Corsi OSA “LA RELAZIONE D'AIUTO” Dispensa Base...

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Anno formativo 2014/2015 Corsi OSA “LA RELAZIONE D'AIUTO Dispensa Base per L ’operatore socio-assistenziale (OSA ) Docente: prof. Elio Cocciardi Materiale didattico ad esclusivo uso intern

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Anno formativo 2014/2015

Corsi OSA

“LA RELAZIONE D'AIUTO”

Dispensa Base

per

L ’operatore socio-assistenziale (OSA )

Docente: prof. Elio Cocciardi

Materiale didattico ad esclusivo uso intern

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Introduzione

Questa dispensa nella terza versione (settembre 2006), nasce dalla necessità, emersa in aula di fornire all’allievo/a uno strumento di studio/consultazione che gli permetta di riprendere in mano tematiche toccate in aula e di approfondirle e/o meditarle; o di studiarne altre per proprio interesse ed anche – si spera – di riprendere in mano aspetti che possano essere utili nella pratica professionale.

Con una certa frequenza, durante le lezioni si verificano i seguenti fatti: (a) talvolta nella prima/seconda lezione vi è una certa fatica a capire in cosa consiste questa disciplina; (b) nel prosieguo del corso vi è comprensione dei contenuti ma risorge, magari avanti nel tempo lo stesso interrogativo; la/le risposte potrebbero essere ovvie: è l’insegnante che spiega male, che non è chiaro, che non riesce a caratterizzare la disciplina.

Senza escludere queste eventualità, non si può nascondere che il problema è reale ed ha a che fare con la disciplina e con le modalità del fare lezione: cercherò di chiarire entrambi i punti.

Ritengo la materia “Relazione d’aiuto” (RDA) assolutamente interdisciplinare, in quanto i processi comunicativi dei quali essa si occupa ( la Comunicazione Verbale e quella Non-Verbale, ad esempio) sono l’aria stessa della comunicazione: il problema semmai è la consapevolezza continua dei propri ed altrui processi comunicativi, del loro significato, della loro eventuale modificazione.

Per quanto concerne la questione delle modalità del far lezione, ritengo fondamentale, in aula, poter collegare nel modo più intimo possibile la teoria, qualche schema teorico con esemplificazioni pratiche, con l’analisi di casi, con le esercitazioni d’aula, con i role-playng, con le esperienze personal/professionali degli allievi.

Talvolta o spesso succede in aula e succederà che le argomentazioni richiedano l’apertura di parentesi, di collegamenti laterali: questi hanno lo scopo di una comprensione maggiore: se ciò non dovesse succedere è compito dello studente quello di interrompere o meglio di “metacomunicare” (si veda più avanti alle pagg.28-30): già in aula si cerca di mettere in pratica quello che succede “fuori aula”, nel mondo. Ma anche l’aula è un mondo, di pari valore.

I meccanismi di comunicazione d’aula sono gli stessi di quelli “fuori d’aula”: chi parla – il docente – ha in testa, in mente ciò che vuol dire, il percorso dei suoi pensieri, dove vuole arrivare, o almeno lo si spera, a prescindere dalla qualità di ciò che dice – mentre l’allievo insegue/segue ciò che il docente dice: il secondo (l’allievo) fa senza dubbio una fatica maggiore: di questo vi ha da essere consapevolezza da parte di entrambi: l’insegnante può fare errori comunicativi, essere impreciso, si spera raramente; l’allievo ha il dovere formativo di farlo presente.

Ma di ciò parleremo nella dispensa a proposito sia degli stili comunicativi che delle funzioni della comunicazione.

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Quanto detto fino ad ora rimanda ad una questione fondamentale: in cosa si differenzia una Relazione, diciamo così “consueta, normale” da una “d’aiuto”?

Dal punto di vista degli scopi la risposta va da sé; dal punto di vista della teoria di riferimento, quindi, per studiare una Relazione consueta, normale oppure una d’aiuto, la teoria, le teorie sono le medesime, il campo d’indagine è il medesimo: lo studiare l’una è lo studiare l’altra, quindi questo ci facilita lo studio medesimo, dato che, come individui comunichiamo continuamente, quindi in ogni momento della giornata non possiamo esimerci dal comunicare, cioè, come dice il padre della teoria della Comunicazione (cfr. P. Watzlawick et alii, pagg.41-42, (11)) la prima regola della Comunicazione dice che “Non si può non comunicare”.

Questo ci facilita lo studio, in quanto in ogni momento possiamo avere materiali di questo “studio” – ciò che noi diciamo, facciamo, ciò che gli altri dicono, fanno (amici, conoscenti, partner, ecc.) – dipende “solo” dalla nostra voglia e consapevolezza a “sfruttare” questi infiniti materiali.

Nella dispensa troveranno posto riflessioni critiche, aspetti di teoria, schemi, la bibliografia, sperando che il tutto, il nesso logico sia chiaro allo studente; speriamo che anche quanto non esplicitato completamente o a cui solo si allude sia motivo di ulteriori riflessioni e/o ricerche personali.

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INDICE

- Introduzione pag..1.- Indice pag..3

- Indice degli Allegati pag..4

- (1) Il programma d’aula pag..5

- (2) Verifiche (scritte, orali, pratiche) pag..6

- (3) Le Fasi della Relazione d’aiuto (RDA) pag..7

- (4) Un Caso Clinico secondo le fasi della RDA pag..10

- (5) L’Autoesplorazione e l’Autovalutazione pag.17.

- (6) Le Credenze Irrazionali pag.19

- (7) L’Ascolto pag.22

- (8) Desideri, Aspettative, Timori dell’Helpee pag.26

- (9) La RDA: alcuni principi di metodo pag.27

- (10) La Comunicazione e la RDA pag.30

- (11) La Comunicazione non-verbale (CNV) pag.33

- (12) Gli Stili Comunicativi pag.37

- (13) Le Funzioni della Comunicazione pag.39

- (14) RDA e Lavoro d’Equipe pag.43

- (15) Le Competenze Trasversali e la RDA pag.46

- (16) Etica e RDA, bambino e liquido amniotico pag.47

- (17) Osservazioni d’aula e considerazioni conclusive pag.49

- Bibliografia pag.50

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Indice degli ALLEGATI

- Le fasi della Relazione d’aiuto pag. 52

- Principi base per aumentare la capacità d’Ascolto p. 54

- Ascoltare (cinese) p. 55

- Descrizioni Comportamentali e Non-Comportamentali p. 56

- Differenza tra Dato e Deduzione p. 57

- Funzioni della Comunicazione p. 58

- Stili ( Modalità) Comunicativi p. 59

- La Comunicazione Non-Verbale p. 60

- Brainstorming p. 61

- Funzioni del Trainer p. 62

- L’operatore creativo p. 63

- Le Competenze Trasversali

- Le CT: Diagnosticare le proprie competenze e attitudini p. 64

- Le CT: Relazionarsi: Comunicare p. 65

- Le CT: Relazionarsi: Lavorare in gruppo p. 66

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(1)

Il Programma d’Aula

Presentiamo qui una proposta di programma: potrebbe configurarsi allo stato attuale della materia un’ipotesi complessiva, con argomenti che potrebbero essere approfonditi, ma i cui titoli siano quelli sottoelencati, semmai aumentati nel numero, ma non ridotti.

Ovviamente il programma può essere modificato in base al numero di ore d’insegnamento previste nel corso stesso, ritengo però che – senza dubbio – possa essere la traccia d’azione d’aula di partenza, dalla quale non prescindere.

1) Cos’è la RDA: brain-storming degli allievi;

2) Le Fasi della RDA: - (a) La Raccolta delle Informazioni;- (b) L’Osservazione/l’Ascolto;- (c) La Comprensione/Interpretazione/La Valutazione;- (d) L’Azione/Intervento.

3) Autoesplorazione ed Autocomprensione;

4) Aspetti Cognitivi ed aspetti Emotivi nella RDA;

5) La differenza Dato/Deduzione;

6) Descrizioni Comportamentali e Non-Comportamentali;

7) La Pragmatica della Comunicazione : aspetti teorici fondamentali: la Punteggiatura, la Metacomunicazione, Comunicazione di Contenuto e di Relazione, One-up e One-down, Relazioni Complementari e Simmetriche;

8) La Comunicazione Non-Verbale (CNV): i suoi Indicatori;

9) Gli Stili Comunicativi;

10) Le Funzioni della Comunicazione;

11) Le Idee Irrazionali e le Implicazioni Parassite;

12) Analisi di un Caso secondo l’ottica della RDA (Cfr. punto 2);

13) La Persona Morente e la RDA;

14) Etica e RDA

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Verifiche ( scitte, orali, pratiche)

Possono avvenire con una o più delle seguenti modalità:

a) Alla fine del corso ogni allievo analizza un caso scritto in base alle quattro fasi della RDA: l’allievo deve decidere quali informazioni è utile avere, per quali motivi e descrivere come fare per ottenerle; deve inoltre dire cosa è utile osservare, in quali ambiti e per quali motivi; deve dare la sua interpretazione, valutazione del caso unicamente in base ai dati in suo possesso ed infine deve fornire una traccia d’intervento;

b) L’allievo dovrà saper indicare e descrivere in modo comportamentale, oralmente e/o per iscritto, situazioni della vita professionale ( tirocinio) e/o le Relazioni d’aula che comportino l’utilizzo della teoria analizzata nell’aula medesima;

c) Vengono inoltre valutate, durante i role playng, le capacità relazionali definite più sotto e successivamente le capacità d’analisi di quanto successo descrivendo al contempo i propri pensieri e vissuti. In altri termini le capacità di autosservazione ed autovalutazione unite alla teoria svolta in aula applicata alla situazione concreta;

d) Dato che “non è possibile non comunicare” – compreso facendo lezione, sia come allieve/i che come docente – le interazioni che si svolgono in aula possono diventare di volta in volta riferimento di teoria e può venir richiesto al singolo allievo di trovare i riferimenti teorici di quanto succede in aula in quell’istante.

e) La classe si divide in gruppi di 5/6 persone. ogni gruppo sceglie un caso – in base alle proprie esperienze professionali o di Tirocinio – e definisce il luogo dove l´azione avviene, le persone coinvolte, i dati principali dell´anamnesi, come e´avvenuta l´azione nella realta´.Quindi simula al resto della classe l´azione stessa. Compito dei compagni di classe e´quello di individuare nel role-playng i dati di teoria studiati in aula.

IMPORTANTE

Per quanto riguarda la valutazione d’aula i punti C e D costituiscono momento privilegiato per quanto riguarda la valutazione.

Questa parte deve essere almeno sufficiente; in caso contrario – pur se la parte scritta dovesse rivelarsi sufficiente - non lo risulterebbe la valutazione complessiva.

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(3)

Le Fasi della Relazione d’aiuto .

Come detto nell’introduzione vi sono degli aspetti di teoria nella RDA che hanno da essere presenti al fine di una relazione d’aiuto significativa.

Prendendo libero spunto da quanto sostiene Carkhuff (“L’Arte di aiutare”, Erickson) possiamo dire che la RDA è caratterizzata da quattro aspetti, che, consapevolmente o meno sono presenti nel nostro agire: per comodità concettuale e procedurale definiamo questi aspetti “FASI” e più precisamente:

A) Fase della Raccolta informazioni (in fase pre-intervento corrisponde ad informazioni cartacee, verbali, documenti vari, ecc.);

B) Fase dell’Osservazione/Ascolto (vi è in linea teorica l’utilizzo dei vari organi di senso);

C) Fase della Valutazione, Interpretazione, Comprensione dei dati empirici: può anche comprendere parti/aspetti non ancora chiari (?);

D) Fase dell’Azione/Intervento .

Più sotto verrà esemplificato un caso, in modo da fornire la metodologia d’analisi proposta.

(B) Nelle Relazioni interpersonali lo schema proposto può essere così inteso: ad esempio nel momento in cui ci viene presentata una persona per la prima volta, noi immediatamente e spesso inconsapevolmente ci facciamo relativamente in fretta un’idea – giusta o sbagliata che sia – della persona stessa: quello che noi facciamo, cioè, è un’osservazione, attraverso il canale visivo, di gesti, movimenti, movimenti muscolari, in generale espressioni del viso ed altro ancora ed inoltre ascoltiamo ciò che la persona dice, oltre a come lo dice, cioè il timbro, la velocità, l’alternarsi del volume, il ritmo, ecc.

(A)Si può dire che facciamo una Raccolta informazioni osservando e ascoltando l’altro: in alcune particolari Relazioni subentrano altri canali sensoriali come ad esempio nel rapporto con un neonato subentra il tatto, l’olfatto oppure anche il gusto, quando ad esempio una madre assaggia il cibo del proprio figlio per verificare il sapore o la temperatura. L’uso del tatto si configura come modalità di peso anche nel con-tatto con la persona anziana, in particolar modo quella allettata.

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Nella pratica, spesso inconsapevolmente, noi ci facciamo un’idea dell’altro unendo una serie di informazioni visive, uditive, tattili in cui ognuna di queste modalità sensoriali può essere scomposta ulteriormente in micromovimenti o microfrasi in cui ognuna può assumere significati precisi e che a sua volta determinano la/le nostre interpretazioni di quella particolare relazione in quel particolare momento.A titolo d’esempio può essere interessante prendere uno spezzone di in film in cui vi è un dialogo tra personaggi e togliere ad esempio l’audio: in questo modo si privilegia e si dilata il canale visivo, attraverso il quale, inaspettatamente, cogliamo gesti, movimenti, azioni che prima non avevamo notato e l’azione complessiva assume significati differenti rispetto all’osservazione precedente. Ciò che è cambiato è la/le direzione/i dei nostri sguardi ed in fin dei conti la nostra percezione, di conseguenza è cambiata la nostra interpretazione di ciò che è successo.

Si può dire che occuparsi di Relazione d’aiuto o comunque occuparsi di migliorare le nostre comunicazioni significa prima di tutto migliorare le nostre capacità d’Osservazione/Ascolto.

(C) I processi d’Interpretazione, Valutazione o Comprensione che dir si voglia sono la mera conseguenza di ciò (approfondiremo in seguito l’argomento): vi è necessariamente da aggiungere che, al fine di una corretta valutazione bisogna tenere in conto la possibilità che le informazioni ottenute e possedute in un determinato momento della Relazione possono rivelarsi insufficienti, incomplete, lacunose, non del tutto accertate o confermate dai dati e per tale motivo non è solo ragionevole ma teoricamente, eticamente ed infine professionalmente obbligatorio mantenere una quantomeno provvisoria sospensione del giudizio, segnata in schema con (?).

(D) I processi sopraccennati determinano la successiva Azione o Intervento che dir si voglia.

