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Corsi di laurea in Sociologia e criminologia Prof. Fabrizio Fornari Corsi di Laurea in Sociologia e Criminologia Prof. Fabrizio Fornari

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Corsi di laurea in

Sociologia e criminologia

Prof. Fabrizio Fornari

Corsi di Laurea in Sociologia e Criminologia Prof. Fabrizio Fornari

Una premessa

Le forme di criminalità organizzata che verranno prese in

esame sono Cosa Nostra e la ‘ndrangheta.

Il termine mafia, quando non meglio specificato, viene

utilizzato per indicare entrambi i tipi di criminalità.

Mafia, mafioso, ‘ndrangheta o ‘ndranghetista sono

sinonimi. Questi termini rappresentano un sistema

“valoriale”, culturale ed economico che esiste, si sviluppa,

si intreccia, modificando la nostra quotidiana esistenza.

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Impresa e imprenditore

Nel linguaggio comune il termine impresa denota un organismo che coordina prestazioni di lavoro e strumenti adeguati, per il conseguimento di finalità economiche.

Rappresenta secondo il Codice Civile il frutto dell’attività dell’imprenditore.

E’ imprenditore “chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi” (art. 2082 C.C.).

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Impresa mafiosa

Per i giuristi vengono qualificate come “mafiose”:

– imprese costituite o acquisite per iniziativa

dell’organizzazione criminale “che ne ha la gestione ed

alla quale vengono destinati i proventi al fine di

finanziarne le esigenze organizzative e i singoli

consociati”;

– imprese gestite, direttamente o indirettamente da un

singolo criminale mafioso nel suo esclusivo interesse;

– imprese ad “infiltrazione mafiosa”.

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Impresa ad infiltrazione mafiosa

Pur estranea all’organizzazione criminale instaura con essa rapporti stabili di cointeressenza;

– ne accetta la protezione;

– l’assistenza in situazioni conflittuali interne o esterne;

– l’azione di supporto per la penetrazione nel mercato;

– la dissuasione della concorrenza;

– i finanziamenti.

I benefici ottenuti sono ricambiati dall’imprenditore con erogazioni di denaro oppure offrendo all’organizzazione criminale servizi ed attività complementari a quelle dell’impresa.

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Assetto giuridico

dell’impresa “mafiosa”

Vengono privilegiati due tipi di società:

Società a responsabilità limitata, nella quale figurano come soci persone collegate ad esponenti delle consorterie criminali. Questa configurazione societaria, è la più adeguata per evitare le attenzioni delle forze di polizia e conseguenti indagini.

Impresa a carattere individuale nella quale il titolare:

è un prestanome di fiducia dell’organizzazione;

è un soggetto non inserito nell’organico della organizzazione ma legato per necessità o motivi di interesse economico ad essa;

ne è costretto.

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Impresa e criminalità

Il termine impresa, con riferimento alla mafia, è entrato da un tempo relativamente breve nella discussione italiana sulla criminalità organizzata.

Ciò che distingue la mafia dalla comune criminalità è la capacità di creare un sistema di rapporti e legami di reciproca convenienza con la politica, l’economia, le istituzioni, con il mondo delle professioni.

La mafia ha avuto la capacità di convivere con pezzi della classe dirigente e produttiva in un blocco sociale, le cui componenti sono sempre interessate a difendere i propri interessi economici, anche a costo di divenire complici o conniventi dell’abuso e della violenza o anche solo di assumere un atteggiamento di apparente neutralità di fronte alla prevaricazione delle leggi e dei diritti.

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La mafia imprenditrice

Le imprese criminali fanno della struttura organizzativa il proprio punto di forza. Si occupano della produzione di beni e servizi illegali, spesso gestiscono anche attività nei settori legali dell'economia, si infiltrano nei circuiti finanziari e commerciali a livello locale, nazionale e internazionale.

La criminalità organizzata si trasforma da soggetto passivo/istituzione a soggetto attivo/impresa, creando così le opportunità per un incremento della domanda di attività criminali e rompendo i vincoli etici e culturali che caratterizzavano la tradizionale criminalità organizzata di stampo mafioso.

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La mafia imprenditrice Per spiegare i comportamenti illeciti considerati all'interno

delle dinamiche del mercato è forse necessario ricondurre il crimine economico e la criminalità organizzata alla variabile “imprenditorialità” e non a quella della “criminalità”. Sviluppando un parallelismo tra le attività economiche illegali e quelle legali.

A questo proposito l’economista Mauro Bini in “La criminalità come impresa” concorda sul fatto che “la criminalità organizzata prima ancora di essere un'associazione fra persone con intenti criminali è una formula organizzativa che il più delle volte assume la forma d'impresa“.

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La mafia imprenditrice

La criminalità organizzata influenza anche il mercato del lavoro, soprattutto in luoghi che soffrono di “disoccupazione strutturale”.

In zone caratterizzate da scarse alternative occupazionali legali e da una forte presenza criminale è facile reclutare forza lavoro che, proprio per l'assenza di offerta di occupazione legale, è disponibile ad essere retribuita a basso costo o inserita direttamente in attività criminali.

Ciascuno dei due casi rappresenta uno strumento di controllo del territorio e di pressione sulle imprese legali con il conseguente rafforzamento delle organizzazioni criminali.

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Quali ripercussioni L'infiltrazione di attività illegali nell'economia legale

produce i seguenti effetti:

– la priva di risorse;

– abbassa le prospettive di sviluppo di un paese;

– fa diminuire la produttività del lavoro;

– fa aumentare i prezzi dei beni di consumo;

– fa aumentare la tassazione.

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Associazione mafiosa

“L’Associazione mafiosa è quell’insieme di

organizzazioni criminali, di cui la più importante

ma non l’unica è Cosa nostra, che agiscono

all’interno di un vasto e ramificato contesto

relazionale, configurando un sistema di violenza e

illegalità finalizzato all’accumulazione del capitale

e all’acquisizione e alla gestione di posizioni di

potere, che si avvale di un codice culturale e gode

di un certo consenso sociale.” (Umberto Santino)

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‘ndrangheta

'Ndrangheta deriva dal greco andragathía, traducibile con "virilità", "coraggio", (termine citato con questo significato anche da Tommaso d'Aquino nella sua Summa Theologica), nel senso di "associazione di uomini valenti".

Andragathos, infatti, significa uomo valoroso e coraggioso e solo una persona con questi requisiti poteva accedere all'onorata società.

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Mafia

Per alcuni il termine Mafia deriverebbe dalla congiunzione

di due parole arabe mu’afah... traducibile come

“protezione contro le soverchie dei potenti, esenzione da

qualunque legge sociale, riparo da qualunque danno,

forza, robustezza di corpo, serenità di animo, riconoscenza

e gratitudine verso chi faccia dei benefici”.

Altra interpretazione - data da P.Petrocchi (scrittore,

filologo e italianista) e ripresa da Leonardo Sciascia in

“Filologia” - del termine “Maffia” è “unione di persone di

ogni grado e di ogni specie che si danno aiuto nei

reciproci interessi, senza rispetto né a leggi, né a morale”.

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Lo spirito della mafia

Lo "spirito della mafia" indica una mentalità di eccessivo orgoglio, di prepotenza e superbia, secondo cui per essere veri "uomini d’onore" bisogna far valere le proprie ragioni senza scrupoli morali con ogni mezzo: dal duello rusticano all’agguato con la lupara.

Lo "spirito della mafia" poggia su un codice d’onore, non scritto ma egualmente rispettato, retto da due regole inderogabili: l’omertà, che impone a tutti il più assoluto silenzio e l’avvertimento preliminare dell’avversario nel "regolamento di conti".

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Omertà

Secondo l'etnologo ottocentesco Giuseppe Pitrè deriverebbe dalla radice omu (uomo) e rappresenterebbe una esasperazione del concetto di virilità mediterranea che vede l'uomo vendicare autonomamente le offese senza fare ricorso alle autorità dello Stato.

Altrettanto antica l'etimologia che vede derivare omertà da umiltà, nella sua accezione massonica di obbedienza ai valori dell'organizzazione nelle sue caratteristiche di segretezza e rigida gerarchia.

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Omertà II

L'omertà, attraverso il suo rigido codice, rappresenta la difesa psicologica dello spazio familiare e dell'onorabilità del gruppo di appartenenza. In ogni gruppo, in ogni famiglia, la meccanica delle relazioni interne contempla l'esistenza del segreto, ossia di ciò che non deve essere svelato al di fuori dell'ambito familiare.

