene fuori dal sistema bancario. Le tesi monetariste di Friedman e Schwartz, che insistono sulla quantità di moneta, non tengono conto di questo fattore.

12 “…Un dollaro addizionale, non speso in beni e servizi ma investito nel mercato azionario, vuoi per acquistare azioni vuoi per prestare a breve, viene sottratto dalla spesa di beni reali…”, Kindleberger, Storia della finanza nell’Europa occidentale, la depressione del 1929, p 497.

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§6 Grafici e tabelle

Grafico 1

Tabella 1

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Grafico 2

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Grafico 3

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Grafico 4

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§7 Bibliografia

Cassis, Le capitali della finanza

Friedman, Schwartz, Monetary History of the United States 1867-1960.

Kindleberger, La grande depressione del mondo 1929-1939.

Kindleberger, Storia della finanza nell’Europa occidentale, la depressione del 1929

Trias De Bes, L’uomo che scambiò la sua casa con un tulipano