Le dimensioni basilari dello sviluppo umano e del processo d’aiuto sono di Rispondere ai Bisogni unite alla Capacità d’Iniziativa: gli obiettivi della RDA, come di ogni Relazione sono: (a) conoscere la direzione dell’intervento; (b) dare sicurezza alla persona; (c) offrire la possibilità di poter acquisire nuovi comportamenti.

Definite le Fasi della RDA all’interno di una Relazione Comunicativa, vedremo ora come esse possano essere utilizzate proficuamente nell’analisi di un Caso Clinico; come possano orientarci pragmaticamte nel cercare di affrontare in modo esaustivo un caso o meglio come rapportarci ad un paziente/persona e quindi in sostanza come attuare un’efficace RDA.

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Domande di ripasso

1) Quante e quali sono le FASI della RDA?2) Saresti in grado di spiegarle in dettaglio?3) Perché le utilizziamo?4) Quando le utilizziamo?5) Vi sono degli organi di senso coinvolti? Pensa ad un esempio!6) In una RDA, le quattro fasi si presentano una sola volta? Spiega la tua risposta!

Esercitazione

1) Pensa ad un esempio della tua vita privata in cui vi è la presenza delle FASI.2) Inventa un esempio o prendilo a prestito dalla tua professione oppure dal Tirocinio,

in cui è possibile rintracciare il modello delle Fasi, proposto in questo capitolo.

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(4)

Un Caso clinico.

In questo capitolo prenderemo in esame un caso tra gli infiniti che vi sono: il caso scelto riguarda l’ambito anziani per il semplice motivo che esso può interessare ad una molteplicità di operatori che si troveranno ad affrontare nei tirocini e/o nella professione tematiche simili.

Da aggiungere che ciò che ci interessa è puntare l’attenzione sul metodo utilizzato in modo da coglierne l’applicabilità (si spera) anche in altri ambiti operativi (handicap, minori, alcolisti, ecc.).

Il caso della signora Annamaria.

Lavorate da alcuni mesi in un SAD, dove tra l’altro seguite la sig.ra Annamaria, che in seguito ad una grave caduta non riesce più a svolgere le consuete mansioni.La sig.ra che ha 85 anni, vive col figlio Giorgio, che, nell’ultimo anno per motivi professionali è fuori casa dalla mattina alla sera e talvolta per più giorni consecutivamente.Un’altra figlia, Enrica passa una volta al dì e così pure un secondo figlio, Marco.Annamaria si lamenta solo raramente, però di recente è diventata più svogliata ed ha attenuato i suoi interessi. Fino a poco tempo fa si faceva da mangiare da sola, anche se i figli a turno le facevano la spesa.Inoltre, pur se accompagnata, usciva a fare delle brevi passeggiate.

Si chiede:

1) Che idea vi siete fatti/e della situazione complessiva unicamente in base ai dati forniti dal testo? (Interpretazione)

2) Quali informazioni vorreste avere, in quali ambiti, perché e come fareste per ottenerle?………… (Raccolta informazioni)

3) Eventualmente cosa vorreste osservare, per quali motivi ed in quali ambiti? (Osservazione)

4) Descrivete il vostro intervento motivando le priorità. (Azione/Intervento)

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Proviamo ad affrontare questo caso, anche se non in modo totalmente esaustivo, ma cercando di individuare perlomeno gli aspetti principali richiesti dalle domande.

1) Quello che possiamo immaginare è che per la sig.ra Annamaria la caduta con la conseguente riduzione nel numero delle “consuete mansioni” - e, possiamo sospettare anche nella loro qualità - possa avere delle conseguenze nell’area emotiva, nella sua immagine di donna autosufficiente e quindi nella sua identità di persona “tout court”, che a questo punto della sua vita potrebbe aver bisogno dell’aiuto altrui e quindi può venir minata l’area dell’autonomia.

Un altro fatto che può incidere negativamente è l’assenza del figlio Giorgio da un anno a questa parte, per quanto riguarda l’arco della giornata e non solo; possiamo ipotizzare che la presenza del figlio abbia svolto un ruolo tranquillizzante nei suoi confronti, di presenza anche invisibile e che ora, in un momento di particolare difficoltà questa riduzione della presenza possa costituire una sicurezza interiore ridotta.

Possiamo sempre ipotizzare, in base ai dati e comunque da verificare in seguito che, il fatto che gli altri due figli passino a trovarla, possa costituire un ulteriore momento di sicurezza, tutela da parte dei familiari: essi, in questo modo possono trasmetterle il sentimento di essere amata, che in fondo costituisce il nocciolo del vivere: cioè il fatto di essere importanti per qualcuno di significativo per noi.

Dai dati emerge un rallentamento/caduta di interessi: “è diventata più svogliata…ha attenuato i suoi interessi” ed attività “…si faceva da mangiare da sola”.

Anche dal punto di vista motorio vi è un calo/riduzione “…usciva a fare brevi passeggiate, pur se accompagnata”, nel testo si parla ora utilizzando il passato: “si faceva da mangiare…usciva…”. Pur in presenza di aiuto (“usciva”) ora ha ridotto le attività. Emerge quindi un quadro complessivo sia dal punto di vista delle capacità motorie, fisiche che rispetto all’area psicologica, nei suoi aspetti sia cognitivi che emotivi, una riduzione dell’area di vita e movimento. Uno psicologo e non solo esso può senz’altro intravvedere un quadro con elementi depressivi, che sono senza dubbio da approfondire ma che già molto dicono…

2) Nell’area della raccolta informazioni potremmo partire elencando in modo casuale le informazioni che riteniamo sia importante avere, per meglio progettare l’intervento, così come ci vengono alla mente. Questo modo di procedere ha il pregio di non mettere censure alla nostra creatività operativa, in una sorta di brain-storming (si veda in Allegati a pag. 58-59), ma ha anche il suo limite nella possibilità di trascurare delle aree d’indagine, senza avere la consapevolezza d’averlo fatto.

Una modalità complementare alla precedente è quella di individuare in anticipo una serie di aree d’indagine all’interno delle quali porre le domande o le informazioni che vorremmo avere. Le aree dovrebbero avere la caratteristica di essere comprensive ed esaustive ed il titolo di ogni area dovrebbe rispecchiare questa necessità: i nomi che vi diamo poco sotto vogliono avere questa peculiarità. Nel caso o nel momento in cui ciò non dovesse accadere è nostro compito individuare altre aree i cui singoli titoli ci siano comodi operativamente. I titoli delle aree, che altro non sono che sintetici modelli teorici hanno l’unico scopo di orientarci nella prassi, di essere comodi e pratici, come delle scarpe: finche ci sono utili e ci servono le utilizziamo, altrimenti le gettiamo o le mettiamo da parte.

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Proviamo ora ad elencare le principali aree ribadendo quanto già detto prima e cioè che anche le definizioni linguistiche vengono utilizzate finchè esse ci sembrano chiare e utili: se ciò non accade possono essere tralasciate per altre.

Un area che teniamo in considerazione è quella che possiamo definire MEDICA (M): (a) in riferiimento a questo caso potremo voler sapere quali sono attualmente per la sig.ra Annamaria le conseguenze fisiche della caduta, se vi sono state delle conseguenze in termini di fratture o comunque se vi sono state delle conseguenze funzionali in termini di ridotte capacità deambulatorie; quale sia la qualità delle stesse; se è avvenuta una riduzione nei tempi di movimento (per quanto tempo si muove), ecc.; (b) se la sig.ra soffre di altre patologie, con quali conseguenze; (c) se assume farmaci, quali, quando, se è autonoma nella somministrazione; se rispetta i tempi della somministrazione; (d) potremmo chiederci, data la presenza di elementi depressivi, se è in cura per questo motivo, da chi ed eventualmente da quanto tempo; (e) inoltre potrebbe essere importante saper se le conseguenze della caduta si ritiene che possano essere permanenti oppure no.

Un’altra area è quella che si può definire PSICOLOGICA (P): in essa vi possono stare una serie di valutazioni inerenti (a) le capacità cognitive (memoria a lungo e breve termine, tempi di attenzione suddivisi per compiti svolti, ecc.); (b) gli aspetti emotivi e di autopercezione della paziente: sarebbe opportuno che queste valutazioni fossero formulate da professionisti o quantomeno che chi compila la scheda lo faccia formulando valutazioni su base descrittiva e comportamentale; (c) come mai la sig.ra Annamaria si lamenta raramente?: per suo carattere o perché ne ravvisa l’inutilità e/o per mancanza di risposte pertinenti da parte di familiari e/o altre persone?

Un’altra area può essere quella delle RELAZIONI FAMILIARI (Area famiglia) (RF): dove ci possono interessare le seguenti informazioni: (a) la figlia Enrica quando viene a trovare la madre lo fa per “dovere filiale” o vi è effettivamente un interesse – facendo un gioco di parole – affettivo, profondo verso di essa, una vera attenzione filiale.

Quest’informazione ci è utile per valutare la qualità della relazione madre/figlia e “quanto” la madre riceve in termini di attenzione/affetto, ciò vale ovviamente anche per il rapporto con il figlio Marco; (b) i figli quando vengono a trovare la madre svolgono qualche mansione domestica per lei o assieme a lei?; (c) quanto tempo rimangono?; (d) fanno qualche attività con lei, tipo guardare la TV, leggere e/o commentare i giornali, escono assieme, parlano?: se sì di quali argomenti; (e) vi è collaborazione tra figli o in altri termini vi è tra loro ripartizione dei compiti o comunque fattiva ed efficace collaborazione? (f) vi sono altri parenti che vengono a trovarla o le telefonano o è lei stessa che lo fa; (g) eventuali parenti sono di linea diretta o da parte del marito? (h) come sono i rapporti con questi parenti, qual è la loro qualità e frequenza?; (i) ultimo e non per importanza: nel testo non si parla del marito: è ancora vivente e se sì quali sono i loro rapporti, dove vive,ecc.; (l) se dovesse essere deceduto, da quanto tempo, se vi sono ancora effetti significativi di tipo negativo sul suo comportamento; (m) inoltre, stavamo dimenticando, è opportuno sapere come sono i rapporti col figlio convivente, Giorgio, anche nei termini di aiuto concreto che questi eventualmente dà alla madre.

Un'altra area che può rivestire una notevole importanza nella vita di un utente è quella delle RELAZIONI SOCIALI (Area sociale) (RS): in quest’area possono starci ad esempio le seguenti richieste di notizie: (a) la sig.ra Annamaria ha delle amicizie?; (b)

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si vedono, con quale frequenza, dove , cosa fanno, si sentono solo al telefono, ecc.: queste informazioni ci sono utili per avere una reale valutazione della vita sociale della sig.ra Annamaria:sappiamo quanto importante sia una vita di relazione e la qualità della medesima; il sapere inoltre dove si vedono può darci indicazioni rispetto alle capacità motorie della sig.ra: se essa può percorrere o meno tale tragitto,ecc.; (c) può essere importante sapere se all’interno del condominio vi siano delle persone con le quali abbia stabilito un particolare rapporto, se vi è la disponibilità da parte di esse all’aiuto ed eventualmente attraverso quali modalità e tempi e, comunque, a prescindere dall’aiuto se vi sono interessi comuni, consuetudini,ecc.

Un’altra area che riveste un importante ruolo è quella che possiamo definire AMBIENTE (A):

la si può ulteriormente suddividere in ambiente interno (AI) ed esterno (AE): (a) nel primo è opportuno sapere se vi sono all’interno dell’ambiente domestico oggetti che possano ostacolare la deambulazione come tappeti, scalini tra una stanza e l’altra ed anche ad esempio (b) se vi è una vasca da bagno piuttosto che la doccia, se la prima possiede una sedia d’appoggio, se la seconda ha un tappeto antisdrucciolo, ecc. Nel secondo (AE) può essere importante sapere se (c) l’abitazione è in periferia piuttosto che in centro, (d) se vi sono negozi nelle vicinanze, (e) se questi ultimi possono essere raggiunti dall’utente compatibilmente con le sue condizioni fisiche, (f) se lei lo desidera?; (g) se vi sono dei centri di ritrovo, se vi è qualche luogo che la sig.ra Annamaria prima frequentava abitualmente, ad esempio bar o altro, (h) se in questi luoghi vi erano delle persone con le quali aveva stretto particolari rapporti, (i) se vi sono dei giardini che frequentava?

Un’altra area riguarda gli INTERESSI – HOBBY - ABITUDINI (IHA):

è ovviamente importante/fondamentale non trascurare questo aspetto. La persona anziana ha molto “tempo libero” che spesso può diventare “tempo vuoto”, privo di significati o meglio con significati di vuoto, depressivi, di mancanza di senso o di riduzione di senso; il “coltivare interessi” o da parte dell’operatore essere stimolatore è un compito non trascurabile. Quindi il sapere ad esempio se (a) guarda la TV, quali programmi; (b) se legge, che cosa, quando,ecc. forse non è il caso della sig.ra Annamaria o forse sì, ma può succedere che un paziente trascuri, perda delle abitudini e, solo attraverso una consapevole ed amorevole stimolazione da parte dell’operatore esse possano essere riprese e far sì che possano dare nuovamente senso alla sua vita: ciò è particolarmente vero nel caso di pazienti ad esempio che hanno ridotte capacità visive o di concentrazione: in questi casi l’operatore, conoscendo orari di programmi televisivi o letture preferite può svolgere un importante ruolo sostitutivo e/o stimolativo; (c) perché ad esempio la sig.ra Annamaria ha attenuato i suoi interessi?; (d) perché non esce, neppure accompagnata, a fare brevi passeggiate?

Certe volte si può considerare, optare per la scelta di un’area che possiamo definire dell’AUTONOMIA (A):

in quest’area - che in parte ne sostituisce in qualche aspetto altre già enumerate – si possono inserire

(a) la capacità di alimentarsi, scomposta nell’uso di quali posate, con quale velocità, precisione;

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(b) la capacità di lavarsi, suddivisa in quali parti del corpo, come, in quanto tempo;

(c) la capacità di vestirsi, scomposta in tempi, precisione, quali indumenti, quali parti del corpo; (d) la capacità di camminare: come, per quanto tempo; (e) la capacità di comunicare: il grado di precisione/accuratezza/chiarezza, i tempi.

Come si può vedere, il conoscere queste informazioni e forse altre ancora può contribuire ad avere un quadro a tutto tondo dell’utente e ci può facilitare nell’intervento: le modalità di raccolta dipenderanno e varieranno da caso a caso.

Sarebbe preferibile avere già in fase pre-intervento un quadro complessivo e, comunque, la precedente suddivisione per aree e relative domande/risposte è da tener presente durante l’intervento medesimo, per completare in itinere, se necessario, i dati mancanti.

