Corriere del Mezzogiorno · 2011. 12. 26. · di Giulietto Chiesa L’Europa, lodevolmente, dedica...

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  • 07 IN PUNTA DI GRAFITE di Raffaele Miele

    09 EDITORIALI di Riccardo Bonacina Valerio Ceva Grimaldi Giulietto Chiesa Vincenzo Esposito

    12 E IL POCHO PRENDE A CALCI IL DISAGIO di Rosario Pastore

    14 LA RARA MAGIA DI QUELLE MANI di Elena Mearini

    16 CARCERI E OPG SOLITA EMERGENZA di Walter Medolla - Maurizio Regosa

    20 INTERVISTA A ... GIUSEPPE MISSO di Giuliana Covella

    22 LETTERATURA DIETRO LE SBARRE di Silvia Pepe

    25 SPECIALE 2 ANNI CON “COMUNICARE”

    45 CSVNET INFORMA a cura di Clara Capponi

    46 VOLONTARIATO EUROPEO,SGUARDO A EST di Stefania Melucci 48 UN NATALE SOLIDALE di Luisa Corso

    51 SERVIZIO CIVILE MAGAZINE

    53 CRISI ECONOMICA AFFARE PER GLI USURAI di Arnaldo Capezzuto

    54 EMERGENZA FREDDO di Giampaolo Longo 56 LA DIVERSITÀ DIVENTA PATRIMONINO di Rosario Pastore

    58 LA MAPPA DEL SOCIALE NEL SALERNITANO di Mirko Dioneo

    59 SFRATTATA PERCHÈ FIGLIA DI UN BOSS di Francesco Gravetti

    60 DALLE ASSOCIAZIONI a cura di Valeria Rega

    64 RECENSIONI 66 L’ESPERTO RISPONDE a cura di Diego Simonelli

    SOMMARIOEDITORIALE

    Chi l’avrebbe mai detto che l’anno europeo del volonta-riato avrebbe coin-ciso con l’anno euro-peo della crisi? E se il capodanno è da sempre il giorno del cambiamento verso il nuovo, forse, questa volta, per noi italiani è davve-ro il caso di sperare. Ritrovare nelle Istituzioni la fiducia smarrita dentro vent’anni di lunga vacanza, assenza stillata a gocce da una politica inca-pace di agire e di ascoltare. Il 2012 si annuncia con altre gocce, lacrime stavolta. Quelle di una donna, di un Ministro che versa mentre racconta al Paese il suo governo austero. Le critiche gli si fanno incontro. Si risve-gliano sindacati vuoti, partiti di lotta e di governo a seconda dei sondaggi e lobby abituate al potere. Sarà per nostalgia di una politica che dia lu-stro all’Italia. Sarà perché stavolta si son ricordati “cooperazione” e ne hanno fatto un Ministro. Sarà perché quello al Welfare, Fornero, si è pre-sentata alla giornata del Volontaria-to nelle ore in cui si vociferava che stesse spazzando via l’Agenzia per il Terzo Settore. Smacco al predeces-sore Sacconi, spesso assente. Sarà per tutto questo che oggi è il caso di accettare Monti e i suoi tagli per provare a ripartire, senza arretrare, neppure per prendere la rincorsa, come piaceva ad Andrea Pazienza. Un disegnatore come il nostro Raffa-ele Miele che firma l’ultima coperti-na del 2011. Bilancio di un biennio al servizio dei lettori ai quali è dedi-cato lo speciale estraibile “2 anni di Comunicare”. Siamo andati avanti, sempre. Un impegno che per il 2012 cresce e si rafforza con la nuova li-nea mensile. Sempre più Comunica-re, sempre più Sociale.

    di Luca Mattiucci

    L’INTERVISTA

    L’INCHIESTA

    QUI NAPOLI

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    Manovra Montiscelta necessaria

    PHOTONEWS12

    [email protected]

  • IL SOCIALE È... Rendere umane le problematiche attualiLIBRO PREFERITO...“Non avevo capito niente“di Diego De SilvaIL TUO QUOTIDIANO... Stampa e Repubblica, giornali interessantiSEMPRE CON TE... Penne e la mia collezione di MoleskineUN AGGETTIVO...Determinata e umile

    IL SOCIALE È...Una fonte (e un compli-ce) essenzialeLIBRO PREFERITO...OdisseaIL TUO QUOTIDIANO... Il Corriere della SeraSEMPRE CON TE...Come minimo carta e pennaUN AGGETTIVO...Sorprendente

    IL SOCIALE È...solidarietà,convivenza civile,tolleranza,rispetto.LIBRO PREFERITO...Quello che ho sul como-dinoIL TUO QUOTIDIANO... La RepubblicaSEMPRE CON TE...La macchina fotografica.UN AGGETTIVO...Affidabile,curioso e ab-bastanza tollerante.

    IL SOCIALE È...Confronto, integrazione, solidarietàLIBRO PREFERITO...“Martin Eden” di Jack London, IL TUO QUOTIDIANO... Il FattoSEMPRE CON TE...La mia penna e il mio taccuinoUN AGGETTIVO...Curiosa

    StefaniaMelucci

    SilviaPepe

    MaurizioRegosa

    Antonio Risi

    Sono nata a Napoli il 26 dicembre del 1981. Laureata in Scienze Politiche e un master in giornalismo all’Univer-sità di Salerno. Sono giornalista professioni-sta e lavoro come free-lance. Da stagista, ho collaborato con Adnkro-nos e Agi, l’ultima mia esperienza lavorativa è con l’AMI. Le immagini, fotografiche e video, sono la mia passione. Umiltà, curiosità e de-terminazione, le princi-pali caratteristiche per un buon giornalista.

    Per noi ha analizzato la situazione del volon-tariato in Europa, con uno sguardo verso l’Est

    a pag. 46

    Da grande avrei voluto essere apicoltore, ma vivo in città... La prossi-ma tappa sarà un’isola nei mari del Sud. Lo ripeto da qualche anno: prima o poi mi trasferirò (ricordandomi di portare con me Venerdì…). Nel frattempo lavoro come giornalista (occupando-mi di società, economia e terzo settore), vado al cinema (cui ho dedicato qualche libro), vivo a Roma e sono felice per l’amicizia e l’affetto che ricevo (e che cerco, come so, di ricambiare).

    Per Comunicare il Sociale ha analizzato la situazione degli Opg del Paese a pag. 16

    Sono nato a Striano.A 24 anni mi sono trasferito a Milano dove scarrozzavo viaggiatori e merci alla guida dei treni dell’allora FS.Da luglio 2000 mi sono trasferito a Firenze dove vi sono rimasto fino a novembre 2001. Dal 2010 sono tor-nato al punto di partenza,dove vivo e trascorro il resto del tempo quando non sono impegnato a fare i biglietti dei treni alla biglietteria di Napoli centrale.

    Per Comunicare il Sociale è entrato nel carcere di San Vittore per alcuni scatti a pag. 14

    Trentasei anni, una laurea in Storia Contemporanea, una specializzazione da “inviato in aree di crisi” e una passione per la lettura. Sono profes-sionista “freelance” da alcuni anni, collaboro con quotidiani nazio-nali, ma il mio mondo è quello dell’agenzia di stampa, dove le noti-zie si rincorrono e si modificano nell’arco di un minuto. Raccontare la storia di tutti i giorni è un contributo alla vita sociale di un Paese.

    Ha incontrato lo scrit-tore Paul Auster ospite del carcere di massima sicurezza di Napoli

    a pag. 22

    CHI COMUNICA

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  • IN PUNTA DI GRAFITE

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  • Futuro e pensioni: lavorare meno, lavorare tutti

    Volontariato: ripartire da noi

    di Giulietto Chiesa

    L’Europa, lodevolmente, dedica il 2012 al tema dell’”invecchiamento attivo” e a quello della “soli-darietà tra le generazioni”. Grande questione, che minaccia al tempo stesso, anche se in diseguale mi-sura, i vecchi e i giovani. A quanto pare sarà una questioni in cui gli interessi in gioco cercheranno di mettere i giovani contro i vecchi, in nome di propositi che, per quanto imbellettati, non riescono a nascon-dere altri scopi. I due termini sopra usati contengono anch’essi qual-che involontario (?) artificio semantico. Cosa signi-fica infatti “invecchiamento attivo”? Significa una cosa molto cruda: allungamento dell’età pensiona-bile. Cosa significa “solidarietà tra le generazioni”? Disoccupazione giovanile diffusa, lavoro precario per i giovani, e, in più lunga prospettiva, nessuna pensione per una intera generazione di giovani at-tuali. C’è una potente (perché potentemente forag-giata) corrente di pensiero che sostiene che bisogna togliere ai vecchi per dare ai giovani. Argomento: non c’è altro modo per risanare i conti pubblici. Vero? Direi molto falso. L’esito finale di questo tipo di cura è molto chiaro: accrescere la povertà degli anziani, delle famiglie. Che diventerà addirittura lancinante in una pro-spettiva – che ci viene annunciata anch’essa sotto il termine di “risanamento delle finanze pubbliche” - di una drastica cura dimagrante per tutti i servizi sociali, a cominciare dalla spesa sanitaria. Seconda obiezione: ma se agli anziani si chiederà di lavorare più a lungo, quando e dove si apriranno prospettive di lavoro per le giovani generazioni? A questa domanda si risponde annunciando una fu-tura stagione di crescita, dalla quale, magicamente, dovrebbe emergere una soluzione al problema. Ormai il posto fisso è prerogativa di meno del 30% delle forze di lavoro italiane. Gli altri sono “tempora-nei”. Al punto che i loro contributi pensionistici non ci sono per niente o quasi. E quindi per il sistema pensionistico pubblico, le cose peggiorano da tutti e due i rubinetti. Avrei un suggerimento: perché non pensare, sul serio, a una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, invece di mettere i giovani con-tro gli anziani?

    di Riccardo Bonacina

    Alla fine di un triste e vuoto Anno europeo del Vo-lontariato e nella ricorrenza silente dei vent’anni della legge 266/91 che ha riconosciuto, come re-cita l’art. 1: “Il valore sociale e la funzione dell’at-tività di volontariato come espressione di parte-cipazione, solidarietà e pluralismo”, è opportuno interrogarsi su quale futuro aspetta il volontariato nei prossimi vent’anni. Vent’anni dopo, infatti, se qualcosa non cambierà – magari la stessa legge -, il rischio è che il futuro del volontariato sia tutto dietro le spalle, esattamente come il futuro di que-sto Paese. Non ci sarà nessuna ripartenza se non saremo in questione noi. Noi come persone capa-ci di gesti e di impegno. Come ha scritto Maurizio Maggiani : “C’è sempre un uomo, o un’impresa di uomini, ovunque e in ogni tempo, che non rinuncia al suo gesto di bella dignità. La dignità e la bellez-za che riparano dalla rassegnazione, dal cinismo, dalla sconfitta definitiva.” Ecco la ripartenza sen-za la quale parlare di crescita in piena recessione è peggio di un esercizio retorico, è esercizio pateti-co chiunque lo faccia. Questo punto di ripartenza ha a che fare con il risveglio dell’io, di ciascuno di noi, delle comunità. I nostri gesti individuali e col-lettivi devono ritrovare questa epica, questa vasti-tà d’intenti senza la quale c’è solo rassegnazione, depressione o l’indignazione a comando. Oggi è il tempo di chi vuol costruire, anzi, ricostruire. Come indicava Vasilij Grossman: “Accanto al “grande Bene” minaccioso, c’è una piccola gratuità. Quella dei gesti quotidiani e semplici”. Il futuro, prima d’ogni legge o riforma anche auspicabile, o sarà contenuto nei nostri gesti o non ci sarà e se ci sarà, sarà buio. Gesti personali e gesti associativi che sappiano cogliere tutta la portata della sfida che il tempo che viviamo ci propone, con coraggio. Co-scienti che il gratuito non è ciò che è gratis. Il gra-tuito è pensare, fare, realizzare un gesto o un’o-pera perché è buona in sé, perché è bella in sé. Anteponendo, coscientemente e per scelta, questo valore in sé all’utile o all’interesse che se può ri-cavare. Il volontariato può e deve ripartire da qui, dalla sua identità che consiste nel prendersi cura della comunità, dei territori e, infine, del futuro.

