Corso di TCA Prof. A.Carbonari 2007/08. Materiali …€™umore acqueo riempie la camera esterna...

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Corso di TCA Prof. A.Carbonari 2007/08. Materiali di illuminotecnica. Radiazioni elettromagnetiche e luce.

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Corso di TCA Prof. A.Carbonari 2007/08. Materiali di illuminotecnica. Radiazioni elettromagnetiche e luce.

L’occhio L’occhio è l’organo periferico della visione. Ha una forma sferica di circa 12 mm di diametro con una configurazione a camera. Può essere considerato un sistema diottrico centrato, costituito da una serie di elementi contigui le cui superfici di separazione possono assimilarsi a calotte sferiche aventi centri su una stessa retta: asse ottico del sistema. Il cristallino di circa 4 mm di spessore, è trasparente e funziona come una lente convergente variabile. Esso proietta verso la fovea l’immagine capovolta dell’oggetto osservato. L’umore acqueo riempie la camera esterna dell’occhio esso rifrange e filtra i raggi luminosi. L’occhio reagisce con sufficiente facilità ai differenti livelli luminosi attraverso un elemento di regolazione detta iride costituita da una specie di diaframma opaco, posto tra l’umore acqueo e il cristallino, che presenta al centro un foro, la pupilla, il cui diametro può variare entro limiti piuttosto estesi (1 mm - 6 mm). L’interno del globo oculare è foderato da una membrana che riceve gli stimoli luminosi, la retina. Su di esso sono presenti i recettori luminosi: coni e bastoncelli. Vi sono circa 6-7 milioni di coni e 75-150 milioni di bastoncelli distribuiti nell’intera superficie della retina, ma la maggior parte di essi è concentrata in una regione chiamata “macula lutea” di circa 1,5 mm di diametro, la cui zona centrale, di 0,4 mm circa di diametro è chiamata fovea. Allontanandosi dalla fovea, aumenta il numero di bastoncelli. Mentre i bastoncelli sono insensibili al colore, esistono tre tipi di coni, ciascuno dei quali contiene un pigmento che mostra il massimo assorbimento rispettivamente nella regione delle lunghezze d’onda corte, medie o lunghe. Queste differenze nelle bande d’assorbimento dei tre pigmenti presenti nei coni costituiscono la base della visione dei colori. I coni reagiscono a stimoli di più elevata intensità e quindi sono responsabili della visione diurna, detta anche visione fotopica, mentre i bastoncelli servono per la visione a bassa luminosità, visione notturna o scotopica.

Con esperimenti effettuati su un gran numero di persone si è individuata la sensibilità spettrale relativa dell’occhio umano. Si è definita una funzione che descrive la sensibilità media dell’occhio umano a radiazioni con lunghezza d’onda diversa, ma eguale energia. Tale funzione è detta fattore di visibilità K(λ) e rappresenta la quantificazione numerica della sensibilità visiva dell’occhio umano medio.

Considerando una radiazione monocromatica per determinare l’effetto luminoso bisogna pesare la sua potenza P(λ) con la sensibilità dell‘occhio umano ossia moltiplicarla per il corrispondente valore del fattore di visibilità K(λ). Si otterrà il flusso luminoso corrispondente Φ(λ):

Φ (λ) = K(λ) · P(λ) Il fattore di visibilità risulta definito a meno di una costante. Convenzionalmente per il valore massimo di K(λ) a 0.555 μm, per visione fotopica, si assume un valore di 683 lm/W.

Kmax = K(0.555 μm) = 683 [lm/W]

Grandezze fotometriche Flusso luminoso – caratteristica propria delle sorgenti luminose; Intensità luminosa – caratteristica propria delle sorgenti luminose; Illuminamento – effetto su una superficie; Luminanza – caratteristica sia delle sorgenti illuminanti sia degli oggetti illuminati, considerati sorgenti secondarie. Radianza – caratteristica sia delle sorgenti illuminanti sia degli oggetti illuminati, considerati sorgenti secondarie. Flusso luminoso. Quando si consideri una radiazione complessa bisogna considerare le diverse componenti della radiazione e poi sommare (integrare) alle diverse lunghezze d’onda secondo la sensibilità dell’occhio umano:

λλλλλλλ dVPKdKPnm

nm

nm

nmvis ⋅⋅=⋅⋅=Φ ∫∫ )()()()()(

780

380max

780

380

L’unità di misura del flusso luminoso è il lumen (lm). Esso viene definito come il flusso luminoso emesso, alla lunghezza d’onda di 0.555mm, da una sorgente puntiforme monocromatica, avente intensità luminosa pari a una candela, nella porzione di spazio che corrisponde ad uno steradiante. Si definisce intensità luminosa, I, il rapporto tra il flusso luminoso infinitesimo emesso dalla sorgente in una data direzione e l’angolo solido su cui si distribuisce.

ωddI Φ

=

L’unità di misura di questa grandezza è la candela (cd); è definita come l’intensità luminosa emessa, in una data direzione, da una sorgente che emette una radiazione monocromatica di frequenza 540⋅1012 Hz (λ = 555 nm) e con intensità energetica in quella direzione di 1/683 W/sr. L’illuminamento è il rapporto tra il flusso luminoso incidente su una superficie e l’area della superficie stessa:

L’unità di misura è il lux (lx). Esso corrisponde all’illuminamento prodotto dal flusso di un lumen distribuito in modo uniforme su di una superficie di un metro quadrato. Valori di riferimento per l’illuminamento.

dAdE Φ

=

giornata estiva soleggiata all’aperto 100.000 lx

giornata estiva con cielo coperto 20.000 lx

vetrina bene illuminata 3000 lx

buona illuminazione uffici 500 lx

buona illuminazione sale da pranzo 200 lx

buona illuminazione stradale 25 lx

notte di luna piena 0,25 lx

notte senza luna, solo con luce stellare 0,01 lx

La luminanza, L, in un punto di una superficie, in una certa direzione, è il rapporto tra l’intensità luminosa emessa in quella direzione e la superficie emittente proiettata su un piano perpendicolare alla direzione stessa. Una fonte di luce (sorgente luminosa primaria) od una superficie illuminata (sorgente secondaria di luce) che emettono una determinata intensità luminosa in una data direzione sono caratterizzate da una luminanza. L’unità di misura è la candela per metro quadrato (cd/m2) che viene detto nit.