Alcuni temi possono essere trattati all'interno e all'esterno della famiglia, temi simbolici che caratterizzano la famiglia e la definiscono nella società. Altri, invece, devono restare privati e lo sono al punto tale che non vengono discussi neanche fra gli stessi membri.

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Il cuore dell’omertà

Il cuore dell’omertà è mettere il senso dell'onore al di sopra di tutto e perdere di vista la propria dimensione individuale in favore di quella del gruppo d'appartenenza, che offre protezione e sentieri già tracciati.

Un uomo d’onore deve parlare solo di quello che lo riguarda direttamente, solo quando gli viene rivolta una precisa domanda e solo se è in grado di rispondere.

Le regole costituiscono l’unica salvaguardia del mafioso.

Un proverbio siciliano recita “La bocca è traditrice del cuore”

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A proposito di omertà e onore

Racconta Giovanni Falcone: “durante un interrogatorio con il

famoso boss Francesco Marino Mannoia ad una mia precisa

domanda egli rispose: ‘Dottore, quando dico una cosa e lei non è

d’accordo vedo che i baffi le si mettono a tremare e io mi blocco.

Ma stia tranquillo, se dico che non ricordo una cosa, lei non deve

insistere, perché il fatto è che NON posso ricordarmene’.”

Piuttosto che mentire Mannoia smetteva di parlare. Non

dimentichiamo che rimarrà sempre un uomo d’onore.

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L’onore come unità di misura del

valore di una persona

Il concetto di onore esprime l’orgoglio di appartenenza ad

un’élite seppure criminale.

Un uomo è onorato proprio perché altri non lo sono e non

possono esserlo.

L’autorità del mafioso è di gran lunga superiore a quella dello

Stato. Il potere va ottenuto con ogni mezzo, gli ideali astratti di

moralità e giustizia sono soppiantati da prepotenza e forza fisica.

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Onore e ricchezza

Fino agli anni ’50/’60 onore e ricchezza si accompagnano

ma non si identificano; raggiunto un certo livello di

benessere la ricchezza viene mantenuta stabile poiché

ingombrante, difficile da difendere e giustificare.

Successivamente, il consumo vistoso, il lusso,

l’ostentazione di beni divengono strumenti ordinari di

onorabilità.

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Onore e omicidio

Oltre che un preciso dovere, diviene un modo per esaltare il proprio valore all’interno dell’organizzazione, per godere di stima e considerazione.

Banco di prova per un uomo d’onore è la professionalità con la quale esegue l’omicidio.

Tanto più temibile e potente è l’ucciso tanto più “degno e meritevole” è l’uccisore.

Tutti devono sapere che chi si mette contro un uomo d’onore pagherà con la vita.

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Omicidio di Mafia

Quando un uomo d’onore riceve l’ordine di uccidere non

ha altra scelta se non quella di obbedire. Senza porsi

domande e senza farne. Senza lasciare trapelare incertezze

e soprattutto senza averne. Senza manifestare

compassione. Chi tentenna di fronte alla necessità di

uccidere è un uomo morto.

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Un accenno all’omicidio di mafia “La mafia sceglie sempre la via più breve e meno rischiosa”

(Giovanni Falcone)

La Mafia è un’ organizzazione a suo modo giuridica il

cui regolamento deve essere rispettato e applicato.

Ciascuno dei suoi “cittadini” deve sapere che il castigo

è inevitabile e che la sentenza verrà eseguita

immediatamente.

Chi viola le regole sa che pagherà con la vita.

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Tipologie di omicidi di mafia

Solitamente vengono individuate le seguenti forme di

omicidio:

– arma da fuoco;

– lupara bianca;

– incaprettamento;

– con esplosivo.

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Armi da fuoco

L’arma prevalentemente usata per

portare a termine un omicidio di mafia

è il revolver cal.38 special o 357

magnum, il fucile con cui si sparano

cartucce caricate a pallettoni oppure il

micidiale fucile mitragliatore

kalashnikov.

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Omicidi Bontade e Inzerillo

Salvatore Inzerillo, capo della

famiglia palermitana Uditore viene

ucciso nel 1981 da una raffica di

kalashnikov mentre sta entrando

nella sua macchina blindata

Stefano Bontade viene ucciso a colpi di fucile

Kalashnikov e di lupara da due killer in moto

mentre era fermo con la sua automobile ad un

semaforo rosso di via Aloi, a Palermo

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Omicidio di Mafia: la lupara bianca La vittima viene attratta in un tranello;

viene portata in un luogo riservato, dove altri si occupano della sua

soppressione, di solito strangolandola con una corda o con le mani.

Tale operazione richiede, solitamente, l’intervento di almeno due

persone.

Successivamente il cadavere viene sciolto nell’acido, incendiato e

occultato in mare, sottoterra o nelle fondamenta di cemento di

qualche costruzione.

Il pentito Francesco Marino Mannoia disse al Giudice Giovanni

Falcone in merito alla Lupara Bianca “Si rende conto della forza

necessaria per strangolare un uomo? Si rende conto che ci si può

mettere anche dieci minuti e che la vittima si divincola, morde, tira

calci? Alcuni riescono persino a liberarsi dai lacci. Ma almeno

sono omicidi da professionisti”.

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Omicidio di Giuseppe Di Matteo

Figlio collaboratore di giustizia

Santino Di Matteo, ex-mafioso,

divenne vittima di una vendetta

trasversale nel tentativo di far tacere

il padre.

Venne rapito ma Brusca decise

l'uccisione del bambino, ormai

fortemente dimagrito e indebolito

per la prolungata e dura prigionia,

venne strangolato e successivamente

sciolto nell'acido nitrico l'11

gennaio 1996 dopo 779 giorni di

prigionia.

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Omicidio di mafia: l’incaprettamento

I polsi e le caviglie vengono

legati dietro alla schiena facendo

passare al tempo stesso la corda

intorno al collo della vittima in

modo che tentando di divincolarsi

si strangoli da sé.

Il cadavere così legato può essere

trasportato senza difficoltà nel

portabagagli di un auto.

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Omicidio di mafia: Il tritolo

Il tritolo viene usato quando è necessario superare determinate difficoltà logistiche oppure per manifestare all’esterno la potenza militare dell’organizzazione.

– Il 29 luglio 1983 al centro di Palermo vennero uccisi il Magistrato, Consigliere Istruttore, Rocco Chinnici, due uomini della sua scorta e il portiere del palazzo;

– Il 23 maggio 1992 a Capaci vennero uccisi il Giudice Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta;

– 19 luglio 1992 in Via D’Amelio vennero uccisi il giudice Paolo Borsellino e 5 agenti della sua scorta.

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29.07.1983 attentato a

Rocco Chinnici

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23.05.1992

attentato a Giovanni Falcone

Poco prima delle 18.00 esplode una potentissima carica di esplosivo, una tonnellata di tritolo, collocata in un cunicolo sotto l’autostrada tra Punta Raisi e Palermo. Gli effetti dell’esplosione sono così forti che vengono registrati dai sismografi dell’Osservatorio geofisico di Agrigento. L’esplosione provoca un cratere di circa 14 metri di diametro e 3 metri e mezzo di profondità. L’autovettura blindata in testa al corteo viene ritrovata completamente distrutta in un campo adiacente l’autostrada a ben 62 metri di distanza dal cratere con all’interno i corpi privi di vita dei tre uomini della sua scorta.

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23.05.1992 attentato a Giovanni Falcone

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19.07.1992 attentato

a Paolo Borsellino

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“La lotta alla mafia è il primo problema da risolvere nella nostra bellissima terra e disgraziata... Non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le nostre giovani generazioni le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. Ricordo la felicità di Falcone quando in un breve periodo di entusiasmo egli mi disse: “La gente fa il tifo per noi”. E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l’appoggio morale della popolazione dava al lavoro del giudice, significava qualcosa di più, significava soprattutto che il nostro lavoro stava anche svegliando le coscienze”.

Dall’ultima intervista al Giudice Paolo Borsellino

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Il potere mafioso

Quando l’onore si trasforma in autorità il potere viene

riconosciuto e accettato da tutti.

“maschio vittorioso e forte, capace di annientare

qualunque avversario, ma anche l’autorità superiore,

il padre e l’amico di tutti, il protettore,

il mediatore, il consigliere e il giudice”

L’autorità rappresentata da uno Stato nello Stato, che

regola i rapporti sociali interni, cercando di evitare, per

quanto possibile, vendette cruente, distruzione di beni,

conflitti d’onore.

