Costi insopportabili, inefficienze diffuse e scarsa ... · Ferrera, Paolo Onofri e Yuri Kazepov....

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Costi insopportabili, inefficienze diffuse e scarsa capacità di valorizzare lerisorse.Lo Stato sociale è sull'orlo del baratro. Ma ripartire si può: le Fondazioni pensano a un nuovo modello U n sistema di welfare nuovo che non solo sappia rispondere in modo pragmatico all'evoluzio- ne dei bisogni e quindi delle do- mande di intervento sociale, ma un modello di stato sociale che sappia an- che creare valore per l'individuo e la sua comunità. È questo cambiamento di para- digma die la Fondazione Cariplo e la Com- pagnia di San Paolo hanno messo a tema come una priorità attraverso un recente convegno che si è tenuto a Torino cui han- no partecipato i massimi esperti italiani sul tema e in cui sono state presentate e illustrate le esperienze maggiormente in- novative. Nel dossier che potete leggere nelle prossime pagine ritrovate la sintesi degli interventi più qualificanti del convegno. In particolare quelli dei due presidenti: Sergio Chiamparino e Giuseppe Guzzetti e di Emanuele Ranci Ortigosa, Maurizio Ferrera, Paolo Onofri e Yuri Kazepov. I tre fattori che stanno mettendo ko il vecchio assetto La paternità dell'iniziativa non può essere una sorpresa. Cariplo e Compagnia di San Paolo non solo sono due delle Fondazioni più importanti a livello di erogazioni nel settore dei servizi alla persona (111,8 mi- lioni nel 2012, dato aggregato dei due enti), ma sempre di più si stanno connotando come incubatoti e moltiplicatori di buone pratiche. Non a caso Guzzetti, ha definito «necessaria», la riprogettazione del welfa- re, individuando nella crescita del tasso di invecchiamento della popolazione, nella necessità di un maggior coinvolgimento femminile al mercato del lavoro e nel fe- nomeno dell'immigrazione i tre fattori principali che stanno stravolgendo i vecchi assetti del nostro stato sociale. Che fare, dunque? La risposta va cercata in una nuo- va concezione di welfare che da riparativo deve trasformarsi in generativo. Per dirla con le parole di Chiamparino «fino ad oggi la coesione sociale è stata molto dibattuta, ma poco realizzata. Dobbiamo rimettere in piedi meccanismi di sviluppo: più ricer- ca, più innovazione, più lavoro», La chiave, oltre che in un valido siste- ma di formazione, conferma Onofri, sta nel principio dell'empowerment ovvero nella valorizzazione e nella responsabiliz- zazione delle persone che non possono es- sere concepite esclusivamente come por- tatrici di bisogni (il posto di lavoro, l'assi- stenza per i non autosufficienti a carico, la cura dei minori), ma devono essere ap- prezzati come possibili veicoli su cui inve- stire per costruire nuove risposte. Come del resto esplicita, numeri alla mano, Ran- VITALUGLIO2013

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Costi insopportabili, inefficienze diffuse e scarsa capacità di valorizzare le risorse. Lo Stato sociale è sull'orlo del baratro. Ma ripartire si può: le Fondazioni pensano a un nuovo modello

Un sistema di welfare nuovo che non solo sappia rispondere in modo pragmatico all'evoluzio­ne dei bisogni e quindi delle do­mande di intervento sociale, ma

un modello di stato sociale che sappia an­che creare valore per l'individuo e la sua comunità. È questo cambiamento di para­digma die la Fondazione Cariplo e la Com­pagnia di San Paolo hanno messo a tema come una priorità attraverso un recente convegno che si è tenuto a Torino cui han­no partecipato i massimi esperti italiani sul tema e in cui sono state presentate e illustrate le esperienze maggiormente in­novative.

Nel dossier che potete leggere nelle prossime pagine ritrovate la sintesi degli interventi più qualificanti del convegno. In particolare quelli dei due presidenti: Sergio Chiamparino e Giuseppe Guzzetti

e di Emanuele Ranci Ortigosa, Maurizio Ferrera, Paolo Onofri e Yuri Kazepov.

I tre fattori che stanno mettendo ko il vecchio assetto La paternità dell'iniziativa non può essere una sorpresa. Cariplo e Compagnia di San Paolo non solo sono due delle Fondazioni più importanti a livello di erogazioni nel settore dei servizi alla persona (111,8 mi­lioni nel 2012, dato aggregato dei due enti), ma sempre di più si stanno connotando come incubatoti e moltiplicatori di buone pratiche. Non a caso Guzzetti, ha definito «necessaria», la riprogettazione del welfa­re, individuando nella crescita del tasso di invecchiamento della popolazione, nella necessità di un maggior coinvolgimento femminile al mercato del lavoro e nel fe­nomeno dell'immigrazione i tre fattori principali che stanno stravolgendo i vecchi

assetti del nostro stato sociale. Che fare, dunque? La risposta va cercata in una nuo­va concezione di welfare che da riparativo deve trasformarsi in generativo. Per dirla con le parole di Chiamparino «fino ad oggi la coesione sociale è stata molto dibattuta, ma poco realizzata. Dobbiamo rimettere in piedi meccanismi di sviluppo: più ricer­ca, più innovazione, più lavoro»,