⎥⎦⎤

⎢⎣⎡

⋅=

⋅⋅=

2

2

cos

cos

mcd

dSdIL

ddSdL

Θ

ωΘΦ

Valori di riferimento per la Luminanza.

superficie del sole 1.650.000.000 cd/m2

cielo in direzione sud 16.000 cd/m2

cielo in direzione nord 8.000 cd/m2

prato in giorno assolato 2.000 cd/m2

foglio bianco ben illuminato 100 cd/m2

lavagna illuminata 25 cd/m2

strada ben illuminata 2 cd/m2

La Radianza R di un punto di una superficie è il rapporto tra il flusso luminoso emesso da un elemento di superficie attorno a quel punto e l’area dell’elemento stesso.

dAdR Φ

=

La radianza R è legata all’illuminamento dal coefficiente di riflessione r della superficie considerata: R = r ⋅ E Se r = 1 ossia con superfici perfettamente riflettenti (bianche) si ha: R = E. L’unità di misura della radianza è il lux s.b. (lux su bianco).

Riassumendo:

Simbolo Nome Espressione Unità di misura

Φ Flusso luminoso K(λ)·P(λ) lumen (lm)

E Illuminamento dΦ/dA lux (lm/m2)

I Intensità luminosa dΦ/dω candela (lm/sr)

L Luminanza dI/(dA·cosα) nit (cd/ m2)

R Radianza dΦ/dA lux s.b. (lm/ m2)

Strumenti di misura

goniofotometro

Grandezze fotometriche qualitative Oltre che con le grandezze viste la luce viene caratterizzata anche con alcuni parametri di tipo “qualitativo”, utili a descrivere la sensazione visiva percepita dal nostro occhio. Tali grandezze generalmente vengono utilizzate per caratterizzare le sorgenti di illuminazione artificiale e sono principalmente:

• La temperatura di colore, che rappresenta la temperatura del corpo nero con l’emissione più vicina a quella della sorgente considerata; di conseguenza descrive la sensazione di luce “calda” o “fredda” prodotta dalla tonalità della luce.

• La resa cromatica, che descrive quanto una luce artificiale alteri o meno il colore

degli oggetti illuminati (indica cioé la fedeltà con cui la luce fornita da una sorgente artificiale riesce a riprodurre i colori reali, ossia la luce del sole).

L’effetto cromatico prodotto sull’occhio umano da una sorgente può essere descritto in modo approssimato basandosi sulla comparazione della luce emessa da tale sorgente con quella emessa da un corpo nero. Si fa ricorso alla grandezza temperatura di colore (CCT) definita come la temperatura che dovrebbe raggiungere il corpo nero per generare luce della stesso “colore” della luce prodotta dalla sorgente in esame. La luce rossastra ha una bassa temperatura di colore, mentre la luce bluastra ha un’alta temperatura di colore. Sul diagramma cromatico CIE si può inserire la curva che rappresenta le coordinate tricromatiche della radiazione emessa da un corpo nero a diverse temperature. Vari esperimenti hanno dimostrato che l’apparato visivo dell’uomo percepisce come luce di tonalità bianca la luce che ha una temperatura di colore di circa 5.500 K, corrispondente alla luce del sole in pieno giorno. Al di sopra e al di sotto di questo valore, la tonalità è giudicata rispettivamente fredda o calda. La CIE (Pubblication n° 29.2 del 1986) classifica la tonalità della luce in tre gruppi:

Gruppo di tonalità Tonalità Temperatura di colore (K)

1 Calda (W) < 3.300

2 Intermedia (I) 3.300 ÷ 5.300

3 Fredda ( C) > 5.300

Diagramma cromatico CIE

Sorgente Temperatura di colore [K]

Cielo sereno 20000 ÷ 15000

Cielo coperto 15000 ÷ 5000

Sole a mezzogiorno 5250

Sole all'alba 1600

Lampade ad incandescenza 3000 ÷ 2400

Lampade fluorescenti 6500 ÷ 2900

Candele steariche 1900 ÷ 1800

La capacità di una luce di “rendere” il colore, si misura paragonando i colori degli oggetti illuminati dalla luce in esame con quelli che si ottengono con una lampada campione che riproduce l’illuminazione naturale. Secondo la normativa CIE, vengono illuminati 14 predefiniti campioni di colori con una sorgente di riferimento e con la sorgente che si vuole caratterizzare. Mediante uno spettrofotometro si determina oggettivamente il colore apparente dei 14 campioni e si calcola la media degli scostamenti cromatici che si verificano nelle due letture. Il parametro che si ottiene in questo modo è definito Indice di Resa Cromatica CRI (Color Rendering Index). Esso stabilisce quanto una luce artificiale alteri o meno il colore degli oggetti illuminati. I valori elevati dell’indice indicano una buona resa del colore. Il valore massimo è 100.

Lampada CCT (K) CRI X Y Alogena 3190 100 0,424 0.399

Fluorescente bianco freddo 4250 62 0,373 0,385 Fluorescente bianco caldo 3020 52 0,436 0,406

Fluorescente De Luxe bianco freddo 4050 89 0,376 0,368 Fluorescente De Luxe bianco caldo 2940 73 0,440 0,403

Fluorescente luce diurna 6250 74 0,316 0,345 Vapori di mercurio 5710 15 0,326 0,390

Vapori di mercurio corretti 4430 32 0,373 0,415 Vapori di mercurio con alogenuri 3720 60 0,396 0,390

Sodio alta pressione 2100 21 0,519 0,418 La CIE ha classificato le lampade in base alla resa cromatica definendo dei gruppi utilizzati dai costruttori nella descrizione dei prodotti in commercio. In ogni caso valori elevati (90-100 %) significano che la sorgente permette una percezione dei colori corretta mentre valori di CRI inferiori all’80 % significano che la sorgente fornisce una percezione dei colori distorta.

