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Copyright© Esselibri S.p.A. CAPITOLO QUARTO I FONDAMENTI BIOLOGICI DEL LINGUAGGIO E LE PATOLOGIE Sommario: 1. Linguaggio e cervello. - 2. Fisiologia del linguaggio. - 3. Le patologie del linguaggio orale: le afasie. - 4. Le patologie del linguaggio scritto: dislessie e disgrafie. 1. LINGUAGGIO E CERVELLO Fin dall’antichità sono state avanzate teorie sulle relazioni tra cervello e linguaggio, ma solo da circa un secolo e mezzo le conoscenze su questa relazione hanno acquisito una sistematicità e una consistenza scientifiche. All’origine di questo studio scientifico ci sono stati soprattutto gli studi sull’afasia condotti nel secolo XIX, in particolare da Broca e da Wernicke, i cui nomi sono rimasti legati a due specifiche aree della corteccia cerebra- le, preposte al linguaggio. A) Il cervello umano e la corteccia cerebrale Il cervello degli esseri umani è un organo straordinariamente complesso costituito da circa 12 miliardi di neuroni, i quali possono formare un nume- ro di interconnessioni (10 15 ), che secondo alcuni è maggiore del numero degli atomi di cui è composto l’universo. Dal punto di vista filogenetico, il cervello umano può essere considerato il risultato di una evoluzione durata centinaia di milioni di anni, durante la quale ha continuato a incorporare strutture congenite. La maggior parte dei neuroni (circa 10 miliardi) si tro- vano nella parte evolutivamente più recente, vale a dire nella corteccia ce- rebrale, che costituisce lo strato più esterno del cervello e nell’uomo ha una superficie particolarmente estesa, poiché è caratterizzata da numerosi sol- chi e circonvoluzioni. La corteccia si divide in due emisferi, destro e sinistro, collegati tra loro da una struttura chiamata ‘corpo calloso’, che permette agli impulsi nervosi di passare da un emisfero all’altro. Ciascun emisfero si suddivide poi in quattro lobi, delimitati almeno parzialmente da solchi particolarmente mar-

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CAPITOLO QUARTO

I FONDAMENTI BIOLOGICI DEL LINGUAGGIOE LE PATOLOGIE

Sommario: 1. Linguaggio e cervello. - 2. Fisiologia del linguaggio. - 3. Le patologiedel linguaggio orale: le afasie. - 4. Le patologie del linguaggio scritto: dislessie edisgrafie.

1. LINGUAGGIO E CERVELLO

Fin dall’antichità sono state avanzate teorie sulle relazioni tra cervello elinguaggio, ma solo da circa un secolo e mezzo le conoscenze su questarelazione hanno acquisito una sistematicità e una consistenza scientifiche.All’origine di questo studio scientifico ci sono stati soprattutto gli studisull’afasia condotti nel secolo XIX, in particolare da Broca e da Wernicke,i cui nomi sono rimasti legati a due specifiche aree della corteccia cerebra-le, preposte al linguaggio.

A) Il cervello umano e la corteccia cerebrale

Il cervello degli esseri umani è un organo straordinariamente complessocostituito da circa 12 miliardi di neuroni, i quali possono formare un nume-ro di interconnessioni (1015), che secondo alcuni è maggiore del numerodegli atomi di cui è composto l’universo. Dal punto di vista filogenetico, ilcervello umano può essere considerato il risultato di una evoluzione duratacentinaia di milioni di anni, durante la quale ha continuato a incorporarestrutture congenite. La maggior parte dei neuroni (circa 10 miliardi) si tro-vano nella parte evolutivamente più recente, vale a dire nella corteccia ce-rebrale, che costituisce lo strato più esterno del cervello e nell’uomo ha unasuperficie particolarmente estesa, poiché è caratterizzata da numerosi sol-chi e circonvoluzioni.

