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SOMMARIOALPES N. 6 - GIUGNO 2004SOMMARIO

ALPES N. 8 - AGOSTO 2004

EVENTI 6LA PAGINA DELLA SATIRA 7aldo bortolotti

L’EUROPA FEDERALE È COMEL’ARABA FENICE: RISORGEDALLE SUE CENERI 8giuseppe brivio

EUROPA SENZA RADICI 9pierangela bianco

LA MONTAGNATERRENO DI INTESA 10alda fioravanti

UNA FATTORIA DEGLI ANIMALIPER RANDAGI E TROVATELLI 11valentina toia

LA PROTEZIONE CIVILEDELLA LOMBARDIA 12tito lupi

I DATI DELLA PROTEZIONE CIVILE 13COME GUIDARE DA IMBECILLE 14LE PICCOLE LIBERTÀ...PER ESEMPIO L’ORZORO 16LA FAMIGLIA LEUSCIATTI 18angelo granati

IL CASTELLO DEI VAMPIRI 40costante bertelli

NOI... ED I NOSTRI FANTASMI 42giancarlo ugatti

LA PERSEVERANZA NEL BENEÈ L’ABITO DELLA CARITÀ 44pietro m. boselli

BALCANI: 2000 ANNI DI GUERRE 45nemo canetta

IL MISTERO DELLE ANTICHEBASILICHE 48raimondo polinelli

ARDUINO, COME UN PATRIARCA 50giovanni lugaresi

RICORDO DEL CARDIOCHIRURGOPROF. ANGELO DE GASPERIS 52alessandro canton

CD “SALUTE FROM ITALY” 53IL GRAN GIRO MAI FATTO PRIMADA NESSUNO 54carlo nobili

DAL FARO DI NOVATE MEZZOLAALLO... SCOGLIO DI SONDALO 56giorgio gianoncelli

ANTONIO SCHENATTIE GIACINTO FOLATTI 57ermanno sagliani

RECENSIONI 58giuseppe brivio

ASPETTANDO MY WINENELL’OLTREPO’ PAVESE 20luciano scarzello

SOMMELIER, UNA PROFESSIONENUOVA ED IN ESPANSIONE 22lorenzo croce

“SCHERMO DELLE MIE BRAME”MUSEO DELLA PUBBLICITÀ.CASTELLO DI RIVOLI 24carlo mola

VILLA GHIRLANDA DI CINISELLOBALSAMO (MILANO):VISITA AL NUOVO MUSEO DI FOTOGRAFIACONTEMPORANEA 26donatella micault

IL LIRICO INFORMALEDI ANDREA NARDI 28ermanno sagliani

IREALP E IL TERRITORIO 29IL PAESE NELLA GENTEBORMIO 2003/2004 33giorgio de giorgi e lux bradanini

CURARE LA TERRA PER GUARIRESE STESSI, CURARE SE STESSIPER GUARIRE LA TERRA 35marcella danon

ALLA RICERCA DEL POSSIBILENEI LUOGHIDELLA DIMENTICANZA 37giuseppe galimberti

LE CONSUETUDINI, DIRITTI ACCETTATIPER TRADIZIONE, CHE HANNO IL VALORE DI LEGGE 38dino marino tognali

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TurbolenzeNel quadro politico attuale alcuni partiti e molti cittadini invocano il ritorno al sistemaelettorale proporzionale: ma è pensabile che la classe politica rischi di fare harakiri?

Abbiamo copiato gli Stati Uniti, e come troppo spesso succede, lo abbiamo fatto pure male:dall’avvento del sistema maggioritario in Italia i partiti sono aumentati invece di diminuire e laauspicata governabilità sta andando a carte quarantotto.

Un notevole contributo alla confusione è stato poi dato dal “Mattarellum” che assegna ancora il 25%dei seggi con il criterio del proporzionale!Il sistema maggioritario doveva, se applicato senza pasticci e compromessi, favorire l’aggregazione enon la frammentazione, che piacesse o meno la scelta: uno o l’altro dei sistemi elettorali e basta!Per sperare di cambiare qualcosa qualche anno fa si poteva optare per il sistema maggioritario, ma nelfrattempo quella che allora appariva come una vera forza di opposizione, la Lega, ha “permesso” allamagistratura di indagare su “tangentopoli” mettendo in seria crisi il sistema della prima repubblica.A questo punto il maggioritario non serviva più ad altro se non ad intorbidare le acque, tanto che oggimolti intravedono una via di uscita solo nel recupero del centro destra o del centro sinistra o nelloscardinamento del bipolarismo attuale.Rafforzare l’attuale bipolarismo significa affossare la democrazia della alternanza, in quanto il veropilastro della democrazia è il suffragio universale.Moltissime ed in crescendo sono le astensioni o i voti nulli: la vera democrazia si deve basare sulla verae reale maggioranza dei consensi elettorali e solo a questa condizione chi non ha la vera maggioranzase ne deve andare.E poi, i tanti elettori che votano per partiti minori non sono rappresentati nelle istituzioni perché i loropartiti non hanno superato lo sbarramento, e questo vuol dire chiudere la bocca alle voci fuori dal coro..... siamo in una falsa democrazia!Solo un sistema proporzionale puro permette la rappresentazione di tutti, ma rappresenta una sceltapericolosissima sia per gli uomini del centro destra che del centro sinistra: meglio regole a lorofavorevoli anche se ingiuste: chiaro!Oggi le segreterie di partiti si accordano e designano i candidati nei collegi uninominali e poiconcordano la formazione delle liste del proporzionale, ovviamente sempre favorendo gli amici fedelie punendo i non allineati: questa è vera democrazia?Il modello proporzionale tedesco non sarebbe male: al di sotto di una certa quota (5%) il partito restafuori e non si discute, ma se si optasse per questa scelta per molti partiti sarebbe la fine, e non si puòpensare che i loro attuali rappresentanti eletti optino spontaneamente per la loro stessa eutanasiapolitica.Oggi con gli eredi dell’ex PCI e della ex DC, consociati al potere, che spesso mettono in scena una fintacontrapposizione, c’è poco di che stare allegri!Il nostrano sistema di partiti, la “partitocrazia”, si divide potere e sottopotere secondo le rigide normedel mai riposto manuale Cencelli.E’ desolante anche vedere alle elezioni amministrative liste quantomeno squinternate, con candidatiche, poveretti, si illudono di mietere messi di consensi ……..Basterebbe chiedere in anticipo e subito all’aspirante presidente o sindaco che tipo di giunta si prefiggedi formare e con quali elementi: programmi chiari, alleanze chiare e soprattutto subito fuori i nomi edi cognomi degli assessori!Succederebbe il finimondo.Oggi perfino nei ballottaggi il voto è sostanzialmente spesso al buio!Vedere poi che i trombati vengono ripescati e messi in giunta assieme a personaggi che neppure avevanoavuto il coraggio civile di presentarsi alle elezioni, non può che dare il quadro di una parodia di quellache dovrebbe essere una autentica democrazia: ben si comprende la disaffezione dilagante degli elettori.Le stesse campagne elettorali miliardarie con pelose sponsorizzazioni e all’ombra di lobbie e dipotentati o ancora peggio .... debbono far riflettere.

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AlpesRIVISTA MENSILE DELL’ARCO ALPINO

Anno XXV - N. 8 - Agosto 2004

Direttore responsabilePier Luigi Tremonti - cell. 3492190950

Redattore CapoGiuseppe Brivio - cell. 3492118486

Segretaria di redazioneManuela Del Togno

Direttore editorialeAldo Genoni

A questo numero hanno collaborato:Costante Bertelli - Pierangela Bianco - Aldo Bortolotti

Pietro M. Boselli - Giuseppe Brivio - Nemo CanettaAlessandro Canton - Lorenzo Croce - Marcella Danon

Antonio Del Felice - Alda Fioravanti - Giuseppe GalimbertiGiorgio Gianoncelli - Angelo Granati - Giovanni LugaresiTito Lupi - Donatella Micault - Carlo Mola - Carlo Nobili

Raimondo Polinelli Ermanno Sagliani - Luciano ScarzelloDino Marino Tognali Valentina Toia - Pier Luigi Tremonti

Giancarlo Ugatti

In copertina: Salisburgo: artisti di strada

foto Pielleti

Ed.ce l’Alpes Agia - S. Coop a R.L.23100 Sondrio - Via Vanoni, 96/A

Direzione e amministrazione:Sondrio - Via Vanoni, 96/A

Tel. e Fax 0342.512.614E-mail: [email protected]

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Autorizzazione del Tribunale di Sondrio n. 163 del 2.12.1983

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Tutti i manoscritti a questa rivista sono al vaglio del direttoreresponsabile e della redazione.Gli articoli firmati rispecchiano solo il pensiero degli autori enon coinvolgono necessariamente la linea della rivista.Testi e foto, pubblicati o meno, non si restituiscono, salvo spe-cifici accordi, e la redazione non si assume la responsabilità perl’eventuale smarrimento.La riproduzione anche parziale, è subordinata alla autorizza-zione della direzione ed alla citazione dell’autore e della rivista.

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Alle 16.00 del 28 giugno trovonella mia posta elettronica unmessaggio della redazione del

sito www.valdimello.it.E’ un aggiornamento importante,quello che mi è arrivato, ecco il titolo:“Abbiamo vinto!”.Non lascia spazio a dubbi.E’ il comunicato che annuncia la boc-ciatura da parte del Consiglio Uffi-ciale dei Lavori Pubblici della Re-gione, presieduto dall’assessoreCarlo Lio, dei progetti di captazionedelle acque dei torrenti Ferro, Qua-lido, Zocca e Cameraccio in Val diMello.Il comitato sorto in difesa della Val diMello è un comitato spontaneo, chetiene a precisare di non aver interessipolitici e di non aver mai avuto altropotere se non quello di raccogliere3.926 firme in poco più di un mese.Adesso lascia “l’autorità” che lespetta alla nuova AmministrazioneComunale di Val Masino perché pre-senti con forza la candidatura dellaVal di Mello all’Unesco per la no-mina a Patrimonio dell’Umanità dellavalle che rappresenta un raro esem-pio non solo nelle Alpi, ma anche intutto il mondo, di un buon equilibriotra uomo e ambiente.I progetti di sfruttamento intensivodelle acque della Val di Mello esiste-vano da tempo, ma sono sempre statinegati fino alla bocciatura definitivada parte della Regione.Il polverone alzato dal comitato in di-fesa della valle è stato grosso ma èservito comunque ad attirare l’atten-zione sul caso che adesso si può direfinalmente chiuso per la gioia di tuttii climbers, gli escursionisti ed i sassi-sti che frequentano la Val di Mello! ■

Valentina Toia

Una volta tanto l’ambientesegna un punto a suo favore

E V E N T I

■ Val Porcellizzo in Val Masino(foto World Images)

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di Aldo Bortolotti

L A PA G I N A D E L L A S AT I R A

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L’Europa federale è come l’Araba fenice: risorge dalle sue ceneri

Gli stati nazionali europei non so-no più in grado di rispondere al-le sfide globali del mondo con-

temporaneo. Lo aveva compreso JeanMonnet che aveva avviato, con la Co-munità europea del carbone e dell’ac-ciaio (Ceca) la pacificazione franco-te-desca nel 1951; lo aveva compreso Al-tiero Spinelli, che era riuscito in due oc-casioni, prima con la Comunità europeadi difesa (Ced), nel 1954, e poi con ilTrattato di Unione, del 1984, a far ap-provare una bozza di Costituzione. Inentrambi i casi i governi nazionali re-spinsero purtroppo questi progetti. Malo stesso Altiero Spinelli, fondatore delMovimento Federalista Europeo (ago-sto 1943 a Milano, nella clandestinità),nonché autore de “Il Manifesto di Ven-totene”, il primo documento politico de-cisamente a favore della Federazioneeuropea, scritto nel 1941 sull’isolottodi Ventotene dove era al confino, ripe-teva spesso che l’Europa federale è co-me l’Araba fenice: risorge dalle sue ce-neri, perché senza unione politica ritor-nerebbero le rivalità nazionali che lastoria ha condannato.Finalmente, il 18 giugno 2004, i go-

verni nazionali hanno approvato, ob-torto collo, un Trattato costituzionaleeuropeo, per molti versi deludente e nonall’altezza dei compiti e dei problemi.I governi nazionali sono in realtà os-sessionati dallo spettro del federalismo.Nel corso dei lavori della Convenzione,quando si è trattato di mettere in di-scussione il diritto di veto sulla politicaestera, i ministri degli esteri sono infat-ti accorsi per impedire che la maggio-ranza dei convenzionali compisse que-sto atto sacrilego. Inoltre il governo in-glese e purtroppo anche quello italianosono riusciti a far togliere dal Trattatocostituzionale europeo ogni riferimen-to a un’Europa di tipo federale. Suc-cessivamente nel consiglio europeo i 25capi di stato e di governo si sono battu-ti ferocemente per includere “clausole digaranzia” della sovranità nazionale con-tro la possibilità che vengano prese de-cisioni a maggioranza nel Consigliostesso.Occorre a questo punto dire le veritàche una classe politica europea pavi-da e conservatrice (dei poteri nazio-

nali) non osa dire ad alta voce:• senza un governo europeo, responsa-

bile di fronte al Parlamento europeo,il voto europeo dei cittadini non con-ta e crea sfiducia, come hanno dimo-strato le recenti elezioni europee: chivota deve anche sapere a chi affida ipoteri di fare le politiche promesse;

• senza una difesa europea non vi puòessere una politica estera europea; re-stano le politiche estere nazionali el’Europa non può parlare al mondocon una sola voce;

• senza poteri di bilancio adeguati nonsarà possibile alcun serio piano per lacrescita sostenibile e per l’occupa-zione. Le vie nazionali allo svilupposono un cul de sac sans issue. Servo-no soltanto per promettere posti di la-voro in campagna elettorale, ma, neiconfronti dei giganti come gli Usa, laCina, l’India e il Giappone o agisceunitariamente l’Europa o si verrà tra-volti. Un Trattato costituzionale eu-ropeo senza un governo europeo nonconsentirà all’Europa di affrontare lesfide globali della pace e dello svi-luppo sostenibile.

I cittadini europei non possono accon-tentarsi di questa Europa divisa e im-potente, devono però capire che la bat-taglia per la democrazia europea deveessere combattuta ormai a livello euro-peo.E’ sul Parlamento europeo appena elet-to che deve essere indirizzata la pres-sione costante dei cittadini europei af-finché esso riprenda la battaglia av-viata dall’assise di Strasburgo nella pri-ma legislatura con investitura popolaretra il 1979 e il 1984, sotto la spinta diAltiero Spinelli.

A quasi tutti gli analisti e commentato-ri politici è infatti sfuggito un dato di fat-to importante: con il nuovo Trattato co-stituzionale, qualora ratificato a livellodegli Stati nazionali, il Parlamento eu-ropeo avrà a disposizione un nuovodecisivo potere: quello di avviare laprocedura per la convocazione di unavera Costituente europea!Il voto europeo del 13 giugno ha sì ri-velato l’esistenza di ombre sul proces-so di costruzione dell’Unione europea,ma per quanto appena detto non si trat-ta di un nero notte. Come ha ben dettoTommaso Padoa-Schioppa sul Corrieredella Sera del 30 giugno “non si pos-sono commentare i fatti della crona-ca europea senza leggerli con cura,senza distinguere l’idea dal modo direalizzarla, senza esplicitare e giusti-ficare quale idea di Europa ispira ilcommento. Altrimenti è nero perchégli occhi sono chiusi, non perché fuo-ri sia buio”.

Vorrei concludere queste mie conside-razioni sull’Unione europea con le pa-role di Guido Montani, Segretario na-zionale del Movimento Federalista Eu-ropeo, del quale in passato abbiamoospitato importanti contributi, apparsesul quotidiano “Europa” del 22 giugno:“Le critiche a questa costituzione nondevono relegare in secondo piano il si-gnificato storico della Costituzione eu-ropea. Da quando gli uomini hannocreato comunità politiche, dalle tribùsino ai moderni stati nazionali, i lorocontrasti sono stati risolti con guerre eviolenze di ogni tipo. La Costituzioneeuropea rappresenta il primo tentativonella storia di dirimere le controversietra stati nazionali per mezzo di un di-ritto sancito da una Costituzione. Lacostituzionalizzazione delle relazioniinternazionali è la via che l’umanitàdovrà percorrere per risolvere il pro-blema della pace. L’Europa è un gran-de cantiere di pace. La battaglia per laFederazione europea deve continuare.Dall’Europa può nascere una speran-za per il futuro del genere umano”. ■

Senza unione politicatornerebbe la

maledizione dellerivalità nazionali che lastoria ha condannato

di Giuseppe Brivio

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Inostri politici molto spesso giustifi-cano il loro operato, specie se indi-gesto, dicendo che ce lo chiede l’Eu-

ropa e domenica 13 giugno, infatti,siamo andati a votare per eleggere ilParlamento europeo.Quanto però sappiamo dell’Europa esoprattutto quanto ci sentiamo europei?Che cosa è l’Europa unita per la popo-lazione dei vari stati, venticinque, che lacompongono?L’Europa unita è nata nel secondo do-poguerra per tentare di evitare che nonscoppiassero più conflitti, dopo duesanguinosissime guerre combattute sulsuo territorio e scoppiate per contrap-posizioni fra gli stati europei.L’idea di base era un’idea forte: unagrande e potente unione di Stati per ri-spondere su tutti i piani alle grandi po-tenze mondiali.Di questa idea che cosa rimane? Comesi è nel concreto sviluppata e realizzata?L’Unione europea è una unione di statisovrani che si sono più o meno facil-mente aggregati su problemi monetaried economici, ma sulla politica estera,sulle politiche sociali, sui valori fon-danti purtroppo le distanze rimangonoancora forti. Inoltre i suoi cittadini sisentono in fondo anche europei, ma nonpensano in modo europeo, come dimo-strano le recenti elezioni quando lamaggioranza dei cittadini non si è re-cata alle urne.Si possono trovare tante giustificazioni,si possono fare analisi politiche più omeno raffinate, ma il dato è sotto gli oc-chi di tutti e la prima e più immediataconsiderazione è che queste elezioninon sono sentite.Nei giorni precedenti le elezioni autore-voli quotidiani europei temevano unaforte affermazione delle forze antieuro-peiste, perché, in questo caso, ci sa-rebbe stato il rischio che si potesserocreare forti ostacoli ai lavori del Parla-mento.In effetti l’onda temuta non c’è stata,ma fra il partito degli euroscettici e gliassenteisti il panorama non è rassicu-rante.

Il fatto è che una vera unione non puòessere principalmente economica emonetaria, non può bastare una zonadi libero scambio con un minimo di re-gole, non ci si può solo alleare percompetere con le superpotenze del mo-mento.Una vera unione si fonda su una iden-tità condivisa, su radici, specifici va-lori e principi comuni, che si riten-gono fondanti della propria civiltà eper coloro con cui si condivide la casacomune.Credo che fra l’Europa che c’è equella che i fondatori avrebbero volutocostruire ci sia la differenza che passafra una comunità e un condominio.Questa Europa purtroppo dà l’impres-sione di essere più che altro un condo-minio.Eppure in Europa sono nate le piùgrandi scoperte della cultura filoso-fica, scientifica, tecnologica, le piùgrandi idee culturali, politiche, socialiesportate in tutto il mondo.L’ identità nostra, di tutta l’Europa,storicamente non può prescinderedalla civiltà greca, latina, dalle idee deigrandi pensatori del Rinascimento edell’Illuminismo. Soprattutto e tantomeno dalle radici giudaico-cristiane.Con buona pace del presidente Chirace degli interessi che, in modo moltomiope, sta difendendo.I cittadini della più colta, della più ci-vile, della culturalmente più evolutaparte del mondo non devono averepaura di affermare la loro identità, dipretendere, nel rispetto della diversità,il rispetto della loro specificità e di af-fermarla a testa alta. Se vogliamo es-sere rispettati dobbiamo sventolarealta la bandiera della nostra identità,che si fonda in grandissima parte suivalori del Cristianesimo. Lasciarespazi alle diversità non vuol dire ri-nunciare ad affermare chi si è, chi si èstati, da dove si viene. Inserire fra i va-lori fondanti dell’Europa quello rela-tivo alla comune identità cristiana nonsolo non è antistorico, ma significa ri-conoscere la storia dell’Europa al-

meno a partire da Carlo Magno. Volernegare che l’Europa ha radici cri-stiane è disonesto intellettualmenteperché nega un’evidenza storica.Lo slogan che viene da Bruxelles “Unitinella diversità” non significa nulla senon si definisce da che cosa si è uniti.Non si tratta di essere o meno credenti,si tratta di guardare al nostro passatoper sapere da dove veniamo se vo-gliamo sapere dove andremo. Ci con-frontiamo con movimenti religiosi for-temente compatti, invasivi, organizzatiche accogliamo e dobbiamo rispettare,ma a testa alta e con forte consapevo-lezza della nostra identità storica.Il problema si è posto in modo moltoconflittuale a proposito della Costitu-zione europea: dopo tanti incontri, di-battiti, rinvii alla fine è stato varato unTrattato Costituzionale che non solonon ha risolto tante polemiche, ma anziha lasciato strascichi e ha aperto qual-che ferita in più.A molti di noi non piace, è di basso pro-filo, ha odore di un compromesso subito.Il bicchiere però può essere anchemezzo pieno: se lo consideriamo un ini-zio, un primo passo nella direzione“Confederale”, uno strumento da cuipartire e non un punto d’arrivo, un qual-che cosa che dovrà essere posto al va-glio e all’approvazione dei singolipaesi, meglio con un referendum chepromuova un reale dibattito, allora,forse, può essere considerato un risul-tato positivo.A patto che si riesca a far cessare i dik-tat e a far funzionare maggiormente lelogiche di coalizione.L’Unione dei 25 non può essere ostag-gio di tre grandi paesi e deve tutelare gliinteressi di tutti nell’ottica di uno svi-luppo allargato e di una pari dignità.Forse sarebbe meglio e più costruttivoconcepirla come una casa con le porteaperte: nessuno deve sentirsi prigio-niero, nessuno deve permettersi di te-nere prigionieri gli altri. ■

* docente di italiano e latino nel Liceo Berchet diMilano

Europa senza radicidi Pierangela Bianco

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La novità di questi giorni,scritta nero su bianconel testo licenziato a

Porto Carras, è che nella neo-nata Costituzione Europeac’è per la prima volta una spe-cifica attenzione per le areemontane, che coprono oltre il39% dell’intera superficie deiPaesi dell’Unione europea.E’ quanto prevede l’art. 116,parte III, del Trattato Costitu-zionale.E’ il frutto di un lungo lavorodi convincimento e relazioneportato avanti da tutti i sog-getti - enti locali montani, par-chi, club alpini, associazionieconomiche - che operano perlo sviluppo e la promozionedei territori montani.Nella lunga fase preparatoriadel documento conclusivo, nu-merose sono state le richiesteufficiali e gli appelli, non ulti-mo il documento del meetinginterministeriale di Taorminaorganizzato dal ministro LaLoggia durante il semestre diPresidenza italiana.La formulazione finale dell’ar-ticolo accoglie la proposta del-la Grecia di eliminare l’agget-tivo “talune” in riferimento al-le regioni insulari, transfron-taliere e di montagna, cheavrebbe ristretto il campod’azione, e che è stata forte-mente appoggiata da tutti glioperatori europei della mon-tagna, club alpini inclusi.Occorre ricordare che adesempio nel precedente Trat-tato di Amsterdam del 1996,istitutivo dell’UE, le zone dimontagna erano del tutto as-senti.“Esprimiamo la nostra pienasoddisfazione - ha affermatoAnnibale Salsa, presidente delClub Alpino Italiano - per losdoganamento definitivo deiterritori montani, aree di con-fine e di cerniera tra i popoli,che oggi entrano a pieno tito-lo con i loro specifici portaticulturali nella costruzionedella nuova Europa”.Il CAI, assieme alle associa-zioni gemelle del Club Arc Al-pin e agli altri Club europeiaderenti all’Uiaa, ha da sempreportato avanti progetti ed azio-

ni che mirano alla valorizza-zione delle montagne e al ri-conoscimento della loro spe-cificità ambientale e cultura-le: oggi la nuova Costituzioneeuropea ce ne dà pienamenteatto”.Soddisfazione anche da partedel senatore Augusto Rollan-din, presidente del Gruppoparlamentare Amici dellaMontagna, secondo il quale“Questo risultato è condizio-ne fondamentale per la co-struzione di un’Europa at-tenta alle minoranze lingui-stiche e alle aree di particola-re interesse ambientale. Ciauguriamo che questa affer-mazione di principio si tradu-ca in politiche concrete capa-ci di operare efficacementeper uno sviluppo equilibrato earmonico della nuova Europaa 25”.“Al di là della gioia di ap-prendere che ciò che fino aieri solo Spagna e Italia pre-sentavano all’interno dei pro-pri Trattati Costituzionali èinvece da oggi patrimonio co-mune dei popoli d’Europa -ha detto Roberto De Martin,presidente del Club Arc Alpin,l’associazione che riunisce iclub alpini d’Europa - ritengoche l’azione decisiva che laGrecia ha avuto in questa vi-cenda debba portarci a guar-dare con maggiore attenzionealle montagne del Mediterra-neo, senza per questo trascu-rare l’arco alpino, nell’otticadi una efficace politica di coe-sione sociale e territoriale.L’attenzione che la Costitu-zione dell’Europa allargataha dimostrato nei confrontidella montagna non può nonvenire sottolineata da tutti gliassociati dei nostri club alpi-ni che da anni hanno mani-festato questa aspettativa findal primo incontro ufficialecon il presidente della Com-missione europea, RomanoProdi. C’è la consapevolezzache l’impegno in cordata svi-luppato in questi anni non siastato vano”. ■

La montagna si è confermata ancora una volta un terreno di intesaancheper chi militaed ha appartenenzepolitiche e culturali diverse.di Alda Fioravanti

La montagna si è confermata ancora una volta un terreno di intesaancheper chi militaed ha appartenenzepolitiche e culturali diverse.di Alda Fioravanti

La montagna si è confermata ancora una volta un terreno di intesaancheper chi militaed ha appartenenzepolitiche e culturali diverse.di Alda Fioravanti

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Chi volesse contribuire puòfarlo inviando il suo contributotramite:• contante• assegno “non trasferibile” intestato a

Associazione Italiana Difesa Animalied Ambiente indicando nel foglio diaccompagnamento i suoi dati e lacausale “Fattoria degli animali”

• inviando un bonifico bancario inte-stato a Associazione Italiana DifesaAnimali ed Ambiente - presso BancaRegionale Europea - agenzia di Pre-gnana Milanese - conto corrente N°10391 - ABI 06906 - CAB 33620

Per rimanere aggiornati sulle iniziativedi AIDAA è possibile visitare il sito in-ternet http://utenti.lycos.it/aidaa oppure inviare una mail agli indirizzi:[email protected]@[email protected]

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L’associaziambientali-sta AIDAA,

nata a Milano loscorso mese dimarzo e, si può dire,“battezzata” sullepagine del numerodi Aprile di Alpes,ha messo in cantiereil suo primo, ambi-zioso progetto: larealizzazione, nellevicinanze di Mi-lano, di una fattoriadegli animali perospitare randagi etrovatelli di qual-siasi tipo.L’intenzione èquella di creare unafattoria di nome e difatto, che non asso-migli a un canile o aun gattile con gab-bie e reti, ma che siaun luogo dove gli animali possano cir-colare e vivere liberamente, sceglien-dosi da soli i propri spazi.Francesca Cristoforetti, coordinatricedei volontari milanesi, illustra gli obiet-tivi di AIDAA:• individuare il luogo dove realizzare

la fattoria, ovvero un cascinale da ri-strutturare con un consistente terrenocoltivabile intorno che, secondo ilprogetto, dovrà servire per l’agricol-tura biologica che col tempo rende-rebbe autosufficiente la fattoria;

• trovare finanziatori che sostengano ilprogetto, soprattutto nelle difficilifasi iniziali, e ne permettano la rea-lizzazione;

• l’inizio dei lavori è previsto per il Na-tale del 2005.