Gruppo CIE CRI Tonalità Applicazioni consigliabili Applicazioni

accettabili

1A CRI > 90 tutte comparazione colori, esami clinici, pinacoteche

1B 80 < CRI < 90 calda intermedia case, alberghi, ristoranti, uffici, ospedali, scuole e

negozi

intermedia fredda industrie tessili, grafiche, di meccanica fine

2 60 < CRI < 80 tutte edifici industriali scuole, uffici

3 40 < CRI < 60 industrie pesanti edifici industriali

4 20 < CRI < 40 industrie pesanti

Alcune applicazioni

I

Se la sorgente viene posizionata su di una superficie riflettente si ottiene una intensità uniforme I:

Considerando una sorgente sospesa che emette il flusso luminoso Φ uniforme distribuito su un angolo solido di 4 π, l’intensità I uniforme corrispondente risulta:

πφ

ωΦ

4==

ddI

πφ

ωΦ

2==

ddII

I

Si può calcolare la luminanza corrispondente all’intensità calcolata uniforme I della sorgente sospesa. Si ammetta che la sorgente sia una sfera di raggio r perfettamente diffondente e area apparente πr2. La luminanza risulta: costante pari a:

222 4 rrI

dAdIL

πφ

π===

Una superficie con luminanza uniforme in tutte le direzioni si dice lambertiana. L’intensità dell’emissione nelle diverse direzioni deve compensare la variazione dell’area “vista” che varia con il coseno dell’angolo δ con la normale alla superficie:

AI

AI

AIL

app

maxmaxcos

cos===

δδ

δ

L

δδ cosmaxII =

I δ

Imax

Considerando una sorgente puntiforme che emette con intensità I nella direzione individuata dall’angolo γ, l’illuminamento sul punto P su di una superficie perpendicolare alla direzione della radiazione alla distanza r può essere valutato come segue:

22coscosr

IrdA

dAIdAdI

dAdE γγω

===Φ

=

I

Ph r γ

2cosr

dAd γω =

Su di una superficie comunque orientata è necessario considerare la legge del coseno. Esprimendo r in funzione di h si ottiene la relazione seguente: 2

3

2

2

2coscoscoscos

cos/

hI

hI

rIE

hrγγγγ

γ

===

=

La luce naturale Le sorgenti di luce naturale. Il Sole

0

5 0 0

1 0 0 0

1 5 0 0

2 0 0 0

2 5 0 0

0 0 . 5 1 1 . 5 2 2 . 5 3 3 . 5 4 4 . 5

l u n g h e z z a d 'o n d a (μ m )

radi

azio

ne m

onoc

rom

atic

a (W

/m2 )

E x t r a t m o s f e r ic a

D i r e t t a

Il Cielo

Componenti della luce naturale

LUCE DIFFUSA

RIFLESSA

DIRETTA

ECielo

ERiflInt

ERiflEst

Da un semplice esame dei diversi fenomeni coinvolti si evidenzia come il fattore di luce diurna sia funzione delle seguenti grandezze:

• area delle aperture finestrate; • coefficiente di trasmissione nel visibile del materiale trasparente che costituisce le

finestre; • area dei diversi elementi che costituiscono l’involucro e che sono presenti all’interno

del locale (pareti, pavimenti, soffitti, arredi, ecc.); • coefficiente di riflessione nel visibile delle superfici dei vari elementi presenti

all’interno del locale; • presenza di ostruzioni di qualsiasi genere, esterne od interne, che limitino la vista

della volta celeste; • stato di manutenzione delle superfici vetrate e delle superfici interne.

Il valore del fattore di luce diurna varia da punto a punto all’interno di un ambiente. Si introduce allora il fattore medio di luce diurna, Fmld , mediato su più punti di misura. Tale parametro consente di valutare la capacità delle aperture trasparenti e dell’involucro di uno spazio chiuso di garantire condizioni di illuminazione naturale confortevoli e un accettabile sfruttamento della luce naturale. Per raggiungere questi obiettivi esso deve essere superiore ad un certo valore, fissato come valore di soglia al di sotto del quale non sono verificate le condizioni di illuminazione naturali sufficienti alle specifiche esigenze di benessere fisico e psicologico.

Fattore di luce diurna (Daylighting Factor - DF)

E

E0

0EEF =

E’ il rapporto tra l’illuminamento, E, che si realizza su di una superficie orizzontale posta all’interno dell’ambiente considerato grazie alla luce proveniente dalla volta celeste (non si considera la radiazione diretta proveniente dal sole), e quello che contemporaneamente si ha su di una superficie orizzontale posta all’esterno senza alcuna ostruzione, E0.

Luce diffusa

Calcolo del fattore medio di luce diurna Un primo metodo per il calcolo di Fmld è quello suggerito anche dalla normativa italiana (NTR Emilia Romagna 1984 e Circolare Ministero LL. PP. n.3151 22/5/1967 nonché dalla norma UNI 10840), adatto alla verifica in spazi interni di forma regolare, senza ostruzioni esterne vicine alle finestre (balconi, logge, porticati, ballatoi). Pur se approssimato, questo metodo, garantisce comunque risultati attendibili e congruenti con il livello di precisione proprio alla progettazione edilizia. Esso permette di calcolare il valore del fattore medio di luce diurna globale ammettendo all’interno dell’ambiente considerato un campo luminoso perfettamente diffuso, ossia uguale in tutti i punti.

)r-(1S

A = F

m

i iiii

mld ⋅

⋅⋅⋅∑ ψετ

iA è l'area della finestra i-esima; iτ è il coefficiente di trasmissione luminosa del vetro della stessa finestra; mr è il coefficiente di riflessione medio nel visibile delle superfici che costituiscono l’involucro dell’ambiente considerato; iε è il fattore finestra ossia il fattore di vista della volta celeste da parte della superficie della finestra, tiene conto delle ostruzioni; iψ è un fattore che tiene conto dell’ombreggiamento indotto sulla finestra dall’imbotte.

colore r colore r

bianco 0.90 ÷ 0.75 blu scuro 0.10 ÷ 0.05

avorio 0.85 ÷ 0.80 verde scuro 0.10 ÷ 0.05

crema 0.80 ÷ 0.70 marrone 0.15 ÷ 0.05

giallo chiaro 0.70 ÷ 0.60 rosso scuro 0.10 ÷ 0.05

rosa 0.60 ÷ 0.45 grigio chiaro 0.40 ÷ 0.15

arancio 0.60 ÷ 0.40 grigio scuro 0.15 ÷ 0.05

verde chiaro 0.50 ÷ 0.40 nero 0.04 ÷ 0.01

azzurro chiaro 0.45 ÷ 0.40

∑∑

=

ii

iii

m S

rSr

p

h

La

0

0,6

2 4 6 8 100

1 h/p 0

0,5

0,4

0,3

0,2

0,1

0,7

0,8

0,9

1,0

ψ1

0,5

8

0,4

1

0,8

0,6

1,5

3

2

4

La/p = 10

Coefficiente di trasmissione del vetro

Sistema trasparente τv

vetro float singolo chiaro 4-6 mm 0,80-0,90

vetro float singolo assorbente 0,70-0,80

vetro singolo retinato 0,85

vetro float singolo colorato in massa a seconda del colore 0,30-0,60

vetro float singolo riflettente 0,35-0,60

vetro float singolo bassoemissivo 0,50-0,75

doppio vetro 6-12-6 – lastre float chiare 0,65-0,75

doppio vetro 6-12-6 – lastre float con ricoprimento bassoemissivo 0,60

policarbonato chiaro 0,80-0,90

lastre traslucide in materiale plastico 0,10-0,80

Illuminazione artificiale Le Sorgenti Luminose artificiali. Si dà il nome di sorgenti luminose, o sorgenti di luce, a tutti i corpi (o superfici) che emettono energia radiante caratterizzata da lunghezze d’onda comprese entro l’intervallo ~0,38÷~0,78μ, con intensità sufficiente per impressionare l’occhio umano. Le sorgenti artificiali servono a sopperire alla carenza di illuminamento naturale, trasformano energia (generalmente) elettrica in luce e generalmente sono costituite da due parti le quali ne determinano le prestazioni:

• la lampada: preposta alla conversione di energia elettrica in flusso luminoso;

• l’apparecchio illuminante: ha la funzione di distribuire tale flusso in maniera opportuna e di proteggere la lampada stessa.