    EDITORIALI

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  • Se il vetro nella campana non resta in Campania

    Fino a quando reggeràla “legge del cuore”?

    di Vincenzo Esposito

    [email protected]

    Sussidiarietà orizzontale. Un concetto a molti oscu-ro, ma in sociologia è un principio basilare. Tanto da essere regolato dalla nostra Costituzione. E’ fondato su una visione gerarchica della vita sociale partita dai paesi anglosassoni: le società di ordine superiore devono aiutare, sostenere e promuovere lo sviluppo di quelle minori. Ovviamente in Italia questo principio si è sposato con il cattolicesimo ma non sempre ha dato i frutti sperati. Nel nostro ordinamento il princi-pio di sussidiarietà orizzontale, prima dell’entrata in vigore della legge 3/2001 che ha modificato in parte l’articolo 118 della Costituzione, era già espressa-mente richiamato dall’art. 4, comma 3, l. 59/1997 (prima “legge Bassanini”), secondo il quale il conferi-mento di funzioni agli enti territoriali deve osservare, tra gli altri, “il principio di sussidiarietà, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comu-nità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati”. In poche parole i Comuni. Un lungo preambolo per dire che nel luglio scorso il Consiglio regionale della Campania ha ap-provato all’unanimità la proposta di legge sulla sus-sidiarietà orizzontale, il cui estensore tecnico è stato il dal professore Ermanno Bocchini ordinario di diritto commerciale presso l’Università Federico II. Sembra strano ma è stata una tra le prime. Un evento che esperti del Terzo settore e del mondo cattolico non hanno esitato a definire “rivoluzione copernicana” del sociale. Il problema, però, come per tutte le leggi, è che non resti sulla carta. Bei principi, certo, ma i sol-di per l’assistenza dove sono? Purtroppo i tagli del governo cadono a pioggia sulle Regioni che a loro vol-ta risparmiano sul Welfare. La catena si interrompe quasi sempre ai Comuni che chiudono i rubinetti. Così soltanto a Napoli oltre cinquemila operatori del Terzo settore sono senza stipendio da mesi e trentaseimila persone rischiano l’assistenza. Che viene invece ga-rantita, nei casi più gravi, dagli stessi operatori socia-li che prestano il loro aiuto anche se non vedono una lira. Alla fine vince sempre la legge del cuore. Ma per quanto ancora?

    di Valerio Ceva Grimaldi

    Tanta buona volontà, qualche spot, ma, per ora, soluzioni poche. L’obiettivo di un ciclo virtuoso dei rifiuti, in Campania, è ancora una chimera. So-prattutto perché nessuno ha ancora affrontato il vero problema strutturale, che da anni condanna Napoli e buona parte della regione, alle crisi cicli-che, alle strade piene di spazzatura e al mancato decollo di una raccolta differenziata in grado di dispiegare i suoi effetti benefici non solo sull’am-biente, ma anche sull’economia locale. La diffe-renziata, infatti, ha bisogno di un’apposita filiera impiantistica per generare quella ormai celebre green economy, da tanti decantata, che in que-sta regione è scandalosamente incompleta: que-sta “mancanza” è causa di paradossi incredibili. Un esempio su tutti: in molte regioni d’Italia gli impianti che lavorano le materie prime seconde, raccolte con la differenziazione dei rifiuti, danno sviluppo e lavoro. Ma ciò non accade in Campa-nia, dove di impianti che finalizzano il vetro, i me-talli e la plastica raccolti da tanti cittadini, non ce n’è nemmeno uno. La bottiglia che il napoletano (virtuoso) getta nella campana del vetro è desti-nata ad un lunghissimo tragitto, antieconomico e irrispettoso dell’ambiente, e non diventa un’occa-sione di lavoro e sviluppo di un territorio dove la disoccupazione raggiunge picchi drammatici. In-fatti, la stragrande maggioranza del vetro raccol-to e riciclato in Campania è destinato agli impian-ti di trasformazione del lontanissimo Veneto, che acquista e lavora milioni di tonnellate di materia-le prodotto dai campani. Nella regione ex “felix”, rivela sconsolato Angelo, titolare di una grande piattaforma ecologica, ossia di un’azienda che riceve la raccolta differenziata, manca completa-mente l’impiantistica finale. In pratica, nessuno trasforma gli ex rifiuti, ormai diventati materiale pregiato. Discariche e termovalorizzatori sono la parte più raccontata dai media, ma il vero buco nero è questo. Senza impianti di riciclo, il destino della Campania sarà sempre più nero. E, soprat-tutto, assai poco virtuoso.

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  • E IL POCHO PRENDE A CALCIIL DISAGIO

  • Genio e sregolatezza? Non si tratta solo di questo, nel caso del Pocho. Lavezzi è tutto questo, ma anche qualcos’altro. Di molto importante. Oltre al giocatore che fa impazzire in campo i propri tifosi sia al San Paolo sia in trasferta e che, di tanto in tanto, si concede qualche follia notturna (ma questo aspetto si è prati-camente esaurito) per le vie di Napoli, c’ è qualcosa d’altro. C’è un ragazzo estremamente sensibile, che ha dedicato parte della propria esistenza ad aiutare gli altri. Specialmente quando sono rappresentati da un gruppo di adolescenti bisognosi di tutto. In particolar modo, di affetto e di attenzione. Nella sua città natale, Villa Gobernador Galvez, ubicata nel Dipartimento di Rosario, provincia di Santa Fé, 100mila abitanti in 31 chilometri qua-drati di superficie, il fantasista del Napoli si prende cura di una quarantina di ragazzi, fra maschi e femmine, che fanno parte dell’ ”Associacion Ninos del Sur” (associazione dei ragazzi del Sud, ndr). Quando torna in Argentina, Lavezzi non manca mai di fare una puntatina in associazione, dedicando il maggior tem-po possibile ai suoi protetti. Ai quali si presenta vestito magari da Babbo Natale, con una gerla piena di regali. E con i qua-li ama intrattenersi, impastando acqua e farina per preparare una pizza “comme il faut”. L’associazione mira a dare assistenza nutrizionale; rafforzare l’insegnamento, consolidando le capaci-tà intellettuali; assicurare appoggio sanitario, con seminari di salute sessuale e prevenzioni di gravidanze in adolescenti, oltre all’appoggio psicologico in casi di violenza familiare; fortificare l’integrazione sociale dei bambini e la loro capacità di svilippo nella società; generare vincoli con il proprio ambiente sociale; sviluppare attività di ricreazione. Per questi giovanissimi, il Po-cho non è solo l’idolo calcistico da venerare ma un uomo appena un po’ più grande di loro (ma molto più fortunato), al quale si deve tutto o quasi. Parlandone, Lavezzi racconta che lo fa anche perché ricorda la sua non felicissima fanciullezza. E chi conosce la sua storia, ricorda che, da bambino, Ezequiel aiutava il papà nel suo lavoro di elettricista. Un aspetto poco noto di Lavezzi (in materia è molto riservato) ma sicuramente il più nobile. Il bam-bino con handicap motori ricorderà per sempre l’attenzione che Ezequiel gli dedicò a Castelvolturno; così come i giovanissimi de-genti dell’ospedale Pausilipon, ai quali Lavezzi distribuì palloni, magliette e il suo sorriso. Di tutto questo aspetto, si sa causal-mente. Il Pocho, come tutti quelli che certe azioni le fanno con sincerità, non vuole che si crei troppa enfasi intorno a questo lato intimo della sua vita. Ha quasi nascosto di avere da poco ri-cevuto il premio JCI TOP, destinato ai 10 giovani emergenti della Provincia di Santa Fe, in Argentina, proprio per la sua attività benefica. Appena qualche mese fa, si brontolava per lo sciopero dei superpagati giocatori di calcio. Ebbene, è bello che il mondo dorato del pallone ci regali qualche esempio come quello del Po-cho Lavezzi. Vi assicuriamo, non sono pochi.

    EZEQUIEL LAVEZZI,FUORICLASSE

    ARGENTINO DEL NAPOLI, SI DEDICA, CON LA SUA

    ASSOCIAZIONE “NINOS DEL SUR”,

    AI BAMBINI DI VILLA GOBERNADOR GALVEZ

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    di Rosario Pastore

    PHOTONEWS

  • PHOTONEWS

    LA MAGIADI QUELLE MANI

    Foto di Antonio Risi - Biblioteca carcere di San Vittore

    1414

    NELLA BIBLIOTECA DEL CARCERE DI SAN VITTOREDOVE UN LIBRO PUÒ SIGNIFICARE RISCATTO SOCIALE

  • Le mani frugano tra le pagine, cercano una frase da attaccare alle dita, qualche parola che resti sotto le unghie, una voce da stringere dentro il pugno. Sfogliano, le mani, accumulano duroni di carezze a furia di coc-colare righe stampate. Sono mani abituate a cacciarsi dentro ai rovi degli aghi, votate al buco di una siringa che ha messo al chiodo la stretta, alla croce ogni presa. Mani finite a penzolare dentro a due cerchi di ferro, dieci dita a ciondoloni dietro la schiena, davan-ti alle sbarre. Mani disossate, buone solo al bollito misto, allo stracotto che scompare in pancia. Viene da pensare così, se non fos-se per questa tana di libri salvi, per questa stanza di storie catalogate e soccorse proprio da loro, da quelle mani altrimenti destinate a fuoco e padella. Qui, nel carcere di San Vit-tore, esiste una biblioteca che recluta mani per scampare all’agonia della carta straccia. La destra e la sinistra di V. sono state chia-mate a combattere in prima linea, per la di-fesa di volumi da mantenere in salute e for-za sopra gli scaffali. V., Europa dell’est negli occhi, un distacco di patria dentro il petto, è il detenuto che si occupa di curare i libri, strapparli al coma dell’abbandono. Ascolta il battito di Stendhal, controlla la pressione di Calvino, si accerta che il sangue di Dante abbia valori buoni. Passa svelto dal pigiama a righe al camice bianco, qui in biblioteca V. è già medico e non più galeotto. Tiene la responsabilità di chi deve mettere il cerotto sopra la ferita, lo sanno bene le sue mani. Si muovono decise, scrivono il numero di ri-conoscimento per l’archivio, liberano il libro dall’anonimato dei dispersi e gli restituisco-no identità e residenza, i diritti dei ritrovati. V. mi confida che gli scaffali sono finestre aperte, da lì entrano ed escono racconti, al-fabeti venuti da fuori. Voci in processione, a portare la fiaccola di uno slargo dentro la strettoia della galera. E allora si cammina liberi, sopra il libro aperto. Si fa il giro largo, fino a perdere il conto di quei passi che in cella non sono mai più di quattro.Sono d’accordo le sue mani, a dieci dita tut-te vive. Tra copertina e libertà.