Il presidente nazionale Lorenzo Crocesottolinea anche l’importanza di tro-vare volontari: “Cerchiamo personecon qualifiche specialistiche: agro-nomi, fattori, veterinari o semplici

amanti della natura che vogliano la-vorare con noi allo sviluppo ed allarealizzazione del progetto che purcoordinato dalla nostra associazione èaperto alla collaborazione dei singolie delle altre associazioni. L’unicaqualità richiesta è che le persone coin-volte si rimbocchino seriamente lemaniche per lavorare e non venganoin cerca di gloria o di facili riconosci-menti”.

Per avere ulterioriinformazioni o per aderire alprogetto:• telefonare a Lorenzo Croce al

347.8883546• scrivere a:AIDAA (Associazione Italiana DifesaAnimali ed Ambiente)Progetto Fattoria degli AnimaliVia Roma 9820010 Pregnana Milanese

Abbandonatianche gli uccellini d’estate.Non solo i cani e i gatti sono ab-bandonati in mezzo alla strada davacanzieri senza scrupoli. C’è anchechi in partenza per le ferie, oppureper semplice fastidio o per gioco, silibera di uccellini vivi, buttandolicon tutta la gabbia nei cassonettidella spazzatura o rinchiudendoli inscatole di cartone anch’esse scara-ventate nei cassonetti. I poveri ani-maletti ancora in vita sono desti-nati a una lenta e terribile agonia.Lo denuncia la Lipu.

Una fattoria degli animaliper ospitare randagi e trovatelli

di Valentina Toia

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In Italia, la legge 225/92 per laprima volta inquadra la ProtezioneCivile come “Servizio nazionale”,

coordinato dal Presidente del Consi-glio dei Ministri attraverso il Diparti-mento di Protezione civile, attual-mente retto da Guido Bertolaso.Se nella maggior parte dei Paesi euro-pei la Protezione civile svolge un com-pito assegnato ad una sola istituzioneo a poche altre strutture pubbliche, inItalia è coinvolta tutta l’organizza-zione dello Stato, dai ministeri al piùpiccolo dei comuni, secondo il princi-pio di sussidiarietà. Un evento può in-fatti essere gestito a livello comunale,provinciale, regionale o sovraregio-nale, a seconda dell’entità.La Protezione civile si avvale del con-tributo dei volontari e di tutti i corpi or-ganizzati dello Stato, dai Vigili delFuoco alle Forze dell’Ordine, dal per-sonale del Corpo Forestale alla Guardiadi Finanza, senza trascurare la CroceRossa Italiana.La legge conferisce alle regioni com-petenze in materia di programmi diprevisione e prevenzione dei rischi, at-tuazione di interventi urgenti, indirizziper la predisposizione dei piani diemergenza, attuazione di interventi ne-cessari per favorire il ritorno alle nor-mali condizioni di vita nelle aree col-pite da eventi calamitosi, allo spegni-mento degli incendi boschivi, agli in-terventi per l’organizzazione e l’uti-lizzo del volontariato.La modifica al Titolo V della Costitu-zione pone la Protezione Civile tra lematerie di legislazione concorrente.Per rimanere al passo coi tempi e pervenire incontro alla sempre maggiorerichiesta di sicurezza da parte dei cit-tadini, la Regione Lombardia si è re-centemente dotata di una nuova cen-trale operativa di protezione civile, di-sposta su 500 mq con 24 postazioni di

controllo, tutte protette da possibiliblackout e cadute di linee e con duemaxischermi dai quali seguire tutte leoperazioni 24 ore su 24.Questo è il primo risultato tangibiledella nuova politica regionale in mate-ria di sicurezza, dopo la costituzionenel maggio scorso dell’Assessorato allaSicurezza, Polizia locale e Protezionecivile, retto da Massimo Buscemi.La maxicentrale operativa rappresentaun motivo di vanto per la Lombardia,visto che attualmente in Italia non esi-ste nulla di simile, a livello regionale.In Regione Lombardia la gestionedell’Albo Regionale del Volontariato diProtezione Civile, strumento che per-mette il censimento delle organizza-zioni operative sul territorio, è affidataalle province che, con un maggiorecontatto sul territorio, possono meglioconoscere le realtà locali.L’Albo viene costantemente aggiornatoe i dati regolarmente trasmessi all’U.O.Protezione Civile, per consentire unarapida attivazione delle organizzazioniin caso di necessità.La Lombardia dal 1998 dispone dellaColonna Mobile Regionale, la princi-pale forza di pronto impiego in emer-genze tipiche di protezione civile,

come quelleidrogeologiche ei terremoti.Diretta dall’U-nità Organizza-tiva di Prote-zione Civiledella RegioneLombardia, laC.M.R. è inter-venuta per leemergenze diSarno (1998),Kukes (Albania1999)e in occa-sione della Gior-nata Mondiale

della Gioventù a Roma nell’agosto del2000.Nel 2002 ha dato prova della sua effi-cienza intervenendo nel comune moli-sano di Ripabottoni colpito daglieventi sismici dei giorni 31 ottobre e1° novembre.Proprio per questo motivo il 24 aprilescorso, in occasione della “GiornataRegionale della Gratitudine”, sonostati premiati sei gruppi di volontari diProtezione Civile.Protezione civile è anche lo sviluppodi azioni di prevenzione dei rischi, at-traverso l’informazione e la forma-zione permanente di tutti coloro che, adiversi livelli, sono coinvolti nella ge-stione del sistema.Entro l’anno partiranno i corsi perEmergency managers, organizzatidalla Scuola Superiore di ProtezioneCivile, istituita nel 2003.Ogni due mesi viene pubblicata unanewsletter di informazione e periodi-camente i “Quaderni monotematici”.Da poche settimane poi è stato inaugu-rato il nuovo sito della Protezione Civile,(www.protezionecivile.regione.lombar-dia.it) più completo e semplice da con-sultare anche per i non esperti in mate-ria. ■

P R O T E Z I O N E C I V I L E

Presentati a Milano i dati del lavorodegli ultimi quattro annidella Protezione Civile della Lombardia.di Tito Lupi

Per Protezione Civile si intende unservizio di gestionedell’emergenza, capace dicontrastare l’impatto sullacomunità di qualsiasi disastro,emergenza naturale o causatadall’uomo, attraversol’addestramento e la cooperazionedi tutte le risorse umane etecnologiche disponibili.

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Le organizzazioni di Volontariatofanno parte del sistema regionale diProtezione Civile, e la loro presenzaviene richiesta ogni volta che si pre-senti la necessità di intervenire ope-rativamente in caso di calamità.Dal 1999 al 2003 esse sono cre-sciute, passando da 130 a 377, perun totale di 12.347 volontari. Per po-ter meglio operare le Organizzazioni diVolontariato si possono specializzare inun particolare campo di intervento, ilche comporta addestramento ed eserci-tazioni per acquisire una sempre mag-giore capacità operativa.Da segnalare anche l’implementazionedella rete di monitoraggio idro-pluvio-metrico, le cui stazioni, visibili dalla salaoperativa della Protezione Civile, sonopassate da 106 nel 2001 a 250 nel 2003.

Da un punto di vista ambientale, il20% del territorio alpino è interessatoda fenomeni di dissesto.Molti di questi fenomeni (frane, erosioni,colate detritiche) sono determinati dacause naturali, altri possono derivaredall’alterazione di equilibri precari pro-vocata da azioni dell’uomo.I principali eventi calamitosi chehanno interessato la Lombardia negliultimi anni.Nel 2000 il territorio lombardo è statointeressato da due eventi calamitosi ditipo alluvionale di grande rilevanza: dal10 al 20 ottobre e dall’1 al 10 novembre.Sono stati coinvolti i territori sull’astadel Po e dei suoi principali affluenti,nonché vaste aree delle Prealpi e delleAlpi, per un totale di 637 comuni.Nel 2001 il territorio lombardo è statointeressato da due eventi calamitosi: latromba d’aria che il 7 luglio ha coinvolto6 comuni della provincia di Milano e 10della provincia di Bergamo e gli eventialluvionali del 30/31 agosto che hannocoinvolto 1 comune della provincia di Mi-lano e 17 della provincia di Bergamo.Nel 2002 il territorio lombardo è statointeressato da tre eventi calamitosi ditipo alluvionale: dal 3 al 12 maggio(zona lago Maggiore), dal 4 al 6 agosto(zona provincia di Brescia) e dal 14 al 30novembre (tutte le 11 province lom-barde, 731 comuni su 1546).Nel 2003 il territorio lombardo è statointeressato da tre eventi calamitosi: dal26 al 27 giugno ( zona provincia di Cre-mona), dal 27 al 28 luglio (prevalente-

mentein provinciadi Bergamo e Brescia), dal 28 al 29 ago-sto ( provincia di Sondrio).Da alcuni anni la Regione Lombardiasta operando un approfondito censi-mento dei dissesti idrogeologici su tuttii 12.640 Km quadrati di territoriomontano e lungo la rete idrograficaprincipale e secondaria.La creazione e l’implementazione di unabanca dati moderna ed aggiornata suldissesto idrogeologico è infatti la baseda cui partire per la determinazione dellearee soggette a maggiore pericolosità erischio.Sono stati censiti oltre 60.000 dissestidi varia tipologia (frane ed erosioni),comprensivi di fenomeni attivi, quie-scenti (che possono attivarsi in determi-nate condizioni meteorologiche) e inat-tivi (stabilizzati artificialmente o natu-ralmente).Le principali tipologie di frane presentisono legate alla morfologia del territorioe alla struttura del substrato roccioso. Inarea alpina le frane sono rappresentateper circa un terzo ciascuna da colate ra-pide di fango e detriti, da frane di scivo-lamento superficiali e da crolli in roccia;localmente, per particolari condizionigeologiche, può essere predominanteuna delle tipologie rispetto alle altre.Tra i dissesti attualmente censiti, oltre300 sono stati studiati nel dettaglio inquanto interessano direttamente i centriabitati e le infrastrutture. Questi sonostati inseriti nelle pianificazioni e pro-grammazioni di settore prevedendo, inalcuni casi, apposite norme di salvaguar-dia per l’utilizzo del territorio. Risultanoinoltre realizzati numerosi studi idrauliciche hanno consentito di ottenere lamappatura di aree esondabili lungo larete idrografica principale e secondariaper un totale di oltre 30 corsi d’acqua.

L’esperienza acquisita nella realizza-zione degli interventi di sistema-zione idraulica e di risanamento dimovimenti franosi ha evidenziato lanecessità e l’importanza di preve-dere azioni sul territorio nel quadrodi una pianificazione a livello di ba-cino idrografico, anche tenendo

conto delle limitazioni di uso delsuolo dovute alla dinamica dei versanti

e delle aree di fondovalle occupate daicorsi d’acqua che devono essere necessa-riamente liberi di esondare in determi-nate aree naturali o appositamente pre-disposte.Nell’ambito delle attività tese ad am-pliare la conoscenza del territorio, sonostate prodotte le carte inventario dellefrane e dei dissesti, sulla base dellaCarta Tecnica Regionale, in scala1:10000.Per lo studio dei siti a maggior rischio dafrana sono state create delle procedureper la valutazione e la zonazione dellapericolosità e del rischio da frana, da uti-lizzare da parte dei professionistinell’ambito degli studi geologici a sup-porto dei Piani Regolatori Generali deiComuni, nella progettazione di opere e diinterventi di difesa idrogeologica e per leperimetrazioni ai sensi della L. 267/98.Queste procedure sono state approvatedalla Giunta Regionale con delibera n°7/6645 del 29 ottobre 2001.La Regione è parte attiva nella produ-zione di conoscenze dettagliate nell’am-bito di progetti su scala nazionale ed in-ternazionale: Studio Centri Abitati Insta-bili (Progetto S.C.A.I.) - CNR-Gruppo Na-zionale Difesa Catastrofi Idrogeologiche;Programma Interreg IIIB - Spazio Alpino:Progetto Catchrisk.Il progetto si prefigge di creare un ap-proccio comune per la definizione di sce-nari di rischio idrogeologico all’interno dibacini idrografici alpini e allo sbocco deicorsi d’acqua sui conoidi: Programma In-terreg IIIB - Spazio MedOcc - ProgettoRinamed.Il progetto si prefigge l’obbiettivo di por-tare il cittadino mediterraneo medio aconoscere e capire meglio i rischi natu-rali con i quali può venire a contatto;Progetto IFFI (Inventario dei FenomeniFranosi Italiani), coordinato dal ServizioGeologico Nazionale, che ha permesso dicensire e informatizzare le diverse decinedi migliaia di frane presenti sul territoriolombardo. ■

I DATI DELLA PROTEZIONE CIVILE

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Regole generali• Se c’è traffico dietro a te, guida ad al-

meno 20 Km/h in meno rispetto ai li-miti. Per esempio, se c’è il limite dei50, guida a 30.

• Su autostrade e strade a più corsie, seguidi a velocità inferiori ai limiti, tie-niti sulla corsia di sinistra.

• Se porti in macchina il cane, guidatenendolo sulle ginocchia, e assicura-ti che rimanga con la testa fuori dal fi-nestrino.

• Se porti in macchina dei bambini, gui-da tenendoli sulle ginocchia.

• Se hai un pick-up, porta i tuoi paren-ti più brutti nel cassone posteriore, edigli di fare le boccacce a chi ti segue.

• Se trasporti del bagaglio sul porta-pacchi, ricordati di non legarlo. Usainvece la tua mano sinistra mentreguidi, per evitare che cada.

• Ogni volta che ne hai la possibilità,sorpassa chi ti sta di fronte, e poi ral-lenta improvvisamente.

• Ricordati che tu hai sempre la prece-denza.

• Rallenta drasticamente ad ogni pic-cola buca sull’asfalto.

• Frena bruscamente ogni volta che ve-di una macchina della polizia, e gui-da ad almeno 30 Km/h sotto il limite.

• Quando attraversi quartieri residen-ziali, guida a 5 Km/h osservando conattenzione le ville e il paesaggio ai la-ti della strada.

• Saluta gli altri automobilisti agitandola mano col dito medio alzato.

• Quando guidi, usa il cellulare il piùpossibile, tenendolo come al solito vi-cino all’orecchio. Evita di installarecostosi e inutili vivavoce.

• Fai accendere spesso le luci di stopsfiorando il pedale del freno.

• Non usare mai il tuo portacenere. But-ta le cicche dal finestrino.

• Butta dal finestrino anche le lattinevuote e i fazzolettini usati, soprattut-to se sei in autostrada.

• Regola il volume della tua autoradioin modo che superi i 100 decibel.

• Se ti sei perso, il posto migliore per

fermarsi e consultare la cartina è unsemaforo verde.

• Risparmia tempo! Leggi il giornale efai colazione mentre guidi per andareal lavoro.

• Le donne devono preferibilmentetruccarsi mentre guidano.

• Quando fai benzina, fermati alla pri-ma pompa anche se la successiva è li-bera. Paga sempre con carta di credi-to.

• Quando sorpassi dei ciclisti, fai in mo-do che ci sia solo un centimetro fra iltuo specchietto retrovisore ed il loromanubrio.

• Se possiedi una ruspa, un caterpillar,o un trattore, divertiti ad andare in gi-ro nell’ora di punta.

• Quando ti avvicini ad un segnale “Da-re precedenza”, fermati completa-mente prima di attraversarlo.

• Quando ti avvicini ad un segnale diStop, accelera e passa senza fermarti.

• Se un automobilista è così gentile da

farti immettere durante un ingorgo,fai lo stesso con tutti gli altri mezziche incontri, soprattutto trattori e ca-mion.

• Su strade a più corsie, guida semprealla stessa velocità del veicolo che haidi fianco.

• Se la tua auto è abbastanza potente dasgommare su strada asciutta, diverti-ti a lasciare spesso dietro di te nuvo-lette di fumo nero.

• Se sei in una coda che avanza lenta-mente, lascia sempre davanti a te unospazio vuoto di almeno 50 metri.

• Se qualcuno ti suona il clacson, con-tinua tranquillamente a fare ciò chestavi facendo, e guardalo male.

• Se i veicoli davanti a te si scostano perfar passare un’ambulanza, tu accele-ra e sorpassali tutti.

• Più è grossa e costosa l’auto che gui-di, più è alto il tuo diritto di prece-denza.

• Se devi fermarti per chiedere infor-

Come guidare da imbecille

(Liberamente tratto dall’originale “How to drivelike a moron”, trad. a cura di Sergio Amateis)From: Barzellette<[email protected]

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mazioni, aspetta a farlo finché non haiqualcuno dietro di te. Preferibilmen-te, chiedi sempre informazioni a90enni, sordi, o bambini.

• Se vai a prendere qualcuno a casa, lamattina presto o la sera tardi, non usa-re il campanello. Chiamalo suonandoil clacson ripetutamente, finché esce.

• Se devi parcheggiare in un quartiereresidenziale, cerca sempre di blocca-re il viale d’uscita o il garage di qual-cuno.

• Se in autostrada devi cambiare il CDo la cassetta nell’autoradio, cerca difarlo mentre stai cambiando corsia.

• Se sei un istruttore di scuola guida,porta in giro i tuoi allievi nelle ore dipunta, e digli di guidare piano.

• Se sei in una affollatissima stazione diservizio, quando hai finito di far ben-zina e hai pagato, passa ancora nelnegozietto a comprare le caramelle,senza spostare la macchina.

• Quando in auto ascolti la tua canzonepreferita, fallo sapere anche agli altri!Guida appoggiando un ginocchio alvolante e usa le mani per simulare labatteria; muovi la testa ritmicamenteavanti e indietro.

• Guida con una penna e un blocco no-tes, e scriviti tutte le cazzate che fan-no gli altri automobilisti.

• Se passi da Blockbuster ad affittareuna cassetta, lascia la macchina in se-conda fila, col motore acceso e unbambino sopra.

• Risparmia denaro! Non fare l’assicu-razione!

• Se possiedi una pistola, guida tenen-dola bene in vista sul cruscotto da-vanti a te.

• Se vedi un animale selvatico lungo lacarreggiata, fermati immediatamentee cerca di fotografarlo.

• Se sei andato a prendere delle pizze,guida tenendole sulle ginocchia.

• Se sei muscoloso, alto 1 metro e 90 epesi più di 100 chili, sistema il tuosedile in modo che da dietro si veda-no soltanto un po’ di capelli. Poi vaiin giro guidando come un imbecille ecercando di far incazzare gli altri. Seti fanno i fari o ti suonano il clacson,fermati, scendi dalla macchina e os-serva le reazioni.

• Sistema sempre gli specchietti retro-visori in modo da vederci riflessa latua fronte.

• Quando esci da un McDonald drive-in, cerca di reinserirti nel traffico men-tre apri l’hamburger e sistemi la cocasul cruscotto, oppure mentre metti ilketchup sulle patatine.

• Se guidi un veicolo con cassone po-steriore, lascialo sempre pieno di ri-fiuti e sporcizia. Poi guida cercando dicentrare più buche possibile alla mas-sima velocità.

• Se guidi con un cane o altro animalesul sedile posteriore, voltati ogni 30secondi per assicurarti che stia bene,e dagli una grattatina dietro alle orec-chie.

• Se possibile, guida sempre col tuobraccio destro sullo schienale del pas-seggero.

• Se trasporti bagagli cerca di posizio-narli all’interno dell’auto in modo cheoscurino tutti i finestrini.

• Nelle curve, cerca di guidare sopraalla linea di mezzeria.

• Attacca sul retro della tua auto uno opiù di questi adesivi:

“Io sarò anche lento ma sto davanti a te”“Se riesci a leggere questo adesivo, sei

troppo vicino”“Attenzione: io freno senza motivo”“Guido in questo modo solo per farti

incazzare”

IL SORPASSO•Se vedi nello specchietto qualcuno

che sta per sorpassarti, cambia bru-scamente corsia in modo da mettertidavanti a lui, oppure accelera in mo-do che non riesca a prenderti.

• Se l’auto davanti a te mette la frecciaper cambiare corsia, accelera e af-fiancala rapidamente.

• Se la linea di mezzeria è tratteggiata,guida restandoci sopra, così eviterai diessere sorpassato. Quando la linea di-venta continua, rallenta senza spo-starti e guida sotto ai limiti di almeno20 Km/h.

• Se devi cambiar corsia e non ci riesci,fermati nella corsia in cui ti trovi easpetta che si crei un varco.

• In caso di ingorghi in città, cerca disorpassare passando sui marciapiedi.

• Quando cambi corsia, devi impiegarealmeno un chilometro per passaredall’una all’altra.

• Se un automobilista che viene dalladirezione opposta entra nella tua cor-sia per sorpassare un ciclista, puntaverso di lui e accelera per spaventar-lo.

• Quando cambi corsia, cerca di passa-re a meno di un centimetro dal pa-raurti di chi ti sta davanti.

• Se guidi un camion o altro mezzo in-gombrante, non preoccuparti di guar-dare lo specchietto quando sorpassi.

IN AUTOSTRADA

•Quando entri in autostrada con la cor-sia di accelerazione, fermati e aspet-ta dove la corsia finisce, oppure evitadi usare la corsia di accelerazione eimmettiti direttamente nel traffico, anon più di 30 Km/h.

• Se stai per arrivare alla tua uscita e haiuna macchina davanti a te, accelera,sorpassala, e buttati poi immediata-mente a destra per uscire.

• Se l’uscita ha una corsia di decelera-zione, non usarla. Rimani nella corsiadi destra, poi appena sei all’uscita,buttati a destra senza usare la freccia.

• Se un’auto sta per entrare in autostra-da sulla corsia di accelerazione, af-fiancala e spingila verso il guardrail.

• Cerca di guidare sempre nella corsiadi sinistra, qualunque sia la tua velo-cità.

• Quando ti avvicini ad un’uscita, spo-stati sulla corsia di destra e rallenta,anche se non devi uscire.

• Se hai mancato la tua uscita, inchio-da, metti la retromarcia e torna indie-tro.

• Quando arrivi nei pressi del casello,cerca di tagliare la strada a più autoche puoi, e raggiungi la coda più cor-ta. Non cercare il biglietto né il por-tafoglio finché non sei di fronte al ca-sellante.

• Cerca di pagare sempre il pedaggiocon banconote da 500 euro.

• Chiedi sempre qualche informazioneal casellante, anche se non ne hai bi-sogno.

• Dopo aver pagato, prima di ripartiremetti con calma il resto nel portafo-glio, e rimetti in tasca il portafoglio.Prendi anche nota dell’importo paga-to sulla tua agenda.

• Non sorpassare mai un’auto della po-lizia, a qualunque velocità vada.

• Se l’auto davanti a te mette la frecciaper cambiar corsia, accelera e affian-cala. Quando rallenta per sorpassaredietro di te, buttati nella corsia in cuisi trovava.

• Se sei in coda per pagare e la fila difianco a te è più veloce, cerca di infi-larti tagliando la strada a qualcuno.

• Se sei in moto, devi guidare esatta-mente sopra alle strisce dipinte perterra.