3) Molto succintamente e senza ripeterci – dato che abbiamo sviluppato abbastanza ampiamente il punto (2), in questa parte è opportuno osservare in dettaglio, in sequenza ed “in vivo” quanto richiesto nella raccolta informazioni: cioè negli ambiti dove è possibile: ad esempio può essere opportuno e pertinente osservare le modalità relazionali dei figli con Annamaria, mentre è ovviamente più difficile, se non impossibile osservare la collaborazione o le interazioni tra figli se queste non avvengono in casa di fronte all’operatore e quindi risultano non osservabili.

In concreto l’osservazione ci permette di confermare o meno i dati raccolti precedentemente, di raccogliere le informazioni di prima mano nel caso non ve ne fossero e comunque di unire idee e realtà. In genere un’accurata osservazione ha un grado di precisione nell’analisi dei dettagli che una descrizione scritta non ha.

4) Come traccia di intervento - fermo restando quanto affermato sull’importanza del conoscere la situazione inerente l’area medica – se come operatori ci troviamo catapultati in una situazione domiciliare, con in possesso unicamente le informazioni del testo, è importante - fatta la presentazione di sé, del proprio ruolo – poter instaurare una relazione di fiducia con la sig.ra Annamaria in modo da poter affrontare il tema inerente i motivi, secondo lei, della svogliatezza e dell’attenuazione rispetto ai suoi interessi.

Vi è da dire che rispetto ad uno svolgimento scritto non è così facile in questo caso descrivere un intervento basato sulla Relazione, che per sua natura è impregnata di aspetti non-verbali e paraverbali (si veda più avanti a pag.31 e pag.60): senza dubbio “indagare” o meglio esplorare con l’utente stessa i motivi che hanno richiesto l’intervento del SAD può configurarsi non solo come una semplice “raccolta informazioni” - bensì, se sostenuto da effettivo interesse per la persona, da accettazione della stessa, da comprensione empatica e disponibilità – come intervento a tutti gli effetti.

E’ ovvio che se nella descrizione del caso fossero state indicate informazioni di maggior dettaglio, sia in Area medica che psicologica come nelle altre aree, l’intervento e le relative priorità sarebbero state più evidenti ed immediate.

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Una nota da aggiungere è la seguente: il caso sopra analizzato è un caso scritto, analizzato ”a freddo”, con una fase pre-intervento di (a) raccolta informazioni, una fase di (b) osservazione/ascolto, una fase (c) interpretativa ed infine la fase (d) dell’intervento.Nella realtà quotidiana in cui la RDA si attua col paziente, “a caldo”, le varie fasi sono ugualmente proponibili come modello entro il quale muoversi: hanno una finalità pragmatica.

E’ come avere una bussola, la cui finalità è quella di orientare momento per momento, è cioè quella di fornire la rotta attimo per attimo: perché ci possa essere utile ci vuole però un requisito minimo fondamentale: dobbiamo guardarla; in altri termini un’efficace RDA perché sia tale richiede che il marinaio di turno, l’operatore di turno focalizzi la sua attenzione interna sugli aspetti sopradescritti, veda il modello di riferimento fornitogli e lo confronti con la realtà di quel momento/istante e dall’osservazione di quella realtà passi al modello interno.

In questo modo andiamo a toccare un altro aspetto/obiettivo fondamentale della RDA e cioè quello che riguarda l’AUTOESPLORAZIONE, che sarà il tema del prossimo capitolo.

Domande di ripasso.

1) Quali sono le “aree” che è opportuno considerare nella raccolta informazioni?

2) Se ne possono aggiungere altre? Quali?

3) Saresti in grado di spiegare quali sono gli elementi, gli aspetti principali da considerare in ogni area?

4) L’Osservazione/Ascolto in cosa eventualmente si differenzia dalla “ Raccolta Informazioni”?

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Esercitazione

CASO

1) Leggi il seguente Caso e sviluppalo secondo il modello proposto in questo capitolo. (E’ ovviamente possibile integrare il modello proposto).

Il signor Carlo ha 78 anni e vive con la moglie Enrica, che è costretta, per muoversi in casa, ad utilizzare una carrozzina.La coppia è assistita quotidianamente da due operatrici a domicilio, che provvedono a svolgere qualche lavoro di casa, a fare la spesa, ad occuparsi dell’igiene della signora. Le due operatrici si trovano però a dover affrontare il problema che le spondine della carrozzina non si riescono a togliere: quindi diventa difficile – dato il peso della signora – spostarla e metterla nella vasca da bagno. Hanno segnalato il fatto al marito, ma quest’ultimo ha detto che sua moglie non ha diritto ad un’altra carrozzina e successivamente hanno comunicato alla propria Responsabile che non avrebbero più fatto il bagno alla signora, perché diventava estremamente difficile fare lo spostamento ed inoltre il peso della signora comportava loro grosse difficoltà e dolori alla schiena. La Responsabile ha acconsentito a questa modifica nel trattamento: vi è inoltre da considerare il fatto che il marito si era assunto l’onere del bagno della signora Enrica.Le due operatrici però si trovano a notare, in seguito, che sul corpo della signora vi sono spesso dei lividi, segno di probabili cadute: chiedono al marito, che dice di non saperne il motivo, comunicano ciò alla propria responsabile durante le riunioni d’equipe, però non succede nulla.

Analizzate il caso secondo lo Schema della RDA.

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(5)

L’Autoesplorazione e l’Autovalutazione.

L’autoesplorazione, tema con il quale abbiamo terminato il precedente capitolo ha a che fare con quello che è il tema più generale dell’ascolto, di cui ci occuperemo più avanti: in questo caso l’Autoascolto.

Anche se il termine “Relazione d’aiuto” rimanda dal punto di vista linguistico ad un qualcosa di esterno, ad un’azione rivolta unidirezionalmente verso qualcun altro, se così fosse sarebbe assolutamente fuorviante.

Perché vi sia effettiva relazione d’aiuto è importante che l’Operatore/trice abbia la consapevolezza che in ogni istante vi sono sempre due soggetti presenti, che si muovono in un contesto, anche se apparentemente immobili; questi due soggetti sono l’operatore o helpher, per dirla con Carkhuff e l’helpee, il paziente o l’altra persona che dir si voglia: la relazione è costituita in ogni istante tra ciò che l’helpee comunica con parole, gesti, silenzi ed i pensieri, emozioni, sensazioni che l’helpher ne riceve.

E’ quindi assolutamente fondamentale, è la “conditio sine qua non” che l’operatore abbia la consapevolezza, punto per punto, attimo per attimo dei PROPRI PENSIERI ed EMOZIONI, fossero pure i più negativi possibili, autosvalutativi o allosvalutativi.

Non perché ciò sia giusto ed auspicabile, ma perché solo in questa maniera, avendone consapevolezza è possibile farvi fronte, lavorarci ed eventualmente ed auspicabilmente migliorare questi aspetti.

Dicevamo prima che l’Autoesplorazione ha a che fare con l’Ascolto: sappiamo infatti che vi è la velocità d’espressione che può raggiungere le 100/150 parole al minuto e la velocità del pensiero che può arrivare alle 400/500 parole al minuto (vedi pag.54).

Ciò ci dà l’idea dell’importanza del porre l’attenzione (Autoesplorazione) anche e “quasi contemporaneamente” sui propri processi interni, per riflettere sul contenuto e per cercare il significato (Autovalutazione) che la relazione con l’Altro ha su di noi, attimo per attimo: da ciò dipende la qualità della relazione medesima.

Come si diceva all’inizio del capitolo, l’Autosservazione ha a che vedere con l’attenzione rivolta al proprio Sé interno, è rivolta ad un Ascolto interno: è proprio di questo tema che ci occuperemo nel prossimo capitolo.

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Domande di ripasso

1) Di cosa è importante che l’Helpher abbia consapevolezza nelle relazioni interpersonali?

2) Quale può essere la velocità d’espressione?

3) …e la velocità del pensiero?

Esercitazione

1) Descrivi un dialogo (anche di poche battute) che ti è capitato di avere o alternativamente descrivi uno scambio comunicativo che puoi decidere di fare per scopi didattici con un tuo amico, conoscente o altri e stai attento/a ai tuoi pensieri e stati d’animo durante il dialogo medesimo.

2) Successivamente fai un’analisi di ciò che è successo.

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(6)

Le Credenze Irrazionali.

Il titolo del capitolo rimanda necessariamente al fatto che – ovviamente – oltre alle Credenze Irrazionali vi siano anche delle Credenze Razionali. (Si vedano gli allegati in fondo alla dispensa). Vediamo di cosa si tratta.

Il termine Credenza che deriva da Credere, rimanda ad un processo che avviene nella nostra testa: “il mondo in cui viviamo comincia nella nostra testa. E’ il modo in cui percepiamo, interpretiamo, valutiamo e immaginiamo che modella il nostro mondo. Gli psicologi hanno usato vari termini per riferirsi a questo meccanismo interiore. I più utilizzati tra questi termini sono: processi cognitivi, dialogo interno, sistema di convinzioni. (M.Di Piero, “L’educazione razionale-emotiva”, Erickson, 1992).

Come accennavamo poco sopra vi è un PENSIERO RAZIONALE che può esprimere preoccupazione adeguata e percezione adeguata della realtà ed un PENSIERO IRRAZIONALE che può esprimere eccessiva preoccupazione e percezione inadeguata della realtà.

Il tema delle Credenze Razionali ed Irrazionali rimanda ad un fatto: alla difficoltà ad individuare ciò che pensiamo in certe situazioni, in quanto i nostri pensieri sono diventati automatici ed anche dal punto di vista quantitativo (v. pag.15), mentre le nostre parole possono raggiungere la velocità di 100/150 al minuto, i nostri pensieri possono viaggiare a 400/500 parole minuto. È quindi ovvio la difficoltà a fare un FERMO IMMAGINE o FERMO PAROLE e riflettere.

In pratica certi modi di pensare sono per noi così frequenti che sono ormai diventati abituali e quindi possono sfuggire alla nostra consapevolezza.

Per parlare di CREDENZE IRRAZIONALI (CI) bisogna far riferimento ad una nucleo composto da tre fattori:

1) L’evento attivante : è ciò che succede e dal quale ha inizio la CI;2) La base mentale : è l’insieme di pensieri su ciò che è successo; è il nostro

commento interiore, che può essere RAZIONALE oppure IRRAZIONALE;3) Le conseguenze emotive : sono i sentimenti causati dal punto (2).

Vedremo ora le Categorie principali di Pensieri Irrazionali, come sopra tratte da M. Di Piero.

Aggiungiamo che non riteniamo sufficiente la consapevolezza dei nostri processi cognitivi per modificare i medesimi, nel caso non ci piacessero o fossero fonte di disagio: ad esempio l’eccesso di preoccupazione per un esame: come abbiamo detto vi è sempre e comunque una componente emozionale nelle nostre credenze: i processi di cambiamento sono un po’ più complessi e coinvolgono la persona nella sua totalità: ciò verrà sviluppato e chiarito in aula.

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CATEGORIE PRINCIPALI DI PENSIERI IRRAZIONALI

1. “ Doverizzazione” o uso assolutistico del verbo dovere

Consistono nel ritenere che “le cose devono andare assolutamente così”, che “gli altri devono comportarsi assolutamente in un certo modo”, che “ io devo assolutamente avere quello che voglio”. L’errore sta appunto nel considerare un’esigenza assoluta ciò che nella maggior parte dei casi sarebbe solo obiettivamente preferibile.

2. Espressioni di insopportabilità, intolleranza

Consistono in pensieri del tipo “Non lo sopporto…”, “Non tollero che…”, “E’ insopportabile…”. Sono forme di esagerazione attraverso le quali l’aspetto sgradevole di un evento o do una persona viene ingigantito, determinando un atteggiamento di rabbia o di esitamento.

3. Valutazioni globali su se stessi e sugli altri

In questo caso l’irrazionalità consiste nel giudicare una persona nella sua globalità partendo da uno solo o da pochi comportamenti osservati. Inoltre, il comportamento di una persone viene spesso erroneamente equiparato alla persona stessa (“Hai fatto una cosa stupida, quindi sei uno stupido”). Questo errore nel modo di pensare porta a far uso di etichette che esprimono valutazioni globali tipo “Incapace”, “Stupido”, “Carogna”.Tali attributi possono essere pensati riguardo agli altri oppure possono essere rivolti a se stessi. Quando sono riferiti agli altri quessti pensieri fanno maser nei loro confronti un sentimento di ostilità o di rifiuto, se riferiti a se stessi determinano disistima e sconforto.

4. Pensieri catastrofizzanti

Consistono nel considerare il verificarsi di certe cose come un evento “Terribile”, “Orrendo”, quando obiettivamente sarebbe solo spiacevole o fastidioso. Spesso si tratta di pensieri che anticipano in modo esageratamente negativo eventi futuri, provocando quindi reazioni di ansia intensa.

5. Indispensabilità, bisogni assoluti

Con esistono in affermazioni che trasformano in bisogno assoluto ciò che obiettivamente sarebbe solo preferibile. Prendono forma spesso in pensieri del tipo “Non posso rinunciare a…”, “Ho assolutamente bisogno di…”, Non posso fare a meno di…”. Le conseguenze emotive di questo modo di pensare possono essere ansia, depressione, ostilità.

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Esercitazione

1) Individua tra le Credenze Irrazionali descritte negli allegati alcune che ritieni facciano parte – almeno attualmente o sporadicamente – intervengano nel tuo sistema cognitivo.

2) Questo esercizio può essere utilizzato, ad esempio, in qualche occasione durante il Tirocinio.

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(7)

L’Ascolto.

Il tema in oggetto è molto vasto, molto ne è stato scritto e di molto interessante (vedasi bibliografia per i riferimenti): qui toccheremo alcuni punti che riteniamo importanti.I caratteri grafici che formano il verbo cinese Ascoltare comprendono i seguenti elementi: Orecchio, Occhi, Tu, Attenzione unitaria, Cuore. (vedi pag.66).

Si capisce come vengano qui individuati gli elementi costituenti l’ASCOLTO: l’organo dell’ascolto per antonomasia: l’orecchio; gli occhi attraverso i quali trasmettiamo il nostro interesse per l’Altro e quindi la nostra disponibilità all’Ascolto, che in italiano ha un significato che non è ristretto all’anatomia ed alla fisiologia dell’orecchio e quindi dell’udito, ma ha un significato più largo, di Attenzione all’Altro; il Tu rimanda alla direzione del nostro ascolto, al nostro interlocutore. L’usare tra l’altro il Tu rispetto a termini quali Essi o Altri rimanda ad un concetto di individualizzazione dell’Ascolto, alla sua unicità: ogni relazione d’ascolto dovrebbe , per essere autentica, essere unica; il concetto di Attenzione unitaria ci dice che è tutto il nostro essere che è coinvolto nell’Ascolto; a tutto ciò ha da essere aggiunto il Cuore: può sembrare un valore aggiunto, poco professionale, poco scientifico, poco estraniante come talvolta o spesso viene insegnato, il pseudo-Distacco professionale, in cui si salvaguarda solo il non coinvolgimento dell’operatore, che trova così pure una giustificazione “scientifica” al proprio distacco e alla propria estraneità. Si confondono due aspetti fondamentali del procedere scientifico e due caratteristiche fondamentali di ogni Relazione d’aiuto: perché si possano definire tali ci vuole prima di tutto un significativo coinvolgimento emotivo, accompagnato da una continua analisi autoriflessiva sulle proprie modalità comunicazionali e relazionali in genere, come abbiamo visto nel capitolo precedente.