La chiave, oltre che in un valido siste­ma di formazione, conferma Onofri, sta nel principio dell'empowerment ovvero nella valorizzazione e nella responsabiliz­zazione delle persone che non possono es­sere concepite esclusivamente come por­tatrici di bisogni (il posto di lavoro, l'assi­stenza per i non autosufficienti a carico, la cura dei minori), ma devono essere ap­prezzati come possibili veicoli su cui inve­stire per costruire nuove risposte. Come del resto esplicita, numeri alla mano, Ran-

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a cura di Stefano Arduini

ci Ortigosa: nel campo dei supporti sociali il meccanismo dell'erogazione monetaria, statale e dall'alto, non solo è inefficiente, ma è anche socialmente squilibrato e quindi ingiusto. La centralizzazione del budget sociale a livello statale ha poi un altro difètto: impedisce die si sviluppi quel circuito vir­tuoso fra pubblico, fonda­zioni, finanza etica e privato sociale che invece potrebbe costituire un'exit strategy davvero percorribile (e in questo senso vanno letti il contributo di Kazepov e il focus sul secondo welfare di Ferrera).

E le Fondazioni? Per loro Guzzetti di segna un ruolo ben preciso. Con una pre messa: «Per ragioni di risorse e legittima zione non possono essere la sola risposta» Non è pensabile die di fronte all'arretra

296.4 min È lo stanziamento complessivo che le 88 Fondazioni di origine bancaria dell'Acri nel 2012 hanno destinato ad assistenza sociale, salute pubblica e volontariato

mento dello Stato, possano supplire al ventaglio dei bisogni, ma è loro compito contribuire alla riprogettazione del welfare «aiutando l'innovazione, permettendo sperimentazioni, costruendo una nuova cultura tecnica e amministrativa e favo­

rendo la nascita di reti». Con quali strumenti lo dice anco­ra Guzzetti: investimento sui giovani e in particolare sulla loro formazione; connessio­ne il più possibile stretta fra i principi generali di inter­vento sociale e le peculiarità locali in modo da rendere le

risposte realmente connesse alle necessità dei territori e infine, l'adozione di logiche graduali e sperimentali che possano far emergere le esperienze più positive. Di fronte a una macchina che oltre che senza carburante, pare ingolfata da troppe ineffi­

cienze c'è un Paese e un territorio che sta già incominciando a dare risposte.

I buoni esempi? Basta andarli a cercare sui territori Le otto "case history" che presentiamo nelle pagine die chiudono il dossier sono solo la punta di un iceberg. Qualche esem­pio? Il modello della Piazza dei Mestieri di Torino che si appresta a "sbarcare" anche in Sicilia è certamente un caso di network partecipato che infatti oltre all'interesse delle fondazioni ex bancarie è stato in gra­do di calamitare il sostegno di importanti realtà profit. Di diversa natura, ma ugual­mente innovativa, la realtà della Fonda­zione Housing sociale, che dal 2004 ad og­gi è stata probabilmente l'ente privato più attivo nel cercare di mettere sul mercato soluzioni abitative alla portata anche delle fasce di popolazione più in difficoltà. <

LUGLIO 2013 VITA

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DlSOCCUP, *»ette

GLI SQUILIBRI DELLA PROTEZIONE SOCIALE Negli ultimi 16 anni la strutturazione della spesa per il welfare è rimasta pressoché invariata, molto sbilanciata sugli interventi previdenziali a scapito dell'assistenza

S pese per protezione sociale 234.133 -in%delPil 22.2

278 054 22.1

366.068 417.833 23.6 26.5

Sergio Chiamparino LA PERSONA DEVE STARE AL CENTRO Occorre uscire dai vecchi schemi che ruotavano intorno al posto di lavoro. Oggi la frontiera è l'empowerment

NEL NOSTRO PAESE LE CRITICITÀ

ECONOMICHE STANNO METTEN­

DO in discussione la coe­sione sociale che è il bene più prezioso del vivere co­mune insieme ai principi liberali prodotti dall'illu­

minismo.

La sfida non è solo quella della tutela e dell'assistenza, ma anche quella di co­struire un paradigma di giustizia sociale che sia motore di una crescita ragionevole. In altri termini non dobbiamo abbandonarci agli spiriti del mercato, ma nemmeno al suggello ideologico di una decrescita che non sarà mai felice. Se è questo il punto, allora non bastano la tutela e l'assistenza, che pure rimangono obiettivi "primordiali", ma servono anche politidie che favoriscano l'empowerment, ovvero l'autonomia delle persone. È la persona il fattore produttivo fondamentale affindié l'Europa possa co­noscere di nuovo un'età dell'oro. Assistenza

e valorizzazione individuale vanno quindi tenuti insieme. Per farlo occorre cambiare le logiche con cui si guardavano e si guar-danoancora oggi, spede a livello nazionale, le politiche pubbliche.

