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no dei più autorevoli giornali inglesi, “the Guardian”, ha recentemente definito Berlusco- ni in questo modo: “E’ la più temibile minaccia alla democrazia occiden- tale dal 1945 ad oggi... E’ un discendente diretto di Mussolini”. Esagera il giornale inglese o dobbiamo prendere sul serio l’al- larme? L’Italia è stata considerata per molti decenni un Paese con alta cultura politica e con una sinistra innovativa e forte nei suoi legami con le forze più dinamiche della società. Poi il disastro della prima repubbli- ca ha fatto emergere una classe politica di non prima qualità, così che sono ormai dodici anni che la scena politica è tenuta da un personaggio come il cavaliere di Arcore. Il fatto non è spiegabile soltanto con la forza mediatica dell’uomo più ricco d’Italia. Qualche problema nelle forze democratiche italiane sembrerebbe esserci se per due volte il popolo italiano ha votato per una destra avvilente comandata da un vendi- tore di pannina. Se si vuole che il berlusconismo finisca con la sconfitta di Berlusconi si dovrà ricostruire, con un discorso di verità, un percorso democratico alternativo a quello che ha prodotto la crisi della democrazia italiana. Abbiamo ripe- tutamente criticato la politica isti- tuzionale del centrosinistra di que- sti anni. Leggi elettorali raffazzo- nate, la scelta delle elezioni dirette di sindaci e presidenti oltre che la scelta dello svuotamento sistematico di tutte le sedi della rappresentanza a vantag- gio della governabilità di craxiana memoria. Tutto ciò non poteva che portare ad una crisi della politica a vantaggio del populi- smo. L’ossessione per un sistema elettorale maggioritario sbagliato ha prodotto il proli- ferare di partiti e partitini gestiti da leader e laederini di oligarchie arroganti. La folle scelta di modificare la Costituzione, operata dai berluscones, è figlia delle improvvisazio- ni del centrosinistra della passata legislatu- ra. La deregulation bossiana è la conseguen- za del federalismo voluto da tanti riformisti senza radici. La teoria dell’alternanza di governo tra due poli si è rivelata una misti- ficazione. Una ideologia fuori da ogni riscontro oggettivo. La realtà del Paese è quella di una destra impresentabile che ha fatto strame di ogni regola e di ogni vincolo democratico. Che senso hanno avuto in questi anni i tentativi bipartisan di modifi- care la Costituzione repubblicana? Il pre- mierato forte voluto da Berlusconi è la logi- ca conseguenza dell’iper presidenzialismo regionale dei nostri stagionati eroi. E si potrebbe andare avanti ad elencare settori e fatti della politica dove ha fatto breccia il berlusconismo come sistema di valori. Un bilancio serio di quella disgraziata stagione politica bisognerà pur farlo. Se come ci auguriamo Berlusconi verrà sconfitto, sarebbe il caso di procedere a rimuovere le macerie e l’ideologia che ha permeato anche parti dell’Unione. Questa campagna eletto- rale è la peggiore vissuta dalla repubblica italiana, ma rappresenta nitidamente la crisi del sistema politico. Il prossimo Parlamento non avrà eletti dal popolo, ma parlamentari nominati dalle oligarchie di partito. Infatti, la nuova legge elettorale, falsa proporziona- le, ha espropriato il diritto dei cittadini a scegliere i propri rappresentanti in Parlamento. E’ vero che il “mattarellum” è stata una pessima legge elettorale, ma alme- no dava l’illusione della scelta. Gli oligarchi romani non aspettavano altro e si sono spartiti bellamente i futuri eletti con criteri vari: fedeltà al capo, fedeltà alla corrente, fedeltà al salotto e già che ci siamo anche alla famiglia. Le competenze? Un optional. Divertente poi la quantità di collocazioni, come sottosegretari, per coloro che non venivano ricandidati. Fassino ne ha promes- si centocinquanta, Rutelli più modestamen- te novantadue. Si dirà: tutta questione interna ad un ceto politico che ha fatto della carriera personale il valore decisivo. Rimane il fatto che si poteva fare diversa- mente anche in presenza di una legge igno- bile come quella voluta dalla destra. Ad esempio, per scelta democratica, l’Unione avrebbe potuto tentare la carta delle pri- marie come strumento di parteci- pazione alla scelta dei candidati e in alcune aree questo hanno fatto i diessini. In Umbria, ormai stabil- mente fanalino di coda per tutto ciò che riguarda il dibattito politi- co, i Diesse hanno subito l’arro- ganza romana e così il compagno della Parlesca voterà al Senato per i Diesse convinto di scegliere un compagno: eleggerà un dipietrista. Misteri della politica. Persuasi della necessità di andare a votare per l’Unione al fine di cacciare la destra al potere, non possiamo non avvertire del rischio che con- tinua a correre la nostra democra- zia se non si inverte radicalmente la tendenza alla privatizzazione della politica. E’ cosa saggia che i politici, “miracolati” da Berlusconi, capiscano che la vittoria dell’Unione modificherà anche il campo degli elettori del centrosinistra. Non siamo tra coloro che hanno gridato allo scandalo per la mole del programma dell’Unione e non lo abbiamo definito un programma moderato. Vi sono molte idee da sviluppare altre da rimuovere, ma nel complesso ci sembra che una piattaforma che ripropone le questioni legate al lavoro, al ruolo dell’in- tervento pubblico e alla difesa dello stato sociale sia un buon inizio. Poi saranno i comportamenti concreti a decidere. commenti L’8 marzo delle fasciste Animali ammaestrati La guerra dei tre democristiani Plagi e carognate 2 politica L’allegra scuola della Moratti 3 di Stefano De Cenzo In attesa del 10 aprile 4 di Paolo Lupattelli Chi alimenta il desiderio di autostrada di Amelia Rossi Fortuna che c’è Berlusconi 5 di Maurizio Mori Morte di un maratoneta di E.Q. Testate contro il conformismo 6 di Andrea Chioini economia I bilanci del centrodestra 7 di Franco Calistri dibattito L’orma del regionalismo 8 di Franco Giustinelli Professori e innovatori 9 di Alberto Stramaccioni società Il trittico dell’acqua orvietana 10 di Vittorio Tarparelli Lo spettacolo della scienza di Marco Sciamanna Privacy e grattacapi 11 di Alberto Barelli interventi Come siamo stati bravi in passato 12 di Antonella Montagnini cultura L’evangelista e il cielo stellato 13 di Enrico Sciamanna Quale Marx 14 di Roberto Monicchia Il Santo Che di Girardi 15 di Jacopo Manna Libri e idee 16 Marzo 2006 - Anno XI - numero 3 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10 mensile umbro di politica, economia e cultura copia omaggio in edicola con “il manifesto” il 27 di ogni mese U Parole di verità Votare necesse est La rete ti mette a contatto con realtà inso- spettabili. E così nella posta elettronica abbiamo trovato l’appello all’astensione dal voto di un movimento di sinistra umbro, che sostiene che Berlusconi vale Prodi, o meglio che la definitiva liberazione avverrà quando le masse popolari li cacceranno entrambi. Sbaglia. Non siamo entusiasti né dell’Unione nel suo complesso, né dei parti- ti che la compongono, né di Prodi, ma rite- niamo che il 9 e 10 aprile sia obbligatorio, votare se non per un’alternativa improbabile contro una realtà insopportabile. Berlusconi è infatti un pezzo dell’autobiografia nazio- nale. E’ il distillato di quanto di peggio è maturato nel paese dagli anni Ottanta ad oggi. Una sua nuova vittoria rappresente- rebbe la nascita di quel nuovo regime che ancora non è riuscito a saldarsi, in cui l’arbi- trio e la licenza del peggior capitalismo si coniugherebbero con il tradizionale sovver- sivismo dei ceti dirigenti italiani. C’è di più. Berlusconi è stato l’architrave del sistema politico del paese negli ultimi dodici anni, l’alibi per gruppi dirigenti della sinistra sempre meno capaci di interpretare istanze di massa e di offrire un’accettabile alternati- va allo stato di cose presente. La sua sconfit- ta significherebbe anche la fine della Seconda Repubblica, rimetterebbe in moto l’intero quadro politico, libererebbe energie e volontà paralizzate dalla cappa che ha soffocato il paese nell’ultimo decennio. Basterebbe questo per votare e noi invitia- mo a votare i nostri lettori, senza esitazioni. Per farlo non occorre turarsi il naso. Comprendiamo che è difficile. Ognuno degli spezzoni dell’alleanza che compone la coalizione di centro sinistra non è in grado di esprimere una politica di una qualche coerenza e spessore, di giocare sulla prospet- tiva: moderatismo, liberismo temperato, veterocomunismo, clericalismo, movimenti- smo, cascami culturali del periodo, ecc., ecc., ecc. si compongono in un cocktail spesso imbevibile. Votate, allora, quello che vi sembra meno pericoloso, cercate di rafforzare quelli che ritenete argini alle istanze moderate presenti nell’Unione. Una volta avremmo detto votate a sinistra, il più a sinistra possibile, oggi vi invitiamo a vota- re per una speranza e per riappropriarvi della politica.

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no dei più autorevoli giornaliinglesi, “the Guardian”, harecentemente definito Berlusco-ni in questo modo: “E’ la più

temibile minaccia alla democrazia occiden-tale dal 1945 ad oggi... E’ un discendentediretto di Mussolini”. Esagera il giornaleinglese o dobbiamo prendere sul serio l’al-larme? L’Italia è stata considerata per moltidecenni un Paese con alta cultura politica econ una sinistra innovativa e forte nei suoilegami con le forze più dinamiche dellasocietà. Poi il disastro della prima repubbli-ca ha fatto emergere una classe politica dinon prima qualità, così che sonoormai dodici anni che la scenapolitica è tenuta da un personaggiocome il cavaliere di Arcore. Il fattonon è spiegabile soltanto con laforza mediatica dell’uomo piùricco d’Italia. Qualche problema nelle forzedemocratiche italiane sembrerebbeesserci se per due volte il popoloitaliano ha votato per una destraavvilente comandata da un vendi-tore di pannina. Se si vuole che il berlusconismofinisca con la sconfitta diBerlusconi si dovrà ricostruire, conun discorso di verità, un percorsodemocratico alternativo a quelloche ha prodotto la crisi dellademocrazia italiana. Abbiamo ripe-tutamente criticato la politica isti-tuzionale del centrosinistra di que-sti anni. Leggi elettorali raffazzo-nate, la scelta delle elezioni direttedi sindaci e presidenti oltre che lascelta dello svuotamento sistematico ditutte le sedi della rappresentanza a vantag-gio della governabilità di craxiana memoria.Tutto ciò non poteva che portare ad unacrisi della politica a vantaggio del populi-smo. L’ossessione per un sistema elettoralemaggioritario sbagliato ha prodotto il proli-ferare di partiti e partitini gestiti da leader elaederini di oligarchie arroganti. La follescelta di modificare la Costituzione, operatadai berluscones, è figlia delle improvvisazio-ni del centrosinistra della passata legislatu-ra. La deregulation bossiana è la conseguen-

za del federalismo voluto da tanti riformistisenza radici. La teoria dell’alternanza digoverno tra due poli si è rivelata una misti-ficazione. Una ideologia fuori da ogniriscontro oggettivo. La realtà del Paese èquella di una destra impresentabile che hafatto strame di ogni regola e di ogni vincolodemocratico. Che senso hanno avuto inquesti anni i tentativi bipartisan di modifi-care la Costituzione repubblicana? Il pre-mierato forte voluto da Berlusconi è la logi-ca conseguenza dell’iper presidenzialismoregionale dei nostri stagionati eroi. E sipotrebbe andare avanti ad elencare settori e

fatti della politica dove ha fatto breccia ilberlusconismo come sistema di valori. Unbilancio serio di quella disgraziata stagionepolitica bisognerà pur farlo. Se come ciauguriamo Berlusconi verrà sconfitto,sarebbe il caso di procedere a rimuovere lemacerie e l’ideologia che ha permeato ancheparti dell’Unione. Questa campagna eletto-rale è la peggiore vissuta dalla repubblicaitaliana, ma rappresenta nitidamente la crisidel sistema politico. Il prossimo Parlamentonon avrà eletti dal popolo, ma parlamentarinominati dalle oligarchie di partito. Infatti,

la nuova legge elettorale, falsa proporziona-le, ha espropriato il diritto dei cittadini ascegliere i propri rappresentanti inParlamento. E’ vero che il “mattarellum” èstata una pessima legge elettorale, ma alme-no dava l’illusione della scelta. Gli oligarchiromani non aspettavano altro e si sonospartiti bellamente i futuri eletti con criterivari: fedeltà al capo, fedeltà alla corrente,fedeltà al salotto e già che ci siamo anchealla famiglia. Le competenze? Un optional.Divertente poi la quantità di collocazioni,come sottosegretari, per coloro che nonvenivano ricandidati. Fassino ne ha promes-si centocinquanta, Rutelli più modestamen-te novantadue. Si dirà: tutta questioneinterna ad un ceto politico che ha fattodella carriera personale il valore decisivo.Rimane il fatto che si poteva fare diversa-mente anche in presenza di una legge igno-

bile come quella voluta dalladestra. Ad esempio, per sceltademocratica, l’Unione avrebbepotuto tentare la carta delle pri-marie come strumento di parteci-pazione alla scelta dei candidati ein alcune aree questo hanno fatto idiessini. In Umbria, ormai stabil-mente fanalino di coda per tuttociò che riguarda il dibattito politi-co, i Diesse hanno subito l’arro-ganza romana e così il compagnodella Parlesca voterà al Senato peri Diesse convinto di scegliere uncompagno: eleggerà un dipietrista.Misteri della politica. Persuasidella necessità di andare a votareper l’Unione al fine di cacciare ladestra al potere, non possiamonon avvertire del rischio che con-tinua a correre la nostra democra-zia se non si inverte radicalmentela tendenza alla privatizzazionedella politica. E’ cosa saggia che ipolitici, “miracolati” da

Berlusconi, capiscano che la vittoriadell’Unione modificherà anche il campodegli elettori del centrosinistra. Non siamotra coloro che hanno gridato allo scandaloper la mole del programma dell’Unione enon lo abbiamo definito un programmamoderato. Vi sono molte idee da svilupparealtre da rimuovere, ma nel complesso cisembra che una piattaforma che riproponele questioni legate al lavoro, al ruolo dell’in-tervento pubblico e alla difesa dello statosociale sia un buon inizio. Poi saranno icomportamenti concreti a decidere.

ccoommmmeennttii

L’8 marzo delle fascisteAnimali ammaestratiLa guerra dei tredemocristianiPlagi e carognate 22ppoolliittiiccaaL’allegra scuoladella Moratti 33di Stefano De Cenzo

In attesa del 10 aprile 44di Paolo Lupattelli

Chi alimenta il desideriodi autostrada di Amelia Rossi

Fortuna che c’è Berlusconi 55di Maurizio Mori

Morte di un maratonetadi E.Q.

Testate contro il conformismo 66di Andrea Chioini

eeccoonnoommiiaaI bilanci del centrodestra 77di Franco Calistri

ddiibbaattttiittooL’orma del regionalismo 88di Franco Giustinelli

Professori e innovatori 99di Alberto Stramaccioni

ssoocciieettààIl trittico dell’acquaorvietana 1100di Vittorio Tarparelli

Lo spettacolo della scienza di Marco Sciamanna

Privacy e grattacapi 1111di Alberto Barelli

iinntteerrvveennttiiCome siamo statibravi in passato 1122di Antonella Montagnini

ccuullttuurraaL’evangelista e il cielo stellato 1133di Enrico Sciamanna

Quale Marx 1144di Roberto Monicchia

Il Santo Chedi Girardi 1155di Jacopo Manna

Libri e idee 1166

Marzo 2006 - Anno XI - numero 3 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10

mensile umbro di politica, economia e cultura

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in edicola con “il manifesto” il 27 di ogni mese

UParole di verità VVoottaarree

nneecceessssee eessttLa rete ti mette a contatto con realtà inso-spettabili. E così nella posta elettronicaabbiamo trovato l’appello all’astensione dalvoto di un movimento di sinistra umbro,che sostiene che Berlusconi vale Prodi, omeglio che la definitiva liberazione avverràquando le masse popolari li caccerannoentrambi. Sbaglia. Non siamo entusiasti nédell’Unione nel suo complesso, né dei parti-ti che la compongono, né di Prodi, ma rite-niamo che il 9 e 10 aprile sia obbligatorio,votare se non per un’alternativa improbabilecontro una realtà insopportabile. Berlusconiè infatti un pezzo dell’autobiografia nazio-nale. E’ il distillato di quanto di peggio èmaturato nel paese dagli anni Ottanta adoggi. Una sua nuova vittoria rappresente-rebbe la nascita di quel nuovo regime cheancora non è riuscito a saldarsi, in cui l’arbi-trio e la licenza del peggior capitalismo siconiugherebbero con il tradizionale sovver-sivismo dei ceti dirigenti italiani. C’è di più.Berlusconi è stato l’architrave del sistemapolitico del paese negli ultimi dodici anni,l’alibi per gruppi dirigenti della sinistrasempre meno capaci di interpretare istanzedi massa e di offrire un’accettabile alternati-va allo stato di cose presente. La sua sconfit-ta significherebbe anche la fine dellaSeconda Repubblica, rimetterebbe in motol’intero quadro politico, libererebbe energiee volontà paralizzate dalla cappa che hasoffocato il paese nell’ultimo decennio.Basterebbe questo per votare e noi invitia-mo a votare i nostri lettori, senza esitazioni.Per farlo non occorre turarsi il naso.Comprendiamo che è difficile. Ognunodegli spezzoni dell’alleanza che compone lacoalizione di centro sinistra non è in gradodi esprimere una politica di una qualchecoerenza e spessore, di giocare sulla prospet-tiva: moderatismo, liberismo temperato,veterocomunismo, clericalismo, movimenti-smo, cascami culturali del periodo, ecc.,ecc., ecc. si compongono in un cocktailspesso imbevibile. Votate, allora, quello chevi sembra meno pericoloso, cercate dirafforzare quelli che ritenete argini alleistanze moderate presenti nell’Unione. Unavolta avremmo detto votate a sinistra, il piùa sinistra possibile, oggi vi invitiamo a vota-re per una speranza e per riappropriarvidella politica.

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l centro Mater Gratiae diMontemorcino a Perugia,all’interno di un ciclo di

appuntamenti che hanno cometema l’amore, si è svolto martedì21 febbraio un incontro dal tito-lo Persone omosessuali. Ad unavasta platea di adolescenti primauna monaca, poi un medico chesi presentava come psicoterapeu-ta hanno affrontato il tema cia-scuno dal proprio punto di vista,le i re l ig ioso-dottr inar io, luimedico/scientifico, con due lun-ghi monologhi senza lasciarealcuno spazio alle domande delpubblico e al dibattito.Particolarmente scandaloso ilcontributo del medico, che haparlato dell’omosessualità comeuna “deviazione dall’itinerarionormale e completo dell’essereumano”, “rapporto contro natu-ra”, “rapporto disordinato”.I rappresentanti di Arcigay pre-senti all’incontro sono rimastiparticolarmente sbalorditi nell’a-scoltare tali definizioni arcaiche

considerate scientif icamentesbagliate da oltre vent’anni,cioè da quando l’Oms, depen-nando l’omosessualità dall’elen-co delle patologie psichiche,l’ha definita come una “variantenaturale della sessualità”. Ma lostrizzacervelli è andato oltre, hadefinito le relazioni omosessualicome promiscue, morbose e ses-socentriche.Sembrava Buttiglione.Due domande parallele. Al vescovo: che bisogno c’era diinvitare un medico, se questinon faceva altro che riferire idocumenti cardinalizi? Se nonbastava la monaca, non erameglio chiamare un prete? Al medico: hai riflettuto primadi parlare? Ti sei accorto che seduti lì c’era-no ragazzine e ragazzini di 15-16anni?Non c’è bisogno di essere psi-chiatri, infatti, per capire che inquel discorso, per di più svoltocon la pretesa della scientificità,

c’è un incitamento alla omofo-bia . Nei confronti di quel laminoranza di ragazze e ragazziche sente in sé un orientamentoomosessuale, era poi un atto digratuita criminalizzazione, unacarognata. Chissà perché lo ha fatto?Magari vuol farsi una clientelatra i preti e le suore. Oppureagogna a una carriera politica.La “scienziata” Binetti presidentedel Comitato Scienza e Vita,amica int ima degl i omofobipolisti Volontè e Mantovano,Rutelli l’ha candidata al Senato,proprio qui in Umbria.L’Arcigay, dal canto suo e nellasua somma ingenuità, si affidaall’ordinamento corporativo e“chiede a gran voce all’ordinedei medici di intervenire”.D’altra parte non può più chie-dere un sostegno alla politica: laprincipale forza della sinistra(ex) laica, il grande partito deiDs, si prepara a fare comunellacon le Binetti e i Rutelli.