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Le funzioni del potere mafioso

Le tre forme con le quali l’autorità mafiosa cerca

di regolare l’ordine costituito sono:

– Protezione;

– Repressione;

– Mediazione.

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Protezione

Con questo termine si indica la “protezione” che il

mafioso dominante, in un determinato territorio,

promette in cambio della sicurezza ai beni e alle attività

delle persone che vivono in quella zona.

Tale forma di guadagno si identifica con il termine

“pizzo” e chi rifiuta di accordarsi in qualche modo vedrà

verificarsi incendi, furti e danneggiamenti arrivando

perfino a mettere in pericolo la propria vita.

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La protezione: il pizzo

Il “pizzo” costituisce l’attività ordinaria e originaria della criminalità organizzata di stampo mafioso;

– permette di garantire la quotidianità all’organizzazione, accrescere il suo dominio;

– conferisce un sempre più grande prestigio ai clan;

– misura il tasso di omertà di una zona, di un quartiere o di una città intera.

Il condizionamento mafioso attraverso l’attività estorsiva non rappresenta solo un “finanziamento” importante per la mafia, ma costituisce un gravissimo condizionamento di tipo economico e sociale, con pesanti conseguenze sulle relazioni sociali, gli assetti istituzionali e le possibilità di sviluppo economico.

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Repressione

Le attività di delinquenza “extra-mafiose” vengono tollerate dalla mafia entro limiti molto precisi;

Nel momento in cui la potenza del clan mafioso viene messa in discussione, sarà utilizzata tutta la violenza possibile;

Nonostante la nota opposizione con le Autorità Giudiziarie Statali, si assiste a fenomeni di collaborazione mafiosa per la repressione della criminalità comune.

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La mediazione

Svolge un ruolo di preminenza nell’organizzazione mafiosa;

E’ usata per tentare di conciliare gruppi familiari in contrasto tra loro;

Per mantenere relazioni socio economiche non solo all’interno del territorio ma anche al di fuori del paese;

Per intessere tutta quella trama di rapporti interpersonali sulla base dei quali poter trarre benefici;

E' vista come una sorta di “assistenza illegale” offerta dai gruppi criminali.

Può servire a recuperare oggetti rubati, procurare merci o servizi di natura illegale;

Inoltre, il potere di intimidazione del protettore da forma ad una sorta di giustizia privata per le inefficienze del sistema pubblico o per problemi difficilmente risolvibili per vie legali;

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La cosca

“Non ci sono presidenti né segretari eletti in una forma

qualsiasi, né ruoli dei soci. Il sodalizio è diretto e sfruttato quasi

sempre da tre, quattro o cinque persone più autorevoli per l’età,

l’intelligenza, la posizione sociale, le prove fatte, le condanne

riportate e soprattutto per esperienza e la perizia maggiore nella

difficile arte di delinquere impunemente. Se uno di questi membri

eccelle sugli altri per il complesso di tutte queste qualità diventa

di fatto il capo supremo”

G. Mosca Corsi di Laurea in Sociologia e Criminologia Prof. Fabrizio Fornari

La cosca

Potrebbe derivare dal termine coschin, che nella lingua araba significa luogo oscuro, segreto e nascosto.

Riprendendo il significato invalso in Sicilia di chiamare così la brattea del carciofo, che con la sua struttura indica qualche cosa di molto coeso e di intimamente custodito mentre ‘cacocciula’ – che identifica in ambito mafioso il capomafia – rappresenta il carciofo nella sua interezza.

Viene quindi corroborata, sulla base della simbologia e del lessico, una particolare lettura della struttura e dell’organizzazione delle cosche mafiose: se tra le cosche vi è una certa dispersione, all’interno di ciascuna di esse vige un regime di strettissima centralizzazione intorno al capomafia.

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Cosca Mafiosa, ‘ndrina

e mobilità sociale

NELLA COSCA MAFIOSA:

Il vertice è intoccabile (Padrino). E’ la famiglia naturale da

cui la cosca stessa prende il nome.

Nella gerarchia sociale della cosca, la mobilità verticale si

va a fermare al penultimo strato della piramide.

E’ una mobilità dinamica, in continua trasformazione a

causa delle coalizioni e dei continui conflitti per la

spartizione del controllo di un territorio e delle risorse.

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Cosca Mafiosa, ‘ndrina

e mobilità sociale

NELLA ‘NDRINA (cosca della ‘ndrangheta):

Ha una struttura a sviluppo orizzontale e non verticista;

si fonda essenzialmente sui componenti di un nucleo

familiare, legati tra loro da vincoli di sangue, il tutto

rafforzato da matrimoni incrociati tra esponenti delle varie

famiglie (sono documentati anche matrimoni tra cugini) o

con esponenti di altre cosche, per rinsaldare i rapporti tra

famiglie mafiose.

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La gerarchia mafiosa

Cellula base: la famiglia.

Famiglia: controlla un suo territorio dove niente può avvenire senza il consenso del capo.

Alla base vi è l’uomo d’onore: il soldato.

I soldati eleggono “il rappresentante” che tutela gli interessi della famiglia nei confronti di Cosa Nostra.

L’elezione avviene a scrutinio segreto.

I vari rappresentanti delle province con i capi mandamento palermitani (cupola) eleggono coloro che faranno parte della “Regione” un vero e proprio organo di governo dell’organizzazione.

La “Regione” emana decreti e vota le leggi. Prende tutte le decisioni strategiche.

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La gerarchia della ‘ndrangheta

“Capubastuni” o anche detto “mammasantissima”. E’ il vertice.

Quintino, affiliato riconoscibile dal tatuaggio a cinque punte, grado di vertice della ‘ndrina.

Vangelo o Vangelista, chiamato così poiché giura alla ‘ndrina con la mano sul vangelo.

Santista, affiliato che ha ottenuto dei meriti legati alla criminalità.

Sgarrista o Camorrista di sgarro, colui che riscuote le tangenti.

Camorrista, affiliato con più esperienza Giovane d’onore, affiliato per diritto alla cosca poiché figlio di mafiosi.

Picciotto d’onore, ovvero soldato della ‘ndrina.

Giovane d’onore, affiliato per diritto alla cosca poiché figlio di mafiosi.

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La gerarchia della ‘ndrangheta

“l’albero della scienza”

Più ‘ndrine formano la “locale”.

Alcuni codici raffigurano la cosca come un albero: “l’Albero della Scienza”.

Alla base sta il capobastone; il tronco rappresenta gli sgarristi; i rami i camorristi; i ramoscelli i picciotti; i fiori i giovani d’onore mentre le foglie che sono destinate a marcire i traditori.

« Davanti alla gran curti non si parra, pochi paroli e cull'occhiuzzi 'nterra,

l'omu chi parra assai sempre la sgarra! Culla sua stessa lingua s'assutterra »

(Antico detto della 'Ndrangheta)

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Il tipo del mafioso tradizionale

Il mafioso tradizionale è definito in base ai seguenti criteri:

– Origine popolare;

– Appartenenza al ceto medio;

– Possesso di un potere territoriale precisamente

delimitato.

L’uomo di rispetto si arricchisce per mezzo del

comportamento mafioso e ciò comporta una promozione

sociale, un’ascesa onorifica per sé e la sua famiglia.

Oltre a quanto già detto per l’onore, l’omertà, il rispetto, la

ricchezza e il comportamento si può dire che a differenza

del mafioso imprenditore attuale, il mafioso tradizionale ha

una collocazione mediana nella piramide sociale.

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Gli anni ’50 e ’60 in Italia

Sono gli anni del miracolo economico,

gli anni della ricostruzione;

gli anni del boom occupazionale;

degli interventi pubblici per il rilancio

dell’economia nel Mezzogiorno;

del crescente flusso migratorio da sud verso nord;

gli anni del consumismo;

gli anni della dolce vita.

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Gli anni ’50 e ’60 per la

criminalità organizzata

Questi anni rappresentano una svolta sia in termini organizzativi che di valori.

L’intervento pubblico a favore del Mezzogiorno e l’emigrazione di molti giovani uomini hanno determinato una relativa crisi nell’arruolamento.

Non si riesce a dar vita ad un adeguato ricambio generazionale.

La ricchezza diviene la base della reputazione della società mafiosa.

In essa la Mafia si identifica e i beni accumulati divengono simbolo di potenza, di onore e rispetto.

Si gettano le basi per la nuova Mafia Imprenditrice.