La corteccia si divide in due emisferi, destro e sinistro, collegati tra loroda una struttura chiamata ‘corpo calloso’, che permette agli impulsi nervosidi passare da un emisfero all’altro. Ciascun emisfero si suddivide poi inquattro lobi, delimitati almeno parzialmente da solchi particolarmente mar-

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cati. I lobi sono, partendo dalla parte anteriore verso quella posteriore: illobo frontale, parietale, temporale e occipitale.

Per quel che riguarda le funzioni, si è soliti distinguere tre diversi tipi diregioni della corteccia cerebrale:

— le aree sensoriali primarie, che ricevono i segnali nervosi dagli organidi senso. Esse comprendono l’area visiva situata nel lobo occipitale,l’area uditiva nel lobo temporale e l’area somatosensoriale nel lobo pa-rietale;

— l’area motoria primaria, che si trova nella porzione posteriore del lobofrontale ed è adiacente all’area somatosensoriale;

— le rimanenti aree della corteccia sono dette aree associative, che ricevo-no stimoli dalle parti inferiori del cervello e dalle aree sensoriali, e sonoresponsabili dei complicati processi cognitivi come la percezione, l’at-tenzione, il pensiero, la decisione. La parte dedicata alle aree associati-ve è tanto maggiore, in rapporto all’estensione delle altre due aree, quantopiù si procede nella scala evolutiva dai mammiferi più semplici, come iratti, verso quelli più complessi, come i primati e quindi l’uomo.

B) L’area di Broca e l’area di Wernicke

Lo studio condotto su persone colpite da deficit linguistici, in seguito alesioni localizzate nel cervello, ha fornito storicamente la maggior parte deidati su cui si sono costruite le teorie sul modo in cui il linguaggio è organiz-zato nel cervello. Alla base di questo modo di procedere, che da una funzio-

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ne danneggiata inferisce la sua localizzazione in una parte specifica del cer-vello, ci sono due postulati:

— la mente ha un’architettura funzionale e neurologica di tipo multicom-ponenziale;

— il comportamento di un soggetto che ha subito una lesione cerebrale èdeterminato dall’attività complessiva del cervello, meno la componentedanneggiata dalla lesione. Questo postulato (detto della «costanza») im-plica che, dopo la lesione, non vi è una riorganizzazione del sistemanervoso che in qualche modo supplisca al danno subìto.

Già dalla fine del Settecento fisiologi e anatomisti si sono interessatiall’ipotesi di localizzare le funzioni celebrali, cioè di determinare le areespecifiche del cervello che controllano specifici comportamenti e abilità.All’inizio dell’Ottocento questo studio ha preso il nome di frenologia,che postulava che la mente umana non fosse un’unità indifferenziata ben-sì multicomponenziale e tentava perciò di individuare diverse facoltà in-tellettuali ed emotive, ognuna localizzata in un’area distinta della cortec-cia cerebrale. Nonostante l’insufficienza di questi primi tentativi, si trat-tava comunque dell’inizio di una concezione materialistica dei processimentali.

Verso la fine del 1800 gli studi sull’afasia permisero di individuare duediverse aree specifiche della corteccia preposte al linguaggio; entrambesituate nell’emisfero sinistro. La prima ad essere scoperta fu l’area di Broca,situata nella parte infero-posteriore del lobo frontale sinistro. Deve il suonome al chirurgo francese Paul Broca, il quale nel 1861 dimostrò che lesio-ni in questa area della corteccia producevano importanti deficit nella capa-cità di parlare (afasia di Broca). In seguito Broca si accorse anche del fattoche danni alle aree corrispondenti dell’emisfero destro lasciavano inveceinalterate le capacità linguistiche dei pazienti. L’area di Wernicke, situatanella parte posteriore della corteccia temporale sinistra, prende inveceil nome dal medico tedesco Carl Wernicke, che nel 1874 descrisse casidi pazienti, con un danno in questa area, i quali avevano un diverso di-sturbo del linguaggio (afasia di Wernicke): erano incapaci di compren-dere il linguaggio ma tendevano a parlare fluentemente anche se conparole e combinazioni di parole anomale.