Come? Bisogna in primis che le politiche pubbliche riconoscano il fatto che c'è stato ed è tutt'ora in corso un mutamento sociale profondo: il nuovo sistema di welfare non può più ruotare intorno al lavoro. La persona deve essere sostenuta anche quando il lavoro non ce l'ha, quando lo cambia e quando lo sta cercando. Resta natu­ralmente necessaria una base di sostegno che garantisca "dalla culla alla tomba" il minimo essenziale per vivere, ma questo si deve integrare a politiche che investano sulla possibilità che le per­sone hanno per poter dare meglio. Un'idea di questo tipo non può più dipendere solo dalle casse pubbliche. Non solo perché

CHI E Sergio Chiamparino è il presidente della Compagnia di San Paolo dal maggio del 2012 dopo essere stato, per due mandati, sindaco della città di Torino.

non ci sono risorse a sufficienza, ma anche perché l'integrazione di finanziamenti di natura non pubblica è fondamentale pei cambiare i modelli di gestione. Su questo piano si tratta di costruire, e a Milano con la Fondazione Cariplo l'esperienza è co­minciata ancor prima che da noi, un circuito virtuoso che poggi su tre fondamenta. Le

pubbliche amministrazioni devono indicare regole e cri­teri di accesso ai servizi. Il non profit e il privato sociale sempre di più avranno il com­pito di implementare e fornire i servizi, ma, grazie anche al supporto del credito etico,

avranno anche bisogno di "industrializ­zare" la gamma dell'offerta. E infine le fondazioni. Che, oltre a un contributo in termini di risorse, dovranno contribuire a rinsaldare le reti dell'associazionismo e del volontariato per renderle più coerenti ai bisogni del territorio.

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Giuseppe Guzzetti METTIAMO INSIEME IDEE E PORTAFOGLI La collaborazione fra pubblico e privato ormai è una necessità. E in questo quadro il ruolo delle fondazioni sarà quello di favorire le reti e sperimentare risposte innovative

CHI E Giuseppe Guzzetti dal 5 febbraio 1997 è il presidente della Fondazione Cariplo. Il mandato è stato confermato lo scorso maggio. Guzzetti è anche presidente dell'Acri.

LA RIPROCETTAZIONE DEL SISTEMA

ITALIANO DI WELFARE è U l l ' i m -

presa necessaria: non solo per ragioni di costo, stante la diffi­cile situazione del bilancio pub­blico del nostro Paese; ma so­prattutto per rendere il com­plesso dei servizi sociali più

capace di affrontare le nuove sfide che si presentano al Paese e per tornare a pensare il welfare come un fattore propulsivo del nostro sistema econo­mico e sociale e non come una zavorra.

I termini della sfida sono ormai chiari: l'invecdiia-mento della popolazione, la caduta della natalità, la crescita - seppure ancora in­sufficiente - della partecipazione femminile al mercato del lavoro, l'impatto della "glo­balizzazione" sul mercato del lavoro, la forte immigrazione sono tutti fattori che hanno contribuito a cambiare le condizioni di rischio sociale, senza che il sistema di welfare pubblico abbia ancora prodotto risposte adeguate. In particolare, gli av­venimenti degli ultimi mesi hanno messo in evidenza l'insufficienza degli strumenti italiani di lotta alla povertà, stante la scarsa incisività dei trasferimenti monetari non previdenziali, modesti nell'ammontare, erogati a pioggia e con ampi margini di di­screzionalità, spesso senza progetti di ac­compagnamento all'autonomia. Proprio la crisi ha poi mostrato i possibili effetti distorsivi degli strumenti di protezione sul mercato del lavoro (cig, etc); strumenti che tendono a proteggere i posti di lavoro (anche quando non ha più senso difenderli) impedendo così una più rapida riconver­sione del sistema produttivo e sottraendo risorse a possibili misure di protezione dei redditi, specie dei soggetti - come i giovani - che faticano a entrare nel mercato del lavoro.

Sono allora necessarie misure che fa­voriscano una ricalibratura del sistema, re-indirizzino i finanziamenti verso i nuovi rischi sociali (la povertà, la disoccupazione,

la non-autonomia) e mobilitino tutte le ri­sorse disponibili del Paese, in primo luogo quelle delle singole persone, così da ren­derle in grado di guadagnare il massimo grado di autonomia possibile: empower-ment e personalizzazione dei servizi sono dunque le sfide da vincere.

Il welfare a finanziamento pubblico deve inoltre affrontare altre due sfide cru­

ciali: lavorare sull'efficienza dei meccanismi di produzione dei servizi, così da contenerne il più possibile il costo, e misurare l'efficacia delle prestazioni e dei servizi stessi, spesso stra­tificati nel tempo e poco inci­sivi. Ma un passaggio impor­

tante è anche quella dell'integrazione degli attori e dei finanziamenti. Infatti la spesa privata in campo sociale (che già c'è, basti pensare al fenomeno delle badanti/assi­stenti familiari) è male organizzata e spesso poco efficace. E dispersi sono anche gli interventi che oggi chiamiamo di "secondo welfare" (dal welfare aziendale, al neo­mutualismo sino alla filantropia e al Terzo settore) che pure potrebbero rappresentare una risorsa importante per integrare le prestazioni pubblidie e - soprattutto - per modularle adeguatamente a livello locale in un sistema plurale di welfare territoriale.