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Gli anni ’50 e ’60 la trasformazione,

il boom economico

Dalla metà degli anni Cinquanta, si coagulò un rapporto sempre

più stretto fra mafiosi, uomini politici ed enti pubblici. I mafiosi

diventarono imprenditori e “spregiudicati” imprenditori si unirono

ad essi nella gestione di affari, protetti da alcuni politici che

altrettanto “spregiudicatamente” gestivano le risorse pubbliche.

Dall'edilizia ai mercati generali, si formarono cordate politico-

imprenditoriali di stampo mafioso, sia nel senso che ad esse

partecipavano noti mafiosi, sia nel senso che adottavano metodi di

intimidazione propri della mafia.

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Gli anni ’50 e ’60, la trasformazione,

il boom economico Mentre si andavano cementando i rapporti di tipo

affaristico e clientelare fra mafiosi, politici, imprenditori, funzionari pubblici, la mafia siciliana procedette ad una profonda riorganizzazione interna.

Elemento decisivo, in questo periodo più che in altri, furono i rapporti con alcuni mafiosi statunitensi. Sia attraverso contatti, sia con l'attività in Italia di personaggi come Frank Coppola, legato strettamente al mondo della politica, Lucky Luciano, Joe Adonis, Frank Garofalo, la mafia rinnovò le proprie strutture, si dotò di un'organizzazione più articolata sul territorio, entrò in relazioni d'affari con le più organizzate famiglie statunitensi per gestire il traffico degli stupefacenti. Essenziale, in questa fase, fu la figura di Luciano, proteso ad evitare conflitti dirompenti tramite una programmazione manageriale delle attività mafiose.

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Gli esponenti degli anni ’50 / ‘60

Joe Adonis

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Gli anni ’50-’60 il

boom edilizio

Gli Inzerillo, gli Spatola, i Teresi divengono imprenditori in campo edilizio. Rosario Spatola iniziò professionalmente come lattaio ambulante. Aveva anche ricevuto una contravvenzione perché allungava latte con acqua.

Spatola, 10 anni più tardi, riuscì ad aggiudicarsi il più grosso appalto di lavori pubblici di Palermo: l’edificazione di 422 appartamenti per conto dell’Istituto case Popolari di cui era Presidente Vito Ciancimino (il quale faceva parte della cosca dei Corleonesi).

Il mafioso imprenditore

E’ un capitalista a tutti gli effetti;

Possiede un medio-alto livello culturale;

Il profitto e il potere rappresentano l’espressione

delle sue abilità;

Rapidità della carriera della gerarchia mafiosa;

Introduce la violenza nel suo agire capitalistico;

Incredibile dose di sanguinarietà anche sulla base

del timore di “morire troppo presto”.

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Impresa mafiosa

1. Scoraggiamento della concorrenza

2. Compressione salariale

3. Disponibilità di risorse finanziarie

Questi punti diventano le forze motrici di espansione

dell’impresa mafiosa. Sono le radici della forza di

mercato del potere economico della mafia attuale.

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I vantaggi dell’impresa mafiosa:

Lo scoraggiamento della concorrenza: L’impresa mafiosa riesce ad assicurarsi merci e materie prime a prezzo di favore, nonché commesse, appalti e sbocchi di vendita senza essere esposta alla stessa pressione concorrenziale di cui devono tener conto le altre imprese. La capacità di intimidazione del metodo mafioso è tale da agire come una vera e propria barriera doganale;

La compressione salariale: assume la forma dell’evasione dei contributi previdenziali ed assicurativi e del non pagamento degli straordinari. “Quale ufficio del lavoro”, fa osservare Arlacchi, “si permette di andare ad indagare sul rispetto della legge nelle aziende mafiose?”;

Disponibilità di risorse finanziarie: L’impresa mafiosa non sopporta i costi del credito come avviene normalmente. Si finanzia, in modo principale, dai proventi ottenuti dalle attività illegali (droga, racket, commercio internazionale di armi, usura ecc).

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I vantaggi: corruzione

L’impresa criminale, annulla la possibilità di offerte competitive attraverso il pagamento di una tangente al funzionario;

Qualsiasi tipo di pressione competitiva viene eliminata;

Grazie alla capacità di accaparrarsi fondi pubblici (oltre che orientarne arrivo e destinazione) l’impresa mafiosa in alcuni settori divide rendite con funzionari e politici;

Si accresce così l’interesse ad ostacolare processi di trasparenza da parte dell’operatore pubblico.

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Impresa mafiosa contro

impresa mafiosa

La superiorità concorrenziale dell’impresa mafiosa assicurata dai tre vantaggi competitivi quali lo scoraggiamento della concorrenza, la compressione salariale e la disponibilità finanziaria, viene ad annullarsi nel momento in cui vi è una stessa impresa di tipo mafioso che può godere degli stessi vantaggi.

Il risultato è uno scontro il cui criterio non è la capacità produttiva ma quella coercitiva.

Il risultato è una guerra tra clan, tra famiglie-imprese coinvolte per la lotta alla supremazia economica e territoriale.

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Famiglia e cosca mafiosa

Il vincolo di sangue si impone su ogni altro tipo di relazione.

Divengono sempre più importanti i matrimoni interni ai gruppi mafiosi. Una vera e propria endogamia di ceto.

I matrimoni vengono usati per ricomporre faide sanguinose o per creare aggregazioni più forti.

Il potere, la ricchezza e il prestigio di una cosca mafiosa è strettamente legato al numero dei suoi componenti.

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Gli anni ’70 Italia Sono gli “anni di piombo” ;

I governi durano anche pochi giorni;

Forti scontri di piazza, e successivamente lotte armate che attraverso il terrorismo cercano di sovvertire gli assetti istituzionali e politici del paese;

Si riduce il flusso migratorio da sud a nord;

Le risorse statali destinate al Mezzogiorno non vengono equamente distribuite;

Il sistema imprenditoriale è disomogeneo, e disarticolato.

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Gli anni ’70 per la

Criminalità organizzata

Tutti i migliori magistrati sono impegnati

nella lotta contro le Brigate Rosse e altre

organizzazioni terroristiche eversive;

Pochi si interessano di mafia;

La debolezza della repressione fa prosperare

la Criminalità Organizzata in tutti i settori

dell’economia.

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Gli anni ’70 e la “rinascita della Criminalità Organizzata”

Il vecchio principio di onore e ricchezza viene soppiantato dalla nascita dell’imprenditoria mafiosa;

“…è la presenza di una situazione di marginalità che spinge i mafiosi verso un agire spregiudicato in vista del massimo profitto. In quanto esclusi, il significato della ricchezza diventa per i mafiosi più importante che per altri gruppi della popolazione, poiché per loro il denaro e l’accumulazione costituiscono l’unica via per la riconquista del potere e dell’onorabilità”.

(Sombart, il capitalismo moderno)

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La mafia imprenditrice siciliana

Agli inizi degli anni ’70 la mafia si trova ad avere un eccesso di liquidità dovuto: 1. profitti dell’accumulazione nel settore edilizio

2. accumulo nelle banche di fondi pubblici non spesi facenti parte del “Fondo di solidarietà” versato dallo Stato alla Regione Sicilia

3. dall’enorme quantità di denaro a disposizione delle famiglie siciliane proprietarie delle 344 esattorie dell’isola

• Le famiglie più potenti cercano di reinvestire

queste ingenti liquidità nel traffico di sostanze

stupefacenti.

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Pizza Connection

Alla fine degli anni Settanta le famiglie siciliane (le stesse famiglie del boom edilizio degli anni ’50/’60) dei cugini Rosario Spatola e Salvatore Inzerillo, dei Badalamenti, dei Bontade insieme alla famiglia americana dei Gambino (Carlo Gambino era cugino di Inzerillo) sostituirono i marsigliesi sia nella raffinazione della morfina base proveniente dall'Asia del sud-est che nella vendita dell'eroina all'ingrosso per il mercato statunitense.

Esse realizzarono quell'imponente rete di traffico illegale denominata "pizza connection".

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Pizza Connection II

Truffe, inganni e sospetti erano comunque all'ordine del giorno. Segno visibile di questa nuova attività furono i laboratori per la raffinazione costruiti nei dintorni di Palermo, realizzati grazie ai proventi ottenuti da altre attività (edilizia, intervento pubblico, esattorie).