Definiamo ora alcuni aspetti che caratterizzano un ascolto attivo e partecipato, unica maniera perché possa essere percepito come tale anche dal paziente o dall’Altro in generale.Lo schema sintetico di quanto illustreremo ora si trova più avanti negli Allegati.

Nell’Ascolto intervengono diversi elementi, di cui solo l’ascoltatore può avere consapevolezza: è necessario quindi:

(a) avere un motivo, anche inconsapevole, per ascoltare;

(b) è importante concentrarsi sull’Altro e avere coscienza di quando ciò non succede: noi comunque comunichiamo all’Altro in modo non-verbale, attraverso una continua ed infinita seria di microsegnali la nostra mancanza di concentrazione o la nostra concentrazione intermittente: come suggerimento viene da dare quello che viene fornito nei corsi di Training autogeno o di meditazione trascendentale e cioè, quando ci si accorge di aver perso la concentrazione sul tema, di riprendere tranquillamente la direzione originaria;

(c) resistere alle distrazioni: sguardi, rumori, persone; si collega a quanto detto prima: da un lato è normale che delle distrazioni vi siano, dall’altro se la loro quantità dovesserisultare eccessiva, la ricaduta/messaggio all’Altro è quella di scarso interesse da parte nostra;

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(d) ascoltare il tono della voce: come vedremo più avanti il tono fa parte degli indicatori paralinguistici o paraverbali e può dare indicazioni sulle valenze emotive del messaggio oltre che del rapporto che vi è in quel momento tra chi sta parlando e chi, in quel momento sta ascoltando (emittente e ricevente);

(e) ricordare i temi ricorrenti, per quanto essi possano essere talvolta fastidiosi, noiosi, apparentemente non pertinenti o altro ancora, comunque ci dicono qualcosa sul nostro interlocutore: sta a noi decifrare o quantomeno provare a decifrare tali messaggi; può pure succedere che ciò accada fuori dall’orario di servizio: anche se sarebbe auspicabile non avere/non portarsi compiti a casa, se comunque tali temi ricorrono vuol dire che hanno un significato: forse vale la pena metterci le mani. A titolo d’esempio l’anziano che in casa di riposo dice spesso che “nessuno mi viene mai a trovare…nessuno mi vuole bene”, anche se ciò non corrisponde all’effettiva realtà può essere indice comunque di una percezione da parte sua in tal senso o forse anche e/o complementarmente una richiesta di maggiore attenzione…appunto!!!; (f) ricordare le espressioni si aggancia a quanto detto poco sopra: il fatto che improvvisamente, senza significato apparente ci vengano alla memoria espressioni, verbali e/o visive, sta a significare che qualcosa che magari non ci è ancora chiaro ci ha colpito: è in fondo una sensibilità percettiva che abbiamo,…non trascuriamola;

(g) valutare costituisce una caratteristica continua nelle nostre interazioni: è importante cercare di mantenere un atteggiamento avalutativo, non giudicante ed allo stesso tempo essere consapevoli dei nostri valori, della scala che essi hanno nel nostro agire: è questo un tema che riprenderemo quando tratteremo degli aspetti etici nella RDA;

(h) avere pregiudizi come si diceva pocanzi costituisce un freno ad una RDA che voglia costituirsi come tale: la consapevolezza della loro presenza nel nostro sistema di valori e la volontà di affrontarli fa sì che la direzione della RDA, in certi momenti prenda direzioni generative di rapporto e di cambiamento piuttosto che il contrario;

(i)manipolare, cioè indirizzare in modo direttivo pensieri ed azioni altrui costituisce un intervento a cui è preferibile sostituire modalità relazionali dove si lavori all’Autoconsapevolezza da parte dell’utente sul proprio sistema di valori, sui motivi che caratterizzano la propria azione o inanità;

(l) saltare alle conclusioni è indice di poco ascolto e disponibilità, di una fretta operativa che non ricerca sintonie con l’Altro e, come si dice, non ne rispetta i tempi: si dice nel linguaggio comune “essere in sintonia” per definire una relazione nella sua unicità dove i due interlocutori, anche se con ruoli differenti, condividono uno spazio non solo fisico, ma emotivo, cognitivo;

(m) interrompere costituisce un altro aspetto che determina una frammentazione della relazione ed una riduzione dell’efficacia dell’ascolto: è quindi da valutarne l’opportunità ed il momento nel quale è opportuno rispondere e considerare se è importante o se risponde unicamente a bisogni o difficoltà proprie; (n) velocità di pensiero: precedentemente si parlava della differenza tra velocità d’esposizione verbale (100/150 parole/minuto) e velocità di pensiero (400/500 parole/minuto): il fatto che noi continuiamo a pensare anche quando ascoltiamo l’Altro ci deve indurre, ancora una volta, a tenere “a memoria” un fatto fondamentale.

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I nostri pensieri “interferiscono” con l’ascolto o perlomeno richiedono la capacità di alternarsi velocemente tra il proprio sistema di pensieri e quello dell’Altro;

(o) sentimenti dell’Ascoltatore arrivano attraverso micromovimenti del viso, degli occhi, della muscolatura, ecc.: vale anche qui quanto già detto sull’importanza della propria autoconsapevolezza;

(p) l’ascoltatore dovrebbe cercare i punti principali di ciò che l’interlocutore dice, ascoltando oltre le parole stesse, per capirne il vero significato;

(q) l’ascoltatore dovrebbe parafrasare con parole sue il significato e la sensazione di ciò che l’Altro dice, finche questi è soddisfatto.

Illustrato sinteticamente lo schema da tener presente nell’Ascolto, vi è da aggiungere che ovviamente per affinare le proprie capacità d’ascolto oltre alla conoscenza del modello ci vuole esercizio, capacità critiche ed autocritiche, sensibilità percettiva, desiderio di migliorare le proprie capacità, riconoscimento dei propri aspetti deboli e quantaltro, tra cui il feed-back altrui sui nostri modi di operare: il cammino è perlomeno ricco di spunti; vi è da dire che questo cammino professionale nell’area dell’ascolto e delle capacità d’aiuto coincide con aspetti automigliorativi di tipo personale applicabili in ambito comunicazionale e relazionale tout-court.Il quadro appena fornito è uno spunto iniziale: su questo tema come già detto all’inizio vi è una bibliografia ricca, interessante e stimolante.

Aggiungiamo qui le sette regole dell’Arte di Ascoltare, secondo lo schema di M. Sclavi ( v. bibliog. (10): pag.121).

1) Non avere fretta di arrivare alle conclusioni…;

2) Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista;

3) Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva;

4) Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali, se sai comprendere il loro linguaggio…;

5) Un buon ascoltatore…I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti, perché incongruenti con le proprie certezze;

6) Un buon ascoltatore…Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo…: la gestione creativa dei conflitti;

7) …arte di ascoltare…metodologia umoristica…Ma quando hai imparato ad ascoltare l’umorismo viene da sé.

Ritengo che le capacità d’Ascolto, rispetto allo schema RDA, possono configurarsi, a tutti gli effetti come intervento: nella realtà credo che sia successo a tutti, almeno qualche volta

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che un amico/conoscente ci parlasse di un tema/problema ed alla fine, senza che noi commentassimo o aggiungessimo alcunché, ci sentissimo ringraziare e vedessimo effettivamente l’interlocutore con un qualcosa di cambiato, come se qualcosa fosse successo nel suo schema cognitivo-emozionale: probabilmente si può commentare “basta poco”, ma quel poco ha da esserci: ovviamente qui si parla non della quantità ma della qualità della relazione, dove anche i silenzi svolgono un ruolo di peso: ne riparleremo; parafrasando un detto pseudomaschilsta dove si dice: “le donne non dicono mai niente, ma lo dicono così bene”, si potrebbe dire: “l’operatore/trice può anche non dire nulla con le parole, ma attraverso fili invisibili di luce trasmettere il proprio desiderio, la propria volontà di aiutare l’Altro…e farlo bene”.Nel prossimo capitolo cercheremo di metterci dal punto di vista dell’ helpee, dei suoi desideri, aspettative, timori.

Domande di ripasso

1) Elenca alcuni degli elementi che intervengono nel processo d’Ascolto.2) Elenca alcuni elementi che lo facilitano.3) Elenca alcuni aspetti che interferiscono con un buon Ascolto.4) Prova a verificare se riesci a ricordare le Sette Regole dell’arte di Ascoltare

secondo lo schema di Marianella Sclavi?

Esercitazione

1) Come nell’Esercitazione del capitolo (5) descrivi un breve dialogo che ti capiterà di avere o che deciderai di fare.

2) Analizza il tutto secondo i punti descritti in questo capitolo (a-n).

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Desideri, aspettative, timori dell’Helpee

Abbiamo parlato nel capitolo precedente dell’Ascolto, cioè di cosa l’helpher ha da fare, considerare, temere al fine di instaurare e mantenere una significativa RDA.

Proviamo a metterci ora dal punto di vista dell’helpee, ad analizzare, seppur sinteticamente, quelli che possono essere i suoi timori, aspettative, desideri.

Carkhuff sostiene che ogni persona che ha bisogno d’aiuto si domanda in realtà, riferendosi all’Altro:

• “ Riuscirà a sentirmi chiaramente?” ;

In altre parole si chiede:

• “ Potrà mai veramente capire chi sono io?” .

Se alle domande:

• (a1) “E’ una persona disponibile nei miei confronti?”;

• (b1) “Potrà mai capirmi?”;

• (c1) “Potrò chiedergli le cose che più mi stanno a cuore?”

l’helpee risponderà affermativamente, in quanto gli è stata data la giusta attenzione ed egli si sentirà a suo agio, è come se dicesse:

• (a2) “Mi sembra una persona aperta nei miei confronti?”;

• (b2) “Credo che lui/lei possa capirmi”;

• (c2) “Mi pare di potergli chiedere quelle cose che mi stanno più a cuore”.

L’helpee, in fin dei conti, a prescindere dal titolo di studio posseduto: che abbia la terza elementare, la prima media o la laurea, capisce se il comportamento dell’helpher – nei suoi significati più ampi – è in sintonia con il suo. È quindi necessario per l’helper, non aver paura dell’intimità, condividere i contenuti cognitivi, i vissuti emotivi e non ha da temere la vicinanza fisica.

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(9)

La RDA: alcuni principi di metodo.

Parte prima.

Alcune considerazioni sono ora necessarie. Dato che essenzialmente la RDA si muove all’interno o per mezzo di processi comunicativi, di cui ci occuperemo tra breve in modo stretto, utilizzando quindi il linguaggio, è opportuno, necessario, imprescindibile ridurre al minimo le possibilità d’incomprensione basate sulla lingua: in altri termini ad esempio in un’accesa discussione o in un litigio, che almeno si sappia su cosa si discute o su cosa si litiga.Ciò che ci permette di circoscrivere l’ambito di incertezza e/o di litigiosità è di utilizzare nel nostro linguaggio argomentazioni che fanno diretto riferimento a dati di fatto ed a descrizioni comportamentali osservabili, piuttosto che utilizzare interpretazioni sintetiche o descrizioni basate su dati non-comportamentali e non-osservabili da altri.

Negli allegati “Differenza tra Dato e Deduzione” e “Descrizioni comportamentali e descrizioni non-comportamentali” vengono proposti diversi esempi in merito.

Purtroppo nella vita sociale consueta sono spesso pochissimi gli esempi di questo tipo, anzi imperversano quelli opposti. Per l’allievo può essere una buona formazione (sic) assistere in TV a dibattiti politici e non, in cui la grandissima parte delle argomentazioni si basa su interpretazioni e non su dati: costoro riceverebbero dei pessimi voti e giudizi in questa disciplina.

Per non cadere, come sta succedendo poco sopra nel medesimo errore che viene criticato faremo qualche esempio.

Dire ad esempio di una persona che essa “è nervosa”, può pure corrispondere a verità, ma non permette a chi ascolta questa affermazione di farsi un’idea soggettiva precisa basata sui fatti come invece accadrebbe se venisse detto “Il signor Piero è nella sala d’attesa di una clinica e sta attendendo la nascita del suo primo figlio: nel frattempo cammina continuamente avanti ed in dietro per la sala, ogni 5 minuti si ferma, si siede per 1 minuto e poi riprende i movimenti precedenti ”. Un altro esempio potrebbe essere il seguente: “Franca è una bambina di tre anni che piange sempre”, rispetto alla frase “Franca è una bambina di tre anni che frequenta il primo anno di scuola materna: ha cominciato da cinque giorni e , quando arriva al mattino accompagnata dalla mamma è tranquilla; quando essa se ne va, Franca piange: il primo giorno per dieci minuti, poi ha smesso e gioca con gli altri bimbi: ora piange per meno di cinque minuti”.Si può vedere come le seconde descrizioni siano più lunghe, come richiedano un’osservazione più accurata e precisa, di come però si prestino senza dubbio meno ad interpretazioni arbitrarie come invece le descrizioni precedenti.E’ opportuno, quindi, dal punto di vista metodologico, nelle nostre Relazioni comunicative attenerci ai Dati analitici ed alle Descrizioni, piuttosto che a giudizi sintetici che non offrono all’interlocutore possibilità di verifiche e quindi permettono solo due chanche, tout-court: essere accettate oppure rifiutate in blocco: non vi è possibilità teorica di discussione. ( Si veda alle ppgg. 55 e 56)

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Parte seconda

Un altro aspetto – del quale è importante/fondamentale tener sempre conto – riguarda ciò che segue: è fuorviante pensare che la RDA si risolva unicamente nel rapporto, nella relazione operatore/paziente, operatore/ospite.

E’ senza dubbio importante/fondamentale acquisire competenze e conoscenze riguardanti la relazione, sia dal punto di vista psicologico-emozionale che dal punto di vista strettamente “tecnico” – ad esempio come fare un posizionamento, uno spostamento, come fare il letto con il paziente allettato, come fare un’igiene intima, come fare una piccola medicazione, ecc.

Bisogna però considerare un altro aspetto: se ad esempio, dobbiamo fare un’igiene intima e ci accorgiamo che mancano i pannoloni e che il magazzino a quell’ora è chiuso…forse il problema non fa capo solo a voi stesse/i, ma probabilmente è legato ad aspetti organizzativi o di altra natura.