Da questo punto di vista, una collabo­razione più proficua tra sistema a finan­ziamento pubblico e attori privati è non solo auspicabile ma necessaria, per evitare di limitarsi a utilizzare il Terzo settore per abbassare i costi delle prestazioni pubbliche (senza coglierne invece il potenziale di innovazione) e per contenere i

problemi di iniquità impliciti nel welfare aziendale (peT definizione limitato a pochi soggetti destinatari). Allo stesso tempo non bisogna illudersi che la vivacità e la buona volontà dal basso, o la spesa priva­tistica delle famiglie, possano o debbano sostituire integralmente l'intervento pub-

[«FONDAZIONE

WELFARE

blico e le sue idealità di generalità d'accesso ed equità e la disponibilità di risorse che solo lo Stato può assicurare.

Le fondazioni di origine bancaria sono parte di questo sistema integrato. Ma per ragioni di risorse e di legittimazione non possono essere la sola risposta. Possono però contribuire aiutando l'innovazione, permettendo sperimentazioni, costruendo cultura tecnica e amministrativa, favorendo le reti. Tre snodi paiono cruciali. Il primo è legato all'integrazione dei giovani nel sistema sociale ed economico del Paese. Si tratta di una sfida che passa innanzitutto dal miglioramento della qualità del nostro sistema di istruzione e di formazione del capitale umano, ancora caratterizzato da elevati tassi di abbandono scolastico, da scarsi livelli di apprendimento e da una modesta percentuale di laureati. Solo ac­crescendo la qualità del capitale umano italiano la ripresa potrà ripartire. Su questo tema le nostre fondazioni sono fortemente impegnate e ancora di più lo saranno in futuro. Il secondo snodo è quello di co­niugare principi generali validi per l'intero territorio nazionale e specificità locali, in una declinazione che sappia valorizzare le diverse risorse presenti nei territori. An­che in questo caso, le fondazioni, forti della loro attitudine a catalizzare soggetti ed esperienze, possono svolgere un ruolo importante. Infine, la terza sfida è quella dell'adozione di logiche graduali e speri­mentali, che partendo da esperienze pro­mettenti, siano in grado di valutarne con

precisione pregi e difetti e, solo quan­do i primi superino i secondi, si pro­pongano di esten­dere quelle espe­rienze su scale più

ampie. Anche qui le fondazioni, forti della loro maggiore flessibilità rispetto all'ente pubblico, possono giocare un ruolo im­portante nel definire e attuare una "filiera delle politiche" in campo sociale, in ma­niera complementare ad altri soggetti pub­blici e privati.

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Emanuele Ranci Ortigosa LE RISORSE VADANO Al TERRITORI

UNA PROPOSTA DI RIFORMA DEL SISTEMA

DI WELFARE E IN PARTICOLARE del com­

parto socio-assistenziale non può che partire da un'analisi dei numeri.

Vediamoli. Oggi fra erogazioni dirette e riduzioni fiscali siamo di fronte a una spesa di circa 62 miliardi di euro, circa il 4% del Pil. Si parla spesso di 8-8,5 miliardi, ma quello è solo l'importo a carico delle Regioni e degli enti locali. Rispetto a queste risorse i bisogni sono crescenti. Che fare? Richiedere più finanziamenti è la moda più diffusa: costa poco, non apre conflitti, ma rende anche poco, e soprattutto non credo che ci siano speranze per poter au­mentare in futuro quei valori. Aggiungerei che oggi il nostro sistema socio-assisten­ziale non è particolarmente equo, né effi­cace, né efficiente. In particolare spendia-

PUBBLICO& PRIVATO Come si evince da questo grafico elaborato dall'Ocse (dati 2009) la spesa privata per il welfare in Italia è ancora piuttosto bassa rispetto anche a Paesi a forte tradizione pubblica come Germania e Francia.

mo molto male i 54 miliardi di erogazioni monetarie erogate dall'Inps, in base a criteri diversi, non coerenti, ma anche non integrati con le altre politiche sociali pro­dotte da regioni ed enti locali. In altri ter­mini le risorse gestite centralmente spesso non colpiscono i target. In base a modelli di micro-simulazioni che gli esperti del Centro di analisi delle politiche pubbliche di Modena hanno implementato siamo persuasi che con un'analisi attenta dei flussi potremmo individuare le scoperture (ovvero i bisogni che non hanno diritto a ricevere sostegno) e al contrario situazioni che vengono sostenute in modo ingiusti­ficato al di là delle necessità reali perché appartenenti ai nuclei familiari dei decili di reddito più elevati. L'indennità di ac­compagnamento per esempio viene con-

TUR AU5 OCSt GRE GIAP USA

cessa indistintamente senza considerare i bisogni reali e senza nessun controllo, mentre risulta inadeguata per chi è in con­dizione di grave non autosufficienza. Con­frontata con quella degli altri Paesi poi la nostra spesa assistenziale risulta altamente dispersiva e infatti ha un impatto molto parziale sulle povertà.