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Wernicke mise in relazione le pro-prie scoperte con quelle di Broca epropose un modello neuroanato-mico dell’organizzazione delle fun-zioni linguistiche, secondo il qualenel cervello esistono due centri dellinguaggio ed una via di comunica-zione che li connette: l’area diWernicke, deputata alla com-prensione, e l’area di Broca, pre-

posta invece alla produzione; la via di comunicazione che connette le duearee è costituita da un fascio di fibre nervose detto fascicolo arcuato.

Queste scoperte anatomo-patologiche portarono all’idea di un’asimme-tria funzionale dei due emisferi del cervello umano per quanto riguarda illinguaggio e non solo. Secondo Broca «l’uomo parla con l’emisfero sini-stro».

Dalla metà dell’Ottocento in poi i neurofisiologi raccolsero una grandequantità di dati e di osservazioni anatomo-cliniche, che portarono ad ela-borare precise mappe della corteccia celebrale, che assegnavano ad ognifunzione una precisa area anatomica. Tali studi influenzarono molto il qua-dro teorico in cui si svilupparono le conoscenze sul modo in cui il linguag-gio è organizzato nel cervello, fornendo in particolare uno schema concet-tuale per classificare le afasie (vedi capitolo sulle afasie).

C) La specializzazione degli emisferi

Fino agli anni sessanta del Novecento la nozione di dominanza emisfe-rica era correntemente accettata dagli studiosi, per poi essere sostituita pro-gressivamente da quella di specializzazione emisferica, secondo cui en-trambi gli emisferi prevalgono a turno a seconda della funzione cognitiva.La teoria classica è stata pertanto rivista alla luce delle seguenti considera-zioni:

— i due emisferi cerebrali sono asimmetrici da un punto di vista struttu-rale (e non solo funzionale come si riteneva in passato);

— i due emisferi sono funzionalmente e strutturalmente differenti ma,per quanto concerne le funzioni superiori, ciò non significa che ci siauna dominanza di un emisfero sull’altro; inoltre, per quel che riguarda

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le attività elementari di senso e di moto, i due emisferi sono oggi consi-derati equivalenti;

— la dominanza manuale non indica con certezza una dominanza emisfe-rica. Infatti la maggioranza dei mancini non ha un’organizzazione dellefunzioni corticali invertita rispetto a quella dei destrimani. I dati clinicisu pazienti afasici mostrano che nel 61% dei mancini le funzioni lingui-stiche sono localizzate nell’emisfero sinistro, e nel 20% su entrambi gliemisferi;

— l’asimmetria dei due emisferi non è una caratteristica specie-specifi-ca degli esseri umani; esistono infatti asimmetrie anatomiche e funzio-nali anche nel cervello di altri animali.

Secondo il modello della specializzazione emisferica, oggi prevalente,l’emisfero sinistro è specializzato nelle capacità prassiche e nei processi dielaborazione simbolica e analitica, compreso dunque il linguaggio. L’emi-sfero destro è invece maggiormente specializzato in compiti di elaborazio-ne spaziale e percettiva (per esempio la percezione di una melodia e di rela-zioni spaziali).

Queste specializzazioni non vanno però intese in senso assoluto. Perquanto riguarda il campo che qui ci interessa maggiormente, diverse provesperimentali hanno evidenziato che anche l’emisfero destro partecipa alfunzionamento del linguaggio: esso è coinvolto, per esempio, nell’elabo-razione del linguaggio figurato, degli aspetti prosodici del parlato e dialcune caratteristiche semantiche.

D) L’organizzazione del linguaggio nel cervello

Recentemente diversi ricercatori (per esempio Deacon) hanno comin-ciato a considerare le aree di Broca e di Wernicke non più come le «aree dellinguaggio» quanto piuttosto come le aree che il linguaggio usa più intensa-mente. Molte prove sperimentali mostrano infatti che le aree del cervellocoinvolte nel linguaggio non sono solo le aree di Broca e di Wernicke ma sidistribuiscono in tutti i lobi della neocorteccia, e includono l’area tempora-le, parietale, prefrontale e frontale dell’emisfero sinistro.