L’8 marzodelle fasciste

l “Corriere dell’Umbria” dell’otto marzo con-teneva due pagine speciali sulla festa delladonna, con due ampi articoli senza firma

rispettivamente intitolati Non solo una festa maanche un ricordo e Il sacrificio delle italiane in fab-brica. A ben osservare si scopre che in entrambi icasi si tratta di informazione pubblicitaria, proba-bilmente in capo al Centro regionale per le pariopportunità. La lettura dei due pezzi riserva peral-tro qualche sorpresa. Il primo rievoca l’originedella festa, racconta con qualche semplificazione lastoria dei movimenti femminili di emancipazione edi liberazione del Novecento, valorizzando il ruolodel l ’Udi . Del femminismo non c’è traccia .L’articolo si conclude con i consigli per la conser-vazione delle mimose (utilizzare un coltellino,riempire il vasetto con acqua tiepida, tenerlo lon-tano dalle fonti di calore). Il secondo non parladelle operaie italiane, ma di una santa monaca, unacerta Francesca Cabrini che vol le andare inAmerica a portare il conforto della fede cattolicaagli emigrati e alle emigrate della penisola. Vi silegge tra l’altro: “Italo Balbo ha scritto che tuttiquei nostri connazionali, inghiottiti dalle minieredi carbone, nelle imprese di sterramento … eranol’Italia di nessuno, un popolo anonimo di schiavibianchi , mater ia le umano mercanteggiato amigliaia di capi”. L’operazione pubblicitaria nel suo complesso è cer-tamente frutto di una lottizzazione la pagina disinistra alle rappresentanti dell’ex Pci, la pagina didestra alle clerico-fasciste del Polo. Ma la citazionedi Italo Balbo è una vera provocazione. Sulle gravicondizioni degli italiani in America si sarebberopotute accumulare centinaia di citazioni. Perchéscegliere proprio Balbo, che fu grande aviatore,sfortunato governatore di Libia, ma prima ancoraquadrunviro della Marcia su Roma, capo dellosquadrismo padano e grande frequentatore di casi-

ni? Insomma perché scegliere un manganellatore,un fa l locrate , un maschi l i s ta del cazzo.Evidentemente alle fasciste piacciono così.

La guerra dei tredemocristiani

l taglio fortemente bipolare (“o con me o con-tro di me”) impresso dal cavaliere alla campa-gna elettorale per il parlamento ha messo la

sordina alle polemiche umbre sul prossimo rinnovodelle amministrazioni comunali ad Assisi, Gubbioe Città di Castello. Non è improbabile che dopo il9 aprile ci sia qualche ritorno di fiamma, ma i capiregionali dell’Ulivo danno per chiuse tutte le con-troversie interne.A Gubbio il diessino Barboni sfiderà il sindacouscente Goracci di Rifondazione, nella speranza dibatterlo, con il concorso della Margherita e di altrialleati al primo o al secondo turno. A Castello L’exDc Ciliberti, se vorrà confrontarsi con l’uscenteCecchini, dovrà farlo con un simbolo diverso dallaMargherita. Ad Assisi, tramontata la candidaturadel laico Matarangolo, proposto dallo Sdi e soste-nuto da una fetta dell’intellettualità e da una por-zione del Prc, si prepara la guerra dei tre democri-stiani (Ricci e Lunghi per il centrodestra e Passeriper il centrosinistra). I mugugni sono tanti, ilrischio che al ballottaggio vadano i due candidatidi destra è assai forte.Non sappiamo se le elezioni politiche e i loro risul-tati possano mettere in discussioni le scelte com-piute, ma il danno è già stato fatto. A Castello eGubbio, dove il Polo è politicamente inesistente, cisaranno quasi certamente sindaci di sinistra, ma ilsequestro delle decisioni da parte delle oligarchiepartitiche, senza alcuna partecipazione del popolodi sinistra, avrà seminato sfiducia, qualunquismo,distacco dalla politica. Sul piano delle culture è ladestra che vince.

La giornata degli smemoratiLe lapidi commemorative sono fatte per consegnare ai viandantiieri, oggi a cittadini e turisti…, domani ai posteri la memoria d’e-venti, appunto, memorabili. Di solito sono sintetiche ma chiare.Ricordate quella sulle stragi dei perugini il XX giugno 1859:“L’ebbra orda di mercenari cui guidava la benedizione delPontefice Romano…..”Da qualche mese le mura di Perugia si sono “arricchite” di unanuova lapide posta in Via Pozzo Campana in ricordo della comu-nità ebraica: “Nel Medio Evo in questo quartiere sorgevano duesinagoghe e viveva una comunità ebraica di fede e di cultura. Lealterne vicende della storia succedutesi nei secoli, ne hannosegnato la fine”.E in questo modo – un po’ filisteo e un po’ storicista - persone difede cristiana, ebraica e musulmana, laici magari anche atei,autorità politiche, accademiche ed amministrative se la sonocavata “dimenticando” di far scrivere quali sono “le alterne vicen-de della storia”: verso la metà del ‘500 gli ebrei perugini furonocacciati dallo Stato Pontificio a seguito di due bolle papali.Tutto questo chi leggerà la lapide non lo saprà mai a causa diquelle che ‘il piccasorci’ è solito definire “storiche stronzate”.

Lo smemorato di giornataIl consiglio di amministrazione della Fondazione Burri ha nomina-to il vicepresidente, Michele Gambuli, suo portavoce ufficiale. Alsuo esordio in una lunga intervista ad un quotidiano, ha fatto ilpunto sulle numerose attività della Fondazione sul fronte cultura-le e su quelle, altrettanto numerose, sul fronte legale. Non ènoto se per l’emozione dell’esordio o per un eccessivo sentimen-to di appartenenza, si è dimenticato di ricordare l’esito degli ulti-mi processi intentati dalla Fondazione in Italia e in Francia.Dimenticanza singolare per un avvocato.

Animali ammaestratiLe sezioni Scaramucci e Di Vittorio dei Ds di Perugia hanno diffu-so nei giorni scorsi un volantino, attraverso il quale i segretari diSezione Gori e Luzi, invitano ad una festa di chiusura delCarnevale 2006 in una nota discoteca. Dopo la cena nel ristoran-te interno, serata danzante nella sala liscio. “Ingresso: gratuitoper le signore mentre per i signori sono 10,00 euro”. Niente sidice per i poveracci. Il bello viene alla fine: “Ballerà con noiFabrizio Bracco!”. Con tanto di punto esclamativo.

Arredo urbanoCittà di Castello. Palazzo comunale del XII con antenna paraboli-ca del XXI secolo.

il piccasorci

2commentimar zo 2006

Il piccasorci - pungitopo secondo lo Zingarelli - è un modesto arbusto che a causa delle sue foglie duree accuminate impedisce, appunto, ai sorci di risalire le corde per saltare sull’asse del formaggio. Larubrica “Il piccasorci”, con la sola forza della segnalazione, spera di impedire storiche stronzate e,ove necessario, di “rosicare il cacio”.

I

il fatto

Plagi e carognateA

I

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a campagna elettorale volge altermine. Berlusconi, pur senzaessere riuscito a trovare i lnumero ad effetto in grado di

riportalo in testa ai sondaggi, ci ha comun-que sommerso di cifre. Tra le 36 grandiriforme che il suo governo può vantare c’è,naturalmente, quella della scuola firmatadal ministro Moratti. Provo, per quantopossibile, ad entrarci dentro, cominciandoproprio da alcuni numeri che il presidentedel consiglio ha omesso di ricordare.1 (euro) ovvero l’ indennità oraria di mis-sione spettante all’insegnante accompagna-tore in gita all’interno del territorio nazio-nale come “adeguato riconoscimento eco-nomico per la vigilanza continua agli allie-vi, con responsabilità civile e penale”. Inquesto caso la riforma non c’entra nulla,bensì l’ultima legge finanziaria che tra lemisure di contenimento della spesa pubbli-ca adottate ha compreso anche la cancella-zione di questa “cospicua” indennità.9 (marzo), ovvero la data di uscita dellaGazzetta Ufficiale n. 57 in cui è stato pub-blicato il Dpr del 17 gennaio scorso relati-vo all’immissione in ruolo di 3.077 inse-gnanti di religione che, dal prossimo annoscolastico, si aggiungeranno ai 9.229 giàassunti in settembre. Dal sito del sindacatoautonomo dei pii docenti apprendo - èproprio il caso di dire “cum summa laeti-tia” - che il Miur è stato sollecitato adavviare al più presto le procedure di reclu-tamento del terzo contingente, così comeprevisto dalla legge 186/2003. 21 come i punti percentuale di cui è statoridotto, sempre dall’ineffabile Tremonti, ilcapitolo di spesa relativo alle supplenzeannuali - quelle per intenderci fino al 30giugno o al 31 agosto - sceso dai 3 miliardidi euro stanziati nel 2005 ai 2 miliardi e358 milioni del 2006. Si tenga conto che,nonostante il ministro Moratti, ancheadesso che passa più tempo a Milano che aRoma, continui a sostenere di avere azzera-to il precariato storico, il numero deidocenti a tempo determinato ha continua-to a crescere e rappresenta, oggi, con130.000 unità, i l 15% del personaledocente.67 (milioni di euro) ovvero l’ammontaredel taglio, sempre deciso in finanziaria, allostanziamento a favore del capitolo di spesarelativo al “Funzionamento amministrati-vo, didattico delle istituzioni scolastiche”.Rispetto al 2005 la diminuzione è di oltreil 40%. Non è più una questione di foto-copie, presto bisognerà portarsi da casaanche la carta igienica. 201 (milioni di euro) ovvero la riduzionedel 26% subita dallo stanziamento per lesupplenze di durata inferiore alla 6 ore set-timanali, anche questa opera di Tremonti.220.000 come il numero dei precari dellascuola, docenti e personale Ata, che laCgil, tenendo conto dei posti attualmentevacanti e delle cifre sui futuri pensiona-menti fornite dal ministero, prevede ragio-nevolmente possa raggiungersi all’inizio delprossimo anno scolastico.1.000-1.500 (euro) ovvero la cifra che pre-sumibilmente dovranno sborsare i docentiche, per scalare qualche posto in graduato-ria, si sono iscritti agli ultimi corsi abilitan-ti riservati.Potrei continuare a dare i numeri ma prefe-risco fermarmi per non correre il rischio diberlusconizzarmi. Sull’uso che se ne puòfare non trovo soluzione migliore che quel-la di giocarseli al lotto, naturalmente nonprima di avere trasformato quelli superiorial 90 (ad esempio il 201 può diventare un3, un 21 o un 19: ad ognuno la sua scelta).Mettendo da parte l’ironia, rimane il fattoche al termine di questo scellerato quin-quennio la scuola italiana versa in condi-zioni di grande difficoltà. Trovando unastrada già in parte aperta - sarà bene ricor-

darlo - dai governi di centro sinistra, ladestra non ha avuto remore nel perseguirela sua azione di smantellamento dell’istru-zione pubblica. Personalizzare i percorsi,accrescere il ruolo delle famiglie nella sceltae definizione degli stessi: sono questi icapisaldi teorici della riforma che nascon-dono, nemmeno poi tanto, l’idea di unascuola “privatizzata” al servizio del consu-matore, ovviamente in base alle sue capa-cità di spesa. Orientarsi all’interno deiprovvedimenti che vorrebbero attuare,molto spesso in un modo del tutto sgancia-to dalla realtà, la legge di riforma non èsemplice, ma basta girare per le scuole peraccorgersi che il caos regna sovrano. Per ciò che concerne la scuola superiore lebocce per ore, come si dice, sono ferme,grazie alla resistenza delle Regioni che, inassenza di un disegno chiaro che definisseil loro ruolo, hanno opposto il loro rifiutoal decreto governativo relativo al secondo

ciclo. Tuttavia alcuni fenomeni conseguen-ti si stanno già verificando, la fuga dagliistituti tecnici e la corsa ai “vecchi” licei,con il risultato che, come accade qui aPerugia, la consolidata distribuzione dellesedi scolastiche rischia di saltare in aria,

mettendo in crisi l’amministrazione pro-vinciale. Valga come esempio illuminantela vicenda del Liceo Classico Mariotti che,in sintonia con quanto è avvenuto su scalanazionale, ha avuto un boom di pre-iscri-zioni e ora non sa come potrà sistemare glistudenti a partire dal prossimo anno. Ildirigente scolastico e il corpo docenti, inverità, un’idea ce l’hanno: ricavare 4/5aule dalla attuale palestra (per fare educa-zione fisica si potrà utilizzare, d’accordo ilComune, il palasport di viale Pellini), altre2/3 nella storica succursale di via degliSciri e, in caso di ulteriore bisogno, ricorre-re agli spazi disponibili dell’Accademia diBelle Arti. Tutto questo per cancellare il“confino” di alcune classi all’Itc VittorioEmanuele, che tante grane ha creato loscorso anno, e riconquistare, così, l’acropo-li: noblesse oblige!Mai come in questi anni, poi, le condizionidel precariato, come già anticipato, si sonoaggravate, con una ricaduta negativa perl’intero sistema scolastico. Non solo ilnumero dei docenti a tempo determinato ècresciuto considerevolmente ma, fattoancora più grave, una serie pressoché inin-terrotta di provvedimenti scellerati - anchequi, è bene non dimenticarlo, inauguratida Berlinguer - ha finito per determinareuna conflittualità mai verificatasi in passa-to. In pratica è in atto una vera e propria“guerra tra poveri” che contrappone precaristorici, “sissini” e neolaureati alla ricercadel posto di lavoro. La scelta di bandirel’ennesimo corso abilitante, per di più apagamento, è solo l’ultimo tassello di undisegno teso da un lato a precarizzare almassimo il corpo docente, rendendolosempre più ricattabile, e dall’altro a fornireossigeno - leggi moneta - alle Università, aparziale compensazione dei tagli che ancheesse hanno dovuto subire. In questa situa-zione il ministro Moratti sbandiera ai gior-nali, senza pudore, guarda caso a pochesettimane dalle elezioni, di avere avviato leprocedure per l’assunzione di 20.000docenti e 3.500 Ata, quando lo stessoministero rende noto che dal prossimo 1°settembre andranno in pensione 35.000docenti e oltre 7.000 ausiliari, tecnici eamministrativi. In pratica nemmeno ilturn-over sarà garantito.D’altronde che questi ultimi mesi di gover-no Berlusconi siano stati caratterizzati,anche nel mondo della scuola, dalla spa-smodica ricerca del consenso in chiave elet-torale lo dimostrano tanto gli aumenti inbusta paga - relativi, si badi bene, ad uncontratto scaduto da due anni - e i taglicosì bene “occultati” nella finanziaria chericordavo all’inizio.L’auspicio è che queste manovre non basti-no, che anche i lavoratori della scuola, perquanto divisi e tradizionalmente pococombattivi, contribuiscano a cacciare que-sto governo. Si tratta di una condizionenecessaria per cercare di risollevare le sortidell’istruzione pubblica, necessaria ma nonsufficiente, soprattutto se nel centrosinistrafinisse per prevalere l’idea che la leggeMoratti non debba essere cancellata masolo riformata. Il rischio c’è ed è forte.

3 p o l i t i c amar zo 2006

L I numeri della riforma

L’allegrascuola

della MorattiStefano De Cenzo

Totale al 25 marzo 2006: 2350 Euro

10.000 Euro per micropolis

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4p o l i t i c amar zo 2006

el numero di febbraio “micro-polis” in due diversi articoli si èoccupata del problema sanità.Un’analisi critica delle Linee di

indirizzo vincolanti per le Aziende locali e leAziende ospedaliere in materia di razionaliz-zazione e potenziamento del Servizio sanita-rio regionale e un’intervista al segretariodella Funzione Pubblica Cgil, FabrizioFratini e dello Spi, Graziano Massoli sullanecessità di preservare i buoni livelli di wel-fare raggiunti in Umbria grazie soprattuttoalle lotte del movimento operaio. Lo scena-rio che scaturisce dalla lettura dei due arti-coli è alquanto preoccupante. Prima ditutto occorre ricordare che la responsabilitàmaggiore, in questo come in altri campi, èdel grande imbonitore con la bandana che aparole promette tanto e nei fatti non man-tiene niente. Centodieci milioni di euro inmeno per l’Umbria decisi dalla finanziarianon sono noccioline e rischiano di metterein discussione la qualità dei servizi del wel-fare regionale. Tagli pesanti alla spesa pub-blica sanitaria nazionale che era già tra lepiù basse d’Europa. Ma strillare “governoladro” non risolve i problemi della sanitàumbra che sono quelli di sempre. Ventiospedali per ottocentomila abitanti, manca-ta razionalizzazione della spesa, strutture emacchinari doppi per accontentare i diversicampanili, cedimenti alla sanità privata.Temi delicati che occorre affrontare urgen-temente con trasparenza e con il massimodi partecipazione possibile dei cittadini e, inparticolare, degli operatori sanitari preser-vando la qualità dei servizi. Circa l’80 percento dei bilanci regionali riguarda la sanitàed è proprio nelle azioni che verranno por-tate avanti in questo settore che si giocheràla credibilità e la capacità degli amministra-tori di centrosinistra. Se il buon giorno sivede dal mattino, le notizie che arrivanodalle Asl non sono certo incoraggianti. Neimesi scorsi la Asl 1, quella dell’Alto Tevere edell’Eugubino, ha presentato il propriobilancio sociale. Elegante depliant, moltocurato nella veste grafica, pieno di generi-che affermazioni e di buone intenzioni,alquanto autoreferenziale e con qualificanteconsulenza “bocconiana”. Sembra un com-pitino realizzato più per far fare una bellafigura ai numerosi addetti ai lavori che perinformare gli utenti finali, cioè i cittadini. Ildepliant tra l’altro recita “l’azienda ha comemissione la tutela della salute sia individua-le che collettiva della popolazione residentenel proprio ambito territoriale…”. Belleparole che però non convincono gli utentiche in troppi casi preferiscono curarsi negliospedali dei territori limitrofi anche perpatologie non gravi. Convincono ancormeno gli utenti di quei servizi che fino apochi anni fa erano un fiore all’occhiellodella Asl 1 come, per esempio, il servizioantidiabetico. In trenta anni dalla sua istitu-zione, grazie ad una capillare attività nelterritorio, il servizio era riuscito quasi adazzerare i ricoveri ospedalieri per diabetemellito portando un notevole beneficio eco-nomico ai conti aziendali considerando cheun giorno di ricovero in ospedale costa circa

cinquecento euro. Inoltre, secondo uno stu-dio della Facoltà di Medicina di Perugia,l’ambito territoriale della Asl 1 presenta daanni il minor numero di amputazioni dadiabete rispetto agli altri territoridell’Umbria. Tutto questo fino a due annifa con un organico di due medici a tempopieno e uno a tempo parziale. I tagli e lescelte aziendali hanno ridotto l’organico adun solo medico per mancanza di risorse equando il personale infermieristico andrà inpensione non verrà reintegrato pienamente.Piangono i 2700 diabetici, sgobba e arrancail personale del servizio e ridono gli ambu-latori privati specializzati. Al contrario nes-sun taglio di personale o di risorse per il fre-quentatissimo, super sponsorizzato e superattrezzato servizio di Medicina sportiva ilcui primario, tra una visita e l’altra, trova il

tempo di dirigere anche le sorti del turismoregionale e quelle della Federazione giococalcio umbra. Uno e trino. Disagi inveceper servizi delicati come il Centro di IgieneMentale e il Servizio tossicodipendenze chehanno problemi economici per incrementa-re i servizi di prevenzione o far fronte alpagamento delle rette per i ricoveri dei pro-pri pazienti in strutture specializzate.Eppure sono stati da sempre servizi chehanno ben operato nel territorio sul pianodell’educazione e prevenzione su temi parti-colarmente sentiti dalla popolazione. Tempiduri anche per le cooperative sociali chevedono ridurre impegni e contratti al con-trario delle consulenze che proliferano neivari reparti e nei diversi settori dell’ammini-strazione. Insomma il Bilancio sociale dellaAsl 1 rappresenta una realtà formale conprolissità eccessiva. Non fornisce rispostecredibili al problema della disaffezione deicittadini verso le strutture sanitarie acominciare dagli ospedali. La realtà è molto