• Se guidi un camion, quando ti fermiin un Autogrill, parcheggia trasver-salmente in modo da occupare alme-no 4 posti per auto. ■

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In carcere man-cano gli affetti,la possibilità di

muoversi, di aiuta-re qualcuno chemagari ha bisognodi noi.E tante piccole co-se.Se un giorno qual-cuno mi chiedesseche cosa mi ha da-to più fastidio, du-rante il periodo dicarcerazione, ri-sponderei senzaindugio: le picco-le cose, le frivolez-ze.E questo non per-ché la sofferenza,quella con la essemaiuscola, nonavesse il suo peso,ma perché il car-cere, inculcato nel-la mentalità di chicarcerato non èper definizione, èclassificato comela cantina di casa,dove tutto quelloche si scarta lo simette là, in un an-golo, “che forsedomani servirà”.Qualsiasi cosa tuvoglia, in questomaledetto ambien-te, è soggetto nonsolo alle regole: per esempio la do-mandina, ma anche al grado d’umoregiornaliero di chi questa “cosa” deveprocurarti.Se al mattino hai voglia di bere il lattee metterci dentro, al posto del caffè,l’orzoro, quello solubile, fai la solitadomandina (non prima del 7 del mese

e non più tardi del 23), e cominci a pre-gare che non ti portino qualcos’altro,altrimenti aspetti un altro mese con lavoglia in gola, sempre sperando chenon si sbaglino la seconda volta o chenon si “smarrisca” la domandina.Circa due anni fa, decisi di non mette-re più il caffè nel latte, perché ero sem-

pre nervoso, per-ché, mi dicevano,che il caffè rende-va nervosi, per-ché...Ho cominciato afare la solita do-mandina.Risultato?La prima volta siè persa la doman-dina, la secondavolta mi hannoportato sì l’Orzo-ro, ma non quelloin barattolo, solu-bile come lo vole-vo io, ma quelloda fare con lamacchinetta delcaffè.La terza volta mihanno portato ad-dirittura il caffèliofilizzato (sulladomandina c’erascritto e messo inevidenza, un ba-rattolo di Orzoro“Nestlè” liofiliz-zato).La quarta volta hoprovato a scrivereun barattolo diOrzoro in polvere,mi hanno riporta-to l’Orzoro in con-fezione di cartoneda fare con lamacchinetta.

La quinta volta...Beh, se non si è persa di nuovo la do-mandina, sto aspettando che me lo por-tino..dal mese di aprile...ma penso chenon arriverà più…Il caffè rende nervosi, l’Orzoro - quidentro - pure.

(Diego Ludovico)

Le piccole libertà...Per esempio l’Orzoro

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La libertà è bere il caffè nella tazzina,sentire il tintinnìo del cucchiaino che cigira dentro, tenere il manico tra due di-ta come se fosse un piccolo orecchio diceramica. La libertà è un caffè al bar.In un carcere si beve solo in stupidi bic-chierini di plastica.

(Maurizio Agosta)

Essere liberi? Per me vuol dire avere lescarpe belle lustre.Qui il lucido lo puoi avere solo neutro.Ma nero, no.Avranno visto troppi film polizieschi,quelli dove le pistole, per evadere, sifanno di mollica di pane e poi si colo-rano di nero con il lucido da scarpe.

(Claudio Giaquinto)

Sono tantissime le cose che mancano inun carcere.Se facciamo un paragone con i non de-tenuti, possiamo dire che le cose chemancano a loro, ai liberi, sono certa-mente differenti, ma soprattutto nume-ricamente più consistenti.Sembrerebbe un paradosso, ma non loè, dato che la scelta è molto più ampia.E poi non bisogna dimenticare chequando si è o ci si crede in piena li-bertà, purtroppo non ci si accorge qua-si mai di quello che manca. Esempi cene sono in continuazione.Si fa una fatica incredibile a dover de-cidere quale oggetto o momento ti fasentire impotente.Io ho scelto il primo attimo della gior-nata, e l’oggetto in questione è il can-celletto della cella.Infatti, svegliandomi molto presto lamattina, il primo desiderio che provo èquello di poter passeggiare, sgranchirele gambe, iniziando così la giornata nelmigliore dei modi, con quattro passi.Ma l’orario d’apertura della cella è al-le ore 7.30.L’attesa è estenuante, la rinuncia èamara.Cerco di leggere, ma non ci riesco, legambe hanno voglia di muoversi, i pie-di hanno voglia di fare il loro lavoro,farmi andare in giro.Ecco, questo è uno di quegli attimi incui la mancanza di libertà fa sentire ilsuo peso.Un macigno.E’ un esempio noto, citato anche in unincontro con un Parlamentare, anche

qui da noi, lo stracchino: a Rebibbia sì,a Regina Coeli, no.Ci sono privazioni quotidiane che difatto oscurano la “grande libertà”, ognigiorno, e in ogni contesto, siamo co-stretti a subire incomprensibili dinie-ghi.Il carcere è un ritrovo di innumerevolirealtà, gente disagiata che qui subisceancor di più la propria “diversità”, e lacosa che più di ogni altra mi indigna, èl’ignoranza con cui vengono affrontatii rapporti umani.Vedere una persona che chiede aiuto,che vuole solo parlare per sentirsi viva,ma perché è un trans, “un diverso”,viene ignorato dai suoi compagni di de-tenzione e qualunque rapporto umano èvietato anche dalla custodia, ritengoche questa sia la vera privazione dellalibertà che quotidianamente si subiscein carcere.Il resto delle privazioni materiali, faparte dell’effimero in cui ci hanno co-stretto a vivere, perché questa società sasolo apparire e non essere, trovandocosì in questo modo il coraggio di na-scondere la propria coscienza.

(Mario Scilli)

C’è una circostanza che mi disturba piùdelle altre, in carcere, e che mi fa sen-tire davvero ristretto.L’essere guardato, osservato e scruta-to continuamente.Che cos’è l’intimità? Ormai ne ho perso il ricordo!Non c’è un momento della mia giorna-ta in cui io possa dire che sono libero.Gli occhi degli agenti, dei miei compa-gni, di chiunque passi da qui, li sentoaddosso. Mi sono addosso! Penso chesolo riacquistando la Libertà riscopriròla mia intimità!

(Pino Madonna)

Sono uscito dal carcere il 14 lugliodell’anno scorso.Di cambiato da allora c’è poco, di nuo-vo tutto quello che non vedevo dentroSan Vittore.Così oggi seppur io sia in affidamentosociale e viva con i miei bambini di 8 edi 16 anni, sono un padre che padre difatto non è.Mi hanno tolto il mio ruolo con la con-danna di 8 anni e 8 mesi; una condan-na troppo alta anche per la legge che

prevede l’annullamento della patria po-testà per pene superiori ai 5 anni di re-clusione.Tornerò a essere un papà, come tutti glialtri padri del mondo, a colpa espiata.E nell’attesa attendo, proprio come incarcere aspettavo la libertà, il momen-to in cui potrò di nuovo firmare l ‘auto-rizzazione per una gita scolastica o peril ritiro della pagella.Forse è poco.Ma per me è abbastanza per sentirmiancora un cittadino a metà.

(Antonio Matrella)

Mi mancano le monete nelle tasche. Incarcere il denaro non c’è, è virtuale.Mi manca la sensazione di avere le ta-sche da vuotare prima di piegare i cal-zoni.Mi manca l’odore della pioggia per lestrade della città, dopo un bell’acquaz-zone estivo. Vorrei la sensazione di en-trare in una macchina, con l’odore dipelle dei sedili, prendere tra le mani ilvolante, ingranare le marce, farmi av-volgere dallo schienale... Sono diecianni che non guido più.

(Guido Conti)

Mi mancano le mie quattro moto, per-ché quando ne avevo voglia, cavalcavocosì la metafora della vita; mi manca unbuon registratore, perché quando nonriesco a dormire e mi viene voglia di“buttar giù” un po’ di melodia, non ègiusto disturbare gli altri; per le paro-le posso andare in bagno, a scrivere, maè sempre un casino, perché è difficiletrovare i tempi giusti e l’atmosfera permettere insieme anche uno schifo dicanzone.Non credo che John Lennon abbia maiscritto qualcosa in bagno.

(Massimo Giampieri)

In carcere ti copri, non ti “vesti”; nonè questione di essere vanitosi: ma lemagliette e i pantaloni che arrivanoda casa non sono mai proprio del co-lore che avresti scelto, proprio dellataglia che ti va a pennello...Vorrei la sensazione di abbracciare lamia ragazza, in un campo di grano,un pomeriggio di luglio.Anche questa è affettività: non sonole scandalose “stanze dell’amore”...É restare abbracciati, in silenzio... ■

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Nella città di Sondrio vivono e la-vorano alcune famiglie di viti-colori che laboriosamente colti-

vano i ripidi terrazzamenti che sovra-stano il capoluogo valtellinese e che conil loro duro lavoro e con grande tenaciacontribuiscono a rendere la città di Son-drio così caratteristica, cinta com’è, sulversante retico, da verdi vigneti coltivatiin ordinati ed eleganti filari.Una delle famiglie di viticoltori più no-te in provincia è quella dei Leusciatti:Gerardo ed il giovane figlio Bruno, ti-tolari dell’omonima azienda agricola.Da quattro generazioni i Leusciatti col-tivano la vite, su un’estensione di più ditre ettari terrazzati nella zona del Sas-sella, all’ingresso di Sondrio.Nella loro azienda agricola i Leusciat-ti, fino a pochi anni fa, oltre alla viti-coltura, si occupavano di zootecnia ma,a causa dell’onerosità dell’impegno edella scarsa redditività, sono stati co-stretti prima a limitare e poi ad abban-donare l’allevamento.Ora i Leusciatti sono essenzialmentefocalizzati sulla produzione vinicola eproducono, con grande impegno, unottimo Sassella.Il prodotto di qualità dei Leusciatti èfrutto non solo del duro lavoro di colti-vazione sugli erti terrazzamenti che cir-condano il capoluogo, ma anche dellagrande passione che ha consentito lorodi sviluppare, nel tempo, una cono-scenza approfondita delle migliori tec-niche di produzione, vinificazione edinvecchiamento. Il vino prodotto, an-nualmente, ca. 90-100 ettolitri, viene,alla fine del ciclo produttivo, messo a“riposare” in grandi botti di legno pri-ma di essere imbottigliato nella loro an-tica ma attrezzata cantina che si affac-cia sulla via Valeriana, alle porte del ca-poluogo.Gerardo Leusciatti è una figura storicadella viticoltura valtellinese. E’ stato ilprimo presidente dell’Associazione Vi-ticoltori della Provincia di Sondrio. L’haguidata dall’82 al ’96 assicurandole,nell’86, il riconoscimento della Regio-ne Lombardia. Ha partecipato per mol-ti anni alla commissione di degustazio-

ne della Camera di Commercio di Son-drio. E’ tutt’ora membro della Com-missione del Ciapel d’Oro, manifesta-zione sapientemente organizzata dal co-mune di Castione Andevenno e che,ogni anno, premia i vini migliori. Gerardo coltiva però, insieme al figlioBruno, un’altra grande passione che lidistingue dagli altri viticoltori.I Leusciatti producono direttamente ivitigni, barbatelle di nebbiolo-chia-vennasca che mettono poi a dimoranei loro appezzamenti.Altri viticoltori valtellinesi, attenti alleparticolari caratteristiche che rendono legiovani viti più adatte e più resistenti al-le malattie tipiche della zona, acquista-no e piantano le barbatelle coltivate neivivai di Sondrio da Gerardo e BrunoLeusciatti.Il vivaismo della vite in provincia diSondrio ha avuto, storicamente, un de-ciso sviluppo per motivazioni legate al-lo sviluppo improvviso e devastante diun’epidemia di filossera che colpì bru-talmente le viti valtellinesi alla finedell’ottocento.Per riuscire a debellare questa disgraziai viticoltori valtellinesi furono costrettia sradicare e sostituire in fretta le viti,scegliendo le nuove tra quelle più resi-stenti alla malattia. Furono anni di mi-seria e di grandi sacrifici, ma alla fine siindividuò nel famoso clone 420A, resi-stente alla filossera, un selvatico adat-to a ricreare le condizioni di produzio-ne ottimale per i vitigni di nebbiolo-chiavennasca. In quell’occasione in val-le sorsero numerosi vivai privati impe-gnati a produrre piante per soddisfare lagrande domanda di quelle barbatelleche erano state innestate sul robusto420A. Con il tempo però, superatal’emergenza, la produzione autoctonascemò e sempre di più, nel tempo, i vi-ticoltori valtellinesi si rifornirono da vi-vai esterni, in particolare da quelli tren-tini.Durante la sua presidenza all’Associa-zione Viticoltori Valtellinesi, Gerardo,spinto dal desiderio di conservare unatradizione importante dell’agricolturavaltellinese e mosso dalla volontà di ri-

portare in valle i proventi di un’attivitàche da noi muoveva annualmente ca.100.000-150.000 barbatelle, per soddi-sfare le sole necessità del ricambio fi-siologico (gelo, siccità e invecchia-mento si impegnò, all’interno dell’As-sociazione che presiedeva, al fine di ri-creare in Valtellina un minimo di pro-duzione vivaistica perché era, ed è,profondamente convinto che, nella con-tinua ricerca della migliore adattabilitàe qualità del vitigno, un prodotto loca-le efficacemente provato, garantiscemeglio i viticoltori valtellinesi.In virtù delle decisioni prese dal Con-siglio dell’Associazione Viticoltori ven-ne avviata la produzione di vitigni au-toctoni nei vivai locali. Si ricominciòcosì ad avere, grazie a questa lungimi-rante iniziativa di salvaguardia dellespecificità produttive della zona, unaproduzione annua di ca. 20.000-25.000barbatelle. Purtroppo però il Consigliodell’Associazione, a causa di alcuniproblemi, anche di redditività, legati aquesta nuova attività, decise, con unatravagliata decisione, forse un po’ af-frettatamente, di abbandonare il pro-getto che avrebbe, a regime, consentitodi effettuare un monitoraggio più at-tento e controllato dei vitigni che en-travano nel ciclo produttivo valtelline-se. Gerardo non si diede, però, per vin-to e non volendo buttare alle ortiche ilpaziente lavoro fatto e costato non po-chi sacrifici, con determinazione e congrande coraggio, decise di intervenirepersonalmente e di ritirare direttamen-te quest’attività. Ancora oggi, grazie al-la professionalità sviluppata ed al pre-zioso aiuto del figlio Bruno, è riuscitoa mantenere i livelli produttivi di que-gli anni. Ora, però, affronta con fru-strazione, impotenza e rammarico l’au-mentata richiesta di vitigni, causata dal-la siccità dell’estate del 2003, che ha ro-vinato, nei vigneti più esposti, moltis-sime piante.I Leusciatti, infatti, non riescono più asoddisfare la grande richiesta dei viti-coltori che, dovendo sostituire le piante,vogliono privilegiare un prodotto sicuroche nasce e si sviluppa in Valtellina.

La Famiglia Leusciattidi Angelo Granati

V I T I C O L T O R I VA L T E L L I N E S I

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Le richieste pressanti di barbatelle dinebbiolo-chiavennasca, quest’anno ri-maste pesantemente insoddisfatte, di-mostrano che la realtà vivaistica in val-le meriterebbe una maggiore attenzio-ne ed una nuova, più convinta, valo-rizzazione.Questo anche alla luce dei nuovi cloni,sperimentati a Berbenno dalla Fonda-zione Fojanini, che hanno suscitatogrande interesse in quei ricercatori ed inquei produttori di livello internaziona-le giunti a Sondrio da tutto il mondo inoccasione del Nebbiolo Grapes (vediarticolo su Alpes).Il buon lavoro fatto, in questi ultimi an-ni, dai ricercatori valtellinesi, in colla-borazione con alcuni importanti ateneilombardi, meriterebbe un supporto piùconvinto, forse anche da parte della stes-sa Fondazione.Sarebbe auspicabile sviluppare local-mente una produzione di qualità, effi-cacemente organizzata e gestita, a regi-me, in equilibrio economico, in grado diraggiungere tre importanti obiettivi:- utilizzare i migliori vitigni sviluppati

in funzione delle esigenze pro-duttive locali;- riqualificare efficacemente,con auspicabili azioni coordi-nate sinergicamente a livelloprovinciale e sponsorizzate an-che economicamente dalleIstituzioni, alcuni impiantiche evidenziano, nella com-plessa realtà produttiva odier-na, tutta la loro inadeguatez-za;- acquisire nei confronti deicompetitors, in particolarequelli stranieri, un vantag-gio competitivo legato allanon puntuale riproducibi-lità della qualità del viti-gno, che possa essere soli-da base su cui poggiareuna produzione vinicolaanch’essa di livello quali-tativo non imitabile.Chissà mai che il sogno diGerardo Leusciatti, pio-niere del vivaismo in Val-tellina, che ha semprecreduto e sperato in que-sto sviluppo, e che vi hadedicato con passionenotevoli risorse e le mi-gliori energie, possa ungiorno, alla luce di que-ste nuove e non più procrastinabiliesigenze, tornare realtà! ■ ■ Gerardo Leusciatti con il refrattometro

per il controllo periodico del gradozuccherino raggiunto dagli acini.

■ Gerardo e Bruno Leusciatti al lavoro nelvivaio di barbatelle di nebbiolo-chiavennasca

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Importatori da tutto il mondo sonoarrivati a metà giugno a Milano perla prima edizione di MyWine, ma

nei giorni immediatamente anteceden-ti una folta delegazione ha fatto tappa -in esclusiva - nella zona dell’Oltrepòpavese che, poco alla volta, sta cercan-do di portare sempre di più all’atten-zione dei consumatori la propria pro-duzione vinicola.L’idea è venuta a Carlo Alberto Panont,che è da pochi mesi il nuovo direttoredel Consorzio di tutela, e si è rivelata unsuccesso perché i buyers hanno rispostopositivamente alla proposta e sono arri-vati il 12 giugno da Norvegia, Svezia,Australia, Belgio, Germania, Gran Bre-tagna, Olanda, Polonia, Russia, Svezia,Svizzera, Stati Uniti e Portogallo.Alla sala Ninfea delle terme di Salicesono stati proposti in degustazione i vi-ni di 34 aziende e subito dopo sono sta-ti accompagnati in due educationaltours.Il primo ha fatto tappa a Santa Mariadella Versa presso la cantina “La Versa”e a Montù Beccaria alla cantina di Ca-steggio mentre il secondo ha raggiuntoil podere “San Giorgio” a Castello diSanta Giulietta e la cantina di Casteggio.Agli importatori sono state fornite in-

AspettandoMy Wine nell’Oltrepò pavesedi Luciano Scarzello

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Le vendite del vino italiano all’estero nel 2003 hanno registrato un mezzo tracollo

Meno 3 per cento in valore e meno 16 per cento in volume: le vendite del vi-no italiano all’estero nel 2003 hanno registrato un mezzo tracollo, vuoi per lasituazione politica internazionale di instabilità, il rafforzamento dell’euro suldollaro ma mettiamoci pure anche l’alto prezzo delle bottiglie che è stato trop-po facile, in certi casi, giustificare con la qualità di quello che c’è dentro.E allora, come rimediare? Al My Wine prima e al congresso dell’Assoenologi aReggio Calabria a fine giugno alcune risposte sono arrivate.Ezio Rivella, presidente dell’Unione Italiana Vini: “La via della ripresa passa an-che attraverso lo snellimento delle procedure burocratiche che, certo, non osta-colano invece i vini provenienti dai paesi emergenti e che si sono imposti suimercati europei. In questa chiave la revisione della legge 164 sulle denomina-zioni di orgine e ad indicazione geografica tipica potrà produrre effetti bene-fici. Per quanto riguarda la polemica sull’eccessivo ricarico dei vini nei risto-ranti, che avrebbero fatto cattiva pubblicità al prodotto, non voglio entrare nelmerito perché siamo in un’economia di libero mercato”.Giuseppe Martelli, direttore di Assoenologi e organizzatore del congresso del-la categoria a Reggio Calabria, ha messo l’accento sul fatto che “La ripresa suimercati può iniziare dai vini bianchi, ma il limite è dovuto al fatto che solo il42 per cento di doc e docg prevede nei disciplinari che la vendemmia sia indi-cata in bottiglia: non si può pretendere di far bere, ad esempio, un Vermenti-no di Sardegna vecchio di due anni o anche più o un Prosecco ossidato”.Sono allo studio nuove strategie per un vero e proprio rilancio dell’export e ciòdipende anche da molti altri fattori. Al My Wine e a Reggio molta importanzaè stata data anche alla revisione della succitata legge 164 del 1992 per la qua-le si interessa in prima persona da molti mesi lo stesso sottosegretario alle po-litiche agricole, il cuneese Teresio Delfino.

LU.SCA.

dicazioni sulla storia della zona e sullesue caratteristiche vitivinicole e la seradel 13 giugno i vini hanno di nuovo fat-to da cornice alla cena svoltasi nelleeleganti sale della Fondazione Bussole-ra Branca di Mairano, sempre nelle vi-cinanze di Casteggio.Fin qui la cronaca delle due intensegiornate che hanno permesso di foca-lizzare l’attenzione anche dei media suquesta importante realtà vitivincola del-la Lombardia.La cui produzione poggia sulla Bonar-da e la barbera dell’Olprepò, il Rieslinge il Riesling italico, lo Chardonnay, ilCortese, il Moscato, la Malvasia e il Pi-not nero.Sono vini prodotti in notevoli quantitàche stanno cercando di emergere.Quando il nuovo direttore del Consor-zio Panont è arrivato da queste parti dal-la Valtellina, dove dirige anche il loca-le Consorzio, l’obbiettivo, d’intesa coni vitivincoltori, è stato quello di co-struire una nuova immagine dell’enolo-gia locale e la prima sortita è avvenutain primavera con la richiesta di ricono-scimento della docg per lo spumante dipinot nero.Spiega Panont: “L’Oltrepò pavese è unazona eccellente per la vitivinicoltura an-che se in passato è stata, in più occa-sioni, considerata una sorta di riserva dicaccia per altri viticoltori di altre regio-ni.Stiamo, poco alla volta, costruendo unnuovo “look” e il successo ottenuto da‘Aspettando My Wine’ lo dimostra”.Gli stessi produttori non nascondono leloro ambizioni di volersi ulteriormenteaffermare sui mercati e il prossimo ob-biettivo - a detta, ad esempio di PaoloMassone dell’azienda “Bellaria”, deigestori de “Le Fracce” e di EdoardoMontini dell’omonima azienda - po-trebbe essere quello di riuscire a pro-durre un vino rosso ben strutturato conuve di pinot nero in grado di compete-re con altri dello stesso tipo. Per chi in-tende recarsi nell’Oltrepò in un weekend a degustare i vini (tra l’altro ap-prezzati anche nello stesso My Wine)segnaliamo l’agriturismo “Corte Mon-tini” sempre a Casteggio: dispone di 13camere e due miniappartamenti dotati ditutti i confort, la sala ristorante e c’èanche la possibilità di praticare la pescasportiva nel laghetto privato, passeg-giate ed escursioni e la visita alle termedi Salice o alla Certosa di Pavia (tel.0383-899382-899231). ■

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Negli ultimi anni pare che la pra-tica del sommelier sia quasi di-ventata uno dei maggiori inte-

ressi da parte di migliaia di lombardi.E proprio per dare il giusto lustro aquesta professione nelle scorse setti-mane a Milano è stata inaugurata lanuova sede dell’associazione dei Som-meliers Lombardi, sezione che fa partedell’AIS, l’associazione italiana deiSommeliers.La nuova sede si trova in un prestigiosoufficio nel cuore di Milano, in PanfiloCastaldi, a due passi da piazza dellaRepubblica e dall’Hotel Westin Palace,sede scelta dall’AIS per l’organizza-zione dei sommeliers e degli eventi

Sommelier, una professione nuovaed in espansionedi Lorenzo Croce

Sono 4000 in Lombardia i sommeliers iscritti all’AssociazioneItaliana Sommeliers.

enologici milanesi organizzati dalla se-zione territoriale dell’AIS.La nuova sede rappresenta un passo inavanti importante per il presente, masoprattutto per il futuro della sezioneAIS Lombardia guidata da Luca Bran-dirali.A dire che si tratta di una associazionedi primo piano non sono solamente lemanifestazioni enologiche ed i corsi or-ganizzati da AIS, ma il dato che megliorappresenta il lavoro dei sommelierdella nostra regione è dettato dal nu-mero: con oltre 4000 iscritti.La Lombardia è la regione che ha ilmaggior numero di soci tra sommeliersprofessionisti ed aspiranti che proprio

in queste settimane stanno terminando(fine luglio) i corsi di formazione.Non si tratta di un exploit temporaneoma di un trend sempre in costante au-mento nel tempo; da anni nella nostraregione i sommeliers sono in costantecrescita e con loro cresce anche la loroprofessionalità.Alla cerimonia di inaugurazione dellasede, che si è svolta alla fine del mesedi giugno, erano presenti diverse auto-rità regionali e nazionali; il taglio delnastro è statto fatto da Viviana Becca-lossi, vicepresidente della giunta regio-nale della Lombardia e assessoreall’agricoltura della nostra regione.E’ seguito un importante pranzo a base

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di sette grandi champagne millesimaticuvèe de prestige.L’occasione è anche servita al presi-dente regionale di AIS Lombardia perfare il punto della situazione: “La rea-lizzazione della sede di Milano - hadetto ad Alpes Luca Brandirali - è sem-pre stato uno dei miei obiettivi priori-tari. E’ quindi per me motivo digrande soddisfazione, una soddisfa-zione che voglio condividere con tuttii delegati e le persone che hanno lavo-rato assieme a me per realizzare que-sto importante risultato. Mai come inquesto ultimo periodo - ha continuatoBrandirali - il mondo del vino ha ca-talizzato attorno a sè tanta curiosità etanto interesse, i numerosi iscrittilombardi confermano che la nostraassociazione è un serio interlocutore acui non difettano certamente le com-petenze, siamo un punto di riferi-mento per tutti coloro che amano ilvino e ne apprezzano l’intrinseco va-lore al di là delle mode e dei fenomenilegati al costume. La sede milanese -ha concluso Brandirali - è la sintesi ditutte le provincie lombarde: non saràinfatti solo un ufficio operativo cheagevolerà le richieste e le necessità deisoci, ma anche luogo di incontro e dicultura”.