Il sistema linguistico sarebbe dunque assai meno localizzato di quantofosse stato ipotizzato in precedenza sulla base degli studi sulle afasie. Infat-ti da alcuni anni esistono nuove tecniche di indagine che permettono diesaminare dettagliatamente e in tempo reale i processi che avvengono nelcervello durante l’esecuzione di compiti linguistici, monitorando l’attività

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elettrica della corteccia, il metabolismo cellulare o altri processi biochi-mici nelle varie zone del cervello. Per questo oggi molti autori privilegianouna visione distribuita delle funzioni neurali: l’elaborazione del linguag-gio è un’attività complessa che risulta dall’integrazione dell’attività di mol-te diverse regioni di entrambi gli emisferi, le quali si trasmettono l’informa-zione tramite fasci di neuroni connettivi.

Tale visione (sostenuta in particolare dal programma psicologico chia-mato «connessionismo») può essere ricondotta ad una teoria «olistica» delfunzionamento del cervello, che si contrappone alle teorie «localistiche»,le quali presuppongono invece la possibilità di identificare specifiche areepreposte al funzionamento del linguaggio. Tra i sostenitori di queste secon-de teorie, oltre a Broca e Wernicke nell’Ottocento, si segnala nel NovecentoNorman Geschwind, che ha ripreso il modello di Wernicke proponendouna teoria nota come modello di Wernicke-Geschwind.

Molti autori sostengono che il linguaggio non è solo una funzione corticale. Lieberman hamostrato casi di lesioni sottocorticali (al talamo o ai gangli della base) che possono portarea sindromi afasiche. L’integrità del funzionamento del sistema linguistico, perciò, può di-pendere anche da una complessa rete nervosa sottocorticale, e non solo dal sistema cortica-le che connette le aree di Wernicke e Broca come tradizionalmente si ritiene.Sempre secondo Lieberman, i sistemi complessi sono regolati da «sistemi neurali funzio-nali», cioè reti di circuiti neurali che lavorano insieme e coinvolgono diverse strutturedistribuite nel cervello. Secondo Lieberman esiste un Functional Language System (FLS),un sistema neurale funzionale che include anche strutture sottocorticali come i gangli dellabase; tale sistema regola l’esecuzione di diverse attività apparentemente non connesse traloro, come parlare, comprendere la struttura sintattica di frasi ma anche muovere le dita erisolvere problemi cognitivi. Le basi neurali del linguaggio, dunque, oltre a non esserelocalizzabili in un’area precisa, sarebbero comuni ad altre abilità cognitive e motorie.Altri autori (ad esempio Caplan) hanno però negato che le strutture sottocorticali abbianoun ruolo essenziale per il linguaggio; la loro funzione potrebbe essere solo quella di attiva-re il sistema di elaborazione e trasferire i risultati dell’elaborazione linguistica da una parteall’altra della corteccia associativa perisilviana. Non esisterebbe infatti un solo caso dipaziente affetto da afasia che non abbia anche anomalie nel funzionamento della cortecciaattorno alla scissura di Silvio.

E) La genesi della lateralizzazione del linguaggio nel cervello

Il problema della genesi della lateralizzazione riguarda la questione sealla nascita vi siano già asimmetrie tra aree cerebrali oppure se i due emisfe-ri nascano equipotenziali. Il problema riguarda anche il rapporto tra fattoriinnati e stimoli ambientali nella specializzazione delle aree cerebrali.

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Una prima ipotesi – conosciuta come «ipotesi dell’invarianza» – so-stiene che le aree coinvolte nel linguaggio sono anatomicamente e funzio-nalmente asimmetriche già dalla nascita o anche prima: nasciamo con l’emi-sfero sinistro già specializzato per il linguaggio, soprattutto per alcune com-petenze linguistiche come quelle fonologiche. Solo gravi lesioni che com-promettano contemporaneamente ampie regioni dell’emisfero sinistro pos-sono fare sì che le sue funzioni vengano svolte da quello destro.

