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SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO INDIRIZZO Letterario CLASSE A 43 DIRETTORE Prof. Franco Frabboni IL CROLLO DI WALL STREET E LA GRANDE DEPRESSIONE 1929-1938 TESI DI ABILITAZIONE ALL’INSEGNAMENTO Materia di Tesi: Didattica della storia Presentata dal Dott. Il Supervisore Francesca Bazzoni Mariangiola Asson Relatore Chiar.mo Prof./Dott. Guerrina Cinti Anno accademico 2003-2004 SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO

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SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO INDIRIZZO Letterario CLASSE A 43

DIRETTORE Prof. Franco Frabboni

IL CROLLO DI WALL STREET E LA GRANDE DEPRESSIONE

1929-1938

TESI DI ABILITAZIONE ALL’INSEGNAMENTO Materia di Tesi: Didattica della storia

Presentata dal Dott. Il Supervisore Francesca Bazzoni Mariangiola Asson

Relatore Chiar.mo Prof./Dott. Guerrina Cinti

Anno accademico 2003-2004

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER L’INSEGNAMENTO SECONDARIO

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INDIRIZZO Letterario CLASSE A 43

DIRETTORE Prof. Franco Frabboni

IL CROLLO DI WALL STREET E LA GRANDE DEPRESSIONE

1929-1938

TESI DI ABILITAZIONE ALL’INSEGNAMENTO Materia di Tesi: Didattica della storia

Presentata dal Dott. Il Supervisore Francesca Bazzoni Mariangiola Asson

Relatore Chiar.mo Prof./Dott. Guerrina Cinti Parole Chiave Scuola media classe III Unità di Apprendimento Crollo di Wall Street Grande depressione

Anno accademico 2003-2004

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IL CROLLO DI WALL STREET E LA GRANDE

DEPRESSIONE 1929-1938

INDICE

PARTE I

Introduzione p.4

1. L’economia e i rapporti globali oggi p.5

2. L’eredità della grande guerra p.9

3. Il 1929 p.11

4. L’illusione p.15

5. Il crollo p.20

6. Effetti collaterali p.27

7. Analisi delle cause p.29

8. La grande depressione p.31

9. Franklin D. Roosevelt e il New Deal p.35

10. La società americana negli anni della depressione p.39

11. Letteratura americana degli anni ‘30 p.46

12. La ripresa economica p.50

13. L’Europa prima della grande depressione p.53

14. Gli effetti della crisi sull’Europa p.55

15. L’eredità della crisi e bilancio della depressione p.61

PARTE II

Fase collaborativo-operativa p.64

Unità di Apprendimento p.66

Conclusioni p.88

Ringraziamenti p.92

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PARTE I

INTRODUZIONE

Finito il biennio della Scuola di Specializzazione all’Insegnamento

Secondario, si cercano di tirare le somme, cercare di capire cosa

veramente ci è servito e cosa invece, andrebbe ulteriormente

approfondito.

Il “mestiere” di insegnante non credo si possa imparare su manuali,

ciò non toglie che aver avuto docenti-guida in grado di trasmettere

il proprio sapere, non solo da un punto di vista teorico, ma

soprattutto pratico, sia stata un’esperienza da conservare, meditare,

applicare e, perchè no, da trasmettere un domani.

Le ore di tirocinio, le lezioni frontali e tutto il lavoro che le precede

sono stati stimoli e motivo di gratificazione professionale e

personale oltre che causa di lancinanti mal di testa e stanchezze

ataviche.

Il contatto con gli alunni e la crescita umana oltre che professionale

che sono derivate dai mesi passati hanno preso forma e parole in

questa tesi.

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IL CROLLO DI WALL STREET E LA

GRANDE DEPRESSIONE 1929-1938

1. L’ECONOMIA E I RAPPORTI GLOBALI OGGI

Nel corso del tempo il sistema economico mondiale si è

continuamente trasformato, parallelamente all’evolversi della

scienza, della tecnologia e della società.

Tali trasformazioni hanno subìto una

brusca accelerazione negli ultimi

decenni del Novecento, a partire dal

periodo della decolonizzazione, durante

il quale l’economia mondiale è divenuta

particolarmente complessa,

trasformandosi in un intreccio di

relazioni che disegnano una sorta di

enorme rete sulla superficie del pianeta.

Questo processo, sostenuto soprattutto dalle nuove tecnologie

informatiche, dalle telecomunicazioni e dalla maggiore efficienza

dei trasporti, ha consentito di allargare i confini delle singole

economie, fino a creare un unico grande sistema, che prende il

nome di “globalizzazione economica”.

Questo significa che lo spazio della produzione industriale e quello

del commercio si sono allargati al mondo intero. Mondiale è quindi

lo spazio dei mercati della finanza e del commercio, quest’ultimo

regolato dal WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio.

Nonostante gli straordinari progressi compiuti dall’economia

mondiale, rimangono profondi squilibri nel livello di sviluppo delle

diverse aree del mondo. Mentre esistono Paesi – come quelli

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dell’Europa Occidentale e del Nordamerica – in cui la ricchezza

raggiunge livelli medi elevati, altri, soprattutto in Africa ma anche

in vaste regioni dell’Asia e dell’America Latina, presentano

situazioni di profonda miseria, aggravata dal forte indebitamento

che i Paesi poveri hanno nei confronti di quelli ricchi.

Da una parte esistono pochi grandi Paesi produttori (concentrati nel

Nord del mondo), i quali possiedono capitali da investire, sono

tecnologicamente avanzati e attrezzati per la produzione industriale.

Dall’altra ci sono i Paesi ricchi di materie prime (in genere quelli in

via di sviluppo, concentrati nel Sud del mondo), che vendono ai

primi le loro ingenti risorse naturali per acquistare ciò di cui hanno

bisogno, spendendo più di quanto incassano dalla vendita delle

materie prime, per la cui lavorazione non sono attrezzati.

Così il sottosviluppo si dilaga, innescando crisi economiche

devastanti, che provocano disordini sociali e grave instabilità

politica.

I colpi di Stato, le guerre civili, la corruzione e perfino i sanguinosi

scontri etnici vanno letti nella tragica lotta per la conquista di un

potere in linea con la logica dei grandi profitti, che sfrutta le risorse

dell’agricoltura e del commercio, senza preoccuparsi dei diritti

umani.

Per sconfiggere il sottosviluppo sono necessarie nuove politiche

economiche internazionali, che sempre sono legate al mercato

azionario.

Oggi la borsa è ormai onnipresente nella realtà di tutti i giorni,

come un bollettino meteo viene seguito dal cittadino in ansia per il

“buono e il cattivo tempo”, per l’andamento dei titoli, per il mercato

in generale. Niente di nuovo quindi se paragonato, con i dovuti

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criteri, a ciò che succedeva, negli Stati Uniti d’America, nel lontano

1929.

Al fine di avere una chiara visione degli avvenimenti storici, è

necessario conoscere e analizzare alcuni aspetti del mondo di oggi,

e soprattutto avere in carico un bagaglio culturale che permetta una

lettura dei fatti il più chiara possibile.

Il concetto di liberismo e dirigismo economico sono le fondamenta

sulle quali cominciare a riflettere: la teoria liberista ritiene che lo

stato debba intervenire il meno possibile nell’attività economica,

lasciando libero gioco all’iniziativa privata e alla concorrenza,

mentre il dirigismo economico (o economia interventista) ritiene

che lo Stato debba intervenire nell’attività economica a tutela del

bene comune, regolamentando l’iniziativa privata e la concorrenza,

gestendo direttamente singole imprese o interi settori dell’economia

e agendo sui diversi mercati con leggi, regolamenti e interventi

diretti di vario tipo.1

Un altro concetto importante per comprendere i cambiamenti che

seguirono alla crisi economica del ’29 su vasta scala, è quello che

riguarda il gold standard o altresì detto “principio della

convertibilità aurea”: chi possedeva cartamoneta poteva in qualsiasi

momento cambiarla in oro presso la banca centrale.

Non è possibile infatti comprendere la "grande crisi" se non si

intende il ruolo del 'gold standard' come fattore di amplificazione

dello shock iniziale e di ostacolo all'assunzione di misure correttive.

In questa prospettiva, la Grande Guerra appare il vero spartiacque

tra due epoche economiche. Il 'gold standard' pre-guerra si reggeva,

1 B. DRAGHI, Il sistema economico internazionale tra il 1914 e il 1939: crisi degli anni trenta e grande trasformazione, Faenza, Polaris, 1998.

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secondo Barry Eichengreen2, su due pilastri: la credibilità e la

cooperazione. La prima derivava dalla priorità assegnata dalle

autorità monetarie all'equilibrio della bilancia dei pagamenti da una

sorta di tregua distributiva tra le classi sociali, dalla

sottovalutazione teorica della disoccupazione. La seconda

consisteva in una tacita gestione collaborativa delle situazioni di

crisi, di cui godeva per esempio, la stessa Banca d'Inghilterra nei

casi in cui si trovava a essere sotto pressione.

Il sistema venne messo a soqquadro dalla Grande Guerra. Sconvolte

le convenzioni relative alla distribuzione dell'onere fiscale, mezza

Europa finì in preda a inflazioni senza controllo, a cui seguirono la

reintroduzione del gold standard e l'imposizione di statuti rigidi che

legavano le mani alle banche centrali; mentre la disoccupazione e le

pressioni per politiche che prestassero attenzione all'equilibrio

interno più che a quello esterno prendevano piede. A patirne furono

la credibilità e la cooperazione.

È su questo sfondo che nasce la grande crisi. I debiti di guerra e le

riparazioni facevano degli Stati Uniti il creditore internazionale; la

politica monetaria restrittiva perseguita dalla Federal Reserve per

motivi interni dal 1928 si tradusse nel generalizzarsi di politiche

restrittive dei debitori in conseguenza del gold standard . L'impulso

iniziale fu amplificato dai fallimenti bancari e dal caos finanziario,

a cui non era possibile porre rimedio se non iniettando liquidità nel

sistema, il che entrava in conflitto con il gold standard. Fu il crollo

di quest’ultimo - da cui era più facile uscire quanto meno si era stati

preda di una grande inflazione - a liberare dalla depressione, non

2 B. EICHENGREEN, Gabbie d’oro: il gold standard e la grande depressione, 1919-1939, Roma, Laterza, 1994. Barry Eichengreen è Professore di Economia e di Scienze Politiche all'Università di Berkeley in California.

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tanto per il traino che la svalutazione dava alla domanda estera (le

valute finirono con il deprezzarsi in modo da ripristinare i rapporti

originari), quanto piuttosto per la libertà che la rottura delle "gabbie

d'oro" dava alla politica monetaria e fiscale. Era possibile

l'espansione, senza che fosse più necessaria una cooperazione

internazionale ormai ferita e che, come Eichengreen dimostra,

venne solo parzialmente e ambiguamente ricostruita a Bretton

Woods3.

La lezione per l'oggi, da trarre dopo la lettura del seguente testo, è

che una base durevole per un clima di cooperazione può essere

raggiunta quando il potere economico è distribuito in maniera

relativamente equilibrata tra i vari Paesi.

2. L’EREDITA’ DELLA GRANDE GUERRA NEGLI STATI

UNITI

Gli Stati Uniti erano usciti dal conflitto senza alcun danno

territoriale, anzi avevano ricavato notevoli vantaggi dalla fornitura

di armi e materiale bellico ai Paesi europei.

Dal 1921 al 1933 il governo del Paese venne esercitato dai

Repubblicani. Essi promossero una politica estera, detta

isolazionismo, che li portava ad occuparsi esclusivamente degli

interessi nazionali, svincolandosi dall’autorità della Società delle

Nazioni; continuarono però, ad intervenire in America Latina.4

Negli anni ’20 gli Stati Uniti vissero un vero e proprio boom

economico. Essi si imposero come la prima potenza industriale del 3 E’ il nome di una piccola località statunitense del New Hampshire dove nel luglio del 1944 si riunirono i rappresentanti di 44 nazioni, schierate con gli Alleati, per raggiungere un accordo sulla organizzazione monetaria internazionale. Da questo momento, la moneta "principale" diventerà il dollaro ($),che dava maggior fiducia di stabilità ed inoltre, chi disponeva di dollari, li avrebbe potuti utilizzare sul mercato dei prodotti USA che era il più grande mercato esistente.

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mondo, anche grazie alla politica protezionistica sostenuta dal

governo, consistente nell’impostazione di barriere doganali in

difesa della produzione nazionale.

Ci fu un vero e proprio trionfo degli affari (business), si impose il

mito del successo economico; le forme di divertimento (radio,

cinema, musica), gli strumenti e le comodità della civiltà di massa

(automobile per tutti, ecc.) avevano inaugurato uno stile di vita

nuovo.

Per tale clima di fervore

ed euforia questo periodo

della storia statunitense è

ricordato come quello

degli “anni ruggenti” e la

crescita economica, che

corse parallela, raggiunse

il culmine nel 1928-1929.

DC4 sui cieli di Manhattan nel 1925, anno del pieno boom economico

La crescita fu dovuta a una serie di fattori: la maggiore stabilità

monetaria, che favorì gli investimenti in nuovi settori industriali

(petrolio, elettricità, industria aeronautica e automobilistica,

chimica, ecc.); l’incremento della produzione, sostenuto dalla

diffusa applicazione del taylorismo5 e della standardizzazione6;

l’aumento dei consumi, sollecitato dalla pubblicità; lo sviluppo dei

mercati finanziari, cioè degli investimenti nelle Borse per acquistare

4 E. J. Hobsbawm, Il secolo breve, Milano, Rizzoli, 1995. 5 Taylor fu un ingegnere americano che, attraverso l'osservazione dei processi industriali, formulò il primo principio sulla razionalizzazione del lavoro di fabbrica e cioè il principio della catena di montaggio. 6 B. EICHENGREEN, Ibid.

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e scambiare i titoli delle grandi aziende, al fine di ricavare un

guadagno dal rialzo del loro valore.

Dal 1924 al 1928 gli indici della Borsa di New York (la New York

Stock Exchange, detta comunemente Wall Street dal nome della

strada dove aveva sede), la maggiore piazza finanziaria del mondo,

avevano registrato un rialzo sbalorditivo.

Ma è nel 1927 che vennero seminati i germi del memorabile

disastro, quando i prezzi delle azioni salirono di girono in giorno e

di mese in mese. Il presidente Coolidge non sapeva nulla, né si

curava, di ciò che stava succedendo. Qualche giorno prima di

lasciare la carica nel 1929, egli dichiarava lietamente che la

situazione era “assolutamente solida” e che i titoli erano “poco cari

ai prezzi correnti”. Negli anni precedenti, quando era stato avvertito

che la speculazione stava sfuggendo di mano, si era consolato al

pensiero che quella era principalmente responsabilità del Consiglio

dei Governatori della Riserva federale. Questo era un organismo

semiautonomo proprio perché il Congresso voleva sottrarlo ad

un’eccessiva interferenza politica da parte dell’esecutivo.

Per quanto sensibile agli scrupoli, il presidente Coolidge avrebbe

potuto agire tramite il ministro del tesoro, che era membro di diritto

del Consiglio dei Governatori.

3. IL 1929

Le caratteristiche più sorprendenti dell’era finanziaria che finì

nell’autunno del 1929, furono il desiderio della gente di comprare

azioni e il suo effetto sui valori. Ma l’aumento del numero dei titoli

da comprare non fu meno sorprendente. Altrettanto degni di nota

furono l’ingegnosità e lo zelo con cui si inventarono società di cui si

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potevano vendere i titoli. Inoltre, era un’epoca di consolidamento, e

ogni nuova fusione richiedeva, inevitabilmente, una certa quantità

di nuovo capitale e una nuova emissione di titoli per farvi fronte.

Bisogna parlare, a questo punto, del movimento di fusione degli

anni venti.

Non fu il primo di tali movimenti ma, sotto molti aspetti, fu il primo

del suo genere. Subito prima e dopo l’inizio del secolo, in un settore

industriale dopo l’altro, un’infinità di piccole società si erano

raggruppate in società più grosse. La United States Steel

Corporation, la International Harvester, la International Nickel,

l’American Tabacco e numerose altre grosse organizzazioni

risalgono a quel periodo7. In quei casi le aziende, che si

raggruppavano, fabbricavano prodotti identici o analoghi per lo

stesso mercato nazionale. Lo scopo principale, tranne in casi

rarissimi, era quello di ridurre, eliminare o regolare la concorrenza.

Ognuno dei nuovi giganti dominava un settore dell’industria e,

quindi, esercitava un sensibile controllo sui prezzi e sulla

produzione e, forse, anche sugli investimenti e sul ritmo

d’innovazione tecnologica.