La scelta di istituire la nuova sede nelcuore di Milano ha motivazioni di ca-rattere storico, infatti l’associazioneItaliana dei Sommelier è nata proprio aMilano nel 1965 e nel 2005 nel capo-luogo lombardo saranno festeggiati iquaranta anni di vita associativa. ■

La Associazione ItalianaSommelier in Lombardia e in Valtellina.In Lombardia AIS è presente su tutto ilterritorio con 11 delegazioni (una perprovincia), guidate ciascuna da un re-sponsabile che con passione e dinami-smo organizza corsi, degustazioni edincontri.Dal prossimo mese di settembre parti-ranno i corsi di formazione anche aMonza.In Valtellina il delegato provinciale èAntonio Tonola della Lanterna Verdedi Villa di Chiavenna.Chi volesse contattare il delegato puòfarlo telefonicamente al numero0343.38588 oppure via posta elettro-nica a [email protected] o infine visitando ilsito www.aissondrio.it ■

Iniziative programmi e progetti per la prossimastagione 2004-2005Sono diverse le iniziative messe incantiere da Ais Lombardia per il se-mestre settembre2004-febbraio2005a cominciare dal settore della didat-tica e formazione dove si prevede ilprogetto di omologazione dei vini aicorsi: si tratta di uniformare i corsisulla presenza dei vini in tre livelli.La scelta che partirà in alcune dele-gazioni pilota consentirà di garantireuno standard qualitativo comune deivini, basato su di una stretta colla-borazione con le aziende produttrici.In tal modo tutti coloro che frequen-tano i corsi AIS in Lombardia degu-steranno i medesimi prodotti sceltidi volta in volta nell’ampio panoramaproduttivo nazionale ed internazio-nale sulla base di criteri strettamentedidattici.Sono previsti anche due corsi di ag-giornamento: il primo riguardante lacomunicazione del vino in lingua in-glese e un master riservato ai relatoridei corsi sulla comunicazione.Tra gli eventi chesegnaliamo vi sonola quarta edizione del Miglior Som-melier della Lombardia che si svol-gerà nell’Oltrepò pavese e la quintaedizione del Festival di Franciacorta,in programma dal 18 al 20 settembread Erbisco, nel contesto di Villa Le-chi.E’ poi in programma il premio con-corso “La tradizione culinaria e viniin Lombardia” che si svolgerà a Lallioin provincia di Bergamo.E’ anche prevista un’iniziativa bene-fica a favore dell’associazione Chil-drens Charity Onlus: si tratta di unprogetto volto alla costruzione di unascuola in Guatemala, nel Centroame-rica.Infine per quanto riguarda i corsi diformazione regionale si prevedonodegli incrementi e dei potenziamentidei corsi che si svolgeranno a Milanonella prestigiosa ed abituale cornicedel Westing Palace; il potenziamentodei corsi riguarderà principalmente ilterzo livello, mentre proseguiranno ibanchi di assaggio organizzati in col-laborazione con i produttori ed i con-sorzi di tutela anche in provincia diSondrio, al fine di offrire ai soci sem-pre maggiori occasioni di aggrega-zione e di approfondimento. ■

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Il Castello di Rivoli, ambito luogo perincontri con le arti figurative e contutto quello che ha a che fare con

l’immagine, ha appena aperto una note-vole mostra “Schermo delle mie brame”che prende in esame come la pubblicitàha cambiato la vita degli italiani (1954-2004). Un intelligente viaggio con tuttoil bagaglio legato alle forme più emble-matiche, le merci di culto collettivo, lerappresentazioni pubblicitarie con glislogan, i volti, gli atteggiamenti, la mu-sica e le animazioni ed i personaggi ri-cavati dagli spot di questo periodo.Iniziando da Carosello, luogo mitico dei

sogni italiani, sino alla pubblicità di que-sti giorni. Sono gli svolgimenti com-plessivi che hanno fatto presa su milio-ni di telespettatori.Chi non ricorda Calindri e Volpi nellapubblicità di China Martini, o Lia Zop-pelli ed Enrico Viarisio in quelladell’Alemagna. O la famosa pubblicitàTesta per il Caffè Paulista con Carmen-cita?E così migliaia di altre facce e facciateche poi hanno avuto un’importanza de-terminante nel costume e nel linguaggiodel nostro paese.La mostra si snoda in sei siti coinciden-

ti a sei periodi della nostra storia. Ma ilpercorso è a ritroso nel tempo.E sono intitolati “La globalizzazione”2003-1989; “Il Made in Italy 1988-1981”; “Gli Anni di Piombo”; “Il ritor-no del privato 1980-1973”; “Il mondo èdei giovani 1972-1965” ed infine con,“Carosello, “Il miracolo italiano 1964-1957” e “La ricostruzione 1956-1954”.Il numero enorme di spot ed oggetti fa-

“SCHERMO DELLE MIE BRAME”Museo della Pubblicità. Castello di Rivoli.

di Carlo Mola

MUSEO DELLA PUBBLICITÀCastello di Rivoli “Schermo delle mie brame”.Nell’ambito delle manifestazioni per il Cinquante-nario della RAIIn collaborazione con la Direzione RAI TecheA cura di Ugo Volli.Dal 07/07/2004 al 12/09/2004Orario: 10.00-17.00 - venerdì - sabato - domenica10.00-21.00 - Chiuso il lunedìRivoli Contatti: tel. (+39) 0119565222Prezzo: intero 6,50 Euro - ridotto 4,15 Eurogratuito per i minori di anni 11.

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centi parte ormai del nostro “cult” col-lettivo non ha spaventato i curatori del-la mostra e tanto meno Ugo Volli cui sideve lo studio, la cura attenta dell’espo-sizione.Ugo Volli scrive fra l’altro “Questa mo-stra è una sorta di viaggio all’indietronel tempo. Si parte dall’oggi, dal so-vraccarico informativo e pubblicitarioche caratterizza il nostro ambiente co-municativo, e si ritorna indietro, annodopo anno, fino al punto in cui nonc’era televisione e la pubblicità era ra-ra e poco influente”. [...] “Nel 1954sparisce anche la TV: siamo all’origi-ne della civiltà dei consumi, dell’im-magine e dell’effimero. Dietro c’è unaltro mondo, un altro stile di vita. Daquesto punto di svolta il nostro viaggionel tempo può ritornare verso il pre-

sente e riconsiderare come le nostrecase e le nostre vite si siano riempite dimerci, il nostro ambiente comunicati-vo di pubblicità”.Oltre quarantacinque aziende hanno pre-stato i loro prodotti, i loro marchi, i lo-ro manifesti ed i loro filmati per rappre-sentare spezzoni di autenticità consu-mistica.Ne esce un quadro che ha rapporti anchecon la nostalgia per molti adulti e con lasorpresa spesso piacevole delle giovanigenerazioni che vanno così incontro alcomplesso a vario mondo della comu-nicazione: quella più attenta a rubare ilconsenso ed a rendere il pubblico sem-pre più dipendente dall’oggetto consu-mo.Ma la funzione di questa importante ras-segna non è solo questa. Una conven-

zione con RAI Teche ha permesso alMuseo Castello di Rivoli l’utilizzodell’immenso patrimonio di manifesti efilmati pubblicitari ex Sipra.Sfila e sfilerà dunque al Castello mate-riale che non finirà mai di stupire. Sitenga presente che Rai Teche è stata in-serita già nel 2000 dall’Unesco nel re-gistro della “Memoria d’Italia”.Tutto questo ci rende più attenti e sensi-bili anche sul presente e sul nostro mo-do di rapportarci con il mercato e con inostri bisogni. ■

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Visita al Nuovo Museo di Fotografia Contemporanea

Villa Ghirlanda di Cinisello Balsamo

(Milano)

di Donatella Micault

Dall’alto in basso:■ Thomas Struth, “Mailand” 1998.■ Guido Guidi, “Martesana”. Cologno Monzese,1991.■ Peter Fischl e David Weiss, Untitled, (MilanoDuomo), 1992-2000.■ Marco Signorini, Senza titolo, 2001

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Inaugurato il 3 aprile scorso, con unaprima mostra che evidenziava unaparte delle sue ricche collezioni, che

saranno esposte regolarmente a rotazio-ne, il Nuovo Museo di Fotografia Con-temporanea di Cinisello Balsamo, unicoin Italia, è situato negli spazi di VillaGhirlanda, complesso seicentesco di pre-gio architettonico, costituito da un corpocentrale, con ampie sale affrescate, e dadue corpi laterali.Insieme allo storico giardino all’inglese,che le si apre davanti, si noterà la super-ficie del Museo, distribuita su tre piani, di2400 metri quadrati, che comprendonofra l’altro laboratori di restauro e catalo-gazione, biblioteca, area di consultazio-ne dei fondi digitalizzati, archivio clima-tizzato per la conservazione dei fondi fo-tografici, spazio espositivo per la colle-zione permanente e per le mostre tem-poranee oltre a molte altre sale adibite adifferenti attività.Il patrimonio fotografico conservato pres-so la Villa Ghirlanda, fin dalla sua aper-tura, comprende 18 fondi fotografici, chedatano dal periodo delle avanguardie sto-riche fino ad oggi, soprattutto a partire dalsecondo dopoguerra.Le opere presenti sono più di un milione,realizzate da circa trecento autori.L’insieme rappresenta un nucleo impor-tante della fotografia italiana e stranieradel Novecento, nei suoi aspetti sociali odi ricerca artistica; il patrimonio del Mu-seo comprende inoltre circa 10.000 libri.La mostra, che ha inaugurato il Museo, acura di Roberta Valtorta, era composta dauna selezione di circa 140 opere prove-nienti dai 18 fondi fotografici, per un to-tale di più di 100 autori.Il punto di partenza dell’esposizione eraun gruppo di fotografie di 58 paesaggistiitaliani, da Luigi Ghirri con l’imponente“Albero di Macherio” (1987), alla vedu-ta futurista di Milano (1998), di Gabrie-

le Basilico, legato ad un’altra sezione de-dicata al paesaggio, che vedeva espostiautori come Peter Fischli e David Weiss,con visioni fantastiche del Duomo di Mi-lano (1992-2000), alle quali si possonoavvicinare lo stupendo dettaglio dellafacciata del Duomo (1998), di ThomasStruth, o le vecchie pietre di Sant’Ar-cangelo di Romagna, immortalate daPaolo Monti nel 1972, insieme a visioniidilliache ed inattese, come quella di

“Cornate d’Adda” (1994), di FrancescoRadino, in una policromia tenue e raffi-nata. Altra presenza considerevole è quel-la dei ritratti, con l’attrice Ingrid Bergman(1949), di Federico Patellani, e nel cam-po delle opere di artisti d’avanguardia,l’inquietante “Poupée” (1934), di HansBellmer.Infine, erano presenti opere di alcuni frai più interessanti giovani autori contem-poranei italiani. ■

MUSEO DI FOTOGRAFIA CONTEMPORANEAVilla Ghirlanda, Via Frova 10, 20092 Cinisello Balsamo (Mi)Orari: venerdì dalle 15 alle 19, sabato, dome-nica e festivi dalle 10 alle 19.Il Museo resta chiuso durante il mese di ago-sto, ma per visitarlo, anche quando non sonoorganizzate mostre temporanee, lo si puòfare a partire da settembre su appuntamento,telefonando ai numeri 02 66023535, oppure02 66023551, o consultando il sito Internetwww.museofotografiacontemporanea.org.Catalogo: “Il Museo, le Collezioni”, GiovanniTranchida Editore, Via G.Frua 18, 20146 Mi-lano, euro 35.

■ Paolo Monti, “S. Arcangelo di Romagna”, 1972.■ Gabriele Basilico, “Acciaierie Falk”, Sesto San Giovanni, 1992

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Personaggio creativo ed eclettico, An-drea Nardi, (1969), pavese d’origine,ora adottivo di Milano e di Abbiate-

grasso, già da ragazzo mostrò vocazionealle arti creative, ricevendo l’incoraggia-mento ad approfondire i suoi studi supe-riori.Artista autodeterminato, non dotato di al-cuna frequenza accademica di pittura o didisegno, occupato in attività lavorativeestranee all’arte, è sempre stato assorbitonella realtà nella quale ha vissuto, sapen-done cogliere impulsi e innovazioni, chetraduce in immagini pittoriche ad olio, dal-la pennellata felice ed efficace.Andrea Nardi è artista autonomo. Affida lesue sensazioni, le sue emozioni al segno,con pennello o con spatola, realizzandosulla tela, di getto, opere informali-figu-rative di medio e di grande formato.L’autore si autodefinisce “Figlio dell’artemoderna”. Assorbe gli aspetti negativi del-la nostra quotidianità, ma per sua buonasorte li esprime sulla tela in positività pit-toriche, con opere che rappresentanol’amore per la vita e la natura.Le cromie predilette da Nardi sono il blued il verde, vivaci ed accese.Significativa la sua opera “La vita”, dovel’embrione vitale di energia scaturisce dalblu del mare e del cielo, appunto acqua edaria, due dei quattro elementi fondamen-tali del nostro pianeta.“I miei quadri sono i miei amici”, affer-ma l’autore. Pennello e spatola sono usa-ti con mano scorrevole, esperienza nel fa-re, senza approssimazioni o incertezze.Tutto ciò deriva dall’esercizio, dallo stu-dio, dalla vocazione istintiva, forte, pro-rompente, come avviene in un’opera mul-ticolore, informale: “Innamorati sotto laneve”, che l’autore, a parer suo, definisce

con entusiasmo “Il mio capolavoro”.La pittura di astrattismo lirico surreale diAndrea Nardi anima la realtà della vita, delnostro mondo, attraverso la sua personalelezione pittorica, autonoma, che ne fran-tuma la visione, offrendone una più com-plessa, colta e riproposta da molteplici al-tri punti di vista dell’artista.Le stesse cromie accese possono, a volte,diventare armonie più pacate, di garbatoequilibrio formale e compositivo, come in“Donne sull’amaca” o “La chitarra”, per-

vase di equilibrata forza espressiva, dovesono le tinte morbide e sfumate a defini-re forme e luci.Andrea Nardi in questo tipo di opere infor-mali pare esprimere il meglio di sé. Egliriesce a cogliere i lievi passaggi di tono, levariazioni tenui di luce e di cromie, quasinascondendo la tecnica pittorica per tra-sporto istintivo e sorprendente, tanto caroai critici più rigorosi.Nardi è un pittore entusiasta, volitivo, chesa stare al suo posto, in punta di piedi,senza autoinnalzarsi.E questo è un gran merito, anche nella no-stra contemporaneità sfacciata e immode-sta.L’artista non intende appartenere a nessu-na particolare tendenza pittorica, che locostringa a rinunciare alla sua specificaidentità.E Andrea Nardi, agli antipodi dell’accade-mia della pittura, anche se a volte sembraanticipare i divisionisti in chiave modernao certe composizioni con i blu di Chagall,in una realtà tessuta di sogni e di visioni,con la sua sensibilità di artista ci apre unmondo suo e ce ne rivela il valore. ■

Il lirico informale di Andrea Nardidi Ermanno Sagliani

Esposizioni permanenti estive• a Milano - Petrofil Gallery – via Casati 22• a Nizza - Halle Concorde, hotel Boscolo

Atlantic - Av.e Victor Hugo.

■ Lago Maggiore (spatola).

■ Donna sull’amaca (pennello).

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Istituto di Ricerca per l’Ecologia e l’Economia Applicate alle Aree Alpine

IREALP... IN AZIONEAlcune attività dell’Istituto a luglio 2004

I PROGETTI SPECIALIIREALP è impegnato in numerosi pro-getti finalizzati a sviluppare e promuo-vere i territori montani dell’arco alpino.Tra questi segnaliamo, in particolare:

GLOBAL COORDINATOR PER I MONDIALI DI SCI DEL 2005IREALP è il coordinatore globale per l’at-tuazione degli interventi relativi ai Cam-pionati Mondiali di Sci Alpino che si ter-ranno a Bormio nel gennaio 2005.

PROGETTO GPSIl progetto prevede la realizzazione di unmodello di rete regionale di posiziona-mento statico GPS, primo esempio inItalia, in collaborazione con la RegioneLombardia e il Politecnico di Milano. www.gpslombardia.it

PROGETTO WIRELESSProgetto sperimentale per la realizza-zione di una rete di collegamenti tra glienti locali che sfrutti la tecnologia wi-reless come soluzione tecnicamente va-lida ed economicamente sostenibile percoprire zone montane marginali e privedi connettività a banda larga.

PROGETTO CERTIFICAZIONE AMBIENTALEProgetto che prevede l’Analisi Ambien-tale Iniziale di comuni della montagnalombarda e il raggiungimento, per alcu-ni di questi, della certificazione am-bientale vera e propria. IREALP ha giàanalizzato più di 35 comuni, primoesempio europeo di un comprensoriocosì ampio in territorio montano.

IREALP è, attualmente, coinvolto in nu-merosi progetti comunitari, tra i qualivale la pena di ricordare:

PROMONTEIl progetto è finalizzato all’integrazionedei diversi strumenti comunitari volti afavorire la collaborazione tra i molti at-tori della montagna europea.

CULTURALPche prevede la realizzazione di un si-stema di supporto alle decisioni dedi-cato agli insediamenti storici alpini, larealizzazione di un sistema di strumen-ti operativi sul patrimonio culturale el’individuazione di casi studio per spe-rimentare gli strumenti. www.culturalp.org

RINAMEDIl progetto prevede l’elaborazione e lamessa a punto di una strategia comunetra gli attori locali delle regioni dell’ar-

co mediterraneo occidentale in materiadi informazione e sensibilizzazione del-la popolazione nei confronti dei rischinaturali. www.rinamed.net

EUROMOUNTAINS.NETProgetto di rete che si propone di coor-dinare e confrontare esperienze riguar-danti la multifunzionalità per la monta-gna, per la promozione di uno sviluppodurevole.www.euromountains.net

PIANO DI COMUNICAZIONEINTERREG IIIA ITALIA-SVIZZERAIl piano prevede la realizzazione di seiazioni coordinate (la realizzazione di unsito Internet, di un ciclo di newsletter,seminari, pubblicazioni, programmi te-levisivi e cd-rom) per promuovere lamassima condivisione delle informa-zioni e delle conoscenze. www.interreg-italiasvizzera.it

IREALP - Istituto di Ricerca per l’Ecologiae l’Economia Applicate alle Aree AlpineSede di Sondrio: Lungo Mallero Diaz, 3423100 Sondrio, SOUffici di Milano: Via Copernico, 4720125 Milano, MITelefono: 848.785.524 - +39.02.6787.6101Fax: 02.6671.9825E-mail: [email protected] Sito Internet: www.irealp.it

In evidenzaluglio - settembre 2004 - Albergo Terme di Bagni Masino - Valmasino, SO“ANTICHI NUCLEI RURALIProgetto per il recupero e la valorizzazione”Mostra aperta a pubblico

6/8 settembre 2004 - Località Bagni Masino - Valmasino, SO20/22 settembre 2004 - Vilminore di Scalve, BGCORSO DI AGGIORNAMENTO PER PERSONALE DEL CORPO FORESTALEDELLO STATOEdizione 2004

9 ottobre 2004 (convegno) - 2/12 ottobre 2004 (mostra)Sala Assemblee - POLICAMPUS - Via Tirano - SONDRIO“CONVIVERE CON I RISCHI NATURALI”Spazio interattivo di formazione e informazione aperto a tutti: mostra e convegnonell’ambito del Progetto Internazionale RINAMED (www.rinamed.net)

10/12 novembre 2004 - Auditorium del Consiglio Regionale - Via F. Restelli, 4 - MILANO “LA LOTTA ATTIVA AGLI INCENDI BOSCHIVI: ORGANIZZAZIONE,METODOLOGIE E PROCEDURE A CONFRONTO”Convegno - Studio Internazionale

E QUELLI EUROPEI

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L’estate scorsa andai a Teglio per poterammirare le sculture di una artista di

Bormio, che a quanto mi dissero, non ven-deva le sue opere perché convinta che l’ar-te non può essere contaminata dal com-mercio.Così conobbi Lux e la sua arte: lei mi pro-pose di realizzare assieme a lei un’opera diritratti della gente di Bormio.Non ci volle molto a convincermi ad ade-rire a questo progetto e ne fui immedia-tamente coinvolto, anche perché ho sem-pre ritenuto fondamentale e affascinanteleggere la morfologia di un territorio at-traverso la morfologia della sua gente.Come gli esseri vegetali e animali vengo-no forgiati e plasmati, altrettanto accadeper gli spiriti degli uomini, che attraver-so l’estetica delle loro sembianze ti par-

lano della terra che li nutre.In un anno di lavoro, attraverso le sta-gioni, ho imparato a conoscere,sull’onda delle emozioni, la gente diquesto luogo.Ritratti fatti ad uno ad uno con la len-tezza meditata, usando volutamente ilcavalletto anche quando non era ne-cessario, per dare uno spazio ritua-le al momento magico in cui anche ilsoggetto sa di donarti un’immagineche attraverso la tua sensibilitàproietterà da qui in avanti elementi es-senziali non solo del suo volto ma anche delsuo spirito.Nella mia mentescorrono tuttequeste personeche vanno a com-porre un grandeaffresco coraleche superando gli

aspetti oleografici e stereotipati, rappre-sentano la vera natura di questa terra chespesso il frastuono dei nostri tempi cela.Ritengo un privilegio l’aver vissuto questastraordinaria ed emozionante esperienzaartistica che ha cambiato profondamente ilmio modo di sentire Bormio e i suoi abi-tanti.Posso affermare che questa realtà è entra-ta nel mio cuore e un pezzo del mio cuoreè rimasto e rimarrà in questo paese.

Giorgio De Giorgi

La parola agli autori:

Il PAESE nella GENTEBormio 2003/2004

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Ritrarre una persona che vive in un ter-ritorio, quando i suoi occhi hanno visto

i paesaggi intorno, il suo corpo è stato im-merso nel gelo dell’inverno e pervaso daigradevoli raggi primaverili, tormentato inmodo elastico dalla frequentazione dei “fo-restieri” che giungono e poi spariscono.Speranza e accoglienza contrastata dal sen-so del disagio quando si trasforma il rit-mo…Contrasti che rendono vivi, provocando at-tenzioni e tensioni scandite dalle stagioni.Questa è l’osservazione che ha stimolato emotivato la sua realizzazione, congiunta al-la poesia di unvolto che rac-conta una storia,che trasmette unpensiero, talvol-ta una speranzao un lamento.Immergersi nel-lo sguardo perscoprire un mes-saggio che va ol-tre le parole mache comunquerimangono unpiedistallo autocostruito, un in-

dizio per farsi ricono-scere e per lasciare ilproprio segno.La libertà di poter rac-contarsi in questa oc-casione e la disponibi-lità nel lasciarsi guar-dare in modo diverso,come l’arte suggerisce.Farsi prendere per ma-no dalla poesia ches’impregna nell’imma-gine e brilla nella pel-licola tra i cristallid’argento, per poi ri-velarsi nella stampache ci guarda… in mo-do speciale.

Questo significa ritrarre tutto quello che faparte di questa esperienza umana: l’espe-rienza di chi vive in questi spazi.Chi è presente diventa parte del luogo e nerappresenta il tutto…Assorbire l’ambiente e rappresentarlo, comein una sorta di frattale, significa esserequell’ambiente… e, nello sguardo, nella po-stura, nelle parole, di tutte queste persone sipuò vedere un bellissimo paesaggio di Bormioilluminato da una luce poetica particolare.Perché Bormio è anche questo. ■

Lux Bradanini

Mostra fotografica: Bormio, via Nesini 4, dal17 luglio al 22agostoLibro: Il PAESE nella GENTE - Ritratti ePensieri - testi di Lux Bradanini e foto diGiorgio De Giorgi – Lito Polaris

…Come vorrei che ilricordo di questepersone divenisseindelebile e fermo…E che il tempo sibloccasse nel preziosoessere umano chetrascorre la suaesperienza in questospettacoloso spazio…Anche quando il solecesserà di essere vita…Nell’incommensurabile per sempre!

Lux

Dopo l’Alù, che si adagia come untappeto d’invito,un sorriso di case a guisa dicollana, accompagna la strada findentro il cuore e l’anima storica…Poi a raggiera, ogni vicoloracconta il suo tempo…Rimango senza discorsi perl’armonia che l’immaginetrasmette…anche nel ritmo delle montagneche sembrano un discretoparavento, regalando un senso diraccoglimento, senza chiuderetroppo lo spazio… attorno ad unasoave conca che induce sentimentidi tenero abbandono…

Lux

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Èla riflessione poetica di unecopsicologo neozelandese,Olaf Skarsholt, che offre un

punto di vista inusuale per risve-gliare nei confronti del nostro pia-neta sentimenti ed emozioni chesono di sicuro potenzialmente pre-senti in noi, ma che abbiamo per-so l’abitudine di rivolgere al pia-neta su cui viviamo.Sentimenti ed emozioni che ci ri-collegano alle nostre radici piùprofonde, al mondo e alla vita dicui facciamo parte; sentimenti dimeraviglia, gioia, ammirazionedella bellezza, rispetto, senso dicompartecipazione.Molta della solitudine, della man-canza di senso e del “mal d’ani-ma” che così spesso affligge il ci-

Curare la Terra per guarire se stessi,curare se stessi per guarire la Terradi Marcella Danon

E C O P S I C O L O G I ASe la Terra avesse undiametro di poco più di unmetro e galleggiasse a pocadistanza dal suolo sopra uncampo qualsiasi, la genteverrebbe da tutto il mondoper ammirare le sue grandi epiccole piscine d’acqua e lezolle di terra emergenti dalleacque.La gente si stupirebbe delsottilissimo strato di gasattorno al piccolo globo edelle minuscole particelled’acqua in sospensione nelgas; si meraviglierebbe ditutte le creature sullasuperficie e nelle acque.E questo piccolo globosarebbe considerato preziosoperché unico e verrebbeprotetto perché non si rovini.Sarebbe la più grandemeraviglia conosciuta, fontedi ispirazione, saggezza ebellezza.La gente l’amerebbe e lodifenderebbe con la propriavita, sentendo di non averepiù significato senza la suaesistenza. Se la Terra fossegrande solo poco più di unmetro ...