Lo schema potrebbe essere il seguente.

(C) Nell’ottica dell’ organizzazione

(B) Riferiti alla professione

(A) Aspetti personali

• Può essere ad esempio successo che il/la collega che doveva occuparsene se ne sia dimenticato oppure abbia pensato “…che si arrangino gli altri” e quindi la sua azione riguarda unicamente una sua decisione personale,

• che però ricade e si riferisce ad un ambito professionale e quindi la correttezza che quest’ambito richiede. Non riguarda solo colui o colei che fa quest’azione ma può causare danno o disagio, come in questo caso, ad uno o più pazienti che rimarranno senza pannolone, con tutto ciò che ne consegue.

• D’altronde la ricaduta avviene anche nell’organizzazione, nel personale di quel turno che dovrà organizzarsi in maniera differente e nell’immagine che quell’organizzazione (ospedale, casa di riposo,…) avrà all’esterno: di efficienza o viceversa di malfunzionamento e scarsa attenzione all’utente.

Potrebbe anche essere successo che in quella struttura non è mai stata decisa la procedura da attuare e chi la attua: ad esempio quale figura si deve occupare del controllo

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e quindi della presenza sufficiente di pannoloni, quante volte deve essere fatta, chi deve essere avvisato, ecc.

L’esempio dei pannoloni potrebbe ovviamente valere per altre situazioni del tipo: chi controlla che i farmaci vengano effettivamente somministrati; chi si occupa che differenti pazienti possano assumere liquidi in modo appropriato e differenziato in base alle loro capacità: ad esempio con la cannuccia piuttosto che con il bicchiere; con il bicchiere a beccuccio piuttosto che con un bicchiere semplice; con una cannuccia phieghevole piuttosto che con una rigida; che vi sia un mortaio schiacciacompresse nel caso di un paziente con difficoltà di deglutizione o comunque uno strumento similare, abbinato alla sostanza per inghiottirle, che può essere uno yogurt naturale piuttosto che uno alla frutta o viceversa, in base anche ai gusti del paziente e tenendo conto della patologia, ad esempio un eventuale diabete.

In altre parole un sistema di procedure standardizzate – ove possibile – perlomeno riguardanti le situazioni più comuni da affrontare, unito alla definizione di chi se ne deve occupare.

In altre parole, quindi, è necessario che l’operatore/trice abbia una visione d’insieme del lavoro, unita alla consapevolezza delle relazioni ed interconnessioni che vi sono, unita alla capacità di comunicare ai vari responsabili e nelle sedi appropriate – riunioni periodiche – i suoi punti di vista al fine di un miglioramento dell’organizzazione complessiva e quindi della professionalità richiesta: ciò può comportare un miglioramento riguardante anche gli aspetti personali.

Possiamo inoltre aggiungere che gli aspetti personali dell’operatore riguardano non solamente aspetti negativi di esso, ma anche caratteristiche personali che incidono positivamente nell’organizzazione, quali: la puntualità, la precisione, l’ascolto, la pazienza, ecc.

Concludendo, è fondamentale per l’operatrice/tore la estrema consapevolezza che gli aspetti personali con le relative decisioni ed azioni che ne conseguono hanno un risvolto e sono necessariamente riferiti alla professione, nell’ottica dell’organizzazione.

Esercitazione

1) Prendendo spunto dalla lettura degli Allegati osservate nelle varie situazioni pubbliche l’uso che le persone fanno del Giudizio (Deduzione/Interpretazione) e quanto poco fanno riferimento a Dati oggettivi, osservabili.

Tra le occasioni – purtroppo per noi – più ricche di spunti vi sono i dibattiti televisivi; in particolare quelli di tipo politico sono un’occasione unica di descrizioni non.comportamentali.

2) Descrivere almeno un paio di esempi – tratti dal tirocinio – inerenti gli aspetti personali, riferiti alla professione, nell’ottica dell’organizzazione.

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La Comunicazione e la RDA

Togliamo subito ogni dubbio: occuparsi di RDA, sia nella teoria sia come operatori della RDA è occuparsi carnalmente di Comunicazione: è come la persona e l’aria che respira, il pesce e l’acqua in cui nuota o forse ancora, ma viceversa quando una persona non comunica verbalmente possiamo essere tentati di pensare che essa per noi non esiste.

Sappiamo, secondo quanto dice il “vangelo” della teoria della Comunicazione (Watzlawick) che:

• “non si può non comunicare”: ( prima regola della Comunicazione)

Quindi d’ora in poi ci occuperemo di alcuni aspetti teorici inerenti la Comunicazione dai quali riteniamo non si possa prescindere: anticipiamo i titoli degli aspetti salienti: parleremo di (1) Comunicazione non-verbale; (2) Stili comunicativi; (3) Funzioni della comunicazione.

Non abbiamo nominato finora gli aspetti emotivi che intervengono nella Comunicazione. Essi permeano ogni istante della stessa: occupandoci di Comunicazione non-verbale (CNV) li toccheremo.

Possiamo così accennare ad un'altra regola:

(seconda regola della comunicazione)

la quale afferma che:

• “se c’è contraddizione tra messaggio verbale e messaggio non-verbale, vale quello non-verbale”:

Si dovrà prima trattare il prossimo capitolo per meglio comprendere questo punto, che è però importante tener presente già da ora.

La teoria della Comunicazione di cui tratteremo tra poco e che ovviamente può essere meglio approfondita, ma che da qui parte, ha prima di tutto lo scopo etico di migliorare le Relazioni interpersonali, di essere d’Aiuto a…, non al servizio di…

Aggiungiamo per inciso alcuni assiomi della Teoria della Comunicazione, così come sono stati formulati da Watzlawick:

(1) Non si può non-comunicare ;

(2) Ogni comunicazione ha un livello di Contenuto ed uno di Relazione;

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(3) Ogni Interazione può essere Complementare o Simmetrica ;

(4) Nella Complementare una posizione si definisce One-up e l’altra One-down;

(5) Conferma – Negazione - Disconferma;

(6) La Metacomunicazione .

(1) Questa prima affermazione sta ad indicare che, anche se non vi è Comunicazione verbale, l’altra persona comunque esprime qualcosa in modo non-verbale: quindi sta a noi come operatori cercare di comprendere il significato di gesti, movimenti, cenni o silenzi. Anche nel caso di comunicazioni verbali “strane” o contraddittorie il “vero” significato non è immediato: è ovviamente una sfida continua e non sempre se ne uscirà vittoriosi; ma è questa per definizione, per ruolo, per compito, per l’etica che ne sottende la direzione che vorremmo mantenere.

(2) “Una comunicazione non soltanto trasmette un’informazione evidente,…”, un contenuto verbale, ad esempio “ho fame”, ma ci dice qualcosa sulla relazione che c’è – perlomeno in quell’istante – tra chi sta parlando e chi sta ascoltando: ad esempio la frase “ho fame”, urlata può esprimere rabbia, magari è stata detta da un paziente più volte allo stesso operatore, e quindi può esprimere risentimento o altro ancora.

(3) Nel caso del maestro e dell’allievo, del negoziante e del cliente, dell’operatore e del paziente, nei casi – cioè – in cui le Relazioni si integrano tra loro, si completano, si può parlare di Relazioni Complementari, senza volervi dare alcun giudizio di valore. Nei casi in cui entrambi i membri in una Relazione tendano ad assumere il medesimo ruolo o comportamento, si parla di Relazione Simmetrica: è il caso di due persone che si ritengono entrambe competenti sul medesimo argomento e quindi si sentono in diritto di aver ragione:

(4) spesso si può sviluppare quella che si definisce una “escalation”, cioè una serie di azioni “a salire”, dove l’uno cerca di mettere in posizioni di “inferiorità” l’altro (one-down), per essere a sua volta “superiore”, in condizioni di superiorità (one-up). Si ha cioè il rischio di un forte conflitto, senza fine. Le posizioni one-up e one-down, sono invece accettate dai membri delle Relazioni Complementari, salvo i casi di violenza, sadismo, aggressività,ecc., dove un membro della Relazione cerca di spingere l’altro in una posizione di inferiorità. Non sono poi fenomeni così distanti da noi.

(5) Conferma, Negazione e Disconferma hanno a che vedere con il bisogno che ogni essere umano ha di essere riconosciuto dagli altri in quello che dice e fa, nel bisogno di essere amato, visto, considerato e riconosciuto nelle proprie capacità e qualità personali. Ad esempio la bambina che, passando davanti alla vetrina di un negozio chiede alla mamma: “Mi compri quel paio di scarpe rosse” si sente rispondere: (a) “Va bene, te le compro” invece che (b) “ No, te ne ho comperato un paio di rosse l’altra settimana”, piuttosto che sentirsi rispondere. (c) “ Queste scarpe rosse non ti piacciono”, dove queste tre differenti risposte corrispondono quindi alla Conferma (a) di ciò e quindi tutto fila liscio; viceversa (b) la Negazione, il

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rifiuto costituiscono un’esperienza in qualche modo dolorosa. Dal punto di vista dei disturbi di Relazione, la terza possibilità (c) – la Disconferma – è come dire all’Altro che non esiste, come se nessuno si accorgesse di lui: mentre in pratica nella Negazione è come se si dicesse all’altra persona “hai torto”, nella “disconferma” è come se si dicesse “tu non esisti”:

proviamo ad immaginare in una struttura o comunque una relazione dove i pazienti non vengono considerati o meglio non viene considerato ciò che essi dicono o “pensano”; è superfluo dire che questo meccanismo si può definire tale anche se avviene una volta sola: quanto può essere doloroso lo abbiamo sperimentato tutti: è come essere una persona invisibile, è come nei sogni dove si vuol parlare ma non escono suoni dalla nostra bocca, è come abitare un mondo dove noi camminiamo e nessuno ci vede, magari non soffriamo fisicamente, ma il dolore dell’anima può essere molto peggio.

(6) La Metacomunicazione è una Comunicazione sulla Comunicazione: facendo un esempio si può dire che due persone che stanno litigando, stanno Comunicando, magari in modo aggressivo, magari in modo Simmetrico, in Escalation, ma stanno Comunicando: nel momento in cui – per ipotesi – una delle due dovesse dire “smettiamola di litigare e cerchiamo una soluzione”, quest’ultima sta attuando un processo Metacomunicativo, cioè è come se uscisse dalla Comunicazione per vedere la loro Relazione dall’alto, da un gradino superiore; si dice infatti, anche nel senso comune che bisogna vedere le cose dal di fuori, dall’alto, per poter avere un giudizio più sereno ed oggettivo.

Da quanto fin qui detto – pur senza avere la pretesa dell’esaustività, in quanto la teoria è vasta e complessa e qui abbiamo fatto una specie di Bignami di Teoria della Comunicazione – si intravedono alcuni meccanismi che intervengono nelle Comunicazioni quotidiane, personali e professionali.La nostra abilità a vederli mentre siamo impegnati a Comunicare ed a farne tesoro per migliorare la Comunicazione stessa costituisce poi lo scopo di questo lavoro.Quando si parla di COMUNICAZIONE – praticamente sempre in questa dispensa – abbiamo bisogno di considerare tutti questi elementi, ognuno è importante ed ognuno può essere utilizzato per meglio capire l’Altra persona ed il ruolo nostro nella Comunicazione: dobbiamo al tempo stesso essere dentro la Comunicazione e vederci dall’esterno.

Esercitazione e domande di verifica

Per ognuno dei sei aspetti trattati in questo capitolo, oltre ai dialoghi che avvengono nella quotidianità delle relazioni interpersonali, potrebbe essere interessante analizzare i dialoghi di film o di alcune parti di essi. Non vi è che l’imbarazzo della scelta.

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La Comunicazione Non-Verbale (CNV).

Paradossalmente cominciando a parlare di Comunicazione, intesa il più delle volte – semplicisticamente – unicamente come Comunicazione verbale, fatta di parole, dicevamo cominceremo a parlare di Comunicazione non-verbale.

Attraverso di essa passa la maggior parte dei significati di una Comunicazione e quindi di una Relazione: vari studi sostengono che almeno il 70/80 % del senso di una Comunicazione è determinato dal non-verbale: approfondiremo tra poco il tema. Si veda inoltre l’Allegato riassuntivo.

• Per CNV o meglio per Indicatori della CNV intendiamo:

(a) Il Contatto Visivo;

(b) Le Espressioni del Viso;

(c) I Gesti ed i Movimenti del Corpo;

(d) La Postura;

(e) Lo Spazio Prossemico;

(f) L’Ecologia Comunicativa;

(g) L’Apparenza Fisica;

(h) Il Tatto;

(i) Gli Indicatori Paralinguistici o Paraverbali.

Per comprendere l’importanza della CNV dobbiamo tornare alle considerazioni iniziali, quando dicevamo che la prima regola della Comunicazione è che “non si può non-comunicare”: in altri termini anche il “Silenzio” è Comunicazione ed è quindi compito dell’operatore districarsi tra i possibili significati di essa; è ovvio che non è sufficiente la lettura di una dispensa per padroneggiare compiutamente tali abilità, legate ad aspetti individuali, strettamente legate al proprio desiderio di migliorarsi, alle propria capacità di autocritica ed autoriflessione, all’esperienza quotidiana in ambito personale e professionale.

Con una certa frequenza nelle verifiche scritte, diversi studenti, nel descrivere il proprio intervento con l’utente affermano: “…utilizzo la Comunicazione Verbale e la CNV…!!!”,

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come fosse una tecnica da imparare e della quale servirsi a comando: la CNV è impossibile non utilizzarla: usando il Verbale – comunque – filtrano sempre aspetti di CNV: diciamo che per un operatore è fondamentale essere consapevole degli effetti delle Proprie Comunicazioni – tout-court – sull’utente, come pure è fondamentale o perlomeno importante conoscere le proprie modalità comunicative: a tal proposito – dal punto di vista formativo – è importante non sottrarsi, in aula, quando vengono utilizzate modalità partecipative, quali ad esempio i role-playng, dove l’allievo ha la possibilità di sperimentare direttamente queste modalità, di ottenere il feed-back dai compagni e dal docente ed eventualmente vedersi in registrazione video.Ritroveremo il tema degli effetti della propria Comunicazione sull’Altro/i quando parleremo delle Competenze Trasversali (CT). Passiamo ora in rassegna i dettagli della CNV.