Nel caso dei servizi pubblici lo strumento usato per accentrare la

direzione e il controllo era la società finanziaria (holding). Questa

acquistava il controllo delle compagnie di gestione. Ma, in certe

occasioni acquistava invece una quota di altre finanziarie che

controllavano pure delle finanziarie che, a loro volta, direttamente o

indirettamente tramite una finanziaria, guidavano le società di

gestione. Dappertutto le compagnie locali dell’elettricità, del gas e

dell’acqua vennero a dipendere da un gruppo finanziario.

7 J. K. GALBRAITH, Il grande crollo, Milano, Rizzoli, 2003.

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La vendita al minuto dei generi alimentari, i negozi di articoli vari, i

grandi magazzini e i cinema presentarono uno sviluppo analogo,

anche se non identico. Anche nel loro caso la proprietà locale lasciò

il posto alla direzione centrale. Tuttavia, non furono le società

finanziarie, lo strumento di questo accentramento, ma le catene di

aziende associate. Queste, il più delle volte, invece di assorbire le

aziende esistenti, istituirono nuove ramificazioni.

Le società finanziarie emisero titoli per acquistare le compagnie di

gestione, e le catene li emisero per costruire nuovi magazzini e

nuovi teatri.

Inevitabilmente qualcuno organizzò nuove società semplicemente

per trarre profitto dall’interesse pubblico per le industrie con un

nuovo vasto orizzonte e per fornire titoli da vendere. Si riteneva che

i titoli radiofonici e aeronautici avessero prospettive

particolarmente soddisfacenti, e quindi si formarono delle

compagnie che non ebbero mai nulla più di una prospettiva. Nel

settembre del 1929 un’inserzione pubblicitaria sul “New York

Times” richiamava l’attenzione sull’imminente arrivo della

televisione e, con considerevole preveggenza, avvertiva che le

“possibilità commerciali di questa nuova arte superano ogni

immaginazione”8. L’avviso pronosticava, con un po’ meno

preveggenza, che gli apparecchi sarebbero entrati in funzione nelle

case quello stesso autunno. Tuttavia, in complesso, il boom del

1929 mise radici direttamente o indirettamente su industrie e

imprese esistenti. Le nuove fantasiose emissioni di titoli per scopi

nuovi, normalmente così importanti in tempi di speculazione,

svolsero questa volta una parte relativamente esigua.

8 The New York Times, 2 settembre 1929.

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Il capolavoro di architettura speculativa degli ultimi anni, tra il

Venti e il Trenta, quello che, più di ogni altro espediente, permise di

soddisfare la domanda pubblica di titoli ordinari, fu la società

d’investimento (investment trust). Questa non fondava nuove

imprese, né ampliava le vecchie già esistenti. Semplicemente faceva

in modo che la gente potesse possedere titoli di vecchie società

attraverso altre nuove.9 Anche negli Stati Uniti, negli anni venti,

c’erano dei limiti alla quantità di capitale reale che le imprese

esistenti potevano usare o per il cui impiego si potevano creare

nuove imprese.

Il merito dell’investment trust fu quello di introdurre una

separazione quasi completa fra il volume delle azioni societarie

sottoscritte e la consistenza patrimoniale societaria effettivamente

esistente. L’idea dell’investment trust è vecchia, benché, caso un

po’ strano, sia giunta tardi negli Stati Uniti. Già intorno al 1880 in

Inghilterra e in Scozia, gli investitori, in maggioranza i piccoli

investitori, mettevano insieme i loro mezzi acquistando titoli di una

società d’investimento. Questa a sua volta investiva i fondi così

ottenuti. 10

Col passare del 1929 fu evidente che un sempre maggior numero di

nuovi investitori ricorrevano all’intelligenza e alla bravura dei trust.

Certo si trovavano di fronte ancora al formidabile problema di

dover decidere fra trust buoni e trust cattivi. Si ammetteva (sia pure

a denti stretti) che ce n’erano di cattivi. Scrivendo in “The Atlantic

Monthly”, nel numero di marzo del 1929, Paul C. Cabot affermava

che disonestà, negligenza, incapacità e cupidigia erano alcuni dei

9 M. A. JONES, Storia degli Stati Uniti, Milano, Bompiani, 1997. 10 C. H. FEINSTEIN, L’economia europea tra le due guerre, Roma, Laterza, 1998.

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difetti comuni della nuova industria.11 Erano deficienze

impressionanti e, nella sua qualità di organizzatore e funzionario di

un promettente investment trust, la State Street Investment

Corporation, Cabot parlava presumibilmente con una certa autorità.

Tuttavia, nel 1929, la reazione del pubblico a simili ammonimenti

era scarsissima. E gli ammonimenti erano tutt’altro che frequenti.

4. L’ILLUSIONE

Esistevano due fonti d’informazione sui prestiti a chi operava in

borsa. Una era costituita dalle tabelle mensili della borsa di New

York, l’altra era costituita dal rendiconto statistico del Sistema della

Riserva federale, che era un po’ meno completo e veniva pubblicato

settimanalmente. Ogni venerdì questo rendiconto mostrava un forte

aumento dei prestiti; e ogni venerdì, dai vertici, si ripeteva

fermamente che non significava un gran che, e si impartiva una

severa reprimenda a chiunque insinuasse il contrario.12 È probabile

che soltanto una minoranza della gente della borsa mettesse in

relazione il volume dei prestiti su titoli col volume degli acquisti a

riporto e quindi col volume della speculazione. Di conseguenza,

ogni espressione di inquietudine per tali prestiti era facilmente

attaccata come tentativo ingiustificato di minare la fiducia del

pubblico.

Gli economisti del tempo ritenevano che le persone preoccupate dai

prestiti agli operatori di borsa, e all’afflusso di fondi delle società,

semplicemente non capivano la situazione. Il mercato dei prestiti a

vista, sostenevano, era diventato un nuovo grande sbocco

11 J. K. GALBRAITH, Ibid. 12 J. K. GALBRAITH, Ibid.

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d’investimento per le riserve societarie. I critici non apprezzavano

nel modo giusto tale mutamento.

Persino gli studiosi reagirono contro coloro che, deliberatamente o

meno, sabotavano la prosperità col loro sconsiderato pessimismo.

Gli ottimisti ufficiali erano molti e appartenevano ad ambienti

differenti.

Quando, già sul finire dell’estate del 1929, la flessione non si era

ancora manifestata, perlomeno in forma visibile, la Harvard

Economic Society si arrese e confessò di aver sbagliato con le

proprie previsioni pessimistiche. Gli affari, sentenziò, potevano

andar bene dopotutto. Secondo il modo di giudicare tali faccende,

era ancora un atto degno di elogio, ma proprio allora sopraggiunse

il crollo. Questa società restò convinta che non fosse all’orizzonte

una grave depressione. In novembre affermò che “una severa

depressione come quella del 1920-1921 non rientra nel novero delle

probabilità. Non ci troviamo di fronte a una liquidazione

prolungata”, e continuò a ripetere questo giudizio finché non venne

liquidata.13

Gli scettici più attivi si trovavano tra i giornalisti, ma erano una

piccola minoranza. La maggior parte dei periodici e dei quotidiani

nel 1929 parlavano della spinta ascensionale del mercato con

ammirazione e deferenza e senza allarme. Guardavano al presente e

al futuro con esuberanza. Per di più, nel 1929, numerosi giornalisti

resistevano austeramente alle forme più sottili di lusinga e di

adulazione, a cui erano ritenuti sensibili e chiedevano, invece,

freddamente denaro contante in cambio di notizie favorevoli.

13 P. BAIROCH e E. HOBSBAWM, Storia d’Europa, vol. 5, Torino, Einaudi, 1996.

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Ma la massima forza di moderazione era il “New York Times”.

Sotto la guida del veterano Alexander Dana Noyes, la sua pagina

finanziaria era quasi completamente immune dalle lusinghe della

“nuova era”. Un lettore assiduo non poteva dubitare che sarebbe

venuto il giorno della resa dei conti. Anzi il giornale in parecchie

occasioni annunciò, un po’ troppo prematuramente, che quel giorno

era giunto.

In effetti, le temporanee flessioni della borsa che precedettero il

tracollo furono una severa prova per coloro che avevano rinunciato

all’immaginazione. Già nel 1928, in giugno e in dicembre, e nel

febbraio-marzo del 1929 era sembrato che fosse giunta la fine. In

tali occasioni il “New York Times” aveva annunciato felicemente il

ritorno alla realtà. Ma ogni volta il mercato aveva ripreso lo slancio.

Soltanto un durevole senso di catastrofe poteva sopravvivere a

queste smentite. Stava venendo il momento in cui gli ottimisti

avrebbero mietuto un abbondante raccolto di discredito. Ma si è da

tempo dimenticato che, per tanti mesi, coloro che avevano resistito

alle rassicurazioni erano stati coperti di un discredito analogo,

anche se meno duraturo. Dire che il “New York Times”, quando

giunse realmente il crollo, riportò la notizia con giubilo sarebbe

un’esagerazione. Cionondimeno, ne scrisse con un’inconfondibile

assenza di dolore.14

Nell’estate del 1929 il mercato dominava non solo la cronaca, ma

anche la cultura. Quella minoranza raffinata che in altri tempi aveva

manifestato il suo interesse per S. Tommaso d’Aquino, Proust, la

psicoanalisi e la medicina psicosomatica, in quei giorni parlava di

United Corporation, di United Founders e di Steel. Soltanto gli

14 B. EICHENGREEN, Ibid.

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eccentrici più aggressivi mantenevano il distacco dal mercato e

l’interesse per l’autosuggesitone o per il comunismo. Ogni “main

street” aveva sempre avuto un cittadino in grado di parlare con

cognizione di causa di compravendita di titoli. Ora l’uomo di strada

diventò un oracolo. A New York, nei pressi di qualsiasi gruppo di

persone interessanti, si trovava sempre un dotto agente di cambio o

un consulente finanziario informato dei progetti correnti di cartelli,

sindacati e fusioni, e delle occasioni attraenti. Egli consigliava

utilmente i suoi amici sulle possibilità d’investimento e, pressato,

diceva tutto quel che sapeva sul mercato e molto altro che non

sapeva. Ora, improvvisamente, questi uomini brillavano

incontrastati persino in compagnia di artisti, di commediografi, di

poeti e di famose concubine. Le loro parole, più o meno

letteralmente, erano oro. Il loro uditorio li ascoltava non con la

casuale attenzione di gente che raccoglie battute ripetibili, ma con

l’attenzione estatica di chi spera di far denaro mercé i consigli uditi.

Fecero la loro parte anche le donne che, ormai, stavano entrando nel

mercato di Wall Street del 1929 in numero sempre crescente. Un

articolo della “North American Review” del mese di aprile riferiva

che le donne americane erano diventate le protagoniste del “più

eccitante gioco capitalistico finora riservato ai maschi”, e che la

casalinga moderna “ora legge, per esempio, che le Wright Aero

stanno salendo… come legge che al mercato è arrivato pesce

fresco…”.15 L’autore dell’articolo azzardava l’ipotesi che il

successo nella speculazione avrebbe giovato molto al prestigio

femminile. Per la tipica giocatrice d’azzardo la Steel non era

collegata a una società industriale, e meno ancora a miniere, a navi,

15 P. BAIROCH e E. HOBSBAWM, Ibid.

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a ferrovie, ad altiforni e a forni Martin-Siemens. Piuttosto essa

aveva a che fare con dei simboli su un nastro, con delle righe su una

tabella e con un prezzo che saliva. La speculatrice parlava della

Steeel con la familiarità con cui si parla di un vecchio amico,

benché in realtà non ne sapesse assolutamente nulla. Nessuno le

avrebbe detto che non sapeva di non sapere. Per di più, un

avvertimento del genere, lungi dal dare un risultato, avrebbe solo

ispirato un sentimento di disprezzo per chi non aveva il coraggio, lo

spirito d’iniziativa, la sofisticazione per capire come ci si poteva

arricchire facilmente. L’operatrice di borsa aveva scoperto che

poteva diventar ricca. Certo aveva lo stesso diritto degli altri alla

ricchezza.

Che la borsa fosse uno dei poli della vita americana nell’estate del

1929 è un fatto su cui non c’è dubbio. Molta gente dei più diversi

tipi e delle più diverse condizioni era attiva in borsa.16

Comunque, è forse più facile sopravvalutare che sottovalutare

l’interesse del pubblico per la borsa. Il luogo comune secondo cui

nel 1929 tutti “erano nel mercato” non corrisponde affatto alla

realtà. Per la grande maggioranza dei lavoratori, degli agricoltori,

degli impiegati, in effetti per la grande maggioranza degli

americani, la borsa era qualcosa di remoto e vagamente sinistro;

non molti sapevano come si fa a comprare un titolo: l’acquisto di

azioni a riporto era sotto ogni punto di vista estraneo alla vita

comune.

Negli anni successivi, una commissione senatoriale, incaricata di

indagare sulle borse valori, si propose di accertare il numero di

persone coinvolte nella speculazione borsistica del 1929. Le ditte

16 M. A. JONES, ibid.

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operanti quell’anno nei mercati borsistici più noti, dichiararono di

aver avuto rapporti d’affari con un numero complessivo di

1.548.707 clienti (di questi, 1.371.920 erano clienti di ditte operanti

sulla borsa di New York). Così, soltanto un milione e mezzo di

persone su una popolazione di circa 120 milioni, e di 29-30 milioni

di famiglie, ebbe un rapporto attivo di qualche specie con la borsa.

E non tutti erano speculatori.

Per tutto il 1929 gli uffici degli agenti di cambio erano affollati,

dalle 10 del mattino alle 3 del pomeriggio, di clienti seduti o in

piedi che, invece di badare ai loro affari, stavano con gli occhi fissi

alla lavagna. In certe sale riservate al pubblico, era difficile trovare

un posto da cui vedere le quotazioni registrate: nessuno aveva la

possibilità di osservare il nastro.17

5. IL CROLLO

Il 3 settembre 1929 fu il giorno in cui finì la grande corsa al rialzo

degli anni venti.

La causa immediata della flessione era chiara, e interessante.

Parlando alla sua annuale conferenza nazionale economica il 5

settembre, l’economista Roger Babson aveva osservato: “Prima o

poi verrà un crollo, e sarà forse terribile.” Aveva affermato con

precisione che le medie Dow-Jones avrebbero probabilmente perso

60-80 punti, e aveva concluso: “Le fabbriche chiuderanno i

battenti… gli uomini saranno buttati sulla strada… il circolo vizioso

si chiuderà e si inizierà una grave depressione economica.”18

Ciò non era proprio rassicurante. Ma non si capì perché

improvvisamente il mercato dovesse prestare ascolto a Babson.

17 C. P. KINDLEBERGER, La grande depressione nel mondo, 1929-1939, Milano, Etas, 1982. 18 C. P. KINDLEBERGER, Ibid.

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Come molti si affrettarono a dire, egli aveva fatto in precedenza una

quantità di pronostici che non avevano affatto influenzato i prezzi in

un senso o nell’altro.

Wall Street non si trovò imbarazzata con Babson. Lo attaccò subito

decisamente. “Barron’s”, in un editoriale del 9 settembre, lo definì

con pesante ironia il “saggio di Wellesley” e assicurò che non

sarebbe stato preso seriamente da nessuna persona al corrente della

“notoria inesattezza” delle sue passate affermazioni. 19

La “flessione Babson”, come fu subito chiamata, venne di giovedì.

La borsa si rianimò il venerdì e si mantenne ferma il sabato.

Sembrò che la gente avesse perso la paura, e che la curva sempre

ascendente ricominciasse a salire, come tante volte in passato, a

dispetto del signor Babson. Poi, la settimana successiva, quella del

9 settembre, i prezzi furono di nuovo “stracciati”.

L’irregolarità continuò. In certi giorni il mercato fu sostenuto, in

certi altri fiacco. La tendenza era lievemente, discontinuamente, ma,

vista in retrospettiva,

decisamente verso il

basso. Si formarono

nuovi investment

trust, altri speculatori

affluirono sul

mercato, e il volume

dei prestiti a chi

operava in borsa continuò a salire nettamente. La fine era venuta,

ma non era ancora visibile.

19 B. EICHENGREEN, Ibid.

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Secondo la versione dei fatti comunemente accettata, nell’autunno

del 1929 l’economia era già in piena depressione. In giugno gli

indici della produzione industriale in genere e di quella

manifatturiera in particolare avevano raggiunto un massimo e poi

avevano cominciato a scendere.