Curare la Terra per guarire se stessi,curare se stessi per guarire la Terradi Marcella Danon

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vile mondo occidentale è dovuto a unaperdita di connessione con l’originestessa della Vita e al senso di condivi-sione e di profonda unità che lega tra lo-ro tutti gli esseri animati e gli oggettiinanimati del pianeta.Questa alienazione dalla natura è stret-tamente connessa all’alienazione dallapropria realtà psichica - le emozioni, ilsentire, il sognare - e da quella spiri-tuale.La consapevolezza ecologica, al livel-lo più profondo, è una consapevolezzaintuitiva dell’unità di tutta la vita, scri-ve Fritjof Capra in “Verso una nuovasaggezza”, confermando così l’obietti-vo più profondo dell’ecopsicologia,quello di occuparsi della salute edell’equilibrio dell’uomo insieme aquello del pianeta, a partire da una vi-sione unitaria della vita.Non potremo mai avere un vero be-nessere su un pianeta malato, e l’im-pegno per la salute individuale passanecessariamente dall’impegno per lasalute, a tutti i livelli, del nostro pia-neta, afferma Theodore Roszak, lo sto-rico della scienza che negli anni ‘90 haconiato il termine ecopsicologia come“cappello comune” per tutti quegli ap-procci che con nomi diversi - psicologiaverde, ecologia transpersonale, ecote-rapia, ecc - condividono la stessa sensi-bilità nei confronti dell’uomo e del suoprofondo legame con l’ambiente.Nulla è più urgente e più importante,in questo preciso momento storico, cheimparare a vivere in armonia con laTerra, diventando portatori di pace e dicura amorevole, dice Howard Cline-bell, psicoterapeuta ed ecopsicologo sta-

tunitense.Infatti, tra i fattori che attualmente con-tribuiscono in modo considerevoleall’aumento di ansia e depressione, so-prattutto nella società moderna, vi sono:la preoccupazione relativa alla situa-zione di degrado ambientale, la man-canza di contatto diretto con le forze ri-generatrici della natura e la conseguen-te perdita di connessione col cerchiodella vita.L’invito rivolto dall’ecopsicologia atutti coloro che lavorano nel campodell’educazione, della terapia e delleprofessioni di aiuto, investiti di granderesponsabilità in questa precisa con-tingenza di sofferenza psichica e spiri-tuale, è proprio quello di aiutare le per-sone su questi tre fronti:1 - risvegliare la consapevolezza dellepersone di non essere completamenteinerti davanti agli eventi, ma di poterimpegnarsi in percorsi fatti di piccoli ograndi gesti che possono comunquecontribuire a un effettivo miglioramen-to dell’equilibrio ambientale, anche sesolo localmente;2 - invitare chi ha ormai consolidatoroutines quotidiane concentrate esclu-sivamente in ambienti abitativi e urba-ni a uscire in natura, uscendo quindicontemporaneamente “dagli schemi”,guidandoli a notarne e riconoscerne glieffetti benefici a livello fisico e psichi-co;3 - creare percorsi per far ritrovare laconsapevolezza dei sottili legami che cirendono tutti parte di una unica realtà,tutti sensibili - in una certa misura - aquanto tocca ai nostri simili e all’am-biente in cui viviamo.

Come è possibile, anche da soli, rea-lizzare questo terzo, più delicato, obiet-tivo che riassume l’essenza del mes-saggio dell’ecopsicologia?Prima di tutto affinando le capacità diascolto, per cogliere la presenza e lavoce del proprio sentire e del sentirealtrui. Poi sviluppando l’attenzione e ilrispetto per tutto ciò che è vivo: a par-tire dalle proprie emozioni, sino ad in-cludere gli altri esseri umani, ogni altroessere vivente, la natura nel suo insie-me.In questo modo ci si esercita a ricono-scere anche la presenza dell’altro, sisviluppa l’empatia, si impara a non sen-tire la diversità ostile ma a dialogarecon essa e a viverla come arricchimen-to, si accetta la molteplicità con cui lavita si manifesta, e si rompe, così, l’iso-lamento: riconoscendosi in connessio-ne profonda con tutto ciò che è, si rien-tra nel cerchio della vita.Siamo tutti prigionieri delle mura che cisiamo costruiti attorno - in diversi mo-menti della nostra vita - per protegger-ci da un mondo esterno vissuto comeostile; ma quella che era inizialmenteuna difesa finisce col diventare la nostraprigione. E questa esclusione esercita-ta non riguarda soltanto parti di noi stes-si, persone esterne, ma, spesso, anche ilmondo esterno e la natura.Ricominciare a tessere una trama di re-lazioni con il mondo naturale può cosìdiventare punto di partenza per ricon-quistare gradualmente una relazionedialogica e costruttiva con ciò che è al-tro da noi. ■

Da AurAweb.it

COUNSELINGLa terapia per aiutare gli altri a risolvere i propri problemi con un nuovo spiritoSempre più diffuso anche in Italia, il counseling è una nuova professione in campopsicologico, che aiuta le persone momentaneamente in difficoltà a chiarirsi le idee ea ritrovare l’energia per affrontare e risolvere i problemi.Attraverso il dialogo ma anche, e soprattutto, grazie alla particolare relazione che siinstaura con il counselor, il paziente ha la possibilità di alleggerire il peso delle preoc-cupazioni e dei dolori che lo affliggono condividendoli con un ascoltatore attento epartecipe.Sono proprio le qualità personali del counselor, più che una vera e propria tecnica, ifattori del successo di questa terapia, che unisce la professionalità dello psicologo conla sensibilità e la disponibilità di un amico. Il paziente rimane sempre il protagonista del processo di counseling e viene guidatoa esaminare la sua situazione da diversi punti di vista, sino a quando lui stesso rie-sce a scorgere nuovi orizzonti e diverse possibili soluzioni ai suoi problemi.

IL LIBROCounceling.La terapia per aiutare gli altri a risolvere i propri problemi con un nuovo spiritodi Marcella Danon

Questo libro si rivolge a tutti coloro chevogliono non solo conoscere, ma ancheapprofondire l’argomento nei suoi aspettiteorici e nelle sue applicazioni in diversiambiti: individuale o di gruppo, lavora-tivo, socio-sanitario.

pagg. 224 - prezzo € 16.50 - Red edizioni

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Non pensi e non vuoi nemmenopensare, ascolti il fastidio del so-le sull’erba gialla.

Da tempo non piove, la terra è secca, manon vi è acqua per irrigare: la vite è sce-sa nel buio profondo con le radici, le fo-glie sono verdi ed i grappoli sani.Non esiste il negativo in assoluto, esistesempre il suo rovescio.Non vorresti uscire dal tempo senza pen-siero, ma al pensiero non puoi comanda-re.L’erba secca e l’assenza di acqua sono lìa ricordarti che il mondo e l’uomo sonoparte di un universo che forse non sa diesistere, la sua presenza è il mistero checi assilla da sempre: da sempre cerchia-mo il rimedio per non essere parte delnulla.Il tempo passato aveva costruito percorsiper l’acqua, aveva reso coltivo il bosco diquerce per nutrire il numero a cui l’uomonon sa rinunciare.Ognuno costruiva il suo mondo seguen-do leggi non scritte, si contrastava il nul-la creando quello che la natura non sape-va fare per troppi.Siamo diventati tanti, pochi si chiedonocome sarebbe la vita se, per mangiare,bastasse alzare il braccio per cogliere ifrutti del melo.La religione ci dice la presenza del para-diso terrestre al quale abbiamo rinuncia-to per non sottostare alla costrizione delproibito.Forse il significato del vivere sta proprionella ricerca di un tabù da infrangere, nontanto per ottenere qualcosa, ma per sen-tirti parte attiva del tempo.Creare quello che non esiste è trasforma-re in forma l’idea; la storia dell’uomo è unsusseguirsi di divieti a cui qualcuno nonha voluto, e non vuole, sottostare.Il progresso è superamento del non con-cesso, la paura di infrangere un tabù sichiama conservazione, la volontà di su-perarlo è ricerca del possibile.Non vedo nessuna contraddizione nella ri-

cerca; se Dio ha voluto l’uomo a sua im-magine e somiglianza, non capisco perchéci si ostini a negare all’uomo la volontà diassomigliargli.La negazione del possibile è partedell’uomo che teme il non conosciuto.Mi diverte, e mi ha divertito, cercare ciòche sta dietro il paravento chiamato “nor-malità”; ho sempre trovato tristezza e ar-roganza.Oggi è “normale” il nomadismo coattodella vacanza, la gente si muove non perconoscere, ma per ubbidire al luogo co-mune.Negli spazi della natura questo turismovuole il ripetersi di ciò che ha appena la-sciato; chi vive nei luoghi della bellezza ladistrugge per ottenere il consenso di chinon ha altro che i soldi per rappresentarsi.In una serata autunnale ero seduto concommensali a cui la vita aveva assegnatoil compito di raccontare: si definivanogiornalisti.Uno di loro parlava fitto con chi stava al-la sua destra: “La Valtellina- diceva- è unluogo arretrato, se il turismo non portas-se soldi sarebbe ancora a livello di fame,i suoi abitanti non fanno nulla per favori-re la nostra presenza: ho impiegato treore per arrivare a Chiuro e abito in viaFulvio Testi a Milano”.Se avessi avuto nel piatto un diverso me-nu non avrei avuto difficoltà ad astrarmidal discorso, ma nel piatto avevo taglia-telle con panna e salmone pronto confe-zionato per ristoranti…La mia attenzione va sulla faccia di chi staparlando: è un volto abbronzato, con occhipiccini; mi chiede un parere. Rispondoche, usando le gambe, in tre ore percorrodieci chilometri in un bosco stupendo: sea Milano ne esistessero ancora sarebbeinutile la sua presenza in Valtellina.Sotto l’abbronzatura la pelle dell’interlo-cutore si arrossa, il colore che ne esce èdi vino andato a male: non aceto. Vengoallora investito da un fiume di parole: “Ecco il nostro problema, gente come lei

è contro il progresso, portare il gerlo eusare la zappa sono ciò che lei propo-ne?”.“Se lei usasse la zappa ed il gerlo, ri-spondo, non avrebbe bisogno di lampadaal quarzo e palestra serale”.“Il moderno avrà mille difetti- aggiun-ge- ma nessuno può contestare che ad es-so dobbiamo l’allungamento della vita: lepare poco?”.Come una scenografia teatrale mi si pre-senta l’immagine della nostra città: stri-sce gialle sull’asfalto, la donna distesaper terra nel sangue, la borsa di plasticada cui sono uscite mele verdi col marchiodi qualità. La vecchietta in bicicletta nonè stata attenta al tre assi su cui gira lentala betoniera.Abbiamo allungato la vita per morire sul-la strada dell’urbanista senza umanità, seabbiamo sfortuna saremo parcheggiatinella casa per anziani a cui non serve lavita.Abbiamo cambiato il nome all’età avan-zata, non ci sono più vecchi, ma anziani.Il teatrino domestico ci propone “Velone”danzanti, il pubblico si diverte a guarda-re lo spettacolo triste perché senza bel-lezza.Ma cosa fanno gli architetti? Agli archi-tetti, pianificatori, paesaggisti e conser-vatori dobbiamo, con pazienza, insegna-re che il nostro mestiere non è fatto persoddisfare i desideri di chi ha faccia alquarzo con occhi piccini, ma è, da sem-pre, arte di costruire la faccia visibiledella civiltà.Ma se non può esistere il negativo in sen-so assoluto, cerchiamo il positivo dietrola crosta triste della nostra azione che du-ra ormai da mezzo secolo.Lo troviamo nei luoghi dimenticati, neiluoghi in cui la natura, in assenza di uo-mini, ha ricostruito il suo volto più vero.Da qui deve partire la ricerca del possi-bile, da qui può partire la rivoluzione delpensiero che cerca il moderno negandospazio al creduto progresso. ■

Alla ricerca del possibile nei luoghiin cui la natura ha ricostruito il suo volto più vero,

nei luoghi della dimenticanza.di Giuseppe Galimberti

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SECONDA PARTE

“Fa la call” inAlta ValleCamonica si-

gnifica tracciare unsentiero in mezzo allaneve; è un modo di di-re che forse ricordal’occupazione dellaSerenissima Repub-blica Veneta: le callisono infatti le viuzzestrette di Venezia.Nei tempi della miainfanzia la neve rag-giungeva anche ilmezzo metro per ne-vicata. Lo spartinevecomunale, “‘l slitù”,tirato da muli o caval-li, difficilmente pote-va passare nelle stradedei nostri paesi, per-ciò era costumanzaaprire il passaggiocon badili e ramazze.I proprietari delle abi-tazioni e delle case dimasserizia provvede-vano a spalare la nevenella parte di stradaconfinante con i pro-pri muri.Un’altra costumanzache riguardava le viedel paese era la puli-zia.Il Comune non potevaassumere lo stradino o spazzino perchèle finanze erano misere; i cittadini si as-sumevano perciò l’onere di tenere puli-ta la metà della strada confinante con laloro casa.Di solito di sabato pomeriggio, d’amo-re e d’accordo, la gente della contradaspazzava con la ramazza l’acciottolatoche spettava per uso costante.Il latte dei diversi proprietari era lavo-rato assieme. Per fissare la parte di pro-dotto appartenente ai singoli era neces-

sario stabilire la quantità di latte cheogni mucca produceva.Un tempo la misurazione aveva luogo aSan Giacomo ed a Sant’Anna (25-26luglio), circa a metà del tempo dell’al-peggio, quando la produzione lattiferacominciava a diminuire.Da qui il detto: “San Giacom tètaache”.L’ operazione di controllo era affidata adue giurati eletti dalla comunità.Salivano sull’alpe alla vigilia, control-

lavano le mucche lat-tifere, stabilivanol’ora di mungitura epesatura al mattino eda sera. La media del-le pesate, nei periodidi controllo, si ritene-va la quantità di lattemedia prodotta dallabovina durante il pe-riodo dell’alpeggio.Un’importante con-suetudine era il valo-re che si attribuiva al-la malga a secondadel foraggio che ser-viva peralimentare una muc-ca.Il calcolo dei capi dibestiame da “carica-re” in malga era fattoin “paghe”.Secondo i capitolatid’affitto, se la malgapoteva mantenere cin-quanta paghe, l’erbaera fatta per cinquan-ta mucche da latte.Poichè nella malgaerano presenti anchebestie di taglia infe-riore, il prezzo per ilconsumo dell’erbaera proporzionato al-la età degli animali.La tradizione localeconsidera il capo bo-

vino, che abbia due o più denti da lat-te, una paga; le manzette che non ab-biano ancora due denti, mezza paga; ivitelli un quarto di paga; cavalli, muli edasini una paga come la vacca; i maialimezza paga; capre e pecore sono valu-tate un quarto di paga.Perciò: due manzette fanno una paga,quattro vitelli fanno una paga, otto ovi-ni e caprini una paga.Il carico delle malghe di Vione era: Val-zeroten, 50 paghe (perciò si potevano

F I N E S T R A S U L L’ A L TA VA L L E C A M O N I C A

Le consuetudini, diritti accettati per tradizione,che hanno il valore di legge

di Dino Marino Tognali

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far pascolare più di quattrocento peco-re); Calvo valeva 45 paghe, Laghetti 15paghe, Tremonti 65 paghe e Bles 10paghe.I nostri avi impostavano le usanze con-venzionali ed i rapporti con il prossimoin un clima di assoluta fiducia.Di solito “ai mòncc” erano le ragazze,“le matèle” che mungevano e traspor-tavano poi con il secchio e con il “cun-gial” il latte fino alla piccola costruzio-ne tutta in pietra per depositarlo nelle“brènte”, i mastelli in legno, sistematinel locale più piccolo, nel quale scorre-va sempre un rivolo di acqua fresca.Il latte cadeva nella “sécia”, recipientein legno di forma tronco-conica. Qui siintroduceva il “moét”, una assicella-tes-sera, appuntita sul fondo e con una im-pugnatura a pomolo. Lungo l’assicellaerano segnate le “scudèle”, antica unitàdi misura del latte, corrispondente a cir-ca due litri. Ogni quattro tacche dirittene era segnata una obliqua che indica-va cinque “scudèle”.Il decimo segno era indicato con una Xromana ed il ventesimo con due X in-crociate, a forma di asterisco.Ogni proprietario portava con sè un ba-stoncino di nocciolo scortecciato, lungocirca 25 centimetri, marcato con la “nö-da” (segn de cà, blasone familiare, sim-bolo di proprietà). Questi bastoncini disolito si legavano con un nastro a maz-zetto e si depositavano nella “casèra”.Da una parte si incideva con il coltelloil numero delle “scodèlle” dilatte, date a prestito a chi loraccoglieva per cagliarlo.Quando era il turno di un al-tro, le tacche venivano gra-dualmente cancellate, a ma-no a mano che il latte era re-stituito, sbucciando i segnisulla verghetta.Gli “usi civici” sono anti-chissimi riti collettivi agrariche spettano alle singole per-sone, agli abitanti di un co-mune o di una contrada, cheessi esercitano e che hannoesercitato sui beni del pro-prio comune.Nella nostra comunità figu-rano soprattutto il pascolo,“‘l deròch”, e il diritto di rac-cogliere legna secca per fuo-co “il legnatico”, che siestende anche al diritto di ot-tenere le piante, soprattutto“gli strèp” od “i maròch”,sempre per fuoco (fuocati-co), o il fruire del legname,

“legnàm de opera” come diritto di mac-chiatico, per la costruzione di fabbrica-ti, di mobili rustici, di attrezzi e di uten-sili vari in base ad un corrispettivo nongravoso da pagare al Comune.Ciascuna famiglia residente poteva “pa-tuzare” (da “patücc”, in italiano “pat-tume”), scotennando il sottobosco, di-minuendo i cespugli e tagliando la co-tica di erica, “‘l bruch”, “i baghècc”,“le farinèle”, i rametti di ginepro stri-scianti, i rododendri, il muschio, con unrastrellino dal manico corto ed i denti dilegno.I regolamenti comunali stabilivano cheil taglio del fieno selvatico, festuca ovi-na o “ìzega”, nei segaboli o pascoli al-pini non poteva essere falciato primadel due di agosto.Tutti coloro che intendevano profittaredel taglio del fieno selvatico dovevanodichiarare agli agenti comunali il pre-ciso numero delle cariche o “priale”.Dalle giovani perticaie di conifere i co-munalisti ricavavano ogni anno le“stanghe”, “lese” o “lender”, che ser-vivano a caricare le “priale” per porta-re in paese legna, fieno e strame.Si potevano ottenere poi giovani lariciper le “scàndole” e pali per le recin-zioni.Questi diritti antichissimi sono derivatida un altro modo di possedere e da si-tuazioni socio economiche ben diverseda quelle attuali, ma che si sono man-tenute nelle varie epoche come istituti

aventi attinenza con il diritto pubblico.Sono consuetudini che da decenni sonoridotte o sono quasi scomparse e pococonosciute tra le giovani generazioni.Ma per legge tali diritti sono inalienabilie imprescrittibili.I nostri comuni hanno conservato, at-traverso i secoli, un vasto demanio pub-blico costituito da pascoli e boschi suiquali le popolazioni hanno esercitato edesercitano i diritti di uso civico.Tale patrimonio, goduto secondo anti-che tradizioni, è stato per il passato laprincipale fonte di sostentamento per lepopolazioni locali.Prima che si formasse il moderno co-mune rurale, giuridico e politico, vi era-no delle semplici “comunità economi-che”, più o meno organizzate, che da noiavevano il nome di “vicinie”, che am-ministravano i beni della comunità, pa-scoli e boschi, dati in godimento diret-to, collettivo e promiscuo ai parteci-panti.Quando si affermò il comune moder-no, con personalità giuridica propria, diregola esso divenne il titolare e l’am-ministratore di queste proprietà collet-tive.Si è formato così il tipo classico di de-manio comunale ed i “godimenti diret-ti” delle popolazioni ebbero delle limi-tazioni, compensate però sia dal dirittodi “condominio” dei singoli comunali-sti, sia del diritto “dell’uso civico” persoddisfare i bisogni essenziali delle po-

polazioni.Negli ultimi anni la situazio-ne è profondamente mutata:l’esodo massiccio delle po-polazioni montane, il benes-sere economico e l’impiegodi risorse energetiche di piùfacile utilizzo hanno ridottonotevolmente il fabbisogno dilegna; sono scomparsi gliutensili agricoli tradizionali,nessuno più falcia il fieno de-gli alpeggi, nessuno più “‘lva per patücc”, nessuno più“‘l sèga le ìzeghe”.I diritti “d’uso civico” nonvengono più esercitati od inmisura ridotta, ma i residentinel comune ne mantengonoil ricordo pagando, ogni an-no, una esigua somma per il“diritto legnatico” ed il di-ritto di ottenere, con doman-da alla amministrazione co-munale, legname da fuoco eda costruzione con sconti par-ticolari sui prezzi correnti. ■

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duttrice di vino, con sessantamila abi-tanti, ai piedi dei Monti Bùkk.Ci meravigliammo dei tanti minaretidalle sottili bianche e alte torri che si in-nalzavano accanto ad altrettante mo-schee, da una delle quali un muezzinchiamava il popolo alla preghiera e an-nunziava le ore che richiamavano allamente la centenaria occupazione deiTurchi.Nel pomeriggio ci infilammo nelle lun-ghe e dedalose cantine, scavate nel tufoche corrono per un tratto sotto la città,per gustare e assaporare i loro vini.Si trattava di rossi sui dodici gradi dalnome di Sangue di Toro o Cuore diGiuda.