Le simulazioni ci mostrano che a costo zero 0 al massimo con integrazioni modeste sul capitolo delle non autosufficienze è possibile finanziare sistemi realmente uni­versalistici riducendo le risorse che oggi sono a disposizione dei redditi più alti. Occorre, in altre parole, rifarsi al principio dell'appropriatezza e per questo ritengo die le risorse non vadano centralizzate, ma distribuite sui territori in modo da completarsi con quanto fondazioni, Terzo settore ed enti locali sono in grado di met­tere in campo. I progetti d'intervento siano calibrati sulle famiglie e lo siano combi­nando un mix fra erogazioni economiche e servizi. Per ottenere politiche eque ed efficienti il territorio diventa centrale. Te­nendo ben presente che se vogliamo atti­vare le persone, la strada più sbagliata è quella di utilizzare i sussidi. Ritengo che questo meccanismo possa essere imple­mentato sui tre grandi filoni di politiche sociali che dobbiamo re-inventare: le po­litiche per la famiglia, in special modo quella con figli; le politiche a supporto delle non autosufficienze e degli anziani: l'introduzione di una forma di reddito mi­nimo. Politiche che nel complesso valgono 51 miliardi di spesa nazionale.

Emanuele Ranci Ortigosa direttore scientifico delì'lrs

Maurizio Ferrera IL FUTURO STA ANCHE NEL SECONDO WELFARE

L O DICO SUBITO: LA LINEA DI SMANTELLAMENTO DEL WELFARE p u b b l i c o

non è necessaria, né desiderabile. Io credo che il rinnova­mento passi dall'affiancamento, in senso aggiuntivo e non

sostitutivo, a un primo welfare pubblico, di un secondo welfare, sostenuto da risorse non pubblidie in grado di sperimentare so­luzione innovative sulle nuove categorie di vulnerabilità. Questo secondo welfare finanziato da stakeholder diversi (assicurazioni, mutue, aziende, sindacati, associazioni di categoria, fondazioni ex bancarie, fondazioni d'impresa, fondazioni di comunità, ma anche risparmio privato) dovrebbe avere un ancoraggio territoriale, ma non localistico (ovvero non deve introdurre requisiti esdudenti o punitivi) e soprattutto dovrebbe dotarsi di uno sguardo europeo. Questo si traduce in una forte attenzione ai nuovi rischi e allo sviluppo del capitale umano, ma anche nella fornitura di servizi piuttosto die di prestazioni monetarie e nel concepire gli interventi come imperniati sul ciclo di vita e non solo nella fase finale del­l'esistenza. Imprese sociali, cooperative, enti caritativi, volontariato,

potrebbero gli attori sul versante dell'erogazione, mentre regioni ed enti locali manterrebbero il ruolo di coordinamento, monito­raggio, regolazione e valutazione. In questo quadro poi si do­vrebbero collocare il cosiddetto welfare aziendale, di cui l'Italia ai tempi di Olivetti è stata pioniera.

Oggi la stragrande maggioranza delle aziende con più di 500 addetti conta su programmi di welfare aziendale: prestiti agevolati, agevolazioni al consumo, borse di studio, servizi all'infanzia, spesso in collaborazione con le reti sociali del territorio. E una prestazione di questo tipo che all'azienda costa 100 produce un valore pari 125 grazie alle economie che l'azienda è in grado di generare rapportandosi con un'assicurazione o un supermercato, valore che raggiunge quota 170 calcolando le facilitazioni reali di cui va a godere al termine della filiera l'utente finale.

Maurizio Ferrera Università di Milano

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Speso pubblica per pensioni Spesa pubblica per long term care

RI FONDAZIONE

WELFARE WÙ 2040

Spesa pubblica per per health care

LA SPESA SOCIALE DA QUI AL 2 0 6 0 In percentuale rispetto al Pil, ecco come si evolverà la spesa sociale nei prossimi anni in Italia, nell'Eurozona (Uem) e nell'Europa a 27 Come si nota la spesa pensionistica specie in Italia è destinata a calare a favore di quella per l'assistenza sociale e sanitaria.

Paolo Onofri LA FORMAZIONE DIVENTA DECISIVA

A SEDICI ANNI DI DISTANZA DALLA COMMISSIONE PER L'ANALISI DELLE

COMPATIBILITÀ MACROECONOM1CHE DELLA SPESA SOCIALE d i e h o

presieduto il panorama dello stato di salute del nostro sistema di protezione sociale è rimasto per lo più invariato, eccetto forse il raggiungimento della stabilizzazione della spesa pensionistica, compensato però dall'altra parte dall'incremento delle spese di natura compensativa determinato dalla crisi e dalla diminuzione del Prodotto interno lordo. Nell'analisi però occorre poi tener presente che secondo le proiezioni il nostro Paese da qui al 2050 passerà da 3,5 a 8,5 milioni di ultraottantenni. Numeri che ci devono far ragionare. Questo significa che la spesa per il cosiddetto Long terni care a carico delle persone in attività nei prossimi anni esploderà.