Il traffico degli stupefacenti portò una ricchezza prima impensabile (ma non per tutte le famiglie nella stessa misura) e determinò la rottura della rigida compartimentazione territoriale delle famiglie generando alleanze tra mafiosi e "uomini d'affari":

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Pizza Connection III

“Pizza Connection”: fu questo il nome che le autorità giudiziarie statunitensi ed italiane attribuirono all’imponente rete per il traffico di eroina, sviluppatasi lungo le rotte atlantiche, soprattutto nel corso degli anni ’70, e alla successiva operazione delle forze dell’ordine che inflisse duri colpi a quella stessa rete, senza peraltro pervenire ad un suo definitivo smantellamento.

Il nome dell’inchiesta dipese dal fatto che la rete della distribuzione dell’eroina in terra statunitense gravitava attorno ad una catena di pizzerie, dove lavoravano un gran numero di siciliani, immigrati a migliaia e perlopiù clandestinamente durante gli anni ’60, ’70.

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Pizza Connection IV

Nel giro di pochi anni la rete delle pizzerie e il circuito monopolistico dei fornitori di prodotti alimentari collegati (oli, pomodori, prosciutto, mozzarella…) sotto il controllo degli stessi siciliani si estese capillarmente a tutto il territorio americano. Nei primi due anni di indagini sembrò che questi locali fossero gestiti dagli uomini della mafia siciliana e americana, apparentemente in modo unitario. In realtà il traffico era completamente in mano agli uomini d’onore siciliani i quali si occupavano dell’acquisto, della raffinazione e dell’importazione dell’eroina in terra americana.

In un’intercettazione Badalamenti disse “abbiamo noi la licenza per importarla, non ce l’ha nessun altro”.

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Mafia e ‘ndrangheta

“due convergenti parallele”

Stringendo accordi con la mafia siciliana la ‘ndrangheta è divenuta di gran lunga più pericolosa.

I maggiori capibastone erano in relazione con i mafiosi siciliani, Mico Tripodo (ucciso poi in un agguato) era stato compare d’anello al matrimonio di Totò Riina che si sposò da latitante, officiante Don Agostino Coppola, uno strano prete coinvolto in sequestri di persona e parente di Francesco Coppola meglio noto come “Frank tre dita”.

Il Giudice Falcone nel suo libro Cose di Cosa Nostra racconta “quando il mafioso canadese Paul Violi venne in Sicilia, a Catania andò a trovare Giuseppe Calderone e in Calabria si recò in visita a Paolo Di Stefano, considerato il boss della mafia locale…” .

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Queste due forme di Criminalità Organizzata danno vita a una e vera e propria economia parallela.

Il numero degli occupati solo nelle “attività illecite” è incalcolabile.

Ma quali sono queste attività?

– Traffico di sostanze stupefacenti;

– Traffico d’armi:

– Appalti pubblici;

– Racket e usura;

– Traffico di rifiuti tossici;

– Prostituzione.

Mafia e ‘ndrangheta

“due convergenti parallele”

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La mafia imprenditrice calabrese

nel mercato degli stupefacenti

La ‘ndrangheta ha attinto dall’industria dei sequestri (ne

sono stati compiuti 207 tra gli anni ’70 e ’90) la conquista

del mercato illegale delle sostanze stupefacenti.

Vincenzo Macrì – Magistrato della Direzione distrettuale

Antimafia – in una sua relazione scrive “si tratta di cosche

dotate di estrema mobilità sul territorio, presenti in Italia e

all’estero, dotate di risorse finanziarie illimitate, con

collegamenti diretti con i produttori e fornitori di cocaina

ed eroina”.

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I cartelli colombiani si fidano di loro. La ‘ndrangheta ha dimostrato disponibilità finanziaria e compattezza nell’organizzazione. Non vi è un grammo di cocaina che camorra, cosa nostra e altre organizzazioni criminali possano acquistare in Colombia senza l’okay della ‘ndrangheta. Tant’è che ne gestisce oltre la metà della produzione.

Piero Grasso, Procuratore Nazionale Antimafia, racconta: “qualche anno fa in Colombia è stato sequestrato un sommergibile che le cosche calabresi intendevano usare per trasportare la cocaina dalla Colombia all’Italia. Un sottomarino, roba da potenza militare. Utilissimo per sfuggire ai controlli radar. Le cosche, attivissime anche nel traffico di armi lo avevano acquistato in Ucraina, nella zona di Kola, dove c’è il più grande ormeggio di navi e sottomarini della ex Urss” .

La mafia imprenditrice calabrese

nel mercato degli stupefacenti

“il comportamento criminale

come decisione razionale” Sin dagli anni ’50 la Criminalità Organizzata ha investito,

movimentato e guadagnato cifre incalcolabili, come incalcolabile è il numero di individui che lavorano nel traffico di sostanze stupefacenti.

Pare doveroso uno sguardo alla teoria del Premio Nobel Gary Becker sul “comportamento criminale come decisione razionale”.

Becker parte dal presupposto che i criminali siano esseri razionali spinti ad agire dalla massimizzazione del proprio benessere. Trasferendo sul comportamento criminale il paradigma della scelta razionale del consumatore in condizioni di incertezza, Becker individua i fattori che determinano la scelta del comportamento criminale:

– probabilità di essere scoperti e puniti;

– severità delle sanzioni;

– reddito disponibile per altre attività legali o illegali;

– valutazione dei benefici ricavabili;

– inclinazione personale a compiere reati e circostanze ambientali.

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Il traffico di sostanze stupefacenti

Le tappe del traffico di sostanze stupefacenti si possono

riassumere in queste fasi:

1. L’esportazione

2. La raffinazione

3. La distribuzione

4. Il taglio

5. La rivendita

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Una rotta del traffico di stupefacenti

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La distribuzione di sostanze stupefacenti

Una volta giunta in Europa e raffinata, la sostanza deve raggiungere i luoghi nei quali, una volta tagliata, sarà poi distribuita.

I metodi utilizzati per il trasporto sono svariati e lasciati alla fantasia di chi – cercando di eludere le forze dell’ordine – sa di rischiare molto e di guadagnare altrettanto.

Alcuni metodi tra i più utilizzati sono il trasporto occultato con altro materiale, auto con doppio fondo, profilattici, ovuli e così via.

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Cocaina nascosta all’interno di arance

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Profilattico contenente cocaina.

• Questo genere di trasporto avviene da parte di donne appartenenti al centro Africa. Per la loro conformazione fisica riescono a trasportare, inseriti negli organi genitali, da uno a due profilattici riempiti di cocaina purissima per circa 600 grammi.

Profilattico contenente cocaina.

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Cocaina contenuta in ovuli Gli ovuli che si mostrano erano contenuti all’interno dello

stomaco di un trafficante. I corrieri che effettuano questo tipo di

“trasporto” vengono chiamati “Ingoiatori” .

Per preparare stomaco ed intestino a contenere fino ad un chilo di

sostanza stupefacente del tipo eroina o cocaina gli ingoiatori

rimangono a digiuno per tre o quattro giorni.

Ciascun ovulo deve essere avvolto con più strati di nastro isolante

poiché non aggredibile dai succhi gastrici.

Ciascun ovulo contiene cocaina pura al 97% che una volta tagliata

avrà un rapporto 1:4/5.

La rottura di un solo ovulo causerebbe la morte del soggetto.

Cocaina contenuta in ovuli II

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Cocaina contenuta in ovuli III Una volta giunto a destinazione il corriere dovrà espellere gli

ovuli tramite feci. Gli ovuli che si stanno lavando sono quelli

mostrati nella diapositiva precedente.

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Sequestro di denaro e

sostanze stupefacenti

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Dall’inchiesta del dott. Gratteri Sostituto Procuratore D.D.A. Reggio Calabria

“… Salvatore Mancuso detto la scimmia (boss mafioso e maggiore fornitore di cocaina della ‘ndrangheta) possiede aziende agricole, imprese, ristoranti di lusso nelle zone più esclusive della Colombia, 50 tra negozi e boutique a Bogotà, a Barranquille e Cartagena. I dollari e gli euro che gli arrivano ogni giorno dalla cocaina sono addirittura incalcolabili. ‘Tale denaro, come si evince in numerose conversazioni captate nel tempo, sarebbe addirittura contenuto in casse di legno sotterrate e, alla bisogna, trasferito in contanti su grossi autotreni, 400 miliardi di lire nascosti sotto terra. In un’intercettazione si lamenta di aver ritrovato mangiato dai topi un miliardo di lire…. ”

(solo in tre casse sono stati rinvenuti 900 milioni di euro)

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Un binomio indissolubile

Traffico di droga e riciclaggio

E’impensabile che i profitti derivati dal commercio di stupefacenti giungano ai beneficiari per vie legali. Per tre motivi:

– il carattere illegale dell’affare;

– le eventuali restrizioni all’esportazione di capitali;

– la naturale prudenza di spedizionieri e destinatari.