La produzione di acciaio era diminuita da giugno in poi; in ottobre

diminuirono anche le cifre riguardanti il materiale trasportato da

carri merci. L’edilizia, un settore estremamente incostante, era in

declino già da anni e nel 1929 si contrasse ulteriormente. Infine

scese anche il mercato azionario. Thomas Wilson, un acuto studioso

della situazione economica di quel periodo ha scritto che il crollo

del mercato “rifletté, in ultima analisi, il mutamento già evidente

nella situazione industriale”.20

Visto così, il mercato azionario non è altro che uno specchio che,

forse, come in questo caso, un po’ in ritardo, fornisce un’immagine

della situazione economica sottostante o fondamentale. Il rapporto

di causa ed effetto si svolge sempre dall’economia al mercato

azionario, e mai in senso inverso. Nel 1929 l’economia era diretta

verso la crisi che, alla fine, si rifletté violentemente a Wall Street.

Quando il mercato crollò, molti cittadini di Wall Street avvertirono

immediatamente il pericolo reale, che era quello di un’influenza

nociva sul reddito e sull’occupazione, sulla prosperità in genere.

Bisognava evitarlo. Ogni spiegazione della depressione che avesse

attribuito importanza al crollo della borsa avrebbe avuto serie

ripercussioni e suscitato gravi guai per Wall Street. Questa, senza

dubbio, sarebbe sopravvissuta, ma con più di uno sfregio. È bene

chiarire che non ci fu assolutamente una deliberata congiura diretta

20 E. J. HOBSBAWM, Ibid.

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a minimizzare le conseguenze per l’economia del crollo in borsa.

Invece, ogni persona mossa dall’istinto di conservazione si rese

semplicemente conto che era meglio tener fuori dalla scena Wall

Street: era vulnerabile.

In realtà, ogni spiegazione soddisfacente degli avvenimenti

dell’autunno 1929 e del periodo successivo deve riconoscere una

funzione rilevante al boom speculativo e al tracollo seguito. Fino al

settembre o all’ottobre del 1929 il declino nell’attività economica fu

molto modesto.

Nessuno avrebbe potuto prevedere che la produzione, i prezzi, i

redditi e tutti gli altri indicatori avrebbero continuato a contrarsi per

tre lunghi lugubri anni. Soltanto dopo il tracollo della borsa era

plausibile supporre che le cose per un periodo prolungato sarebbero

andate infinitamente peggio.

Di conseguenza il tracollo non si verificò perché la borsa si rese

improvvisamente conto che era in vista una grave depressione; non

era possibile prevedere una depressione, grave o non grave, quando

il mercato crollò. C’è da considerare peraltro la possibilità che la

diminuzione degli indici abbia spaventato gli speculatori, li abbia

spinti a liberarsi dei propri titoli, e così abbia forato un pallone che

in ogni caso prima o poi si sarebbe sgonfiato. Ciò è più plausibile.

Alcuni che tenevano d’occhio gli indici avrebbero deciso di vendere

in base a quanto risultava loro e altri si sarebbero indotti a seguirne

l’esempio.

Il loro pessimismo contagerà gli spiriti più semplici che avevano

creduto che il mercato potesse salire all’infinito, ma che ora

cambieranno opinione e venderanno. Subito dopo ci saranno

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richieste di versamenti per aumentare gli scarti di garanzia, e così

altre persone saranno costrette a vendere.

Domenica 20 ottobre il mercato fu sulla prima pagina dei giornali;

il titolo del “New York Times” diceva: “Trascinate in basso le

azioni dall’ondata di vendite che sommerge il mercato”; il giorno

dopo il suo redattore finanziario annunciò, forse per la decima

volta, che era giunta la fine.21 Non era ancora pronta un’immediata

spiegazione del declino e la Riserva federale se ne era rimasta zitta

ormai da troppo tempo.

Giovedì 24 ottobre è il primo dei giorni che la storia, così come si è

venuta formando, identifica col panico del 1929. Se si prendono

come criterio di giudizio il disordine, la paura, la confusione, esso

merita senz’altro una considerazione del genere. Quel giorno

12.894.650 azioni cambiarono di mano, molte a prezzi che

infrangevano sogni e speranze di coloro che le avevano possedute.

Il più impenetrabile dei misteri della borsa è perché ci sia un

acquirente per ogni operatore che cerca di vendere. Il 24 ottobre

1929 dimostrò che ciò che è misterioso non é inevitabile. Spesso

non si trovavano acquirenti, e solo dopo vertiginosi ribassi si riuscì

a indurre qualcuno all’acquisto.

L’incertezza indusse un numero sempre maggiore di persone a

cercare di vendere. Altri, non più in grado di rispondere alle

richieste di maggiori versamenti a garanzia, furono costretti alla

liquidazione. Alle 11,30 il mercato era in preda a una cieca,

implacabile paura. Era, in verità, in preda al panico.22

21 M. A. JONES, Ibid. 22 J. K. GALBRAITH, Ibid.

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In fase di chiusura, gli ordini di vendita che continuavano a

pervenire da ogni parte del Paese indebolirono nuovamente il

mercato.

Comunque, a suo modo, la ripresa del Giovedì Nero fu straordinaria

come l’ondata di vendite che l’aveva reso così tetro.

Per molti osservatori questo significava esser stati liquidati e veder

svanire l’ultimo barlume del loro sogno (anzi, della loro breve

realtà) di opulenza, insieme con casa, auto, pellicce, gioielli e

reputazione. Che il mercato, dopo averli rovinati, si fosse ripreso

era la più gelida delle consolazioni.

Il presidente Hoover, a proposito del giovedì nero affermò che

“comunque l’attività fondamentale del Paese, cioè la produzione e

la distribuzione delle merci, si svolge su una base solida e

prospera”. Si chiese al presidente di dire qualcosa di più specifico

sulla borsa, per esempio che le azioni avevano ora un prezzo

modesto, ma egli rifiutò.

Il martedì, 29 ottobre, fu la giornata più rovinosa della storia del

mercato azionario newyorkese, anzi forse la più rovinosa giornata

della storia delle borse. Presentò insieme tutte le caratteristiche

negative delle cattive giornate precedenti. La quantità scambiata fu

immensamente superiore a quella del Giovedì Nero; la caduta dei

prezzi fu quasi eguale a quella del lunedì. Incertezza e allarme

raggiunsero l’intensità di entrambe le giornate.

Si iniziarono le vendite appena aperto il mercato, su scala enorme.

Grossi pacchi di azioni venivano offerti per quello che si poteva

prendere; nella prima mezz’ora le vendite mantennero un ritmo da

33.000.000 al giorno. Le falle, che i banchieri volevano tappare, si

allargarono. Ripetutamente e in molti comparti si accumulò un

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numero eccessivo di ordini di vendita, ma non si presentò alcun

compratore.

Nella prima settimana erano stati sacrificati gli innocenti. Durante

questa seconda settimana, stando alle prove, furono i benestanti e i

ricchi a subire “un’azione di livellamento”.23

Le dimensioni dei pacchetti azionari che venivano offerti facevano

pensare che i grossi speculatori stavano vendendo o erano liquidati.

Un’altra indicazione veniva dalle sale consiliari. Una settimana

prima erano affollate, ora pressoché vuote. Quelli che ora si

trovavano nei pasticci avevano la comodità di soffrire in privato.

Il crollo del 24 ottobre era stato il segnale che aveva spinto le

società e le banche di provincia, che fino allora si erano deliziate

del 10% e più d’interesse, a richiamare il proprio denaro da Wall

Street.

"A metà mattinata c'era già il caos, dopo aver segnato un punto del non ritorno, si tocca

il punto di collasso. Nell'aula della Borsa gli agenti cadevano in deliquio; altri uscivano

dal palazzo urlando come presi da pazzia, mentre fuori, in Wall Street, la folla dei piccoli

speculato ri faceva ressa piangendo e gridando ad ogni notizia che segnava il

polverizzarsi di patrimoni. Il panico dei finanzieri era diventato isterismo e cupe tragedie

spirituali seguivano alle tragedie materiali" (CorSera)

5 SETTEMBRE 1929 - L'economista Roger Babson parlando a

Wall Street lanciò un allarme: "Presto o tardi il crack arriverà. E

quando arriverà sarà tremendo. Gli stabilimenti saranno chiusi,

gli operai licenziati, il circolo vizioso diventerà inarrestabile."

23 B. DRAGHI, Ibid.

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6. EFFETTI COLLATERALI

Il boom del mercato azionario e il suo successivo crollo

provocarono un’esagerazione traumatica delle relazioni normali. Al

normale bisogno di denaro per la casa, la famiglia e i divertimenti si

aggiunse durante il boom, il nuovo irresistibile bisogno di fondi per

giocare in borsa e far fronte agli aumenti degli scarti di garanzia dei

riporti. Il denaro era eccezionalmente abbondante. La gente

d’altronde era eccezionalmente fiduciosa.

Ora un tentativo importante di rassicurazione venne compiuto dal

presidente Hoover. Presumibilmente egli era ancora indifferente

alle sorti del mercato azionario. Ma non poteva essere indifferente

agli allarmi lanciati dalle strutture fondamentali che ormai

andavano ogni settimana di male in peggio. I prezzi delle merci

continuavano a scendere. La quantità di materiale trasportato, la

produzione di ghisa e acciaio, la produzione di carbone e la

produzione automobilistica stavano tutte subendo una flessione. Di

conseguenza, scendeva anche l’indice generale della produzione

industriale. In effetti, esso stava diminuendo molto più rapidamente

che nella brusca depressione postbellica del 1920-21.24

Cominciarono a circolare storie allarmanti sulla contrazione degli

acquisti di beni di consumo, specialmente di quelli più costosi. Si

diceva che le vendite di apparecchi radio a New York fossero

diminuite della metà dopo il tracollo.

Il primo passo di Hoover si ispirò alle ultime opere di John

Maynard Keynes25. Precisamente come avrebbe consigliato Keynes

24 C. H. FEINSTEIN, Ibid. 25John Maynard Keynes: economista (1883-1946)

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e i keynesiani, egli annunciò una riduzione delle imposte.

L’aliquota sia per gli individui che per le società fu diminuita di un

intero punto percentuale. 26 Si trattava di riduzioni drammatiche, ma

il loro effetto fu molto attenuato dal fatto che per la maggioranza

delle persone le imposte ridotte erano già insignificanti.

Il provvedimento, tuttavia, fu bene accolto come contributo

all’aumento del potere d’acquisto, all’espansione degli investimenti

e alla restaurazione di un clima generale di fiducia.

A parte il modesto sgravio fiscale, il presidente era palesemente

contrario a qualsiasi azione governativa su vasta scala per

fronteggiare la depressione crescente. Né si sapeva con molta

sicurezza, allora, che cosa si potesse fare. Comunque, dopo il 1929

la fede popolare nel laissez faire si indebolì enormemente. Nessun

uomo politico responsabile poté più sostenere tranquillamente una

politica di non interferenza.

Il tracollo distrusse il patrimonio di parecchie centinaia di migliaia

di americani. Ma fra la gente di primo piano ciò che più venne

rovinata fu la reputazione. In quegli ambienti la fama di saggezza,

preveggenza e, purtroppo, anche di comune onestà subì una

convulsa contrazione.

Il presidente americano Hoover fu indubbiamente danneggiato dalle

sue ripetute predizioni di imminente prosperità; peraltro egli aveva

convertito il semplice rito affaristico di rassicurazione in un

importante strumento politico. Il suo atteggiamento doveva di

conseguenza diventare oggetto di discussione politica.

Non bisogna tuttavia dimenticare che, come hanno generalmente

insistito gli economisti, ed è confermato dall’alta autorità del

26 C. P. KINDLEBERGER, Ibid.

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National Bureau of Economic Research, l’economia si era

infiacchita all’inizio dell’estate molto prima del tracollo ed il forte,

crescente investimento in beni capitali era, in altre parole, il

principale mezzo con cui gli investitori spendevano i profitti.

Quindi tutto ciò che interrompeva il flusso degli investimenti (tutto

ciò, in effetti, che impediva loro di presentare il necessario tasso

d’incremento) poteva causare dei guai. Quando ciò fosse avvenuto,

non ci si sarebbe potuta aspettare automaticamente una

compensazione mediante un incremento delle spese di consumo.

L’effetto, quindi, dell’insufficiente investimento (dell’investimento

che non teneva il passo col costante aumento dei profitti) poteva

essere la diminuzione della domanda totale rispecchiata a sua volta

dalla diminuzione degli ordini e della produzione.

7. ANALISI DELLE CAUSE

Sembra quindi indiscutibile il fatto che nel 1929 l’economia fosse

fondamentalmente malsana. È una circostanza d’importanza

primaria. Molte erano le cose che non andavano bene, ma tre punti

deboli dovevano avere esercitato un influsso particolarmente

profondo sul disastro finale:

1) La cattiva distribuzione del reddito. Nel 1929 i ricchi erano

indubbiamente ricchi. Questa distribuzione del reddito

estremamente diseguale significava che l’economia era basata su un

alto livello d’investimenti o su un alto livello di spese in oggetti di

consumo di lusso, o su entrambi.

2) La cattiva struttura societaria. La più grave debolezza societaria

risiedeva nella nuova ampia struttura delle holding e degli

investment trust. Le holding controllavano vasti settori dei servizi di

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pubblica utilità, delle ferrovie e delle attività ricreative. Come per

gli investment trust, era costantemente presente il pericolo di una

devastazione ad opera del principio della leva alla rovescia. In

particolare, i dividendi delle società di gestione servivano a pagare

gli interessi sulle obbligazioni delle holding che le controllavano.

3) La cattiva struttura bancaria. I banchieri cedettero, come altri,

all’umore gaio, ottimistico e immorale dell’epoca, ma

probabilmente non più di tanto.27

Infine, il crollo di Wall Street mise a nudo in modo

eccezionalmente efficace le debolezze

della struttura delle società per azioni.

Le compagnie di gestione all’estremo

capo della catena delle holding furono

costrette dal crollo a un

ridimensionamento. Il successivo

collasso di questi sistemi e degli

investment trust distrusse effettivamente

la capacità di attingere al credito e la

disposizione a concederlo per gli investimenti. Quelli che erano

stati a lungo considerati come effetti puramente fiduciari si

tradussero, in realtà, rapidamente in un declino delle ordinazioni e

in un aumento della disoccupazione.

Il crollo mise fine altresì efficacemente al sistema di prestiti

all’estero con cui si erano pareggiati i conti internazionali. Ora

questi dovevano esser pareggiati, essenzialmente, riducendo le

esportazioni. Ciò esercitò un’immediata, violenta pressione sui

27 J. K. GILBRAITH, Ibid.

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mercati di esportazione del grano, del cotone e del tabacco.28 Forse i

prestiti all’estero avevano soltanto ritardato un assestamento della

bilancia che prima o poi doveva avvenire. Il crollo della borsa servì

nondimeno a far precipitare l’assestamento in modo improvviso, in

un momento estremamente sfavorevole. L’istinto degli agricoltori

che facevano risalire i loro guai al mercato azionario non era

completamente sbagliato.

Se l’economia fosse stata fondamentalmente sana nel 1929, l’effetto

del grande crollo della borsa sarebbe forse stato lieve. D’altronde, il

colpo inferto alla fiducia e la perdita della capacità di spendere da

parte delle persone pizzicate in borsa sarebbe forse ben presto

svaniti. Ma l’economia nel 1929 non era sana; al contrario era

terribilmente fragile. Era vulnerabile al tipo di colpo che ricevette

da Wall street.

8. LA GRANDE DEPRESSIONE

Dopo il Grande Crollo venne la Grande Depressione che durò, con

alti e bassi di gravità, una decina d’anni. Nel 1933 il prodotto

nazionale lordo (la produzione complessiva dell’economia) fu

inferiore di circa un terzo a quello del 1929. Soltanto nel 1937 il

volume materiale della produzione tornò al livello del 1929, e

subito dopo scivolò indietro un’altra volta. 29 Fino al 1941 il valore

in dollari della produzione rimase inferiore a quello del 1929. Fra il

1930 e il 1940 soltanto una volta, nel 1937, il numero medio dei

disoccupati, durante l’anno, scese al di sotto degli 8 milioni di unità.

Nel 1933 circa 13 milioni di persone, cioè circa un lavoratore su

28 B. DRAGHI, Ibid. 29 C. P. KINDLEBERGER, Ibid.

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quattro, si trovarono senza lavoro. Nel 1938 una persona su cinque

era ancora disoccupata.30

Fu durante quel tetro periodo che il 1929 divenne un anno da

leggenda.