semplice. I cittadini che vanno a curarsifuori non fanno altro che esprimere la pro-pria insoddisfazione verso un’offerta di ser-vizi insufficiente sotto tutti i punti di vista.Sostiene il Bilancio Sociale che la mobilitàpassiva per attività di media e bassa com-plessità costituisce un problema perl’Azienda. Ma se è complicato ed onerosoraggiungere nicchie di eccellenza perchénon si trovano risposte per la bassa e mediacomplessità ? Perché non si organizza unservizio efficiente per interventi semplicicome, per esempio, le vene varicose o leemorroidi? Francamente è risibile attribuirele cause della mobilità alla particolareconformazione geografica del territorio ealla carenza delle reti viarie. I cittadini biso-gnosi di cure vanno là dove si sentono piùgarantiti da un punto di vista professionale

e umano. Poco convincenti, al pari dei rap-porti di consulenza con affermati professio-nisti che tendono più che altro ad incre-mentare il proprio bacino di utenza privata(vedi chirurgia a Città di Castello e Gubbioo ortopedia ad Umbertide), i rapportiinstaurati tra sanità pubblica e privata.Affettuose attenzioni vengono riservate dapiù parti alla Prosperius Tiberino spa inse-diata nell’ospedale di Umbertide da partedei sostenitori della migliore sanità possibilecon tanto di certificato di qualità. Più scet-tici gli utenti, a parte i calciatori famosi, chefanno notare come i servizi di riabilitazionesono tanto all’avanguardia da costringerli aportare da casa posate, bicchieri, acqua,sedie per assistere persone non autonome.Alla nascita della cooperazione pubblico-privato venne da più parti affermato che ilivelli assistenziali sul territorio avevanofatto un notevole passo in avanti sul campodella riabilitazione. Forse il passo in avantilo hanno fatto i profitti del privato che ria-

bilita i malati attraverso percorsi differen-ziati di cura e di alloggio secondo le suedisponibilità. In molti si aspettavano mag-gior spazio e maggiori risorse destinate alcapitolo della prevenzione in un territorioche detiene il poco invidiabile primato sulcampo dei tumori; a quello dell’assistenzadomiciliare integrata di fronte ad un pro-gressivo invecchiamento della popolazione;a quello degli infortuni sul lavoro cheimperversano nel comparto agricolo e inquello edile. Infine una domanda alla qualefrancamente non sappiamo trovare unarisposta, sulla gestione dei distretti: chi samai perché il distretto Gubbio-Gualdocosta più del doppio di quello di Città diCastello che ha una popolazione di granlunga maggiore? Forse per avere una rispo-sta ci vuole una consulenza. Mentre non èstato ancora rinnovato il Collegio dei sani-tari, l’organo dei direttori e dei primari chedovrebbe elaborare le strategie e gli indirizzieconomico-sanitari, vengono nominati icoordinamenti dei servizi tecnici per gliinfermieri, le ostetriche, i tecnici della pre-venzione, i tecnici radiologi e quelli di labo-ratorio tenendo più in considerazione pres-sioni politiche sindacali che criteri di effi-cienza e professionalità. Insomma più cheun Bilancio Sociale ci sembra uno schemaorganizzativo calato dall’alto. Una operazio-ne di consenso e spartizione senza progetti escelte che scontenta i tanti operatori capacie onesti ma purtroppo silenti e penalizza icittadini. Sconcerta di fronte a questo sinte-tico quadro il silenzio dei sindacati interniche si occupano solo di avanzamenti, pro-mozioni e stipendi senza proferire una solaparola sulla efficienza dei servizi e sulle poli-tiche sanitarie per il territorio. Ma ancora dipiù sconcerta l’operato della Conferenza deisindaci, l’organo politico-amministrativoche dovrebbe dare l’indirizzo politico sullasanità del territorio. I sindaci si limitano acontrollare che almeno sulla carta i propricomuni non vengano penalizzati. Mai unaproposta, un progetto per coniugare rispar-mi e qualità dei servizi erogati. Un centroclientelare che segnala e promuove gli ope-ratori contigui alla politica con in mano ilmanuale Cencelli. Al di là dell’insipienza edell’incompetenza dei singoli, è questo ilrisultato dell’invasione dei partiti ormaisenza idee e senza politiche nella sanitàcome altrove. Il potere dei direttori generaliè politico e non fa altro che far proliferarealtre nomine politiche negli ospedali daiprimari agli infermieri alla faccia delle com-petenze e della salute dei cittadini. Il pro-gramma dell’Unione tra i fattori negatividel welfare individua “il malessere dei pro-fessionisti causato dalla crescente precarizza-zione dei rapporti di lavoro, dal peso ecces-sivo dei direttori generali e da uno scarsocoinvolgimento nella vita delle aziendesanitarie”. Vero. Ma è anche vero che il ter-ritorio della Asl 1, come l’Umbria, è dasempre governato dalla sinistra e che ildirettore della azienda sanitaria, Panella è inquota Rifondazione Comunista. Non c’erabisogno di aspettare il 10 aprile per farequalcosa di sinistra.

Servizio sanitario regionale: Asl 1, un bilancio che non convince

In attesa del 10 aprilePaolo Lupattelli

N

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possibile che la riqua-lificazione della super-strada E45 passi attra-verso la realizzazione

di una cosiddetta “grande opera”della quale né i cittadini né leamministrazioni local i sonoinformati? Che cosa c’entrano i “corridoieuropei” con i l bisogno didecongestionare una strada chediventa sempre più pericolosanell’ora di punta per quanti sirecano quotidianamente aPerugia per lavoro o per studio? Anche a Bastia sono arrivati gliechi di un dibattito che sta ani-mando da tempo la nostraRegione e che coinvolge in parti-colare esperti, comitati ed asso-ciazioni ambientaliste.Luigino Ciotti, capogruppo con-siliare di Rifondazione Comu-nista, e Rosella Aristei, capo-gruppo del le Liste Civiche,hanno promosso un’assembleapubblica sul tema della trasfor-mazione della superstrada E45in autostrada, incontro al qualehanno partecipato i l Prof.Mariano Sartore, docente diPianif icazione dei Trasportiall’Università di Perugia, UrbanoBarelli di Italia Nostra e VanessaPallucchi di Legambiente, insie-me a cittadini, tecnici ed espo-nenti politici di diversi partiti. Il Prof. Sartore, le cui afferma-zioni sulla questione autostradacontinuano a suscitare polemi-che ed interrogativi sulla stampalocale, ha ribadito l’impressioneche si stia arrivando ad una deci-sione in proposito senza che sene parli in modo chiaro e diffu-so. Non svela segreti l’ingegnere,ma mostra pagine del s i todell’Anas dove, nella sezione“uno sguardo al futuro” si parladell’itinerario E45-E55 Orte-Venezia e del “nodo di Perugia”,cioè della realizzazione di unavariante della E45 dello sviluppodi circa 7 km, per un importoprevisto pari a circa 130 milionidi euro e con sezione di tipoautostradale.Un progetto che non può nonallarmare i cittadini di Bastiaconsiderando che una delle bar-riere pensate per l’ingresso inautostrada sarebbe posizionata

proprio a Bastia. Non si tratte-rebbe quindi di un casello, ma diuna barriera a pagamento, cheavrebbe comunque un forteimpatto sia di tipo ambientale, ilpiù preoccupante, che di tipoeconomico, perché sarebbealquanto difficile poter esonerarei “residenti” dal pagamento delpedaggio. Ma l’opera, oltre checostosa e a forte impatto, nonrisolve, secondo Sartore, il pro-blema del traffico. In base alleanalisi dei flussi, svolte sia daprogett ist i per conto del laRegione, s ia dal Ministero,emerge che la capacità di ridu-zione dei flussi da parte dellanuova struttura è inferiore all’in-cremento, per altro sottostimato,dei flussi che sono attesi sullavecchia infrastruttura. È comedire che oggi abbiamo mille vei-coli l’ora, in realtà anche cinque-sei mila nell’ora di punta, e si fauna nuova strada che non ècapace però di attrarre il numerodi veicoli che ci si attende traqualche anno, con la conseguen-za che il problema del deconge-stionamento sarebbe solo riman-dato. Perché, quindi, pensare di fareun’opera di questo tipo? Qualiinteressi e accordi strategici cisono dietro al progetto? L’ it inerario stradale Orte-Venezia, s i legge nel s i todell’Anas, costituisce una delleconnessioni verso sud del “corri-doio 5” che unisce Venezia,Trieste, Lubiana, Budapest eKiev ed è un “corridoio a servi-zio dei traffici commerciali con ipaesi dell’Europa orientale diprossimo ingresso nell’Unione”.La riqualificazione dell’E45,nella tratta Orte-Ravenna, inse-rita nella Legge Obiettivo, èconsiderata di “importanzastraordinaria” e “strategica per losviluppo economico del Paese”.Alcuni dati emersi su settimanalie quotidiani nazionali parlanoperò di grande opera funzionalenon tanto al lo svi luppo delPaese, quanto agli interessi di chista lavorando per la nascita di unterzo polo autostradale. Vito Bonsignore, europarlamen-tare dell’Udc e amministratoredelegato della Infrastrutture

Lavori Italia (Ili), in alleanza conla Vianini e la Cementir diFrancesco Caltagirone, sta infattistudiando la possibilità di aprireun collegamento veloce via maretra Barcellona e Civitavecchiache, unito all’autostrada Civita-vecchia-Orte-Venezia, servirebbea far passare in Italia le mercidel l’Africa del Nord, delPortogallo e della Spagna direttead Est. Secondo un art icoloapparso su “Economy” del 4gennaio 2005, tutte e cinque leRegioni interessate (Veneto,Emilia Romagna, Toscana, Lazioe Umbria) avrebbero dato il loro“assenso”. Gli intervenuti all’incontro sisono quindi domandati perchélo Stato dovrebbe finanziare unprogetto così monumentale perfare dell’Italia soltanto un paesedi passaggio di merci straniereverso Est e perché una Regionecome l’Umbria dovrebbe accet-tare di ridisegnare il proprio pae-saggio a favore di una autostradache, tra l’altro, non risolverebbei gravi problemi di traffico neltratto più congest ionato traPonte San Giovanni e Perugia. Opinione comune è invece lanecessità di studiare a livelloregionale forme di mobil i tàalternativa rispetto alla viabilitàpesante. Non si tratta, hannosostenuto i relatori, di esserecontro lo sviluppo economico,ma contro una grande opera checomporterebbe 15/20 anni dilavori , un investimento pariall’importo di una finanziaria eun impatto ambientale enorme,in una zona dove lo sviluppo èassicurato proprio dal paesaggionaturalistico e non può prescin-dere dalla tutela dell’ambiente. E un no convinto al mercatodegli affari legato alla progetta-zione, che comporta semprecosti elevati per opere che spessonon vengono neanche realizzate.Date le condizioni della E45, irelatori hanno inoltre denuncia-to la volontà di far crescere neicittadini il desiderio di autostra-da non facendo i normali edordinari lavori di manutenzione,che risolverebbero alcuni deiproblemi attuali di sicurezza e ditraffico.

5p o l i t i c amar zo 2006

Un dibattito a Bastia sulla E45

Chi alimentail desiderio

di autostradaAmelia Rossi

È

Già, perché, altrimenti, come si potrebbe votare questi dell’Unione?E invece ci tocca votare, per cacciare - speriamo! - questa banda di malfattoriche ha imperversato per cinque anni su questo povero paese. Ci tocca votareperché è in gioco la tenuta di un paese ancora più o meno democratico, citocca votare perché, diciamocelo, è anche un fatto estetico. Il problema èserio, e il panorama è desolante. Votare per cosa? Sì, usciranno dall’Irak, cidicono, ma scopriamo che in quanto a tempi e modalità la posizione non èdissimile da quella del governo, se non, addirittura, di Bush (“previ accordicon il legittimo governo irakeno”). Cambieranno le leggi sulla scuola, pro-mettono, ma ricordiamo amaramente che la pratica l’aveva aperta a suotempo l’ulivino Berlinguer. Affronteranno il problema del lavoro, però ilavoratori sono lontani anni luce dagli orizzonti del centro-sinistra.Metteranno le mani sul conflitto di interessi, ma la memoria va alla famige-rata Bicamerale del furbetto D’Alema. Interverranno sullo stravolgimentodella Costituzione: ma c’è chi ricorda che la c.d. devoluzione fu aperta, col-pevolmente, maldestramente, unilateralmente, proprio dal governo ulivista,perdipiù in articulo mortis.Ma votare bisogna, seppellire (di schede elettorali) Berlusconi e i suoi è l’uni-co gioco che ora ci possiamo e dobbiamo permettere. A chi dare il voto?Non sta bene ripetersi, ma il panorama è di nuovo desolante. Spero non sianecessario qui giustificare il non voto a Mastella, vecchio arnese democristia-no dei peggiori, o allo sceriffo Di Pietro. Non posso votare Rutelli, il bellim-busto che da un anticlericalismo radicale è arrivato fino al ruolo di portavo-ce, vera quinta colonna all’interno dell’Unione, del cardinale Ruini. C’èappena bisogno di ricordare che Fassino ha voluto comunicarci, compiaciu-to, di essere cattolico, e magari anche un po’ gesuita: sono fatti suoi, mi dire-te, giusto, ma quando un leader politico ce lo comunica, e con la grancassa,la comunicazione assume contestualmente connotazione politica. Nel frat-tempo, è annunziato un Convegno a Roma titolato Sete di Dio, relatoreWalter Veltroni. Poi c’è quel Bertinotti, marciatore fervente sulla via diDamasco, che, all’inseguimento e allineamento ai Ds, rende noto al colto eall’inclita di essere“alla costante ricerca di Dio”, nonviolento accanto a giova-notti che su questo piano qualche peccatuccio da farsi perdonare se lo por-tano dietro, fustigatore violento e repressore con i compagni dissidenti delsuo partito. Rimane ben poco. Verdi: vecchio leninista, non so apprezzarechi si muove su una visione settoriale della società, e magari corre dietroa tutte le discariche di paese. Comunisti italiani: come posso, con unbackground pluridecennale di militanza trotzkista, schierarmi con ungruppo che adora Stalin? Rosa nel pugno: è vero, al momento gli unici atenere coerentemente alte le bandiere almeno del laicismo, dei diritticivili, della scuola pubblica, ma viene il voltastomaco pensare a quantiiperliberisti, fanatici amerikani e israeliani marciano dietro quelle ban-diere. Eppure votare bisogna, fare buon viso a cattivo gioco, turarsi tuttii nasi possibili. Poi, in cabina elettorale qualche escamotage auto-giusti-ficazionista per scegliere un simbolo da votare me lo saprò pure inventa-re. Si chiedeva, e ci chiedeva, Luigi Pintor “moriremo democristiani?”.Morire non so, anche se, e ormai da più di mezzo secolo, gl’atti n’sonbelli, ma votare democristiano purtroppo sì. All’orizzonte si staglia, ripe-titivo di una storia già conosciuta, il faccione rubicondo e tutto demo-cristiano di Romano Prodi.

Intervento

Fortuna chec’è Berlusconi

Maurizio Mori

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6p o l i t i c amar zo 2006

un curioso destinoquello di LucaCoscioni. Alla batta-glia per la libertà della

ricerca scientifica che da presi-dente dei Radicali Italiani e daispiratore della associazione cheporta il suo nome ha condotto, ilsistema mediatico ha dato unoscarsissimo risalto, finché è statoin vita. Perfino nella sua Umbrialo hanno silenziato: così nel corsodella campagna per i referendumsulla fecondazione artificiale, ilcui svolgimento era frutto dellasua intransigenza e del suo corag-gio anche all’interno del movi-mento radicale, era difficile trova-re traccia della sua esistenza edella sua lotta sul “corrierino”, sul“giornalino”, sulle pagine umbredi “Messaggero” e “Nazione”, cosìprodighe di spazi per le posizionidel Comitato Scienza e Vita, pro-mosso da Ruini, e per gli “ateidevoti” alla Giuliano Ferrara. Neigiorni dopo la sua morte, paginesu pagine, articoli su articoli,ricordi e testimonianze di amici econoscenti, di politici e prelati.“Un radicale morto è un radicaleprezioso”. Così Marco Pannellaha commentato, con voce com-mossa, l’uscita di scena di questoorvietano di 39 anni, docente diEconomia ambientale a Viterbo,maratoneta e immobilizzato dallasclerosi laterale amiotrofica. Coscioni se ne è andato alle undi-ci di lunedì 20 febbraio. Lamalattia vietava a Luca il movi-mento e la voce. Non il pensiero,la lucidità, la forza, gli affetti. Ilsuo impegno comincia dal corpoimmobile e sofferente, da quel“gigante di pietra che imprigionalo spirito”. Per la “politica” tuttoquesto è scandaloso, è lo scandalodel corpo esibito e sofferente. Lafalsa universalità della “politica”aborre il corpo specie quandonon è disciplinato. Lo teme, neteme la carica eversiva. Così comelo temono i regimi di verità cleri-co-assolutiste. Lo scandalo è cheLuca si riappropria di un destinosegnato e decide di essere “nonun oggetto di cure, ma un sogget-to che lotta”. Egli sa che la sua malattia emolte altre malattie potrebberoessere combattute e contrastateattraverso la ricerca scientificasulle cellule staminali embrionali.Ma la ricerca scientifica incontrail potere clericale, il dogma, letenebre del pensiero. E si ferma.Nemmeno il corpo sofferente dimigliaia di malati riesce a scuote-re l’intransigenza e il potere di

veto del Vaticano. La redenzionedalla sofferenza non è cosa di cuipuò occuparsi la scienza. La suabattaglia inizia da qui. Dalla “par-zialità” del suo corpo immobile esenza voce che si fa scandalo perraggiungere l’universalità deiprincipi etici.“Cari Rutelli e Berlusconi, e se imalati foste voi?” si chiede nelsuo libro Il maratoneta? E se fos-sero i loro figli ad ammalarsi, sichiede Coscioni, “invocherebberoil principio della sacralità degliembrioni” o “li trasferirebbero inun paese dove è possibile utiliz-zare le staminali per scopo tera-peutico?”. Luca affronta la batta-glia contro i novelli Bellarminocon quel “corpo” che la politicapoliticante non vuole vedere eche il Vaticano cerca di ridurre alsilenzio. Egli oppone la materiadella sofferenza alla dogmaticaoscurantista, l’esserci alle defini-zioni teologiche, l’esistenza all’es-senza dedotta dal catechismopapalino. Ma non si lascia trasci-nare dalle provocazioni dellagerarchia e dei codini in unasorta di dogmatismo alla rovescia,in una paradossale crociata scien-tista, usa piuttosto l’arte razionalee sommamente polit ica delladistinzione. In un’intervista cherilasciò a Stefano Corradino per“micropolis” nel marzo del 2005,alla vigilia del referendum sullalegge 40, dichiarava: “I cattolicinon c’entrano nulla. Le gerarchievaticane conoscono bene la realtàdi molti credenti che accettanosia le verità della religione sia laverità della scienza”.La sua esclusione dal ComitatoNazionale di Bioetica, nonostanteil sostegno di scienziati e premiNobel, mostra in maniera esem-plare la sudditanza dei cosiddetti“laici” nei confronti delle ideolo-gie clericali, ma per una bizzarraeterogenesi dei fini, proprio permezzo dell’esposizione pubblicadi un corpo fatto martire delmale, Luca Coscioni riesce ariconquistare una voce – sia purflebile – e dire la sua verità, che èpoi la verità di quanti ritengonoche la scienza non abbia bisognodi cardinali quanto piuttosto dilibertà. Luca si riappropria dellaparola politica attraverso l’esibi-zione di un martirio sia pur lai-cissimo e umanissimo. Il suocoraggio è tale da condizionarel’agenda politica. Altro che il“poverino strumentalizzato daPannella”, come lo ebbe a definirel’ex ministro Gasparri. Nella giàcitata intervista al nostro giornale

Coscioni lo proclama a piene let-tere: “Io faccio politica radicale, evoglio che le mie ragioni, oltreche le mie sofferenze, vincano”. Mentre si celebrava il “fratelloembrione”, ad altri fratel l i –autocoscienti, storici, viventi esofferenti – veniva preclusa lapossibilità di sperare, ma la “par-zial ità” di Luca Coscioni haridotto all’esser “parziale” la pre-tesa universalistica di papi e car-dinali di dettare verità sulla vita esulla morte. In questa parzialità,la sua storia politica, civile e cul-turale contrasta con il progressivoritorno (talora assecondato permotivi di bottega elettorale) delfanatismo religioso, della dogma-tica moral-clericale. Coscioni èl’inatteso, la sorpresa che scuotela politica italiana, il corpo chenon parla ma che vivendo sioppone e lotta. L’esito del referendum sulla legge40 lascia presagire che l’ondadella restaurazione è ben lungidall’essersi esaurita e con la mortedi Luca viene a mancare il piùcoraggioso degli esploratori. Nondimeno, il suo pensiero, lesue idee e l’idea del suo corposofferente continueranno a darevoce ad una battaglia di libertà edi civiltà che, sebbene agli inizi,non potrà che prevalere. La con-clusione spetta a Luca, il “radicaleprezioso” ragionevolmente spe-ranzoso nonostante tutto: “Sonoperò convinto che, alla lunga, è laforza delle idee a prevalere, anchein un Paese i l l iberale comel’Italia, dove la persona malata,disabile è percepita e trattatacome un peso, non come unapersona, incidentalmente disabi-le, malata”.