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    di Elena Mearini

  • L’INCHIESTA

    Sarà un caso, ma dopo l’intervento del Presidente Napolitano sulla funzione delle carceri e sul ruolo rieducativo che «troppo spesso appare distante dal detta-to costituzionale», il Dipartimento dell’am-ministrazione penitenziaria, segna una svolta storica. Un po’ come negli ospedali, vengono introdotti i codici: bianco, giallo, verde e rosso. Colori per innovare la ge-stione dei detenuti comuni e per favorire il recupero sociale. Celle aperte per chi si è distinto per buona condotta e non si è macchiato di reati di violenza (extracomu-nitari, tossicodipendenti e nuovi poveri). Celle aperte che potrebbero significare reinserimento e opportunità. Nuove re-gole anche per prevenire i suicidi con la costituzione di un gruppo di intervento interdisciplinare, anche perché di suici-di in carcere se ne verificano quasi tutti i giorni, per la precisione uno ogni cinque. Dall’inizio dell’anno sino agli inizi di no-vembre si sono registrati 158 morti in car-cere di cui 60 per suicidio. Nel 2010, secondo il rapporto sulle con-dizioni della detenzione promosso dall’as-sociazione Antigone, i morti in carcere

    sono stati 184 di cui 66 per suicidio. In carcere si toglie la vita un detenuto ogni mille circa. Fuori dal carcere circa una persona ogni ventimila.LA SITUAZIONE CARCERI Dati e cifre che raccontano una situazio-ne al collasso, con celle superaffollate e personale di sorveglianza ridotto al mi-nimo indispensabile. Nelle patrie galere sono recluse circa 67.583 persone (solo 37.213 i reclusi con condanna definitiva), di cui 2.877 donne, per un totale di circa 45mila posti letto. Peggio di noi solo la Spagna, con un in-dice di sovraffollamento pari a 153 dete-nuti ogni 100 posti letto disponibili, con-tro una media europea di 104. Alzando lo sguardo verso Nord, troviamo l’eccellenza dei Paese Bassi e della penisola scandina-va con un indice pari a 79 e a 90. Un’emergenza conclamata e mai risolta. Il “piano carceri” pensato dall’ex mini-stro della Giustizia Angelino Alfano, circa un anno fa, proponeva l’assunzione di 2mila poliziotti penitenziari, la costru-zione di 11 nuovi Istituti e l’ampliamen-to, con nuovi padiglioni, di 20 strutture

    CARCERI E OPGSOLITA EMERGENZA

    TUTTI I DATI DI UNA SITUAZIONE CHE RASENTA IL DRAMMA.DAI SUICIDI AL NUMERO DEI DETENUTI PER OGNI CELLA

    UN RECORD NEGATIVO: IN EUROPA SOLO LA SPAGNA STA PEGGIO

    «Dati e cifre che denunciano una situazione al collasso con personale di sorveglianza ridotto al minimo indispensabile»

    di Walter Medolla, Maurizio Regosa

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  • già esistenti . Un provvedimento, che co-munque, non ha portato a risultati par-ticolarmente brillanti e al suo completa-mento mancherebbero comunque 13mila posti letto. «Il sistema penitenziario vive il periodo peggiore dal dopoguerra a oggi- sottolinea Franco Ionta, capo del Dipar-timento amministrazione penitenziaria (Dap, ndr)- .Un’emergenza aggravata so-prattutto dal sovraffollamento, dai vuoti in organico e dalla permanenza in carce-re solo per brevi periodi. Naturalmente va tutto a discapito della rieducazione e del reinserimento dei detenuti». Secondo il Decreto Ministeriale dell’8 febbraio del 2001, la pianta organica della Polizia pe-nitenziaria dovrebbe prevedere la pre-senza di 45.109 unità, mentre l’ orga-nico attuale conta circa 39mila uomini. Stesso discorso per coloro che dovrebbero facilitare l’opera di recupero e di reinse-rimento dei detenuti: su 1.331 educato-ri e 1.507 assistenti sociali previsti da disposizioni ministeriali , lo scorso anno risultavano in servizio 1.031 educatori e 1.105 assistenti sociali, una carenza totale di ben 700 unità. I COSTIDati diffusi dal Dipartimento delle Polizia Penitenziaria parlano di una spesa gior-naliera per detenuto di circa 113 euro, oltre 7milioni e mezzo al giorno. Soldi, però, utilizzati anche per il mantenimen-

    to della struttura, del personale oltre che per il sostentamento dei reclusi. Secon-do dati raccolti da Antigone, per ogni de-tenuto vengono spesi «meno di quattro euro per i tre pasti giornalieri previsti. Un prezzo davvero basso, infatti il Dap, nello stanziare i fondi necessari alle spese per la fornitura del vitto fa i calcoli preveden-do che una parte verrà messa direttamen-te dai detenuti, attraverso il sopravvitto. Cioè l’acquisto, a proprie spese, di generi alimentari e di conforto, entro i limiti fis-sati dal regolamento, così come previsto dall’ articolo 9 dell’Ordinamento peniten-ziario». Dati raccolti dall’Associazione “Ristretti Orizzonti”, dicono che «dal 2007 al 2010 le spese sono state ridotte del 10%, ma in modo diseguale: il personale ha rinunciato al 5% del budget, i detenuti e le strutture penitenziarie hanno avuto il 31% in meno di fondi. Il costo medio giornaliero per ogni detenuto è al minimo storico, per l’effetto concomitante dell’au-mento della popolazione detenuta e della diminuzione delle risorse. Per la “riedu-cazione” la spesa risulta a livelli irrisori: nel “trattamento della personalità ed assi-stenza psicologica” vengono investiti € 2,6 al mese… pari a 8 centesimi al gior-no! Appena maggiore il costo sostenuto per le “attività scolastiche, culturali, ri-creative, sportive”: € 3,5 al mese, pari a 11 centesimi al giorno per ogni detenuto».

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    OSPEDALI PSICHIATRICI GIUDIZIARIA parlar chiaro, anche all’opg di Aversa, sono i numeri. Cifre drammaticamente eloquenti che riferiscono, per il 2010, 7 suicidi, 6 decessi naturali, 50 atti di au-tolesionismo, 175 aggressioni, 34 episo-di di protesta, 83 invii all’ospedale. In pratica, l’inferno in terra: il campano non è il più grande ospedale psichiatrico giu-diziario d’Italia (ha “solo” 250 pazienti cir-ca, contro i quasi 350 di Barcellona Pozzo di Gotto), eppure è quello che meglio sim-

    boleggia queste istituzioni «inconcepibili in qualsiasi Paese appena appena civile», come ha detto il presidente Giorgio Napo-litano. Luoghi pensati per il recupero e il trattamento, nei quali però di cura non c’è traccia, in cui si vive non ai limiti ma oltre la disumana condizione. Luoghi, insomma, in cui la tortura è istituzionalizzata. Piccole Guantanamo, tristemente ante litteram.Sono 6 gli Opg (Ospedale psichiatrico giu-diziario) in Italia e Aversa li simboleggia per un motivo molto semplice. Da qui, da que-ste mura ottocentesche ormai fatiscenti, da queste camere sovraffollate e misere, da questi letti sporchi e trasandati, è partita la denuncia. Qui, al “Filippo Saporito”, sono venuti, nel settembre 2008, i membri del Comitato europeo per la prevenzione della tortura: una visita a sorpresa, in seguito alla quale hanno stilato un rapporto reso noto solo nel 2010. Maltrattamenti inac-cettabili, condizioni igienico-sanitarie inso-stenibili, degrado totale e assenza di cure. Alla sua pubblicazione, questo verdetto ha sollecitato altre iniziative, come quella del-la Commissione parlamentare d’inchiesta guidata da Ignazio Marino. E, a seguito di

    altre visite ispettive, sono scattate diverse inchieste giudiziarie, si sono intensificati i controlli da parte dei Nas (che di recente hanno sequestrato la farmacia dell’Opg), è cambiata la direzione, si è lentissimamente avviato un percorso di dismissione dei pa-zienti non pericolosi. Spenti i riflettori, però, il disagio è rimasto. Nei primi dieci mesi del 2011, per dire, ci sono stati sette morti. «LA LEGGE NON PUÒ VIOLARE I DIRITTI»«Alcuni miglioramenti ci sono stati», pre-mette Dario Stefano Dell’Aquila di Antigo-ne, una delle associazioni che hanno dato vita al comitato «Stopopg» (stop agli Opg), un movimento che ha stilato un duro ma-nifesto che si rifà alla Costituzione e al suo articolo 32: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto del-la persona umana». «La sezione peggiore, chiamata Staccata, è stata chiusa - prose-gue dice Dell’Aquila - i letti di contenzione sono stati aboliti, è lievemente migliorato lo standard detentivo e ospedaliero». Pas-si avanti minimi, comunque. Al posto del-la contenzione, ad esempio, oggi si ricorre all’isolamento in cella liscia. Continua a mancare un modello condiviso di presa in carico da parte della Asl e le dismissioni, pur avviate, sono spesso di pura facciata: «Quando una struttura è al limite, spesso si trasferiscono i pazienti da un opg all’altro. Da Aversa vanno a Barcellona, e vicever-sa». Un ascensore da un inferno all’altro, insomma. D’altro canto, sarebbe difficile realizzare veri miglioramenti: ad Aversa (che pure costa 4 milioni di euro l’anno), operano, per un pugno di ore, 2 psicologi e 6 psichiatri convenzionati. In pratica la “terapia” per ciascuno dei 250 pazienti è possibile una volta al mese e per pochi minuti. Di fatto la gestione del trat-tamento è affidata ai 48 infermieri e ai po-chissimi operatori socio-assistenziali. Una scarsità di risorse che non riguarda il solo “Filippo Saporito”. Soprattutto, però, non è ancora stato sciolto il problema di fondo. Che è: fine pena, mai. «Va cambiato il mec-canismo della proroga: è troppo discrezio-nale - conclude Dell’Aquila -. Basta una re-lazione sfavorevole e al paziente che ha già scontato la condanna può essere rinnovato il ricovero di sei mesi in sei mesi. Ad Aversa c’è uno che ha rubato un pacchetto di siga-rette. È dentro da sette anni. Per lui quale recupero?».

  • informazione pubblicitaria

  • «In carcere ho letto molti libri, tra cui “Il processo” di Kafka, “Viaggio al termine della notte” di Cèli-ne, “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij. Testi di autori liberi su cui si potrebbe aprire un dibattito,

    perché la cultura è lo strumento attraverso il qua-le ritrovare la propria dimensione di uomo e cit-tadino. Purtroppo in Italia il detenuto medio non legge. Le piaghe del nostro sistema penitenziario

    sono tante. Dai suicidi in vertiginoso aumento per carenza di consulenza psicologica; ai percor-si lavorativi interni solo per pochi; alla mancanza di una scuola che sia una “palestra di cultura” ». Sessantaquattro anni, di cui 34 passati dietro le sbarre in diversi istituti di pena italiani, Giuseppe Misso (all’anagrafe Missi), ex boss della camorra ed ora collaboratore di giustizia, traccia un bilan-cio tutt’altro che positivo del sistema carcerario in Italia.Lei ha trascorso oltre trent’anni in numerosi istituti di pena italiani. Secondo lei che cosa dovrebbe garantire il carcere al recluso?«La certezza della pena è cosa giusta, ma ancor più giusta è la certezza del lavoro. Durante la re-clusione il carcerato dovrebbe seguire un percorso professionale e formativo che gli possa garantire il concreto reinserimento nella società».Si spieghi meglio…«Nessuno nasce criminale. La mancanza di lavoro e di cultura porta inevitabilmente l’individuo a de-linquere. Penso all’architettura delle Vele di Scam-pia. Di fronte ad un’edilizia popolare di quel tipo, un bambino non può che diventare un criminale».Cosa dovrebbe essere e cos’è, il carcere?«Dovrebbe essere un centro di recupero e di riabili-tazione. Invece è un luogo di tortura e sofferenza».Si riferisce alle condizioni di invivibilità di al-cune prigioni, dove i detenuti subiscono so-

    MISSO: «LE CARCERI? UN INFERNO ITALIANO»

    BOSS INDISCUSSO DELLA CAMORRA DEGLI ANNI OTTANTAOGGI COLLABORATORE DI GIUSTIZIA. LA SPIETATA DENUNCIA

    DI GIUSEPPE MISSO, DIETRO LE SBARRE DA 34 ANNI.