L’ipotesi alternativa, proposta da Lenneberg nel 1967, è che la specializzazione funziona-le dell’emisfero sinistro per il linguaggio sia il risultato della plasticità del cervello e dellamaturazione che avviene tra il secondo ed il quinto anno di vita, e che poi diminuisce e sicompleta entro i 7-10 anni. Il periodo «critico» corrisponde a quello stadio evolutivo du-rante il quale il sistema nervoso centrale matura e assume una struttura definitiva, e in cuila presenza o assenza di stimolazioni ambientali ha un effetto cruciale per lo svilupponeurale.L’ipotesi di un periodo critico per l’apprendimento del linguaggio, cioè di un periodoentro cui è unicamente possibile per l’organismo sviluppare una capacità linguistica, ècontroversa. È probabile che tale ipotesi valga soprattutto per alcuni aspetti del linguaggio,in particolare per l’acquisizione delle regole fonologiche e della sintassi.

Oggi viene generalmente giudicata falsa l’ipotesi che nel primo anno divita vi sia un’equipotenzialità emisferica, tuttavia è vero che per diversianni il cervello dei bambini è sufficientemente plastico da permettere che,qualora avvengano delle lesioni, altre aree intatte dello stesso emisfero op-pure di quello opposto possano svolgere le funzioni che erano in carico allearee danneggiate.

2. FISIOLOGIA DEL LINGUAGGIO

A) Fonetica e fonologia

Esistono diverse discipline che si occupano dei suoni del linguaggio. Ladistinzione più importante da fare è quella tra fonetica e fonologia:

— la fonetica è lo studio dei suoni linguistici intesi come eventi fisico-acustici (foni). Essa comprende lo studio del modo in cui questi suonisono prodotti dall’apparato articolatorio (oggetto della fonetica artico-latoria) e comprende anche l’indagine sulle proprietà acustiche (la fone-tica acustica) e percettive (psicoacustica o fonetica uditiva) dei suonidel linguaggio;

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— la fonologia invece è quella parte della linguistica che studia come nellevarie lingue è organizzato il sistema dei suoni che hanno una funzionedistintiva (fonemi). La maggioranza delle lingue infatti usa in mediatrenta fonemi circa, sebbene dal punto di vista fonetico siano possibilioltre seicento diversi foni che possono essere utilizzati nel linguaggio.Questo significa che ogni lingua, tra tutti i possibili foni, ne selezionaalcuni (i fonemi appunto) che sono rilevanti per formare e distinguere leparole.

Da ciò consegue anche che molte distinzioni che esistono in una linguapossono essere ignorate in un’altra.

Ad esempio in giapponese non esiste la distinzione tra le consonanti r ed l, che sono conside-rate come varianti di un unico fonema, di solito etichettato /r/. Un parlante giapponese puòbensì pronunciare i foni [r] ed [l] ma non può usare la differenza tra i due suoni per distingue-re una parola da un’altra, come invece avviene in italiano, per esempio, con «rana» e «lana».Dunque /r/ e /l/ sono fonemi dell’italiano, non perché siano effettivamente pronunciati daiparlanti ma perché non possono essere scambiati tra loro (‘commutati’ si dice in linguistica)in tutti i contesti senza modificare il significato delle parole in cui compaiono.

Se invece consideriamo i foni [r] e [R] (la prima corrisponde alla pro-nuncia normale italiana della consonante r, la seconda è la cosiddetta ‘erremoscia’, prodotta mediante la vibrazione dell’ugola) e facciamo la prova dicommutazione, ci accorgiamo che è possibile scambiarli senza cambiare ilsignificato delle parole, cioè [rana] e [Rana] sono due pronunce diversedella stessa parola e, dunque, [r] e [R] sono varianti di un unico fonema. Ifonemi sono delle entità astratte, che non coincidono con le loro realizza-zioni concrete.