UNGHERIA DI 50 ANNI FA

IL CASTELLODEI VAMPIRI

Quando dissi “w il tocai italiano” il magiaro mi guardò con disprezzo.

di Costante Bertelli

Pionieri: ragazzi tra i sette e i dieci an-ni, come i nostri figli della Lupa, por-tavano pantaloni grigioverdi,camiciabianca e fazzoletto rosso al collo.La ferrovia, nel raggio di circa un chi-lometro con tre stazioni, era intera-mente gestita e condotta da loro.Su una strada ferrata a scartamento ri-dotto a 0,60 mt (decauville) una loco-motiva diesel trainava una decina di mi-ni-carrozze scoperte riservate ai solifanciulli fino ai dieci anni di età.Tutto era gestito dai Pionieri: loro fun-gevano da macchinisti e aiuti, capo sta-zione e bigliettai, capotreni e scambisti.Un altro giorno andammo a Eger, cit-tadina agricolo-industriale, forte pro-

Lasciata Trieste ci inoltrammo perla Slovenia, fiancheggiammo Lu-biana per ritrovarci in un territo-

rio leggiadro, bello e suggestivo dove lecicogne nidificano sui comignoli dellecase e i contadini delle valli carichi digrandi gerla di fieno vanno passo pas-so verso la stalla.Entrammo in Ungheria da Landava esubito fummo sul lago Balaton, il piùgrande dell’Europa ma anche il piùscialbo e piatto lago che mai ci sia ca-pitato di vedere.Percorremmo tutta la sponda occiden-tale del lago, lunga poco meno di ses-santa chilometri, per giungere a Buda-pest.Incontrammo un ragazzo con una per-tica lunga di bambù in mano intento afar pascolare un gregge di migliaiad’oche che invadevano la sede stradale.Lui e il piccolo cane pastore ci impie-garono forse un’ora a spostare su unprato tutti i lenti volatili.Mi venne in mente il film “Matteoguardiano d’oche”, pellicola di eva-sione di Gèza Radvànyi presentato aVenezia nel 1950.Giungemmo a Budapest sull’imbruni-re.Sulla riva destra del Danubio, alla Baiadei Pescatori, che domina il Ponte del-la Vittoria congiungendo Buda a Pest,alloggiammo all’Hotel Hilton, tutto ve-tri e cristalli, costruito e gestito dagliamericani.Dopo due giornate spese per la visitadella città, la sera del secondo giorno,cenammo su un grande battello risa-lente il Danubio.Palloncini alla veneziana, luce di can-dele, orchestrina tzigana ....... quandomi affacciai a poppa per ammirare le ac-que del bel Danubio Blu le vidi tal-mente grigie e limacciose da scanda-lizzarmi. Ne chiesi ragione alla guidache allargando le braccia disse: “Que-sto è il Danubio!”.Noi eravamo destinati in un albergo sulgruppo montuoso Bùkk (che non supe-ra i mille metri di altezza) e si situa anord di Budapest.Ci accolse un vecchio Castello me-dioevale tutto guglie e torri, requisitodal regime e adibito ad albergo di va-canze.La lingua ungherese, che appartiene al-la famiglia linguistica ugro-finnica, eraper noi talmente dura e complessa darendere impossibile ogni tipo di con-versazione diretta.Di tanto in tanto ci spostavamo nei din-torni dove ammirammo La Ferrovia dei

Foto di Elio Gilardelli

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Quando poi il sommelier sturò una bot-tiglia di bianco, lessi l’etichetta, e bal-zando istintivamente in piedi, dissi: “ec-co il Tocai italiano!”.Quello si rabbuiò in viso e guardando-mi da cattivo urlò: “No! il vitigno delTokai è antichissimo ed è nostro di noimagiari. E’stato esportato in Italia soloal tempo dell’Impero Austroungaricoe voi ve ne siete ingiustamente appro-priati!”.Ho poi saputo nel corso degli anni suc-cessivi che la diatriba sul Tokai tra noie i magiari è di lunga data e che un ac-cordo tra i due paesi limita al 2007 ilnostro diritto ad usare il nome Tokai,ma successivi ricorsi a tribunali inter-nazionali hanno rimesso tutto in di-scussione. Ora l’Ungheria, entratanell’Unione europea, rivendica il mar-chio esclusivo davanti alla Autorithyper l’alimentazione che ha sede a Par-ma.Al rientro in albergo trovai il professo-re (un magiaro laureato e insegnante dilatino che si associava volentieri al no-stro gruppo) intento alla lettura di un li-bro sulla copertina del quale era raffi-gurato il nostro vecchio castello.L’aveva trovato nei vecchi scaffali del-la biblioteca e diceva che era molto in-teressante.A proposito del nostro castello-albergovi era scritto che il Castello di Bùkk (ilnostro) era stato il “covo” del VampiroDracula II, il figlio del capostipite di

tutti i vampiri, il Principe Vad Dracul diSighisoara della Transilvania, che erasolito “impalare” in filari ben allinea-ti davanti al suo castello gli ambascia-tori di pace, musulmani e turchi.Questi esiliò il primogenito e la suaamante nel castello di Bùkk per non in-fangare il buon nome della stirpe chevoleva i Vampiri privi di qualsiasi unio-ne sentimentale.E proprio qui in questo nostro castello-albergo il Vampiro avrebbe esercitato lasua primaria arte di succhiatore di san-gue che trasmise all’amante, che usci-va pure essa di notte a sorbire sangue eseme degli uomini.Talvolta Dracula II mordeva le sue vit-time, oltre che coi denti canini, anchecon la lingua biforcuta durissima e ta-gliente assai, cavando in quel modo ilsangue alle vittime.Nel libro era anche scritto che nel 1672,sedici anni dopo la sua morte, DraculaII apparve di notte al parroco del paeseche lo aveva sepolto e ad alcuni cono-scenti, e che parecchi di questi dopo lasua visita morirono.Una notte dieci persone andarono a cer-carlo al cimitero, aprirono la tomba e ilcadavere li accolse ridendo.Ritornarono con un paletto appuntitoma non riuscirono a trafiggerlo. Uno diloro tentò di decapitarlo e ci riuscì: ilmorto emise un grido, il corpo si con-torse e la tomba fu invasa di sangue.Molti uomini morti di recente compa-

rivano come prima per conversare congli amici i quali, per liberarsene defini-tivamente, chiamavano il Vampiro Dra-cula che passava loro nel petto una spa-da e li trafiggeva nel cuore.Quando il Vampiro Dracula II morìvenne dalla Transilvania un uomo cheaprì la sua tomba e, rotto con una zap-pa il collo del cadavere, si dilettò a ve-derne uscire il sangue vivo e vermiglio.A questo punto il Professore chiuse illibro e osservò come la residenza not-turna di Dracula II il Vampiro edell’amante fosse nelle camere a po-nente del terzo piano, nella torre qua-drata dell’antico nostro castello.Ci pensai un po’ poi esclamai mo-strando grave preoccupazione: “Maquella è la mia camera!”.Il professore, facendosi partecipe dellamia agitazione, mi suggerì uno dei tan-ti mezzi per premunirsi dagli attacchidel Vampiro Dracula II, quello di “farele corna”.In questo caso, affinché la protezionefosse particolarmente efficace, biso-gnava che la mano che fa le corna fos-se tenuta sul petto all’altezza della re-gione del grande simpatico e con le cor-na volte all’esterno.Misi in pratica il suggerimento la serastessa, ritirandomi in camera, facendole corna ben due volte.Poi mi chiusi dentro col doppio chiavi-stello e dormii con la luce accesa tuttala notte. ■

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Se smettiamo per un attimodi farci portare come leanime di Dante dal vento,

ci rendiamo conto, poveri tapini,di quanto fragili siamo, di quantosoli siamo e veramente in balia diquel vento che porta all’oblio edal non vedere quello o chi real-mente alberga dentro di noi.Nel nostro mondo quotidianosono entrati, quatti quatti, comesubdoli compagni di viaggiodella nostra esistenza, la paura el’angoscia, quasi come fosseroun vestito che abbiamo dovutoindossare e che maledettamentenon riusciamo a togliere con fa-cilità.In ogni famiglia c’è una madreansiosa oppure un padre nevro-tico o per lo meno qualche figlioangosciato!Siamo diventati “fedeli mangia-tori” di pastigliette colorate eche, per giunta ci sembrano an-che invitanti, per poter sorri-dere, per diventare più simpa-tici, sereni, più forti e muscolosio più intelligenti.Ma purtroppo nemmeno con tuttiquesti espedienti riusciamo ascacciare od a sconfiggere quelsenso di oppressione e di paura

Noi... ed i nostrifantasmidi Giancarlo Ugatti*

In questi ultimi anni ci hannoconvinti di essere abitanti elettidi un mondo di fiaba o delpaese dei balocchi, dove tutto èpermesso o si può avere, dovemaschi e femmine, vecchi egiovani, devono essere al top,devono essere belli, scattanti,sorridenti, intelligenti a tutti icosti ed a qualsiasi prezzo,devono essere lampadati,attori, cantanti, atleti, dove illifting è padrone, dove la mortee la malattia sembrano lontanese non addirittura sconfitte, cihanno fatti diventare come icinesi, che da lustri sono inItalia, ma nessuno di noi hamai visto un loro funerale.

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che ci assale e ci sovrasta, al quale nonriusciamo nemmeno a dare un nomeperché fatto di tanti e molteplici sin-tomi diversi ed in contrasto tra loro,che si alternano dai sudori freddi, allevampate di calore tanto da farci arros-sire, alla difficoltà di respirazione, adun’accelerazione improvvisa del bat-tito cardiaco il tutto scandito da emi-cranie, capogiri, dolori sparsi unpo’per tutto il corpo, fitte inspiegabilie tanta tanta paura.Ci ritroviamo, dopo l’effetto delle fa-mose pastigliette colorate, tremanti,impauriti quasi come i bambini chehanno bagnato il letto con il terrore dinon farcela.L’elenco di questi sintomi potrebbecontinuare all’infinito, con numerosevarianti, alla pari di una triste e lugu-bre sinfonia. Poi tutto finisce, tuttosvanisce nel nulla, ci ritroviamo svuo-tati ed incapaci di attendere ai nostriimpegni di tutti i giorni, abbiamopaura ad uscire di casa, vorremmocambiare vita e lavoro e diventiamosfuggenti, stralunati, convinti che tuttoil mondo sia nostro nemico.L’angoscia, l’ansia e la nevrosi agi-scono sulla nostra vita come un frenonei casi più blandi o come una muti-lazione nei casi più complessi, la no-stra personalità si sente depauperata,senza affetti e molte volte senza og-getti.La paura dei giorni nostri ha buongioco perché si presenta in modo am-biguo, abbiamo paura così, senza par-ticolari ragioni, abbiamo la sensazionedi lottare contro inconsistenti fanta-smi, ci sentiamo attanagliati dall’an-goscia nell’attesa del suono del cellu-lare, ci ossessioniamo per un invito acena, per un vestito non in piega, perle previsioni del tempo sbagliate esono queste le occasioni che rivelanouno stato d’ansia insito in noi e cheviene alimentato quotidianamente daltipo di vita che conduciamo.Questo modo ansioso di interpretare ilmondo e le persone che ci stanno at-torno sconfina persino nell’amore chesempre di più è accompagnatodall’ansia.Si diventa ansiogeni per il passato delpartner, per il suo presente o per il suofuturo, si diventa ridicoli facendosi e

facendo delle domande alle quali, avolte non c’è nemmeno risposta:“perché non mi hai amato prima?...perché mi ami oggi ? ma mi ameràin futuro?”.Questi fantasmi operano in modocosì forte che non di rado contribui-scono a distruggere anche l’amorestesso.Ci sono giovani e non solo giovaniche lasciano l’innamorato/a per lapaura di essere lasciati a loro volta,non hanno la forza di aspettare e divedere che cosa si verificherà, prefe-riscono il dolore subito piuttosto chel’ansia dell’attesa.Sono ormai all’ordine del giorno icasi di ragazze/i che all’ultimo mi-nuto con casa arredata da tempo o conl’abito nuziale pronto solo da indos-sare preferiscono dire no e fuggire,meglio restare soli che vivere nell’an-sia di un’incerta vita di coppia, mol-tissimi i casi di ragazzi che incappanoin autentici incidenti prima del matri-monio, provocati dall’inconscio, peril solo scopo di rimandare “il grandepasso che li spaventa terribilmente”.Al tempo dei miei nonni questi stranicomportamenti erano addebitati “aldiavolo”, ora siamo diventati più ra-zionali, non polarizziamo le nostrepaure su persone o cose definite mai fantasmi delle nostre paure ce liportiamo dentro di noi.Iniziamo così ad avere paura di noistessi, della nostra inconsistenza edella nostra inadeguatezza; i sapien-toni parlano di “invenzioni, di fi-sime”.Ai miei tempi queste paure non esi-stevano, si lavorava, si riposava, ci siamava, ci si sacrificava ed alla menopeggio si viveva.Ora le nostre ansie sono più consi-stenti, ne parliamo, ne discutiamoma forse non a sufficienza per capiree per far capire che essere ansiosi ècosa normalissima.Erroneamente siamo convinti che ilprovare queste sensazioni negative edopprimenti per alcuni versi, sia dapersone malate e di conseguenza fi-niamo per sentirci in colpa, viviamonel mito di una società libera doveognuno può fare o disfare qualsiasicosa e forse proprio questa convin-

zione potrebbe essere la fonte dellenostre ansie, delle nostre nevrosi edelle nostre irragionevoli paure, nonsiamo in grado di soffermarci e dicomprendere che qualsiasi ostacoloinvece può essere abbattuto così il po-ter fare diventa un dover fare e questopurtroppo ci induce a misconoscere lenostre reali capacità ed i nostri limiti.La casalinga, magari anche un po’bruttina, pensa allora di poter diven-tare velina, l’insipida e forse anchebalbuziente signorina di diventareun’annunciatrice televisiva, l’impre-parato un dirigente o addirittura uncapo di quelli che contano, il vecchioun impenitente ganimede.Quando poi alla fin fine, soli e scon-solati ci si ritrova con il morale a terraed obbligati a fare l’esame, piangiamoper la delusione, rimaniamo schiac-ciati dall’ansia, incapaci di ammirarel’azzurro del cielo, il volo delle ron-dini, il profumo dei fiori, il mormoriodel mare o le cristalline risate deibambini..... diventiamo ciechi e sordicome flagellanti, come fiere delle fo-reste che negli antri si leccano sole leferite.I mezzi per sfuggire da questo gironeinfernale ci sono ed anche alla por-tata di tanti: basta rimanere con ipiedi per terra, sognare sì, ma nonvoli pindarici, consci delle nostre at-titudini, delle nostre capacità, dellanostra reale preparazione, forti epronti per fare un obiettivo esame anoi stessi, sulle cose e sul mondo checi attornia, sul reale modo di vivereimparziali tanto da poter emettere ungiudizio severo e sereno, come sitrattasse di altri, guardare fuori econstatare che il mondo vive, il solesorge e tramonta, che gli uomini siamano e si rispettano e la vita si rin-nova continuamente pronta a rega-larci ed a donarci cose nuove e ma-gari anche con traguardi inaspettati.E’questo il motivo per cui siamo qui,sulla terra, buoni o cattivi che siamo,belli o brutti, scontrosi o sorri-denti...... per ringraziare ogni giornochi ci ha creato ed insegnato l’amore,la verità e, perché no, anche il sacrifi-cio! ■

*sociologo

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La perseveranza nel beneè l’abito della carità

di Pietro M. Boselli*

Occorre dire su-bito che la ca-rità non è l’ele-

mosina e non è nep-pure quel sentimentoche nasce dalla supe-riorità di chi dona qual-cosa al bisognoso. Lacarità è una virtù cheha una forte e decisivaimpronta razionale, lacertezza nell’obiettivodella vita e della di-gnità umana. E’ quellavirtù per la quale, comedice S.Paolo, l’uomopuò tutto sperare e tuttosopportare.Inoltre l’esercizio dellacarità non è, e non puòessere, qualcosa diastratto ed estraneo, maè legato alla quotidia-nità attraverso l’intrec-cio dei rapporti umani,le azioni più semplici eusuali, le consuetudini,i caratteri, la cultura,cioè tramite tuttoquello che costituiscela vita.Ogni scelta ha almeno una motivazione. E’anche normale che i motivi si mescolino conuna certa dose di plurivalenza. Non si può es-ser così ingenui da credere che le intenzionisiano pure e uniche.Tuttavia ciascuno dovrebbe sempre tendere aesercitare la mente affinchè la riflessione cri-tica riesca a mantenere vive e solide le in-tenzioni iniziali, perché nel corso del temponon subiscano un inesorabile declino, unaspontanea denaturazione che ci farebbe en-trare in crisi.Le motivazioni possono nascere da ideali no-bili ma, più frequentemente ed anche ingan-nevolmente, nascono dal calcolo e dall’op-portunità. Allora, perché stupirci di un’ami-cizia che finisce su iniziativa dell’altro senzaapparenti e chiare ragioni? Perché stupirci diun progetto all’improvviso abbandonato?Perché il comportamento diventa freddo edistaccato?L’emotività, le intenzioni e i buoni senti-menti non riescono da soli a sostenere la

volontà.Dunque nel momento in cui ci si accorge chesolide motivazioni non sono mai esistite oche in realtà coprivano ben altre finalità piùorientate dall’egoismo personale oppure cheerano del tutto false…allora una profonda elacerante scissione provoca in noi l’abban-dono dell’impegno e, via via, il repentino ri-fiuto della stessa scelta a suo tempo operata.E per tentare di contenere i danni di questasconfitta battiamo in ritirata in sordina, comese si trattasse di un ricordo sfumato, cancel-lando dai pensieri ogni sorta di coinvolgi-mento, tutto il tempo e la porzione di vita de-dicati.Fin qui sembra che il percorso umano siadavvero comune. Ma solo fin qui. E’ proprioquesto (quello della battaglia persa, quellodella delusione, quello della crisi) il mo-mento per chiedersi nuovamente se maivalga la pena di riabbracciare la scelta e dun-que tornare a credere e a sperare in un cam-biamento, in una riconquistata libertà della

nostra azione. E’un bivio decisio-nale fondamentalee molto impor-tante.Potrebbe essere ilmomento del“malgrado tutto”.Al fondo di questovicolo, ognunopotrebbe ritrovarela strada, potrebbeoperare ancora lastessa scelta pas-sata come se fosseuna scelta nuova.I calcoli e i vecchiopportunismi ca-drebbero aprendolo spazio a motiviveri. L’impegno ela responsabilitàpersonali si fareb-bero vigorosi.Infine ognuno po-trebbe così tro-varsi ad amare lapropria strada e lepersone che vi in-contra.E, dal fuori di sé,

sentirebbe commentare che ha perseveranza.Spesso la gente non distingue tra perseve-ranza e testardaggine.La testardaggine è una sorta di malannodell’insistenza immotivata che spesso traespunto dall’ignoranza.La perseveranza invece è la caratteristica ra-zionale della carità (amore concreto per glialtri). L’amore muove non solo le parole masoprattutto i fatti. Che amore è mai quellodetto e non fatto? Che parola è mai quelladata e poi sottratta? A che cosa serve un’ideache non sfoci in concretezza?Ecco perché il vestito della carità è la perse-veranza: perché la perseveranza rende certo,concreto, operante e continuo l’eserciziodell’amore, nonostante tutti i limiti, nono-stante ogni difetto ed ogni imperfezione,“malgrado tutto”.E muove il nostro corpo intero, in un unicopalpitare del cosmo, insieme con le stelle. ■

* docente presso la Università Cattolica del SacroCuore

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Nel periodo pasquale del 2004,in viaggio per l’ennesima voltaverso i Balcani profondi, tran-

sitiamo per le splendide cittadine dal-mate.Eccoci a Traù/Trogir, un gioiello di ar-chitettura veneziana. Dopo la visita,passeggiamo sul bordo del mare fitto diauto provenienti da mezza Europa edecco, improvvisa sul retro di un pulmi-no, l’iridata bandiera della Pace.Interdetti ci guardiamo attorno: ci ren-diamo conto all’improvviso che, daquando siamo entrati in Slovenia eCroazia, non ricordiamo di averne vistaneppure una. La bandiera è su di un

pulmino italiano.Da quel momento staremo

all’erta e dobbiamodirvi che, transitati

per Mostar, Saraje-vo, Jaice, Knin ed

altre zone devastate dalla decennaleguerra dell’ex Jugoslavia, non ne ab-biamo mai vista una.Una unica eccezione: uno straccetto le-gato alla borsa, stile Gino Strada, di unasignora (italiana!) a Sarajevo.Anche in alcuni luoghi topici di questamartoriata città, come il tunnel o ilmercato, nessun accenno al drappo iri-dato.Ma non è questo il discorso che voglia-mo portare avanti.Possibile che i Balcani, l’unica terra eu-ropea che ha conosciuto una guerra sel-vaggia quasi decennale in questo ultimoscorcio di secolo, non senta nessunapulsione per la bandiera della Pace?Tanto più che, così vicino all’Italia,avrebbe potuto importarne a migliaia!Grazie all’amicizia con molti cittadiniex-jugoslavi, alla lettura di testi sull’ar-gomento ed alla conoscenza diretta dimolte aree balcaniche, mi considero unpoco un “esperto” in materia.E proprio per questo affermo che ogniscrittore di cose politico-sociali, ognigiornalista, ogni politico europeo do-

vrebbe studiare a fondo quell’area e vi-sitarla. Ma non soggiornando neigrandi alberghi delle città quanto per-correndo e calandosi in questa zonad’Europa ove talune passioni umanesono ancora all’ordine del giorno.Si scopre allora che la dottrina, di ori-gine marxista, secondo cui tutte le guer-re sono di origine economica non sem-pre funziona.Si scopre che antiche cause d’attrito,quali lingua, razza, religione sono an-cora attuali. Si scopre che una nazione(l’ex Jugoslavia) è esplosa non a causama addirittura contro gli interessi dellepotenze per quegli ancestrali odi checovavano sotto la cenere e si scopre an-che - triste ma inutile negarlo - che lacosiddetta Unione Europea in quellaguerra decennale ha fatto una pessimafigura, sommando incapacità politicaad incapacità militare.

Come mai i Balcani sono così com-plessi e di difficile comprensione pernoi ricchi e pacifici europei occiden-tali?Le motivazioni vengono da molto lon-tano. Bisogna risalire addirittura al pe-

BALCANI:2000 anni di guerre

di Nemo Canetta

La dottrina, di originemarxista, secondo cuitutte le guerre sono diorigine economica nonsempre funziona.

■ Passo Alan (Dalmazia interna - gruppo delVelebit). Lungo la carrozzabile si supera uncarroarmato serbo, distrutto dai c roati.

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riodo romano quando queste terre era-no abitate da tribù illiriche che, secon-do alcuni storici, spingevano le loro pro-paggini sino al Veneto e all’area retica.Insomma, cari conterranei tellini, for-se nelle vostre vene corre qualche stil-la dello stesso sangue che scorre in ve-ne albanesi!Con la caduta dell’impero queste aree,solo superficialmente romanizzate, fu-rono invase da un coacervo di popoli diorigine slava che giunsero sin nel cuo-re della Germania e nelle Alpi sino al-la Pusteria.Questi popoli erano tra loro diversi co-me oggi sono enormemente dissimilipolacchi e macedoni o sloveni; per dipiù assorbirono, come è naturale, le lo-cali popolazioni di varia cultura e ci-viltà. Solo sulla costa adriatica le cittàriuscirono per secoli a resistere a questaspinta.Questa situazione magmatica fu com-plicata da molte influenze esterne: bul-gari e serbi (peraltro nemicissimi tra lo-ro) pendevano verso Bisanzio e la reli-gione cristiano ortodossa, croati e slo-veni verso il mondo ungaro-germanicoe veneziano ed ebbero il cristianesimoda Roma.Con il risultato che serbi e croati, purparlando una lingua quasi identica, lascrivono ancor oggi in modo diverso: iprimi in cirillico, i secondi in caratterilatini!Se gli sloveni finirono rapidamente sot-to l’influenza austriaca ed i croati sottoquella ungherese, serbi e bulgari cerca-rono di costruire loro imperi sovente incompetizione con i bizantini.Se i Balcani avessero avuto il tempoche ha avuto l’Europa occidentale perassestarsi, forse anch’essi avrebberotrovato un loro equilibrio.Ma non fu così: mentre in Italia muo-veva i primi passi il Rinascimento e neiBalcani si andavano coagulando deglistati nazionali, su quest’area si abbattéinarrestabile, come un’onda di pienache tutto distrugge e travolge, l’inva-sione ottomana che, sconfitti i pur co-

raggiosi serbi alla Piana dei Merli nelKossovo e i valorosi ungheresi aMohacs, dilagò sino nel cuore d’Euro-pa.Non dimentichiamo che tali forze, rite-nute quasi irresistibili, furono definiti-vamente battute, sotto Vienna, da un’ar-mata polacco-austro-germanica, solo al-la fine del XVII secolo!Non fu un’invasione come tante altrepoiché i turchi erano in alternativa conquel mondo greco-romano-cristiano chesi stava consolidando nel resto d’Euro-pa.Oggi coloro che sostengono la possi-bilità di convivere pacificamente congli stati islamici non a torto affermanoche tali stati furono sovente più tolle-ranti con le minoranze di quelli cri-stiani.Verissimo ma ci si dimentica che l’in-vasione islamico ottomana sovente di-strusse ogni traccia della preesistentecultura.In ogni caso, secondo la legge islamica,i cristiani (e gli ebrei) erano sì tolleratima come cittadini di serie B.In pratica era loro interdetta ogni attivitàpolitico sociale; erano tollerati, soven-te potevano anche vivere decentemente(per il tempo …) ma ogni attività e li-bertà politica era loro negata.Non meraviglia quindi che in molte ter-re balcaniche intere popolazioni, perovvi interessi, passarono in massaall’islamismo. E’ il caso dell’Albaniaove il 70 % della popolazione, che pursi era battuta duramente contro i turchi,passò alla nuova religione. E’ il casosoprattutto del Sangiaccato e della Bo-snia dove i serbi e i croati locali passa-rono anche qui in massa all’islamismoe tali “convertiti” costituirono per secolila spina dorsale del governo e della clas-se commerciale. Ma era ovvio che, difronte ad un “ritorno” di forze che siispiravano ad altri valori la loro situa-zione sarebbe assai peggiorata. Ed in-fatti così è stato.Se aggiungiamo che la dominazione tur-ca non brillò per onestà e ordine ammi-nistrativo, che per secoli ebbe come uni-co scopo di puntare verso il cuoredell’Europa con spedizioni militari eche trascurò quasi sempre le provincedell’impero a vantaggio della capitaleIstambul, si può ben capire come i Bal-cani furono trasformati in una delle areepiù depresse e caotiche d’Europa.E non basta. Perché in molte terre, co-me in Kossovo, l’etnia che prima eramista coi serbi diventò gradatamente

solo albanese. Ma i serbi, memori sem-pre del loro sfortunato coraggio allaPiana dei Merli, hanno sempre pensatoche il Kossovo debba ritornare loro.Quanto ai croati, ormai sotto gli Asbur-go si considerarono giustamente ( e siconsiderano tutt’oggi) l’antemuraledell’Europa contro l’invasione turcoislamica. Verso la seconda metà delXVIII secolo l’impero asburgico e quel-lo ottomano, ambedue plurinazionali,riuscirono finalmente a trovare un loroequilibrio.Ma sui Balcani si abbatté una nuovatormenta: il concetto di “nazione” por-tato in Europa sulle baionette da Napo-leone ed il conseguente nazionalismoottocentesco.Ed allora ogni popolo volle avere il suostato. Ma non era semplice, come di-stinguere serbi e croati se non tramite laloro religione? Ed i bosniaci musulma-ni da che parte stavano, circondati emescolati come erano da croati cattoli-ci e serbi ortodossi? Quali confini darea un’Albania che sino ad allora non eramai stata una nazione né seriamentepresa in considerazione? A chi asse-gnare il Kossovo, etnicamente albane-se ma (secondo i serbi) storicamenteserbo? E la Macedonia era bulgara oserba?Abbiamo elencato i “punti caldi” chedolgono ancor oggi ma nell’ottocentove ne erano ancora altri che (speriamodefinitivamente) oggi sono stati supe-rati.Come gli attriti sui confini tra greci,macedoni ed albanesi o il contenziosotra italiani da un lato e sloveni e croatidall’altro per l’Istria e la Dalmazia.Senza contare la Voivodina, all’epocaabitata da serbi, rumeni, ungheresi ecoloni germanici (espulsi, questi ultimi,dopo il 2° Conflitto mondiale).La passione nazionalistica non potevanon travolgere questi popoli in contra-sto tra loro, così frammentati e fram-mischiati, tanto più che alcuni come iserbi amavano autodefinirsi “Piemontedei Balcani” rivendicando la stessa fun-zione storica avuta dal Piemonte versol’Italia: unificare tutti gli slavi del sud.Ma bosniaci musulmani, croati e slo-veni avevano sovente idee diverse;quanto ai bulgari sognavano di ricosti-tuire l’antico impero esteso dalle portedi Bisanzio, all’Albania e Saloniccco!Città sulla quale appuntavano le loromire pure i serbi e, naturalmente, i gre-ci.Certamente su queste divisioni gioca-

L’ultimo numero della Rivista Limes, lamigliore di geopolitica che si stampi inItalia, titola “Il nostro oriente” riferen-dosi ai Balcani.Il titolo ha molti significati più o menoreconditi. I Balcani sono ad orientedell’Italia ma sono anche un’area insta-bile come il Medio Oriente. E su di essasi allunga inquietante l’ombra del terro-rismo islamico …

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rono anche interessi politico-economi-ci delle potenze di allora ma non furo-no che il sale sulle ferite.E così, a cominciare dal 1911, con ledue guerre balcaniche, iniziò per questipopoli un periodo di lotte fratricide che,con brevi interruzioni e solo qualche at-timo di relativa tranquillità, finì dopoquell’immane macello che nei Balcanifu la Seconda Guerra Mondiale.L’argomento è così complesso (e ci ri-guarda così da vicino) che, se possibi-le, sarà trattato in una nuova puntata. Peroggi basti dire che, solo nell’ex Iugo-slavia, si parla di circa 2 milioni di mor-ti, in gran parte dovuti a lotte fratricidee non da ascriversi agli occupanti italo-germanici.Poi venne Tito. Personaggio sicura-mente discutibile (specie per noi ita-liani), capo politico-militare forgiato al-le scuole di Mosca, spietato con amicie nemici che sicuramente se non ordinòmassacri e pulizie etnico politiche neporta la responsabilità. Ma anche finis-simo stratega che seppe condurre ma-gistralmente la resistenza contro l’oc-cupante e creare una nuova Iugoslaviafederale che guidò, con pugno di ferro,fino alle soglie degli anni novanta.Una Jugoslavia comunista ma amicadell’occidente ove il libero mercato ave-va una sua parte e dove il nazionalismoera tenuto sotto controllo. Una Jugosla-via che divenne “punto di forza ed equi-librio” dell’area balcanica.Ma non poteva durare.Morto Tito, abbattuto il muro di Ber-

lino, tutti gli equilibri interni ed ester-ni saltarono.Con grande sconcerto e meraviglia del-la pacifica Europa occidentale e del di-stratto mondo diplomatico, ci si accor-

se che nei Balcani tutto era restato co-me nel 1945: al di là delle dimostra-zioni di “fratellanza” molti, troppi croa-ti odiavano i serbi cordialmente ricam-biati. E così via per tutti gli altri motivi

di attrito.Il resto è storia di og-gi.“Una considerazionefinale s’impone: nellaex Jugoslavia non viera petrolio né oleo-dotti da tracciare néaltri minerali o risor-se strategiche … ep-pure la guerra è scop-piata tremenda, lun-ga, distruttiva.”C’è di che far pensa-re, specie rispetto acoloro che “sannotutto” e “spieganotutto” solo in nomedell’oro nero! ■

■ Knin (Dalmazia interna).Il leone di S. Marcoall’ingresso della fortezza.La città, a lungo disputatatra Venezia e la Turchia, funegli anni novanta ilcapoluogo dei separatistiserbi nell’ambito dellaRepubblica Croata.