    INTERVISTA

    20

    di Giuliana Covella

    «La legge del più forte è la sola che esista. Ho girato tanti istituti di pena: il peggiore di tutti, l’Ucciardone di Palermo»

    In foto, l’esterno del carcere palermitano dell’ Ucciardone

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    prusi e violenze che spesso vengono taciute?«Sì. All’interno delle carceri si consumano violenze e prevaricazioni di ogni tipo. Ma nessuno ne tiene conto. L’impatto peggiore, poi, per chi arriva in carcere sono i cosiddetti luoghi di transito, celle di attesa lerce e ma-leodoranti, dove c’è finanche il sangue sulle pareti e dove si rimane chiusi dalle tre alle sette ore prima dei controlli. Un paradosso che contraddice l’articolo 27 della Costituzione (“…le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rie-ducazione del condannato”, ndr).I boss però ricevono un tratta-mento migliore in carcere, nel senso che il più delle volte conti-nuano ad esercitare il loro potere anche dietro le sbarre o sbaglio?«Sì, i cosiddetti boss vengono tratta-ti meglio dei detenuti, per così dire, normali, eccetto quelli sottoposti al 41bis».Una misura restrittiva, quest’ulti-ma, di certo molto dura. Lei come la giudica?«È un regime carcerario disumano, ma anche ciò che lo ha prodotto è stato disumano, come le stragi in cui hanno perso la vita tante per-sone innocenti, tra cui magistrati e rappresentanti delle forze dell’ordine che non facevano altro che il loro do-vere».In quali case circondariali è stato rinchiuso in tutti questi anni?«Sollicciano, Bologna, Ascoli Piceno, San Vittore, Ucciardone, Livorno, Spoleto, Carinola, Prato, Parma, Re-bibbia, Poggioreale…».Qual è tra queste, a suo dire, la struttura più invivibile?«L’Ucciardone (il carcere palermita-no, ndr), dove sono stato detenuto al regime EIV (Elevato Indice di Vigi-lanza), ossia l’anticamera del 41bis. Un carcere crudele dove vigono le norme dell’abuso e del sopruso più di ogni altro penitenziario del nostro paese. Appena si arriva la prima cosa che ti dicono è: “Qui siamo a Palermo”. Subito dopo si viene par-cheggiati in un “canile”, detto così perché simile ad un rifugio per cani municipale, in attesa di essere smistati dopo sette o otto ore. Il detenuto, prima di andare al colloquio coi familiari, viene fornito di un sacchetto dove deve in-

    serire la biancheria sporca. In quello stesso sacchetto i parenti mettono quella pulita. Ecco cos’è l’Ucciardo-ne, un’agonia a norma di legge che non è paragonabile nemmeno a Poggioreale (istituto di pena napoletano, ndr)». Con 206 carceri e 20mila detenuti in esubero, l’I-talia, secondo il rapporto “Prigioni malate” di An-tigone onlus, risulta seconda solo alla Serbia per il tasso di sovraffollamento e per un suicidio ogni

    cinque giorni… «Purtroppo è vero. A Poggioreale, ad esempio, in una cella di 10 metri quadri sono relegate dalle venti alle venticinque persone. Una cella che – in pratica – in un carcere normale sarebbe una sezione, dove i letti arri-vano fino al solaio».Dall’inizio del 2011 ad oggi i mor-ti in carcere in Italia sono 154, di cui 53 per suicidio. Perché molti si tolgono la vita, secondo lei?«Perché manca l’assistenza psicolo-gica. Specie per i tossicodipenden-ti, che io paragono a naufraghi alla deriva del nulla, abbandonati al loro destino. Nella maggior parte dei casi c’è un solo psicologo per seicento-settecento detenuti».Che ne pensa, invece, dello stato fatiscente delle nostre prigioni?«Ricordo che a Pianosa c’era la se-zione Agrippa, costruita negli anni di piombo sotto la direzione del ge-nerale Dalla Chiesa e destinata ai terroristi. Nei primi anni Ottanta vi furono rin-chiusi i mafiosi, ma dopo un accor-do tra Cosa Nostra e lo Stato furono mandati via, per rinchiudervi espo-nenti della “Nuova Camorra Orga-nizzata” e “Nuova Famiglia”. Quella sezione fu chiusa nell’86. Allora la mafia era lo Stato, non l’Anti Stato».Quanto contano il lavoro e la scuo-la nel recupero della persona?«I percorsi lavorativi sono solo per pochi. Le carceri dovrebbero essere grandi fabbriche cui le imprese pos-sano attingere manodopera. Si dovrebbe, inoltre, incentivare la cultura con la creazione di seminari, laboratori di lettura, presentazioni di

    libri. Gran parte dei detenuti passa il tempo a guarda-re in tv reality e fiction piuttosto che leggere i classici come Kafka, Nietzsche e Dostoevskij».

    Giuseppe Misso, detto “Peppe ‘o nasone”, è sta-to uno dei più temuti boss del quartiere Sanità. Nato nel 1947, fin da giovanissimo si dedicò ad attività criminose, insieme con Luigi Giuliano, appartenente alla famosa “famiglia” di Forcella. Dopo qualche anno di carcere, ven-ne rimesso in libertà proprio nel periodo in cui a Napoli in-furiava la guerra fra la NCO guidata da Cutolo e la Nuova Famiglia. Non trascorse mol-to tempo che Misso si ritrovò coinvolto in nuovi episodi, con una “escalation” incredibile. Aveva aperto un negozio di abbigliamento in via Duomo. L’attività entrò fra le mire del racket Giuliano, al quale Mis-so si oppose. Da qui il con-trasto sanguinoso fra il clan Misso e il clan Giuliano. Dopo la strage sul rapido Napoli-Milano del 1985 (17 vittime), Misso, considerato coinvolto, fu condannato all’ergastolo ed assolto in secondo grado e in Cassazione. Proprio il gior-no dell’ultima sentenza favo-revole, in un agguato venne uccisa la moglie. Seguì un’al-tra lunga faida. Ultimamente, Misso ha cominciato a colla-borare con la giustizia.

    CHI È

  • Un newyorkese, scrittore di fama mon-diale, autore di alcuni tra i libri che hanno segnato la letteratura contempo-ranea, è entrato in punta di piedi in un carcere di massima sicurezza italiano e ne è uscito felicemente “arricchito”. Paul Auster, autore di “Trilogia di New York” e “Invisibile”, ha varcato le porte del Carce-re di Secondigliano, incontrato i detenuti e discusso con loro del suo ultimo lavo-ro, “Sunset Park”. Invitato dalla Fondazione Premio Napoli per ritirare il Pre-mio della sezione “Lettera-ture Straniere”, Auster ha partecipato ad un reading in un luogo diverso da-gli altri, rispondendo alle domande dei suoi lettori, detenuti napoletani, che fanno parte di uno dei co-mitati di lettura del premio letterario.I suoi racconti descrivono quasi sem-pre situazioni di emarginazione, per questo motivo ha partecipato a questo incontro in carcere?«Per me questa è la prima esperienza in un penitenziario. O meglio, quando ero giova-ne sono stato arrestato. Ero uno studente e protestavo durante una manifestazione,

    ma trascorsi solo una notte in una picco-la cella di un commissariato di zona, poi fui rilasciato. In effetti sono sempre stato interessato alla vita carceraria, alle sue dinamiche e alle sofferenze che si vivono quando si è reclusi. A pensarci bene tutto il mio lavoro è concentrato su personaggi che vivono in spazi ristretti, ma non ero mai entrato in un carcere neanche negli Stati Uniti. Per questo quando sono sta-

    to invitato a Secondigliano ho accettato subito, mi è sembrata un’opportunità di arricchimento. E lo è stata».Che sensazioni ha prova-to durante l’incontro con i detenuti?«Indipendentemente da quello che questi uomi-ni hanno fatto nella vita per trovarsi in un carcere, essere reclusi è terribile.

    Stare in una cella per venti o trent’anni è durissima, sono esseri umani e devo-no trovare un modo per andare avanti. Ho avuto la sensazione che leggere sia una delle attività che aiuta le loro men-ti a rimanere attive. Uno dei detenuti mi ha detto che quando legge si sente libero. Credo sia vero».

    QUANDO LA LETTERATURA FINISCE TRA LE SBARRE

    LO SCRITTORE PAUL AUSTER NELL’ISTITUTO DI MASSIMA SICUREZZADI SECONDIGLIANO SI CONFRONTA CON ALCUNI LETTORI,

    MOLTO PARTICOLARI, SUL SUO ULTIMO LIBRO, “SUNSET PARK”

    «In effetti sono sempre stato interessato alla vita carceraria, alle sue dinamiche e alle sofferenze che si vivono da reclusi»

    di Silvia Pepe

    L’INCONTRO CON I DETENUTI NEL CARCERE DI NAPOLI

    INTERVISTA

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  • Cosa le hanno chiesto?«La maggiore parte dei detenuti mi ha fatto domande sul libro, sul mio modo di scrive-re, sui miei personaggi e sulla creatività, ma soprattutto volevano sapere se dopo avere visto Napoli avrei avuto voglia di scri-vere un libro ambientato qui».Insomma un po’ “vedi Napoli e poi...scrivi”.«Sì, credo di sì. Questa esperienza mi ha segnato e non è detto che non ne tragga ispirazione per un lavoro futuro. Del resto credo che l’interesse per il mio lavoro che ho trovato a Secondigliano, e a Napoli in generale, l’ho percepito raramente in al-tri luoghi fuori dagli Stati Uniti. C’è stato un detenuto, un signore vestito in giacca e cravatta, che era stato arrestato da poco e non aveva ancora avuto tempo di legge-re il mio libro; aveva un quotidiano locale in mano con una mia intervista. Ha voluto che la firmassi, e poi mi ha chiesto una de-dica nel mio prossimo libro. E’ stato molto divertente».In “Sunset Park” ci sono molti riferi-menti al concetto di illegalità e al sen-so del bene comune. Una premonizione

    sulla rivolta degli “indignados” newyor-kesi?«Osservo molto il mondo che mi circonda quando scrivo un libro. I personaggi di “Sunset Park” occupano una casa a Bro-oklyn perché oppressi dalla crisi economi-ca e perché vogliono riprendersi gli spazi persi, il futuro. Molti giovani finiscono per non credere più al futuro e trovano soluzio-ni alternative, prendendosi quello che gli spetta e rischiando anche di essere arre-stati. Non si tratta di illegalità, ma appunto di un senso più alto di bene comune, che è un concetto molto vivo in Europa, molto più che negli Stati Uniti».Sta già lavorando a qualcosa di nuovo?«A una mia autobiografia, ma non di quelle classiche. Sarà un racconto dei viaggi che ho fatto, dei luoghi che ho visto, delle sen-sazioni del corpo, del cibo che ho mangia-to. Mi è molto difficile parlare di me. Men-tre scrivo il libro diventa altro. Una storia di tante cose, parlo molto di mia madre, dei ventitre indirizzi diversi che ho avuto in tutta la vita, della solitudine. Perché in fon-do anche io mi sento solo, un po’ come tutti gli esseri umani, un po’ come i detenuti».