(a) Il Contatto visivo costituisce in genere il primo contatto con l’Altro: già linguisticamente la parola CON-TATTO, scomposta indica triplici aspetti: (1) “Contatto” nel senso di Aggancio con l’Altro, (2) “Con-Tatto”, nel senso di Delicatezza, cioè rimanda ad una modalità di Relazione indice di delicatezza/fragilità, nella quale è richiesto Tatto; (3) “Contatto” rimanda inoltre alla Modalità Corporea, che costituisce senza dubbio una modalità caratterizzata dall’Intimità - in questo caso Fisica, come succede in alcune Relazioni operatore/utente: si pensi al paziente allettato – e quindi ci indica a quali territori della psiche il Primo Contatto rimanda e conseguentemente l’importanza che esso riveste per l’operatore e soprattutto per l’utente. Possiamo notare l’importanza del Contatto visivo e di come esso ci viene richiesto dai nostri interlocutori, quando, ad esempio stiamo parlando con qualcuno e improvvisamente veniamo distratti dal passaggio, di fronte a noi di una persona: anche se impercettibilmente e velocissimamente volgiamo in quella direzione lo sguardo, riportandolo immediatamente dopo sul nostro interlocutore primario, ciò che succederà nella quasi totalità dei casi è che il nostro interlocutore volgerà il suo sguardo nella direzione dove noi l’abbiamo distolto: è insopportabile non essere guardati: ciò equivale a non essere considerati, a non esistere per l’altra persona, a non esistere: sintomatico a tal proposito è l’accanimento con cui molti VIP e non-VIP appaiono in TV, il cosiddetto presenzialismo: anche qui il non–apparire equivale ad un non-esistere. Il Contatto visivo incoraggia il feed-back, può essere sinonimo di apertura, disponibilità verso l’Altro; serve a ridurre le distanze psicologiche ed è da tener presente che talvolta, ad esempio se prolungato, può produrre ansia;

(b) Le Espressioni del Viso: è un espressione generica per indicare quanto può manifestarsi sul viso ed essere indicatore di stati d’animo e/o pensieri interiori: a tal proposito vi è dibattito in ambito psi: cioè se ad esempio movimenti oculari, dilatazione delle narici, dilatazione e restringimento delle pupille, contrazioni dei muscoli facciali, aggrottamento delle sopracciglia, sbuffi ed altro ancora corrispondano sempre e necessariamente ad altrettanti stati d’animo: quello che per ora ci interessa è notare questi comportamenti. È come se fossimo nella fase della Raccolta informazioni tramite l’Osservazione: l’Interpretazione, come abbiamo visto in precedenza, viene dal punto di vista logico successivamente;

(c) I Gesti e Movimenti del Corpo: il gesticolare delle mani/braccia, il muovere le gambe, i piedi, il camminare ed i differenti modi nel farlo costituiscono quest’area;

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(d) La Postura: cioè la/le posizioni del corpo ed i cambiamenti di posizione dello stesso sono oggetto di osservazione e considerazione;

(e) Lo Spazio Prossemico : cioè li significati che assume la distanza o le variazioni di distanza tra due o più persone;

(f) L’Ecologia Comunicativa : cioè il contesto che può favorire o meno la Comunicazione: le condizioni di illuminazione di un locale, eventuali rumori che possono interferire con un ascolto ottimale, il posto dove il soggetto è seduto (sedia, poltrona, ecc.); le condizioni fisiche e/o mentali del soggetto; in altre parole l’Ecologia Comunicativa è quella che si può percepire con i cinque sensi;

(g) L’Apparenza Fisica : è costituita sia dall’aspetto fisico, dalle condizioni fisiche, così come esse appaiono ad un osservatore esterno, sia dall’abbigliamento e di cosa quest’ultimo ci trasmette in termini di accuratezza, pulizia, appartenenza o desiderio di appartenenza sociale;

(h) Il Tatto : attraverso di esso trasmettiamo e riceviamo sensazioni, impressioni. Si configura come un’esperienza diretta, come comunicazione non falsificabile, genuina in sé che tramite azioni sul corpo trasmette emozioni al corpo, dal punto di vista professionale trasmette Attenzione, Interesse, Cura, Calma, Amore o al contrario Disattenzione, Disinteresse, Incuria, Fretta, Disamore: è quindi un potentissimo veicolo comunicazionale;

(i) Gli Indicatori Paralinguistici o Paraverbali: sono costituiti dal tono di voce; dal volume della voce e dal suo alternarsi; dalla velocità, dal ritmo; dal timbro; dalla quantità di parole pronunciate; dal rispetto dei tempi; dalla balbuzie; dalla cessazione del parlare.

Alcuni autori inseriscono gli Indicatori Paralinguistici direttamente nella Comunicazione Verbale, altri usano farla rientrare nella Non-Verbale: il nostro orientamento è quest’ultimo, in quanto essi – gli Indicatori - confermano o meno il contenuto linguistico della comunicazione verbale. In ogni caso essi costituiscono l’aspetto di fondo che dà significato alla comunicazione verbale: come forse abbiamo già detto, quando vi è contraddizione tra Messaggio Verbale e Messaggio Non-Verbale, vale sempre quest’ultimo.

Aggiungiamo che i vantaggi della CNV sono quelli di ben rappresentare i sentimenti, di comunicare stati emotivi, di avere una minore controllabilità ed una maggiore genuinità.

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Domande di ripasso.

1) Quali sono gli Indicatori della CNV?

2) Spiega il significato di ognuno di loro.

Esercitazione

(1) Guardare in un film a scelta, in cui vi siano dei dialoghi, gli Indicatori della CNV: in particolare le Espressioni del viso ed i Gesti e movimenti del corpo.

Per utilizzare un solo canale sensoriale e quindi per focalizzare l’attenzione solo sul canale visivo, si consiglia di spegnere l’audio….Il risultato sarà interessante…

(2) COME IL PRECEDENTE: questa volta escludete l’aspetto visivo e concentratevi solo sull’audio, cioè sugli Indicatori paralinguistici!!!

(3) Cosa succede ad utilizzare un solo canale sensoriale alla volta?????

(4) Potete fare lo stesso esercizio osservando un dibattito televisivo, che sia di sport, di politica oppure altro.

(5) Fatelo poi nelle relazioni quotidiane e verificate se c’è corrispondenza tra messaggio verbale e quelli non-verbali.

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Gli Stili Comunicativi.

Gli Stili Comunicativi o Modalità di Comportamento Comunicativo possono essere suddivisi (vedasi in Allegati: pagg.58-59 per un approfondimento più esauriente) in tre tipi.

(1) Stile Passivo

(2) Stile Aggressivo

(3) Stile Assertivo o Affermativo o Espressivo

(1) Lo Stile Passivo si caratterizza per fatto che la persona rinuncia all’espressione di pensieri ed emozioni, pareri, opinioni, punti di vista sensazioni, sentimenti, desideri, bisogni. Usare questo stile coincide col sottomettersi al volere altrui;

(2) Nello Stile Aggressivo la persona esprime i propri pensieri ed opinioni, tenendo però presente solo il proprio punto di vista; vi è la lotta per il potere e l’attacco diretto o indiretto nei confronti dell’interlocutore;

(3) Lo Stile Assertivo si caratterizza per il fatto che la persona è in grado ed esprime i propri pensieri ed emozioni nel rispetto dell’interlocutore; vi è rispetto per l’individualità dell’Altro, disponibilità a vedere il suo punto di vista e vi è la volontà di raggiungere un accordo.

Dobbiamo dire che gli “Stili comunicativi” non sono un a sé stante teorico, cioè, sebbene si possano studiare come un aspetto della “comunicazione”, in realtà gli “stili” sono sempre presenti nella “Relazione comunicativa”, in ogni istante, nelle nostre comunicazioni ed in quelle altrui.

Solamente che non sempre vi facciamo caso.

Per sapere, quindi, ciò che sta succedendo in una comunicazione, proprio in quegli istanti, momenti, in quelle sequenze di parole e/o gesti è importante rivolgere la nostra attenzione consapevolezza, oltre a ciò che

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osserviamo/ascoltiamo esternamente, anche – lateralmente – allo schema interpretativo qui descritto.

Domande di ripasso

1) Quali sono i tre principali Stili comunicativi?

2) Spiega il significato di ogni Stile comunicativo.

3) Quali sono le conseguenze più comuni dei diversi tipi di comunicazione, dal punto di vista dell’emittente e da quello del ricevente?

Esercitazione

1) Procedete nella stessa maniera indicata nel capitolo precedente.

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Le Funzioni della Comunicazione.

Anche qui come altrove ripetiamo lo stesso concetto: cioè quello di più aspetti presenti contemporaneamente in una Comunicazione e quindi della necessità da parte nostra di spostare l’attenzione da un elemento all’altro per poterne cogliere il significato complessivo: è come seguire una partita di pallone dal vivo: lo spettatore osserva i movimenti del giocatore che ha la palla, guarda a chi la passa.

Lo spettatore attento però, guarda non solo queste cose, ma anche i movimenti e gli spostamenti degli altri componenti la squadra. In questo modo riesce a vedere chi si smarca, a chi sarebbe preferibile passare la palla perché meglio piazzato; riesce cioè ad avere una visione complessiva della squadra e della visione e tattica di gioco di quest’ultima.

Oltre a ciò uno spettatore ancora più attento osserverà anche la squadra avversaria, i movimenti ed azioni dei singoli componenti e della squadra nel suo complesso: in altre parole cercherà di avere una visione complessiva il più precisa possibile e corrispondente al vero.

Allo stesso modo nella RDA l’Ascoltatore, oltre ad osservare ciò che viene detto e fatto dall’Altro, essendo un osservatore che partecipa alla Comunicazione, osserverà anche se stesso e di come ciò che fa e dice incida nella Comunicazione medesima.

In presenza di più persone, in un gruppo o anche in èquipe, il tutto si complica per la presenza di più persone, dove aumenta il numero delle Comunicazioni, che possono pure accavallarsi, come aumentano oltre agli aspetti verbali quelli non-verbali: allo “Spettatore” vengono richieste abilità percettive di dettaglio oltre ad uno schema interpretativo efficace per districarsi dall’”insalata di parole”.

Operativamente le Funzioni della Comunicazione

stanno ad indicare come ogni comunicazione assolva a delle funzioni, cioè serve ad esprimere qualcosa che può essere esplicito, visibile e comprensibile immediatamente o che viceversa deve essere interpretato: inoltre che ad esempio una singola frase o parola può voler dire più cose contemporaneamente:

cioè che in una comunicazione le varie funzioni possono intrecciarsi e che quindi è compito dell’interlocutore districarsi tra esse.

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Passiamo ora ai dettagli.

a. FUNZIONE STRUMENTALE: si utilizza quando si vuol far compiere, eseguire qualcosa a qualcuno;

b. F. DI CONTROLLO: corrisponde ad un comando, ad un ordine in termini verbali o /e paraverbali;

c. F. INFORMATIVA: quando si informa, si spiega qlc.;

d. F. ESPRESSIVA: esprime sentimenti, stati d’animo;

e. F .VALUTATIVA: esprimere valutazioni;

f. CONTATTO SOCIALE: ha la funzione di instaurare o cercare di instaurare un rapporto/relazione comunicativa con qlc.;

g. ALLEVIAMENTO DELL’ANSIA: quando si parla di un problema che causa tensione;

h. STIMOLAZIONE: ha la funzione di sollecitare lo scambio comunicativo con qualcuno;

i. RUOLO: quando si comunica in funzione della situazione o del ruolo sociale o professionale che si ricopre.

Proviamo ora a fare qualche esempio che possa meglio illustrare le singole funzioni.

- (a) Ad esempio la moglie che dice al marito “Mi vai a svuotare la spazzatura, per favore?” con un tono leggero e tranquillo svolge una F. strumentale,

- (b) mentre la frase “Vai a svuotare la spazzatura!!!!!”, detto con volume alto e tono secco, oltre ad avere una F. di controllo,

- (d) può avere anche una F. espressiva: ad esempio la moglie esprime rabbia e/o risentimento perché, poniamo, il marito non esegue mai o raramente questa mansione oppure che lo fa, ma solo dopo che gli è stato detto ripetutamente.

- (c) La frase “Hai visto che il bidone della spazzatura è pieno?”, ha un’apparente o superficiale - F. informativa

- (b-a) ma di fatto svolge una F. di controllo o strumentale, a seconda dal tono con il quale viene detta.

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- (f) Cambiando esempio: un viaggiatore all’interno di uno scompartimento ferroviario che rivolto al suo dirimpettaio dice “Bella giornata, oggi, non trova?”, non è probabilmente interessato ad una discussione metereologica, ma probabilmente a scambiare due chiacchere con l’ altro viaggiatore, al fine di per rompere la noia o la monotonia del viaggio: svolge, quindi, una F. di contatto sociale, al fine di sollecitare uno scambio comunicativo,

- (h) cioè svolge anche una F. di stimolazione; come del resto fa il ragazzo che “abborda” la ragazza chiedendole l’ora o una sigaretta:

- (c) la FUNZIONE è apparentemente informativa, l’ora,

- (a) o strumentale, la sigaretta,

- (f) bensì l’aspetto principale, come si è detto prima, si riferisce però alla F. di contatto sociale

- (h) e di stimolazione.

- (i) La Funzione comunicativa di ruolo si ha ad esempio quando uno studente ascolta con interesse l’insegnante che spiega, ma allorché suona la campanella, in genere interrompe il processo attentivo – salvo brevi code, per permettere all’insegnante, rapidamente di finire il ragionamento – per fare una breve pausa o per rivolgere l’attenzione al successivo insegnante; oppure lo stesso insegnante, magari ascoltato con interesse in aula, non lo sarebbe ovviamente in una discoteca, dove questi parlasse di matematica, anzi: in questo caso cambia il ruolo che entrambi svolgono in differenti momenti della giornata: ad esempio il bambino che è stato attento e immobile in classe tutta la mattinata, arrivato a casa và in cortile correndo a lungo e facendo giochi in cui urla.

Faremo ora degli esempi un po’ più professionalizzanti, in modo da rendere più chiare le FUNZIONI medesime.

- (a) L’anziano allettato, degente ad esempio in una struttura di lungodegenza, che dice all’operatrice “Ho sete” svolge una F. strumentale,

- (c) oltre che informativa;

- (b) se però è da diverso tempo che è da solo e che percepisce lo stimolo della sete senza che nessuno si sia avvicinato a lui, può darsi che, appena vede l’operatrice dica a voce alta e con rabbia “Ho sete” svolge molto probabilmente una F. di controllo

- (d) così come anche una F. espressiva (rabbia);

- (i) va da sé che vi è pure una F. di ruolo.