Il compito è affidato ad esperti della finanza internazionale i cosiddetti “colletti bianchi”.

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Riciclaggio

“Riciclaggio” è nascondere, occultare o comunque

ostacolare l’accertamento circa l’origine illecita del

patrimonio.

L’obiettivo di questa operazione, spesso composta da

diverse fasi, è di far sembrare legali il denaro ed i valori

patrimoniali ricevuti illegalmente e di introdurli nel

circuito economico regolare.

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Riciclaggio: Il collocamento

(placement stage) o prelavaggio

E’ la fase in cui il denaro entra nel circuito legale;

Per rendere la scoperta il più difficile possibile il denaro

“sporco” viene mescolato a quello “pulito” e versato in

piccole quantità su diversi conti bancari.

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Riciclaggio:

il lavaggio (layering stage)

Tramite il traffico di pagamenti elettronico il denaro arriva

nelle piazze finanziarie internazionali.

Viene creata una rete complessa di conti intestati a

prestanome, da cui nasceranno altri conti aperti in centri

off-shore.

Per aumentare la confusione i capitali vengono trasferiti su

conti intestati a diverse società fantasma.

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Riciclaggio:

il ritorno (integration stage)

Il denaro sporco viene considerato pulito soltanto se la sua

provenienza illecita è interamente occultata e quando il

criminale ha la possibilità di prelevare e investire il denaro

nel suo paese d’origine senza suscitare sospetti.

Inoltre, attraverso società di comodo costituite nei paradisi

fiscali, il denaro viene reinvestito in modo apparentemente

legittimo, in immobili, catene di ristorazione,

partecipazioni azionarie ecc..

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Riciclaggio: Il Private Banking

Private banking si riferisce ad una serie di servizi

principalmente bancari e finanziari forniti a clienti privati

con elevate somme potenzialmente investibili.

Il termine “private” (privato) sta ad indicare l’alto livello di

personalizzazione e impegno offerto al singolo cliente, in

opposizione ai servizi standardizzati offerti dalle istituzioni

finanziarie ai normali clienti.

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Riciclaggio: Il Private Banker

E’ il manager che opera nel Private Banking

E’ uno specialista della segretezza;

I suoi compiti sono:

– gestire il conto corrente;

– avvalersi di fiduciarie segrete;

– trasferire conti presso società off-shore per eludere il

fisco;

– fare investimenti nei mercati globali ad alto rischio;

– creare depositi anonimi;

– si serve di compagnie paravento (PIC)

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Riciclaggio: P.I.C. Private

Investment corporation

Strumento principe per mascherare i beni di una persona;

Sono società fantasma aventi sedi in paradisi fiscali possedute da società fantasma, possedute a loro volta da altre società fantasma una sorta di matrioske russe. Delle vere e proprie scatole vuote.

Hanno la natura più varia: denaro, proprietà immobiliari, oro, azioni e via dicendo.

Sono controllate dalla banca che organizza investimenti e conti.

Nell’anno 2000 c’erano oltre 2,5 milioni di PIC registrate nei paradisi fiscali.

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Un caso di studio I flussi finanziari, le migliaia di dollari che partivano dalla Sicilia, dalle

"banche" di Cosa nostra per essere riciclati in quelle "pulite" prima di Sindona e poi di Calvi, adesso si rivedono nelle dichiarazioni dei

pentiti.

Marino Mannoia ha parlato di una riunione avvenuta a Palermo ed alla quale avevano partecipato il boss Stefano Bontade, i banchieri Sindona e Calvi ed il capo della P2 Licio Gelli. E fu in quell'occasione che Sindona avrebbe passato il "testimone" a Roberto Calvi con la "garanzia" di Licio Gelli. "Stefano Bontade e Salvatore Inzerillo (uccisi, come si è visto, nel 1982) avevano Sindona, i corleonesi avevano Calvi e Gelli", ricorda Marino Mannoia. "Calò, Riina e Madonia avevano investito decine di miliardi a Roma attraverso Gelli che ne curava gli investimenti. Parte del denaro veniva investito nella Banca del Vaticano. Calvi si era impadronito di una somma di denaro che apparteneva a Gelli e Calò. Prima di farlo fuori riuscirono a recuperare il denaro, decine di miliardi, e quel che più conta Calò si era tolto un peso perché Calvi si era dimostrato inaffidabile". E quando in televisione si parlò del "suicidio" del banchiere, Mannoia sentì il boss Ignazio Pullarà commentare: "Ma che suicidio, quello lo ha strangolato Franco Di Carlo".

Michele Sindona

Nei primi anni ‘70 era il personaggio più influente del mondo finanziario italiano. A capo di una delle più grandi banche statunitensi aveva il controllo degli investimenti esteri del Vaticano ed era uno dei principali finanziatori della DC. Era inoltre fortemente sospettato di riciclaggio per conto di Cosa Nostra. Nel 1974 il suo impero crollò e Sindona fuggì negli Stati Uniti. Nel 1979 incaricò un mafioso di uccidere l’avvocato cui era stato affidato il compito di liquidare i suoi affari italiani.

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Michele Sindona II

Sindona si procurò poi l’aiuto dei mafiosi coinvolti nella catena Inzerillo-Gambino-Spatola-Bontade per il contrabbando di eroina, che organizzarono il finto sequestro del banchiere, arrivando addirittura a farsi sparare “previa anestesia” per fornire la prova delle loro intenzioni omicide. Lo scopo reale era salvare le sue banche e i capitali investiti di Cosa Nostra. La manovra fallì Sindona fu rilasciato e si consegnò all’FBI. Morì nel 1986 in prigione a Voghera dopo aver bevuto un caffè al cianuro.

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Roberto Calvi Il 18 giugno 1982 a Londra, sotto il Blackfriars bridge,

viene trovato impiccato il banchiere italiano Roberto Calvi. E’ l’epilogo di una travagliata avventura finanziaria, cominciata là dove era finita quella di un altro banchiere, Michele Sindona.

Ad accomunare i due, oltre all’iscrizione alla Loggia P2, le loro capacità professionali nel sistema dei mille incroci societari, la politica delle "scatole vuote" acquistate e poi rivendute. Nel 1975 Roberto Calvi diventa presidente dell’Ambrosiano. Per impadronirsene completamente, crea una rete di strutture ad hoc, formate da filiali off shore alle Bahamas, holding in Lussemburgo, società pirata in centro-america e casseforti in Svizzera. Nel corso degli anni Calvi crea così un impero – giovandosi soprattutto dei suoi legami piduisti e delle entrature che possiede in Vaticano attraverso lo IOR di monsignor Paul Marcinkus - che si sviluppa a dismisura e che diventa punto nodale non solo del riciclaggio dei soldi sporchi della criminalità organizzata, ma anche per operazioni internazionali di vario spettro: dal traffico d’armi per la guerra delle Falkland-Malvine al finanziamento del sindacato cattolico polacco Solidarnosc, tanto caro a papa Giovanni Paolo II.

Roberto Calvi II

Ma il gioco delle scatole vuote di Roberto Calvi non dura a lungo. Nel 1981, travolto dal fallimento del Banco Ambrosiano, Calvi viene arrestato. Appena scarcerato, fugge all’estero nel tentativo di salvare un impero in disfacimento con il sistema del ricatto politico: un’operazione che non gli riuscirà. Qualcuno gli legherà un cappio attorno al collo. Il suo corpo verrà trovato, penzolante dal traliccio di un ponte, macabra messinscena di un suicidio che in realtà è solo un altro delitto di potere.

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Guerre, profitti e poteri: il porto di Gioia Tauro

I profitti e poteri accumulati nel traffico di sostanze stupefacenti, nell’edilizia e in altre attività illecite vennero reinvestiti nel grande giro di appalti di Gioia Tauro.

Il conseguente scontro con il monopolio del gruppo Piromalli provocò l’uccisione del capo e la semidistruzione della cosca, dei 244 omicidi mafiosi avvenuti in Calabria tra il 1970 e il 1979 oltre il 70% è da ricondurre alla lotta per la supremazia economica e territoriale.

Il Porto di Gioia Tauro rappresenta la quintessenza della criminalità organizzata.

Si concentrano, corruzione, traffico di sostanze stupefacenti, traffico d’armi, racket, usura, tangenti, traffico di rifiuti, speculazione edilizia, prostituzione e anche l’infiltrazione nell’economia locale attraverso il controllo e lo sfruttamento delle attività portuali.