Le lampade possono essere ricondotte a due grandi categorie, le quali differiscono tra loro per il principio fisico su cui si basa la produzione di radiazioni luminose:

• lampade a incandescenza: il cui funzionamento si basa sul fatto che un corpo riscaldato ad alta temperatura e portato all’incandescenza emette radiazioni anche nel campo visibile.

• lampade a scarica: nelle quali la produzione di luce è dovuta all’interazione degli

elettroni di una scarica elettrica con gli ioni di un gas o di un vapore.

GLS

AD INCANDESCENZA REFLECTOR

ALOGENE

LAMPADE VAPORI DI MERCURIO (IODURI METALLICI)

AD ALTA PRESSIONE

SODIO

A SCARICA DI GAS

VAPORI DI MERCURIO (FLUORESCENTI)

A BASSA PRESSIONE

SODIO

Parametri di una lampada

• potenza di alimentazione [W]: potenza elettrica che è necessario fornire per il funzionamento;

• tensione di alimentazione[V]: in genere intorno ai 220 V, o in alcuni case 6-12-24 V ossia bassa tensione;

• flusso luminoso [lm]: quantità di luce erogata per unità di tempo; • efficienza luminosa [lm/W]: esprime il rendimento energetico di una sorgente luminosa.

Essa corrisponde al rapporto tra flusso luminoso ottenuto e potenza elettrica impiegata in alimentazione;

• vita media [h]: indica il numero di ore di funzionamento dopo il quale, in un lotto di lampade ed in certe condizioni di prova, il 50% cessa di funzionare;

• curva di decadimento è la rappresentazione grafica dell’andamento del flusso al variare delle ore di funzionamento;

• indice di resa cromatica, CRI, Ra: indica cioè la fedeltà con cui la luce fornita da una sorgente artificiale riesce a riprodurre i colori reali, ossia la luce del sole

• temperatura di colore [K]: Rappresenta la temperatura del corpo nero con l’emissione più vicina a quella della sorgente considerata;

• tipo di attacco: edison e a baionetta • tempo di accensione: indica il tempo necessario per la messa a regime del sistema di

emissione (lampade a scarica).

Lampade a incandescenza

Filamento di tungsteno (p.f. 3770 K) avvolto in doppia spirale

Ampolla riempita di gas inerte (azoto-argon) per limitare la sublimazione del tungsteno

Bulbo di vetro chiaro sodico-calcico

Attacco

Conduttori in nichel

Supporti in molibdeno

Lampada GLS

Le lampade a incandescenza sono le più antiche (1841, T.A. Edison) e ancora molto utilizzate per il buon compromesso tra costo, vita media e efficienza. Esse basano il loro funzionamento sul passaggio della corrente elettrica attraverso un filamento dotato di una certa resistenza elettrica. Per effetto Joule gran parte dell’energia elettrica viene dissipata in calore e aumenta la temperatura del filamento fino a temperature compatibili con l’emissione nel visibile (legge di Wien): 2500-2700 K per le GLS e circa 3300 K per le alogene. Pregi: costo modesto, ottima resa cromatica (intorno a 100), facili da installare e disponibili in varie forme. Limiti: scarsa efficienza (max 20 lm/W), possibilità di abbagliamento, vita media non elevata (1000-1500 ore), elevato invecchiamento.

Il filamento di tungsteno

Lampade a incandescenza

Lampade a incandescenza ad alogeni Un tipo particolare di lampade a incandescenza sono quelle ad alogeni. Nelle quali viene immesso un alogeno (iodio, cloro, bromo) in grado di combinarsi con il tungsteno e ridepositarlo sul filamento. Hanno migliori prestazioni rispetto alle lampade ad incandescenza:

• Durata da 1000 a 3000 ore; • Efficienza sino a 25 lm/W; • Temperatura del filamento intorno a 3500 K; • Temperatura di colore più elevata, da 2900 a 3100 K; • Elevatissima resa cromatica intorno a 100; • Dimensioni estremamente ridotte del corpo luminoso.

Il bulbo delle alogene è realizzato in quarzo in grado di resistere a temperature elevate Il riflettore può essere trattato con l’applicazione di strati di ossidi riflettenti alle radiazioni visibili, ma non a quelle infrarosse. Spesso sono alimentate in bassa tensione 6-24 V.

W

I I

WI2

I2000

<1400 K

Lampade a scarica in gas Il funzionamento si basa sull’eccitazione ad opera di una scarica elettrica di un gas (vapore metallico oppure miscuglio di vari gas a vapori). Il gas è racchiuso in un contenitore di vetro o quarzo al cui interno sono posizionati due elettrodi. Applicando ad essi una notevole tensione (da 100 V a 5 kV) viene prodotta una scarica ossia un flusso di elettroni che interagiscono con gli atomi del gas. Gli elettroni degli orbitali più esterni vengono spostati dalla loro posizione di equilibrio con assorbimento di energia in maniera quantizzata. In tale condizione gli ioni o gli atomi del gas sono instabili e gli elettroni spostati tendono a ritornare nei loro orbitali di equilibrio liberando l’energia corrispondente al relativo salto energetico con emissione di radiazione. Per innescare la scarica e regolarla durante il funzionamento sono necessari opportuni dispositivi: starter, reattore. I gas utilizzati devono essere in grado di emettere nel campo del visibile. Si sono utilizzati per primi i gas nobili (neon) si utilizzano anche vapori di sodio o mercurio o alogenuri metallici. Una parte dell’emissione può avvenire nel campo dell’ultravioletto. In questo caso si utilizza il fenomeno della fluorescenza utilizzando polveri (alluminati, ossisolfuri, silicati, con metalli pesanti e terre rare) in grado di assorbire la radiazione UV e riemettere radiazione visibile. Si spalma il tubo in vetro e si ottengono le cosiddette lampade fluorescenti. Pregi: efficienza specifica elevata (35 lm/W-200 lm/W), vita media elevata compresa tra 5.000 e 12.000 ore. Limiti: spettro discontinuo, limitati valori di CRI in molti casi, fluorescenti hanno un buon indice di resa cromatica (85-90), quelle al sodio bassa pressione non hanno praticamente CRI.