    «A Napoli un detenuto appena arrestato mi ha chiesto l’autografo sulla copia di un giornale con una mia intervista»

    A sinistra Paul Auster, sopra detenuti nel carcere di Secondigliano

    23 Foto di Enzo Barbieri

  • Chi l’ avrebbe mai detto che dall’ eruzione lo scorso anno del vulcano islandese dal nome impronunciabile sarebbe nata l’ idea destinata a rivoluzionare la vita virtuale dei non vedenti ? Fu proprio in quei giorni che Sonia Topazio, capo uffi-cio stampa dell’ istituto nazionale di vulcanologia, inviò, per mancanza di tempo, anziché un tradi-zionale comunicato stampa un file audio mp3. Di qui la creazione di un social network destinato a fare storia: Freerumble, che attraverso la condi-visione di file audio rende possibile l’interazione per tutti. Il funzionamento? Semplice: ci si iscrive creando un account ed anziché iniziare a scrivere si comincia a registrare. La sezione Rumblesecret poi raccoglie i messaggi privati. Ma la chat e solo una delle tante funzioni del sito. Rumblepedia, ad esempio, e la sezione dove si trovano tutti i con-tenuti, ordinati per popolarità e lingua. Ma non è tutto, il progetto si rivolge anche alla scuola: gli alunni potranno richiedere riassunti di libri di testo non disponibili sul web. Infine, ci sarà an-che la possibilità di inserire descrizioni di opere artistiche, consentendo ai non vedenti di avere a portata di click un museo virtuale. www.freerumble.com

    Si chiama “150+” la nuova rivista bimestra-le della Croce Rossa Italiana in distribuzione proprio in questi giorni attraverso i canali CRI. Sul primo numero uno speciale sui Migranti, dall’e-mergenza Lampedusa fino a oggi e un’intervista a Lorella Cuccarini, impegnata assieme alla CRI in occasione di “30 Ore per la Vita”. Direttore Re-sponsabile è Tommaso Della Longa. Il giornale, indirizzato ai circa 150 mila volontari della CRI in tutta Italia e non solo, conterrà approfondimenti su grandi temi nazionali ed internazionali oltre a uno spazio dedicato alle oltre 1000 sedi della Croce Rossa Italiana su tutto il territorio nazionale. www.cri.it

    Ad anticipare il 2012, anno europeo dell’invecchiamento attivo e del dialo-go tra generazioni, ci pensa la Fondazione Mondo Digitale che lancia, con il sostegno di Intel Italia, il primo concorso per “Nonni 3.0”. L’idea è quella di realizzare laboratori di “alfabetizzazione del 2.0” per gli anziani affiancando loro dei tutor d’eccezione: gli studenti. Un progetto che già ha riscosso successo in 13 regioni italiane ed in ben 8 nazioni europee che per il 2012 mira a divenire un progetto guida in tutta la UE. In palio decine di premi tra cui diversi ul-

    trabook. La scadenza è fissata al 15 aprile 2012. Info: www.mondodigitale.org

    La crisi di certo ha in-vestito in maniera tra-sversale tutti i settori del Made in italy. Ma sembra che il comparto sociale re-sista più degli altri. E que-sto il dato incoraggiante che emerge dalla lettura del nuovo budget ap-provato per il 2012 dalla Commissione centrale di di beneficenza per le ero-

    gazioni filantropiche della Fondazione Cariplo: sono ben 148, infatti, i milioni di euro resi disponibili E se, a guardare il bilancio 2011, il calo si aggira at-torno al 14% , crescono di un notevole 6% le risorse destinate per le attività legate ai servizi alla per-sona. “Una scelta fondata su realismo e prudenza

    “ e stato il commento del Presidente Giuseppe Guz-zetti. Parole perfettamen-te in linea con quella che sembra essere anche la linea del nuovo Governo italiano. Tanta prudenza insomma, ma anche un velato ottimismo che la-scia aperta la possibilità di un incremento di fondi nel corso del 2012

    ECONOMIA - Un dato incoraggiante: crescono le risorse

    Dal Sociale il rimedio alla crisi

    RUMBLEDIA: DAL WEB UN CANALE PER NON VENDENTI

    CONCORSO PER STUDENTI

    EDITORIA“150+” RIVISTA CRI

    SCUOLA - Indetto dai centri servizio dal Ministero dell’IstruzioneDISABILITÀ

    ANZIANI - Un progetto della Fondazione Mondo Digitale I NONNI A SCUOLA DAI NIPOTINI

    Valorizzare l’ impegno ci-vile dei giovani che quo-tidianamente si donano agli altri; sostenere e diffondere la cultura del volontariato tra le nuove ge-nerazioni. Sono queste le finali-tà del concorso, promosso dai Centri di Servi-zio al Volonta-riato in collabo-razione con il Ministero dell’ Istruzione, dell’ Universita e della Ricerca, lo scorso 5 dicembre a Roma in occa-

    sione della giornata mondia-le del volontariato “Dammi spazio. Giovani, presente e Volontariato” . A poter gareg-giare sono gli studenti delle

    scuole superiori chiamati a realizzare uno spot, un cor-tometraggio, un logo le uno

    slogan che abbiano come tema l’ impegno civile della loro generazione. Per poter partecipare all’ iniziativa ci sarà tempo sino al 30 apri-

    le del 2012. Le premiazioni si terranno, inve-ce, nel settem-bre del 2012, in concomitanza dell’ inaugura-zione dell’ anno scolastico. Per scaricare il ban-

    do completo e per maggiori informazioni

    www.dammispazio.org

    Trovare qualcuno che non conosca le “pi-gotte”, ormai, è pressoché impossibile. La bambola di pezza più famosa dei tempi moderni, realizzata a mano da volontari dei centri per anziani e delle scuole, è

    divenuta simbolo di solida-rietà grazie alle campagne di raccolta fondi promosse dall’ UNICEF. Per ciascuna Pigotta “adottata” ( 20 euro l’offerta minima, ndr ), è possibile garantire ad un bambino africano diver-

    si interventi salvavita che prevedono cure, acqua po-tabile, alimenti terapeutici e zanzariere antimalaria. E per quest’anno anche Stefanel sceglie di sposa-re il progetto “Adotta una Pigotta”: saranno, infatti,

    500 le bambole “griffate” con vestitini realizzati ad hoc, disponibili sino al 4 gennaio presso gli store di Milano, Roma , Treviso, Firenze, Napoli, Palermo e Venezia.

    Info www.unicef.org

    EVENTI - L’azienda trevigiana sposa il prgetto “pigotte” per i bambibni africani

    L’UNICEF VESTE STEFANEL

    BREVI

  • SPECIALE

    Esistono meccanismi che stabiliscono la gerarchia delle no-tizie e dei temi da trattare, ma anche di come trattarli: con quali linguaggi, da quali angolature, con quali approfondi-menti. Spesso assistiamo a una marginalizzazione delle notizie so-ciali, che sono relegate alle brevi di cronaca o agli spazi d’o-pinione: questo perché nel corso della giornata tipo di un quotidiano si verifica una sorta di trasformazione in itinere delle notizie, per cui alcune notizie sociali vengono inevita-bilmente sopraffatte da altre - cronaca nera, giudiziaria, po-litica - e finiscono nelle opinioni, che pure non hanno uno spazio residuale. Oppure accade che i giornali tendano a raccontare solo il tratto psicopatologico della realtà sociale, per cui un fatto sociale diventa notizia solo quando ha in sé qualcosa di sen-sazionalistico. Tuttavia è importante che anche gli stessi “addetti ai lavori”, coloro che hanno la responsabilità di scegliere cosa va in pagina e cosa no, ricordino che l’informazione sociale non ri-guarda uno spaurito gruppo di persone o solo soggetti social-mente svantaggiati, ma tocca, il più delle volte, temi che in-teressano tutti: le famiglie, le madri sole, le donne vittime di violenze, i senza lavoro, le persone straniere e quelle disabili, gli anziani, i giovani. Ognuno di loro ha il diritto di sapere se può godere di servizi, se c’è qualche ente che si interessa ai suoi problemi o, in alcuni casi, se può semplicemente avere un’altra opportunità. Informarli non è impossibile ed è anzi un dovere per tutti i giornalisti parlare di loro e cercare di attirare l’attenzione di tutti i lettori su temi che esulino dalla cronaca spicciola.

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    di Ottavio LucarelliPresidente dell’Ordine dei Gironalisti della Campania

    LA COMUNICAZIONE SOCIALE E L’INFORMAZIONE CHE NON FA NOTIZIA

  • TEMA

    COPERTINA

    Dicembre 2009

    Decrescita economica

    di Valeria F. Castaldo“Occhi”

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  • SPECIALE

    «U paisi eni di li paisani» (il paese è dei suoi abitanti), si gri-dava nelle barricate alzate dai cittadini di Rosarno dopo la rivolta dei “negri” l’8 gennaio scorso. La caccia all’immigrato era iniziata da qualche ora. I giovanotti d’onore mandati dai boss a lavare l’onta della distruzione rabbiosa degli africani si davano molto da fare. La ’ndrangheta non poteva non in-tervenire: avrebbe perso il “consenso sociale” che qui, nel profondo e abbandonato Sud, significa tanto nel controllo del territorio. Cosa avrebbe pensato la gente, quella abituata ad abbassare la schiena al potere delle cosche, se nessuno avesse reagito per difendere “l’onore” del paese che era stato sfidato dalla gente di colore? Importava poco capire perché la rivolta si era scatenata. Cosa era successo. Interrogarsi. Occorreva invece, reagire e subito. Colpire gli immigrati, cac-ciarli perché non servivano più e quindi salvare la faccia. Solo così si sarebbe potuto dimostrare chi comandava a Ro-sarno. Del resto quei cortei di disperati, di uomini schiavizza-ti costretti a lavorare dall’alba al tramonto per poche decine di euro al giorno, isolati a vivere come animali nelle fabbriche abbandonate che avevano messo a ferro e a fuoco la cittadi-na calabrese, avevano avuto il torto di essere stati i primi a reagire al sistema imposto dalla ‘ndrine (cosca malavitosa nel gergo calabrese, ndr), rappresentava un pericolo: poteva anche essere copiato da altri. Occorreva impedire che acca-desse quello che avvenne poco più di un anno prima quando a causa del ferimento di due immigrati gambizzati a colpi di pistola, gli africani fecero qualcosa che da anni gli italiani non fanno più. Scesero per strada chiedendo giustizia, più legalità. Contribuirono alle indagini dei magistrati con corag-gio e contribuirono all’arresto degli autori del ferimento(…). «La disperazione più grande che possa impadronirsi di una società – scriveva già negli anni 50 Corrado Alvaro, il più grande scrittore calabrese del secolo scorso – è il dubbio che vivere rettamente sia inutile».

    28

    di Michele AlbaneseGiornalista Quotidiano della Calabria

    U PAISI ENI DE LI PAISANI

  • 29

    TEMA

    COPERTINA

    Febbraio 2010

    Immigrazione

    “Il bivio”di MedMat

  • SPECIALE

    L’ingranaggio della lotta istituzionale alle mafie, finalmente, ha incominciato a funzionare. Recenti notizie, provenienti dalla Sicilia, dal casertano e dall’area vesuviana della pro-vincia napoletana, infatti, mostrano come in presenza di una strategia e di una coerente volontà politica, sia possibi-le ottenere importanti risultati. Latitanti arrestati, confische di beni mafiosi in aumento, sperimentazione di nuovi modelli di collaborazione tra am-ministrazioni comunali, commercianti vessati dal racket e forze dell’ordine, sono gli ingredienti di una ricetta che ini-zia a dare i suoi frutti. Ma se su questo fronte si fanno significativi progressi, c’è un altro terreno sul quale il sud Italia continua a camminare all’indietro. Mentre cresce l’impegno istituzionale contro la criminalità organizzata, aumenta, purtroppo, anche il defi-cit di “capitale civile” che affligge il Mezzogiorno. Le nostre Università, segnala l’Istat, diventano sempre meno attratti-ve, la qualità media della scuola delle regioni meridionali, ri-badiscono indagini internazionali e locali, è più scadente di quella del nord. Decine e decine di persone, a Napoli come a Reggio Calabria, inveiscono contro le forze dell’ordine e inneggiano ai boss nel momento del loro arresto. E anco-ra, interi quartieri napoletani, dove pure si sono ottenuti successi investigativi e indebolimento dei gruppi criminali, e penso al centralissimo rione Sanità o alla periferica Ponti-celli, continuano ad attendere interventi di riqualificazione ambientale e sociale mai pronti. Manca, insomma, tanto a livello locale quanto nazionale, una strategia di costruzione di quel capitale civile, di quella rete sociale indispensabile per rendere più duraturi e davvero incisivi sul territorio i risultati ottenuti negli ultimi anni nel contrasto al crimine organizzato.