Miseria e bisogni essenziali insoddisfatti caratterizzarono ogni parte

del Paese. I tentativi di porre rimedio alla crisi furono lenti ed

esitanti: ben dieci anni

dovettero passare prima

che tornasse la

prosperità. In pratica la

depressione interessò

tutte le nazioni

industrializzate, con

l’eccezione della sola

Unione Sovietica,

sottolineando l’interdipendenza economica tra tutte le regioni del

mondo. Il crollo degli Stati Uniti fu però più rapido, più

coinvolgente della crisi di altri Paesi e, anche sotto l’aspetto

psicologico, fece maggiori danni in quanto terribilmente in

contrasto con la fase di prosperità precedente.

I disoccupati non ricevettero sussidi come in certi Paesi europei e

l’intervento delle organizzazioni assistenziali fu assolutamente

insufficiente (spesso venivano erogati 2 o 3 dollari per nucleo

familiare alla settimana) se non, come al Sud, addirittura

inesistente. Ovunque c’erano lunghe file di mendicanti in attesa

della distribuzione di pane, i più disperati cercavano qualcosa nei

bidoni della spazzatura. La gente senza lavoro girava dappertutto in

30 E. J. HOBSBAWM, Ibid.

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cerca di un’occupazione qualsiasi o si raccoglieva all’estrema

periferia delle grandi città in agglomerati di baracche di cartone

chiamate ironicamente “Hooverville”.

Nel corso della campagna elettorale del 1928 il futuro Presidente

Hoover aveva promesso l’imminente e definitiva scomparsa della

povertà. Ma gli eventi si fecero beffa delle sue speranze,

distruggendo la sua reputazione di abile economista e di persona

ricca di sentimenti umanitari.

Ottenne un impegno dagli imprenditori perché mantenessero

inalterati i salari ed evitassero i licenziamenti, bloccò i programmi

di spesa federali per strade, ponti, edifici pubblici, costituì un nuovo

ufficio federale per l’agricoltura per cercare di sostenere i prezzi del

grano, del cotone e di altri prodotti, tentò di controbattere la

concorrenza straniera elevando i dazi doganali. Hoover, comunque,

riteneva che l’intervento del governo non fosse il rimedio migliore

contro la depressione economica, e che fosse necessaria la

cooperazione volontaria di industrie e comunità locali insieme con

quello che egli aveva definito “vigoroso individualismo”. In

particolare sosteneva che spettava alle amministrazioni municipali e

statali e alle organizzazioni assistenziali fare qualcosa per i

disoccupati: un programma d’intervento federale, ormai richiesto

con insistenza da più parti, avrebbe solo appesantito la spesa

pubblica, indebolito le amministrazioni locali e statali, creato una

classe permanente di pubblici assistiti, incrinato il senso di

responsabilità di ciascun individuo, distrutto la fibra morale della

nazione.

Nel giro di pochi mesi apparve evidente che Hoover e i suoi

programmi non erano all’altezza della situazione. Le organizzazioni

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assistenziali e le amministrazioni locali si dimostrarono incapaci di

affrontare un problema di così vaste dimensioni: nell’inverno 1930-

31 le già magre provvidenze in denaro per i disoccupati vennero

dimezzate e molte famiglie bisognose furono depennate dagli

elenchi degli assistiti. Tuttavia il presidente fu riluttante ad

ammettere che la sua politica non dava i risultati sperati. Convinto

che i problemi del Paese fossero di natura più psicologica che

economica, fece una serie di affermazioni rassicuranti,

minimizzando il numero dei disoccupati e promettendo che presto

sarebbe iniziata una nuova fase di prosperità.

Solo nel corso dell’inverno 1931-32, il terzo che il Paese affrontava

in precarie condizioni a causa della depressione, Hoover cominciò a

cambiare idea, rinunciando sia pure controvoglia al progetto di

affidare tutto all’iniziativa individuale. Pur continuando a puntare

su un bilancio in pareggio e sul mantenimento della parità aurea,

ammetteva ora che bisognava fare qualcosa di più incisivo. Dopo

che nel giugno 1931 aveva tentato di rilanciare le esportazioni

concedendo una moratoria nel pagamento dei debiti di guerra, in

dicembre presentò al congresso un nuovo piano basato sull’idea che

tutti avrebbero tratto vantaggio da una ripresa dell’industria e del

commercio.

Questi provvedimenti rafforzarono le strutture finanziarie, ma non

riuscirono a rimettere in moto l’economia; altrettanto inefficaci

risultarono le misure decise in precedenza dal presidente.

Nell’estate del 1932 l’America fu in preda alla disperazione e al

pessimismo. Tre anni di sofferenze avevano minato la fiducia della

gente nella guida del mondo degli affari. Il presidente, ammirato e

lodato da tutti fino al momento della crisi, venne disprezzato per la

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sua presunta indifferenza alla gravità della situazione. Per i poveri

Hoover parlava al vento: era difficile capire come mai fosse giusto

utilizzare il denaro federale per salvare le banche e le grandi

imprese e non si potesse usarlo invece per dar da mangiare agli

affamati. 31 Hoover divenne argomento di storielle satiriche ed il suo

nome divenne sinonimo di miseria e sofferenza.

9. FRANKLIN D. ROOSEVELT E IL NEW DEAL

I repubblicani, in vista delle elezioni presidenziali del 1932, non

poterono che confermare la candidatura di Hoover; i democratici,

fiduciosi nella possibilità di una vittoria, puntarono su Franklin

Delano Roosevelt, governatore dello stato di New York.

Nato in una famiglia benestante di New York, legata da qualche

lontano vincolo di parentela al vecchio presidente Theodore

Roosevelt, Franklin Delano aveva studiato a Groton, una scuola

privata molto esclusiva, e all’università di

Harvard. Dopo una breve esperienza come

avvocato, si era dato alla politica, facendo

rapidamente carriera. Nel 1913 era stato

sottosegretario alla marina nel governo

Wilson, nel 1920 era stato candidato

democratico alla vicepresidenza. L’anno successivo un attacco di

poliomielite lo aveva lasciato paralizzato dalla vita in giù; poteva

essere la fine della sua carriera politica, ma recuperò abbastanza da

poter tornare al lavoro e nel 1928 fu eletto governatore dello stato di

New York, malgrado i repubblicani dominassero la politica

americana. Nei due anni in cui era stato governatore era apparso un

31 M. A. JONES, Ibid.

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riformatore moderato e durante la depressione aveva affrontato con

vigore il problema dell’assistenza ai disoccupati, la sua carriera

politica non lasciava intuire tutto il suo valore, e molti dei suoi

contemporanei lo giudicavano una meteora.

Nel discorso pronunciato a Chicago in occasione della nomination,

Roosevelt si impegnò a dare “un new deal (nuovo corso) al popolo

americano”32, ma né allora, né durante la campagna elettorale chiarì

cosa intendesse realmente con New Deal, prestando attenzione

soprattutto a mettere in luce gli errori di Hoover. A volte sembrava

riprendere gli stessi temi del presidente ancora in carica, in

particolare quando accusava l’amministrazione di eccessivi sprechi

e prometteva di badare al pareggio del bilancio statale. Del resto il

programma elettorale democratico non era molto diverso da quello

repubblicano, a parte la dichiarata intenzione di abolire il

proibizionismo33. Ma la grinta e la fiducia di Roosevelt erano in

netto contrasto con l’atteggiamento rinunciatario di Hoover. Non

c’erano dubbi sulla vittoria dei democratici: come al solito il partito

al potere avrebbe pagato la colpa di non aver impedito la crisi.

Roosevelt infatti vinse in tutti gli stati, tranne sei.

Quando Roosevelt entrò in carica, il 4 marzo 1933, in 38 stati era

stata proclamata una “chiusura a tempo indefinito” delle banche, e

l’intero sistema bancario degli Stati Uniti sembrava sull’orlo del

collasso. Nel suo primo discorso, Roosevelt non espresse

programmi precisi ma sostenne con convinzione: “Lasciatemi

proclamare la mia ferma convinzione che la sola cosa di cui

32 F. R. DULLES, Gli Stati Uniti, vol. 2, Milano, Feltrinelli, 1963. 33 1920: con il diciottesimo emendamento passato alla storia con l'appellativo di "legge del proibizionismo", sottoscritto da 3/4 degli stati americani veniva proibita la produzione e la vendita di alcolici in America. Il proibizionismo, durò per circa 14 anni e non portò a nulla, le bevande alcoliche non cessarono di essere prodotte, vendute e consumate. Questo non fece altro che alimentare, con il contrabbando la crescita della criminalità organizzata.

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dobbiamo aver paura è la paura stessa… I mercanti sono fuggiti dal

tempio della nostra civiltà. Possiamo adesso restituirlo alle antiche

verità”34, il presidente cercò di soddisfare il desiderio della gente di

avere qualcosa in cui sperare e di essere rassicurata. Poi, agendo

con rapidità e decisione per risolvere la crisi del sistema bancario,

Roosevelt ordinò la chiusura degli sportelli in tutti gli Stati Uniti e

convocò d’urgenza il congresso. Il suo Emergency Banking Relief

Bill, approvato dopo un dibattito durato appena dieci ore, sottopose

tutto il sistema bancario americano al controllo federale,

disponendo che fosse concesso il permesso di riaprire gli sportelli,

con una licenza federale, alle sole banche ritenute solvibili. Il 12

marzo il presidente indirizzò al Paese il primo dei suoi messaggi

radiofonici, noti come “discorsi accanto al caminetto”: fra le altre

cose disse ai suoi ascoltatori che ora potevano depositare di nuovo i

loro risparmi in banca senza temere altri fallimenti. La gente gli

credette e la crisi fu superata.

Il periodo successivo, detto dei “cento giorni”, fu una fase di attività

frenetica. Roosevelt sommerse il congresso di messaggi,

esortazioni, progetti, disegni di legge. I congressisti, lieti di aver

trovato finalmente una guida, approvarono in tempi brevi quindici

provvedimenti di grande importanza concernenti interventi a favore

dei disoccupati, dell’industria, dell’agricoltura, del lavoro, dei

trasporti, del sistema bancario, della moneta.

Il New Deal aveva un obiettivo preciso: salvare il capitalismo negli

Stati Uniti. 35

Molte scelte, fatte in questo “nuovo corso”, furono originali. A

differenza del suo predecessore, Roosevelt era convinto che

34 F. R. DULLES, Ibid. 35 B. DRAGHI, Ibid.

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rientrasse tra i compiti del governo l’aiuto ai disoccupati; cosicché

vennero messi a punto progetti di ogni tipo per dar loro lavoro:

manutenzione stradale, costruzione di scuole, parchi, campi-gioco.

Durante l’inverno del 1934, più di quattro milioni di persone

lavorarono a queste opere pubbliche.

Se questa prima parte del New

Deal pose l’accento

particolarmente sugli

interventi assistenziali e

anticrisi, però non trascurò le

riforme. Per rafforzare il

sistema bancario e prevenire

fallimenti, come quelli degli anni venti, il Glass-Steagall Banking

Act del 1933 estese i poteri del sistema federale di riserva, vietò alle

banche commerciali di operare nel settore degli investimenti

finanziari, limitò il ricorso al credito bancario per fini speculativi, e

soprattutto creò la Federal Bank Deposit Insurance Corporation che

garantiva la copertura dei depositi dei singoli risparmiatori fino

all’ammontare di 5000 dollari. 36 Il Federal Securities Act del 1933

rese obbligatoria una seria documentazione per le nuove emissioni

di titoli e una preventiva registrazione presso la commissione

federale per il commercio.

Le critiche radicali verso il progetto del New Deal furono solo uno

dei motivi per cui nel 1935 il presidente Roosevelt decise di

cambiare tattica. Soprattutto l’economia era ancora stagnante; di

conseguenza il governo mise a punto una nuova serie di leggi dal

contenuto così diverso e così ampio che alcuni storici hanno parlato

36 B. EICHENGREEN, Ibid.

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di un “secondo New Deal”. Secondo questi studiosi le nuove leggi

erano di idee più radicali delle precedenti, meno assistenziali, più

riformatrici nell’ambito sociale ed economico, meno favorevoli alla

cooperazione col mondo degli affari, più attente alle esigenze dei

meno abbienti. In realtà in questi provvedimenti si notava un

mutamento di tendenza, ma non bisogna esagerare nel sottolineare

tali cambiamenti rispetto al passato, c’erano importanti elementi di

continuità e in particolare non veniva in alcun modo messo in

discussione l’obiettivo primario del New Deal, cioè la salvezza e la

continuità del sistema capitalistico. Inoltre molte delle riforme del

1935 erano state messe a punto dopo lunghi studi preparatori ed

erano opera più del congresso che non della presidenza., in ogni

caso è perfettamente inutile cercare di individuare un disegno

unitario nel New Deal: esso continuò a operare in modo confuso, a

volte addirittura caotico, senza una precisa filosofia di fondo.

10. LA SOCIETA’ AMERICANA NEGLI ANNI DELLA

DEPRESSIONE

Per quanto aspre, le sofferenze della popolazione americana negli

anni della depressione non furono neppure lontanamente

paragonabili a quelle che affrontarono ad esempio i cittadini

dell’Unione Sovietica nel 1920-21 quando milioni di persone

morirono di fame. Nei cinque anni peggiori della depressione, tra il

1929 e il 1933, il numero complessivo dei morti di fame fu di solo

110.37

Si può scorgere la crisi analizzando altri aspetti: per esempio

l’immigrazione, che negli anni Venti aveva superato i quattro

37 C. H. FEINSTEIN, Ibid.

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milioni di persone, negli anni trenta si limitò a meno di mezzo

milione, la quota più bassa da un intero secolo. Ciò dipendeva in

parte dall’introduzione del sistema delle quote prefissate, ma

soprattutto dalla depressione, erano pochi gli stranieri che volevano

tentare la fortuna in un Paese sconvolto dalla crisi economica, in

certi anni ci fu più gente che lasciò gli Stati Uniti di quanta ne

arrivò dall’estero: circa metà dei nuovi arrivi erano persone che

fuggivano alla persecuzione nazista, in particolare ebrei tedeschi e

austriaci. 38

Una delle conseguenze più

impressionanti della

depressione fu una specie di

nomadismo di massa. A un

certo punto, circa cinque

milioni di persone vagavano

senza una meta precisa, in

cerca di lavoro o

semplicemente spinte dalla

stanchezza e dalla disperazione. Una parte considerevole, forse un

quarto, era costituita da giovani di entrambi i sessi che vivevano di

espedienti, facevano la fila davanti alle cucine delle organizzazioni

assistenziali per avere un pasto caldo e si spostavano saltando sui

treni merci in corsa.

Se la miseria e la degradazione dei disoccupati risultavano più

evidenti negli agglomerati industriali dell’America, non meno grave

era la situazione delle comunità agricole del West negli anni

compresi tra il 1934 i il 1936. Gli agricoltori non solo dovettero

38 C. H. FEINSTEIN, Ibid.

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lottare per sopravvivere alla grande crisi, ma nel Kansas,

nell’Oklahoma, nel Texas, nel New Mexico e nel Colorado si

trovarono alle prese anche con una tremenda erosione del suolo. Per

quasi tutti gli anni trenta le Grandi Pianure avevano sofferto di una

siccità che aveva arso il terreno; e quando un forte vento si abbatté

sul Texas occidentale, nel gennaio 1933, le nuvole di polvere

spazzarono i campi sommergendo il grano e formando delle dune.

Più tardi, in quello stesso anno, le strade del Kansas furono

cancellate e le fattorie rimasero semisepolte da una tempesta di

vento che sollevò in aria migliaia di acri di terreno inaridito. La

regione colpita – la parte meridionale delle Grandi Pianure – fu

subito battezzata la “tazza di polvere”. Ma il peggio doveva ancora

venire.

Nel maggio 1934 la polvere sollevata da venti violentissimi oscurò

il sole dal Texas ai due Dakota, e due giorni dopo arrivò a New

York, a Washington e a Baltimora. Nessuna parte delle Grandi

Pianure si salvò dalla polvere. Gli aerei furono costretti a rimanere a

terra. Le strade e le linee ferroviarie furono cancellate dalla polvere,

gli impianti elettrici delle automobili entrarono in cortocircuito, la

polvere si infilò negli orologi e nei frigoriferi, irritando la gola e gli

occhi e provocando polmoniti in gran numero. Nel 1935 si calcolò

che nelle Grandi Pianure Meridionali si levarono 850 milioni di

tonnellate di polvere e in quello stesso anno Dalhart, nel Texas,

venne colpita da 61 tempeste di polvere. Ogni luogo delle Grandi

Pianure sembrava un paesaggio lunare.

Nonostante la terribile situazione nella quale si trovavano e

l’insistente siccità, molt i agricoltori continuarono a lottare

coraggiosamente e nessuno face più loro credito, fattorie e capanne

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vennero semplicemente demolite dai bulldozer delle grandi società

proprietarie della terra, e ben presto caddero in miseria.