“Micropolis”, “La Tramontana”, “Primapagina”, “Risonanze”, “Vitellozzo”. Eancora “Artico”, “Difensorecivico”, “Redattore-ambientale”, “altrapagina”.Testate periodiche e siti internet che si sono ritrovate nella sede perugina del-l’associazione “menteglocale” per mettersi in rete: di idee, azioni comuni eservizi in grado di rafforzare la propria capacità di farsi leggere e... sentire.Tutti d’accordo, nella riunione dell’11 gennaio, nel ribadire la necessità di un“pensiero resistente” anche in Umbria e Toscana: è stata la materializzazionedell’idea lanciata in pubblico da Renzo Zuccherini durante l’incontro conValentino Parlato (organizzato a Perugia da “micropolis” il 9 dicembre scor-so). C’è infatti da contrastare il prevalere del pensiero unico, dell’appiatti-mento consumista, della divaricazione sempre più netta tra ricchezza epovertà; è un errore pensare che tutto derivi solo dal cosiddetto Governo cen-trale. La riflessione va, invece, allargata all’egemonia dei modelli che ci piovo-no addosso da lontano, mediante lo schermo televisivo: questi tentano (e cistanno riuscendo) di togliere valore ad ogni esperienza locale, quella che, finoa pochi anni fa, ha plasmato lo sviluppo delle tante culture di cui è ancoraricco questo disgraziato paese chiamato “Italia”. Usi, consuetudini, modelliproduttivi, lingue che hanno fatto la bellezza (non solo artistica e naturale) diquesto paese, ormai sull’orlo dell’implosione, sociale, economica ed ecologi-ca...Uno dei terreni privilegiati di coltura del “pensiero resistente” sono pro-prio le iniziative editoriali (e culturali) che da anni mantengono socchiusa laporta della riflessione schietta (e critica, senza sconti per nessuno) sulle realtà,le amministrazioni locali che ne riconoscono (anche se a malincuore) il ruolodi rappresentanza della società nel suo insieme. Riviste, testate on-line, asso-ciazioni, centri studi e biblioteche continuano ad agire, parlare e scrivere: sog-getti che hanno fatto dell’autonomia di pensiero e di espressione la loro stellapolare.Per di più in un contesto che va manifestando un conformismo e un conser-vatorismo inimmaginabili fino a una decina d’anni fa, perlomeno in Umbria.Lo scenario che ne scaturisce è di neo feudalesimo, la cultura prevalentediventa quella dell’hortus conclusus.E’ per l’insieme di questi motivi e per la necessità di individuare una stradaper crescere e irrobustirsi che una decina di queste realtà ha aperto un con-fronto operativo per individuare metodi e strumenti che aiutino a renderepiù incisiva (e meno faticosa) la pratica quotidiana di ciascun soggetto nelpieno rispetto dello stile consolidato da ciascuno senza stravolgimenti nell’e-laborazione e nell’orientamento della propria attività.La “piattaforma operativa” sarà Menteglocale, il laboratorio di esperienza nelcampo della comunicazione e dell’editoria frequentato da decine di studenti(e studentesse) che svolgono qui buona parte degli stage previsti dal loropiano di studi e che in questo luogo (via Imbriani, 2 - tel 075.5720104)vedono materializzati i loro progetti: grazie all’emeroteca, all’archivio conmigliaia di documenti, alle postazioni informatiche (collegate in rete e sulweb), alla sala riunioni con 50 posti vedono materializzarsi i loro progettiattraverso pratiche guidate da professionisti e tutor esperti nei vari settori.

Testate controil conformismo

Andrea Chioini

Il corpo e le ragioni di Luca Coscioni

Morte di un maratoneta

E.Q.

È

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recenti dati diffusi dall’Istat sull’anda-mento dell’economia italiana edampiamente confermati dalle analisicontenute nel Bollettino Economicodi marzo di Banca d’Italia (il primo

dell’era Draghi) certificano, al di là di ogniragionevole dubbio e disputa sui numeri, lostato comatoso in cui versa, ormai da tempo,l’economia del nostro paese, spegnendo faciliottimismi preelettorali su una ripresa ormaialle porte.A rendere ancora più pesante il bilancio 2005non è solo il dato di un’economia che non cre-sce, ma la contemporanea perdita di terrenorispetto agli altri paesi dell’Europa. Nel 2005 ilProdotto interno italiano registra una crescitazero, mentre nel complesso dei paesedell’Euro, la crescita si attesta attornoall’1,3%, in Francia sull’1,4%, mentre inGermania siamo allo 0,9%, in Spagna al3,4%. Se si guarda al quadriennio2002/2005, ovvero agli anni del centro-destra,a fronte di una crescita media annuadell’Europa a 15 dell’1,45%, l’Italia registra unmisero 0,35%, un quarto della velocità euro-pea. Tornando ai dati 2005, a preoccupare non èsolo la non crescita complessiva del paese, mala sua composizione interna. Infatti, sul ver-sante della domanda, ad evitare una variazionedel Pil di segno negativo, sono sostanzialmen-te due voci assai poco “virtuose”, i consumicollettivi, ovvero la spesa pubblica, che cresco-no dell’1,2% e gli incrementi delle scorte(+0,2%), ovvero l’aumento di prodotti giacen-ti nei magazzini delle imprese, che restano lìinvenduti. Senza queste due voci (spesa pub-blica e incremento dei magazzini) il bilancio2005 si presenterebbe in negativo, con unavariazione rispetto all’anno precedente nell’or-dine del -0,3%. Sempre dal lato della doman-da, in flessione dello 0,6%, si presentano gliinvestimenti fissi lordi, al cui interno si registrauna crescita di quelli in costruzioni dello 0,6%ed un decremento dello 0,8% di quelli inmacchinari. Pesante è anche il bilancio in ter-mini di scambi con l’estero, con una crescitadelle importazioni dell’1,4% a fronte di uno0,3% delle esportazioni. Nel complesso il con-tributo della domanda estera netta alla (non)crescita del Pil è del -0,3%. La musica non cambia se si analizzano gliandamenti dell’offerta, ovvero dei diversi set-tori produttivi. Il valore aggiunto dell’agricol-tura segna una contrazione del 2,2%; con unrisultato negativo chiude anche l’industria insenso stretto (-2,0%), mentre crescono i servi-zi (+0,7%) e le costruzioni (+0,6%), una cre-scita, quest’ultima, in buona parte determinatada uno spostamento, in atto ormai da tempo,di risorse verso le rendite immobiliari. Bilancionegativo anche sul versante occupazione, che,in termini di unità di lavoro, registra unacaduta dell’0,4%. Nel quinquennio2001/2005 le unità di lavoro totali, sempresecondo i dati diffusi dall’Istat, sono aumenta-te dell’1,5%, passando da 23.828.600 a24.192.200 unità, ovvero 363.600 unità inpiù, cifra assai lontana da quel milione e passadi cui si sente talvolta parlare in dibattiti tele-visivi preelettorali e prova evidente che oltre il50% di quel fantomatico milione di lavoratori

in più è costituito non da nuova occupazionema, in buona parte, dalla regolarizzazionedegli immigrati. Aumenta progressivamente la“precarietà del lavoro” con la sostituzione diposti di lavoro stabili con posti a termine. Non migliore è la situazione sul fronte deiconti pubblici, che presentano un quadrotutt’altro che rassicurante, nonostante larecente promozione europea della manovrafinanziaria 2006. L’indebitamento netto delleamministrazioni pubbliche in rapporto al Pil èrisultato nel 2005 pari al 4,1%, rispetto al3,4% dell’anno precedente, sforando per ilterzo anno consecutivo il tetto del 3% previstodal trattato di Maastricht (anche nel 2003 l’in-debitamento si era attestato sul 3,4% del PIL).Ma a preoccupare maggiormente non è tantoil dato dell’indebitamento netto, quanto l’an-damento dell’avanzo primario, ovvero il rap-porto tra entrate e spese al netto di quella perinteressi, che rappresenta il vero indice su cuimisurare se i conti pubblici sono in equilibrioo meno e se, in presenza di un forte debitopregresso, come nel caso dell’Italia, si è imboc-cata la strada del risanamento. Nel 2005 l’a-vanzo primario, cifre riferite dall’Istat, si atte-sta su di un valore dello 0,5% del Pil, ovvero iltotale delle entrate supera il totale delle spese,al netto degli interessi, di mezzo punto di Pil,in cifra assoluta un avanzo di circa 6.600milioni di euro. Nel 2004 l’avanzo primarioera stato dell’1,3%, nel 2003 dell’1,7%, nel2002 del 2,7%, nel 2001 del 3,2%. Tra il2001 ed il 2005 si è scesi da un avanzo prima-rio di oltre 40.000 milioni di euro, realizzatocon l’ultima Finanziaria del centro-sinistra, aduno di circa 6.600. Questa continua e progressiva erosione deimargini dell’avanzo primario è chiaro indiziodi un altrettanto continuo e progressivo allon-tanamento dalla strada del risanamento deiconti pubblici. Non è un caso che nel 2005,per la prima volta dopo undici anni, il debito

complessivo è tornato a crescere, portandosi al108,5% del Pil (nel 2004 era al 106,5%). Perchiudere il quadro va ricordato che nel corsodel 2005 i conti pubblici hanno potuto bene-ficiare di una imprevista riduzione della spesaper interessi (-1,8%), dovuta in buona partead operazioni di finanza straordinaria, cosache non si potrà ripetere nel 2006, che, al con-trario, dopo le recenti decisioni della Bce diaumentare i tassi di interesse, conoscerà unaggravamento della spesa per interessi.Insomma ci sono buone possibilità che, inpresenza per altro di una debole crescita eco-nomica, il disavanzo 2006 si collochi in pros-simità più del 5 che del 4 per cento e che leprevisioni di riportarlo entro il 2007 sotto lafatidica soglia del 3 per cento si dimostrinoalquanto aleatorie. Questo è il bilancio di cinque anni di governodi centro-destra. Certo, si potrà dire, che ingenerale questi non sono stati anni facili perl’economia mondiale. Ma proprio qui sta ilpunto. Il centro-destra ha vinto le elezioni nel2001 presentandosi con un programma eco-nomico tutto indirizzato a gestire una fase digrande espansione economica. Dopo l’11 set-tembre, ma a ben vedere già diversi mesiprima, era chiaro che questa grande espansio-ne dell’economia mondiale non ci sarebbestata, era quindi necessario cambiare politicaeconomica, cosa che ad esempio hanno fattogli Stati Uniti rispolverando, dopo l’attaccoalle torri gemelle, politiche di sostegno distampo keynesiano che sembravano morte esepolte. In Italia, forse perché troppe e troppoonerose erano le cambiali pre elettorali firmatedal centro-destra, si è continuato come se nonstesse succedendo alcunché. Da qui il disastroche è sotto gli occhi di tutti.

In questo contesto le previsioni, per altro con-tenute nello stesso Documento annuale di

programmazione redatto dalla Giunta regio-nale, che, dopo il balzo registrato nel 2004(+2,8%), indicavano per l’economia umbraun 2005 in calo (-0,1%), appaiono decisa-mente realistiche. Ma, come sempre quando si affrontano i pro-blemi di una economia regionale di ridottedimensioni come quella umbra, la riflessionenon può essere circoscritta alla singola varia-zione di un anno rispetto ad un altro, ma losguardo si deve dispiegare su di un periodopiù lungo. Ebbene se guardiamo l’ultimoquinquennio, in particolare al periodo 2000-2004, non essendo ancora disponibili datiregionali relativi al 2005, l’Umbria si caratte-rizza per una situazione di crescita moderata,sostanzialmente in linea con quanto avviene alivello nazionale. Un ruolo di traino vienesvolto dal settore delle costruzioni, mentre siassiste ad un progressivo declino delle attivitàindustriali in senso stretto, che in particolaretra il 2002 ed il 2004 presentano preoccupantisegnali negativi. L’agricoltura, grazie all’incre-mento record registrato nel 2004 “tiene” leposizioni, realizzando nel 2004 un valore delleproduzioni, calcolato a prezzi costanti, di pocoal disotto di quello del 2000, mentre continual’espansione, come nel resto del paese, delleattività del terziario, ma con alcune particola-rità: innanzitutto il settore del commercio,alberghi e pubblici esercizi chiude con unrisultato positivo, ma solo ed esclusivamentegrazie al forte recupero operato nel 2004(+7,0%), dopo due anni consecutivi di risulta-ti negativi. Sempre all’interno del terziario,bilancio in attivo presentano le attività diintermediazione monetaria e finanziaria, atti-vità immobiliari ed imprenditoriali, al cuiinterno sono compresi i cosiddetti serviziavanzati, ma con un tasso di crescita medioannuo dimezzato rispetto a quello medionazionale e del centro-nord. Al contrario unaforte espansione, con un tasso medio annuo dicrescita del 2,7%, di gran lunga superiore aquanto avviene nel resto del paese, caratterizzail settore delle altre attività di servizio, al cuiinterno sono collocate le attività della pubblicaamministrazione in senso lato.Questo tipo di dinamica fa si che le distanzestrutturali tra Umbria e zone più avanzate delpaese restino immutate. Un indicatore tipicodi questa situazione è il PIL per abitante chenel 2004, fatto 100 il valore medio Italia, inUmbria presenta il valore di 94,7, valore chescende al 86,0 se si prende a riferimento ildato medio del centro-nord. Nel 2000 il valo-re di questo indicatore in rapporto alla medianazionale era 96,8. In questa prima, non certo facile, metà deglianni Duemila il sistema economico umbro èdunque riuscito a reggere, a non perdere colpie farsi ulteriormente distanziare dalle realtà piùavanzate del paese, ma non certo a recuperareil gap.D’altro canto, il forte incremento, superiorealla media nazionale, degli investimenti, inparticolare di quelli in macchinari ed attrezza-ture, ovvero la componente a prima vista piùdirettamente legata a processi di ammoderna-mento ed innovazione dell’apparato produtti-vo, induce ad un qualche cauto ottimismo peril futuro.

7 economiamar zo 2006

Le analisi di Bankitalia spengono ogni residuo ottimismo.

I bilanci del centrodestraFranco Calistri

I

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8 dibattitomar zo 2006

on Gli equilibristi sulla paludeRenato Covino ci propone, inchiave fortemente critica, le sueriflessioni sull’Umbria degli ulti-

mi vent’anni e sui gruppi dirigenti che, nel-l’accezione più larga, l’hanno governata. Lasua, in sintesi, è la storia di un’illusione, ecioè della nascita della proposta regionalistaconcepita a cavallo degli anni Sessanta eSettanta, e dei numerosi fallimenti che l’han-no seguita, al punto che oggi ci troveremmoa dover constatare la fine ingloriosa di ungrande progetto di cambiamento, scadutonella routine della gestione, e l’avvento di unpresente senza emozioni né speranze.Pur essendo, tale analisi, volutamente diparte, il libro si segnala per la rappresentazio-ne organica e tutt’altro che banale di unperiodo che comunque ha visto la più rile-vante trasformazione che l’Umbria ricordi, alpunto che, nelle conclusioni, è lo stessoAutore a voler quasi attenuare la portata dicerti suoi giudizi.Dice infatti Covino “che l’immaginedell’Umbria, nonostante le difficoltà e leonde lunghe di una modernizzazione senzaqualità, rimane quella di un luogo dove sivive meglio che altrove, dove tutto si tiene,dove le sacche di miseria evidente sono limi-tate e in qualche modo tamponate. Le con-traddizioni non appaiono insanabili, i con-trasti non presentano aspetti stridenti.Questa è la percezione, che per molti aspetticorrisponde alla realtà, che ne hanno i suoicittadini e i suoi visitatori…” (p. 75).Non siamo certo all’isola felice di passatamemoria né nel migliore dei mondi possibili,ma tutto sommato la qualità complessivadella vita, sia collettiva che individuale, è piùche accettabile, anche se ciò non deve impe-dire di guardare con lucidità a varie manife-stazioni di un degrado sempre incombente.Se questa considerazione potesse essereacquisita come un punto fermo di un dibat-tito sulla società regionale, che non sarebbeinutile allargare, il libro di Covino, al di làdella “provocazione” compresa nel titolo,dovrebbe essere considerato come un’occa-sione da non perdere, per ragionare, senzapregiudizi, su chi siamo e dove stiamoandando.D’altra parte è sempre lo stesso Autore che,attraverso le dense pagine sulla crisi dellamezzadria e poi della grande industria, e daultimo delle istituzioni, intende darci unaprima chiave interpretativa di ciò che qui èavvenuto e dei processi in corso. Il punto dipartenza non può che essere quello dellecondizioni della regione, sessant’anni fa,all’indomani della guerra e della nascita dellaRepubblica.Nonostante alcuni tentativi di modernizza-zione portati avanti, specialmente nell’areaternana, nei decenni precedenti, l’Umbriadel 1945 – 46 è un territorio con profondeferite e sostanzialmente arretrato, con un altotasso di analfabetismo, reddito medio deltutto inadeguato e un sistema di comunica-zioni pressoché inesistente. Già allora la reto-rica del “cuore verde” ne delimitava l’essenza.Anche qui di, fronte all’impellenza dei biso-gni primari, la ricostruzione dei servizi edelle stesse aree urbane non va troppo per ilsottile e si registrano errori pesanti, un po’come nel resto del Paese, di fronte a fenome-ni d’urbanesimo senza precedenti e di svilup-po distorto e incontrollato. Il “miracolo eco-

nomico” in Umbria reca il segno delle nuoveperiferie urbane edificate in fretta e furia datanti ex contadini, i “metalmezzadri” diAlessandro Portelli, divenuti costruttoridomenicali di casette a un piano da arredarecol sogno dei mobili in formica.Ma è anche la prima volta in cui la politicacomincia a pensare l’Umbria in terminidiversi dal passato: è la stagione delle città edei loro nuovi piani regolatori; è il momentodel Piano regionale di sviluppo, tema sulquale, al di là delle profonde divisioni ideo-logiche, tutti i partiti si confronteranno conautentica tensione unitaria.Le aspettative sono tali che a metà degli annisessanta l’assemblaggio dei PRG porterà, toutcourt, a prevedere il raddoppio della popola-zione già insediata, pur in presenza di unforte saldo migratorio negativo.L’idea dell’Umbria quale l’avvertiamo ancor

oggi – ma questa è anche la tesi di Covino -sorge in quella temperie, con il progetto diun regionalismo in antitesi al localismo strac-cione, progetto che però deve ben presto farei conti con due dati sempre immanenti: lacrisi della grande industria a partecipazionestatale e le risorgenti spinte antiregionaliste,tendenti a fare del nuovo istituto una scatolavuota, senza reali poteri e risorse. Tutto ciòavrà poi un effetto di traino verso il bassoanche nei confronti dell’industria privata, diqualunque dimensione essa fosse. Su questevicende si innestano, pressoché con cadenzadecennale, altrettanti passaggi di fase e digruppi dirigenti, nel segno sì di una sostan-ziale continuità politica ma anche di unprofondo intreccio con le vicissitudini,soprattutto economiche, nazionali.Non considerare nella giusta misura quest’a-spetto sarebbe fuorviante. Per un insieme diragioni, che è inutile ricordare, l’Umbriadipende dalle scelte e dalle risorse nazionali,

comprese quelle dei Lavori Pubblici che dasempre sono la principale valvola di sfogo diuna disoccupazione endemica. La sua econo-mia è di dimensioni troppo piccole e fram-mentate per poter fare massa critica, anchese, di tanto in tanto, fa capolino qualche sog-getto innovativo, con elementi di specializza-zione produttiva. Troppo debole è anche ilsuo potenziale di ricerca, a partiredall’Università, o di sostegno all’impresa,considerando anche l’esiguità e le distorsionistrutturali del suo mercato creditizio.Bassi salari, lavoro nero, una o più pensioniin famiglia sono tuttavia sufficienti, con unpo’ di autoproduzione, a mettere insieme unreddito decente. Il quadro resta però quellodi un’economia abbastanza povera per averela forza di crescere da sola. Questa è la veritàe senza quel misto di assistenzialismo e pub-blica amministrazione l’Umbria, almeno in