Ogni fonema rappresenta infatti una categoria di suoni e non un suonofisicamente reale. Quando uno stesso fonema viene realizzato da diversevarianti, queste sono chiamate allofoni del fonema. La nozione di fonemaha una valenza psicologica, poiché esso può essere considerato come larappresentazione mentale di un suono interiorizzata dai parlanti di una lin-gua. La fonologia studia anche le regole secondo cui i fonemi possono com-binarsi tra loro (anche queste regole variano a seconda delle lingue; «Trst»,per esempio, non può essere una parola italiana, ma in sloveno è il nomedella città di Trieste).

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I sistemi di trascrizione fonetica e fonemica

Alla distinzione tra fonetica e fonologia corrispondono due diversi sistemi di trascrizionedei suoni del linguaggio che vengono usati in linguistica: in quello fonemico, che è piùastratto poiché tralascia i tratti che non sono distintivi nella lingua, i simboli fonici vengo-no racchiusi tra barre oblique (ad es. /r/); in quello fonetico, che viene usato per rappresen-tare aspetti più dettagliati della pronuncia, i simboli sono racchiusi tra parentesi quadre (ades. [R]). Il doppio sistema di trascrizione mostra la sua utilità particolarmente quando sitratta di distinguere un fonema dai suoi allofoni. Così, ad esempio, possiamo distinguere ilfonema giapponese /r/ dai suoi allofoni (le sue concrete realizzazioni) come [r] o [l]. Perquel che riguarda i simboli fonici utilizzati, entrambi i tipi di trascrizione di solito fannouso dei simboli dell’Alfabeto Fonetico Internazionale. Un efficiente sistema di trascrizionedei suoni linguistici, infatti, dovrebbe basarsi su una corrispondenza biunivoca tra suono esimbolo. Tale caratteristica però manca nei sistemi ortografici delle lingue naturali (si pensiad esempio alla differente pronuncia della stessa lettera c nella parola «cucire», per nonparlare dell’inglese che presenta delle anomalie ancora maggiori dell’italiano); i linguistiquindi hanno messo a punto degli alfabeti fonetici, che associano ogni suono ad un simbolodiverso o ad una diversa combinazione di simboli. L’Alfabeto Fonetico Internazionale (notocome IPA = International Phonetic Alphabet) è il più usato di questi alfabeti.

B) I suoni e il sistema uditivo

Rappresentazione semplificata dell’orecchio esterno, medio e interno.Fonte: E. Matthei e T. Roeper, «Element di psicolinguistica», Bologna, il Mulino, 1991

Quando percepiamo un suono, percepiamo in realtà una variazione del-la pressione atmosferica che si propaga in forma di onde nell’aria, o in altro

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mezzo elastico, e viene registrata dal nostro apparato uditivo attraverso iltimpano. I movimenti di questa membrana sono trasmessi dagli ossicinidell’orecchio medio all’orecchio interno, dove sono trasformati in impulsinervosi, che raggiungono le aree uditive della corteccia cerebrale. Del siste-ma uditivo umano fanno dunque parte le orecchie, alcune parti del cervelloe le vie nervose di connessione.

Ogni suono è caratterizzabile in base ad almeno due parametri:

— frequenza, cioè il numero di cicli al secondo; è misurata in herz (Hz) edetermina l’altezza;

— intensità, cioè la differenza fra il picco superiore e quello inferiore del-l’onda nell’unità di tempo; viene misurata in decibel.

L’uomo è in grado di percepire suoni che vanno da 20 a 20.000-40.000Hz, ma è particolarmente sensibile nel range tra 1 kH e 4 kHz. La maggiorparte dei suoni linguistici ha una frequenza tra 600 Hz e 4 kHz.