Migliaia e migliaia di persone vennero allettati dai racconti del

“dorato ovest”, caricarono sulle automobili malandate famiglie,

parenti, cani, pollame e materassi e partirono per la California. Ma,

come raccontò John Steinbeck in Furore, laggiù non avrebbero

trovato né la tranquillità dello spirito né la terra di Bengodi. Non si

sa quanti emigrassero dagli stati della “tazza di polvere” colpiti

dalla crisi, ma nel 1936 un’indagine in sette contee del Colorado

dimostrò che contro 2878 fattorie ancora abitate ce ne fossero 2811

abbandonate di recente.39

Se è vero che la siccità fu eccezionalmente lunga e i venti

eccezionalmente violenti, gli agricoltori furono in larga misura

responsabili delle condizioni che avevano permesso una così

massiccia erosione del terreno. Avevano tentato di introdurre nelle

Grandi Pianure modi di coltura che si adattavano solo al clima

umido dell’est e di conseguenza avevano sottoposto la terra a un o

sfruttamento eccessivo. E dopo che l’erba era stata distrutta

dall’aratro o divorata nelle radici dal bestiame, niente poteva

impedire ai venti di spargere milioni di tonnellate di terra secca e

polverosa su cinque stati, rovinando nove milioni di acri delle

Grandi Pianure e danneggiandone gradualmente altri ottanta

milioni.

La depressione ebbe effetti disastrosi anche sulla gente di colore,

cancellando di colpo tutti i modesti progressi fatti dopo la Prima

Guerra mondiale e ricacciandola nella miseria più profonda. Nelle

città del Nord, dove i neri erano gli ultimi a trovar lavoro e i primi a

39 E. J. HOBSBAWM, Ibid.

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essere licenziati, il numero dei disoccupati, in rapporto alla forza

lavoro, fu due volte maggiore di quello dei bianchi. Nelle campagne

del Sud, dove viveva ancora la maggior parte della popolazione di

colore, i neri dipendevano più dei bianchi dal cotone, il prodotto

agricolo maggiormente penalizzato dalla depressione.

Roosevelt si mostrò poco sensibile alle richieste della gente di

colore in materia di diritti civili; attento a non scontentare i

democratici del Sud, del cui appoggio aveva bisogno, rifiutò

persino di apporre la sua firma a un decreto federale contro il

linciaggio. Tuttavia la politica del New Deal fu largamente

condivisa dalla gente di colore e contribuì a spezzare il tradizionale

legame tra l’elettorato nero e il partito repubblicano di Lincoln.

I meno colpiti dalla depressione furono in definitiva i ricchi. Chi

non era stato ridotto sul lastrico dal crollo di Wall Street (e cioè la

maggior parte) continuò ad accumulare ricchezze grazie a una

sistematica, e perfettamente legale evasione fiscale. Nel 1933 una

commissione senatoriale accertò che il banchiere milionario J.P.

Morgan e i suoi diciassette soci non avevano pagato alcuna imposta

federale sul reddito nei due anni precedenti. Alcuni milionari si

arricchirono anche durante la depressione, tra gli altri J. Paul Getty

e Joseph P. Kennedy.

La parte più ricca della popolazione americana, circa il 5%,

continuò a vivere come prima della grande crisi.40 Le località alla

moda della Florida e dei Caraibi non subirono alcuna flessione

nell’afflusso della clientela, anzi vennero costruiti nuovi alberghi di

lusso; i dati della General Motors testimoniano che la domanda

40 P. BAIROCH e E. HOBSBAWM, Ibid.

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delle lussuosissime Cadillac non aveva subito flessioni (mentre le

vendite delle Chevrolet erano crollate).

Com’era prevedibile, la depressione alimentò la criminalità: negli

anni Trenta il numero dei detenuti salì del 40%. Furti, furti con

scasso e altri reati contro la proprietà aumentarono notevolmente,

come pure gli arresti per vagabondaggio e ubriachezza molesta. In

compenso diminuirono altri reati gravi, anche se qualche episodio

clamoroso di rapimento e di assalto alle banche ebbe grande

risonanza e allarmò l’opinione pubblica. Il rapimento e l’assassinio

del figlioletto di Charles A. Lindbergh, il celebre trasvolatore

dell’Atlantico, suscitò una tale eco nel 1932 che poco dopo venne

approvata una legge federale contro il rapimento dei bambini. Il

governo federale intervenne anche quando le autorità locali si

rivelarono incapaci di bloccare l’attività di bande di rapinatori

armati che assalivano le banche terrorizzando intere regioni. Nel

1934 agenti federali guidati da J. Edgard Hoover, capo del Federal

Bureau of Investigation (FBI), individuarono e uccisero i più noti

tra questi “nemici pubblici”: John Dillinger, Pretty Boy Floyd,

Baby Face Nelson, che divennero così veri e propri eroi popolari.

Sempre durante questo periodo si verificò un’enorme diffusione

degli apparecchi radio: nel 1929 le famiglie che li possedevano

erano dodici milioni, nel 1940 ventotto milioni, cioè l’86% della

popolazione41. Agli inizi della grande depressione le sale

cinematografiche persero circa un terzo degli spettatori, ma poi li

recuperarono con i doppi spettacoli. La maggior parte dei film degli

anni trenta evitava di trattare temi sociali: la gente sembrava voler

evadere dalla realtà e Hollywood la accontentò con una serie di

41 F. R. DULLES, Ibid.

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commedie brillanti, western, film storici, film gialli, musical e i

cartoni animati di Walt Disney.

L’evasione, più che la protesta, fu anche il tema dominante della

letteratura di questo periodo. Diversi scrittori e critici

simpatizzavano per la sinistra, ma pochi si impegnarono nella

descrizione della crisi del capitalismo americano; fra questi John

Dos Passos, con la sua trilogia USA: Il 42° parallelo (1930), 1919

(1932) e Un mucchio di quattrini (1936), feroce critica nei confronti

del mondo dell’industria americana e delle sue ingiustizie. John

Steinbeck, quantunque meno impegnato politicamente, tracciò un

suggestivo e appassionante affresco del mondo della gente che si

spostava in cerca di lavoro in romanzi come Battaglia (1936),

Uomini e topi (1937) e soprattutto il già citato Furore (1939), da cui

fu tratto in seguito un film, che narra le sofferenze di una famiglia

che si sposta in cerca di fortuna.

Comunque gli scrittori di maggior talento di questo decennio

preferirono evitare i temi sociali. William Faulkner si rifugiò nel

mito del vecchio Sud e poi si trasferì a Hollywood (seguendo

l’esempio di Francis Scott Fitzgerald) per fare lo sceneggiatore.

Ernest Hemingway, all’inizio degli anni Trenta, fu affascinato dai

temi della corrida e della caccia grossa, poi venne coinvolto nella

guerra di Spagna che seguì come corrispondente e che gli ispirò il

romanzo di grande successo, Per chi suona la campana (1940). A

livello popolare i romanzi di maggior successo furono quelli di

ambiente storico, come Passaggio a nord-est (1937) di Kenneth

Roberts e soprattutto Via col vento (1936) di Margaret Mitchell, una

storia d’amore ambientata in Georgia durante la guerra di

secessione e la ricostruzione.

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11. LETTERATURA AMERICANA DEGLI ANNI ‘30

Benché molti degli scrittori degli anni Venti continuassero in anni

successivi la loro opera seguendo la strada che essi stessi si erano

aperta, durante la depressione vi fu nell’atmosfera letteraria (come

in quella sociale) un cambiamento che si rivelò in un maggiore

interesse per i problemi economici e sociali e in una crescente

simpatia per gli sforzi contemporanei di promuovere riforme

sociali42.

Negli anni della Grande Depressione, quando l’America nel

tentativo di riprendersi dalla crisi del 1929 frugò in tutte le cause

che potevano aver suscitato la catastrofe, si produsse una narrativa

di protesta sociale che calpestò le tracce segnate dalla narrativa di

protesta morale del decennio precedente.

Il romanzo degli anni Trenta tagliò i ponti con quello degli anni

Venti e dimenticò i problemi di costume che lo avevano

ossessionato sino ad allora.

Alcuni scrittori descrissero con crudo realismo la miseria,

l’ignoranza, il degrado dei “poveri bianchi” del Sud o degli

inquilini degli slums43 settentrionali. Altri, con una maggior

capacità di visione sintetica, guardarono all’intera nazione.

I libri di John Steinbeck furono fra quelli che descrissero più

veristicamente la scena contemporanea: la depressione, gli scioperi,

la forzata astinenza imposta dal proibizionismo, la disoccupazione.

Benché lo stile di Steinbeck derivasse direttamente da quello di

42 C. Pavese, La letteratura americana e altri saggi , Torino, Einaudi, 1990. 43 catapecchie

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Frank Norris e di Jack London, il suo verismo fu temprato dalla

simpatia e dalla convinzione che si potesse far qualcosa per

rimediare ai mali della società; Steinbeck aveva fede nel popolo.44

Furore (Grapes of Wrath), il suo libro più significativo, descriveva

gli effetti della depressione sull’esistenza dei piccoli agricoltori e

mezzadri delle grame terre del Sud-Ovest. Il racconto della tragica

migrazione di quella gente, costretta ad abbandonare la sua terra per

cercare una vita migliore in California, è un documento eloquente e

toccante in cui le spaventose conseguenze della depressione sono

descritte più vividamente che in qualunque altro libro del tempo.

Il romanzo di Steinbeck era nello stesso tempo ferocemente

realistico e pervaso da un’intensità di sentimento che qua e là

minacciavano di diventare sentimentalismo: Furore fu uno dei libri

più letti di quel periodo e la sua influenza è stata paragonata a

quella della Capanna dello Zio Tom (Uncle Tom’s cabin) di H.

Beecher Stowe. Nel 1940 il regista John Ford vinse l’oscar con il

film tratto dall’omonimo libro di Steinbeck, interpretato tra gli altri

da Henry Fonda e Jane Darwell.

Negli anni Trenta vi fu ancora un’altra scuola di scrittori, i

cosiddetti “scrittori proletari”, che nel reagire alla depressione erano

diventati comunisti, socialisti o, più vagamente, dei “compagni di

strada”. Nei loro scritti risuonava spesso una nota aspra e amara;

molti fra loro sacrificarono senza rimpianto l’integrità artistica

sull’altare della propaganda marxista, ma altri come James T.

Farrell con la serie di Studs Lonigan, inquadrata sullo sfondo delle

case d’appartamenti di Chicago e il nero Richard Wright in un

44 R. Giachetti, Lo scrittore americano, Milano, Garzanti, 1987.

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possente romanzo, Ragazzo negro (Native Son), - riuscirono a

esprimere la loro protesta senza sacrificare lo stile.

Allo stesso immaginario letterario appartenevano anche due grandi

scrittori del profondo Sud quali William Faulkner (coetaneo di

Hemingway) e Erskine Preston Caldwell (La via del tabacco,

Tobacco Road, 1932), la cui letteratura venne definita ‘proletaria’45.

Questo tipo di narrativa raccontava realtà tutt’altro che avventurose

o favolose, bensì la povertà e la dignità di un popolo in continua

lotta contro il destino.

William Faulkner, pubblicò i suoi primi libri fra il 1920 e il ’30, ma

continuò a scrivere opere anche migliori, e di più vasto successo,

nei decenni successivi.

I suoi romanzi e racconti avevano il più delle volte per sfondo la

vita della gente della mitica contea di Yoknapatawpha, nel

Mississippi, dove le tradizioni del passato, rappresentate da una

decaduta aristocrazia, si trovano in costante conflitto col

materialismo dei nuovi venuti i cui unici interessi erano fare

quattrini e migliorare la propria posizione. Si avvertiva una nota di

disperazione nel modo in cui Faulkner dipingeva i discendenti di

famiglie che erano state grandi prima della guerra di secessione46.

Egli sentiva che essi stavano pagando il debito incalcolabile del

passato, l’egoistico sfruttamento della terra, degli indiani, dei neri.

Egli vedeva ben poca speranza per il Sud, e il suo appariva spesso

come un mondo di rivolta, di negazione, di degradazione, di caos e

di morte.

Fra i libri del decennio 1930-40 si ricordano L’urlo e il furore (The

Sound and the Fury, 1929), Santuario (Sanctuary, 1931) e Luce

45 AA.VV, Storia della letteratura americana , Firenze, Sansoni, 1998. 46 F. Pivano, Amici scrittori, Milano, Mondatori, 1996.

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d’agosto (Light in August, 1932), storia in cui era simboleggiato il

contrasto fra il nuovo e il vecchio Sud47.

Fu il suo periodo di maggiore creatività. Come tanti scrittori di

quegli anni Faulkner sperimentò di continuo forme nuove, ed

elaborò uno stile sconcertante e complesso, spesso incomprensibile

al lettore medio.

Più importanti degli “scrittori proletari” furono altri romanzieri,

drammaturghi e critici a cui la depressione non fece perdere

l’equilibrio, e che invece trovarono nuove basi su cui fondare la

loro speranza nella società e nell’uomo.

Questo nuovo atteggiamento si riflette chiaramente nella

produzione più tarda di Sinclair Lewis e di John Dos Passos.

Il libro più importante di John Dos Passos fu U.S.A., le cui tre parti

furono pubblicate in volume unico nel 1938: il quadro della società

americana presentato era disastroso.

La vera protagonista è la metropoli sullo sfondo, vivisezionata da

tutti i suoi delusi di ogni classe; di contorno, le spesso squallide

storie solitarie di personaggi senza futuro costruiti con una

prodigiosa ricchezza episodica.

Dos Passos vide solo alcuni aspetti della vita americana, benché

forse nessuno scrittore abbia mai tentato di allargare tanto il raggio

delle proprie osservazioni, e fece un quadro impietoso della

crudeltà, vanità e volgarità che aveva trovato nel mondo degli

affari. Benché fossero assai di più che semplici simboli, i suoi

personaggi erano fatti tutti nello stesso modo, e Dos Passos derise la

loro ricerca dei mezzi per soddisfare le loro ambizioni e passioni

47 C. Pavese, Ibid.

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più da implacabile critico morale che da romanziere. In certo modo

più interessanti delle note di protesta radicale – egli trasferì il

disfattismo della generazione perduta dall’individuo alla società –

erano il suo stile e i suoi esperimenti formali.

Il tema narrato è la degenerazione del ‘sogno americano’ in sistema

capitalistico fondato sull’ingiustizia e sullo sfruttamento.

L’autore evita di scadere nei toni della propaganda politica grazie

agli originali espedienti narrativi sperimentati: il ‘newsreel’

(cinegiornale), citazione letterale, di effetto potentemente

evocativo, dei più disparati giornali del periodo; la ‘biografia’,

conciso e vivido resoconto della vita di contemporanei celebri,

posto spesso a ironico contrasto con il destino dei personaggi; il

‘camera eye’ (occhio della telecamera), impersonale commento sul

ritmo del ‘flusso di coscienza’, affidato a una voce che coincide con

quella dello stesso autore.

U.S.A. non offriva un’immagine allettante del Paese, che era il vero

protagonista del romanzo; di pari passo col procedere di

quest’ultimo Dos Passos diventava sempre più cinico, sempre meno

propenso a credere che il popolo americano possedesse qualità

positive tali da poter controbilanciare le negative.

12. LA RIPRESA ECONOMICA

Nel 1937-38 due avvenimenti incrinarono l’autorità di Roosevelt:

una serie di conflitti di lavoro e un improvviso riaccendersi della

crisi economica.

L’improvvisa crisi dell’economia verso la fine dell’estate del 1937

concluse quattro anni di parziale ripresa, distruggendo l’illusione

che la depressione fosse stata sconfitta per sempre. La produzione

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industriale segnò il passo, l’ indice del mercato azionario cominciò a

scendere, il numero dei disoccupati salì a quattro milioni. La causa

di questa “recessione”, come venne definita, fu il tentativo di

Roosevelt di far funzionare in modo ortodosso la leva fiscale.

Preoccupato dall’aumento del deficit pubblico e dalla possibilità di

un nuovo disastro simile a quello del 1929, il presidente tentò di

riequilibrare il bilancio tagliando pesantemente le spese federali.

Ciò fece subito invertire

l’andamento dell’economia,

all’interno del governo

sostenitori di diverse teorie

premettero sul presidente

proponendogli rimedi

contraddittori. Dopo molte

esitazioni, Roosevelt seguì

il consiglio degli economisti

della scuola keynesiana

incrementando di nuovo la spesa pubblica, anche se non accettò del

tutto (o almeno non capì) la formula keynesiana mirante a rimettere

in moto l’economia finanziando sistematicamente il deficit

pubblico.48 Il congresso appoggiò le richieste di Roosevelt di nuovi

stanziamenti per l’assistenza e i lavori pubblici e nell’estate del

1938 l’economia aveva ripreso lentamente la sua ascesa.