alcune sue parti, non ce l’avrebbe fatta. Talequadro è sostanzialmente anche quello cheemerge dall’analisi di Covino, con l’aggra-vante che oggi siamo nel tempo della globa-lizzazione e delle multinazionali e, perl’Italia, della crescita zero.In verità, i diversi tentativi portati avantidalla metà degli anni Novanta – al di là dellealchimie politico – istituzionali – si sono difatto scontrati con un grumo di problemistrutturali che ha reso tutto più difficile.Non mi riferisco soltanto a certe iniziativeparadigmatiche del nuovo sviluppo – esem-plari le vicende del Centro Multimediale edel cinema a Terni – ma anche alla qualità ealla coesione del gruppo dirigente allargatodella regione, dalle istituzioni alle forze eco-nomico-sociali e culturali, dalle banche allenuove leve della politica. Nel saggio di Covino ci sono pure alcuneriflessioni sulla palude - questa volta non insenso metaforico – che ha lambito l’Umbria,

con Tangentopoli, nei primi anni Novanta.Terni, pur non essendo l’unico, è il casoemblematico di quanto è avvenuto. Non èqui possibile parlarne diffusamente, ancheperché quelle vicende, conclusesi con l’av-vento di Ciaurro a Palazzo Spada, nelle sin-golari vesti di leader di AlleanzaDemocratica, meriterebbero ben altro spazio.Covino, del resto, al pari di chi scrive, ne èstato testimone e, almeno per la parte finale,un protagonista, quando si è candidato a sin-daco per Rifondazione Comunista.Qui vorrei limitarmi a dire che ho cercato,tenacemente, in una situazione così difficilee gravida di implicazioni, di aprire per Terniuna prospettiva diversa, con la proposta diun polo progressista più ampio delle tradi-zionali alleanze a sinistra. Ma i tempi nonerano evidentemente ancora maturi né den-tro il PDS né fuori. C’era anzi il rischio diallargare anche di più il fossato esistente, percui l’unica decisione ragionevole fu quella diprocedere come si è proceduto. Ognuno puòdare di quella vicenda l’interpretazione chevuole – le defezioni della sinistra più di sini-stra e della destra più di destra, le vacanzemarine dei pensionati, i volantini oltraggiosi– ma resta il fatto che per la prima volta nonprevalse, almeno in coloro che erano gli eredidi una grande tradizione politica, non dicol’esigenza di salvare la casa comune, ma nep-pure un secolo di lotte per il lavoro e lademocrazia.Quella scelta fu pagata a caro prezzo anchequattro anni dopo, pur in presenza di un’al-leanza amplissima.Piuttosto la crisi ternana, di per sé dramma-tica, segnala prima di tutto l’incapacità dicerta sinistra di misurarsi con i nodi di unacrisi reale e di superarli in avanti.E guardando avanti vorrei concludere questemie riflessioni.Pur condividendo vari aspetti dell’analisi diCovino, e di coloro che già sono intervenutisul suo libro, più che a un passato comunquedignitoso, in quelle condizioni date, vorreivolgermi oltre il presente.Non è detto che l’Umbria non possa cono-scere altre fasi di crisi, tanto più se dovessimoulteriormente impelagarci nella palude deilocalismi esasperati. A mio avviso va urgente-mente recuperato il senso dell’unitarietà dellaregione, che non significa mortificazionedelle sue peculiarità territoriali e culturali.L’Italia e l’Europa sono gli scenari ai qualidovremmo rapportarci con sempre maggioredeterminazione, d’intesa con le altre regionidel Centro, secondo un’intuizione di qualcheanno fa che non dovrebbe essere abbandona-ta. E poi la qualità ambientale, e quindi civi-le, che sempre di più costituisce un valore insé di questa nostra realtà.In tale direzione cominciano infatti ad avver-tirsi segnali preoccupanti che non dovrebbe-ro essere sottovalutati. Infine vanno conside-rate le autentiche capacità dei gruppi diri-genti del centro – sinistra, ma il discorsoriguarda tutte le componenti politiche, eco-nomiche e sociali della regione, di candidarsiancora alla guida delle istituzioni, non tantoper grazia ricevuta quanto per reale volontàdi innovare sul piano programmatico e del-l’azione concreta.Ce n’è abbastanza, come si vede, per mettereda parte equilibri ed equilibrismi e misurarsiogni giorno con le questioni poste anchedalla transizione umbra.

L’Umbria di ieri e di domani

L’orma del regionalismoFranco Giustinelli

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ell’ultimo numero di “micro-pol i s” Bruno Braca lente ,dopo gli interventi del sotto-scritto, di Claudio Carnieri e

Francesco Mandarini, ha espresso alcu-ne valutazioni sul volume di RenatoCovino, Gli equilibristi sulla palude,riguardanti le vicende politiche dell’ul-timo ventennio in Umbria. Le argo-mentazioni uti lmente polemiche diBruno Bracalente, Pres idente del laGiunta Regionale dell’Umbria dal 1995al 2000, in riferimento alle mie prece-denti valutazioni (contenute nel nume-ro di “micropolis” del dicembre 2005),mi inducono ad alcune ulteriori consi-derazioni.Innanzitutto mi sembra che Bracalente,evocando la fine della “stagione dei pro-fessori”, non abbia ancora metabolizza-to una sconfitta politica, che non ècerto esclusivamente personale, maesprime ormai i limiti e le caratteristi-che di un tentativo di rinnovamentodella politica che appartiene alla com-plessa storia degli anni novanta dopo lacrisi della prima Repubblica. Egli eraperaltro un autorevole membro dellasegreteria regionale del Pds, prima dellasua elezione a Presidente della Regione,anche se poi è assurto ad espressione esimbolo della cosiddetta stagione deiprofessori.1. In riferimento alla affermazione diCovino secondo cui “la stagione deiprofessori è stata una novità fortementevoluta dal segretario regionale del Pds”,Bracalente dissente da questa valutazio-ne sostenendo che “né il Presidentedella Regione, né quello della Provincia,né il Sindaco del capoluogo furono scel-ti dall’allora segretario regionale delPds”.Non rientra certo nel mio modo di con-cepire la guida politica di un’organizza-zione collettiva, rivendicare solo per mela scelta di questa o quella persona, perquesto o quel ruolo, fuori da un preci-so progetto politico.Potrei tuttavia citare tempi, luoghi, per-sone e fatti per confermare il diretto,convinto, non certo ininfluenteimpegno dell’allora segretarioregionale del Pds (il sottoscritto)nelle scelte più significative versouna politica di reale rinnova-mento dei livelli politico-istitu-z ional i de l la Regione deiComuni e delle Province.Si tenne, non a caso so lo inUmbria, unica regione in Italia,da l 3 a l 5 marzo 1995, unCongresso Regionale straordina-rio del Pds per sancire un nuovoprogetto politico che proponevaun rinnovamento programmati-co e della classe dirigente sia nelpartito che nelle istituzioni rap-presentative.E l’esito stesso di quel congresso, pur inpresenza di un aspro conflitto interno,

vide prevalere una nuova linea politicache Covino ha definito poi “nuovista”.Lo stesso D’Alema che concluse l’assise,

citando Moro, ci invitò in Umbria adessere “alternativi a noi stessi”. E fuproprio Claudio Carnieri, Presidente

della Giunta Regionale di allora, adesprimere un forte senso di responsabi-lità politica ed istituzionale, manife-

stando al sottoscritto, appenadopo il congresso, la sua dispo-nibilità ad essere sostituito allaguida della Regione, nel qua-dro di un cambiamento, chepoteva vedere propr io inBruno Bracalente il suo succes-sore.2. Quanto poi ad accusare ilsot toscr i t to di aver voluto“decapitare i pres ident i” s itende a sottovalutare il conte-sto politico generale degli anninovanta e pur tuttavia, sia nel1995 che nel 2000, gli avvi-cendamenti al la guida dellaGiunta Regionale sono avvenu-

ti per la prima volta alla luce del sole,in grande trasparenza e in un lungoconfronto democratico, come non era

mai avvenuto in passato e in particolarein periodi precisi come nel 1976, nel1987 e nel 1991.Nel 1995 il ricambio avvenne dopo unalunga discussione interna e nella societàregionale, nel contesto di un nuovoclima politico nazionale, all’avvio dellastagione berlusconiana, dopo la crisidella prima repubblica e la delegittima-zione di una intera classe dirigentenazionale e regionale. Si passò, come giàdetto, attraverso un congresso regionalestraordinario del Pds e mentre si facevastrada, praticamente per la prima volta,l’elezione diretta del Presidente dellaGiunta Regionale. Al ricambio del 2000 si è arrivati dopoquasi tre mesi di discussione nel partitoe nella coalizione di centrosinistra, dal-l’ottobre al dicembre 1999, con la par-tecipazione al dibattito di tutte le orga-nizzazioni del partito e della societàregionale, in un conflitto aperto con lastessa Direzione Nazionale dei Ds, versola quale il partito umbro, a grande mag-gioranza, reclamava una chiara autono-mia decisionale.Capisco e comprendo l’amarezza umanae la contrarietà politica di Bracalenteagli esiti a cui alla fine si è pervenuti,ma è prevalso un giudizio politico larga-mente condiviso che considerava inade-guata la guida politico-amministrativadi quegli anni.D’altronde è lo stesso Bracalente checon onestà politica e intellettuale haammesso il fatto: “che le realizzazionisiano state inferiori alle aspettative”aggiungendo poi, “ma qui nessuno èstato mai sostituito a causa dei risultaticonseguiti”.In sintesi Bracalente intende sostenerela tesi che all’inizio degli anni novanta èstata perseguita una linea di rinnova-mento, in modo più o meno strumenta-le, per far spazio ad un nuovo ceto poli-tico, quello “nuovista”, ma proprioquando questo non dava sufficientigaranzie al “vecchio potere”, ancoradominante, è stato spazzato via e sosti-tuito con “il vecchio che tornava allaguida delle istituzioni”. Insomma unarestaurazione in piena regola. Si tratta di una ricostruzione franca-mente difficile da condividere per letante varianti nazionali e locali, politi-che, sociali ed economiche intervenutenei difficili e contraddittori anni novan-ta. Comunque, se Bracalente con le suevalutazioni politiche intende porre oggila questione dell’inadeguatezza attualedei principali livelli politico-istituziona-li alla guida dell’ istituzione regionale elocale, allora questo è certamente untema su cui si può e si deve discutere.Ma se vogliamo guardare serenamente eseriamente al futuro, per ri lanciareun’autentica politica di rinnovamento edi modernizzazione anche dell’Umbria,dobbiamo assolutamente eliminare ifantasmi del passato.

Ricambi

Professori e innovatoriAlberto Stramaccioni

N

In polemicacon Bracalenteil deputato diessinoparla dell’inadeguatezzapassata e attualedella direzionepolitico-istituzionaledella regione

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Acqua e politica

La prima delle tre storie finisce con il contato-re staccato di Giulio Montanucci, instancabileanimatore del collettivo de “il manifesto” eguida morale dei “resistenti” orvietani che sioppongono alla privatizzazione dell’acqua. Lasua morosità è l’esito di una tenace forma di“disobbedienza civile”, di una civica estrofles-sione del dissenso rispetto alle politiche digestione di uno dei beni pubblici “par excel-lence”.Nei giorni scorsi, un blitz del Sii (Servizioidrico integrato) ha privato la sua abitazionedell’acqua e Giulio, ex-gallerista, è divenutoun’icona nazionale.La vicenda, nella sua enormità, poteva finirequi (e in tribunale). Ma le cose, nella cittàdella rupe, mai sono per come appaiono e l’a-ruspice è da secoli qui figura oltremodonecessaria. L’acqua a Orvieto è un elemento sovradeter-minato, tanto politico da far evaporare qual-siasi residuo di naturalità. Un simbolo a orologeria, da usare anche nellelotte per il potere locale. Cerchiamo di com-prenderne meglio le ragioni elencando ten-denziosamente punti che lasciamo ai lettoricollegare.Il collettivo de “il manifesto”, primo a denun-ciare i guasti della nuova gestione, trasformalo sconcerto dei cittadini dinanzi ad una selvadi bollette “esondanti”, anomale e iperbolichein un fatto “politico” (gennaio 2004).Il Presidente dell’Ato 2, Marino Capoccia,orvietano, consigliere comunale, è dal dicem-bre 2004 segretario dei Ds. Guida un partitotormentato dal conflitto tra “correntone” e“fassiniani”, aggravatosi dopo la mancata ele-zione di Stefano Cimicchi a consigliere regio-nale. La questione acqua – nelle sue diversedeclinazioni – diventa una clava branditadagli avversari di Capoccia. Dentro i Ds il ter-mine diventa impronunciabile: non si parla di“corda” nella casa dell’impiccato.Nel luglio 2005 il Prc, Pdci e altre associazionifondano il comitato per la ripubblicizzazionedell’acqua, aggregandosi attorno alla lottainaugurata dal “collettivo”. Tra le richiesteimmediate, quella di una sola Ato per tuttal’Umbria. Ad ottobre la sinistra Ds chiede diaderire.Alcune vicende - Cava di Benano (agosto2005) e Caserma Piave (in corso) polarizzanole posizioni dei partiti e sub-partiti di gover-no, lasciando indovinare una geografia che,con il senno di poi, replica in parte gli schiera-menti di truppe messe in campo nella guerradell’acqua. Da una parte Prc e sinistra Ds; dal-l’altra i Ds della maggioranza congressuale. Inmezzo il sindaco (schierato però per la ripub-blicizzazione), lo Sdi (non schierato ma anti-capocciano), il Pdci (a favore dell’acqua pub-blica ma poco incline a manifestare con chia-rezza i propri disegni), la Margherita (sul bal-cone).La resistenza di Giulio Montanucci e di altricinque viene colpita con il provvedimento di

distacco. Solidarietà del “Comitato”, silenziodei Ds. L’acqua come “bene pubblico” entra nel pro-gramma dell’Unione.Il consigliere comunale dello Sdi FrancoRaimondo Barbabella, presidente di Risorseper Orvieto (la Spa chiamata a gestire il futurodelle ex caserme e bersaglio del segretario Dsche la vorrebbe, visti gli esiti non esaltanti,ridimensionata) si schiera a sostegno della bat-taglia civile di Montanucci, auspicando chesul tema più generale si possa ridiscutere intempi brevi. Il messaggio è lanciato.In conclusione: la sovradeterminazione del-l’acqua ha trasformato apparentemente unacittà “di sinistra ma non troppo” in un covo dino-global (rigorosamente part-time) in lottacontro il neo-liberismo e la privatizzazione del“beni comuni” lasciando alla maggioranza deiDs lo sgradevole onere di difendere, loro mal-grado, un aggeggio che pure hanno votato intanti.

Acqua e lavoro

La seconda storia sull’acqua ha per protagoni-sta la Nestlé-San Pellegrino. Il gruppo ha deci-so di abbandonare il marchio “Tione” e lo sta-bilimento di acqua minerale di Orvieto.Probabile motivo della scelta: la caduta deimargini di profitto delle acque minerali difascia bassa.Nei prossimi mesi saranno a rischio 18 postidi lavoro e un indotto altrettanto consistentelegato alle variazioni stagionali. I problemi originano dal 2002, quando laNestlé-San Pellegrino scorpora il marchio“Tione” da quello “Panna” (a cui era statoaggregato per la commercializzazione). Il“Tione” scivola verso una fascia di primoprezzo e si espone così al fuoco di fila di unaconcorrenza selvaggia. Per la Flai-Cgil diOrvieto questo è il passaggio dirimente chesegna l’inizio della crisi. Per difendere l’inse-diamento produttivo - sostiene la Flai-Cgil -

si sarebbe dovuto puntare ad un posiziona-mento su una fascia di qualità e di prezzomedio-alta con adeguate strategie commercialie di marketing. “La non sindacalizzazione del-l’azienda ha impedito di sostenere tale ipotesinelle sedi concertative e il progetto del gruppo haavuto il suo corso”. La stessa Regione Umbria -questo il parere dell’organizzazione dei lavora-tori – avrebbe potuto fare qualcosa di più inquanto titolare delle concessioni, condizio-nando “le strategie industriali collegate allosfruttamento di risorse naturali del territorio”.Qual è la possibile morale della vicenda?Intanto che non sempre lo sfruttamento diuna risorsa del territorio, quindi di una realtàinemendabile, si traduce in un’assicurazioneeterna di posti di lavoro. La sorgente è lì, ma èuna “commodity” priva di valore industriale. Questo lo riceve soltanto quando l’acquadiventa un prodotto “spettacolare”, un ele-mento del circuito dell’immaginario desidera-bile e consumabile. Il vero investimento - ed è

quello che si capisce di meno e prescindiamoper un momento dal business dei trasporti - ètutto immateriale. Nel caso della fonte“Tione” il legame con il territorio è stato effi-mero perché lì a prevalere è la marca, il“brand”, non la storia e la tradizione o quantoaltro legato all’acqua. Il “brand” è un elemen-to deterritorializzato e deterritorializzante enon è necessaria l’esegesi di Deleuze perintuirlo…Se la situazione è questa, non c’è ragione diritenere che insediamenti di questo tipo,nuovi e senza un marchio affermato, possanoopporsi al nomadismo dei grandi gruppi. C’èsolo da incrociare le dita.

Acqua e sviluppo

La terza e ultima storia si riferisce alle “Termedi Parrano”, diventate oggetto “reale” dopo unservizio andato in onda su “Striscia la Notizia”la sera del 18 febbraio (oggi, ricordiamolo,

l’ontologia è l’ancella della televisione).All’aspirante inviato Mauro Casciari il meritodi aver concesso al piccolo comune dell’Altoorvietano i famosi 30 warholiani secondi dicelebrità. Nell’ambiguo servizio, un pochinoapprossimativo, si passavano in rassegna i restidelle “terme mai terminate”: Triponzo,Monterubiaglio e Parrano. Ma se il buon Casciari avesse voluto giocare algiornalista curioso, si sarebbe lui stesso mera-vigliato: la storia delle “Terme di Parrano”,anziché suscitare le esecrazioni di rito contro ilpubblico sprecone, per una volta mette allagogna le inerzie e le inettitudini della pro-prietà privata. Cosa che, per noi orfani dellacritica anche proudhoniana, suona come unmelodioso rapimento. Nel 1968 il proprieta-rio del castello e della grande azienda agricoladistrugge la vecchia piscina popolare, costruitaper raccogliere le acque che copiose rampolla-vano dal sottosuolo. Le proteste dei cittadinivengono messe a tacere con la promessa digrandi e imminenti piscine termali.Naturalmente non se ne fece nulla. Nel 1980cambia proprietario e due anni dopo, alla pre-senza della massime autorità e del vescovo,viene benedetta la prima pietra. Gaio Fratini,poeta e parranese per via di padre, parlò pro-feticamente di “prima pietra tombale”. Tracorsi e ricorsi, modifiche e varianti, richiestedi nuove concessioni e marce indietro, arrivia-mo nel 2004, data in cui la Regione, su richie-sta di un Comune ormai esasperato, revoca laconcessione di sfruttamento. Sul campo resta-no l’amarezza e grandi parallelepipedi dicemento armato. Oggi la fonte di Parrano,inserita nel complesso archeologico e speleolo-gico delle “Tane del Diavolo,” è diventata partedi “Essere Bene”, un progetto diSviluppumbria dedicato alla valorizzazionedelle fonti termali regionali. Siccome l’acquadi Parrano sembra davvero interessante (ancheper via delle diverse sorgenti e di una tempera-tura attorno a 30/33°C), il sindaco GinoMechelli e la giunta hanno presentato unpiano di ricerche e di prima valorizzazionefinanziato dalla Regione per circa 700milaeuro. L’idea dell’amministrazione è semplice:1) la realizzazione del “Parco Termale” conrisorse pubbliche (opera richiesta da operatorie da altri comuni e che va a integrarsi con ilsistema dell’offerta turistica); 2) l’ individua-zione di una nuova area per insediamenti pri-vati di tipo termale e la ricerca di un investito-re attraverso il marketing territoriale diSviluppumbria. I primi risultati delle perfora-zioni lasciano presagire una quantità di acquaenorme e di qualità: a pozzi ultimati, quella diParrano rappresenterà probabilmente il piùgrande bacino umbro di acqua termale.Con le “terme” questo piccolo borgo intendescuotere un destino di solitudini beate e dineghittose melanconie. Il sindaco lo vuole fardiventare il “borgo del benessere”, rilanciandoproduzioni tipiche, artigianato e servizi disupporto al “wellness”. E conta di invitare, traun paio d’anni, “Striscia la Notizia” all’inau-gurazione degli impianti.