Cosa ci suggerisce questa constatazione? Ci dice soprattutto che se vogliamo spostare più in là i vincoli macro-ecomici dob­biamo aumentare i tassi di partecipazione al mercato del lavoro e aumentare il tasso di produttività: se vogliamo garantirci il

livello di benessere di cui disponiamo oggi ognuno di noi infatti oltre a produrre per sé dovrà per una quota sempre crescente anche produrre per chi non può più lavorare per età o per condi­zione di salute. Gli strumenti di welfare quindi non devono essere disincentivanti rispetto al lavoro e alle riorganizzazioni produttive. Gli investimenti in Germania negli ultimi 20 anni sono stati minori die in Italia, ma da noi la produttività è decisa­mente più bassa. Non è quindi solo un problema di competitività economica, ma andie sociale. Per uscire dalla trappola della bassa tecnologia bisogna investire sul capitale umano. Lo voglio dire forte e chiaro ai giovani: al di là di quello che si dice delle lauree, studiare paga. E credo che sul piano dell'incentivazione alla formazione le fondazioni possano giocare un molo di primo piano, così come sulla conciliazione lavoro-famiglia.

Paolo Onofti segretario generale di Prometeia e Università di Bologna

Yuri Kazepov LA SUSSIDIARIETÀ FRA ELEFANTI E FARFALLE

DA UNA PARTE LO STATO-ELEFANTE, LENTO E GOFFO; DALL'ALTRA

una società civile farfalla "costretta" a subire la passività dell'elefante. Le cose stanno davvero così? E quali sono

le condizioni per cui l'incontro fra amministrazione pubblica e Terzo settore divengano generative di innovazione sociale?

Partiamo da un assunto: la raffigurazione Stato-elefante versus Società civile-farfalla non va data per scontata. Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito a un nuovo design della politiche sociali a cui è corrisposta una crescente de-burocratizzazione e un coin­volgimento sempre maggiore degli attori sub e sovranazionali, ma questo ha avuto un impatto redistributivo molto modesto, tanto che oggi assistiamo a tassi record di differenze socio-eco­nomiche territoriali. Altro dato: dalla Svezia, dove si è partiti da dati molto bassi alla Francia e all'Italia il peso del Terzo settore è ovunque in aumento. Nel nostro Paese però si è sempre teso a dare al non profit grandi responsabilità a fronte di scarsi finan­ziamenti: una sussidiarietà che delega senza dare risorse. Questo

ha prodotto elevati tassi di discrezionalità e creato opacità nei processi decisionali, talvolta aumentando persino i costi di co­ordinamento. Poi ci sono anche innegabili aspetti positivi: la va­lorizzazione delle differenze, il coinvolgimento dal basso dei soggetti interessati e una maggiore legittimazione nelle scelte.

A quali condizioni gli aspetti positivi prevalgono su quelli ne­gativi? Io direi che sono queste: la reale promozione di un ap­prendimento istituzionale, un effettivo monitoraggio e valutazione delle iniziative messe in essere, l'istituzionalizzazione delle spe­rimentazioni di successo e la sincronizzazione delle riforme pubbliche sul welfare. In altre parole una simbiosi fra elefanti e farfalle in cui le fondazioni svolgano il molo di incubatrici di in­novazione istituzionalizzata creando partecipazione e coinvol­gendo la ricerca nel monitoraggio e nella valutazione.

Yuri Kazepov Università di Urbino

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ONDAZIONE 1

LE BUONE PRATICHE

I

Da Nord e Sud alcune delle migliori sperimentazioni sociali che stanno diventando modelli da esportazione. Dall'edilizia sociale al monitoraggio degli interventi

Il non profita Crema sale in cattedra Il metodo del tangram. «Il tangram è l'im­magine che sintetizza il nostro modo di fare coprogettazione che si basa su di un significato nuovo dell'espressione "inte­resse pubblico", in cui l'immagine finale ha un valore superiore rispetto al singolo frammento», la metafora è di Angelo Stanghellini, coordinatore dell'Ufficio di Piano del territorio cremasco a cui fanno riferimento 48 comuni e circa 160mila abitanti. In questa prospettiva è profon­damente cambiato il rapporto fra non profit ed ente pubblico. «Abbiamo comin­ciato un percorso si formazione condivi­sa», spiega Stanghellini, «fra operatori del non profit ed operatori pubblici, in modo da superare le logiche di separazione che ci caratterizzavano fino ad ora per arriva­re invece a costruire relazioni che si sono dimostrate vere e proprie alleanze nel momento in cui abbiamo incominciato a progettare insieme il ventaglio degli inter­venti sociali». In questo quadro quindi il Terzo settore «si è trasformato in un sog­getto attivo, un compagno di percorso e talvolta ha persino preso in mano alcune progettualità nel ruolo di ente capofila».

Info: www.comune.crema.cr.it

La strada per trovare lavoro dopo il carcere Stabilizzazione del 5 per mille "Uscita si­cura" è un progetto di formazione profes­sionale e d'inclusione lavorativa e sociale rivolto a detenuti prossimi ad uscire dal carcere, che il consorzio Abele Lavoro ha portato avanti nel corso del 2012. «Sono state messe in campo azioni di accompa­gnamento sociale che hanno implicato una tessitura costante di relazioni», dice Paola Lassandro, responsabile lavoro del Consorzio Abele Lavoro. «Chi esce dal carcere ha bisogno di una casa e di solu­zioni che permettano di costruire una vita autonoma che evitino ricadute in circuiti delinquenziali». Nel 2012 sono state se­guite 27 persone. In otto hanno potuto svolgere tirocini che per cinque di loro si sono trasformati in veri e propri contratti di lavoro. Il progetto ha poi puntato l'at­tenzione sulle mogli dei detenuti. «Abbia­mo avuto oltre 8mila contatti e siamo riu­sciti a seguire nel corso dell'anno passato, 468 donne alle quali nella maggioranza dei casi abbiamo trovato un lavoro per sopperire la mancanza di reddito dovuta alla carcerazione del compagno».