L’episodio, tuttavia, aveva incrinato la fiducia della gente nel

governo.

Nel 1939 si potevano osservare notevoli miglioramenti in diversi

settori dell’economia: ad esempio, la produzione dell’industria

48 M. A. JONES, Ibid.

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manifatturiera era tornata ai livelli del 1929 ( ma qualche critico

affermò che ciò era avvenuto malgrado il New Deal, non per merito

di questa politica). Gli investimenti però erano ancora scarsi e

c’erano nove milioni e mezzo di disoccupati, il 17% della forza

lavoro complessiva, solo nel 1941 la disoccupazione sarebbe

cessata e avrebbe avuto inizio una nuova fase di prosperità,indotta

però dalla guerra e dall’industria bellica.

Pur con i suoi fallimenti e i suoi limiti, il New Deal ottenne risultati

che hanno resistito all’usura del tempo e sono divenuti parte delle

abitudini nazionali. Esso pose le basi dello stato assistenziale e creò

nuovi legami nell’ambito delle relazioni industriali. Introdusse

controlli sul sistema bancario e sulle borse valori. Fissò il principio

secondo cui il governo aveva la responsabilità primaria di guidare

l’economia. Quantunque sia eccessivo affermare che Roosevelt

salvò gli Stati Uniti dalla rivoluzione, senza dubbio ne risollevò il

morale.

Ci furono anche altri cambiamenti. Il New Deal estese le

prerogative del governo federale, diede al capitalismo americano un

assetto più umano. Pur non riuscendo a ridistribuire ricchezza e

denaro, ristabilì un equilibrio tra capitale e lavoro. Inoltre conferì

una nuova dignità alle minoranze: Roosevelt inserì

nell’amministrazione federale una quantità senza precedenti di

cattolici, ebrei, neri, donne. Il New Deal favorì anche nuovi

equilibri in politica. Dando vita a una coalizione comprendente gli

uomini del Sud, gli apparati politici delle grandi città del Nord, i

sindacalisti, gli intellettuali, la gente comune, consentì ai

democratici di prendere il posto dei repubblicani come partito di

maggioranza. Per finire, Roosevelt restituì alla carica di presidente

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prestigio e potere, ne rivitalizzò il carisma, ne ampliò le funzioni, le

diede più ampie facoltà di proporre nuove leggi. Introdusse e gestì

con grande abilità l’abitudine alle conferenze-stampa, fu il primo a

sfruttare le possibilità dei nuovi mezzi di comunicazione di massa

dialogando con milioni di ascoltatori mediante la radio.

Tuttavia, ponendo la casa Bianca al centro della vita dello stato,

Roosevelt gettò le basi di molte difficoltà future. L’estensione delle

prerogative dell’esecutivo, insieme con quella che è stata definita la

personalizzazione della carica presidenziale, segnò l’inizio di un

processo evolutivo che ampliò i poteri del presidente al punto da

minacciare in concreto l’equilibrio del sistema costituzionale degli

Stati Uniti.

13. L’EUROPA PRIMA DELLA GRANDE DEPRESSIONE

Il 1925 segnò un momento estremamente positivo per l’economia

del vecchio continente: la Gran Bretagna aveva ritrovato la

convertibilità in oro della sterlina, la Germania, grazie al piano

Dawes, che le forniva enormi prestiti, teneva fede alle scadenze

delle rate del proprio debito di guerra e sviluppava la propria

rinascita economica ed industriale. Proprio in quell’anno la

produzione complessiva dell’Europa ritornò ai livelli di prima della

Grande Guerra: sembrò, insomma, che il mondo si avviasse ad un

periodo di benessere, sviluppo e prosperità.

Tutto sembrava contribuire a creare nella gente un ottimismo ed

un’aspettativa verso un’età dell’oro che la società industriale e

capitalista pareva garantire.

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Anche in Europa cominciarono ad affermarsi l’organizzazione su

vasta scala del lavoro e la derivante economia di scala, che presero

il nome di “fordismo” o “taylorismo”, d’importazione statunitense;

e fu soprattutto la Germania a far tesoro di questa dottrina, tornando

ad essere, alla fine degli anni Venti, la maggiore potenza industriale

europea; il che la rese

più vulnerabile di paesi

ancora ad ampia

vocazione agricola,

come, ad esempio,

l’Italia, alla crisi del ’29.

Famiglia durante una gita nella

campagna inglese: 1926

In Italia, il regime fascista nel frattempo puntò sulla riduzione delle

importazioni, seguendo due vie principali: autosufficienza

cerealicola (la cosiddetta “battaglia del grano” lanciata da Mussolini

nel ’25), e aumento dei dazi protezionistici a difesa dei prodotti

nazionali, altrimenti scarsamente economici e competitivi rispetto a

quelli dei Paesi tecnologicamente più avanzati.

Proprio nel contesto della “battaglia del grano”, il Fascismo

incentivò l’attività contadina, esaltando la figura del cittadino-

agricoltore di matrice romana, ed operò importantissimi lavori di

bonifica, che interessarono più di 100.000 ettari di territorio prima

incolto, come avvenne per le paludi dell’Agro Pontino,

distribuendole a famiglie di contadini, in modo che esse non

lasciassero l’agricoltura per inurbarsi. 49

49 E. J. HOBSBAWM, Ibid.

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Il punto massimo di questa politica economica venne rappresentato

dal perseguimento dell’Autarchia, ossia dell’autosufficienza

italiana, che le “inique sanzioni” contro l’Italia avrebbero

incentivato.

14. GLI EFFETTI DELLA CRISI SULL’EUROPA

La crisi borsistica e finanziaria investì tutto il sistema economico e

valicò l’Atlantico, propagandosi in Europa e nel resto del mondo.

Le banche statunitensi, che avevano concesso prestiti in Europa,

cominciarono a chiederne la restituzione; anche gli investimenti

statunitensi vennero meno, mettendo in crisi l’economia di Paesi

come la Germania.

Crollarono le Borse europee, fallirono aziende, milioni di persone

rimasero senza lavoro. Si creò uno choc collettivo e si diffuse un

acuto malessere sociale, che favorì in Paesi come la Germania,

l’instaurazione di regimi autoritari.

I tentativi di risolvere la crisi furono caratterizzati dall’intervento

diretto dello Stato nell’economia. Le misure adottate, volte a

regolare le manifestazioni di quello che si può chiamare il

capitalismo selvaggio, cercarono di conciliare l’intervento dello

Stato con la libertà d’impresa e con una legislazione di solidarietà

sociale.

I rimedi furono diversi da Paese a Paese, in alcuni casi addirittura

prolungarono e peggiorarono la crisi.

Alcuni Stati (Francia e Inghilterra) ridussero la spesa pubblica,

imposero tasse, decretarono misure protezionistiche (istituirono,

cioè, dazi per proteggere la propria industria) o, come l’Italia,

autarchiche (impedirono rapporti commerciali con l’estero). Tali

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misure ridussero la capacità di acquisto, incrementando

disoccupazione e recessione.

Altri Paesi, come gli Stati Uniti, adottarono soluzioni che mirarono

a stimolare la domanda di beni da parte della maggior parte della

popolazione, rimettendo in funzione l’intero ciclo economico. La

soluzione statunitense consentì di superare positivamente la crisi

senza le pesanti ripercussioni politiche che essa ebbe in Europa.

Germania: il popolo e il governo tedesco serbavano un vivo ricordo

della terribile crisi monetaria del 1923, quando il marco non valeva

neppure la carta di cui era fatto. Preoccupato che si diffondesse il

panico il governo impose severe restrizioni sulla disponibilità

valutaria.50

La spiegazione tradizionale del precoce crollo dell’economia

tedesca sottolinea lo stesso insieme di fattori. I prestiti americani

alla Germania diminuirono sostanzialmente nel terzo trimestre del

1928. La bilancia dei pagamenti si indebolì, spingendo al rialzo i

tassi di interesse e determinando una scarsità di capitali che

restrinse la domanda di investimenti. L’economia tedesca si

indebolì quindi prima di quella degli Stati Uniti.

Nella seconda metà del 1928, molti indicatori economici tra i più

importanti erano già in declino. La Germania fu quindi assoggettata

ad un secondo shock quando i suoi mercati di esportazione si

contrassero nel 1929.

“Il motivo principale di questa corsa alle banche è la paura

dell’inflazione… Ci sono sempre delle incertezze, per cui quanti

hanno dei risparmi accumulati con dure economie dal 1923

vogliono adesso metterli sotto il materasso o chiuderli a chiave

50 C.H. FEINSTEIN, Ibid.

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nella vecchia cassa di quercia oppure, se il marco dovesse

veramente rischiare di svalutarsi, convertire la carta moneta in

oggetti solidi, magari uccelliere o grammofoni”51.

“Un segno dell’attuale penuria di contante in Germania è

l’ordinanza pubblicata a Merseburg che dà istruzioni alle autorità

locali di accettare in pagamento delle tasse anche beni in natura –

patate, grano, verdura – pur di non aggravare le difficoltà in cui si

dibattono gli agricoltori procedendo a sequestri. Queste merci

devono essere accreditate secondo i prezzi del mercato e vanno

utilizzate invece del contante per i soccorsi ai disoccupati”.52

Questi figli, mezzi-orfani, del disordine, della guerra e

dell’inflazione, trascurati dai genitori, lasciati crescere senza

assistenza, senza una certezza che li sostenesse, avevano bisogno di

particolari cure da parte della società. Senza queste cure essi, gli

indifesi, i disorganizzati, furono le prime vittime del riassestamento

sociale. Appena arrivavano alla maturità si accorgevano, con

profonda costernazione, che non si apriva loro alcuna via. E l’odio

dei diseredati cresceva mostruosamente: l’odio contro il sistema

sociale che non aveva posto per i suoi giovani e aveva accettato

dagli Alleati vittoriosi un trattato per cui (dicevano i nazionalisti) si

rendeva inevitabile la castrazione del germanesimo. Tutto questo

era ottimo materiale per l’estremismo politico. Senza il trattato di

Versailles quei giovani si sarebbero senza dubbio rivolti contro

coloro che si avvantaggiavano economicamente del sistema e forse

sarebbero riusciti a eliminarli.” Così come stavano le cose, con il

60% dei neolaureati senza lavoro (marzo 1932), con più della metà

51 Manchester Guardian, corrispondenza da Berlino, 17 luglio 1931. 52 Ibid. 27 luglio 1931.

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dei tedeschi tra i sedici e i trent’anni disoccupati, con un sistema di

assistenza che favoriva i disoccupati più degli anziani a spese di

quei giovani che, presumibilmente, avrebbe dovuto proteggere, la

giovane Germania era facile vittima dei demagoghi patriottici.

Gran Bretagna: la crisi finanziaria si propagò dalla Germania alla

Gran Bretagna. I fondi tedeschi investiti a Londra a breve scadenza

furono ritirati; nell’agosto ci fu una corsa su Londra. La Banca

d’Inghilterra dovette fare pagamenti in oro, ma a settembre non era

più in grado di continuarli. Alla fine del 1932 altri dodici Paesi

avevano seguito la sorte della Gran Bretagna e sospendevano i

pagamenti in oro. Il dollaro fu svalutato nel 1933, il franco nel

1936.53

La lotta per il mantenimento della pace aurea, tuttavia, aveva

ulteriormente ostacolato gli investimenti. Come tutta risposta alla

penuria di capitali e alla caduta della produzione, l’America aveva

aumentato i dazi sulle importazioni, già altissime. L’Europa non

poteva vendere prodotti in America, perciò non aveva denaro per

comprare prodotti dall’America. A poco a poco i Paesi europei

aumentarono i loro dazi e le loro quote di importazione. La Gran

Bretagna abbandonò finalmente la sua politica di libertà dei traffici.

Il commercio internazionale, praticamente, finì. Anche le fabbriche,

altri cantieri navali, altre industrie chiusero i battenti. Altri uomini

finirono sul lastrico. Nel momento più nero ci furono trenta milioni

di disoccupati.54

Francia: fino alla fine del 1930, la Francia rimase un’isola di

prosperità nel mare della depressione; in un primo momento la

Francia si congratulò con se stessa per la sua prosperità. Il franco

53 B. EICHENGREEN, Ibid. 54 C. P. KINDLEBERGER, Ibid.

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restava ben saldo dopo che la sterlina e il marco erano crollati. “Da

parte nostra” diceva, “rallegriamoci della nostra timida e pur

prospera economia, di contro alla presuntuosa e decadente

economia delle razze anglosassoni.”55 Ma il declino del commercio

internazionale colpì ben presto anche la Francia.

Italia: “La crisi agraria non è meno grave di quella industriale. La

produzione non è remunerativa. Non vi è richiesta di fondi in

affitto. I proprietari vogliono vendere ma non trovano acquirenti. In

certe zone la situazione è addirittura tragica. Fame, letteralmente

fame in tutta la bassa emiliana-parmense, reggiano, modenese –

particolarmente nel carpigiano battuto dai geli, dai raccolti

fallimentari e dalla crisi del pomodoro. A Vignola, che è zona

proverbialmente ricca del modenese, sono aperte le cucine

economiche (come in tanta parte della pianura padana), per la

distribuzione di una sola minestra quotidiana. I postulanti erano più

di 1000, ma solo 600 poterono essere accolti.”56 “Essendo poi

arrestate in molti luoghi le industrie, anche i medi e i maggiori

proprietari trovano estrema difficoltà a procurarsi il denaro, perché

anche i tagli dei boschi, per esempio, per segherie o per estrazione

di tannino o simili, sono sospesi… Come nei tempi di economia

primitiva gli scambi in natura si esercitano su vasta scala un po’

dappertutto, sempre che vi sia la possibilità di farlo. Gli avvisi

commerciali e industriali non figurano più affatto nella pubblicità

dei giornali, la quale è tutta dedicata per pagine intere alle vendite

giudiziarie e ai sequestri di ogni genere, specialmente quelli operati

dalla esattoria. In questo momento il Monte dei Paschi di Siena si

55 Le Figaro il 7 ottobre 1931 56 La libertà, 22 marzo 1930.

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trova ad avere anticipato 90 milioni al governo, che rappresentano

principalmente quote inesigibili. I fallimenti non si contano più…”.

“Nell’Italia settentrionale la situazione non è più lieta. Dappertutto

negozi chiusi per fallimento. Ad Alessandria gli operai di Borsalino

lavorano, al massimo, tre mezze giornate per settimana; un gruppo

di disoccupati ha gridato in faccia ai militi. “Abbasso il fascismo!”

per procurarsi (come dichiararono davanti al pretore” il minestrone

del carcere… La morosità nel pagamento delle tasse è generale”.57

Molti Paesi avevano deficit di bilancio: molti furono costretti a

operare riduzioni dei salari.

C’erano anche, ovviamente, i problemi della disoccupazione e dei

debiti. Molti Paesi dichiararono una moratoria dei debiti con

l’estero. Altri presero provvedimenti che riducevano gli impegni dei

contadini (per esempio la Iugoslavia e la Cecoslovacchia).

Il crollo del sistema economico-finanziario del mondo occidentale

sembrava aver causato disastri dappertutto. Uomini abili languivano

nell’inerzia, buone derrate alimentari venivano lasciate marcire.

Solo la Russia, isolata dal sistema finanziario occidentale e

indipendente dai commerci dell’occidente, sembrava relativamente

indenne.

15. L’EREDITA’ DELLA CRISI E BILANCIO DELLA

DEPRESSIONE

Tutto quanto è stato scritto ci permette di capire l’origine di molti

aspetti importanti del mondo e dell’economia odierna: certe

strutture economiche e politiche, nate nel corso e in conseguenza

alla crisi del ’29, esistono tuttora e influiscono sui mercati e sulle

57 La libertà, 30 luglio 1931

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società di oggi. È altresì facile capire che se il corso dello sviluppo

socio-economico non avesse avuto un brusco arresto, come avvenne

nel periodo preso in esame, oggi non assisteremmo alla realtà così

come la conosciamo.