Gli imprenditori della Piana di Gioia Tauro “si sono adeguati alla realtà, riconoscendo l’effettività dell’autorità mafiosa e l’inefficienza di quella dello Stato: considerato che, senza sottoporsi alla mafia, era loro impossibile proseguire l’attività, e che il danno derivante dai danneggiamenti e dalla cessazione dell’attività, sarebbe stato maggiore hanno preferito patteggiare preventivamente la ‘protezione’ della malavita organizzata” (Tribunale di Reggio Calabria 1978, p.25)

Non potendo prescindere dalla presenza mafiosa ed anzi, dovendola accettare come realtà obiettiva, ne hanno fatto una valutazione amorale ed “economica”.

Guerre, profitti e poteri: il porto di Gioia Tauro

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Porto di Gioia Tauro Fu progettato negli anni ‘60

ma inaugurato solo nel 1992 con l’idea di farne il principale scalo di transhipment del mediterraneo.

Un milione e 800 mila metri quadri di banchine, 3 mila navi che ogni anno gettano l’ancora e movimentano più di 7.500 containers al giorno.

Occupa il terzo posto in Europa nella classifica dei porti contenitori (dopo Rotterdam ed Amburgo) ed il primo nel Mediterraneo.

Il porto di Gioia Tauro: l’appalto

L’appalto per la realizzazione del porto di Gioia Tauro, indetto nel 1974 è stato il più elevato fra quelli che erano stati avviati in Italia.

Nell’iniziativa sono stati investiti 285 miliardi da parte della Contship, a cui si aggiungono 138 miliardi a carico di soggetti istituzionali pubblici

La costruzione del porto ha provocato la distruzione di 700 ettari di agrumi pregiati e 200 ettari di uliveti. Sono stati estratti 60 milioni di metri cubi di terra.

Per lungo tempo ha rappresentato una cattedrale nel deserto.

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Il Porto di Gioia Tauro

L’amministratore delegato della Contship Italia ha dichiarato “Gioia Tauro è una polveriera. E questo quando abbiamo deciso di investire lì lo sapevamo benissimo…. È impressionante ammetterlo, ma chi lavora da queste parti rischia la pelle”.

Dell’impresa assediatasi nell’area portuale si dice sia un fortino. Intorno ad essa è stata realizzata una cintura di sicurezza. Oltre due miliardi di lire sono stati spesi per apparecchiature anti intrusione e sistemi di sorveglianza.

Nel porto sono impiegati inoltre circa 200 agenti delle forze dell’ordine.

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Le indagini condotte tra il 1996 e il 1998 nel processo denominato “porto” conclusosi con la condanna di numerosi imputati dimostrarono le volontà della Criminalità Organizzata di mettere le mani sulla straordinaria occasione di arricchimento del porto prima ancora che il concessionario iniziasse la sua attività.

Venne fatto un summit con la partecipazione di tutti i boss delle cosche mafiose della provincia. In tale incontro, scrivono i giudici:

– “…l’interesse mafioso poteva essere soddisfatto con il pagamento forfettario del 3% su tutti i lavori da eseguirsi nella zona, si decideva di rigettare tale proposta, in nome di un diritto di diretta gestione di alcuni settori lavorativi di cui si reclamava il controllo immediato attraverso proprie rappresentanze” (Tribunale di Reggio Calabria 1979, p. 245)

Il Porto di Gioia Tauro:

il progetto

Il porto di Gioia Tauro:

la gestione

In particolare lo stesso Presidente della multinazionale concessionaria, aveva cercato accordi con le ‘ndrine e non le aveva considerate come un nemico della libera iniziativa economica da contrastare e denunciare ma un interlocutore affidabile e necessario a tutela e garanzia della realizzazione del suo progetto imprenditoriale.

Le famiglie dominanti la piana di Gioia Tauro avevano dato vita ad una sorta di rete federale ai cui vertici sedevano i capi delle maggiori famiglie e rappresentate dal Boss Piromalli.

L’accordo prevedeva il pagamento di una sorta di tassa fissa iniziale di un dollaro e mezzo su ogni container trattato in cambio della sicurezza sulla complessiva area portuale.

All’epoca venivano gestiti 60 mila container l’anno, oggi oltre 3 milioni.

Il Porto di Gioia Tauro: la gestione

Oltre alla “tassa di sicurezza” si chiedeva:

– Il controllo delle attività legate al porto

– Assunzione della manodopera

– Rapporti con i sindacati

– Rapporti con le istituzioni locali

Nonostante l’azione della Magistratura i problemi

evidenziati sono ancora irrisolti.

Del resto anche le attività lecite legate alla gestione del

porto sono in mano della Criminalità Organizzata.

Porto di Gioia Tauro:

traffico illecito di rifiuti

Con l’operazione Grande Muraglia nel luglio del 2006 i carabinieri del Noe di Reggio Calabria e dell’Ufficio dogane del Porto di Gioia Tauro hanno sequestrato 135 containers che contenevano la bellezza di 3.170 tonnellate di rifiuti speciali pronti a partire per la Cina, l’India, la Russia, la Liberia e la Nigeria.

Traffico illecito di rifiuti II

Questo carico di veleni è destinato alle discariche a cielo aperto dei paesi di destinazione ma non solo, per quello destinato all’oriente il materiale viene trattato e rivenduto sul mercato cinese, spesso per fabbricare giocattoli che verranno poi loro volta smerciati in Italia e nel resto d’Europa.

Questa operazione ha comportato il

sequestro di:

743.150 chili di rifiuti da

materie plastiche;

154.870 contatori elettrici;

1.569.970 rottami metallici;

10.800 parti di autovetture e

pneumatici;

695.840 di carta straccia

Il Porto di Gioia Tauro:

Traffico d’armi e

prostituzione

Nel 2005 l’inchiesta Harem della Dda di Catanzaro scopre un

collegamento tra la cosca degli Abruzzese e alcuni clan albanesi.

Questi ultimi avrebbero portato ragazze dell’est - soprattutto

albanesi e kosovare - clandestinamente da usare nella statale 106 e

in tutti i locali notturni della costa. In cambio della protezione e

dell’uso del territorio la ‘ndrina chiedeva hashish e armi. Tante

armi. Venne bloccato un cargo con bloccato con 10 mila

mitragliette e kalashnikov rubate negli arsenali esercito di Henver

Hoxa.

Il Porto di Gioia Tauro:

Traffico d’armi Nel 2004 con un’operazione della Guardia di Finanza è

stato sequestrato un carico di oltre 8.000 armi da guerra,

contenute in tre container della "Adnan Bayraktar" una

nave proveniente dalla Romania e destinata, secondo

quanto indicato nei documenti di trasporto, ad una grossa

società americana con sede in Georgia.

Tra il materiale rinvenuto a conclusione di una complessa

“attività di intelligence", vi sono fucili mitragliatori e

automatici, baionette, caricatori e altri accessori militari.

Il valore stimato delle armi è di oltre 6 milioni di euro.

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Porto di Gioia Tauro:

Traffico di Sostanze Stupefacenti Nel 2004 la Guardia di Finanza, ha intercettato e

sequestrato oltre 320 Kg di cocaina occultata all’interno di alcuni fusti contenenti purea di banane. L’intera spedizione, composta da tre containers era partita da Guayaquil (Ecuador). Il valore, non al dettaglio, della sostanza stupefacente è stato stimato in oltre 30 milioni di euro.

In un’altra operazione i Ros dei Carabinieri hanno scoperto 5.500 chili di cocaina purissima. La droga, sbarcata da una nave arrivata dal Venezuela, era

stata sistemata attraverso fori in

alcuni cilindri, occultati dentro

alcuni blocchi di marmo del peso di 5 tonnellate.

Il metodo utilizzato per nascondere le partite di cocaina era ingegnoso. La droga veniva confezionata in panetti circolari da un chilo, simili a forme di formaggio, che successivamente venivano inseriti in tubi di plastica e occultati dentro fori praticati in blocchi di marmo da 20 tonnellate. La copertura era assicurata da due ditte di Vibo Valentia: Lavormarmo e Marmo Imeffe. L'aspetto strettamente commerciale, l'importazione dalla Colombia, era curato dalla Miguel Diez, una società fittizia appositamente costituita dai cartelli colombiani, mentre il trasporto era effettuato all'insaputa della società di navigazione Maersk Sealand. Superate le formalità all'Ufficio dogana, i container erano trasportati in una vicina cava appartenente a Vincenzo Barbieri e Francesco Ventrici, due affiliati alla cosca Mancuso. L'estrazione dei panetti avveniva fratturando i blocchi con martelli pneumatici.