Lampade al sodio bassa pressione Sono state messe a punto nel 1932 in Olanda dai tecnici Philips per illuminazione stradale. La pressione del gas nel bulbo è di 0,5 Pa e si cerca di mantenere una temperatura intorno ai 270 °C. Il tubo di scarica è quindi isolato termicamente con un secondo involucro sotto vuoto. La superficie interna del tubo è ricoperta di ossido di indio con una trasmissione nel visibile del 91% e una riflessione nell’IR del 90%. Con questi accorgimenti si arriva a un’efficienza luminosa di 200 lm/W. Purtroppo la luce prodotta è monocromatica giallo-verde. Di conseguenza possono essere utilizzate solo quando la resa cromatica non è importante come nell’illuminazione stradale.

Lampade al sodio ad alta pressione Sono state messe a punto cercando di superare la principale limitazione delle lampade al sodio a bassa pressione, la bassa resa cromatica. La pressione del gas nel bulbo è di 40 kPa e si cerca di mantenere una temperatura intorno ai 270 °C. Essendo il sodio molto aggressivo ad elevata temperatura i tubi di scarica sono realizzati in ossidi di alluminio, più resistenti e comunque trasparenti. L’efficienza luminosa diminuisce fino a 100-120 lm/W. L’indice di resa cromatica è intorno a 60 e la temperatura di colore intorno a 2150 K. Si ha una vasta gamma di potenze da 70 a 1000 W con diverse fogge. Vita media 5000 ore. Tempo di accensione 3-4 minuti. Aumentando la pressione fino a 95 kPa Philips ha ottenuto una temperatura di colore di 2500 K e un CRI di 80, tendendendo alle prestazioni di una lampada ad incandescenza. L’efficienza diminuisce fino a 43 lm/W.

Lampade a vapori di mercurio a bassa pressione

Utilizzano una miscela di argon e vapore di mercurio. Sono tipiche lampade fluorescenti. La superficie interna del tubo è ricoperta da tre o cinque diversi ossidi. Si riesce a ottenere un CRI tra 85 e 90. La temperatura di colore va da 4000K a 6000K. L’efficienza luminosa risulta compresa tra 50 e 95 lm/W mentre la vita media è intorno a 10000 ore.

Acustica 1

Lampade a vapori di mercurio ad alta pressione

La pressione del gas nel bulbo va da 100 kPa a 2,5 Mpa. Il bulbo è realizzato in quarzo ed è alloggiato in un bulbo in vetro. Gli elettrodi sono spirali in tungsteno ricoperto di terre rare. L’efficienza luminosa è compresa tra 35 e 50 lm/W, mentre l’indice di resa cromatica è relativamente basso. Vita media 5000 ore. Tempo di accensione 3-5 minuti. Aumentando la pressione fino a 95 kPa Philips ha ottenuto una temperatura di colore di 2500 K e un CRI di 80, tendendo alle prestazioni di una lampada ad incandescenza. L’efficienza diminuisce fino a 43 lm/W.

1

2

3

4

5

6

7

8

9

Lampade ad alogenuri metallici

La miscela gassosa utilizzata oltre a argon e vapore di mercurio presenta anche alogenuri di sodio, tallio. Forniscono flussi luminosi molto elevati e hanno una buona efficienza intorno a 80 lm/W. I tempi di accensione sono intorno a 2-3 minuti e la vita media può superare le 6000 ore. Possono sostituire le incandescenti ad alogeni e le fluorescenti standard.

Lampade ad induzione

La scarica viene in questo caso prodotta senza elettrodi utilizzando un campo magnetico oscillante ad elevata frequenza (2,65 MHz) il quale induce un campo elettrico secondario. Il campo elettrico ionizza il gas che emette radiazione UV corretta con l’utilizzo di polveri fluorescenti. Forniscono flussi luminosi elevati e hanno una buona efficienza intorno a 70 lm/W. I tempi di accensione sono rapidi (0,5 s) e la vita media può superare le 60000 ore.

Lampade a luce miscelata Sono un prodotto ibrido costituito essenzialmente da una lampada a vapori di mercurio ad alta pressione cui viene aggiunto un filamento ad incandescenza il quale ha anche la funzione di stabilizzare la scarica. Esse presentano una luce con una componente a spettro continuo tipica dell’indandescenza. Si ha una grande facilità d’uso dovuta alla mancanza di dispositivi ausiliari elettrici (sostituiti dal filamento) e dalla possibilità di utilizzare un comune attacco Edison. La tonalità della luce è abbastanza fredda per la prevalenza dell’emissione del mercurio, tuttavia la resa dei colori è migliore di una semplice sorgente a scarica. L’efficienza è poco superiore a quella a incandescenza. Accensione e riaccensione sono instantanee. Efficienza lampade

Apparecchi illuminanti Gli apparecchi illuminanti costituiscono l’involucro che contiene la sorgente luminosa hanno la funzione di distribuire il flusso luminoso in maniera opportuna e di proteggere la sorgente stessa. Per indirizzare la luce sfruttano i fenomeni della riflessione, rifrazione e diffusione e sono rispettivamente indicati come:

• diffusori: hanno lo scopo di diffondere la luce emessa dalle lampade uniformando la luminanza nelle varie direzioni e quindi riducendo anche le possibilità di abbagliamento. Sono realizzati in genere in materiali translucidi.

• riflettori: orientano secondo direzioni ben determinate la luce emessa dalle sorgenti

luminose. Si utilizzano materiali con riflessione di tipo speculare.

• rifrattori: costituiti da un involucro di materiale trasparente che per rifrazione diffonde la radiazione luminosa Esempio tipico sono le plafoniere in materiale plastico con superficie composta da piccoli prismi piramidali.

riflessione rifrazione diffusione

Ottiche

Apparecchi illuminanti

Solido di emissione Il modo di distribuire la luce nello spazio viene descritto dal solido di emissione. Esso indica l’intensità di emissione nelle diverse direzioni. E’ possibile utilizzare una rappresentazione sul piano dell’emissione. A seconda della simmetria si utilizzeranno uno o più piani.