È importante tuttavia soffermarci un ulteriore momento sul passato

e riflettere sul fatto che il New Deal non riuscì a riportare gli Stati

Uniti alla prosperità e alla perfetta stabilità economica, ma riuscì a

migliorare il tenore di vita del popolo americano; cosa assai più

importante, il governo, dimostrando la sua volontà di far uso di tutti

i propri poteri per dare all’economia nazionale un migliore

equilibrio, fece rinascere la fiducia nel capitalismo democratico. Le

istituzioni esistenti ne trassero nuova vitalità, e mentre altre nazioni

tentavano esperimenti assai più radicali e comunismo e fascismo

allargavano in modo terrificante le loro conquiste, gli stati Uniti

rimasero fedeli agli ideali e alle tradizioni cui dovevano la loro

grandezza. Il fattore fondamentale che determinò questo rinascere

della fiducia nel sistema di vita americano sta, come abbiamo già

accennato, nel fatto che il governo accettò la sua nuova

responsabilità. Dopo avere riconosciuto i suoi nuovi obblighi nella

“Dichiarazione dei Diritti Economici”, il governo mantenne le

promesse votando le sue energie al compito di offrire a tutti i

cittadini occasioni uguali, senza per questo sacrificare quelle libertà

fondamentali che altri governi avevano spietatamente soppresso.

Spesso i fondi stanziati dal governo federale per lavori pubblici e

per fini assistenziali durante la depressione parvero sprecati in

imprese inutili, ma l’aumento della ricchezza materiale del Paese,

grazie al programma di ricostruzione e di difesa delle risorse

naturali, compensò, in buona parte, questo apparente spreco. I

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grandi progetti di sfruttamento delle risorse idriche, migliaia di

miglia di strade asfaltate, nuovi ponti, canali, fognature, migliorie

nei porti, i moderni edifici scolastici che sorsero in tutto il Paese

arricchirono immensamente il potenziale economico e sociale del

Paese.

L’enorme espansione delle attività del governo, la maggior

complessità della burocrazia federale, il crescere delle spese

federali, ecc. avevano naturalmente i suoi pericoli. Significava che

il governo era più centralizzato di quanto fosse stato mai e che i

tradizionali rapporti fra l’autorità federale e quelle statali erano

cambiati in modo radicale. Modernizzandosi e acquistando

efficienza, il governo era ora in grado di controllare quasi a suo

piacimento le iniziative private e, quindi, di limitare drasticamente

la libertà individuale. Aumentò anche il potere dell’esecutivo, in

conseguenza sia della situazione d’emergenza che della personalità

di Roosevelt, e venne data nuova importanza alla funzione del

presidente come capo della nazione.58 Nella situazione del momento

questo era inevitabile ed ebbe anzi conseguenze benefiche per tutto

il Paese; ma anche qui non si possono negare i pericoli impliciti nel

nuovo accentramento dei poteri, come rilevato in precedenza.

L’ampiezza dei poteri politici e delle responsabilità economiche del

governo non aveva precedenti nella storia americana; tuttavia

queste evoluzioni nascevano dal passato, erano conformi alle

tradizioni americane e si erano compiute con mezzi perfettamente

costituzionali. Non c’era stata nessuna essenziale alterazione nei

metodi che permettevano al popolo di decidere, per mezzo dei suoi

58 B. DRAGHI, Ibid.

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rappresentanti, l’estensione dei controlli a cui era disposto a

sottomettersi. Esso rimaneva il custode della propria libertà.

Il New Deal ebbe innegabilmente, accanto ai suoi meriti, molti

difetti; e non seppe dare una soluzione permanente al problema

fondamentale del tempo, che fu quello di trovare un giusto

equilibrio fra libertà individuale e sicurezza economica. Ma con il

New Deal gli Stati Uniti d’America riaffermarono la fiducia nella

propria capacità di risolvere, con metodi democratici, tutti i

problemi e le difficoltà che si presentarono.

PARTE II

FASE COLLABORATIVO – OPERATIVA

Il docente tutor a cui sono stata assegnata si chiama Patrizia

Signorielli e insegna Italiano, Storia e Geografia nelle classi II e III

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corso A della scuola media inferiore “A. Tavelli” di Ravenna. La

sua esperienze di 15 anni all’interno dello stesso Istituto ha segnato

la sua professionalità: conosce alla perfezione l’ambiente in cui

lavora e gli organi che lo dirigono.

Pur essendo giovane è una delle insegnanti che da più lungo tempo

insegna nel suddetto istituto e si muove con agilità nell’intricato

Piano dell’Offerta Formativa che viene aggiornato ogni anno.

Nel nostro primo incontro, che si è tenuto in sala insegnanti durante

una delle sue ore libere, la docente mi ha illustrato in modo

dettagliato e approfondito quello che si potrebbe definire come il

suo “iter didattico”: come si svolgono le sue lezioni, come spiega,

quali sono i suoi obiettivi in base alla classe che si trova di fronte e

quali le esercitazioni che assegna agli alunni come verifica a lavoro

ultimato, soffermandosi in modo particolare sulle lezioni di storia

della classe III, quella con la quale avrei avuto un rapporto più

“operativo”.

Durante il mio tirocinio ho avuto modo di osservare, per numerose

ore il suo lavoro in classe ed il suo operato in preparazione alle

lezioni. Ho così considerato bene l’ambiente e il modo di lavorare

della mia tutor affinché l’unità di apprendimento, che avevo

precedentemente concordato con lei, si integrasse in modo

armonico al programma che gli alunni stavano svolgendo.

La classe dove ho svolto la lezione frontale è la III A, composta da

15 alunni, 8 maschi e 7 femmine, di età compresa tra i 13 e i 14

anni, non sono presenti alunni con deficit specifici; la sua

composizione sociale vede, predominante, la presenza di figli di

ceti di estrazione popolare, assieme a una parte minoritaria di

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estrazione socialmente privilegiata a cui si aggiungono alcuni

alunni provenienti da famiglie disagiate.

I banchi hanno una disposizione classica su tre file, l'aula è

relativamente nuova, vi è una carta geografica dell'Eurasia datata

1986 e cosa più grave, il fatto che questa sia una carta politica

prima della dissoluzione dell'Impero Sovietico, quindi di fatto

inutilizzabile. Questa è una ulteriore prova di deriva e

spersonalizzazione dello spazio fisico scolastico. La lavagna

d'ardesia è scrostata ed affiancata da un'altra di formica, a cui

mancano puntualmente i pennarelli per scrivere.

L’unità di apprendimento sulla quale ho lavorato è rivolta alla

classe III media già citata. Tale modulo ha richiesto 12 ore di

lezione frontale e verifiche sia in itinere che finali.

Tale unità è stata inserita come tassello all’interno della

programmazione di storia del docente tutor, dopo che quest’ultima

aveva spiegato alla classe gli effetti della Prima Guerra Mondiale, e

prima che introducesse il Ventennio fascista in Italia.

UNITA’ DI APPRENDIMENTO

IL CROLLO DI WALL STREET E LA GRANDE

DEPRESSIONE 1929-1938

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LEZIONE FRONTALE #1 e #2

INTRODUZIONE

Durante la mia prima lezione frontale nella classe III, ho fornito i

ragazzi del “piano di lavoro”, ovvero fotocopie della struttura

dell’unità di apprendimento, e l’ho illustrata, stando attenta ai loro

commenti e rispondendo alle loro domande, soprattutto di tipo

concettuale.

Gli alunni hanno in seguito attaccato le fotocopie al loro

quadernone di storia, affinché non venisse smarrito, abbiamo quindi

dato inizio alle lezioni.

PREREQUISITI

Ø Conoscere il significato di società liberale e capitalista

Ø Conoscere il significato di economia globale

Ø Orientarsi nella lettura di un quotidiano

Ø Conoscere, anche in solo in modo generale, la questione del

crack finanziario Cirio - Parmalat

FINALITA’ E OBIETTIVI

Ø Comprendere le caratteristiche della nuova società di massa

Ø Comprendere gli equilibri socio-economici di oggi

CONTENUTI

Ø L’economia e i rapporti globali, oggi

Ø Perché studiare la crisi del 1929

MEZZI E STRUMENTI

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Ø Lettura e analisi del manuale

Ø Lettura e analisi di quotidiani nazionali

Ø Vocabolario della lingua italiana

Ø Atlante storico mondiale

VERIFICHE

Competenze

Ø Cosa si intende per “globalizzazione economica”?

Ø Sapresti definire il significato di “sistema economico

mondiale?

Ø Perché l’economia riguarda tutti noi?

COLLEGAMENTI INTERDISCIPLINARI

Ø Geografia: “L’economia globale e i frabili equilibri”

OSSERVAZIONI FINALI

Al fine di rendere più interessante la prima parte del lavoro, quella

inerente i collegamenti passato – presente (crack finanziari, titoli di

borsa ecc.), ho portato in classe diverse pagine di quotidiani

nazionali i cui articoli parlassero del caso Ciro e Parmalat, ed altre

pagine di quotidiani economici, per dar loro un’idea di come sono

“strutturate” le pagine borsistiche. Ho fatto 18 fotocopie delle

pagine dei quotidiani presi in esame (Il Sole 24 ore, Milano

Finanza , Corriere della Sera e Repubblica), le ho distribuite ed ho

letto ad alta voce sia le notizie di cronaca che le griglie dei titoli di

borsa. Questa analisi ha richiesto due ore consecutive e la lettura è

stata intercalata da mie spiegazioni, approfondimenti, collegamenti

e soprattutto da risposte alle loro domande.

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Le domande che più spesso mi sono state rivolte riguardavano

l’impatto dei suddetti crack finanziari nel quotidiano e soprattutto

come i piccoli risparmiatori potevano tutelarsi da “sorprese” di

questo tipo.

LEZIONE FRONTALE #3 e #4

PREREQUISITI

Ø Conoscere il sistema delle alleanze politiche che si erano

attivate nella Prima Guerra Mondiale

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Ø Conoscere la situazione italiana ed europea dopo la Prima

Guerra Mondiale

FINALITA’ E OBIETTIVI

Ø Consolidare le conoscenze dell’unità di apprendimento

precedente

Ø Consolidare l’uso degli strumenti del sapere storico e del

linguaggio specifico

CONTENUTI

Ø L’eredità della Grande Guerra negli Stati Uniti

Ø L’Europa prima della grande depressione

MEZZI E STRUMENTI

Ø Lettura e analisi del manuale

Ø Vocabolario della lingua italiana

Ø Atlante storico mondiale in cd-rom

SPAZI UTILIZZATI

Ø Aula tradizionale

Ø Sala computer

OSSERVAZIONI FINALI

In questo caso ho diviso la lezione in due parti, la prima

regolarmente svolta in classe, la seconda invece con il supporto di

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un cd-rom interattivo che ben illustrava la situazione economica,

politica e sociale dell’Europa prima della Grande Depressione.

Io ed i ragazzi ci siamo recati nella sala di informatica al piano terra

dell’Istituto e, con l’ausilio di un computer ogni due persone, è stato

caricato il suddetto programma visibile a tutti.

Gli alunni si sono mostrati interessati soprattutto alla seconda parte

della lezione, che li ha visti protagonisti in prima persona (grazie

agli strumenti multimediali) della parte di storia trattata.

LEZIONE FRONTALE #5

PREREQUISITI

Ø Riuscire a leggere una tabella di dati con relativa legenda

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Ø Riuscire a comparare dati relativi a numeri positivi e negativi

FINALITA’ E OBIETTIVI

Ø Comprendere come le crisi economiche abbiano risvolti

anche sulla vita sociale

Ø Comprendere le cause della crisi del ’29 e del relativo Crollo

di Wall Street

CONTENUTI

Ø Il 1929

Ø Il crollo di Wall Street

MEZZI E STRUMENTI

Ø Manuale di storia

Ø Libri di storia specifici sull’argomento

COLLEGAMENTI INTERDISCIPLINARI

Ø Ed. Tecnica: “Lettura da un quotidiano e relativa

comprensione delle quotazioni di borsa

OSSERVAZIONI FINALI

Per far meglio comprendere come funzionava, nel 1929, il sistema

economico statunitense (i prestiti, le azioni, gli indebitamenti, ecc.),

ho diviso la classe in 3 gruppi, distribuendo loro la stessa somma di

banconote (sottratte al gioco “Monopoli”), ed io ho funto da borsa

di Wall Street, sottraendo e aggiungendo al loro gruzzolo ingenti

somme di denaro, fino ad arrivare al fatidico giovedì nero, dove non

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solo ho preso l’intera somma distribuita all’inizio della lezione, ma

ho dato loro fogli di notifica di debiti.

Questo esempio ha reso meglio l’idea di “scambio” monetario e

azionario, e semplificato la definizione di guadagno e perdita.

Tale simulazione è durata una mezz’ora e i ragazzi, inizialmente

erano presi dal guadagno facile e dai prestiti dati con poche

garanzie per l’investitore, poi, quando hanno capito che la crisi era

in atto, hanno cercato di dare spiegazioni al fenomeno (per esempio

dicendo che da quel momento non sarebbe più convenuto loro

investire in beni di lusso) ma non sono riusciti ugualmente a frenare

il collasso economico generale.

LEZIONE FRONTALE #6

PREREQUISITI

Ø Conoscere il tessuto economico della società americana

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Ø Riuscire a comprendere il rapporto cause-effetti

FINALITA’ E OBIETTIVI

Ø Comprendere le ragioni che hanno portato ad un collasso

economico e finanziario gli Stati Uniti e poi l’Europa

Ø Consolidare l’uso degli strumenti del sapere storico e del

linguaggio specifico

CONTENUTI

Ø Le cause della crisi del ‘29

Ø La grande depressione (1929-38)

MEZZI E STRUMENTI

Ø Manuale di storia

Ø Libri di economia (per lettura grafici)

VERIFICHE

Capacità Ø I seguenti grafici illustrano alcuni aspetti della crisi che colpì gli Stati Uniti a partire dal 1929. Osservali con attenzione, quindi commentali scrivendo un breve testo.

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COLLEGAMENTI INTERDISCIPLINARI

Ø Matematica: “Lettura di dati e relativa rappresentazione

grafica”

OSSERVAZIONI FINALI

L’ora successiva alla mia esposizione, con l’aiuto dell’insegnante di

matematica, i ragazzi hanno tracciato un diagramma cartesiano che

rappresentava la produzione e la disoccupazione (vedi allegato); la

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classe ha potuto constatare come al calare della prima,

corrispondesse l’innalzamento della seconda.

Servendosi di tabelle con dati (che avevo fornito loro), colori e fogli

di carta millimetrata, hanno finto di essere “analisti di borsa” ed

hanno scritto le loro conclusioni e riflessioni in base ai risultati

finali.

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LEZIONE FRONTALE #7

PREREQUISITI

Ø Conoscere la situazione economica dei principali stati

europei tra le due guerre

FINALITA’ E OBIETTIVI

Ø Comprendere il sistema presidenziale americano

Ø Comprendere come l’economia locale abbia molto spesso

risvolti mondiali

CONTENUTI

Ø Il presidente Roosevelt e il New Deal

Ø Gli effetti della crisi sull’Europa

MEZZI E STRUMENTI

Ø Manuale di storia

Ø Manuale di educazione civica

VERIFICHE

Competenze

Ø Cos’ha lasciato la Grande Depressione in eredità alla

popolazione americana?

Ø Quali furono i pregi e le contraddizioni del piano economico

del New Deal?

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OSSERVAZIONI FINALI

Per concludere la lezione, ho fatto collegamenti alle future prossime

elezioni presidenziali americane, ricordando come il mandato del

Presidente degli Stati Uniti d’America non possa durare più di 8

anni (2 mandati), mentre il presidente Roosevelt venne eletto per 4

volte di seguito!

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LEZIONE FRONTALE #8

PREREQUISITI

Ø Distinguere diversi registri narrativi

Ø Conoscere gli elementi costitutivi della comunicazione

FINALITA’ E OBIETTIVI

Ø Dimostrare di possedere capacità di collegamento tra

narrazione e storia

Ø Saper comprendere testi narrativi della tradizione americana

Ø Riuscire ad esprimere un’opinione e a giudicare i testi e le

immagini prese in esame

Ø Scoprire la società, i modi e gli usi del tempo passato e

rapportarli al presente

CONTENUTI

Ø La società americana negli anni della depressione

Ø La letteratura americana degli anni ‘30

MEZZI E STRUMENTI

Ø Libro “Furore” di John Steinbeck

Ø Vocabolario della lingua italiana

Ø Riproduzioni cartacee di opere d’arte americana

contemporanea (inerenti il periodo preso in esame)

Ø Cd musicale con musica jazz del periodo analizzato

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COLLEGAMENTI INTERDISCIPLINARI

Ø Italiano: “Letteratura americana degli anni ‘30” Bibliografia:

(esempi bibliografici quali: Furore di J. Steinbeck e Chiedi alla

polvere di J. Fante)

Ø Ed. Artistica: “L’arte statunitense al tempo della Grande

Depressione”

Ø Ed. Musicale: “Nascita e sviluppo della musica jazz”

OSSERVAZIONI FINALI

Ho trovato la classe particolarmente interessata non solo al discorso

strettamente collegato alla finanza (talvolta ostico e quindi

semplificato con esempi sul loro vivere quotidiano e sulla

“paghetta” che molti di loro percepiscono dai genitori e/o dai nonni)

ma anche allo stile di vita americano degli anni ‘20 e ’30, al

differente stile di vita tra New York e la grande provincia

americana e infine ai diversi mondi economici America – Europa;

inoltre quando ho letto ad alta voce un brano tratto da “Furore” di

Steinbeck, i ragazzi sono stati ipnotizzati dalla potenza descrittiva

delle parole, riuscendo ad immaginare la miseria e la crisi che

attraversò l’America in quel periodo.