Porto di Gioia Tauro: Traffico di Sostanze Stupefacenti

Porto di Gioia Tauro: Traffico di Sostanze Stupefacenti

Sequestro di 200 kg

di cocaina purissima

intercettata in tre

container ed

occultata in mobili

con doppio

rivestimento

8 tonn. di sigarette di contrabbando di provenienza cinese. Durante i controlli sono state individuate le sigarette all’interno di un container che aveva un carico di copertura composto da jeans, per 1 milione e 163 mila euro;

10 tonn. di sigarette circondate da scatoloni contenenti tazze in ceramica. Per un valore di oltre 2 mil. di euro.

51740 stecche di sigarette marca Capital per un valore di un milione e 750 mila euro occultate in cartoni contenenti sedie

44.150 stecche di sigarette marca “Marlboro” e “Marlboro lights” abilmente occultate dietro un carico di copertura costituito da colli di “bottiglie in plastica” . il valore della merce sequestrata ammonta a circa un milione e 500 mila euro.

Il porto di Gioia Tauro:

Contrabbando di

tabacchi nel 2009

Il porto di Gioia Tauro:

Contraffazione L’operazione si è conclusa con il sequestro di circa 4.000

paia di calzature sportive con il marchio NIKE, per circa 350mila Euro, che transitavano nello scalo calabrese in un container proveniente dagli Emirati Arabi.

Con la seconda azione sono state sequestrate, in quattro container provenienti dalla Cina, circa 45.000 borse per un valore commerciale stimato in circa 400mila Euro, con i marchi e gli elementi figurativi abilmente contraffatti di: Louis Vuitton,Fendi, Burberry, Alviero Martini, nonché il sequestro di circa 685.000 occhiali da vista provenienti dalla Cina, recanti la stampigliatura Italy Design.

Il valore della merce sequestrata, compresi i diritti gravanti, ammonta a circa 2.500.000 Euro

Il Porto di Gioia Tauro

Attraverso lo scalo, la 'ndrangheta è cresciuta fino a diventare uno dei sistemi criminali più forti in Europa. L'infiltrazione mafiosa all'interno della Medcenter Container Terminal, la società che gestisce il porto, è stata accertata da varie inchieste.

Dietro il via vai quotidiano di container si nascondono, come abbiamo visto, i traffici illeciti che le “locali” intrattengono con i cartelli colombiani e le mafie internazionali: per Gioia Tauro passa di tutto.

Intanto il porto ha ricevuto diversi riconoscimenti per l'elevato standard di sicurezza. Compreso quello del governo degli Stati Uniti.

Il porto di Gioia Tauro:

una riflessione

Dopo di anni di guerre per la supremazia della

gestione del Porto di Gioia Tauro si è arrivati ad

una pax dove il controllo è nelle mani di due

cosche dominanti.

Un documento riservato della Prefettura di Reggio

Calabria calcola però che almeno altre 22 famiglie

di ‘ndrangheta abbiano solidi interessi sul porto.

Una presenza ampia che spiega perché “per il

momento” si sia trovato un equilibrio tra famiglie.

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I limiti del capitalismo mafioso:

il rapporto con la giustizia

Il complesso iter burocratico della Giustizia ha contribuito a

rendere meno manipolabile il processo penale.

La semplice vittimizzazione non garantisce più il mafioso

dall’assoluzione.

Per riuscire a trovare sistemi di elusione dalla Giustizia

occorrono:

– Considerevoli investimenti di risorse monetarie;

– Creazione di occasioni per esercitare pressioni;

– Un fornito bagaglio di conoscenze tecniche.

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La fiducia

Mentre i normali uomini d’affari possono godere di tutte le garanzie previste dall’ordinamento giuridico, gli imprenditori “mafiosi” non possono aderire a queste regole in campo economico.

L’istituto della fiducia quindi rappresenta l’unico mezzo per poter effettuare i propri scambi commerciali.

La criminalità organizzata si vede quindi “obbligata” a fidarsi dei propri interlocutori e quindi a stabilire convenzioni, codici e condizioni verbali.

Gli impegni e gli accordi verbali hanno per oggetto transazioni in genere molto importanti e disattendere la fiducia data significa pagare un prezzo molto alto: la propria vita.

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Per la funzione difensiva vengono nominati sempre gli stessi

avvocati al punto tale che l’avvocato stesso viene identificato

come “di quella o di quell’altra” cosca.

In questo modo l’avvocato non fa più gli interessi del singolo

cliente ma quelli del gruppo al quale “appartiene”.

La difesa rappresenta un altro sistema di controllo sul singolo

dei membri della cosca “liberi”. Violando il segreto istruttorio

potrà metterli al corrente di tradimenti, pentimenti o cedimenti

in modo tale da garantire l’organizzazione per le loro mosse

future.

I limiti del capitalismo mafioso:

il rapporto con la giustizia

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I limiti del capitalismo mafioso:

il rapporto con la Giustizia

Una sentenza di condanna, può decidere la carriera imprenditoriale di una cosca o di un mafioso, la supremazia in traffici illeciti con la conseguente perdita di ingenti capitali, fallimenti di aziende, licenziamento di dipendenti.

Per evitare le situazioni sopradette, si utilizzano varie strategie quali:

– Intimidazione di magistrati e periti;

– Ricorso all’omicidio nel caso in cui il magistrati e i periti siano stati poco sensibili alle pressioni mafiose;

– Perizie mediche o psichiatriche compiacenti che tentano attraverso diagnosi di malattie inesistenti di porre in libertà l’imputato.

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I limiti del capitalismo mafioso:

la territorialità

Conoscere la geografia della mafia, significa capire

l’esatta dinamica dei meccanismi imprenditoriali

che scattano in qualsiasi settore dell’economia sia

“lecita” che “illecita” alla quale l’imprenditore

mafioso prende parte.

Le cosche gestiscono aree territoriali ben definite e

non è consentito loro valicarne i confini.

Numerosi atti intimidatori, minacce o addirittura la

cessazione di lavori di costruzione di strade da parte

di aziende che erano andate “oltre” ne sono

esempio.

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I limiti del capitalismo mafioso:

la territorialità

Un limite del capitalismo mafioso è che il nuovo

sistema imprenditoriale non può esimersi dall’invadere

i territori altrui. E quindi lo scontro diviene pressoché

inevitabile.

Ciò che nell’economia legale è visto come

concorrenza, in questo sistema parallelo fa scatenare

vere e proprie guerre tra famiglie.

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Pino Arlacchi

• (Gioia Tauro, 21 febbraio 1951) è un sociologo italiano considerato una delle massime autorità mondiali in tema di sicurezza umana. E’ stato Presidente della Associazione mondiale per lo studio della criminalità organizzata. Grande amico dei giudici Falcone e Borsellino, Arlacchi è stato presidente onorario della Fondazione Falcone e tra gli architetti della strategia antimafia italiana negli anni '90. E’ stato Vice-Segretario Generale dell’ONU e Direttore Esecutivo del Programma per il controllo delle droghe con sede a Vienna.

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Pino Arlacchi

Come consigliere del Ministro degli Interni, ha redatto il progetto esecutivo della D.I.A., la Direzione Investigativa Antimafia, agenzia investigativa interforze specializzata in indagini di mafia.

La D.I.A. venne istituita nel 1991 assieme alla sua interfaccia giudiziaria, la Procura Nazionale Antimafia, D.N.A., progettata da Giovanni Falcone. La D.I.A. e la Procura Nazionale sono oggi i due pilastri del contrasto della grande criminalità in Italia.

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Bibliografia

La mafia imprenditrice – P. Arlacchi

Fratelli di sangue – N. Gratteri, A.Nicaso

La Santa – R. H. Oliva, E. Fierro

‘ndrangheta – F. Forgione

‘ndrangheta – E. Ciconte

Sociologia della devianza – M. Barbagli, E. Savona, A. Colombo

Cose di Cosa Nostra – G. Falcone

Storia della Mafia – S. Lupo

La trattativa – M. Torrealta

La violenza tollerata – A. Dino

La zona grigia, professionisti al servizio della mafia – N. Amadore

Mafie criminalità come impresa – M. Bini

La vecchie, Mafie nuove – R. Sciarrone

Fonti Eurispes

Fonti CSM

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