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    di Marco DemarcoDirettore Responsabile Corriere del Mezzogiorno

    IL CAPITALE INCIVILECHE GRAVA SULMEZZOGIORNO

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    TEMA

    COPERTINA

    Maggio 2010

    Legalità

    “I volti della Mala”di Giuseppina Vitale

  • I fiumi portano le acque dalla montagna in pianura, anzi essi stessi creano le grandi regioni alluvionali della Terra: tutta la Cina orientale, come il delta del Nilo o la pianura padana sono frutto del lavoro millenario e incessante delle arterie d’acqua della Terra. Con i fiumi si dovrebbe convivere, come facevano i fellhayn egiziani, consapevoli che la loro stessa vita dipendeva dal Nilo. Poi, la diga di Assuan, dopo aver portato inizialmente vantaggi indiscutibili, oggi è foriera solo di notevoli problemi; mentre quella delle Tre Gole in Cina è responsabile dell’e-stinzione del delfino fluviale e della deportazione di milioni di persone, senza aver risolto il problema delle piene, oggi tornato drammatricamente di attualità. In Italia non siamo messi meglio: abbiamo creduto di governare il Po o l’Arno, ma se oggi dovesse piovere come nel novembre del 1966, il disastro sarebbe ben peggiore.Il Tevere è ridotto a un rigagnolo prima di arrivare a Roma, dove gli abitanti hanno dimenticato l’antica società fluviale che sui suoi argini era cresciuta. Ma tutte le aste fluviali d’I-talia, comprese quelle minori, entrano in sofferenza a causa del nuovo regime di precipitazioni indotte dal cambiamento climatico: in poche ore piove come in settimane e i fiumi non riescono a evacuare tutta l’acqua in eccesso, visto che ab-biamo reso impermeabili le aree golenali o le abbiamo occu-pate con costruzioni inopportune. E tutto questo, oltretutto, non risolve i problemi di siccità, perché quell’acqua va solo perduta in mare. Secche e alluvioni lungo gli stessi fiumi maltrattati: siamo sicuri che non si poteva fare meglio?

    SPECIALE

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    di Mario TozziGeologo

    E ORA ANCHE L’ACQUAPUO’ DIVENTARE NEMICA

  • 33

    TEMA

    COPERTINA

    Settembre 2010

    Ambiente

    “S.O.S.”di Carla Buccino

  • SPECIALE

    Il terremoto del 1980 in Irpinia, con 3.000 morti e 10.000 feriti, segnò una svolta nell’ambito della gestione del rischio, in Italia e non solo. Lo Stato fu incapace di coordinare le ri-sorse, di cui pur disponeva, per assicurare il soccorso nelle zone disastrate. Sotto le sferzanti parole del Presidente Pertini la politica ri-conobbe che ricorrenti disastri naturali rendevano urgente un sistema cooperativo di gestione dell’ emergenza. A trent’ anni da quei giorni dolorosi la Protezione Civile e gli organi di gestione sono stati sottoposti all’esame dell’OCSE. Al vaglio preparazione e capacità di risposta in occasione di calamità. I dati impietosi meritano una riflessione. Il 40 % dei cittadini vive in zone a rischio, mentre gran parte dell’ edilizia necessita di un adeguamento antisismico. Dal 1900, quello idrogeologico è tra i principali rischi che afflig-gono il Paese. Manutenzione nulla e disboscamento indiscriminato, com-plice la cementificazione, hanno aumentato il rischio di fra-ne, 9.187 le zone rosse. Troppi fattori fanno del Bel Paese uno dei territori più esposti al mondo. Tra le buone prati-che sviluppate, invece, si rileva “un’ integrazione delle or-ganizzazioni di volontariato al sistema di Protezione Civile fa dell’Italia un caso unico al mondo per la sua straordinaria solidarietà”. Per mantenere l’ eccellenza, però, il volontariato deve dar vita ad un sistema alternativo che vada oltre: la Prevenzione Civile; come a dire: prevenire è meglio che curare.

    34

    di Giuseppe De StefanoPresidente CSV Napoli

    IN EMERGENZA PROMOSSI ORA BISOGNA PREVENIRE

  • 35

    TEMA

    COPERTINA

    Novembre 2010

    Protezione Civile

    “Irpinia 1980”

  • SPECIALE

    36

    In occasione della giornata mondiale del volontariato, inten-do rinnovare il mio profondo apprezzamento, a nome della Nazione e delle Istituzioni Repubblicane, per il ruolo inso-stituibile del volontariato e del terzo settore, come punti di riferimento e protagonisti attivi della nostra società civile. Un anno fa abbiamo celebrato insieme, al Quirinale, le tap-pe fondamentali del volontariato italiano, fenomeno straor-dinariamente vasto, vario e ricco. E ho concluso l’incontro ribadendo che il volontariato è una linfa vitale della nostra convivenza e costituisce un elemen-to caratterizzante e distintivo della qualità della nostra de-mocrazia. Come evidenziato anche nel piano Italia 2011 - il documen-to di indirizzo per l’anno europeo per il volontariato che si celebra quest’anno- il volontariato si esprime attraverso la promozione del rapporto solidale fra le generazioni, il soste-gno agli strati emarginati della popolazione, l’impegno per realizzare percorsi di integrazione e comprensione recipro-ca in un’epoca di grandi flussi migratori. Abbiamo bisogno di questa grande scuola di solidarietà che generosamente produce azioni, pratiche quotidiane e progetti, i quali rap-presentano un contributo essenziale per la creazione di un diffuso capitale sociale. Proprio in questo momento di particolari difficoltà economi-che, è di fondamentale importanza sostenere il mondo del volontariato, anche garantendo le risorse necessarie a tener fede alla sua insostituibile missione riconosciuta da milioni di cittadini.

    di Giorgio Napolitano Presidente della Repubblica Italiana

    GLI AUGURI DEL PRESIDENTE AL VOLONTARIATO

  • 37

    TEMA

    COPERTINA

    Febbraio 2011

    Volontariato: Anno Europeo

    “Tagliati fuori”di Giuseppina VItale

  • SPECIALE

    38

    Un imprenditore che fa il turno di notte su un’ ambulanza il giorno dopo si sente migliore. Un giurista che facilita le ri-chieste di permesso per i detenuti realizza un sogno. Una ma-estra in pensione che insegna l’italiano agli extracomunitari favorisce l’integrazione. Il campione di basket che abbandona la carriera per allenare i disabili compie un miracolo. Ci sono persone così oggi in Italia: si riempiono la vita fa-cendo qualcosa per gli altri e si accontentano della gratitudi-ne, «la timida ricchezza di coloro che non posseggono nulla», come scriveva Emily Dickinson. Impariamo da loro. Cerchiamo negli esempi imitabili un an-tidoto al pessimismo che rischia di schiacciare le tante for-michine che non si arrendono al peggio. La lezione dei volon-tari smentisce ogni giorno la società della bancarotta etica e del menefreghismo diffuso. Nella capacità di dare una mano, togliere un dolore, offrire un aiuto o un sostegno ci sono i segnali di una riscossa civica che può diventare contagiosa. Se si vuole, si può fare, ci dicevano una volta, quando la co-perta della solidarietà riscaldava il disagio diffuso delle peri-ferie urbane e dei paesi poveri. Anche oggi se si vuole si può fare, o far fare, per esempio, un passo avanti a chi è nato indietro, lasciando intorno a noi la scia pulita dell’ altruismo e della generosità. Sono troppi gli egoismi che minano la vita politica e quella civile: solo la riscoperta del senso dell’impegno verso gli altri può ferma-re la deriva e l’imbarbarimento in corso. La fioritura del vo-lontariato dimostra che c’è una bella Italia capace di remare anche controcorrente: costituisce la spina dorsale di quella società minuta che vuole ricostruire i ponti per una migliore convivenza, senza rassegnarsi alla decadenza di quelli che chiamiamo ancora, senza vergognarcene, valori.

    [email protected]

    di Giangiacomo SchiaviVicedirettore del Corriere della Sera

    IL VOLONTARIATO PER FERMARE L’IMBARBARIMENTO

  • 39

    TEMA

    COPERTINA

    Maggio 2011

    Sanità

    “Codice rosso”di Davide Tartaglia

  • SPECIALE

    40

    ECCO COME È POSSIBILE“APRIRE” L’ARTE A TUTTIQuel giorno di luglio del 2008 io e lei visitammo una mostra sull’Impressionismo a Palazzo Strozzi. Dipinti straordinari, capolavori dell’arte, emozioni ed estasi. Davanti a un dipinto di Monet, una casa avvolta dalla nebbia, lei iniziò a raccon-tare. «La vedo: colori tenui. Rosa, verde, giallo. Offuscamen-ti». Con le mani esplorava la tela. Più avanti restò incantata da La spiaggia, capolavoro a spa-tola di Gustave Courbet. Dopo aver accarezzato il dipinto, disse: «Percepisco i movimenti della spatola, il colore, le ru-gosità». Silva Parente visitava una mostra di pittura dimen-ticando di essere cieca. Non era un miracolo. La mostra, aveva affrontato il problema della disabilità motoria e anche quella della cecità. Senza spese, gli organizzatori avevano tolto un divieto: quello di non toccare le opere. Toccare un quadro antico può essere pericoloso? A volte sì, ma ci sono le copie degli originali e al non vedente basta per avere la sua luce. E’ un esempio e non l’unico. Da Lucca, Francesca Velani, direttore di Lubec (rassegna dedicata ai Beni culturali che si apre il 20 ottobre sotto il patrocinio del-la Presidenza della Repubblica) racconta miracoli. «Abbiamo iniziato a costruire una road map dei luoghi della cultura ac-cessibili. – dice Francesca – Molti sono i progetti per rendere accessibili a tutti gli itinerari culturali, utilizzando spesso la tecnologia come strumento». Qualche esempio: alla Galle-ria Nazionale di Arte Moderna di Roma, l’istituto Vaccari ha curato un progetto intitolato “Le vie dell’arte attraverso le emozioni”, coinvolgendo i diversamente abili. A Lucca si sta realizzando un percorso totalmente accessibile che collega la stazione ferroviaria al centro storico, passando tra cento monumenti. Mura comprese. Le stesse che in altri luoghi andrebbero abbattute. Come dimostra la nostra inchiesta.