La “lettura” e la relativa spiegazione di due cartoline illustranti

opere appartenenti al realismo americano hanno spinto la classe ad

esprimere opinioni e gusti, e la stessa cosa è valsa per l’ascolto di

due brani di musica jazz degli anni Trenta. Questo approccio

differenziato, che pur riguardava lo stesso periodo preso in esame,

ha spezzato un poco la monotonia della classica lezione frontale,

portando la classe a capire come letteratura, arte e musica, siano

espressioni diverse di uno stesso fenomeno sociale.

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LEZIONE FRONTALE #9

PREREQUISITI

Ø Conoscere le cause e gli effetti della Grande Depressione

Ø Aver elaborato i dati delle precedenti lezioni

FINALITA’ E OBIETTIVI

Ø Riuscire ad interpretare ed argomentare i concetti presi in

esame ed illustrati

Ø Dimostrare di possedere abilità di sintesi

Ø Riuscire a collocare nello spazio e nel tempo i dati e le

nozioni apprese

CONTENUTI

Ø L’eredità della crisi e della depressione

Ø Che cosa ho imparato?

MEZZI E STRUMENTI

Ø Manuale di storia

Ø Vocabolario della lingua italiana

Ø Atlante geografico

VERIFICHE

Competenze

Ø A cosa corrisposero gli “Anni ruggenti”?

Ø Qual era la situazione politico-sociale ed economica in

Europa prima della Grande Depressione?

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Ø Perché la crisi del 1929 fu una delle più spaventose della

storia?

Ø Quali effetti ebbe?

Ø A quali anni corrispose la Grande Depressione?

Ø Chi fu il presidente americano che fece uscire il Paese dalla

crisi?

Ø Quale ruolo venne attribuito allo Stato nel New Deal?

Ø Quali riforme socio-assistenziali furono promulgate?

Ø Quale fu il bilancio del New Deal?

Ø Quali furono gli effetti della crisi sull’Europa?

Ø Chi furono i meno colpiti dalla Grande Depressione, e

perché?

Ø Quale romanzo parla di questo periodo storico, e chi lo

scrisse?

Conoscenze

Ø Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false.

Tra il 1919 e il 1929 gli Stati Uniti conobbero benessere e ricchezza. V F In quel periodo la capacità d’acquisto della maggior parte dei cittadini americani era molto elevata. V F

La crescita delle azioni era determinata dal gioco della domanda e dell’offerta. V F

Nelle elezioni presidenziali del 1932 venne eletto Franklin Delano Roosevelt. V F

Roosevelt pensava che spettasse allo Stato intervenire per risollevare l’economia. V F

I disoccupati vennero impiegati nella costruzione di opere di pubblico interesse. V F

Il piano economico del New Deal non prevedeva di far indebitare lo Stato. V F

Il crollo di Wall Street ebbe ripercussioni politiche ed economiche in Europa. V F

Nell’Europa centro-orientale dal 1934 al 1938 si rinforzarono le democrazie. V F

La Francia risolse prima della Gran Bretagna l’instabilità politica seguita alla prima guerra mondiale. V F

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Ø Indica il completamento della frase che ritieni esatto.

La sovrapproduzione porta al rischio che

la produzione sia eccessiva e le merci restino invendute

gli imprenditori non vogliano esportare le merci prodotte

Il New Deal fu

il nome con cui venne chiamata Wall Street dopo il crollo

la politica di risanamento proposta da Roosevelt

Il problema più urgente da risolvere negli Stati Uniti dopo la crisi del 1929

erano le carestie

era la disoccupazione

Ø Completa il testo inserendo le parole mancanti. Tra il 1922 e il 1929 gli …… conobbero una straordinaria crescita economica. Lo sviluppo dell’economia, però, era insidiato dal rischio della …… anche perché la ricchezza era concentrata in poche mani, mentre i …… crescevano più lentamente della produzione. Inoltre l’assenza di controlli da parte del …… consentì la crescita esagerata e gonfiata del valore delle …… . La crisi esplose nel 1929: la …… di New York crollò e questo evento avviò una grande depressione con …… a catena di banche e industrie. Nel 1932 i …… raggiunsero la cifra spaventosa di quasi 14 000 000 …… . Nel 1932 divenne presidente degli Stati Uniti …… . Egli realizzò il …… un programma di economico basato sull’idea che lo Stato dovesse …… nell’economia. In particolare lo Stato avviò un programma di investimenti per la costruzione di …… che avrebbe dato lavoro ai disoccupati e rimesso in moto la produzione. Ben presto la crisi economica fece sentire i suoi effetti anche in Europa. La …… subì le conseguenze maggiori: il Paese precipitò in una drammatica crisi che favorì la conquista del potere da parte di …… . L’affermazione del nazismo favorì, a sua volta, la diffusione in molti paesi europei di regimi …… . Francia e …… invece, rimasero fedeli al sistema democratico. Ø Collega l’avvenimento alla relativa data

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Grande Crollo

Elezione di Roosevelt

Steinbeck scrive Furore

Capacità Ø Completa il seguente schema a. Ispirato alle teorie di ………………………… b. Principali provvedimenti • ……………….. • ……………….. • ……………….. • ……………….. c. Ruolo dello stato ……………………………… d. Risultati ………………………………………... e. Riforme sociali • ………………… • ………………… • ………………… • ………………… f. Politica estera

CRITERI DI VALUTAZIONE

Affinché l’alunno riesca a raggiungere un sufficiente grado di

conoscenze circa l’unità di apprendimento trattata, deve aver

acquisito le seguenti nozioni e capacità:

Ø Ortografia corretta

Ø Chiarezza nell’esporre i concetti base contenuti nell’UA

NEW DEAL E POLITICA DI ROOSEVELT

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Ø Conoscenze dei principali contenuti dell’UA: cosa avvenne

nel 1929 alla borsa di Wall Street, quando e perché avvenne, le

cause, le conseguenze e gli effetti del crollo sull’economia

mondiale e sulla società americana

Ø Riuscire a collegare cause ed effetti

Ø Riuscire a collegare il passato al presente (salti temporali)

Ø Collocare nello spazio e nel tempo gli episodi storici trattati

Ø Capacità di relazionarsi col gioco e con la simulazione di

eventi

OSSERVAZIONI FINALI

Debbo inoltre rilevare che il continuo paragone tra presente e

passato, inizialmente li disorientava, poi però hanno cominciato

loro stessi a citarmi esempi di società diverse e dell’importanza

dell’economia mondiale in rapporto all’economia di ogni singolo

stato.

Alla fine delle lezioni, ho disegnato alla lavagna l’asse del tempo

muta (ovvero senza date di riferimento e senza descrizioni degli

avvenimenti di cui avevamo parlato) e ho chiesto loro di inserire

lungo la linea cronologica, le date fondamentali di cui avevo parlato

a lezione, ed il rispettivo avvenimento.

Ciò è stato d’aiuto perchè quando qualcuno non riusciva a ricordare

una data o non riusciva a riassumere in qualche parola il fatto

cruciale, veniva aiutato dall’intero gruppo-classe che, a fine lezione,

si sentiva parte di quei “tristi azionisti” che avevano perso tutto.

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Le domande orali in itinere, nel corso della lezione, sono servite a

fissare nella mente degli alunni, le cose che dovevano essere

ritenute tra le più importanti.

LEZIONE FRONTALE #10

PREREQUISITI

Ø Capacità di concentrazione

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Ø Conoscere gli elementi costitutivi della comunicazione

FINALITA’ E OBIETTIVI

Ø Scoprire la società, i modi e gli usi del tempo passato e

rapportarli al presente

Ø Riconoscere di diversi modi di raccontare un avvenimento

storico

CONTENUTI

Ø Visione del film Fratello, dove sei? (J. Coen), 2000

MEZZI E STRUMENTI

Ø Vhs del film

Ø Lettore Vhs trasportato in classe

VERIFICHE

Capacità

Ø Riscrivi il finale del film basandoti sugli avvenimenti storici

inerenti questo periodo da te studiato

APPROFONDIMENTI

Filmografia:

- Furore (J. Ford), 1940

- Fronte del porto (E. Kazan), 1954

- Non si uccidono così anche i cavalli? (S. Pollack), 1970

OSSERVAZIONI FINALI

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Durante quest’ultima lezione della durata di 3 ore, la classe si è

mostrata entusiasta non solo alla visione del film in quanto tale,

bensì al diverso modo del regista di affrontare un argomento così

drammatico, in chiave epica con numerosi riferimenti a testi

letterari da loro studiati (es. L’Odissea).

L’aver cambiato registro, e quindi l’aver affrontato il tema per

mezzo del linguaggio cinematografico, ha dato modo all’intera

classe di commentare, alla fine dell’Unità di apprendimento,

l’intero percorso fatto insieme durante i 10 incontri.

CONCLUSIONI

L’approccio e la metodologia che ho intenzione di sostenere con gli

alunni vertono sul passaggio dal racconto al riscontro, ovvero

fornire materiali interdisciplinari e spunti di riflessione in aggiunta

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alla spiegazione di concetti ed alla storicizzazione e alla lettura del

manuale adottato in questa scuola (B. Stumpo, M.T. Tonelli, La

nuova storia).

Ciò che a mio avviso l’alunno deve acquisire, anche partendo da

zero, è l’arte di imparare ad imparare, è l’applicazione di un metodo

fatto di ordine e pazienza, di comprensione dei meccanismi e delle

procedure, è il tentativo di allontanarsi dalle “pastoie” cultural-

burocratiche e di tendere alla liberazione dell’intelligenza, è il

tentativo di mettere insieme persino argomenti eterogenei che si

possono completare a vicenda, esplorando dimensioni lontane,

armonizzando e scoprendo l’unità in vicende apparentemente

diversificate.

Per quanto riguarda le operazioni concettuali, la docente tutor

identifica la verifica con l’ “interrogazione”, cioè con la prova

orale. Questo genere prevalente di prova presenta a mio avviso

diversi inconvenienti: uno di questi è che richiede una quantità

eccessiva di tempo (chiedere a tutti i propri studenti, in momenti

separati, di rispondere a domande di basso contenuto concettuale è

un vero spreco, a cui si potrebbe ovviare con un test scritto che

darebbe lo stesso grado di controllabilità delle nozioni di base).

Inoltre ho notato, nel corso di una interrogazione alla quale ho

assistito, che la docente passava da questioni elementari (domande

puramente nozionistiche) a questioni assai più impegnative (come

la spiegazione delle cause di un certo avvenimento storico). Con

tutto ciò, le prove orali possono essere mantenute, se si riesce a

definirne una portata e una funzione più precisa.

Secondo il mio parere, se costruiti con competenza i test possono

rivelarsi tutt’altro che banali sul piano delle operazioni concettuali

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richieste. Inoltre un buon test rende alquanto improbabile

l’eventualità che lo studente dia la risposta corretta per caso (il

contenuto effettivo della risposta non va separato dal procedimento

impiegato per arrivarci). Si può, anzi, perfino sostenere che, a volte,

non è affatto inferiore il rischio opposto, cioè che i test siano troppo

macchinosi, che richiedano operazioni concettuali

sproporzionatamente alte, in rapporto alle conoscenze che, alla fine,

si vogliono verificare.

Per concludere, l’unità di apprendimento da me presa in esame, si

avvale delle suddette metodologie espositive e di verifica, al fine di

far apprendere agli alunni, non solo lo stralcio di periodo storico

preso in esame bensì, forse un po’ ambiziosamente, una tecnica

storiografica applicabile nel corso di tutti i loro studi presenti e

futuri.

Scrivendo le conclusioni circa l’esperienza scolastica fata durante il

tirocinio, debbo dire che non è stata soltanto un’ottima esperienza

di formazione didattica ma anche una formazione che mi ha

arricchito sul piano umano.

Il contatto con i 18 ragazzi di III A, mi ha portato a riflettere

sull’incredibile ricchezza che può trasmettere la figura

dell’insegnante, miscela fatta di sapere, di conoscenze ma anche di

sensibilità, di ascolto e di stimolo reciproco; perché il dialogo, da

che mondo è mondo, è sempre tra due disposti a imparare

reciprocamente l’uno dall’altro.

Così è anche nel rapporto insegnante – scolaro.

Sebbene sia proprio dell’uno insegnare (docere è detto meglio

latinamente) e dell’altro imparare, è vero anche il contrario e cioè

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che la stessa didattica, l’arte dell’insegnare, viene modificata,

“istruita” per così dire, dal discepolo e dal suo particolare modo di

essere. Il soggetto diventa oggetto e viceversa.

È vero che l’insegnante dona quello che sa e che è, ma lo stesso fa

anche lo scolaro che continuamente offre se stesso all’altro.

Una volta accettato il gioco delle parti, bisogna accettare anche che

le parti si invertano.

Io, insegnante, presento un argomento quale “Il crollo di Wall

Street e la Grande Depressione”. Conosco ciò di cui parlo, ho

studiato l’argomento, meditato, commentato. Ma mentre lo presento

ai ragazzi, ecco che salta fuori uno che a modo suo, con parole sue,

mi fa vedere un lato dell’argomento che a me era sfuggito. E non

una questione secondaria!

L’esperienza fatta in questo ambito, il contatto con la classe, la

programmazione dell’Unità di Apprendimento, le valutazioni finali

(utili soprattutto per capire dove e come migliorare il mio modo di

presentare l’argomento e le relative lezioni frontali), mi hanno dato

modo di mettermi alla prova, di cercare di comunicare il mio sapere

e soprattutto di trasmettere a ragazzini in età adolescenziale

l’entusiasmo e la curiosità verso il nuovo.

Tuttavia mi sono resa conto che spesso dimenticavo di avere di

fronte una classe composta da 18 elementi, e che dovevo in qualche

modo catturare l’attenzione di tutti, non solo di una parte o delle

prime file; inoltre mi è capitato di formulare concetti troppo difficili

o di usare un lessico a volte poco comprensibile per quel target, o

dare per scontato nozioni di base che non sempre avevano.

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Inoltre ho sentito pressante, la “gara contro il tempo”, mi è capitato

di dimenticare che altre unità di apprendimento sarebbero state

trattate e quindi che il mio tempo a disposizione non era illimitato.

Per apportare migliorie alla mia UA, e per meglio gestire gli spazi a

mia disposizione, dovrò affrontare la stesura pensando anche al

tempo richiesto, e soprattutto ad accertarmi che i prerequisiti, siano

davvero stati assimilati dall’intera classe, altrimenti si finisce col

parlare ad una esigua parte degli alunni, dimenticando il diritto di

tutti all’apprendimento.

Sono altresì felice di aver raggiunto tutti gli obiettivi prefissati e che

la classe abbia affrontato le verifiche finali e quelle in itinere come

un modo per valutare il livello delle proprie conoscenze.

I test sono stati somministrati una parte dopo aver fissato la data

con una settimana di anticipo, mentre i restanti due “a sorpresa”.

Dopo aver separato i banchi degli alunni sono stati consegnati i

fogli da compilare, il tempo a disposizione è stato di un’ora.

Le domande alla fine di ogni fase sono state risposte in modo orale,

ad alzata di mano, cercando di rendere partecipi tutti gli alunni.

Questi ultimi, non si sono spaventati davanti a forme nuove di

prove (test a risposta multipla, grafici, domande aperte ecc.), ed

anche l’autocorrezione mi è sembrata ottenere l’effetto desiderato,

ovvero la consapevolezza che l’errore non sempre si trasforma in

voto negativo ma che anzi, può aprire le porte ad approfondimenti

e, perché no, a nuovi saperi.

Page 92: IL CROLLO DI WALL STREET E LA GRANDE DEPRESSIONE 1929 … · 1929-1938 TESI DI ABILITAZIONE ... consisteva in una tacita gestione collaborativa delle situazioni di crisi, ... riunirono

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RINGRAZIAMENTI

Grazie alla prof. Mariangiola Asson che pazientemente ha corretto

le numerose bozze, grazie a Stefano e alla sua presenza, grazie a

mio nonno bigio, perché mi ha trasmesso la forza di tenere la testa

bassa… e pedalare.