Tre storie per riflettere su politica, lavoro e sviluppo locale

Il trittico dell’acquaorvietana

Vittorio Tarparelli

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onclusosi l’Anno della Fisica, il2005, con il consueto 31 dicem-bre, non possiamo però dirciorfani di scienza. A Perugia l’ini-

ziativa La Fisica nella vita quotidiana, orga-nizzata dall’Ateneo, dal Comune e dallaFondazione Cassa di Risparmio, è terminatail 17 febbraio con la conferenza diMargherita Hack, intraprendentissimaastrofisica di fama mondiale, dedita datempo all’attività di divulgazione e ora can-didata alla Camera dei Deputati per iComunisti Italiani. In una sala gremita dicuriosi, studenti universitari e delle scuolesuperiori, nell’anniversario del martirio diGiordano Bruno, la Hack nellaprima parte ha illustrato l’evoluzionee gli sviluppi dell’astronomia, presen-tando le teorie più accreditate sul bigbang e l’universo in espansione. Haaffrontato il discorso, derivante dallaTeoria della Relatività Generale,dello spostamento verso il rosso dellaradiazione proveniente dalle stellepiù lontane, ha mostrato come l’ubi-cazione del Sistema Solare sia nellaperiferia di una galassia qualsiasi.Insomma ha cercato, nel poco tempoa sua disposizione, di fare una carrel-lata sull’astronomia e l’astrofisicaufficiali, attenendosi alle teorie il cuiriscontro sperimentale è il più ine-quivocabile possibile. Nel dibattitoconclusivo ha fatto il punto sullostato, tragico, della ricerca in Italia, acui il referendum dello scorso giugno“sulla fecondazione assistita” ha datoun ulteriore colpo. E’ il contesto in cui si inscrive unavera e propria crisi delle vocazioni intutte le facoltà scientifiche, con l’Ateneo diPerugia che non sfugge a questo destinogramo. Niente del resto sembra incoraggiar-le. È comprensibile come ci si senta scorag-giati, al termine delle scuole superiori, a sce-gliere di dedicare la propria vita allo studiodi discipline che si presentano affascinantima ostiche, e oltretutto non ripagano facil-mente gli sforzi. Lo Stato si limita a condo-nare le tasse universitarie a chi si iscrive acorsi di laurea come Fisica, Matematica oChimica, mentre il sovraffollamento affliggei corsi di Ingegneria.Certo, sembrerebbe che, senza molta con-correnza, i pochi scienziati possano sguazza-re nell’oro, tuttavia non è così. Il precariatodei ricercatori è una piaga che coinvolge inun perverso circolo vizioso tutto il paese.Ragionando in termini economici, il dannofatto al sistema, ad esempio per l’acquistodei brevetti, potrebbe essere evitato conver-tendo la spesa in investimenti per i magriassegni di ricerca, contribuendo a frenare, senon a invertire, la discesa verso il baratro che

lamentano tutti coloro che di scienza einnovazione vorrebbero vivere. È in questo scenario che si è tenuta la XVISettimana della Cultura Scientifica eTecnologica.La Facoltà di Scienze dell’Università diPerugia, in collaborazione con le scuolesecondarie del capoluogo umbro e di Terni,si è impegnata nell’organizzazione dal 13 al18 marzo, di una serie di conferenze, tenuteda esponenti di rilievo del mondo scientificolocale e non. Gli argomenti abbracciavano ipiù disparati ambiti della ricerca e delleapplicazioni: geologia e paesaggio, chimicadei materiali, matematica, sviluppo delle

intelligenze artificiali, meteorologia e fisicapura.Lo spirito di tutta la manifestazione è difavorire lo scambio tra il mondo della ricercae la società civile e, rispettando tali direttive,il taglio dato alle conferenze è stato giusta-mente divulgativo. Il grosso del pubblico eracomposto da studenti delle scuole superioria digiuno della matematica necessaria adargomentare certi passaggi, anche se in alcu-ni momenti una formula o due avrebberofatto bene sia agli oratori che al pubblico.Nel contesto della Settimana della CulturaScientifica e Tecnologica, presso il Post(Perugia Officina per la Scienza e laTecnologia), la mostra Geni al lavoro (man-data in tournée per l’Italia) è stata sostituitacon DieciallamenoNove, sull’affascinante macontroverso mondo delle nanotecnologie,uno dei campi più ambiziosi della nuovatecnica. Gli sforzi di una parte del mondodella ricerca, spronati in larga misura dallenecessità della microelettronica, si sono tra-dotti nella miniaturizzazione di moltissimi

tipi di oggetti. Questo ha permesso sia dimigliorare le prestazioni di certe macchinesia la creazione di nuovi strumenti. La pic-cola mostra si propone di dare il senso del-l’infinitamente piccolo, e già il titoloDieciallamenoNove ne è una prova, perchéanche l’approccio numerico è necessario aintuire la (s)proporzione fra il nostro mondoe quello in cui le nanotecnologie non sonopiù così piccole. Viene riservato molto spa-zio alle tecniche di indagine che operano suquella scala, che si basano su principi diversida quelli dell’ottica delle nostre dimensioni.Così le lenti e i microscopi lasciano il postoad oggetti come campi magnetici e elettroni,

e tramite metodi di analisi (sofisti-cati come l’occhio umano, ma nondisponibili di serie nella fisiologiaumana), le immagini dell’universoche risiede in ogni singola scheggiadi materia sono disponibili agliaddetti ai lavori che possono saperecon cosa hanno a che fare quandosi mettono a costruire una macchi-na invisibile. Il resto della mostra èuna carrellata sulle applicazioni,anche le più inaspettate, dellenanotecniche. Fibre resistenti, pig-menti cangianti, chirurghi in polve-re che non sfigurerebbero nelViaggio allucinante di Asimov, conmoltissime idee mutuate diretta-mente da piante e animali, in untrionfo di relativismo che mandal’uomo ancora più in periferia diquanto l’astronomia già non abbiafatto. Il tutto è presentato inmaniera molto attraente, colorata einterattiva. Un esempio per tutti èl’effetto tunnel, il fenomeno per cui

una particella come un elettrone ha una pro-babilità finita di penetrare (e superare) unabarriera. Invece di pagine e pagine di esote-riche equazioni differenziali, l’analogia con ilsaltatore in alto e un’animazione estrema-mente chiara rendono fruibile a tutti questaapparente aporia della natura.Contemporaneamente, ma per una sola set-timana, sempre al Post, è stato possibile assi-stere al Robotshow, una dimostrazione dellenuove frontiere della robotica.Siamo lontani da Goldrake o da Bender, maè indubbio che gran parte delle potenzialitàdella disciplina sono ancora da esprimere.Soprattutto, è importante il rapporto che ilmondo della robotica ha istituito con lescuole: data l’interdisciplinarità di questistudi che non possono prescindere dall’inge-gneria, dalla matematica, dalla fisica, dal-l’informatica e neanche dalla chimica, ven-gono coinvolti gli insegnanti a lavorare d’é-quipe per illustrare agli studenti come dagrandi si possano superare le aspettative diGo Nagai.

Cronache di uno studente di fisica

Lo spettacolodella scienza

Marco Sciamanna

C

Umbria e chips

Privacye grattacapiAlberto Barelli

31 marzo 2006: questa è la fatidica data cherimarrà ben impressa ai dirigenti di gran partedelle aziende umbre per… qualche bel gratta-capo in più. E’ questo, infatti, dopo una serieinfinita di proroghe, il termine ultimo per lamessa a punto del Progetto di sicurezza infor-matico aziendale. Che per molti lettori ciòsuoni come qualche cosa di sconosciuto, puòessere ben comprensibile. Il problema è che, aridosso della scadenza, è così anche per piùdella metà delle aziende, che ora si trovano anon essere in regola con la normativa e con ilrischio di vedersi affibbiare sanzioni salate.Molti ricorderanno la legge sulla privacyintrodotta nel 1996. E’ nell’ambito di talenormativa, finalizzata alla tutela dei dati per-sonali (seguita da decreti legge e adeguamentivari), che è stato stabilito l’obbligo per leaziende e gli enti pubblici di predisporre unprogetto per la tutela della sicurezza informa-tica. In pratica, deve essere realizzata in primoluogo un’analisi dei rischi, e devono essereindicati il sistema informatico e le misureadottate contro virus e le possibili intrusioni,nonché i responsabili della sicurezza. Se l’atti-vità dell’azienda riguarda la trattazione di ban-che dati, il protocollo prevede per esempioche venga prevista l’assegnazione di passwordindividuali e la comunicazione scritta degliincaricati. Nel caso di accesso al pubblico deidati (questo riguarda in particolare gli entipubblici) la normativa è ancora più comples-sa. La legge prevede inoltre la verifica annualedel Piano di sicurezza. Insomma, non è cosada poco. Il problema è che, ritardi nel dare ilgiusto peso alle questioni legate alla sicurezzainformatica a parte, in molti speravano nel-l’ennesima proroga (ce ne sono state quattro)del termine. Ma questa volta è andata male.Morale della favola, nelle ultime settimane inmolti hanno cercato di correre ai ripari, rivol-gendosi anche alle associazioni di categoria.Ma ad oggi le aziende che possono ritenersi inregola sono la minima parte. Lo diciamo subi-to: è impossibile avere dati certi sulla situazio-ne. Come ci spiega Mario Menichetti, consu-lente umbro per la sicurezza informatica, nonesiste un centro istituzionale per la raccoltadei dati. Discorso diverso dovrebbe essereinvece per quanto riguarda gli enti locali: lalegge prevederebbe la notifica dell’adegua-mento alla normativa al sito del garante dellaprivacy. Ma il condizionale è d’obbligo. Adandare a verificare lo stato delle cose sul sito,c’è da divertirsi. Un’attenuante, comunque, inparticolare le aziende private ce l’hanno: lanormativa non è stata chiara fin dall’inizio edanche successivi interventi legislativi nonhanno eliminato ambiguità di interpretazione.Certo c’è anche il discorso dei costi. L’onereprincipale non è dato tanto dall’adeguamentoagli standard di sicurezza richiesti, che inmolti casi possono già essere stati ottenuti. Icosti maggiori, sottolinea Menichetti, sonodeterminati dal lavoro di analisi preventiva deirischi e dei dati acquisiti e trattenuti, aspettoche invece comporta tempi non brevi. Solotra qualche mese sarà possibile avere un qua-dro preciso della situazione. Per ora si puòsolo sottolineare come l’intera questione siastata gestita con una bella dose di superficia-lità. In Umbria uno strumento importanteper potersi documentare in merito alla nor-mativa e alle disposizioni previste è il sito delCentro studi informatici giuridici. E’ possibilefarsi un quadro preciso della normativa eavere ogni delucidazione visitando il sito del-l’autorità nazionale del garante per la privacy.

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il solito ritornello: “Come siamostati bravi! Abbiamo aperto ilprimo Centro servizi e accoglien-za comunale per gli immigrati.

Abbiamo tra i primi promosso un corso dilingua italiana per stranieri. Abbiamo perprimi formato una consulta comprensorialeper gli immigrati”. E’ il leit motiv ripetutosino alla nausea in tutti gli incontri istituzio-nali. Ma non corrisponde alla realtà. Sarebbeperciò meglio smetterla di vivere di rendita,sul passato, perché le parole che si declinanoal presente sono altre, prima fra tutte la pre-carietà. Una precarietà generalizzata di con-dizioni di vita, lavorativa, abitativa, associati-va. I problemi restano così irrisolti, mentrequelli che erano i nuovi immigrati (maghre-bini, africani in genere, albanesi) sono già diseconda generazione; i nuovi vengono quasitutti dall’Italia del sud e perfino gli africani lichiamano “terroni”. L’assessore di unComune capofila, in quota Rifondazione,l’ha detto senza vergogna: “C’è un problemanapoletano”. Per questo – spiegava – si sonodovuti frenare i rilasci di residenza.Ma le restrizioni non tengono conto dellaprovenienza dell’immigrato, si estendono atutti, senza discriminazioni. L’Unione inqui-lini ha denunciato alla stampa locale il casodi una famiglia campana, sfrattata per moro-sità. L’assessore ha tentato di liquidare laquestione con le intimidazioni e la mancia dialcune centinaia di euro, poi ha accusato igiornalisti locali (“Voi diffamate!”). Da allorala storia è stata insabbiata. Se questo è l’at-teggiamento usato per gli immigrati dinazionalità italiana, ci si può facilmenteimmaginare quello verso gli extra-comunita-ri. Comportamenti ed omissioni nelleamministrazioni locali sembrano fatti ad arteper giustificare la legge Bossi-Fini. Neglianni Novanta si dava la caccia agli stagionali,che usavano sistemazioni d’emergenza. Daallora si è costruito dappertutto in Alta Valledel Tevere, ma le case in affitto costano dacinquecento euro in su. Bisogna mettersiinsieme in cinque e più e obbligarsi a convi-venze pesanti e poco igieniche. Con questepolitiche si dà ragione alla destra.

TToogglliieerree aadd uunnoo ppeerr ddaarree aadd aallttrrii

Non essendo mai stata fatta una politica diprevenzione del disagio abitativo, non sono

mai state previste case per l’emergenza. Difronte al moltiplicarsi di sfratti per morosità(e non più per finita locazione come general-mente succedeva una volta), visto l’alto costodegli affitti e la precarietà del lavoro, l’ammi-nistrazione comunale di Umbertide, consi-derata un tempo all’avanguardia nell’acco-glienza, si trova oggi incastrata in una situa-zione paradossale: sloggiare da una casa datain affitto per sei mesi ad uno straniero, fral’altro tutelato dalla legge 104/92, in quantoinvalido lavorativo e con quattrocento eurodi pensione. Il rifiuto categorico di proroga - lo sfrattoviene giustificato dal fatto che ci sono tantealtre emergenze abitative! - si scontra conl’Unione inquilini e con uno dei membrieletti della Consulta per l’immigrazione.“Risolvere un’emergenza per crearne un’al-tra” si ribella l’Unione inquilini di Perugia,ma a nulla serve la richiesta di incontro conl’amministrazione comunale sollecitata piùvolte. La decisione è irrevocabile: il ragazzodovrà andare in un Centro accoglienzaCaritas. E dopo due mesi? Che fine farannoi suoi mobili, le sue cose? Si pensa che prima

o poi, sfiancato e stremato, incapace di rin-novare il suo permesso di soggiorno permancanza di un alloggio, tornerà inMarocco. E’ una brutta aria davvero se – nonostante inseno all’amministrazione locale ci sia anche ilPrc - a decidere del destino dei più deboli èsempre la legge dell’individualismo più sfre-nato e del “si salvi chi può”. Forse sarebbeora di rivedere la politica degli alloggi popo-lari, trovare un sistema di tassazione che inci-da sullo scandalo di tante case vuote e deiprezzi inavvicinabili, di riprendere le caseAnas a volte aperte abusivamente da immi-grati che dormivano all’addiaccio e ricacciatifuori come delinquenti. O anche le casedella Comunità Montana, o della Curia. Se

ne parlava già quindici anni fa in Alta Valledurante gli incontri fra enti locali, ma poinulla è stato fatto. Forse pochi lo sanno, ma qui dove vivo, disedici bambini nati lo scorso anno, un terzosono stranieri. E a quelli che si preoccupanodella “purezza della razza”, vorrei ricordareche gli stranieri all’anagrafe risultano esserecirca il 2-3 per cento!

BBoolllleettttee ee CCaarriittaass

L’ingente costo pagato, con le tasse, dalla cit-tadinanza di quella che era una volta unaridente cittadina per rimettere in sesto unachiesa ricomprata dall’amministrazionecomunale (assieme a sei palazzi della Curia ),è probabilmente molto più alto in terminieconomici e di credibilità rispetto ai vantaggiche la cittadinanza trarrà da questa bruttacostruzione, un ibrido architettonico la cuiutilità e funzionalità lascia molto a desidera-re. Il Prc, quando era all’opposizione, sischierò duramente contro questa scelta con ilmotivo che c’erano altre priorità. La difficoltà di pagare le imposte e i servizicomunali riguardano soprattutto cittadinistranieri, pare che siano dirette a loro l’80%delle bollette inevase del metano – ora datoin appalto a privati. Perché è la loro indolequella di non pagare? Oppure perché sonospesso famiglie monoreddito con due o trefigli, ai quali non è stata concessa la regaliaelettorale di Berlusconi, di mille euro perl’ultimo nato? ”Non siamo una banca” (sic): con questaincredibile risposta, un certo padre o frate,non so, mi negò anche il diritto all’ascolto:volevo solo aiutare una famiglia sfrattata areperire un alloggio, magari chiedendo aiparroci di lanciare appelli la domenica inchiesa o attraverso le loro radio locali. Sequesta è la pressione alla quale sono sottopo-ste le parrocchie e se i servizi sociali di alcuniComuni della zona si devono avvalere deipacchi di viveri e cibi avanzati dalla Cee persfamare i più bisognosi, allora ha ragionemia figlia di dodici anni, che commenta:siamo proprio messi male! Il povero in difficoltà disturba e ilMonsignore che mi ricevette seduta stanteaveva proprio ragione di essere preoccupatoper i disturbi arrecati al suo gregge, madovrebbero preoccuparsi un po’ di più gli“addetti ai lavori” invece di scaricare spessola loro impotenza su chi sta peggio di loro,gli operatori sociali, quelli che per ruolo ven-gono a confronto con il disagio! Si rischia ilburn out ad ascoltare invano ed impotentichi ha un sacco di problemi… e si rischia didire cose che non si pensano davvero.Pare che a Città di Castello, qualcuno inGiunta abbia chiesto, di fronte alle emergen-ze, che vengano dirottati sul sociale alcunicapitoli di bilancio. Proposta boicottata. Sembra che lì ci pensi la Caritas a dare i con-tributi affitto visto che lo stato di denaro neelargisce sempre meno e la Regione fa faticaad integrare.

AAccccoogglliieennzzaa oo rriiffiiuuttoo??