    [email protected]

    di Marco GasperettiRedattore Corriere della Sera

  • 41

    TEMA

    COPERTINA

    Settembre 2011

    Disabilità

    “Inaccessibili”di Giuseppina VItale

  • SPECIALE

    42

    LTM è una ONG di cooperazione allo sviluppo fondata a Napoli, giunta al compimento del suo quarantesimo anno di attività. Come tutte le organizzazioni nate negli anni ’70, ha vissuto i momenti migliori e quelli più critici del settore, segnato, negli ultimi anni, da tagli sempre più cospicui di fondi.Nell’impostazione alla base di tutti i progetti nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto in Benin, si racchiude il segreto di tale longevità: LTM sa che il processo di sviluppo non si realizza con il trasferimento di ricchezza dai paesi del nord ai paesi del sud, bensì in un lavoro fianco a fianco con le comunità locali. E’ proprio da un insegnamento di un noto economista del Be-nin, Albert Tévoédjrè, che si traccia la direzione futura della cooperazione, come “nuova e paritaria, basata sul riconosci-mento dei reciproci bisogni e dei possibili scambi”. Il paradigma di quest’approccio è contenuto nel concetto di interdipendenza globale, termine chiave alla base dell’Educazione allo Svilup-po, ambito in cui le ONG sensibilizzano la società civile sulle disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo. Anche in questo set-tore, l’evoluzione contenutistica e metodologica dagli anni ‘70 ad oggi è stata impressionante, radicando nel tempo una pras-si di induzione al pensiero critico e alla partecipazione attiva. E’ con questo intento che si realizza il progetto “EaS: Strategie Territoriali per una Sfida Globale”, cofinanziato dalla Commis-sione Europea, di cui questa pubblicazione è parte. Il progetto mira alla costruzione di un processo partecipativo di tutte le componenti della società civile ed istituzionale campana per il raggiungimento dei Millennium Goals. E’ stato inaugurato con il coinvolgimento di un gruppo di operatori di comunicazione cui è stato affidato il delicato compito di veicolare un messaggio di lotta alla povertà: l’aspirazione ad un mondo più giusto non è solo appannaggio del Sud del mondo ma riguarda tutti noi. Comprendere l’interdipendenza significa acquisire consapevo-lezza che le cause alla base dei fenomeni di povertà e ricchezza sono strettamente collegate. E hanno a che fare con le sorti del nostro pianeta, dei nostri figli e delle generazioni future.

    di Renata MolinoReferente Progetti Italia LTM

    COMPRENDERE L’INTERDIPENDENZA GLOBALE

  • 43

    TEMA

    COPERTINA

    Novembre 2011

    Gli obiettivi del millennio

    “Speciale Africa”di Valerio Acampora

  • informazione pubblicitaria

  • Volontariatosi impara…all’universitàSono 23 le associazioni di volontariato modenesi che hanno accolto gli stu-denti universitari per un’e-sperienza di stage, grazie al progetto: “Il Volontariato completa il tuo curriculum”. L’iniziativa, nata dall’accordo fra il CSV Volontariamo e l’U-niversità di Modena e Reggio Emilia, è stata pensata per avvicinare gli studenti uni-versitari al mondo del volon-tariato, attraverso un’espe-rienza di stage interessante, che ha permesso loro di mi-surarsi con diverse realtà su più aspetti: dall’organizzazio-ne di un evento alla realizza-zione di un’indagine scien-tifica, fino alla gestione di relazioni con soggetti e conte-sti problematici, sviluppando così competenze trasversali. Inoltre, grazie a questa espe-rienza, gli studenti hanno potuto maturare crediti for-mativi per il loro curriculum di studi e di vita. Un’oppor-tunità per i tanti che hanno voluto misurarsi nel proprio campo di studi.www.volontariamo.it/stage

    Una rete al Sud per il sostegno a distanzaFare rete per promuo-vere buone pratiche fra le associazioni che si occupano di adozione a distanza nel meridione: una sfida difficile ma pos-sibile, grazie a ForumSad, coordinatore di un proget-to finanziato dalla Fon-dazione con il Sud e che vede protagoniste le as-sociazioni di volontariato delle regioni Calabria, Pu-glia e Sicilia. L’iniziativa, promossa in collabora-zione con CSVnet e i CSV

    locali, ha due obiettivi principali: realizzare una mappatura delle associa-zioni impegnate sul tema nelle regioni coinvolte, per creare una banca dati on line; costituire un co-ordinamento nelle tre re-gioni, gestito dalle stesse organizzazioni. Il tutto ac-compagnato da percorsi

    formativi per gli operatori, attività di sensibilizzazio-ne tra la popolazione ed uno spazio radiofonico di promozione, attivato in collaborazione con Radio Kreattiva.

    Per saperne di più: www.forumsad.it

    Municipi partecipati in BasilicataSperimentare percorsi di democrazia partecipata: questo è l’obiettivo del progetto lanciato dal CSV e dal Comi-tato di Gestione della Basilic ata e dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani regionale, in collaborazione con la Regione e l’Assemblea regionale del volontariato. Iniziato lo scorso settem-bre, il progetto ha coinvolto sindaci, cittadini e le Organizzazioni del Volon-

    tariato dei 24 comuni aderenti in un percorso formativo sui temi della cit-tadinanza attiva e della partecipazio-ne. L’obiettivo è stato quello di fornire metodologie e strumenti concreti per consentire a tutti i soggetti coinvolti di prendere parte in modo attivo ai pro-cessi decisionali delle amministrazioni locali.

    www.csvbasilicata.it

    CSV-NET INFORMAa cura di Clara Capponi

  • L’Europa a più velocità è l’immagine ri-tratta negli anni Settanta per disegnare, soprattutto a livello economico, le diffe-

    renze d’integrazione in campo monetario. Quell’immagine sembra tornare attua-le oggi, quando si parla di volontariato e Terzo Settore nell’est Europa. Paesi che investono nel sociale, nonostante le dif-ficoltà e i tagli in tempi di austerity. Per

    comprenderne la portata bisogna volgere lo sguardo sulla zona orientale del Vec-chio Continente, soprattutto su Bulgaria,

    Romania e Croazia. Un’indagine compa-rata, coordinata da “Spes Lazio – Centro di servizi per il vo-lontariato del Lazio” e presentata recen-temente a Gorizia, analizza aspetti eco-nomici e numeri del Terzo Settore. Dif-ferenze da paese a paese, che cambia-no la definizione di volontario e creano un’Europa a veloci-tà differenti. «È dif-ficile stabilire con esattezza il numero esatto di volonta-ri nei diversi pae-si – spiega Martijn Pakker, direttore del Centro Europeo il volontariato – In Eu-

    ropa ci sono paesi con un’attività conso-lidata e ben organizzata, come in Italia o in Inghilterra, e altri di recente tradizione come i paesi dell’Est Europa. Qui il con-cetto di volontario ha un connotato nega-tivo, soprattutto per i paesi dell’ex blocco

    VOLONTARIATO EUROPEOUNO SGUARDO A EST

    NEI PAESI DELL’EX BLOCCO COMUNISTA SI DÀ RELATIVA ATTENZIONE AL FENOMENO RISPETTO A PAESI PIÙ EVOLUTI COME L’AUSTRIA

    INCONTRO CON MARTIN PAKKER DIRETTORE DEL CENTRO EUROPEO DI VOLONTARIATO

    INTERVISTA

    46

    di Stefania Melucci

  • comunista». L’obiettivo è colmare le differenze legislative e soprattut-to puntare sull’apporto dei giovani nella creazione di un’Europa basa-ta sul volontariato. I NUMERI – Nel vecchio continen-te sono oltre cento milioni gli ope-ratori che svolgono attività di vo-lontariato: si occupano di cure al malato e istruzione permanente, sport e sviluppo rurale. Attraverso la loro costante attività, producono integrazione e occupazione, oltre a migliorare e rafforzare la coesione sociale. Nonostante i grandi pro-gressi compiuti negli ultimi anni, nei paesi del sud est Europa non esistono leggi e direttive sul volon-tariato, se non in Bulgaria, Roma-nia e recentemente in Croazia, con una legge approvata quattro anni fa. Negli altri paesi si parla soltan-to di lavoro, quindi il volontariato è regolato dalla Legge sul Lavoro che rende più difficile l’inserimento de-gli stranieri nelle attività previste. CIFRE DALL’EST – Attraverso lo studio di Spes, si tracciano gli aspetti fondamentali del settore no profit. Esistono però delle diffe-renze sulle legislazioni, che varia-no da paese a paese e rendono la comparazione più difficile. Nono-stante queste difficoltà, è possibi-le tracciare una prima analisi, sui dati raccolti. Emerge, ad esempio, che solo il 6% dei bulgari partecipa ad attività di vo-lontariato, soprattutto in settori quali istru-zione, cura dei minori, tutela dell’ambiente e nell’ambito dei diritti umani. La popolazione bulgara che si dedica ad attività volontarie è minima, soprattutto se si compara con la fetta austriaca, dove sono oltre 2 milioni i cittadini che operano come volontari. Dati indicativi anche in Croazia, che entrerà nell’Unione nel 2013. Secondo una ricerca effettuata recente-mente, il 43,7% delle persone intervistate ha dichiarato di essere coinvolto in una qual-che attività di volontariato. Un dato molto elevato, che presenta qualche numero da analizzare con maggiore attenzio-ne, poiché il 70 % degli intervistati ha affer-mato di fare volontariato solo una volta al mese. In Romania, invece, non esiste una de-finizione univoca di volontario, e questo gene-

    ra confusione nella comparazione dei dati. Di fatto, la principale legge che regola il settore no profit è l’ordinanza governativa del 2000, con cui si supera quella sulle associazioni e fondazioni del 1924, esistita durante tutto il regime comunista. L’attività di enti no profit rappresenta meno dell’ 1% del PIL romeno, pari allo 0,8%. EUROPA GIOVANE – L’Europa guarda a est e volge lo sguardo soprattutto al contributo dei giovani, anche attraverso il volontariato, nella crescita dell’Unione. «Viviamo un momento di crisi – conclude Pakker - ma in queste situa-zioni si creano nuovi elementi di solidarietà soprattutto tra i giovani, capaci di realizzare un cambiamento strutturale alla società. An-che attraverso la rete di volontariato». Con-tinuare a puntare sui giovani in modo da ri-prendere un ruolo sociale attivo nella società, a servizio degli altri, anche oltre la conclusio-ne dell’anno del Volontariato Europeo.

    47 In Foto Martin Pakker

  • SOTTO L’ALBERO

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    Adatto ai bambini dai quattro anni in su, il set creativo dell’Unicef conta 39 pezzi. Pastelli a cera, acquerelli, pennelli e formine per dare via libera alla creatività dei più piccoli.Al costo di 25 euro è possibile acquistarlo nei punti Unicef più vicino a te. A Napoli è a largo Martuscelli 26 oppure online

    www.prodottiunicef.it

    Fino al 6 gennaio 2012, per ogni pe-luche, libro o menù bimbi Bio vendu-to nei negozi Ikea di tutta Italia, Ikea Foundation donerà un euro a Save the Children per finanziare progetti di edu-cazione in tutto il mondo. Un modo per garantire a ogni bambino un’istruzione di qualità. Costo 1 euro. www.ikea.it

    Un sacchetto di mattoncini colora-ti e atossici, a base di amido di mais per costruire case e fiori. EcoloGioco è realizzato in materiale a base di ami-do di mais, per rispettare l’ambiente. I prezzi variano: da 2,50 euro e 65 euro. Per dettagli è possibile consultare il sito

    www.ecologioco.it

    Basta lanciare i dadi e seguire i consigli dell’orango gira-mondo alla scoperta degli ultimi polmoni verdi del pianeta. “Un’avventura con Tango” è un gioco da tavolo per i più pic-coli per spiegare l’importanza delle foreste primarie. Dispo-nibile sul sito www.greenpeace.org, costa 12 euro più otto di spedizione. Anche il Centro Servizi per il volontariato di Napoli ha creato il suo gioco, “Volando”, per avviare i più piccoli ai temi della solidarietà. Simile al più conosciuto gioco dell’Oca le scuole possono farne richiesta gratuita diretta-mente [email protected].