Il medesimo paziente, i cui parenti hanno progressivamente diradato le visite e che è in grado di percepire la progressività della malattia, anche se non necessariamente: in parole povere che passa molto tempo da solo, che percepisce la sua solitudine, magari è quasi totalmente o totalmente immobile può esprimere con la frase “Ho sete” - espressa magari più volte, magari soddisfatta ripetutamente – un bisogno di CONTATTO SOCIALE

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ed anche una FUNZIONE di STIMOLAZIONE: ovviamente non è assolutamente da trascurare che abbia solo, unicamente e terribilmente SETE!!!!Come abbiamo visto, quindi l’operatore si trova di fronte continuamente il compito di discriminare, distinguere e valutare COMUNICAZIONI: in base a questa sua abilità attuale, alla voglia e volontà di migliorarla e affinarla – che detto per inciso sono tutti processi interiori che gli altri non necessariamente percepiscono (colleghi o supervisori di tirocinio) – dipenderà la qualità delle sue Relazioni, cioè se effettivamente siano Relazioni d’aiuto (RDA) oppure Relazioni puramente incidentali.

Domande di ripasso

1) Quali sono le funzioni della comunicazione?

2) Spiega il significato di ognuna di esse.

3) Per ognuna di esse descrivi un esempio: eventualmente l’esempio può anche essere inventato.

Esercitazione

Abìtuati ad analizzare le relazioni comunicative in quest’ottica, magari anche subito dopo che sono avvenute ed a valutare qual è la funzione predominante di quella comunicazione.

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RDA e Lavoro d’Equipe

Questo capitolo nasce dalla constatazione di come – per cercare di attuare un’efficace RDA – sia indispensabile non solo che la Relazione Operatore/Paziente sia improntata alla disponibilità/interesse/attenzione/amore/sensibilità percettiva verso il paziente, ma che tutto il Sistema, la Rete dei colleghi e chi dirige l’organizzazione – dicevamo – sia improntata allo spirito di un’efficace RDA.

Come dice un’assioma della Teoria Generale dei Sistemi: un cambiamento in un’area del sistema produce un cambiamento, si ripercuoterà su tutti gli altri : come in una famiglia : se il padre arriva arrabbiato e iroso dal lavoro e lo esprime esplicitamente ed in modo aggressivo, ne risentiranno la moglie ed i figli.

Ciò che si vuole qui dire e ribadire è l’importanza del clima di lavoro tra colleghi - a cui ciascuno contribuisce – e quindi l’importanza di conoscere e riconoscere i meccanismi principali che determinano i comportamenti di gruppo.

Non sempre il lavoro di gruppo è efficace, anzi, può produrre dei danni: se il clima di lavoro è pesante – parlavamo prima di un breve esempio familiare – il paziente ne respira l’aria cupa e di conseguenza i suoi pensieri, emozioni e stati d’animo ne subiranno l’influsso.

Aggiungiamo come ormai non vi sia quasi più bisogno di ribadire come vi sia un enorme influsso degli aspetti psicologici sull’organismo: recentemente vi sono stati anche degli studi di quest’influenza sul sistema immunitario, sia in termini positivi che viceversa..

Non sempre il lavoro di gruppo è efficace, anzi, può produrre dei danni: se il clima di lavoro è pesante, negativo, se vi sono spesso conflitti, ne può risentire la salute del paziente.

Inoltre – tornando a quanto si diceva poco sopra - vi è da dire che le “dinamiche pesanti in un gruppo ”, creano nei singoli operatori stati di disagio e stress che a loro volta possono ricadere a cascata sui pazienti; ricordiamo per inciso che le persone percepiscono emotivamente le situazioni in cui vivono nei loro aspetti positivi e negativi, a prescindere dal titolo di studio che posseggono – 2° elementare, diploma di scuola superiore o laurea – o che essi siano contadini piuttosto che impiegati o dirigenti.

Accenniamo ad alcuni meccanismi dinamici che possono verificarsi nei gruppi e deteriorarne il clima (vedasi poi gli allegati alla fine della dispensa, per una trattazione più dettagliata).

All’interno di un gruppo di lavoro può emergere lo spiccato individualismo di qualche operatore che può manifestarsi nelle seguenti maniere:

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a) con la Sindrome della Vittoria/Sconfitta , dove risulta e risalta che la sconfitta dell’idea o delle argomentazioni di un collega avviene usando toni e modi aggressivi, dove non emerge l’idea più valida ma la persona più forte: l’importante è vincere, sconfiggere l’altro e le sue idee. Chi si comporta così antepone interessi strettamente ed egoisticamente personali – il bisogno di emergere, di apparire, di essere visibile, pena il non esistere – agli interessi che la professione dovrebbe tutelare – quelli dei pazienti – e si contrappone, rovina, intacca gli scopi per i quali l’organizzazione in cui egli lavora è stata creata e dalla quale – non secondariamente– è pagato;

b) con il Massacro delle Idee, dove c’è la tendenza a demolire le idee altrui, l’obiettivo è distruggere il lavoro altrui senza domandarsi se contenga qualcosa di valido;

c) con la Sindrome dell’Uomo Nero l’obiettivo è trovare un colpevole: l’obiettivo del gruppo passa dalla ricerca della soluzione a quella del capro espiatorio;

d) con la Sindrome della Mosca Cieca, dove l’analisi puntigliosa dei dettagli finisce col far perdere di vista il reale obiettivo.

Ciò di cui abbiamo appena parlato tratta di alcuni meccanismi tipici degli incontri d’èquipe: ma ve ne sono parecchi altri che avvengono, ad esempio, nelle interazioni tra colleghi e pazienti e tra colleghi durante il lavoro.

L’operatore che dice al paziente “Ma chi né stato a fare il letto in questa modo?” oppure ancora il collega che ne critica un altro, magari in presenza di altri – colleghi o parenti – non è professionale e non sta lavorando per lo spirito che l’organizzazione prevede.

Potremo dilungarci – ovviamente il tema si presta ad una trattazione più ampia ed esaustiva, ma non è lo scopo di questo lavoro.

Ciò che ci preme dire e sottolineare, forse mai abbastanza, è l’enorme, fondamentale importanza che il clima di lavoro del gruppo riveste per il paziente: il rispetto per il collega si traduce con l’esprimere anche critiche, suffragate però da dati di fatto, nella/e sedi più appropriate (durante le riunioni o in luoghi dove altri non sentano) o comunque lontano dagli occhi e dalle orecchie dei pazienti e dei loro parenti; ove non ci sia la possibilità di un accordo o condivisione dei punti di vista operativi ha da esserci la visione e la capacità di far riferimento al proprio diretto superiore.

In altre parole ha da esserci una grande consapevolezza del proprio ruolo professionale, disgiunto dagli aspetti personali, suffragato dalla capacità e dalla volontà di affermarlo, sempre nell’ottica del servizio al paziente.

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Domande riepilogative.

1) Quali sono le maniere con le quali può manifestarsi lo spiccato individualismo di qualche operatore? Descrivile.

Esercitazione

Individua almeno due situazioni professionali in cui sia emerso come il lavoro di gruppo – d’èquipe abbia inciso in maniera positiva sul servizio ed un’altra in cui sia avvenuto l’opposto.

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Le Competenze Trasversali e la RDA.

Le Competenze Trasversali (v. Allegati) o Competenze Chiave (CT) o Key Skills si differenziano dalle

• Competenze di Base, cioè quei requisiti che ogni persona dovrebbe possedere o che il processo di apprendimento canonico dovrebbe fornire: la scuola dell’obbligo;

• le Competenze Tecnico-Professionali, sono quelle capacità e conoscenze specifiche di una certa professione e/o funzione;

• le Competenze Trasversali fanno riferimento ad una serie di capacità, come ad esempio: cooperare in un gruppo per produrre un risultato positivo, gestire positivamente i conflitti, esprimersi verbalmente in modo chiaro ed adeguato al contesto e saper argomentare le proprie affermazioni, riconoscere sentimenti ed emozioni e saperli esprimere in modo adeguato al contesto, riconoscere le proprie modalità di comunicazione.

Si tratta, cioè, di una serie di abilità che i diversi operatori che lavorano nel medesimo ambito e/o con le medesime persone devono/dovrebbero possedere: ad esempio all’interno di un Ospedale o di una Casa di Riposo, l’infermiere, il medico, l’assistente geriatrico, l’OSA, l’OSS devono avere Capacità Relazionali, per sapersi ben relazionare oltre che tra loro – come abbiamo visto in un’altra parte della dispensa – anche e soprattutto con il paziente: il Medico, pur con competenze esclusivamente sue e capacità tecniche sue proprie deve saper comunicare col paziente, ad esempio una diagnosi, in maniera adeguata alle capacità cognitive del paziente, alla gravità della malattia e, soprattutto deve comunicare contenuti che, per forza incidono sulle emozioni del paziente; e deve saperlo fare nel modo più adatto.

Alla stessa maniera l’OSA o l’OSS dovrà valutare con ogni singolo paziente se parlare in modo conciso oppure descrivere in modo approfondito, valutare l’effetto di ciò che dice, valutare se è il caso di interrompere o sospendere momentaneamente la comunicazione verbale, ad esempio in presenza di forti dolori.

Negli allegati finali sono descritte in dettaglio: ciò che ci preme evidenziare è che un allievo/operatore può possedere tutte le conoscenze tecnico-professionali richieste, ma se poi quando comunica col paziente o con i colleghi usa uno Stile comunicativo dominante di tipo Aggressivo (v. pag.35 ed Allegati: pag.58-59), non Ascolta l’Altro ed è più orientato ad affermare le proprie convinzioni, i propri desideri e bisogni, trascurerà di ascoltare e prendere in considerazione quelli altrui.

Magari non è neppure consapevole o molto poco degli effetti delle sue comunicazioni sugli altri, allora meglio sarebbe che costui cambiasse professione,

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evitando così ad altri danni, disagi, dolori dei quali dovrebbe occuparsi in una relazione che non sia di Potere o Inconsistente, ma effettivamente d’Aiuto.

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Etica e RDA, bambino e liquido amniotico.

Il tema dell’ETICA, di ciò che è giusto o sbagliato fare si pone molto spesso in modo forte all’interno della propria professione e non solamente lì.

Il tema della MORALE è un tema che si pone la filosofia dai suoi inizi ed è il problema del bene e del male.

Ad esempio è giusto far soffrire il paziente al fine di curarlo, e se sì, fino a che punto?; e se il paziente sostiene di essere stanco, sfiduciato, che non vuole essere più curato o prendere delle medicine, che diritto abbiamo di insistere?, o viceversa di assecondarlo?, e se questo paziente non riesce ad esprimersi, siamo sicuri di interpretare correttamente i suoi segnali?, o ancora siamo sicuri che il nostro modo di vedere sia quello giusto?, o ancora se ci viene chiesto un consiglio come facciamo a essere certi che sia quello giusto?

Come dice San Francesco “Signore, fammi fare il bene, Signore fammi evitare il male, ma soprattutto fammi distinguere l’uno dall’altro!”

Come abbiamo visto, anche se succintamente, il tema dell’etica è un tema delicato, importante e talvolta di difficile soluzione: ha da essere visto di volta in volta in modo critico, usando le categorie critiche della ragione; anche ragionando sulle nostre idee irrazionali, preconcette, quale potrebbe essere quella di ritenere che vi sia per forza una ed una sola soluzione giusta, mentre magari ognuna delle possibili soluzioni ha in sé elementi spuri, è possibile e probabile che non sia esente da errori e da sofferenze per l’altrui persona: ad esempio medicare una ferita, eseguire un posizionamento o fare uno spostamento di un ammalato può comunque essere doloroso; commentare una diagnosi, esprimere un parere: ognuna di queste azioni può contenere elementi di dolore per l’altro.

Anche il conflitto tra la propria morale – tra ciò che noi come singole persone riteniamo giusto –e/o e quella del gruppo organizzazione all’interno del quale noi operiamo – e che essa ritiene giusto – entra nel campo del nostro operare; la domanda che ci poniamo è “E’ giusto privilegiare la propria morale o quella del gruppo”? E’ ovvio che questo è un DUBBIO che fa parte della tematiche della morale.

Immanuel Kant diceva che la morale è una morale individuale. E con ciò ritorniamo a poche righe sopra: è il gatto che si morde la coda.

Come abbiamo più volte detto, scopo di questo sintetico lavoro, è quello di fornire spunti di riflessione, dubbi, interrogativi – non solo, ovviamente – dai quali “il perfetto operatore” non può prescindere: chi intraprende un percorso di formazione non può e non deve esimersi dal porsi questi interrogativi e, ovviamente, “in primis” chi la fa come docente, come educatore di nuove leve.

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Tornando alla frase del titolo “Etica e RDA: bambino e liquido amniotico”.

Entrambi non possono fare a meno l’uno dell’altro. Lo auspichiamo ardentemente, come auspichiamo che i nuovi operatori/operatrici si facciano promotori nei Servizi, dove andranno ad operare di idee, teorie, capacità, di spirito critico orientato al miglioramento dei Servizi stessi, in altre parole di una visione dell’Uomo e dei rapporti tra persone che sia di attenzione, sensibilità, amore verso l’Altro, gli Altri: colleghi, pazienti, in altre parole di tutti coloro con i quali entra in Relazione.

Non è una visione utopistica e slegata dalla realtà, un mondo perfetto dove tutti si amano e si vogliono bene: è uno Spirito, una tendenza, eine Strebung, una convinzione, una linea, un qualcosa che orienta il nostro operare quotidiano, istante per istante: potremo fallire o riuscire, in parte o “in toto”.

L’unica cosa certa è che dobbiamo provarci .

O in alternativa provare a cambiare mestiere!!!!

Esercitazione

• Individua almeno due situazioni professionali in cui l’aspetto etico abbia inciso sulle scelte in maniera determinante.

La scelta delle situazioni può riguardare voi stessi o altri.

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Osservazioni di metodo d’aula

Vi è da aggiungere a quanto detto finora riguardo ai contenuti previsti dal corso, che l’ordine cronologico col quale sono stati descritti può configurarsi come il medesimo d’aula, fermo restando che, il concatenamento dei punti è anche legato alle tematiche che man mano emergono in classe, sia da parte del docente che degli allievi.

Da ultimo vi è da dire che il grado di approfondimento dei vari contenuti è esso sì variabile, nel senso che all’interno di ogni gruppo classe si prendono direzioni di volta in volta diverse, dove ogni gruppo ha livelli di consapevolezza, di maturità e di interessi differenti, che è giusto assecondare, guidare e dei quali è comunque importante tener conto.

I contenuti proposti sono molti e potenzialmente molto vasti e quindi l’approfondimento non è sempre omogeneo oppure uguale per ogni gruppo.

Considerazioni conclusive generali

Proveremo a trarre delle brevi conclusioni di queste pagine.