Curve fotometriche

Curve fotometriche

Acustica 1Curve fotometriche

Calcolo del livello di illuminamento artificiale

Φdiff

ΦD

EP

Apertura del fascio

Descrive quanto “concentrato” è il fascio di luce prodotto dall’apparecchio. E’ l’angolo entro il quale l’intensità si riduce al 50% del suo massimo in genere rilevato lungo l’asse. In alcuni casi si utilizza la riduzione fino al 10%. Si parla di lampade spot con apertura fino a 20°, lampade flood con aperture maggiore di 40°

I diversi metodi di calcolo del campo luminoso artificiale all’interno degli ambienti si basano sul principio di sovrapposizione degli effetti ossia sull’assunzione che l’illuminamento in un punto qualsiasi sia pari alla somma tra quello che si ottiene su di esso dalla luce che vi arriva direttamente dalle sorgenti luminose e quello ottenuto dalle diverse superfici riflettenti.

I metodi di calcolo semplificati della componente diffusa si basano sull’assunzione che il campo diffuso sia uniforme nello spazio considerato e che il flusso luminoso, FL, emesso da tutte le lampade installate, si distribuisce uniformemente sulle superfici che costituiscono l’involucro:

)1( mtot

mLdiff rS

rE−⋅⋅

Stot, superficie dell’involucro, FL, il flusso luminoso, rm coefficiente di riflessione medio dell’involucro. Fattore di utilizzazione Non tutto il flusso luminoso emesso dalle sorgenti installate in un ambiente arriva ad illuminare il piano di lavoro. Una parte di esso viene “disperso” e la parte effettivamente incidente sul piano di lavoro dipende da:

• geometria dell’ambiente; • posizionamento delle lampade; • caratteristiche di riflessione di pareti, pavimento e soffitto; • caratteristiche degli apparecchi illuminanti.

ν ν r

h

Pv

ν

Po

ν r

h

2cosr

IE υν=

2

3cosh

IE

υν=νcos

hr =

2senr

IE

υν=

Si definisce allora il fattore di utilizzazione Cu come rapporto tra flusso incidente sul piano di lavoro incΦ e flusso installato 0Φ .

0ΦΦ inc

uC =

Il coefficiente di utilizzazione, che viene individuato in funzione di un parametro detto indice del locale K, tiene conto della geometria del sistema sorgente-ambiente-piano di lavoro. A seconda che si intenda realizzare un tipo di illuminamento diretto o indiretto, l’indice del locale si calcola con una delle equazioni di seguito riportate:

Illuminazione diretta: )(

)(bah

baK+⋅⋅

=

Illuminazione indiretta: )(2

)(3baH

baK+⋅⋅

⋅=

a = lunghezza del locale da illuminare; b = larghezza del locale da illuminare; h = altezza del punto luce rispetto al piano di lavoro; H = altezza del soffitto rispetto al piano di lavoro

P lafoniera a quattro

lam pade fluorescenti con

riflettore superiore

A .24 .21 .19 .24 .21 .19 .23 .20 .18 .23 .20 .18 .23 .20 .18 .18

B .29 .26 .23 .29 .26 .23 .28 .25 .23 .28 .25 .23 .27 .24 .33 .22

C .33 .30 .27 .33 .29 .27 .32 .29 .27 .31 .28 .26 .30 .28 .26 .25

D .36 .33 .30 .36 .33 .30 .35 .32 .30 .34 .31 .29 .33 .31 .29 .28

E .40 .37 .34 .39 .36 .34 .38 .36 .33 .37 .35 .33 .36 .34 .32 .32

F .44 .42 .40 .43 .41 .39 .42 .40 .38 .40 .39 .37 .39 .38 .37 .36

G .49 .48 .46 .48 .47 .46 .46 .45 .44 .45 .44 .43 .43 .42 .42 .41

H .55 .55 .55 .54 .54 .54 .51 .51 .51 .49 .49 .49 .47 .47 .47 .46

Apparecchio con lam pada

fluorescente per

illum inazione indiretta

A .26 .21 .17 .23 .19 .15 .17 .14 .12 .12 .10 .08 .07 .06 .05 .03

B .34 .22 .23 .24 .35 .22 .23 .19 .16 .16 .13 .12 .09 .08 .07 .04

C .40 .34 .30 .35 .30 .26 .26 .23 .20 .18 .16 .14 .10 .09 .08 .05

D .45 .39 .35 .40 .35 .31 .30 .26 .24 .20 .18 .17 .11 .10 .10 .06

E .51 .46 .42 .45 .41 .37 .33 .30 .28 .23 .21 .19 .13 .12 .11 .07

F .58 .54 .50 .51 .48 .44 .38 .36 .34 .26 .24 .23 .14 .14 .13 .08

G .67 .64 .61 .59 .56 .54 .43 .42 .41 .29 .29 .28 .17 .16 .16 .10

H .77 .77 .77 .68 .68 .68 .50 .50 .50 .34 .34 .34 .19 .19 .19 .12

A→ K = 0,5 ÷ 0,7 C→ K = 0,9 ÷ 1,2 E→ K = 1,4 ÷ 1,7 G→ K = 2,7 ÷ 4

B→ K = 0,7 ÷ 0,9 D→ K = 1,2 ÷ 1,4 F→ K = 1,7 ÷ 2,7 H→ K = 4 ÷ 6

8 0 7 0 50 3 0 1 0 0

5 0 3 0 1 0 5 0 30 1 0 5 0 30 1 0 5 0 3 0 1 0 50 3 0 1 0 0

Rf=0.2Rc

RW

Parametri del tabulato: Rf : coefficiente di riflessione del pavimento, Rc : coefficiente di riflessione del soffitto, Rw : coefficiente di riflessione delle pareti.

Deprezzamento del flusso luminoso emesso, fattore di manutenzione Al passare del tempo l’impianto di illuminazione subisce un certo invecchiamento che viene detto deprezzamento. Il flusso emesso dalle lampade diminuisce per annerimento degli involucri in vetro, per variazioni delle condizioni di funzionamento del filamento delle lampade ad incandescenza o degli elettrodi di quelle a scarica. Le parti ottiche degli apparecchi vengono ricoperte da polvere diminuendone la riflessione e la trasparenza. Nella valutazione del flusso da installare bisogna tenere conto di questo prevedendo un flusso un poco eccedente quello minimo richiesto. Viene definito un altro fattore detto di manutenzione, M, corrispondente al rapporto tra il flusso che incide sulla superficie di lavoro in condizioni di massimo invecchiamento dell’impianto e con l’impianto nuovo. Il fattore detto di manutenzione, M, può essere valutato in funzione della polverosità dell’ambiente con un intervallo tra le operazioni di pulizia pari a 12 mesi.

tipo di ambiente CM

pulito 0,8

medio 0,7

sporco 0,6 Se S è la superficie del piano di lavoro e Em l’illuminamento desiderato il flusso totale da installare vale:

Mu

mE CC

SE⋅⋅

Se poi ΦL:è il flusso del tipo di lampada scelta, il numero di lampade vale:

L

ENΦΦ

=

E’ bene cercare di realizzare una copertura uniforme del piano di lavoro. In generale ai fini dell’uniformità la distanza tra due sorgenti vicine non dovrebbe essere maggiore di una volta e mezza dell’altezza di installazione rispetto al piano di lavoro.