La fila davanti alle Poste è un indecente spet-tacolo, in un paese che grida ovunque “allupo”, ma che il lupo ce l’ha in casa (mi rife-risco alle badanti straniere).Gli irregolari riempiono anche le fabbrichet-te metalmeccaniche in crisi e con la loro“flessibilità” fanno concorrenza agli operaidoc chiaramente risentiti. Il nostro bel cuoreverde si colora di altri colori, con l’arrivo inmassa anche dei cittadini dell’est.E’ finita l’età d’oro per africani, maghrebinie albanesi di religione musulmana! Bastaricordare l’episodio burlesco (per non direaltro) della mega moschea aperta in pompamagna a Città di Castello due anni fa in pre-senza di Sindaci e Regione e chiusa invece,pochi giorni dopo, in un silenzio assordanteda parte di tutti i media locali… per proble-mi tecnici – si dice! Che non siano bruttischerzi di qualche fazione politica che i figlidi Maometto a pregare sotto casa proprionon ce li vuole! Alla beffa il danno: la multadi sedicimila euro, poi raddoppiata, per farcapire che nessuna sottoscrizione avrebbecontribuito a saldare il debito con ilComune. Quel buon Comune progressistaaveva prima accordato il diritto di professarela loro fede in santa pace, poi per il climad’intolleranza se l’è dovuta rimangiare: siscoverà sempre un’anomalia tecnica da qual-che parte per giustificare una nuova multa.Umiliata nel suo intimo questa comunità giàin grosse difficoltà economiche nutrirà unpotente risentimento che potrebbe diventareveleno con la prossima generazione. Già oggiil quartiere Rio Secco si avvia a diventare unpiccolo ghetto. Ci saranno anche qui, doma-ni, periferie da bruciare? Sull’ordine pubblico certo le cose non vannomeglio: dopo l’omicidio del giovane carabi-niere, Umbertide è preoccupata comeBrescia, Torino o Milano per l’insicurezzalegata alla presenza dell’“Altro”. Nella furiagiustizialista e forcaiola nemmeno le forzepolitiche tradizionalmente a sinistra levanovoci di dissenso, in campagna elettorale, siattirano voti cavalcando questa ondata. Siparla poco di prevenzione e solo per sollevareallarmi esagerati (al liceo si parla e sparla delpericolo droga, forse un po’ troppo, secondomia figlia…).Unica iniziativa lodevole è il “telefonodonna”, ma non esiste, nell’Alto Tevere e intutta l’Umbria, una casa d’accoglienza perdonne e bambini che non sia della Caritas.Come sinistra laica che bella sensibilità! LaCaritas, d’altra parte, è sopraffatta da richie-ste di alloggio di fronte all’emergere dellaviolenza in famiglia. Perché le amministra-zioni non ne prendono atto? Perché si con-tentano dell’avvocato e della psicologa? E’come dire: “Donna, sfogati, ma sappi che lasera tornerai a casa, con la paura di una rea-zione ancora più violenta”. E’ tragica lavicenda della ragazzina quattordicennemorta di arresto cardiaco. Viveva da anniuna situazione di violenza in casa e, guardacaso, era tunisina…

Immigrati e dintorni

Come siamo stati braviin passato

Antonella Montagnini

12 interventimar zo 2006

Roberto Monicchia

Il mondo a pezziEuro 8,50

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È

Una deriva(leghista?)

nell’Alta Valledel Tevere

Page 13: copia omaggio Parole di verità necesse est

ercoledì 5 aprile, allapresenza del ministroper i beni culturali siinaugurerà la ricollo-

cazione delle due vele sopra l’alta-re maggiore della basilica superio-re di San Francesco in Assisi, unacon l’Evangelista Matteo, l’altracon un cielo stellato. Inaugurare èun verbo tra i più frequentati incampagna elettorale, specialmenteconiugato con ministro, a 4 giornidal voto, non ha importanza seButtiglione sa che cosa va ad inau-gurare. Che cosa vedranno i pre-senti e tutti i pellegrini che entre-ranno in basilica da quel momen-to, da quando saranno tolti i pon-teggi che si innalzano per quasiventi metri, tanta è l’altezza dellevele sopra l’altare? Molto poco.Una manciata di coriandoli irrego-lari che descrivono figure illeggibi-li sulla vela con il San Matteo e laGiudea, su un fondo di calce esabbia, e, a sostituire il cielo stella-to, un grigio blu a imitazione dellapreparazione per l’azzurrite, moltospento e piatto, con delle stelle,regolarmente disposte (come nellealtre vele superstiti) ma non deci-frabili a diciotto metri dagli occhi.I lavori, sotto la direzionedell’Istituto centrale per il restau-ro, sono durati circa due anni. Lostesso Istituto vi ha preso parteintervenendo direttamente con isuoi tecnici e aprendo cantieriscuola per gli studenti; inoltreditte private hanno collaborato asupporto, mettendo in campo unaprofessionalità già sperimentata ericonosciuta fin dai primi inter-venti dopo il terremoto. Ma laSovrintendenza romana con ildott. Giuseppe Basile, direttoredei lavori, e l’Istituto centrale peril restauro sono i responsabili dellescelte.A dire il vero i lavori sono iniziatinel 1997 fin da quando furonorecuperati i frammenti – ca.120.000-, operazione che si svolsein condizioni precarie, perché ilmateriale si trovava in fondo aduna basilica pericolante, a pochigiorni dal sisma. Dapprima, come molti ricorde-ranno, si passò, non senza un ser-rato dibattito sull’opportunità diprocedere ad un intervento cosìimpegnativo ed aleatorio, alla rico-struzione della vela di SanGirolamo e dei sei santi dell’arco-ne prospiciente, di fattura giotte-sca. I dubbi riguardavano la man-canza quasi totale di esperienzeprecedenti – se ne contavano dueanaloghe, ma non identiche, aPadova e a Viterbo, in anni tra-

scorsi- e furono posti freni, allen-tati soltanto grazie alla convintatenacia di alcuni restauratori dellaSovrintendenza perugina (PaolaPassalacqua) che alla fine la spun-tarono e il cosiddetto cantiere del-l’utopia riuscì a portare a termineil proprio impegno. Oggi quellaporzione di soffitto è in sede e sene può apprezzare il risultatosostanzialmente soddisfacente,considerando anche le enormi dif-ficoltà prefigurate. Ciò fu dovutoad una serie di fattori rimasti inva-riati anche per l’intervento succes-sivo, ma anche perché il materialedei frammenti (colori e soprattut-to intonaco) era di migliore qua-lità.Le procedure per il recupero dellavela di Cimabue che agli inavverti-ti poteva sembrare un semplicecorollario del lavoro precedente,sia per lo sterminato numero diframmenti e per le loro ridottedimensioni che non permettevanoalcuna leggibilità, si sono dimo-strate immediatamente più com-plesse. Tant’è vero che i restaurato-ri hanno pensato di servirsi anchedell’informatica in fase di ricom-posizione dell’opera.Si trattò, almeno a questi livelli, diuna novità assoluta. La tecnologiaha certamente aiutato nel lavorodi selezione e individuazione, per-mettendo tempi di lavoro piùrapidi, anche se in tali lavori restaimportantissima la cultura e lasensibilità dell’occhio e della manodi un esperto.

Lo strumento è un cervellone dirara potenza, reso disponibile dalCnr, il solo che si riteneva, allaluce delle disponibilità, potessefare, con accettabile rapidità ilnumero sconfinato di operazioniper poter ricollocare i 120.000frammenti nella loro sede, velocitàe numeri improponibili per un Pcanche di ultima generazione. Alla fine dei giochi ci si trova difronte a due risultati diversi,dipendenti da ragioni distinte traloro, sicuramente indipendentidalla perizia e dallo scrupolo deirestauratori, i quali, è bene riba-dirlo, hanno svolto davvero unlavoro egregio. Però, mentre appa-riva naturale ricollocare il Dottoredella chiesa e santi, vista la effetti-va leggibilità dell’opera, perl’Evangelista e relativo cielo, sem-bra di essere di fronte ad una for-zatura. Considerando poi che, pereccesso di filologia, non si sononeanche accompagnate ad acque-rello le lacune all’interno delleisole, ciò che avrebbe favorito unapercezione accettabile delle giàsparute figure. Tanto più che lastessa procedura era stata seguitaper la vela di San Girolamo (cheforse non ne aveva altrettantobisogno), con risultati, comedetto, decisamente buoni. Mispiace poi dilungarmi in ulteriorinoiose considerazioni tecniche,ma le decorazioni perimetrali dellavolta di San Matteo hanno avutoun opportuno trattamento adacquerello.

Quando si potrà leggere la relazio-ne tecnica si comprenderà megliola ragione di tali scelte, che nondubitiamo essere motivate, anchese ci sfuggono. Perché i lavorihanno avuto un costo di parecchiecentinaia di migliaia di euro, dicui molti per consulenze. Di fron-te a valori incalcolabili non si devecerto stare a guardare quanto costapoterne disporre, ma in termini dicosti benefici, occorre pur semprevalutare. Non si potrà invocare unluogo comune, quello che vuoleche la decorazione della basilicasuperiore sia integrale. È pur veroche ci sarà stato un momento,anche lungo, della storia in cuiogni centimetro delle pareti inter-ne risultava coperto di affreschi,ma il concetto non risponde più alvero da tempo. L’impressione chese ne trae è bensì quella di unacopertura totale, però guardandopareti e volte con attenzione, si ha

una conferma della lacunosità.Gran parte del paramento delregistro superiore è da tempo per-duto e le lacune, nei riquadri doveancora c’è pellicola pittorica, sonorilevanti, oltre un 15%, a occhio,non è stata fatta una valutazionerigorosa. Ciò serve soltanto adiminuire l’ansia, non certo a ras-serenarci rispetto alla gravità del-l’evento, diceva giustamente ilsovrintendente prof. AntonioPaolucci: “E’ come se avessimoperso un canto della DivinaCommedia”.In appendice si può osservare per-ciò che una soluzione alternativasarebbe stata quella della fotogra-fia. A suo tempo se ne parlò e fuuna tesi a lungo sostenuta, ma –sebbene si sia sempre in tempo adattuarla- al momento ha prevalsol’atra discutibile soluzione.Ciò che possiamo dire essere diamara soddisfazione è che le previ-sioni a suo tempo avanzate si sonorivelate esatte.Ovvero che l’operazione di ricollo-cazione dei frammenti e la restitu-zione della vela con il cielo stellatosarebbero risultati irrilevanti.Osservato in fase di smobilitazio-ne delle impalcature infatti, l’egre-gio lavoro, tecnicamente parlando– l’inserimento delle tessere nel’in-tonaco ricostruito è ineccepibile-,conferma essere il risultato diun’operazione velleitaria.Sulle vele con cielo stellato e il SanMatteo è presente al momento, afronte di un ritrovamento com-plessivo di circa il 60% dei fram-menti, il 20-30% dell’affresco ori-ginario. Perciò il ministro dei beniculturali, che frettolosamenteverrà a dare la sua benedizione allaconclusione di un intervento,vedrà sopra il suo capo, da un latoun cielo spento come il suo desti-no elettorale e, sparsi su un into-naco grigio, una piccola pletora diframmenti anonimi ed incolori,non più numerosi del codazzo chelo circonda.

13 c u l t u r amar zo 2006

Assisi: un Buttiglione malaugurante

L’evangelistae il cielo stellato

Enrico Sciamanna

M

Primo TencaArtigiano Orafo

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il discutibilierestaurodella veladi Cimabue

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14c u l t u r amar zo 2006

ontinua la rassegna sulle piùrecenti pubblicazioni dedicate aMarx, con due libri. Il primo, diRoberto Finelli, Un parricidio

mancato. Hegel e il giovane Marx, pubblicatoda Bollati Boringhieri nel 2004, affronta intermini originali una antica questione filoso-fica, ma non priva di risvolti pratico-politici.Il secondo, Karl Marx. Rivisitazioni e prospet-tive, curato da Roberto Fineschi ed editodalla Mimesis di Milano 2005 è il frutto diun convegno del 2003.

L’ipoteca hegelianaL’irrisolta rottura tra Marx ed Hegel è allabase della crisi dell’egemonia del marxismoin Italia, che nella favorevole congiuntura del’68 ha perso l’occasione di innestare una pra-tica antiautoritaria sul tronco di una culturadi classe. Ciò in primo luogo per la diffiden-za verso le istanze dei bisogni individuali checontraddistingue il Pci, ancorato ad unavisione arretrata della società. Sullo sfondoopera uno schema teorico derivato dal giova-ne Marx. E’ questo l’originale esito dell’esa-me del rapporto tra Marx ed Hegel diRoberto Finelli nel suo Un parricidio manca-to, fondato sul vaglio dei principali concettihegeliani attraverso la critica dei giovanihegeliani e degli scritti di Marx fino al 1843.La suggestione psicanalitica del titolo indicanell’insuccesso del tentativo di “fare i conti”con Hegel un’ipoteca che grava su quella cheil marxismo definirà “concezione materiali-stica della storia”. Finelli giudica centrale in Hegel la “veritàcome processo”, ovvero la conquista da partedel soggetto della coscienza di sé mediante ilrapporto con l’altro, la natura, il mondo. Sulpiano storico il metodo dialettico, la negazio-ne dell’a priori (difetto illuministico, sovrap-posizione al mondo di ideali morali e politi-ci), è lo strumento della ricerca di unamediazione tra affermazione della soggetti-vità – tratto tipico del moderno – e sua rea-lizzazione nella comunità umana. Dopoavere esperito la via di una religione che“universalizzi” il nesso della vita sociale,l’Hegel maturo tende all’ipostatizzazionedello Stato e del tempo presente, cui corri-sponde il primato dell’autocoscienza e ilritorno all’ideale contemplativo. Resta ilcarattere innovativo della dialettica hegeliana,anche nell’analisi della società civile, le cuiarticolazioni (benché calibrate sul modelloAncient Règime) sono l’intermediazionenecessaria tra gli interessi individuali e l’uni-versalità dello Stato. I giovani hegeliani cer-cano di orientare il sistema hegeliano verso la“traduzione della filosofia nel mondo” attra-verso la critica della religione e dello Stato,ma la loro analisi non riesce a sostenere illivello problematico hegeliano, l’irriducibilitàdella contraddizione. Ne deriva una semplicecontrapposizione di parziali soggettivitàall’Idea assoluta: nel caso di Feurbach questoriduzionismo ha la forma del rovesciamentosoggetto-predicato (non Dio crea l’uomo, mal’uomo crea Dio), premessa della liberazionedell’uomo concreto.Fin dagli esordi Marx è consapevole dellacomplessità del passaggio filosofia-mondo,come dimostra la dissertazione di laurea suimaterialisti antichi Democrito ed Epicuro, incui il principio di determinazione formale ènecessario, inseparabile complemento dellamateria. Quando, con l’ingresso nella reda-zione della Gazzetta Renana, prevalgono gliinteressi politici, Marx cerca un’alternativasia all’assolutizzazione della ragione cheall’individualismo di molti critici di Hegel.La risposta viene trovata nella nozione digenere umano, sede propria della libertà. E’questo ambito che realizza pienamente lanatura umana, oscurata nella società civiledagli interessi individuali che, attraverso larappresentanza per ceti, si proietta anchenello Stato.Tra la sfera statale e quella degli interessi

individuali, non esiste alcuna mediazione:l’umanità assume un carattere organico, ditotalità “presupposta”, piuttosto che di risul-tato di un divenire. Questo concetto restasullo sfondo anche con la svolta comunistache Marx compie nel 1843, testimoniata daisaggi per gli “Annali franco-tedeschi”. Ildistacco definitivo da Hegel che vi si compieusa il metodo del rovesciamento mutuato daFeurbach, esteso dalla sfera religiosa a quellafilosofica e politico-sociale. Hegel ha saputoindividuare la separazione tra società civile(che si “privatizza”) e lo Stato (che diviene“pubblico”) come carattere saliente dellasocietà moderna, ma ha poi sbagliato a risol-vere tale scissione senza conflitti, invertendola relazione tra idea e realtà. Così Hegelrazionalizza l’opposizione nella società bor-ghese tra bourgeois e citoyen, tra individuali-smo nelle relazioni economiche e universalitànella sfera politica. La scissione tra societàcivile e Stato, tra informe soggettivismo euniversalità astratta, non trova alcuna media-zione, né è sufficiente per risolverla la genera-lizzazione dei diritti politici. E’ necessaria,invece, la rivoluzione, imminente affermazio-ne del proletariato, che deve la sua universa-lità all’esclusione da ogni interesse particola-re. Ma a ben vedere il proletariato – definitosenza riferimento ai rapporti di produzione –ha la medesima genericità del “genereumano”, e gli stessi difetti di organicismo.Così il materialismo storico, nato dall’affret-tata liquidazione di Hegel, si fonda su un’an-tropologia primitiva, che lega una metafisicadel “genere umano” ad uno storicismo finali-stico. Solo con la scoperta dell’economiapolitica Marx saprà andare oltre, recuperan-

do la dialettica hegeliana, anche se il suo ori-ginario umanesimo a-dialettico rimane fontedi notevoli problemi, che si moltiplicano poinel materialismo riduttivo del marxismonovecentesco.L’originalità di questo lavoro sta in una lettu-ra del giovane Marx opposta a quella di granparte del cosiddetto “marxismo occidentale”.La pubblicazione degli inediti giovanili,infatti, aveva alimentato, sulla base del con-cetto di alienazione, versioni marxiste per lopiù libertarie. Per Finelli, invece, la “tentazio-ne dell’immediato” produce numerosi frain-tendimenti, in particolare la negazione delleistanze dell’individuo e della società civile,come a dire l’embrione dell’autoritarismocomunista. Il libro offre utili suggestioni, adesempio sul tema del rapporto tra sponta-neità e organizzazione, ma è discutibile inpiù punti. Anche prescindendo da certe for-zature interpretative, il peso nell’operamarxiana delle primissime elaborazioni appa-re eccessivo. Privo di riscontri risulta poil’impatto di questi testi sulla cultura comuni-sta novecentesca: per restare al caso italiano,non sembra che tra le fonti dello storicismoumanistico del Pci possa annoverarsi il Marxprequarantottesco. Si può anche sostenereche i fautori libertari del primo Marx abbia-no preso una cantonata, più arduo è dimo-strare che quelle concezioni informino le cor-renti marxiste “ufficiali”, in particolare con-tro l’antiautoritarismo dei movimenti.

Muoversi tra le macerieIl volume curato da Roberto Fineschi, KarlMarx. Rivisitazioni e prospettive, riporta

approcci e aspetti diversi dell’opera di Marx,a partire da due ipotesi condivise: un nuovointeresse filologico, la coscienza di muoversitra le molte macerie del marxismo novecen-tesco.Cavallaro rilegge la Questione ebraica del1843, adattandone il metro critico al capita-lismo contemporaneo. In quell’opera Marxgiudicava parziale l’emancipazione “politica”della religione: come la libertà di culto sanci-ta dallo Stato evidenzia la separazione tra“ebreo e cittadino”, le rivoluzioni borghesihanno sancito la scissione tra società politicae società civile, la quale, liberata dai vincolidell’Ancient Règime, registra il dominio pienodella proprietà privata. La frattura tra citoyene borghese è redimibile con una rivoluzioneinsieme politica e sociale. Può avere valorequesta analisi dopo che la rivoluzione keyne-siana ha rimodellato la società, introducendoil corredo dei “diritti sociali”? Se da un latociò è un elemento di superamento dell’anar-chia della società civile, dall’altro ne riprodu-ce gli egoismi, poiché dà al singolo la possibi-lità di usare i propri diritti “contro” lo Stato;come con la libertà di culto, lo stato socialedà il diritto al lavoro, non la liberazione dallavoro. Il nodo cruciale del XX secolo è l’e-mergere, accanto al sistema capitalistico, del“modo di produzione statuale”, tematicageneralmente rimossa dal marxismo.Anche Di Marco si muove in prospettivaattualizzante, rintracciando nell’analisi deirapporti capitalistici una chiave di lettura suguerra e diritti umani. L’evoluzione del capi-tale struttura il proprio antagonista storico, ilproletariato, come classe nazionale e poimondiale, con una tendenziale configurazio-ne della lotta di classe come “guerra civilemondiale”.I diritti umani rientrano nel medesimo oriz-zonte, con la loro natura mistificata: comenel sistema produttivo l’apparenza delloscambio di equivalenti nasconde la realtàdello sfruttamento, così i diritti universalinascondono la scissione della società civile.Le guerre di oggi non ricalcano le ipotesimarxiane, eppure anche il “conflitto diciviltà” può essere letto dentro la mondializ-zazione del rapporto capitalistico. Assennato affronta la relazione tra Marx eSpinoza, messa in luce da Althusser, che vivede la fonte di un marxismo antihegeliano e“strutturalista”. Questa linea, ripresa ancheda Balibar e Negri, produce forzature inter-pretative, ma resta comunque feconda. Dicerto vi è un uso forte e originale di Spinozada parte del giovane Marx, quando le teoriesu religione e stato del filosofo olandeseinnervano le tesi libertarie della “GazzettaRenana”. Ma lo “sfondo spinoziano” operaanche nel Marx maturo: nel comunismocome ricomposizione del rapporto tra gliuomini e con la natura si sente l’eco diSpinoza, specie nella relazione complessa tranecessità e libertà, per cui se la libertà dell’in-dividuo è irriducibile allo Stato, la sua poten-za si esprime solo nella “moltitudine”, o, intermini marxiani, nella “produzione degliuomini associati”.Fineschi analizza le diverse letture del concet-to di alienazione; si va dalla centralità riven-dicata da Lukács, fino ad Althusser, che indi-vidua nel suo abbandono la nascita del Marxscienziato. Le occorrenze testuali corrobora-no entrambe le impostazioni, ma vi è un’evo-luzione dell’uso del concetto: nel Marxmaturo l’alienazione è proiettata sull’orizzon-te storico, e il suo superamento posto “dopo”il capitalismo, non in un ritorno ad un qual-che “stato di natura”.Goldoni indica nel carattere “prodotto” dellacoscienza una acquisizione marxiana forte-mente attuale. La riduzione del lavoro amerce, ovvero a forza lavoro quantificabile,spiega la difficile “tracciabilità” del percorsovalore-prezzo, e concilia Marx con le conclu-sioni di Sraffa, nel senso che laddove tutto èmercificato non c’è altro che la merce che

Quale MarxRoberto Monicchia

C

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può produrre merce. Attraverso l’economiapolitica Marx scopre un’estraniazione umanasenza precedenti, cui si sfugge anche rifiutan-do il valore “intrinseco” dello sviluppo tecni-co e del progresso, la cui accettazione è inve-ce il limite del marxismo.Bellofiore riprende la vexata quaestio dellateoria del valore, giudicando insufficiente sial’interpretazione “classica” di Dobb e Sweezy,secondo cui l’analisi della trasformazione deivalori in prezzi è organizzata su diversi livellidi approssimazione, sia le riletture più recen-ti che reputano valori e prezzi come metodialternativi di calcolo del prodotto sociale. Inentrambi i casi si attenua la pregnanza teori-ca della teoria del valore, che attiene alla rela-zione fondamentale capitale-lavoro (non aisingoli atti di scambio), e rende possibileritrovare lo sfruttamento tanto nella sferadella produzione che in quella della circola-zione.Secondo Rockmore, l’opera di Lukács dimo-stra l’impossibilità di una qualsiasi concilia-zione tra Marx e il marxismo, a sua voltaprodotto dell’elaborazione di Engels, le cuiconcezioni antistoriche e antidealiste sareb-bero agli antipodi di Marx. In Storia ecoscienza di classe, Lukács ha cercato di salva-re capra e cavoli, mostrando Marx comerisolutore dei problemi dell’idealismo tede-sco. Ma tutto è reso vano dallo sforzo ditenersi ancorato al marxismo, e oggi la criticadi Marx alla società capitalistica può essererecepita solo tagliando ogni legame con esso.Mancini ricorda il tentativo del filosofo mar-chigiano Enzo Paci per far convergere nel“relazionismo” le istanze della fenomenologiahusserliana e la critica marxiana, vista in unaprospettiva antideterministica. Per Paci l’ana-lisi strutturale del capitalismo non contrastacon il primato della soggettività. Non valecontrapporre la scienza all’ideologia, si trattadi rivedere la forma del ragionamento scien-tifico: Marx non dà vita ad una “fisica socia-le”, bensì ad una teoria per la liberazionedella soggettività.Pur con qualche “fuga in avanti” poco moti-vata, queste ricerche mostrano una positivaripresa degli studi su Marx. Il nodo irrisoltoresta la relazione con la politica, difficile daripensare dopo l’esaurimento del marxismo“di stato”, ma inseparabile dal lato filosofico-scientifico dell’opera del Moro.