Abbiamo visto che per attuare o perlomeno provare ad attuare un’efficace RDA, abbiamo bisogno di preparazione teorica: conoscenza, cioè dei principali aspetti di teoria della comunicazione, verbale e non-verbale, degli stili comunicativi, delle funzioni della comunicazione; abbiamo bisogno di conoscere e riconoscere i nostri pensieri ed emozioni e solo successivamente decidere cosa farne di essi; abbiamo bisogno di sapere quali aspetti ci frenano nella relazione, quali sono le nostre caratteristiche relazionali positive, dove cioè siamo “bravi” e dove viceversa “dobbiamo lavorare, migliorarci”; abbiamo da sapere la fondamentale importanza del nostro atteggiamento interiore verso l’Altro, in ogni momento: è il tema dell’Ascolto partecipato. Questo è il filo invisibile della Relazione. I nostri pensieri, emozioni…arrivano all’Altro e lo influenzano: dobbiamo esserne consapevoli: è l’Amore che genera o, più precisamente, può generare Relazioni/Rapporti.

Abbiamo visto il Ruolo del lavoro in gruppo e di gruppo ed i suoi possibili effetti sul paziente, l’importanza delle CT o meglio delle Competenze di Vita; il ruolo amniotico dell’Etica: in altre parole la RDA come Relazione vitale, generativa e di come in fondo, occuparsi di RDA, alla fine è occuparsi con un occhio di riguardo anche di se stessi, del proprio miglioramento come persone: la RDA così intesa ce ne offre l’opportunità: sta a noi coglierla: speriamo di riuscirci.

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Bibliografia

- 1) Richard Bandler: ”Usare il cervello per cambiare”, 1986, Astrolabio;

- 2) Andrea Canevaro, Arrigo Chieregatti: ”La relazione d’aiuto”, 1999 Carocci;

- 3) Carkhuff: “L’arte di aiutare” (Manuale), 199…; Erickson;

- 4) Elisabeth Kùbler-Ross: “Impara a vivere - impara a morire”, 2001, Armenia;

- 5) Elisabeth Kùbler-Ross: “La morte è di vitale importanza”, 1999, Armenia;

- 6) Roberts Monty: ”L’uomo che ascolta i cavalli”, 1998, Rizzoli;

- 7) Michael P. Nichols: ”L’arte perduta di ascoltare”, 1997 Positive press;

- 8) D. Redigolo et alii: ”Il processo comunicativo nella relazione d’aiuto”, 1994, Rosini editore;

- 9) J. Russel, J. M. Fernandez-Dols (a cura di): “Psicologia delle espressioni facciali“, 1998, Erickson;

- 10) Marianella Sclavi: “Arte di ascoltare e mondi possibili”, 2000, Le Vespe;

- 11) Paul Watzlawick, Janet H. Beavin, Don D. Jackson: ”Pragmatica della comunicazione umana”, 1971 Astrolabio;

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ALLEGATI

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FASI della RELAZIONE D’AIUTO

A) PREPARATORIA: Raccolta delle Informazioni ( scritte, verbali, ecc.)

B) Osservazione (vista) / Ascolto (udito) /……………………..

(UTILIZZO DEGLI ORGANI DI SENSO)

C) Comprensione – Interpretazione – Valutazione

oppure anche

?

D) Azione – Intervento

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B1) Osservazione B2) Ascolto

B1) Osservare

- la cura di sé- i gesti ed i movimenti

- le variazioni di posizione del corpo- se c’è contatto visivo- le espressioni del viso

- le variazioni nello spazio prossemico

B2) Ascoltare

- il tono della voce- il volume della voce

- la velocità

C) Comprensione / Interpretazione / Valutazione / ???

- Valutare quanto osservato ed ascoltato finora

- Ci può essere ancora qualche dubbio (????): riconsiderare l’opportunità di integrare le informazioni e/o l’osservazione/ascolto

D) Azione / Intervento

- Definire gli obiettivi- Elaborare un programma

- Fissare le scadenze

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Principi base per un buon ascoltatore

- se si vuol comprendere quello che l’Altro sta dicendo, bisognerebbe presumere che l’Altro - dal suo punto di vista – abbia ragione e chiedergli di aiutarci a vedere le cose dalla sua prospettiva

- non avere fretta di arrivare alle conclusioni: non interrompere; aspettare prima di rispondere

- ascoltare il tono della voce

- parafrasare (dire/ripetere) con parole proprie quanto ha detto l’Altro ( significato/sensazione) finchè questi non è soddisfatto

- accogliere i dissensi come occasioni per migliorare le proprie capacità di gestione creativa del conflitto

- ricordarsi che c’è una differenza tra il numero di parole che si possono dire in un minuto (100-150) e quelle che si possono pensare (400/500): l’Altro è ciò che pensa in quell’ istante

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Descrizioni Comportamentali Descrizioni non-Comportamentali

Caso 1: Kevin è un bambino di cinque anni che frequenta la scuola materna.

Il primo giorno di scuola, dopo essere entrato in classe, pianse per cinque minuti e nonj voleva levarsi il cappotto. Trascorsi altri cinque minuti, Kevin cominciò a giocare con dei blocchi di costruzioni.

Il secondo giorno Kevin pianse per circa due minuti, dopo che la mamma se n’era andata.

Il terzo giorno Kevin non pianse più e salutò la mamma con la manina.

Nei primi giorni di scuola Kevin non si trovava bene nella scuola materna.Poi però si è abituato ed adesso si diverte un mondo.

Caso 2: Sonia è una ragazzina che frequenta la seconda media

Nella quarta ora si è guardata quattro volte allo specchio, si è guardata in giro dieci volte ed in ognuna di queste occasioni Paolo e Mirko si sono girati a guardarla.

Sonia è vanitosa e disturba i compagni che le stanno accanto.

Caso 3: Tadzio è un bambino che frequenta la terza elementare

Tadzio non sta mai seduto per più di dieci minuti consecutivi e si alza più frequentemente nelle ultime ore di lezione rispetto alle prime.

Tadzio è un bambino iperattivo, non sta mai seduto.

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Differenza tra DATO e DEDUZIONE

Molto spesso nel riferire quanto è accaduto ad un paziente oppure nelle discussioni tra colleghi succede che ci si accalora, che la discussione si accende, che ci sono contrasti che potrebbero essere ridotti o evitati se le persone coinvolte riuscissero ad avere una maggiore accuratezza nel descrivere quanto hanno osservato o ascoltato: cioè a separare i DATI dalle DEDUZIONI o INTERPRETAZIONI che dir si voglia.

Per DATO si intende l’aspetto esteriore o il comportamento di una persona. Ad esempio se “sorride”, “piange” o “stringe i pugni”;Per DEDUZIONI si intendono, invece, i nostri giudizi come “socievole”, “simpatico”, “arrabbiato”. Ciò che qui si vuol dire è che i Giudizi possono essere veri, corretti, corrispondere alla realtà: però con i giudizi noi non permettiamo all’altra persona di farsi un’idea autonoma dei fatti.

Istruzioni: stabilite se le definizioni che seguono rientrano nella categoria dei DATI o delle DEDUZIONI.

Esempio

Di larghe veduteTic facciale

DATI DEDUZIONI □ □

□ □

Esercizio DATO DEDUZIONE

1. Si muove nervosamente □ □2. socievole □ □3. si morsica il labbro inferiore □ □4. alto 170 centimetri □ □5. sguardo astuto □ □6. siede scomposto □ □7. respiro frequente □ □8. sprofondato nella sedia □ □9. espressione triste □ □10.bel corpo □ □11.volgare □ □12.tipico esempio di matto da legare □ □13.siede composto, guarda fisso negli occhi □ □14.40 anni circa, cravatta in tinta, 24-ore □ □15.spalle curve, un lembo della camicia che avanza □ □ fuori dai pantaloni, sembra sulle spine16.persona molto infelice, chiaramente insoddisfatta □ □17.pelle giallastra, polso accelerato □ □

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Funzioni della Comunicazione

Noi comunichiamo per qualche motivo: (1) perché vogliamo farci portare del cibo al ristorante, (3) perché vogliamo informare qualcuno di qualcosa, (4) perché siamo arrabbiati – ad esempio – oppure per tutte e tre le cose contemporaneamente.

(3) Informiamo il cameriere che stiamo aspettando da parecchio tempo; (4) allo stesso tempo stiamo usando un tono di voce che esprime la nostra rabbia e (1) vogliamo che il cameriere ci porti al più presto quanto abbiamo ordinato.

Cioè nella nostra comunicazione di prima facciamo tre cose contemporaneamente.

Il problema è proprio questo: quando qualcuno (amico, amante, paziente) comunica con noi, qual è la cosa più importante che vuole comunicarci?O quali sono le cose che vuole dirci?

La comunicazione, in fondo, è tutta qui!!!

1. STRUMENTALE serve per far Compiere/eseguire qualcosa a qualcuno

2. CONTROLLO Comandare/ordinare3. INFORMATIVA Informare/spiegare4. ESPRESSIVA Esprimere sentimenti5. VALUTATIVA Esprimere valutazioni6. CONTATTO SOCIALE Instaurare un rapporto7. RIDUZIONE DELL’ANSIA Parlare di un problema che causa

tensione 8.STIMOLAZIONE Sollecitare lo scambio

comunicativo con qualcuno 9. RUOLO Comunicare in funzione del

ruolo/della situazione

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STILI COMUNICATIVI

( Modalità di comportamento comunicativo)

PASSIVO AFFERMATIVO(ASSERTIVO)(ESPRESSIVO)

AGGRESSIVO

- La persona rinuncia all’espressione di pensieri ed emozioni (***)

- Si sottomette al volere dell’Altro

- La persona esprime i propri pensieri ed emozioni, nel rispetto dell’Altro

- Disponibilità a vedere il suo punto di vista ed a raggiungere un accordo

- La persona esprime i propri pensieri ed emozioni, tenendo in considerazione solo il proprio punto di vista

- Lotta per il potere

- Attacco diretto o indiretto nei confronti dell’Altro

Nota

(***) pareri, opinioni, bisogni, punti di vista, sensazioni, sentimenti, desideri, ecc.

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COMUNICAZIONE NON-VERBALE

GESTI E MOVIMENTIDEL CORPO

TATTO

INDICATORIPARALINGUISTICI

ECOLOGIACOMUNICATIVA

POSTURA

COMUNICAZIONE

NON-VERBALE

SPAZIO

PROSSEMICO

APPARENZAFISICA

CONTATTO VISIVO

ESPRESSIONIDEL VISO

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BRAIN – STORMING (BS)

(Tempesta del cervello)

E’ una tecnica creativa utilizzata in ambito pubblicitario, che ha le seguenti caratteristiche:

1) STIMOLARE LA PRODUZIONE DI IDEE ELIMINANDO L’ASPETTO VALUTATIVO ( Cioè frasi del tipo:”Questo è già stato detto”, “E’ sbagliato”. “Non funzionerà”, “Costa troppo”, ecc.

2) STIMOLAZIONE ED INTERAZIONE CASUALE DI IDEE ( Cioè, dato un tema da sviluppare, ognuno potrà sentirsi libero di dire ciò che gli viene in mente a proposito, anche se ciò dovesse risultare apparentemente distante dall’input iniziale).

DINAMICA

A) DURATA: 30/45 MINUTI

B) PERIODO DI RISCALDAMENTO. Può essere necessario un po’ di tempo affinché il gruppo cominci a produrre idee

C) NUMERO DI PARTECIPANTI

D) CARATTERISTICHE DEI PARTECIPANTI

- Persone collocate più o meno alle stesso livello gerarchico

- Preferibilmente persone disponibili

PS: la tecnica del BS si può utilizzare in modo spurio in diverse situazioni: nel lavoro d’èquipe ad esempio, per stimolare la partecipazione ed il contributo dei singoli partecipanti

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FUNZIONI DEL TRAINER NEL BRAIN-STORMING

- Fluidificare lo scambio delle informazioni

- Definire il problema all’inizio della seduta e ridefinirlo più volte durante lo svolgimento della seduta stessa

- Bloccare sul nascere ogni tentativo volto a VALUTARE LE IDEE che via via emergono

- Fornire a tutti i partecipanti la possibilità di intervenire

- Assicurarsi che il CO-TRAINER abbia trascritto tutte le idee

- Chiedere al CO-TRAINER di leggere ad alta voce tutte le idee espresse, quando il flusso delle stesse sembra interrompersi

- Fornire stimoli e suggerimenti quando il flusso delle idee sembra essere terminato

- Iniziare e finire la seduta e curarne l’organizzazione

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L’OPERATORE CREATIVO

A. CARATTERISTICHE COGNITIVE

- Finezza percettiva

- Capacità intuitiva

- Immaginazione

- Capacità critica

- Curiosità intellettuale

B. CARATTERISTICHE AFFETTIVE

- Sentimento ludico (giocoso) della vita

- Audacia

C. CARATTERISTICHE ORMICHE( cioè caratterizzate da comportamenti diretti ad un fine/obiettivo)

- Tenacia

- Tolleranza alla frustrazione

- Capacità di decisione

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COMPETENZE TRASVERSALI ( CT 1 )

(1) Diagnosticare le proprie competenze ed attitudini

• Identificare le proprie CONOSCENZE e CAPACITA’ in relazione al ruolo professionale e valutarne l’adeguatezza;

• Identificare PUNTI FORTI e PUNTI DEBOLI del punto precedente;

• Identificare e valutare l’efficacia dei propri STILI di RISPOSTA di fronte ad un problema;

• Identificare e valutare i PROPRI PROCESSI di PENSIERO;

• Riconoscere i propri SENTIMENTI ed EMOZIONI;

• Ricostruire verbalmente le proprie STRATEGIE di AZIONE, identificando punti di forza e debolezza.

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COMPETENZE TRASVERSALI ( CT 2 )

(2) Comunicare

• Costruire MESSAGGI adeguati al contesto ed alle caratteristiche degli interlocutori;

• Adottare STILI COMUNICATIVI adeguati;

• Esprimersi verbalmente in modo chiaro e Saper ARGOMENTARE;

• DECODIFICARE messaggi VERBALI e NON-VERBALI;

• ASCOLTARE e SAPERSI DECENTRARE nella Comunicazione;

• Riconoscere SENTIMENTI ED EMOZIONI;

• Riconoscere e saper utilizzare STILI COMUNICATIVI differenziati;

• Riconoscere le proprie modalità di comunicazione verbale e non-verbale, valutarne gli effetti e saperle modificare in tempo reale.

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COMPETENZE TRASVERSALI ( CT 3 )

(3) Lavorare in gruppo

• Comunicare efficacemente all’interno del proprio gruppo di lavoro;

• Comunicare efficacemente con altri gruppi di lavoro;

• Cooperare per produrre un risultato positivo;

• Esprimere PERCEZIONI, SENTIMENTI, OPINIONI di fronte agli altri;

• Sapersi DECENTRARE nella Comunicazione;

• Inserirsi in modo efficace in una rete comunicativa;

• Utilizzare il gruppo come contesto di verifica dei propri modi di leggere la realtà;

• Saper confrontare con altri la propria rappresentazione di un problema o di una situazione;

• Adottare MODALITA’ COOPERATIVE nella partecipazione di gruppo.

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