Info: www.csabelelavoro.it

La Piazza dei Mestieri sbarca a Catania Un modelo piemontese. A Torino, c'è la Piazza dei Mestieri, che non è un luogo, piuttosto un'opportunità. «Accompagnia­mo verso la vita adulta, ragazzi dai 14 ai 18 anni che, come dico, hanno fatto a botte con la scuola. Diamo loro la possibilità di imparare un lavoro per evitare che faccia­no parte di sacche di emarginazione che esistono nel nostro Paese», dice Cristiana Poggio, vicepresidente dell'associazione. «Quando ci siamo resi conto della neces­sità di una forte alleanza fra scuola e mondo del lavoro, abbiamo creato una Fondazione i cui soci hanno acquistato uno stabile, che era un rudere, in una logi­ca di sussidiarietà vera dove i soci hanno scommesso sul progetto e investito diret­tamente». Le fondazioni bancarie hanno finanziato la ristrutturazione e l'acquisto delle attrezzature insieme al Comune e alla Regione. «Questi soggetti sonodiven-tati compagni di viaggio insieme al grup­po di 40 persone», aggiunge la Poggio. Nella Piazza dei Mestieri sono entrate an­che le imprese. «Spesso le aziende hanno bisogno di personale formato che, però, non riescono a reperire nella scuola. Allo­ra con alcune imprese abbiamo creato progetti formativi e di lavoro. È accaduto con L'Oreal che oltre al contributo econo­mico, coinvolge decine di suoi dipendenti che, per volontariato, sono tutor degli al­lievi. Per i ragazzi questo rapporto è un contatto diretto e concreto con il mondo del lavoro». Non solo. «I ragazzi appren­dono sulla loro pelle che per vendere un prodotto o un servizio occorre eccellere nella qualità. I nostri studenti sviluppano un senso di responsabilità verso il lavoro che difficilmente la scuola riesce a mette­re in moto». Alla Piazza dei Mestieri con­tribuiscono anche i singoli cittadini. «Il 70% delle famiglie da cui provengono i nostri ragazzi hanno un reddito certifica­to Isee al di sotto dei 6mila euro, per que­sto abbiamo chiesto al singolo cittadino di aiutarli con delle donazioni che si tra­sformano in borse di studio». Il progetto è appena approdato anche al Sud Italia. «Dopo tre anni di lavoro, lo scorso dicembre siamo partiti a Catania grazie alla collaborazione con Fondazione per il Sud», conclude la responsabile, «so­no stati svolti dieci corsi e anche in questo caso abbiamo constatato che accoglien­do ragazzi problematici in una situazione positiva e di bellezza estetica, questi in un certo senso rinascono».

Info: www.piazzadeimestieri.it

Page 8: Costi insopportabili, inefficienze diffuse e scarsa ... · Ferrera, Paolo Onofri e Yuri Kazepov. ... lioni nel 2012, dato aggregato dei due enti), ... le politiche pubbliche. Come?

La mutua che rimette in pista i depositi Per chi non ha assistenza integrativa. Un mix fra pubblico e privato è il terreno su cui si sta sviluppando l'innovativo progetto che fa capo alla Società di mutuo soccorso Cesare Pozzo. Marco Grassi, responsabile della comunicazione: «Viviamo un modello sociale in cui c'è un approccio individualisti­co. Nel sistema mutualistico, invece, le per­sone si mettono insieme per affrontare i problemi dei singoli e alla fine limane qual­cosa in più all'intera comunità». Sulla base di queste premesse è nato il progetto. «In Italia c'è una fetta di popolazione che ha forme di assistenza integrativa grazie ai fondi aziendali. Questi fondi, a fronte di giustificativi di spese, erogano denaro, che diversamente rimane depositato, senza entrare in un circuito economico. Noi miria­mo a che queste risorse "dormienti" siano messe a disposizione di chi non ha forme di assistenza integrativa. In questi casi il mix fra fondi aziendali e comunità porta benefi­ci anche ad altri soggetti, che possono fare scelte di consumo sanitario sostenibile».

Info: http://mutuacesarepozzo.org

Asili nido, un software per la buona gestione Il rapporto costi-rette. La ricerca accade­mica per migliorare il sistema pubblico de­gli asili. È questo il cuore del progetto in corso a Torino che vede al lavoro Child Col­legio Carlo Alberto. Turin School of Locai Regulation, Comune di Torino e Compa­gnia di san Paolo. «Nel 2011 a fronte di una spesa di 10.979 euro per bambino, la retta media annua era di 1.600 euro. Quindi so­lo il 15% dei costi era coperto dalla retta. Troppo poco», afferma Daniela Del Beta, direttore di Child Collegio Carlo Alberto. «Grazie al gruppo di ricerca è possibile si­mulare scenari di servizi di asilo nido in ba­se a diversi tipi di utenti. Questo serve per aiutare il settore pubblico nel controllo di gestione e nella pianificazione», aggiunge Del Boca. Che continua: «Il gruppo di ricer­ca studia anche le ricadute di certe scelte. Quando, ad esempio, nell'accesso agli asili pubblici si dà priorità ai figli dei disoccupa­ti, si valuta se i genitori senza occupazione, sgravati dall'impegno di accudire i bambi­ni, trovano lavoro».