C) Il sistema fonatorio

L’apparato fonatorio umano è composto da un certo numero di organi,la cui funzione primaria è una funzione biologica (la respirazione, la deglu-tizione ecc.) diversa da quella linguistica. Esso è dunque un adattamento afini comunicativi di strutture fisiologiche la cui funzione è stata in origine,e rimane tuttora, diversa. Ciò significa che la specie umana si è evolutaimpiegando vecchie strutture preesistenti per assolvere ad una funzionenuova.

Tuttavia l’evoluzione ha fatto sì che esistano importanti differenze traqueste strutture fisiologiche negli uomini e negli altri animali. Per esempiola muscolatura che regola i movimenti della lingua e delle labbra negliuomini è molto più sviluppata e duttile. La produzione dei suoni del lin-guaggio è regolata infatti nell’uomo da oltre cento muscoli, attraverso i qualigli esseri umani sono in grado di esercitare un controllo assai fine sui pro-cessi di vocalizzazione e sui suoni emessi. Il processo di produzione deisuoni del linguaggio (la fonazione) può essere schematizzato come compo-sto di tre elementi che interagiscono: quando pronunciamo una parola, pro-duciamo innanzitutto (1) un flusso d’aria che fuoriesce dai polmoni, il qua-le, attraversata la trachea, subisce (2) una prima modificazione all’altezzadella laringe (dove si trovano le corde vocali), per poi subire (3) altre modi-ficazioni nel tratto vocale ad opera della lingua e di altre strutture anatomi-

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che. La lingua, le labbra, la mascella, il velo e la laringe sono le principalistrutture che attraverso il loro movimento sono responsabili dell’articola-zione delle parole.

Principali struttura anatomiche che partecipano alla produzione dei suoni linguistici.Fonte: Fonte: E. Matthei e T. Roeper, «Element di psicolinguistica», Bologna, il Mulino, 1991.

I vari suoni del linguaggio dipendono dalla posizione e dai movimentidegli organi che compongono il sistema articolatorio e possono perciò esse-re descritti e classificati in base ai movimenti necessari per produrli. Sel’aria esce liberamente dalla cavità della bocca, o anche dalla bocca e dalnaso insieme, si produce una vocale; se invece il parlante ferma o ostacolail flusso d’aria nel tratto vocale, viene prodotta una consonante.

Le vocali sono prodotte con la cavità orale relativamente aperta che fada cassa di risonanza; il tratto vocale aperto che risuona può assumere diffe-renti configurazioni, le quali producono differenti suoni vocalici. I fattoriche modificano l’articolazione sono la posizione della lingua, l’apertura

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relativa delle labbra e della faringe e la posizione della mascella. Ciascunodi questi fattori dell’articolazione può essere controllato in maniera indi-pendente per produrre le varie vocali. La distinzione fra vocali e consonantinon è sempre netta: alcuni suoni possono essere considerati come vocali,consonanti o semivocali a seconda delle lingue (per esempio la /1/ di «ta-ble» in inglese non è considerata una consonante).

Le consonanti vengono distinte in base a tre principali caratteristiche:

— il modo di articolazione, che determina se si ha una chiusura del siste-ma articolatorio ottenendo così una consonante occlusiva, oppure unsuo restringimento che produce una consonante costrittiva (detta an-che fricativa), o infine la combinazione di chiusura e restringimentoche genera una consonante affricata;

— il luogo di articolazione, che riguarda il luogo in cui avviene la chiusu-ra o il restringimento: possono esserci consonanti labiali prodotte dalblocco e poi dall’apertura delle labbra (/p/, /b/); dentali, prodotte dal-l’appoggio della lingua all’interno della dentatura (/t/, /d/); velari, pro-dotte dal sollevamento della lingua verso il palato (/k/, /g/);

— i cosiddetti tratti accessori, che riguardano: A) la posizione del velopalatino: quando è sollevato e accostato alla parete della faringe, l’ariaesce solo dalla bocca dando luogo a un suono orale; se il velo è inveceabbassato e l’aria esce sia dalla bocca che dal naso, si ha una consonantenasale; per esempio con la coordinazione degli stessi organi si ottiene ilsuono orale /b/ oppure la nasale /m/; B) il passaggio dell’aria fra le cor-de vocali: se l’aria passa tra le corde vocali senza che queste vibrino, laconsonante prodotta è sorda (/p/, /t/, /k/).; se invece le corde vocali ven-gono fatte vibrare, la consonante è sonora (/b/, /d/, /g/).