Illuminazione e comfort visivo Per una buona visione negli ambienti interni è necessario realizzare un impianto di illuminazione che assicuri:

• il livello di illuminazione necessario ai compiti visivi, in termini di illuminamento e luminanza, e la sua uniformità;

• l’equilibrio delle luminanze nel campo visivo;

• la limitazione dell’abbagliamento;

• una sufficiente resa del contrasto.

Tutti questi aspetti possono essere valutati attraverso opportuni parametri fisico-tecnici, che concorrono alla progettazione e al dimensionamento dell’impianto in funzione delle attività che devono essere svolte nell’ambiente considerato. Il livello di illuminazione. Per una buona visione dei “compiti visivi” è necessario garantire un livello di illuminamento sufficiente. Nel caso di un locale in cui si svolgono attività lavorative si deve adeguare l’illuminamento alla prestazione visiva, mentre per attività ricreative si deve adeguare alla soddisfazione visiva. In generale maggiore è la prestazione visiva richiesta (in termini di velocità e precisione di esecuzione) e maggiore è l’illuminamento necessario. Si sono individuati dei valori limite dell’illuminamento, uno minimo ed uno massimo oltre i quali si considera che la visione sia resa comunque difficoltosa. La soglia minima assoluta è stata fissata in 20 lux, la massima in 2.000 lux. Oltre il massimo grado di illuminamento la prestazione visiva aumenta, ma in misura non molto apprezzabile, mentre risulta probabile l’insorgenza di fenomeni collaterali che disturbano o alterano la visione, come l’abbagliamento diretto o riflesso, oppure la difficoltà a distinguere piccoli dettagli. Tra questi valori di massimo e minimo sono state individuate diverse classi di illuminamento a seconda della prestazione visiva. Per ciascuna classe è stata fissata una gamma di tre valori con rapporto 1,5. La scelta del valore appropriato entro ciascuna gamma dipende da un insieme di fattori relativi al singolo specifico compito visivo:

• dimensioni angolari dell’oggetto; • contrasto di luminanza; • acuità visiva dell’osservatore, ossia inverso della minima separazione angolare tra

oggetti per percepirli come distinti; • sensibilità al contrasto ossia minimo contrasto percepibile; • tempo di visione, ossia tempo a disposizione per effettuare l’attività visiva.

Per evitare fenomeni di affaticamento è bene che negli ambienti il rapporto tra l'illuminamento minimo e quello medio non sia inferiore a 0,8.

Valori di illuminamento consigliati dalla CIE

Tipo di destinazione (attività) illuminamento (lux)

Aree esterne industriali 20-30-50

Zone di passaggio e di sosta temporanea 50-100-150

Ambienti di lavoro occupati saltuariamente 100-150-200

Prestazioni visive semplici 200-300-500

Prestazioni visive medie 300-500-750

Prestazioni visive elevate per compiti difficili 1000-1500-2000

Prestazioni visive elevate per compiti di particolare qualità

2000

Equilibrio delle luminanze Generalmente solo una parte del campo visivo di un osservatore è occupata dal compito visivo. L’occhio si adatta ad una luminanza intermedia tra quella del compito visivo e quella degli altri elementi presenti all’interno del campo visivo. E’ importante allora che non si vengano a creare eccessivi contrasti luminosi nel campo visivo i quali possono far diminuire – o debilitare la capacità dell’occhio di distinguere gli oggetti dal loro sfondo e di percepire i dettagli. La presenza di eccessivi contrasti di luminanze , infatti risulta spesso affaticante per la vista degli occupanti, anche quando questi non avvertono coscientemente l’esistenza di alcun elemento di disturbo. Si utilizza come parametro il massimo rapporto tra i valori della luminanza delle diverse superfici comprese nel campo visivo. Valori limite dei rapporti tra le luminanze dello sfondo e del compito visivo secondo CIE (UNI 10380)

Rapporti limite di luminanza prescritti Classe ambiente

X Y Z

Tra compito visivo e superfici più scure adiacenti (max.) 3/1 3/1 5/1

Tra compito visivo e superfici più chiare adiacenti (min.) 1/3 1/3 1/5

Tra il compito visivo e le superfici lontane più scure (max.) 10/1 20/1 -

Tra il compito visivo e le superfici lontane più chiare (max.) 1/10 1/20 -

Tra apparecchi di illuminazione e superfici adiacenti (finestre, lucernai, ecc.) (max.)