Info: www.carloalberto.org

Una Fondazione per l'housing sociale La socialità entra in casa. La Fondazione Housing sociale (Fhs) nasce nel 2004 per trovare soluzioni al problema abitativo con particolare attenzione alle situazioni di svantaggio economico e sociale. Per questo si propone di promuovere, pro­gettare e gestire tutte le azioni concreta­mente possibili, utili a sostenere iniziati­ve abitative socialmente orientate. L'ente è stata costituito dalla Fondazione Cari­plo con la partecipazione della Regione Lombardia e dell'Alici Lombardia. Fhs, ispirandosi al principio della sussidiarietà, è un soggetto privato che ricerca il massi­mo coordinamento con le politiche abita­tive pubbliche di natura sociale, ad esem­pio, cercando di massimizzare la quota di alloggi locati a canone moderato, a cano­ne convenzionato o a canone sociale. La Fondazione ha così dapprima creato un fondo immobiliare di 85milioni di euro e in seguito ha cercato le aree in cui inter­venire, che al momento hanno interessa­to le città di Ascoli Piceno, Crema, Milano e Parma.

La Fondazione considera gli aspetti im­mobiliari non come il fine ultimo di un in­tervento di edilizia privata sociale, ma co­me uno degli elementi da valorizzare al­l'interno di un approccio integrato che dedica attenzione a tematiche di caratte­re sociale, oltre che finanziario, architet­tonico e gestionale. L'edilizia privata so­ciale, infatti, oltre alla realizzazione di in­frastrutture fisiche, richiede la costruzio­ne di infrastrutture organizzative per gestire, nel tempo, aspetti immobiliari e sociali. Per questo la Fondazione Hou­sing Sociale ha sviluppato il progetto di amministrazione sociale degli immobili. Il modello innovativo combina le attività di stretta amministrazione delle case con la valorizzazione delle relazioni tra le perso­ne che vi abitano e coinvolge gli stessi re­sidenti nella cura degli spazi condominia­li. La Fondazione Housing Sociale sta rea­lizzando inoltre un programma di svilup­po di residenzialità temporanea focalizzato sull'edilizia universitaria con­venzionata rivolta a differenti fasce di utenti: lavoratori in trasferta o in mobili­tà, studenti, ricercatori, parenti o amici di degenti ospedalieri, turisti. Sul territorio piemontese un analogo sforzo sul model­lo della Fhs è messo in campo anche dalla Compagnia di San Paolo con un interven­to di housing molto articolato.

Info: www.fhs.rt www.compagniadisanpaolo.it

Il welfare si misura Ecco come farlo L'analisi controfattuale «La politica ri­sponde di aver fatto una legge, ma non della sua efficacia», afferma Ugo Trivellato ricercatore di Irvapp- Istituto per la ricer­ca valutativa sulle politiche pubbliche. «L'effetto di una politica è la differenza fra quanto si osserva in presenza della stessa e quanto si sarebbe osservato in sua as­senza. Questo risultato è detto controf-fuattuale». Ci sono due modi di operare. «Il primo è la sperimentazione: si prende un campione e lo si divide in due gruppi. Un gruppo lo si tratta e l'altro no, i risultati indicano la differenza». L'altro metodo consiste nell'osservare cosa succede e nel cercare i ricostruire il controffattuale. «In Italia c'è il rifiuto intellettuale dell'esperi­mento randomizzato, le fondazioni inve­ce hanno tutte le caratteristiche pei apri­re la porta verso questo tipo di sperimen­tazione», conclude l'esperto.

Info: http://irvapp.fbk.eu/it/fbk

L'impresa sociale al servizio dell'infanzia Lavoro per3mila addetti. Il consorzio Pan è il primo network italiano con una rete di imprese sociali impegnate nei servizi all'infanzia. Grazie al consorzio sono nati in tutta Italia 450 servizi per l'infanzia, per un totale di 13mila posti, in cui lavora­no 3mila addetti. Il consorzio è nato dal­l'aggregazione di una pluralità di soggetti (le tre più grandi Reti di imprese non pro­fit, Cgm-Gruppo Cooperativo Gino Matta-relli. Con. Opera - Cdo opere sociali di Compagnia delle Opere e Consorzio Dromdi Legacoop, da Banca Intesa San Paolo e Fism - Federazione Italia Scuole Materne) che pur portatrici di culture ed esperienze diverse tra loro hanno ricono­sciuto l'importanza strategica e di valore del loro agire comune per un obiettivo condiviso: produzione di un servizio di qualità in un quadro di integrazione con le politiche pubbliche del settore. Il consor­zio mette a disposizione degli aderenti molte azioni, che vanno dalla program­mazione degli interventi educativi agli strumenti finanziari più adatti a realtà di questo tipo.

Info: www.consorziopan.it