    Set Creativo Unicef Il peluche di Ikea Il gioco EcoloGioco

    I giochi da tavola per conoscere l’ambiente e il volontariato

    UN NATALE SOLIDALEBORSA, VINO E GIOCHI: PROPOSTE-REGALO DAL MONDO DEL SOCIALE

    di Luisa Corso

    Un profumo per lui, un gioco da tavola per i più piccoli o una borsa per le signore. Scegliere cosa do-nare diventa sempre più difficile, soprattutto se si prova a conciliare qualità e risparmio. In tempi di crisi trovare il pezzo giusto da regalare diventa un’impresa. E allora perché non decidere di comprare qualcosa per aiutare gli altri? Un modo diverso per rendere più speciale il Natale. Si può sostenere il lavoro di tessitrici nel sud del mondo, oppure aiutare organizzazioni impegnate nel sociale e ancora regalare un’agenda o un calendario di una Organizzazione non governativa. Si può scegliere tra idee differenti: doni che rispettano l’ambiente oppure semplici regali realizzati dai detenuti, in programmi di reinserimento sociale. E ancora si può preferire il classico cesto natalizio con prodotti coltivati in terre confiscate alla camorra. Tante piccole scelte per rendere più “giusto” il Natale.

    TANTE IDEE PER REGALARE E REGALARCI UN SORRISO PER LE FESTE

  • Il set da viaggio è realizzato in fibra naturale intrecciata a mano da artigiani delle Filippi-ne. Compatto e funzionale, anche per essere appeso, contiene tre prodotti essenziali per il viaggio, formulati espressamente per le esigen-ze maschili. Altromercato propone una crema viso dopo barba, uno shampoo doccia per corpo e capelli e un deodorante, alle note calde di legni e spe-

    zie. Il prezzo consigliato è 15 euro, è disponibile presso le botteghe di commercio equo solidale. www.altromercato.it

    Set per un viaggio solidale

    PER LUI PER LEI

    Omaggio al padre della Apple e sostegmo alla ri-cerca. VaVeliero, giovane brand italiano, rende omaggio a Steve Jobs con la celebre frase “Siate affamati, siate folli” sulla cover per iPhone. Il ri-cavato delle vendite sarà devoluto alla Fondazio-ne Umberto Veronesi per la ricerca sul cancro. In vendita sul sito www.vavaliero.com e nei punti vendita autorizzati.

    Una borsa capiente per non rinunciare alla como-dità. Realizzata con pan-taloni militari, la tracolla

    fa parte della collezione Vag (Veri Avanzi di Gale-

    ra). Realizzata dal progetto “recuperiamoci!”, network

    di Prato che unisce le esperienze lavorative del

    “pianeta carcere”, costa 50 euro. Diaponibile sul sito www.recuperiamoci.org

    Quando in Uruguay è arrivata la crisi del settore tessile, Nancy Olivera lavorava in un’impresa, chiusa sotto i colpi della con-correnza. Si è opposta alla chiusura della fabbrica e adesso realizza maglioni e filati con il progetto “Justa Lana”, in collabo-razione con Retos al Sur, Reorient e Fai-rWatch, con il sostegno della Regione Lazio. Il cardigan costa 110 euro, un prezzo equo per chi lo produce e lo acquista. Disponibile nelle botteghe solidali. www.reorient.it

    Realizzati dalle donne del “Tanzania Masai Women Art”, gli orecchi-ni di perline coniugano tradizione e modernità. Al prezzo di 13,50 euro, è possibile acquistarli direttamente sul sito www.survival.it, l’orga-nizzazione mondiale che sostiene i popoli tribali di ogni continente.

    La pen drive può essere una soluzio-ne tecnologica che rispetta l’ambiente. La pennetta M600 è realizzata con Pla, un materiale biodegradabile al 100% ricavato da materie prime vegetali rinnovabili. Unica ed esclu-siva dal design sobrio, realizzata senza utilizzo di vernici. Disponibile in tre formati, da 4, 8 e 16 Gigabyte, rispet-tivamente al prezzo di € 14,90 - € 26,90 e € 48,90 euro, la eco-chiavetta Emtec è compatibile con tutti i principali sistemi operativi. www.emtecinternational.com

    Ecco gli orecchini Masai

    Cardigan “Justa Lana”

    La borsa “Recuperiamoci”

    La Eco - chiavetta

    Una cover per la ricerca

    Una bottiglia di buon vino rosso dal sapore intenso e dal gusto deciso. Prodotto da Lazzaria cooperativa So-ciale Integrata di Velletri, è

    in vendita ad Albano La-ziale, in provincia di Roma, alla Cooperativa Progetto Solidarietà, in via Alcide De Gasperi, 56. info al 3396430257

    “Il recluso” Vino dal carcere

    Costo 7,70 euro

    Costo 15,00 euro

    Costo a partire da 14,90 euro

    Costo 19,99 euro

  • Piccole decorazioni a forma di cuore o stel-le, realizzate in Indo-nesia da circa duemi-la artigiani. I gruppi di lavoratori possono così accedere al mer-cato internazionale at-traverso il commercio

    equo, ottenendo il giusto riconoscimento per le loro creazioni. Il costo è contenuto: 1,62 euro. È possibile acquistarlo presso le botteghe del com-mercio equo e solidale. www.altromercato.it

    Un presepe contro il disagio mentale a No-cera Inferiore. Nel di-partimento dell’Asl di Salerno, ricavato dai locali dell’ex ospedale psichiatrico “Vittorio Emanuele II”, trenta pazienti modellano argilla, ferro, stoppa e legno per realizzare pastori e personag-gi della Natività, con villaggi e ceramiche artistiche. Gli allievi, molti dei quali par-ticolarmente talentuosi, hanno avuto il supporto tecnico di maestri d’arte napoletani come Giovanni Chianese e sono attualmente seguiti da docenti spe-cializzati come Rosa Cuccurullo. Il progetto è stato avviato nel 2001 grazie ai fondi europei del Cipe, ma dal 2005 è stato possibile realizzare la cooperativa sociale Iucan.

    www.iucan.itPrezzo da 30 euro.

    50

    PER TUTTI

    Una confezione regalo dall’alto valore etico e sociale, contenente delizie alimentari provenienti dalle coope-rative sociali nate su terre confiscate alla camorra. Un cesto natalizio composto dai prodotti tipici coltivati nelle “Terre di don Peppe Diana”, confiscate ai clan di Casal di Principe, Aversa e Sessa Aurunca. Un pacco alla camorra per sconfiggerla, attraverso l’acquisto di sottaceti, melanzane, pomodori. Un modo differente per riscoprire i prodotti campani che hanno il sapore della legalità. Il costo del cesto varia: da 25 a 45 euro. Per maggiori informazioni consultare il sito www.unpaccoallacamorra.com

    “Agendo 2012” sostiene il punto di vista plurale dei movimenti partecipativi.Parte del ricavato sarà desti-nato a finanziare l’acquisto di un furgone per il traspor-to di persone in condizioni di disagio psico-sociale.Costo 12 euro. www.gescosociale.it

    Un calendario da tavo-lo per segnare appun-tamenti. È possibile acquistarlo sul sito di Medici Senza Frontiere (Msf), la più grande or-ganizzazione medico-umanitaria indipen-dente al mondo creata da medici e giornalisti in Francia nel 1971. Il costo del calendario è 5 euro. Consulta il sito www.medicisenzafrontiere.it

    Un comune portapane che unisce design e lavoro dei detenuti del carcere di Re-bibbia, realizzato da Artwo. Costa cinquanta euro. Per acquistarlo è possibile con-sultare il sito www.artwo.it

    L’agenda del sociale

    Decorazioni solidali

    365 giorni con Msf

    Portapane design

    Un presepe particolare

    La Camorra si combatte a tavola

  • NON TAGLIATE IL FUTURO DELL’ITALIASERVONO STRUMENTI PER FAVORIRE CRESCITA E FORMAZIONE DELLE NUOVE GENERAZIONI

    La Provincia di Salerno è uno degli enti pubblici più attivi nel mondo del servizio civile. Prima con gli obiettori di coscienza e oggi con i volontari del servizio civile, ha coinvolto in dieci anni oltre 700 gio-vani che hanno dato il proprio contributo allo sviluppo del territorio. Intervistiamo Antonio Iannone, assessore alle Politiche Giovanili e al Servizio Civile della Provin-cia di Salerno.In un momento di crisi come quel-la che attraversa oggi il nostro Paese quanto pesano i tagli? Hanno pesato soprattutto in Campania dov’era concentrato un numero consi-derevole dei volontari nazionali. Proprio quando si è compreso il reale valore dello strumento, se ne sono ridotte le risorse.La provincia di Salerno come investe sul servizio civile? Ha dato vita all’Agenzia Provinciale per il Servizio Civile che cura sia i progetti dell’ente Provincia sia l’informazione ed ha avviato Laboratori per i giovani all’in-terno dell’Amministrazione.Un pregio del servizio civile? Il servizio presso l’Ente Provincia consen-te di comprendere cosa le Istituzioni fan-no per dare risposte concrete.Un difetto? Tutto dipende dalla serietà dagli enti che gestiscono i volontari. Noi ci siamo im-pegniamo a garantire ai nostri volontari un’esperienza forte. In ogni caso va au-mentata la capacità progettuale.Una proposta per il futuro? Porre in campo ogni sforzo perché i gio-vani vivano un’utile esperienza di parte-cipazione.

    “Investire sui giovani, scommettere sui giova-ni, chiamarli a fare la propria parte e dare loro adegua-te opportunità.” Prenden-do spunto dalle parole del Presidente della Repubblica, pronunciate in occasione del discorso di fine anno agli Italiani , migliaia di orga-nizzazioni del ter-zo settore, di enti locali e di giovani hanno lanciato un appello alla classe politica affinché garantisca al Servizio Civile Nazionale i fondi necessari a renderlo un’esperienza accessibile a tutti i giovani: “Non taglia-te il futuro dell’Italia”.In un periodo di crisi non solo eco-nomica ma anche sociale e generazionale, servono allo Stato strumenti per favori-re la crescita, la formazione e l’educazione delle nuove generazioni anche fuori dai

    tradizionali percorsi di istru-zione e formazione. Negli ul-timi anni invece, a partire dal 2006, il Fondo Nazionale per il Servizio Civile ha subi-to costanti tagli che lo han-no portato da una dotazione di 300 milioni di euro agli

    scarsi 68 milioni di euro previsti dalla Legge di Stabilità 2012. Ciò ha signi-ficato una riduzione costante del con-tingente di giovani avviati, passati da-

    gli oltre 57.000 del 2006 ai previsti 4.000 del 2012. Per questo motivo si è animata una mobilitazione nazionale che ha visto e vede protago-nisti sia gli enti di servizio civile, pubblici e del privato sociale, che i giovani volon-tari. Una mobilitazione il cui obiettivo non è solo quello di ottenere maggiori fondi, ma di sensibilizzare l’intera classe politica.

    Nato nel 2001 ha coinvolto 396 giovani, poi diventati 16.079 nel 2002, 35.897 nel 2003, fino ai 57.119 nel 2006. Nel 2011 sono stati messi a bando appena 20.123 po-sti. Serve una riorganizzazione normativa perché non vada alla deriva e a questo scopo sono stati presentati in Par-lamento 14 disegni di legge che vanno in direzioni spesso opposte e la cui discussione è ancora in alto mare. Pietra della discordia è il tema del ritorno ad una gestione unica e centrale dell’Ufficio Nazionale o un totale trasferimento di delega alle regioni. Il Fondo Nazionale per il Servizio Civile è intanto passato da una dotazione di 299 milioni nel 2009 a 68 milioni di euro disposti nella Legge di Stabilità 2012, che non