20/1 - -

Ovunque entro il campo visivo (max.) 40/1 - -

Abbagliamento La presenza di sorgenti luminose vicino alle più comuni direzioni di osservazione può dar luogo al fenomeno dell’abbagliamento. L’entità del fenomeno può variare da una sensazione di fastidio (discomfort glare), che perdurando porta ad affaticare il soggetto fino ad una temporanea perdita di visibilità (disability glare). Un eccessiva luminosità del campo visivo può portare infine ad una percezione non nitida degli oggetti, si parla in questo caso di veiling. ABBAGLIAMENTO (glare) è usato per indicare una serie di situazioni visive ed è usualmente connesso a indesiderati effetti fisiologici e psicologici: riduzione delle prestazioni visive (acuità visuale, velocità di percezione, percezione del contrasto), affaticamento, discomfort, etc. Si è soliti distinguere: ABBAGLIAMENTO DISABILITANTE (DISABILITY GLARE). Impedisce o limita la visione quindi l’attività connessa, ma non necessariamente provoca una sensazione sgradevole. ABBAGLIAMENTO FASTIDIOSO (DISCOMFORT GLARE). Induce una sensazione di sgradevolezza, di affaticamento o di disturbo senza però necessariamente impedire la visione . si manifesta quando nell’ambiente, dunque nel campo visivo, sono presenti grandi diversità di Luminanza, dovute alla presenza di una sorgente luminosa nel campo visivo, o meglio nella sua zona centrale (abbagliamento diretto), o alla presenza di riflessioni su superfici lucide o chiare (abbagliamento riflesso). EFFETTO VELO (VEILING GLARE). È un effetto collaterale all’abbagliamento riflesso, si tratta di un fenomeno di riflessione (anche diffusa) sul compito visivo che crea una riduzione generale del contrasto tale da abbassare notevolmente la visibilità pur senza provocare discomfort. Questo perché la luminanza dell’oggetto riflesso à maggiore di quella del compito visivo. Ad esempio l’immagine di una finestra luminosa sullo schermo di un computer rende illeggibile quello che à visualizzato su di esso. Può essere considerato una forma di disability glare. Gli indici di valutazione dell’abbagliamento connettono l’entità del disturbo ai valori delle grandezze fisiche in gioco. I più recenti sono: - il DGI ("Daylight Glare Index") per la valutazione del disturbo causato da estese superfici luminose, tipicamente quella del cielo visto attraverso ampie finestre (pubblicato all’inizio degli anni ‘80) - e l’UGR ("Unified Glare Rating") più indicato per la valutazione del disturbo da apparecchi illuminanti o comunque da sorgenti non estese. Quest’ultimo è stato sviluppato dalla CIE nel 1995 ed è stato recentemente proposto (’98) in ambito europeo, come indice di riferimento nel progetto di norma europea PR EN 12464 “Lighting application – lighting of work places”. Si prospetta un suo recepimento anche in ambito nazionale. LA CORNELL FORMULA é stata sviluppata presso la Cornell University in collaborazione con il CIBSE, modificando la preesistente formula BRS per la valutazione dell’abbagliamento da sorgenti di dimensioni ridotte (di dimensioni inferiori a 0.01 st). La formula fornisce il DGI.

Il metodo prevede come primo passo il calcolo della “Costante di Abbagliamento” o “Glare Coefficient” (G) relativa ad ogni parte (patch) di sorgente luminosa,

fb

SSGL 0.07 L

L48,0 5.0

8.01.6

⋅⋅+Ω⋅

⋅=ω

dove il significato dei simboli é il seguente:

• Ls luminanza media della sorgente in esame [cd/m2], le parti contemplate (previste) come sorgenti sono: il cielo, le ostruzioni esterne ed il suolo visibili attraverso l’apertura,

• Lf luminanza media dell’intera superficie finestrata [cd/m2], • Lb luminanza media del fondo [cd/m2], • ω angolo solido sotteso dalla superficie apparente della finestra all’occhio dell’osservatore

[st], • Ωs angolo solido sotteso dalla superficie apparente della sorgente all’occhio

dell’osservatore, corretto in funzione della sua posizione nel campo visivo mediante l’indice di posizione di Guth (position index) (P), il cui valore va calcolato in ogni punto del campo visivo:

• 0.48 é un coefficiente numerico funzione delle unità di misura impiegate. Una volta calcolato il valore di G per ogni sorgente luminosa, viene calcolato il DGI:

DGI = 10 ⋅ log10 Σ G la sommatoria è estesa al numero di sorgenti luminose. L'UGR viene invece calcolato con la seguenteformula, Dove il significato dei simboli è analogo a quello definito per il DGI:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⋅= 2

2s

f PL

L25.08 ωLogUGR

Cosa dicono le norme italiane (UNI 10380): UNI 10380. Illuminazione di interni con luce artificiale. Stabilisce tra l’altro, allo scopo di controllare i fenomeni di abbagliamento, dei limiti ai rapporti tra le luminanze nel campo visivo. Adotta il metodo delle curve limite di luminanza come strumento di valutazione (individuano il valore massimo ammesso per un apparecchio in funzione della sua posizione rispetto all’osservatore). UNI 10840 (2000). Locali scolastici, criteri generali per l’illuminazione naturale ed artificiale. Definisce il fattore medio di luce diurna ed i suoi valori minimi, adotta il DGI come indice di valutazione dell’abbagliamento naturale. Abbagliamento. Si può avere abbagliamento anche a causa della riflessione delle sorgenti luminose su superfici speculari posizionate lungo le principali direzioni di osservazione.

Per eliminare l’abbagliamento un primo passo è comunque quello ci controllare che non vi siano sorgenti che emettano direttamente nel campo visivo ossia direttamente verso l’occhio. L’effetto di abbagliamento dovuto alla luminosità di una certa sorgente decresce via via che la posizione di questa si allontana dalla zona centrale del campo visivo. Le luminosità elevate sono infatti tollerate quando si trovano a cadere in posizioni periferiche rispetto alla direzione dello sguardo (linea di visuale). Per limitare l’abbagliamento indiretto provenienti da superfici riflettenti è bene che tale superfici riflettano in maniera diffusa. Contrasto delle luminanze. La percezione dei dettagli di un compito visivo dipende essenzialmente dal modo in cui i dettagli risaltano sullo sfondo. In altre parole dipende dal contrasto tra luminanza del compito visivo e luminanza dello sfondo.

f

cf

LLL

C−

=

La valutazione del contrasto dei compiti visivi ricorrenti nelle attività di ufficio viene espressa utilizzando il fattore di resa del contrasto CRF, definito come il rapporto, a pari illuminamento medio, tra il contrasto, C, nelle condizioni analizzate e il contrasto che si avrebbe se il compito visivo fosse illuminato da una semisfera di luminanza costante con centro occupato dal compito visivo, Cr:

rCCCRF =

Contrasto delle luminanze Il contrasto del campione in condizioni di riferimento viene preso di solito pari a 0,91. CRF non deve scendere mai sotto 0,7, meglio se maggiore 0,9. Per ottenere elevati valori della resa del contrasto occorre che la zona dove si ha il compito visivo sia illuminata da sorgenti poste all’esterno del volume di offesa, ossia del volume entro cui si ha la presenza di riflessione proveniente dalla superficie osservata diretta verso l’osservatore. E’ possibile altresì posizionare centri luminosi all’interno del volume di offesa ma facendo in modo che l’emissione nelle direzioni all’interno di tale volume sia limitata. Una ulteriore possibile strategia corrisponde a utilizzare un impianto che garantisca un’illuminazione uniforme di base in tutto il locale e predisporre una illuminazione supplementare localizzata dei compiti visivi.

Volume di offesa

Apparecchi posizionati correttamente lateralmente al posto di lavoro e fuori del volume di offesa.

Apparecchi bat-wing. La presenza di uno di questi apparecchi all’interno del volume di offesa non pregiudica la resa del contrasto, dato che l’illuminazione del compito visivo è ottenuta soprattutto con gli apparecchi laterali.