■ Zagabria, palazzod’epoca asburgica; lacapitale della Croazia èuna città di respiromitteleuropeo.

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In certe antiche basiliche, l’imma-gine architettonica é spesso fattaoggetto di studio accurato assieme

alle opere d’arte che esse contengono.Ma, come tutti i luoghi sacri destinatial culto e che abbiano una storia mille-naria, esse hanno una significanza chetali interessi di studio trascurano e cosìfacendo riducono a mero oggetto ciòche invece ha significati assaiprofondi.L’edificio sacro ha da sempre una pro-pria realtà che va ben oltre l’apparenzaesterna. Essa manifesta qualcosa dienormemente più profondo ed altempo stesso elevato che, se fosse fattaoggetto di studio, ad esempio nelle no-stre scuole, senza dubbio stimolerebbeassai più che le solite descrizioni este-tiche o architettoniche che fannospesso venir sonno agli studenti.L’edificio sacro del cristianesimo, labasilica e la chiesa-monastero ad

esempio, non sorse quale semplicestruttura materiale onde radunare i fe-deli e basta. Esso sorse, almenonell’epoca più vicina ai tempi dei Padridella Chiesa, sia Romana che Bizan-tina (1), quale espressione di una co-noscenza e di una coscienza superiori aquella dell’uomo comune.Il Cristianesimo, in quei lontani secoli,andava rivisitando e incamerando il re-taggio dell’arcaica cultura mediterra-nea trasformandolo e sviluppandolosecondo il messaggio di Gesù Cristo,l’Emmanuel.La chiesa, la costruzione materiale ovecelebrare la Cena, secondo la visioneprofondamente illuminata dei Padrifondatori, divenne a poco a poco unamanifestazione terrena capace di evo-care la reale possibilità, per l’animaimmersa nella materia, di riscoprire lastrada per raggiungere il Paradiso gra-zie a Gesù, il Cristo.

Ragion per cui, per certe costruzioniantiche, l’arcaica capacità dell’uomodi vedere antropomorficamente l’uni-verso, si manifestava nel sapere che lachiesa, quella data chiesa, era come il“corpo glorioso” di Cristo (2) inCroce.Lo spazio sacro, consacrato secondo iriti della religione cristiana, apriva lapossibilità di una creazione ove la vitadi tutti giorni poteva trasfigurarsi e tro-vare la dignità della santificazione per-correndo la basilica durante i riti o pre-gando e meditando in essa durante lacelebrazione della Messa.Il corpo di Cristo era la chiesa stessa(3), i santi piedi erano nello spazio ovesi entrava, il suo venerato corpo lungol’asse centrale sino alla sacra zonadell’Altare Maggiore, mentre le brac-cia si distendevano naturalmente lungogli spazi laterali.La Croce disegnata dall’architettura

Il mistero delle antiche basilichedi Raimondo Polinelli

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materiale era la custodia o il taberna-colo di tutto il corpo del Cristo inCroce, laddove la Croce non era più vi-sta quale mero simbolo di sofferenzamateriale, bensì la trasfigurata luce egloria del Cristo che libera l’uomodalla prigione dell’ignoranza e dallabestialità della vita dedita solo alla ma-teria.Non si trattava, quindi, di un semplicesimbolo quale lo si intenderebbe oggi,bensì di una effettiva “presenza” conti-nuamente avvalorata dalle celebrazioniliturgiche: il corpo di Gesù, il Figlio diDio, era vivente e celato nella chiesastessa e l’ambito materiale era umilema veridica figurazione di questa pre-senza: si creava così un tramite, un“passaggio” possibile dal mondo co-mune al mondo divino.Ecco anche il perché delle particolaridevozioni verso un “certo” edificiopiuttosto che verso un altro: non sitrattava di superstizione, bensì di una“predisposizione”, o “ispirazione” arecarsi in un luogo speciale e partico-lare, ove le coscienze più elevate deicredenti avvertivano una “possibilità”speciale, un aiuto particolare, un’ispi-razione specifica e trascendente gli af-fetti terreni.Né più e né meno che similmente allascelta fra un luogo più salubre di un al-tro, o una persona più santa di un’altrapresso la quale si preferisca recarsi in-vece che stare al cospetto di chi è menovicino alla trascendenza col Divino.La cosa, poi, appare ancor più chiarase pensiamo che proprio questa “vici-nanza” é data dalla capacità insitanell’essere umano di “sentire” e ”ve-dere” all’“esterno” ciò che é celato nelpiù profondo del suo intimo (4), benoltre il mero io quotidiano.Ragion per cui, nei tempi antichi,come potrebbe benissimo essere ancheoggi, poiché il Divino é libero dal“tempo”, il luogo ove erigere una basi-lica o una chiesa-monastero, era accu-ratamente cercato e considerato se-condo una visione “segreta” e sacra,ove la santità del fondatore facevatutt’uno con la ricerca e la scelta deitempi e dei luoghi ove edificare questocorpo di Gesù Cristo materializzato alfine dell’apertura di strade o pontiverso il Paradiso e la Sapienza libera-toria dai dolori dell’esistenza terrena.Che in tutto ciò avessero grande im-portanza meravigliose apparizioni an-geliche o della Santa Madre DivinaMaria, questo appartiene a quel se-

greto che ognuno può scoprire in séstesso, laddove il simbolo del Divinosvela i suoi raggi di Luce onde renderel’uomo felice e capace di riedificareanche una nuova società per il benesuo e di tutti: pro salute populi.E’ da sottolineare come Gesù Cristol’Emmanuel sia da scoprire, nel se-greto di questi luoghi sacri, quale “li-beratore” e creatore di intima gioia efelicità, non essendo ancora o mai ac-caduto, quando sorsero questi edificicultuali, come nella Chiesa Orientale,che venisse posta, (vedi nel ‘600 in Eu-ropa), l’attenzione soprattutto sullapassione carnale di Gesù in modo os-sessivo e barocco (5).La redenzione tramite l’opera di Gesùappare realizzata, e l’opera Cristica siespleta nella volontà di liberare l’uomodalle sue sofferenze.La presenza mistica del Cristo inCroce, secondo certe raffigurazioni bi-zantine, é una presenza gioiosa, poichél’opera del Cristo é riuscita e la sua re-surrezione ha cambiato la vitadell’uomo e proprio il potere miraco-loso di certi “luoghi sacri” é quello difar partecipi di questa verità l’uomoche qui preghi e mediti: una stradaaperta verso il Paradiso interiore, eforse anche esteriore.Del resto ciò si sposa bene al signifi-cato antico e vivente della croce qualesimbolo di vita e quindi di gioia serenae miracolosa, e ricorda anche le sereneagapi cristiane.Il simbolo del “centro del mondo” chetroviamo negli antichi templi delle ci-viltà antiche, il luogo sacro dedicatoalla costruzione del tempio, venneanch’esso incamerato nel Cristiane-simo e la chiesa fu il luogo “al centrodel mondo”, poiché era simbolo stessodella presenza del Cristo salvifico do-natore di vita.Il significato cosmico della resurre-zione cristica era diponibile a tutti escioglieva i simboli fisici nelle loro ar-chetipiche realtà paradisiache.La consacrazione - animazione divinadi un edificio sacro fu l’opera di chi,conscio della verità di livelli superioridi conoscenza, portava segrete armo-nie a disposizione di ogni fedele.Da qui, oltre alla consacrazione effet-tuata da questi grandi santi veggenti,la presenza dei corpi dei santi nellechiese antiche, era testimonianza (e, incerti casi, collegamento dei devoti delsanto stesso alla conoscenza della san-tità del luogo) del beneficio dell’armo-

nia cosmica simbolicamente delineatadalle strutture murarie e dai riti ispiratiall’interno dell’edificio.

Ciò che va considerato, alfine, é chequesti edifici erano e sono tuttora dei“centri” e delle porte verso il cielo: nelsilenzio interiore, essi parlano a chi(beati immaculati in via: qui ambu-lant in lege Domini) è limpido inte-riormente e retto d’animo.Come dire: “qui habitat in adjutorioAltissimi, in protectione Dei Coelicommorabitur”. ■

(1) Uno dei campioni della speculazione cristiana fuOrigene (185-254 d.C.), che influenzò moltissimi Pa-dri della Chiesa. Basilio Magno, Gregorio di Nissa,Gregorio Nazianzeno mutuarono il suo sapere. AncheEvagrio Pontico, Giovanni Cassiano, nonché loPseudo-Areopagita furono suoi debitori, elaborandole loro esperienze mistiche nella luce del pensiero diOrigene. Ed anche il monachesimo cristiano prese no-tevole ispirazione da lui. La visione cosmicadell’opera di Gesù Cristo trovò in Origene un grandemaestro che ispirò anche molte opere architettonichedei secoli successivi.

(2) Le reliquie dei martiri cristiani e i loro stessi corpicostituirono i “martyria”: luoghi sacri, edifici che sor-gevano “attorno” alle reliquie. Erano delle vere e pro-prie chiese che si contraddistinguevano per le cupole,sotto le quali era presente l’altare che incamerava lereliquie del santo ed al quale era dedicato. Qui i fedelicompivano cerimonie commoventi in onore del santo.Su ciò il clero non era d’accordo, poiché vedeva in talicerimonie una paganizzazione della funzione liturgicaed un estraniarsi dal significato centrale della spiri-tualità incentrata su Gesù Cristo. Perciò questo cultoentrò in contrasto con le basiliche, ove era centralel’immagine di Gesù Cristo. Fra il IV e il VI sec. d.C.il culto delle reliquie si espanse sia nell’Impero d’Oriente che in quello d’ Occidente ed ancheSant’Agostino, che all’inizio non amava questa formacultuale, poi ne permise ed incoraggiò la manifesta-zione. La spiegazione é da ravvisarsi nella visione delsanto quale essere che ha trasceso in Cristo la suaumana natura e che quindi può essere presente sia neiCieli che sulla terra, e può perciò ascoltare le pre-ghiere degli uomini. Ciò non toglie che la centralità diCristo sia la vera esseità della spiritualità del simboloterreno della chiesa o basilica.

(3) Sebbene ad esempio la liturgia bizantina sia un“mistero” che vive nella santità della sua stessa sim-bologia e che si svela solo in segreto, nel cuore del cri-stiano, (la suddivisione dell’edificio sacro in quattroparti come i punti cardinali, la collocazione dell’altaread est quale simbolo del Paradiso, e il suo centro ma-teriale simbolizzi la terra), ciò non toglie che la cono-scenza della spiritualità dell’edificio sia aperta dallagrazia cristica. In poche parole, la presenza mistericadel Cristo é il senso che “apre” su altri significati ar-monici con l’Universo, e la “presenza” del Cristo Sal-vatore e Pantocreatore é la porta che apre l’epifaniadei simboli universali.(4) La Chiesa Orientale ha da sempre attribuitoenorme importanza alla preghiera interiore, alla con-templazione ed al monachesimo, proprio perché, perdirla anche con Massimo il Confessore, l’uomo écreato da Dio con virtù intime di potenziale cono-scenza della Luce e della partecipazione in essa, se-condo la “grazia”.(5) Travisando in tal caso le antiche lamentazioni sa-cre medioevali ove si cercava di capire e apprezzare,commuovendo gli animi, la grandezza del sacrificiodell’Uomo-Dio fatto per Amore divino.

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L’ho conosciuto tardi, troppotardi, perché della conoscen-za e della frequentazione di

uomini come lui si sente il bisogno diuna sorta di “anticipazione” nel tem-po, quando il tempo si rivela poco,troppo poco perché finisce per quellapersona, che se ne è andata per sem-pre, ancorché sia rimasta nel cuore,nel ricordo e sia sempre in quella for-ma di “presente del passato” che è lamemoria, secondo l’avvertenza diSant’Agostino.Arduino se ne è andato che aveva po-co meno di settantadue anni, spe-gnendosi a poco poco, colpito da quelmale del quale si dice “che non per-dona”, con dignità, attorniato, comeun antico patriarca, non soltanto daifamiliari, ma da tanti altri, da tutto (oquasi) il paese, perché a tutto (o qua-si) il paese aveva fatto del bene. E nonc’è cosa più bella per un uomo - pen-

siamo - che andarsene lasciando caramemoria di sè per quel che si è datoagli altri: lasciare insomma “ereditàdi affetti”.Tutto il paese (o quasi) era andato so-vente a salutarlo, o a chiedere notizie,nella sua abitazione, quando qualchemese prima di morire non aveva piùmosso piede fuori di casa.È un paese singolare, quello dove abi-tava Arduino. Non ne faremo il nome,e per riecheggiare Gozzano, ecco: “undolce paese che non dico”... ai piedidel Montello, con una bella piazzettadecorata di qualche aiuola e cipressidavanti alla chiesa; e un po’ più avan-ti, proprio dove Arduino abitava (vec-chia casa di una volta, accogliente cor-tile con alberi e fiori), all’incrocio fradue strade, un tempietto con l’imma-gine della Madonna che qui si festeg-gia a Ferragosto: l’Assunta.Una immagine cara alla gente del rio-

ne, che nelle sere di maggio compieancora il pio esercizio della recita delRosario.È uno sparuto gruppo di donne, cheaccanto al tempietto si fermano poi, enon soltanto nelle serate di maggio,per gli ultimi conversari, le venete“ciacole”.In questo “dolce paese che non dico”non si vedono più i segni di quell’an-tica miseria che, poco distante, fra glialberi del Bosco Montello, aveva da-to origine alla “categoria” dei “bi-snenti”, cioè a dire i due volte nulla-tenenti, i due volte niente! Un ricordodi prima dell’ultima guerra mondiale,ora cancellato da un benessere a lun-go ricercato, desiderato, sognato, eche tale si è realizzato a forza di la-vorare, lavorare e ancora lavorare.Talchè, il “dolce paese che non dico”,del resto come altri luoghi di questezone, non presenta una abitazione chenon sia nuova o rimessa a nuovo, e an-che le cosiddette “case popolari” sipresentano semplici ma dignitose. Igiardini e gli orti vi abbondano, e co-sì vigne e pollai, con qualche alleva-mento di maiali in grazia (si fa per di-re) del quale, a seconda di come giriil vento, qualche odore di... dubbiogusto arriva or qua or là.Non manca, in questo ambiente dimolta pace, la classica villa gentilizia,antica e palladiana - s’intende - e delresto, tutt’all’intorno è una fioritura(antica) di ville venete: siamo o nonsiamo, del resto, nella splendida Mar-ca Trevigiana?!Strade lunghe e strette: statale, pro-vinciale, molte comunali pochissimofrequentate, per la gioia di chi vogliapedalare tranquillo, immerso nellacampagna, con davanti il compagne-vole scenario del Montello e quindi,dietro, la visione solenne dei montiche lo sovrastano: in primis, le super-be Pianezze.In questo paese di pochi abitanti e diintense attività artigianali e (soprat-

Arduino, come un patriarcadi Giovanni Lugaresi

I L R A C C O N T O

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tutto) rurali, c’è tutto il campionario diquella varia umanità che popola di so-lito i luoghi di campagna. L’attacca-brighe che trova soddisfazione nel li-tigare all’osteria per un nonnulla; lostravagante pseudosaggio che vive al-la giornata immerso nei suoi sogni,guardandosi bene dal muovere un di-to per fare un qualsiasi lavoro; le tan-te gentili, generose, disponibili per-sone che, se hai bisogno di una qual-siasi cosa, si fanno parte diligente e saidi poter contare su di loro.C’è - o c’era - la sempre sorridentedonna di colore che si fa qualche chi-lometro a piedi, e con qualsiasi tem-po, per andare a servizio; non manca-no i fanatici della moto (con o senzacasco) che si beano del rombo del mo-tore, e pare così possano realizzare sestessi, le loro aspirazioni, dandocidentro con la manetta per fare un dipiù di rumore - degli altri chi se ne im-porta?!E se c’è il bonaccione, sempliciottoche vive andando a fare qualche lavo-retto “par qua e par là” in cambio diqualche euro e di un paio di bicchieridi rosso, e che non farebbe male a unamosca; c’è anche la carogna che go-de delle sventure altrui, e c’è anche ilvendicativo, ma sprovveduto, e di-stratto al punto da spararsi un colpo alpiede per avere maldestramente infi-lato l’arma a canne in giù, dentro ipantaloni mentre se ne sta andando aminacciare qualcuno - cosa da fare ri-dere tutto il paese e zone limitrofe, eda essere annoverato, novello “Spara-fucile” (ma qui Verdi non c’entra!)negli annali di un luogo dove, trannele nascite, i matrimoni, le morti, la sa-gra patronale, la grandine che ha col-pito viti e granturco, e qualche cornodi non “ordinaria amministrazione”,accade ben poco...Arduino era nato poco lontano daqui, in una povera casa di una poveracampagna. Una famiglia con tanti fra-telli e tante sorelle, ben presto disper-si un po’ qua e un po’ là, in Italia eall’estero, come avveniva all’indoma-ni della fine della Grande Guerra, colfenomeno emigrazione tutt’altro chesuperato.Lavoratore, dotato di buon senso,energico e deciso, era diventato unpunto di riferimento per tanti.C’era una disputa da risolvere a pro-

posito di confini di terreno? Si anda-va da Arduino.Serviva un consiglio per acquistareuna casa? Eccolo pronto a fornirlo.Litigi in osteria per futili motivi? Eralui a far da pacere.Aveva ricoperto anche cariche am-ministrative: eletto dal popolo in con-siglio comunale per diversi anni.La sua generosità non la si misuravacerto a bicchieri di vino: quei bicchieridi vino che a chiunque bussasse allasua porta venivano offerti. E il giornonel quale gli nacque un nipotino, duecapaci damigiane furono poste in cor-tile: una piena di rosso, l’altra per ilbianco. E chiunque passasse lì davan-ti, si faceva “un’ombra”. A forza di“ombre” - va da sè - qualcuno ci tiròsu una balla, naturalmente alla salutedel neonato, e di Arduino, s’intende.Ma di salute, lui ne ha avuta poca. In-terventi chirurgici, cure, e alla finel’ultima operazione, l’ultimo dispera-to tentativo perché potesse andareavanti. Gli erano stati dati tre mesi divita: durò ancora un anno. Fin quan-do fu in grado, vivendo la sua solita vi-ta di pensionato, fra la casa, l’osteria,gli amici. Combattivo, generoso, ap-passionato di sport e innamorato del-la vita.Poi, pian piano, il declino. Più nes-suna uscita di casa, dove alternava alletto il divano o la poltrona. Finchè,dal letto, di muoversi non potè quasipiù. E fu in quella circostanza, che, es-sendo ancora un mite settembre, e nonvedendolo più seduto in cortile, fra al-beri e fiori, incominciò la serie di vi-site di questo e di quello e di quell’al-tro. Uno scambio di parole, di saluti...un augurio, un abbraccio. E lui sape-va bene, anche se non glielo si era det-to per quella pietà (ma è davvero pietàper loro, o non magari per noi stessi?)che ci fa spesso mentire ai malati or-mai alla fine, che quelli erano gli ul-timi auguri, gli ultimi abbracci.Se ne è andato una mattina d’inizioottobre, una mattina piena di luce, ma-grissimo, ridotto a pelle e ossa, dopoessersi rigirato sul suo letto di mala-to, e dopo avere scambiato qualcheparola con la moglie e una cugina.Poco prima c’era stato il dottore, chenon aveva presagito un trapasso cosìrepentino. E due giorni avanti era ve-nuto il prete; così aveva potuto rego-

lare anche gli ultimi conti col Padre-terno. Fatto tutto, insomma, come sideve...Ad accorgersi che dal sonno era pas-sato oltre la vita, erano state le duedonne che lo assistevano, sedute aipiedi del letto. E furono loro ad av-vertire la figlia, il nipote, i parenti, gliamici.Così si moriva una volta... In casa,coi familiari attorno.In paese, la voce di quella morte sisparse rapidamente, come succede intutti i paesi. E incominciarono le visi-te. Era di venerdì. Gli addetti dellepompe funebri allestirono la cameraardente; Arduino, rivestito di scuro,stringeva fra le mani due corone delRosario. Una era della moglie, l’altragli era stata donata dall’ultimo amicoche si era fatto qualche anno prima eche lo aveva con discrezione, ma af-fettuosamente, seguito nel tempo del-la malattia.Per tutto il pomeriggio di quel venerdì,il sabato e la mattina della domenica,fu un susseguirsi di gente nella came-ra ardente. Segni di croce, una pre-ghiera mormorata, tanti occhi lucidi,qualche pianto.I funerali, la domenica pomeriggio:gremita la chiesa; c’era tutto il paese(o quasi), e poi quel paese intero (oquasi) formò il corteo per l’accompa-gnamento in cimitero, sotto un cielogrigio di un tipico autunno incipien-te...La cassa fu calata nella fossa - nellanuda terra aveva lasciato detto, Ar-duino, di voler essere sepolto - men-tre la corale della parrocchia cantavail “Libera me domine”, in latino, s’in-tende.........E occorreva questo funerale di paese,questo addio a una sorta di vecchio“patriarca” che nel paese aveva la-sciato più di un segno del suo passag-gio di generosità e di saggezza, persentire le note di una musica, le paro-le di una preghiera che vengono dallalontananza del tempo.Note e parole antiche portate fino adoggi attraverso i secoli, note e paro-le che forse in tanti, oggi, non inten-dono più, ma che per Arduino, perquell’addio - che non era poi un ad-dio, perché per chi ha fede la mortenon è “la fine”, bensì “il fine” dellavita - andavano benissimo. ■

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Appena giunta la notizia, l’alloraPresidente del Consiglio, il sen.Amintore Fanfani, nel tele-

gramma di cordoglio alla vedova e aisuoi cinque figli, esaltò le doti civicheoltre che la fama dello scienziato e di-spose in accordo con il Ministro dell’In-terno, sen. Taviani, per il conferimentodella Medaglia d’Argento al Valor Ci-vile, con la seguente motivazione:“Gravemente malato, continuò ad as-sistere i suoi pazienti e ad insegnare aisuoi allievi; raro esempio di stoicismoe di virtù umane”.

Già da diversi mesi luistesso aveva diagno-sticato il male incura-bile che gli procuravamolte sofferenze, esolo da una ventina digiorni aveva chiesto ilricovero in clinica do-ve le condizioni peg-giorarono.Il prof. Angelo DeGasperis era il re-sponsabile della “Di-visione di ChirurgiaCardiotoracica” del-l ’Ospedale “Ca’Granda” di Milanodal 1956, la prima inItalia.

Nato a Maggiora, inprovincia di Novara,nei pressi del Lagod’Orta, aveva sola-mente 52 anni.Si era laureato a Torino non ancoraventiquattrenne nel 1934.Giovane ufficiale medico, in Etiopianel 1935, addetto ai reparti dell’aero-nautica eseguì in condizioni disagiate,sotto una tenda, i suoi primi interven-ti chirurgici.Nel secondo conflitto mondiale ebbeacora modo, a bordo di un cacciator-pediniere, di prestare la sua compe-tenza chirurgica e medica.Tra le due guerre, dal 1936 al 1940,operò come aiuto-chirurgo del prof.Donati, all’Istituto dei Tumori di Mi-lano in piazzale Gorini.Dopo la guerra fu aiuto del prof. Fa-siani, alla Clinica Chirurgica dell’Uni-versità.In quegli anni compì lunghi soggior-ni all’estero, presso i più noti chirur-ghi degli Stati Uniti, della Gran Bre-tagna e della Svezia, per acquisire nuo-

ve metodiche, da applicare nel suo Isti-tuto in Italia.La sua specializzazione in Chirurgiacardio toracica gli procurò fama e ono-ri, ma soprattutto tanta riconoscenzada tutti i suoi assistiti.