l 18 marzo, su invito dell’Associa-zione Culturale Primo Maggio,Giulio Girardi ha presentato aPerugia il suo ultimo lavoro, Che

Guevara visto da un cristiano (Sper-ling&Kupfer, pp. 306, euro 11,50). Già ilpubblico che occupava la sala circoscriziona-le “San Tommaso” poteva dare indiretta-mente un’idea delle vicende attraversate daquesto ex-salesiano, testimone privilegiatodel Concilio Vaticano II e protagonista deldialogo tra marxismo e cristianesimo: all’in-contro erano venuti ragazzi e ragazze in etàda studi universtari, signore e signori brizzo-lati o canuti, ma pochissimi ascoltatori com-presi tra i trenta e i quarant’anni.Mancavano cioè appunto le persone cresciu-te nel periodo in cui i fermenti e gli impulsidi quello straordinario Concilio erano statiricomposti e spesso addomesticati dal ponti-ficato di Giovanni Paolo II, e alle quali ilnome di Girardi è assai meno familiare diquello di don Giussani (o di don Mazzi). Ungiorno forse sarà possibile valutare in pienol’opera di normalizzazione e di esclusionecon cui questo pontefice (o i suoi collabora-tori) censurarono, espulsero ed emarginaro-no i più irrequieti e i meno pacificabili tragli eredi del messaggio lanciato dallaPopulorum Progressio e dalla Gaudium etSpes: che però si sia trattato di una demoli-zione efficace lo dimostra già adesso la per-cezione che molti, troppi cattolici hanno diquell’evento, visto come una sorta di genera-le e generico abbraccio nel nome della Pace edell’Umanità sotto l’egida del Papa Buono(tutti rigorosamente con la maiuscola, gene-rici e destoricizzati). Per capire che si trattavadi ben altro bisognerebbe andare a rivederse-li, quei documenti, e anche le lettere pasto-rali, la pubblicistica, i saggi diffusi all’epocada editori che conducevano una mirata cam-pagna di diffusione delle idee nuove (unruolo eminente lo assunse subito l’assisanaCittadella Editrice); si scoprirebbe che ilVaticano II apriva le porte anche alla possibi-lità di leggere la storia in termini di lotta diclasse, e che la stessa esegesi delle Scritturene poteva venire influenzata. Di lì a poco ilsacerdote peruviano Gustavo Gutierrezgettò le basi di quella che avrebbe poi presoil nome di Teologia della liberazione: seguiro-no anni di un dibattito teso e appassionante,in cui a polemizzare con le gerarchie romanefurono spesso (e non a caso) religiosi forma-tisi a stretto contatto col proletariato delTerzo Mondo. Brasiliani come i fratelli Boff,centroamericani come Ernesto Cardenal, maanche italiani come Arturo Paoli, inviato inArgentina a fare il missionario dopo esserestato defenestrato da Azione Cattolica… Diquesto elenco fa parte anche Giulio Girardi,ottant’ani lucidamente portati e vissuti damilitante coerente e tenace: docente di filo-sofia già da giovanissimo, poi responsabiledel Segretariato per i Non Credenti, sembra-va destinato a occupare un ruolo di primopiano nella Chiesa post-conciliare. Le coseandarono ben diversamente: a fare da puntodi rottura furono forse, più che i princìpiespressi nelle pagine incandescenti diCristianesimo, liberazione umana e lotta di

classe (1971, testo fondamentale per unaintera generazione di cattolici irrequieti) leprese di posizione esplicite di Girardi a fian-co dei “Cristiani per il socialismo”, movi-mento che identificava nella lotta all’aliena-zione borghese il presupposto per la realizza-zione degli ideali evangelici. Sospeso dalsacerdozio, espulso dai Salesiani, GiulioGirardi ha vissuto da professore universitariofacendo continuamente la spola tra Europa eAmerica Latina, testimone della rivoluzionecubana e della sua tormentata evoluzione. Di questa lunga vicenda il suo ultimo libroriferisce adeguatamente: a un’età in cuisarebbe logico tirare i remi in barca e magaridedicarsi all’autobiografia, Girardi si metteinvece a fare da capo i conti con l’insegna-mento guevarista. Cosa sta ancora in piedi,di tutto quanto il “Che” ha fatto e scritto, inun mondo in cui i normali riferimenti dellasinistra sembrano essere saltati? Perché unpersonaggio così legato a un precisomomento storico mantiene inalterato il pro-prio ruolo esemplare? Cosa può imparare,da questa personalità, un cristiano coerente?Girardi identifica lo specifico di Guevara (ein genere della rivoluzione cubana) in un’at-tenzione diretta e sentita ai bisogni dei mise-rabili, e in una volontà di reagire all’ingiusti-zia, che mancherebbero completamente nelmarxismo di origine sovietica. Quest’ultimo,accusato di fondarsi su una valutazione mec-canicista dei processi storici, scinde comple-tamente il rinnovamento sociale ed econo-mico da quello personale ed interiore, checonsidera come una logica conseguenza dellemodifiche di struttura. Per Guevara, passatodalla giovanile ammirazione per Stalin all’i-dea di un comunismo ben diverso, libertarioe interiormente vissuto, la costruzione diuna società socialista non permette di sepa-rare le due fasi, e chiede una rottura irrever-sibile con la mentalità autoritaria e oppressi-va che, retaggio del capitalismo, rischia ditrasmettersi anche alla prassi rivoluzionaria.In questo sentirsi direttamente chiamato incausa, al punto da avvertire come proprietutte le sofferenze inferte agli sfruttati, sta lapersistenza della lezione guevarista e il puntodi contatto col credo cristiano: l’identifica-zione coi dannati della terra è il primo passoper uscire dalla condizione di privilegiato (e,in quanto tale, complice dell’ingiustizia).Ma coincide anche con l’acquisizione di unpunto di vista privo di autocompiacimento,capace di rilevare gli errori della prassi e dicorreggere la rotta, rivedendo criteri e stru-menti: conquista essenziale per il credentenon meno che per l’ateo. Che poi i mezzi dilotta possano cambiare a seconda dellenecessità storiche, il volume di Girardi loverifica in due interessanti capitoli, unodedicato al movimento zapatista e l’altro alconfronto tra le idee del “Che” e quelle diCamillo Torres. Forse, trascorsa l’epoca in cui la personalitàcarismatica di Wojtyla riusciva a riassorbire eriequilibrare le molte contraddizioni di unaChiesa in tensione, si potranno riaprirediscorsi e questioni tenute a lungo in sordi-na: libri come questo, per il momento,lasciano ben sperare.

15c u l t u r amar zo 2006

Dopo la normalizzazione di Wojitila

Il Santo Chedi Girardi

Jacopo Manna

I

FelicitàWalter CremonteRomano Prodi ha concluso il suo recente “facciaa faccia” con Berlusconi introducendo, quasi disoppiatto, la parola ‘felicità’, e a detta di moltiquesto inatteso balzo verso l’alto avrebbe deter-minato la sua vittoria mediatica sul piccolo ducein evidente difficoltà. Può essere vero, anche se lafrase completa – che, se non sbaglio, contempla-va un ‘organizzare’ la felicità, quasi come pro-gramma di governo – metteva qualche brivido, eavremmo forse preferito accontentarci, per ades-so, della certezza di mandare via Berlusconi.Venivano anche alla mente, per contrasto, i versidi Sandro Penna: “Felice chi è diverso/ essendoegli diverso…”, che escludono ogni pretesa orga-nizzativa, omologate, programmatica della feli-cità. Per non dire di Leopardi e del suo dolentesarcasmo sulle promesse di “pubblica felicità”,cioè sulla presunzione di rendere comunità feliceuna massa di individui naturalmente destinatiall’infelicità, col risultato di riprodurre, alla provadei fatti, ulteriore frustrazione, senso della scon-fitta, disagio e smarrimento in chi magari avevacreduto, per un attimo, che potesse essere vero.Se cerco nella memoria qualcosa che abbia a chefare con la parola ‘felicità’ ritrovo immaginimolto lontane dal dibattito abbastanza orrendodi questa campagna elettorale; ancora Penna:“Ecco il fanciullo acquatico e felice./ Ecco il fan-ciullo gravido di luce/ più limpido del verso chelo dice./ Dolce stagione di silenzio e sole/ e que-sta festa di parole in me”, dove l’entusiasmo perla vita travalica la stessa possibilità di dirlo con leparole. Allora forse ‘felicità’ è una di quelle paro-le da usare con grande cautela, da salvaguardarecon la massima cura e, direi, con amore. Ma nonsi tratta di dare addosso a Prodi e a ciò che hadetto in assoluta buona fede: ha fatto benissimoa cercare di farci capire che il prossimo governoprodurrà condizioni migliori per la nostra esi-stenza e qualche speranza in più, e ha fatto benea cercare di comunicarcelo in modo quasi affet-tuoso. Di questi modi abbiamo pure bisogno,nel trionfo di arroganza e volgarità che ci circon-da. E’ solo che da un governo democratico ciaspettiamo – più che ci dica parole sul nostrodestino – che badi seriamente a “rimuovere gliostacoli”: per dire, non che prometta ai migrantiil mulino bianco, ma che si impegni ad abbatterei centri di permanenza temporanea.

Page 16: copia omaggio Parole di verità necesse est

Alberto Stramaccioni, Un’istituzioneper la lingua e la cultura italiana nelmondo. L’Università per Stranieri diPerugia (1925–2005), Città diCastello, Edimond, 2005.

Il libro viene edito in occasione del-l’ottantesimo dell’Università perStranieri. Nata, sull’onda della vit-toria della prima guerra mondiale edell’impulso che essa diede agli spi-riti nazionalisti della borghesiaumbra, per iniziativa di quello chefu il suo primo rettore, AstorreLupattelli, essa divenne docile stru-mento della politica culturale fasci-sta e, dopo la breve parentesi delrettorato di Aldo Capitini, dellapolitica democristiana di promo-zione della cultura italiana all’esteroe di incentivazione degli scambi coni paesi occidentale con particolareattenzione a quelli di lingua anglo-sassone. Il boom degli anni ottantae l’espansione degli iscritti prove-nienti soprattutto dai paesi del baci-no del Mediterraneo ne mette in

crisi la funzione originaria di centrodi diffusione della cultura italiana ela trasforma in istituto di certifica-zione delle competenze linguistiche,specie in un periodo di apertura aipaesi dell’Est e del Terzo mondo edi ampliamento delle iscrizioni distranieri alle università italiane.Infine negli anni novanta si giungealla statizzazione ed alla trasforma-zione in istituzione universitaria atutti gli effetti che all’insegnamentodella lingua aggiunge regolari corsidi laurea. Una storia complessa incui - specie nell’introduzione dellaRettrice - si ricercano improbabilicontinuità, troppo spesso smentitedalle tabelle statistiche poste inappendice.

Venanzio Nocchi, La sinistra e ilproblema dei valori, Città di

Castello, Grafiche Sabbioni, settem-bre 2005.

E’ il testo di una relazione tenuta inoccasione di un convegno della sini-stra Ds ad Orvieto. L’occasione èuna riflessione sui risultati del refe-rendum sulla procreazione assistita,sul trionfo dell’astensione e sull’at-tacco clericale rappresentato organi-camente dall’omelia di Ratzingerprima di divenire Papa contro la lai-cità ed il relativismo. Nocchi assu-me invece questi due termini come“valori” e fondamenti di una nuovasinistra e li articola in altri valoricome il lavoro, l’istruzione e la cul-tura, la democrazia, la diversitàcome rifiuto della chiusura identita-ria, per concludere con l’idealesocialista. L’articolazione del ragio-namento è ampiamente condivisibi-le, resta tuttavia il fatto che il socia-

lismo una volta cercava faticosa-mente di fare il salto dall’utopia allascienza, di fondarsi sulla rottura diun impianto interpretativo e predi-catorio del mondo per imporre unapratica di trasformazione dello stes-so. Oggi il passo che si fa è all’indie-tro, attraverso una riscoperta dell’utopia del socialismo delle origini.Il dubbio è che, forse, valga la penadi sforzarsi a leggere il capitalismoattuale, per riannodare i fili di unapolitica della trasformazione.Insomma più che la Filosofia dellamiseria ci occorrerebbe un nuovoCapitale.

Musei in Umbria, Perugia, Regionedell’Umbria, 2006.

Non è un libro, ma un cofanettoche raccoglie i depliant illustrativi

dei 40 musei che fanno parte delsistema museale umbro. Si tratta diraccolte religiose, scientifiche, tra-sformazioni in senso moderno diantichi musei civici, di musei dellaproduzione materiale, botanici,ornitologici, ecc. Essi fornisconouno spaccato ancora parziale delpatrimonio culturale della regione epongono l’accento più che sul sin-golo museo sul sistema come pro-cesso di interrelazioni e di serviziche consentono anche alle raccoltepiù piccole di trasformarsi in unpunto di visita non isolato e noninsignificante. D’altro canto in unaregione dove poche sono le raccoltee le collezioni di indiscussa eccellen-za, l’unico modo di valorizzare ilpatrimonio è considerarlo nel suocomplesso, mettendolo in rete. Idepliant sono introdotti da alcunicontributi. A Filippo Coarelli sideve l’Excursus storico archeologico;Corrado Fratini è autore de Lavicenda storico-artistica; PatriziaDragoni interviene su Origine edevoluzione dei musei umbri, mentreAntonella Pinna disegna la filosofiae gli sviluppi de Il sistema musealeregionale.

16 libri- idee mar zo 2006

Sottoscrivete per micropolisc/c 13112 ABI 1005 CAB 03001Intestato a Centro Documentazione e Ricerca c/o BNL Perugia Agenzia 1

a notizia è questa. Marcello Pera, illustre pro-fessore di Filosofia della Scienza a Pisa, secondacarica dello Stato, esponente di spicco di ForzaItal ia, fondatore dell’associazione “Perl’Occidente forza di civiltà”, è candidato in

Umbria. E il personaggio è non privo di un certo luciferi-no interesse. Marcello Pera è, infatti, uno di quelli che,nel corso della loro vita, hanno militato prima in un eser-cito, poi in quello contrapposto. Nell’evoluzione del suopensiero c’è una frattura fortissima, un’inversione a U.Esiste un primo Pera e un secondo Pera (fatto non uniconella storia: c’è un primo Manzoni e un secondoManzoni, un primo Wittgenstein e un secondoWittgenstein, un primo Bondi e un secondo Bondi).Certo, la frattura che separa il primo Pera dal secondoPera è meno spettacolare politicamente rispetto a quelladi Bondi. Pera, prima della “discesa in campo” diBerlusconi avrà votato liberale o repubblicano e adesso faparte di Forza Italia. Lo spettacolo, semmai, è filosofico. Prima del ’94, insieme con Antiseri, il filosofo pisano erail massimo esponente del partito popperiano in Italia.Forse non sarà stato un toscanaccio mangiapreti, ma certoera un relativista incallito.All’epoca era nemico acerrimo della filosofia positivista edi tutto quell’esaltare saldezza e incontrovertibilità deifatti come unica base necessaria delle teorie scientifiche edi tutto quel propagandare che le teorie scientifiche devo-no essere snelle e totalmente metaphysics-free, cioè a zero-contenuto di metafisica. Andava scrivendo libri comePopper e la scienza su palafitte (1981) in cui la saldezza eincontrovertibilità dei fatti sui quali si basano le teorieviene considerata ben poca cosa e paragonata (da lui e daPopper) alla melma sulla quale si appoggiano le palafitte.I fatti, dunque, secondo i popperiani e secondo il primoPera, dipendono dal contesto teorico nel quale sonoassunti, sono cioè relativi alle teorie e non sono in gradodi pronunciare verdetti di “verificazione” su di esse (c’èuna sorta di conflitto di interessi, tanto per dirla in termi-ni berlusconiani, delle teorie scientifiche che generano ifatti, i dati, che le corroborano). Insomma il Pera di quel-l’epoca era nemico fatto positivo e della pretesa di assolu-tezza che ne derivava. “Il dogmatismo della certezza come effetto del possesso odella conoscenza di verità assolute è – scriveva – teorica-

mente ingiustificato e moralmente inaccettabile”.Insomma era un relativista. Ora, sia detto di sfuggita, mala filosofia dialettica – quella nella quale alcuni di noipotrebbero di tanto in tanto, finché è permesso dallalegge, riconoscersi – pur avendo una visione dei fatti noncerto “positiva”, non è che approdi ad esiti laici e relativi-sti: non c’è alcuna convivenza multiculturale possibile trala tesi e il suo superamento, la sintesi (c’è semmai indiffe-renza relativistica tra la tesi e il suo equivalente negativo,l’antitesi).Ebbene, dopo il ’94 Pera diventa tutt’altro. Comincia avantarsi della sua amicizia con Ratzinger, scrive libri conlui, diventa un theocon arrabbiato (più di Pisanu di cuicritica il lassismo perché il ministro non si dichiara con-trario all’insegnamento della religione islamica nelle scuo-le pubbliche), difende l’identità occidentale fianco a fian-co con i nibelunghi padani, campioni in tutto, meno chein relativismo e laicismo. Noi, o lettore, l’abbiamo ascol-tato per un’ora, un’intera e lunga ora di cui qualcuno cirenderà merito, ammaestrare, il 3 marzo scorso, pressol’Ateneo pontificio Regina Apostolorum, i Legionari diCristo, (un’organizzazione religiosa che sembra uscitadalla fantasia di Dan Brown, il cui capo fondatore, padreMarcial Maciel Degollado, ha una causa canonica pen-dente per aver contravvenuto al sesto comandamento –andatevelo a vedere – e la cui influenza sta superandoquella dello stesso Opus Dei). Li ammaestrava questilegionari sui guasti del relativismo e sulla frivola leggerez-za di chi considera pericoloso l’etnocentrismo europeo.Alle orecchie discrete dei jihadisti (Legionari) di CristoMarcello Pera sussurrava parole di fuoco a difesa dellaforza dei fatti, prendendo così le nette distanze da queicretini (come il povero Richard Rorty autore del notoPhilosophy and the Mirror of Nature, definito socialista!) oda quei malvagi (Goodman o Derrida, o Nietzsche o lostesso Kant) che consideravano i fatti alla stessa streguadella melma. A forza di considerare i fatti pura melma, suggerisce Pera,andrà a finire che ci faremo rubare il lavoro, le mogli e lalibertà dai fanatici islamici che premono alle porte. Aquesto punto un ragionamento a pera si impone. Se (1)Pera ridicolizza i relativisti e (2) La scienza su palafitte èun libro relativista, (3) Pera ha scritto La scienza su pala-fitte, (4) Pera chi ridicolizza?

la battaglia delle idee

libri

Editore:Centro di Documentazione e Ricerche SegnoCritico Via Raffaello, 9/A - PerugiaTipografia: LitosudVia di Tor Sapienza 172 Roma

Autorizzazione del Tribunale di Perugiadel 13/11/96 N.38/96 Chiuso in redazione il 22/03/2006Impaginazione: Giuseppe RossiDirettore responsabile: Fabio Mariottini

Redazione: Salvatore Lo Leggio (coordinatore) Alfreda Billi,Franco Calistri, Stefano Corradino, Renato Covino, StefanoDe Cenzo, Osvaldo Fressoia, Paolo Lupattelli, FrancescoMandarini, Enrico Mantovani, Roberto Monicchia, MaurizioMori, Franco Morrone, Antonello Penna

Responsabili delle redazione localiAssisi: Enrico SciamannaBastia: Amelia RossiCittà di Castello: Mauro AlcherigiOrvieto: Vittorio Tarparelli

Discorsia Pera

Antonello Penna

L