La differenza tra consonanti sorde e sonore può essere calcolata anchein termini di VOT (Voice Onset Time), cioè il tempo che intercorre tra ilmomento in cui viene rilasciato il meccanismo di occlusione e la vibrazionedelle corde vocali. Le consonanti sonore hanno un VOT breve o anche ne-gativo, quelle sorde un VOT più lungo.

Con un programma che permette di riprodurre la voce umana su un com-puter, è possibile far variare il VOT in modo continuo: interponendo unintervallo di -20 millisecondi (ms) tra l’apertura dell’occlusione e la vibra-zione delle corde vocali, si ottiene, per esempio, un suono che viene perce-pito come /da/; se si aumenta il VOT a +80 ms, il suono diventa /ta/. Se

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variamo progressivamente il valore del VOT, otteniamo una serie di seg-menti acustici che sono fisicamente intermedi tra /da/ e /ta/. Se però questisuoni vengono presentati in successione ad un ascoltatore, egli non percepi-rà delle sillabe intermedie tra /da/ e /ta/, ma continuerà a sentire /da/ fino adun certo valore, dopo il quale percepirà chiaramente /ta/. Le diverse sillabe,differenti dal punto di vista acustico, sono collocate percettivamente in unadi due categorie percettive, senza possibilità di casi intermedi. Questo feno-meno viene definito percezione categoriale dei suoni del linguaggio e de-nota un’asimmetria tra struttura acustica del suono e percezione uditiva daparte degli ascoltatori. La percezione categoriale sembra essere una carat-teristica tipica del linguaggio umano, che non vale per la percezione di altrieventi acustici.

In fonologia è stata avanzata un’importante teoria per caratterizzare la struttura interna deisuoni linguistici. Si tratta della teoria dei tratti distintivi, formulata inizialmente da Jakob-son e poi ripresa anche da Chomsky, secondo la quale tutti i fonemi sono scomponibili inuna serie di tratti distintivi binari. Ogni tratto distintivo infatti può assumere il segno ‘+’ (seè presente nel fonema in questione), oppure il segno ‘-’ (se è assente); ognuno rappresentaun aspetto dell’articolazione: per esempio il fonema italiano /m/ ha il tratto [+ nasale]mentre in /b/ lo stesso tratto è assente [- nasale]. Inoltre i tratti distintivi sono consideratiuniversali, cioè in grado di descrivere i fonemi di qualsiasi lingua.

Molti dati sperimentali indicano che la teoria dei tratti distintivi ha unavalidità psicologica. Le somiglianze e differenze tra fonemi che risultanodall’analisi in tratti distintivi sembrano essere le stesse che vengono perce-pite dai parlanti: è più facile che le persone confondano tra loro sillabe chehanno molti tratti distintivi in comune (come /na/ e /ma/) piuttosto che dueche ne hanno di meno (come /na/ e /sa/).

3. LE PATOLOGIE DEL LINGUAGGIO ORALE: LE AFASIE

Il termine «afasia» si riferisce ad un disturbo del linguaggio dovuto alesioni intervenute in regioni specifiche del cervello. I deficit afasici nonsono dovuti a danni nei sistemi di tipo sensoriale o motorio né a disturbicognitivi generali ma riguardano specificamente aspetti della produzione ocomprensione del linguaggio. La ricerca sulle afasie ha una lunga tradizio-ne che deriva dagli studi di Broca e Wernicke compiuti nella seconda metàdell’Ottocento. Dagli studi di questi due autori è derivato un primo criteriodi classificazione delle afasie in base alla fluenza. Le afasie possono essere