Devo a lui se sono ancora tra voi e lovoglio ricordare, perché io stesso fuioperato da lui il 13 giugno 1959, nellasua Divisione Ospedaliera di Niguarda.Lo avevo scelto, su consiglio del dottorAlfredo Palminiello, che allora era suoassistente e poi in seguito ad Ancona fucardiochirurgo per diversi anni.Sapevo da lui che il prof. De Gasperis,

oltre ad essere do-tato di vasta espe-rienza clinica, eramolto prudente einterveniva sola-mente quando “inscienza e coscien-za” si era convintodi essere utile alsuo paziente.Mi chiamò, infatti,quando decise dioperarmi nel suostudio e mi disse:“Sei un medico eposso anche dirtiche l’intervento èmolto rischioso.Però penso che so-lo operandoti puoiavere la possibilitàdi continuare a la-vorare per qualcheanno, senza reci-dive. Troverò io ilmodo adatto perdire queste cose aituoi genitori”.Aveva perfet ta-mente capito chenon mi sarei mai ti-rato indietro!Angelo De Gaspe-ris univa all’estre-

ma cura nella preparazione anche psi-cologica del paziente, l’alta dottrina,l’ineguagliabile perizia di chirurgo e laperfetta organizzazione della sala ope-ratoria.Era dotato di grande umanità: il suo lar-go bonario sorriso affascinava chi si af-fidava alle sue cure.In riconoscimento di queste sue altevirtù gli venne conferito dal Comitatodel Premio Notte di Natale, nel dicem-bre del 1961, in una indimenticabilemanifestazione d’affetto, al Circolo del-la Stampa in Corso Venezia a Milano,il “Cuore d’Oro”.Riposi in pace! ■

Ricordo del cardiochirurgoProf. Angelo De Gasperisdi Alessandro Canton

Un laconico annunciodella Agenzia ANSA diquarantadue anni fa!

“Il 10 luglio 1962, inuna Clinica di Milanoin via Quadronno, si èspento alle ore 17 ilprof. Angelo DeGasperis, uno dei piùillustri cardiologid’Italia e del mondo.La salma, trasferitanella camera ardente,allestita all’Ospedale diNiguarda, é meta di unincessantepellegrinaggio dicolleghi e di malati”.

Io, quel giorno, piansi.

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Il repertorio propostosul CD “Salute fromItaly”, edito da Mi-

rasound (Olanda), quin-ta incisione per l’OFV, èdi grande interesse, siaper la rappresentativitàdegli autori che per lapopolarità della fruizio-ne musicale.

L’Ottocento è il secolonel quale si afferma pre-potentemente l’opera li-rica, genere nel qualenomi come quelli diVerdi (presente con latrascrizione di una dellesue ouvertures più im-portanti), Ponchielli (fuanche maestro di banda,lasciando moltissimibrani originali, fra cuiquesta bella “Fantasiasulla Traviata”… diVerdi) e Puccini(che scr isse la“Scossa Elettrica”per il centenariodella pila di Ales-sandro Volta) nonhanno certo biso-gno di presentazio-ni.Nel contempo alcunimusicisti fanno an-che la conoscenzadella banda, chi inItalia, chi negli StatiUniti come emigrantein cerca di maggiorfortuna artistica.E’ il caso, quest’ulti-mo, di Boccalari (la sua“Fantasia di concerto”è uno dei brani pereuphonium solista piùeseguiti in tutto il mondo), Creatore(con la velocissima “March Electric”) eSbraccia (con la tradizionalissima “LaBanda nascente”).Anche in Italia alcuni autori iniziavanoa scrivere brani per fiati: De Nardis,compositore abruzzese, si aggiudicò ilprimo premio ad un concorso naziona-le di composizione per banda con

“Il Giudizio Universale”, straordinariopoema sinfonico dai colori vividi e qua-si melodrammatici, mentre il lazialeDelle Cese scrisse la bellissima “Ingle-sina”, senza sapere che avrebbe avuto,più tardi, grande successo anche negliStati Uniti. ■

Il CD è stato registrato a Sondalo, con la collabora-zione degli Amici della Musica ed il sostegno dellaProvincia di Sondrio, della Yamaha e della Besson.

CD “Salute from Italy”La recensione su“CLARINO - BLÄSERMUSIK INTER-NATIONAL” n. 7-8/2004

Finalmente, per una volta, un CD perveri fans dell’Italia, per tutti quelli

che apprezzano i gesti,la sensibilità e la ric-chezza di melodia deipopoli del meridione,senza il pathos dellospagnolo, la malinconiadel balcanico e l’esube-ranza dell’ungherese.Boccalari, Verdi, Cara-bella, Puccini, Creatore- non solo l’orchestra edil direttore Lorenzo Del-la Fonte sono italiani,ma anche i pezzi pro-vengono tutti da com-positori italiani, cosache rende il CD davverovincente.Che l’Orchestra di Fiatidella Valtellina sappiafare anche altro, lo hagià dimostrato a suffi-cienza con i suoi nume-rosi CD.

Aver limitato la scelta a brani famo-si o meno famosi dei loro connazio-nali dà sapore a questa nuova inci-sione e la rende amabile.Degna di ascolto lo è comunque, per-ché sia nell’orchestra, così come neisolisti, la qualità è semplicementeottima.

Uschi Mohr

CONCERTI AGOSTO 2004

• Chiesa in Valmalencodomenica 8 Agosto ore 21

• Brescia,lunedì 9 Agosto ore 21

• Chiavenna,martedì 10 Agosto ore 21

L’OFV sarà presente con un concertoa Poschiavo (Grigioni, Svizzera) nelcorso di una manifestazione orga-nizzata e registrata dalla Radio Sviz-zera il 9 ottobre 2004.

1.Davide Delle Cese (1856-1938) INGLESINA Marcia

sinfonica

2.Edoardo Boccalari (1859-1921) FANTASIA DI

CONCERTOCorrado Colliard, euphonium solista

3.Edoardo Boccalari (1859-1921) IL BERSAGLIERE

Marcia4.Giuseppe Verdi (1813-1901) I VESPRI SICILIANI

Ouverture

5.Berardo Sbraccia (1858-1936) LA BANDA NASCENTE

Marcia6.Amilcare Ponchielli (1834-1886) FANTASIA SULLA

TRAVIATAGabriele Cassone, cornetta solista

7.Giacomo Puccini (1858-1924) SCOSSA ELETTRICA

Marcia8.Camillo De Nardis (1857-1951) IL GIUDIZIO

UNIVERSALE Poema sinfonico

9.Ezio Carabella (1891-1964) MARCIA APOCALITTICA

Marcia da concerto

10.Giuseppe Creatore (1871-1952) MARCH ELECTRIC

Marcia scherzo

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Associazione Ippofila

L’itinerario equestre programma-to: partenza dalla Scuderia “ami-ci del cavallo” di Piateda, poi

verso Poggiridenti, Surana, S. Maria,Scessa; Alpe Mara, Rogneda, Valle delRon, Campo, S. Bernardo, Ponte e ri-torno alla Scuderia “Amici del cavallo”di Piateda.Da tempo avevo in programma di fareil grande giro, però l’idea era di farlo indue giorni per la sua lunghezza, ma poi,effettuato il sopraluogo a piedi e vistoche in alto le stalle di Rogneda e Ronerano ancora chiuse, complicando cosìulteriormente le cose, ho deciso di far-lo in una sola giornata. Io sono con ilmio cavallo Stratus, Enrico con Luna e

Patrizia con Scienti.Domenica 27 giugno alle ore 7 partia-mo dalle scuderie di Piateda: la giornatasi presenta molto bella, il clima frescoci favorisce nella prima mattinata a por-tarci in quota senza troppo caldo, dopoaver superato circa 1700 metri di disli-vello.Con una buona andatura alle 8.15 sia-

mo a S. Maria, alle 9.30 alla cascina diMara, alle 10.30 siamo già sulla traver-sata per Rogneda dove ci fermiamo a te-lefonare la posizione e a fare delle fo-tografie con lo sfondo delle montagne diPiateda. Intorno a noi c’è un silenzioquasi preoccupante: pur essendo a finegiugno non ci sono ancora le mucche

per la mancanza di erba. A un certo punto rompe il silenzio unsuono di campanacci; ci guardiamo at-torno e vediamo un gruppo di capre so-pra di noi che sta scendendo.Ci fermiamo davanti alle cascine, dis-

selliamo i cavalli, li facciamo bere e noimangiamo qualcosa; ma io ho premuradi partire perché la strada è ancora mol-to lunga e può ancora succedere qualcheinconveniente. Ripartiamo alle 12.30dopo aver saluto con molto piacere duemiei amici arrivati in quel momento dal-la parte opposta: Fausto Del Vò, gran-de appassionato della montagna, e ilsig. Tavelli. Vediamo in lontananza ilpasso che dobbiamo raggiungere e ci

Il gran giro mai fatto prima da nessunodi Carlo Nobili

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Provinciale di Sondrio

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DOMENICA 5 SETTEMBRE 2004

2º RADUNO IPPICO PROVINCIALE

1º MemorialMARINO DONATI

Val d’Arigna,Località Dosso del Grillo

Organizzazione Associazione Ippofi-la Provinciale di SondrioIl classico appuntamento fra tuttigli appassionati dello sport eque-stre.Cavalli e cavalieri offriranno agli ap-passionati e curiosi, qui convenuti,una seducente attrazione con pas-seggiate in carrozza-cavallo, saggi didressage, monta western, salto agliostacoli e presentazione delle razzeequine.Informazioni e iscrizioni presso: Car-lo Nobili O342-218273, RedazioneAlpes 0342-512614, Scuderia Ami-ci del Cavallo 0342-210782.Il ritrovo, prima della partenza, èalla scuderia Amici del Cavallo, a Pia-teda, alle ore 8,30.L’iscrizione, 5.00 euro a binomio, dàdiritto a:1. copertura assicurativa infortuni

a persone e cose per tutta la du-rata della manifestazione

2. stallaggio e fieno3. pranzo “cavalleresco” presso il ri-

storante Dosso del Grillo a 20.00euro, tutto compreso.

avviamo; dopo circa un’ora siamo allecroce di legno posta in cima al valico.Per scendere verso Ron ho cercato discendere diritto, ma dopo aver provatocon Stratus ho dovuto scegliere di rag-giungere la valle perché il pendio si ri-velava troppo pericoloso.Siamo arrivati prima della cascina diRon in vista di un suggestivo laghettoche faceva da specchio alle cime sovra-stanti; il paesaggio è stupendo, ci fannocompagnia le classiche farfalle di altamontagna di colore giallo e nero. In lon-tananza si vede il passo Campandola,lo guardiamo bene, ma la unanime va-lutazione di tutti e tre è che è troppo ri-pido e scivoloso; allora scendiamo perla mulattiera un po’ in disuso versoCampo, dopo circa mezz’ora di disce-sa quando tutto sembrava proseguire almeglio ci troviamo la strada sbarrata da3 enormi larici caduti. Il pensiero di do-ver tornare indietro mi fa rabbrividire:sono circa 8 ore di cammino e risalireancora in quota anche per i cavalli è

quasi impossibile! Enrico ha con sé unasega pieghevole di circa 40 cm che saràdeterminante per tagliare i rami e crea-re sotto i tronchi il posto per passare insicurezza; dopo un’ ora abbondante dilavoro riusciamo a proseguire. Alle 16siamo a Campo, abbeveriamo i cavallie scendiamo verso S. Bernardo per poiscendere verso Ponte, non per la mulat-tiera, piena di sassi, ma per una stra-detta in terra battuta e erba, molto spet-tacolare, che per diversi chilometri scen-de con leggera pendenza verso valle. E’sicuramente la più bella strada di mon-tagna che noi abbiamo mai percorso intutta la Valtellina.I cavalli sono stanchi, ma sentono l’ariadi casa e sveltiscono il passo. Alle18.50, dopo 12 ore di cavalcata, siamoin scuderia. C’era ancora molta gente adaspettarci. Eravamo stanchi, anzi stan-chissimi, ma felici di aver concluso nelmigliore dei modi questo stupendo, lun-go e difficile giro, immersi in paesag-gi magnifici. ■

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Dopo il faro di Novate Mezzola, dedi-cato ai Caduti del Mare, i marinai incongedo della provincia di Sondrio, le-gati al motto “Patria e Onore”, a ses-santa anni dalla fine della seconda guer-ra mondiale, animati dal loro spirito mo-rale, continuano a rendere onore a co-loro che, caduti o reduci, furono partedell’Armatadel Mare neitempi di crisidella Nazionee fi rmaronouna paginad’oro della sto-ria planetariaonorando leloro radici ,mantenendoalta l’etica del-la nostra pro-vincia.Un monumen-to testimonia ilpassaggiodell’uomo incarne ed ossasulla Terra el’avvenimentodi breve o lun-go periodo dicui è stato pro-tagonista, dasolo o con al-tri; è il segnotangibile del riconoscimento e della ri-conoscenza per quelle gesta che hannodato una decisiva svolta alla storiadell’umanità, sia essa di ampia dimen-sione oppure circoscritta.Sondalo si appresta a rifinire ed inau-gurare un monumento dedicato aiMarinai d’Italia; e quest’opera rap-presenta i due momenti: planetario ecircoscritto.Sondalo è un comune particolarmenteconosciuto a livello nazionale per la fa-raonica opera ospedaliera sanatorialevoluta dal regime fascista negli anni ‘30,proprio sulla porta di entrata in Italia dal

e una d’Oro, entrambi assaltatori del-la X MAS della Regia Marina da guer-ra.Sondalo, proprio per gli ospedali sa-natoriali, nel periodo bellico fu anchelocalità dove la Regia Marina manda-va gli equipaggi dei sommergibili pertonificarsi dopo le lunghe missioni inmare e per ripristinare le vie respirato-rie minate dalla tossicità dell’internodel battello nelle lunghe ore in aggua-to sott’acqua; nel periodo postbellicoospitò molti marinai, con altri soldati,reduci dai campi di prigionia, per ri-dare loro la fisicità distrutta dai mal-trattamenti subiti e dalla fame.E’ così che questo borgo alpino è sali-to di diritto alla ribalta della grandestoria del Mondo con i suoi marinai.E’ dunque a giusta ragione che i mari-nai sondalini, affiancati dai colleghiretici, orobici e bregagliotti, hanno vo-luto dedicare questo … scoglio di ma-re alla comunità affinché i valori di“Patria e Onore” non si disperdano e ilvento li diffonda ovunque, nel ricordodi chi ha dato o rischiato la vita ono-rando le proprie radici. ■

nord-est d’Europa; il borgo è un inse-diamento umano con radici preistori-che, racchiuso in un anfiteatro di alti egranitici picchi, circondato da verdeg-gianti boschi di conifere che donanoall’ambiente un aspetto dolce e forte.Ma che proietta Sondalo nella storiadel pianeta sono proprio le gesta di al-

cuni dei suoimar ina i ne lcontesto dellaseconda guer-ra mondiale:due cadut i ,uno in maredurante unarovinosa tem-pesta, e unonella prigionianazista dopol’impeto dellaba t tag l ia d iLero per laguerra di Li-berazione;una Medagliad’Argento alValor Militare

Dal faro di Novate Mezzolaallo …scoglio di Sondalo.

di Giorgio Gianoncelli

M A R I N A I E M O N U M E N T I

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Antonio Schenatti e Giacinto Folattidi Ermanno Sagliani

ANTONIO SCHENATTI,campione olimpico nella specialità di “fondo”, sci nordico.Antonio, a soli 69 anni, il 17 giugnoscorso a ChiesaValmalenco halasciato prema-turamente la suacomunità.Era figlio diGiacomo, cele-bre guida alpinae primo scalato-re della direttis-sima sulla pare-te nord del mon-te Disgrazia,con il clienteA l b e r t i n i .L’onorario servìper acquistareuna mucca!Antonio Sche-natti aveva ge-stito per decennisul piazzale del-la vecchia funi-via il bar Olim-pic.Una denominazione specifica, non a ca-so.Antonio, uomo vigoroso e dal caratteregioviale e aperto, era infatti stato cam-pione olimpico nella specialità di “fon-do”, sci nordico, gareggiando nellasquadra azzurra fino al 1962: sei volte“secondo” nei campionati italiani e unavolta “primo” ad Asiago, nel 1960, ave-va gareggiato alle Olimpiadi di SquawWalley, classificandosi al 21° posto.Poi contrattempi, responsabilità di fa-miglia portarono Antonio al ritirodall’agonismo.Schenatti ricordava spesso con simpatiai suoi esordi giovanili. Non ancora ven-tenne, per tre mesi d’estate, saliva in bi-cicletta da Chiesa a Chiareggio per por-tare e ritirare la posta.Questo fu il suo allenamento. Poi, qua-si per caso, più che per vocazione, ini-ziò le prime gare nello Sci club di chie-sa ai campionati zonali con altri malen-

chi: Luigi Lenatti, Tino Schenatti“Sprocign”, Giacomo Guerra.Le prime vittorie all’Aprica e a Livi-gno lo misero in evidenza alla Fisi chelo introdusse nella Nazionale Italianafacendolo competere alle Olimpiadi di

Cortina d’Ampez-zo e ai campiona-ti mondiali diLathi in Scandina-via.Lo scorso marzo,premiato ufficial-mente a ChiesaValmalenco nelcorso di una affol-lata cerimonia,Antonio Schenattisi mostrò com-mosso e quasi stu-pito di essere ri-cordato dopo tan-ti anni.Egli è vissuto sen-za vanti e nostal-gie, da uomo con-creto, consapevo-le, con un certosenso diironia del-la vita. Hapraticato

la sua professione di maestro disci sulle nevi del Palù finoall’ultimo.La sua identità olimpica, il suospirito di iniziativa, proprio diuomini di altri tempi, motivo didignitoso orgoglio per la Val-malenco, non dovrebbero esse-re dimenticati.

GIACINTO FOLATTI, guida alpina infaticabilenel quotidiano.Disponibile, onesto, schivo. Ne-gli ultimi giorni di giugno èmancato Giacinto Folatti, 80 an-ni, figlio del famoso Cesare Fo-latti, entrambi al rifugio Mari-nelli per lunghi anni a cavallodella metà del Novecento, ori-ginari di Torre S. Maria.

Giacinto ha dedicato la sua vita allamontagna nel silenzio e nella riserva-tezza, accanto al padre. Era quello chetribolava per i trasporti con i muli, di-sponibile e preparato negli interventi disoccorso alpino, in anni in cui gli infor-tunati venivano trasportati a braccia,adagiati su una scala in mancanza diuna barella, o issati sul dorso di un mu-lo.Furono anni eroici e disagiati alla Ma-rinelli. Parecchie erano le fatiche che leguide alpine, come Giacinto, sopporta-vano; anche per la manutenzione el’ampliamento del rifugio.Giacinto Folatti aveva conseguito il pa-tentino di guida a 33 anni, il 10 gennaio1956. Rimase custode alla capanna Ma-rinelli fino al 1973. Lavorò per 18 sta-gioni invernali alla Funivia del Berninae fu cuoco per tre estati al rifugio dellosci estivo Scerscen-Entova.Si ritirò infine a Torre.Giacinto Folatti, guida alpina senzagrandi imprese alpinistiche, lascia unricordo di rettitudine, di costante impe-gno, infaticabile nel quotidiano. ■

F I G U R E M A L E N C H E

■ L’olimpionico Antonio Schenatti.

■ Giacinto Folatti, sullo sfondo insieme al padreCesare nei pressi della Capanna Marinelli.

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risalente al 1° gen-naio 1899! Vi è poiun articolo-denunciadi Ivan Fassin, digrande attualità:“Continua l’assaltosconsiderato al pae-saggio alpino” chemerita di essere me-ditato ed approfondi-to.La terza Sezione,Avventure, ospita in-teressanti servizi :Everest 2003, di Ro-berto Serafin, Ka-rakorum – Spedizio-ne al Gasherbrum 2(8035 m)di GuidoCombi e CamilloDella Vedova, Il Par-

co Nazionale del Llullaillaco (6739 m) diPaolo Civera, Il Cengalo di Paolo Pe-drazzoli e Carlo Bellotti, Bivacchi sul Cer-vino di Angelo Libera, Ho scalato il Piz-zo del Forno di Caterina Fiordi, Ragazziin gamba, di Nicola Martelli, Sci-escur-sionismo nel Parco Nazionale dello Stel-vio, di Lucio Benedetti e Chiara Carisso-ni, Un’esperienza entusiasmante: una viaferrata nelle Dolomiti, di Mariagrazia Si-monini.

to alla inaugurazionedel Rifugio Marco eRosa e AgostinoRocca, punto di or-goglio di tutti i sociCai della SezioneValtellinese.Sono poi ricordate lefigure di soci bene-meriti recentementescomparsi: GrytzkoMascioni, AlcesteFaggi e Pietro Mea-go.Nella Sezione Cultu-ra Alpina ampio ri-salto è dato alla Val-malenco; ad essa so-no dedicati servizisui paesaggi geologi-ci, sul Calmun, la lin-gua misteriosa dei magnan di Lanzada,sulla pietra ollare e sul dosso dei Cristal-li; Mario Pelosi documenta la dura vita diuna comunità alpina, basato su un anticodocumento: il registro dei crediti da ri-scuotere di Picceni Andrea fu Antonio,

L’ALPE edizione italianaN° 10 - giugno 2004Direttore responsabile Enrico CamanniPriuli & Verlucca, editori

Il numero di giugno de L’ALPE mi sem-bra particolarmente interessante per i let-tori della nostra rivista perché ha al cen-tro della sua attenzione il tema Città del-le Alpi al quale sono dedicate più dellametà delle pagine del fascicolo n°10. Ba-sta scorrere i titoli dei servizi, tutti di fir-me autorevoli, e le brevi note di accom-pagnamento nella pagina di presentazio-ne della Rivista per farsene un’idea. Credo di fare cosa utile nel riportarne buo-na parte qui di seguito.Si fa in fretta a dire CITTÀ ALPINACittà alpina…due parole che generano ungroviglio di domande. Ecco alcuni ragio-namenti per trovare le risposte. Di LuigiGaidoLe Alpi hanno bisogno delle cittàIl geografo che nel 1970 condusse la piùimportante ricerca sulle città delle Alpi siinterroga dopo oltre trent’anni. Di Giu-seppe DematteisIl Rinascimento delle città alpine

Nel corso del quattrocento alcune città al-pine ebbero un ruolo di rilievo nella sto-ria dell’arte. Ecco le ragioni. Di EnricoCastelnuovoQuel mondo sfavorevole alle cittàAttorno al 1800 si contano 9 città alpine,verso il 1900 sono già 42. Ma le città dipianura crescono sempre più in fretta…DiJon MathieuLa Svizzera degli anni NovantaAlla fine del Novecento le Alpi svizzeresi ripopolano, ma è un popolamento “so-spetto”: la gente cresce, ma lavora in città. pagina a cura di Giuseppe Brivio

R E C E N S I O N I

Di Gian Paolo TorricelliTante Alpi, tante cittàLa larghezza della fascia alpina e la pre-senza di valichi facili spiegano l’abbon-danza di città nell’arco alpino orientale. DiWerner BatzingTorino e le AlpiTra Torino e le montagne si è instauratonel tempo un rapporto mutevole. E oggi,forse, in rapida trasformazione. Di Anto-nio De Rossi e Gianni FerreroRiabbracciare le montagneLa monocultura dell’automobile ha ge-nerato l’idea di una città paradossalmen-te cablata e isolata al tempo stesso. DiEnrico CamanniAosta città romana esemplare?Esaurita la contrapposizione tra città emontagna, doveva finire anche la carica diesemplarità di Aosta romana. E inve-ce…Di Antonina M. Cavallaro.Nella seconda parte del numero ci sonopoi “Le Rubriche de L’Alpe”, tutte diestremo interesse, suddivise in: Denuncee Proposte, Esposizioni, Anniversari, Par-chi, Musei, Amministrazioni, Enti & As-sociazioni ed infine Recensioni.

Club Alpino ItalianoSezione Valtellinese - SondrioANNUARIO 2003L’ANNUARIO della Sezione Valtelline-se del Club Alpino Italiano è giunto feli-cemente all’anno ventesimo ed è in di-stribuzione in questi giorni.Il volume, al solito ricco di belle fotogra-fie di montagna, è suddiviso in tre Sezio-ni: Vita Sezionale, Cultura Alpina e Av-venture.La prima parte, dedicata alla vita sezio-nale, si apre con una lettera ai soci CAI deldirettore, nonché fondatore dell’Annuario,nel lontano 1985, Guido Combi e conun’ampia relazione sulle molteplici atti-vità della Sezione Valtellinese nel corsodel 2003, Anno Internazionale dell’Ac-qua, a cura di Lucia Foppoli, presidentedel sodalizio, seguita dall’elenco delle ca-riche sociali e incarichi 2003 e dai dati sultesseramento.L’Annuario ospita anche i resoconti del-le attività svolte dalle Sottosezioni di Pon-te in Valtellina e di Valdidentro, ad operarispettivamente dei presidenti RiccardoCanova e Renata Viviani.Seguono notizie sul 43° Corso di Alpini-smo di Base, sulla 29ª edizione del corsodi sci-alpinismo e sull’alpinismo giova-nile. Ampio risalto è giustamente dedica-