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Missione Abruzzo Testimonianze di Protezione Civile

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Missione AbruzzoTestimonianze di Protezione Civile

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Missione AbruzzoTestimonianze di Protezione Civile

a cura di Simona Bonfante

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In copertina:Le case dei bimbi di MonticchioProgetto di: Università CattolicaDirettore dei lavori: Francesca GiordanoRealizzazione: i piccoli ospiti del campo di Regione Lombardia

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Essere testimone, oggi, dell’impegno, della professionalità e della solidarietà che i volontari dellaProtezione civile lombarda e i tecnici di Regione Lombardia hanno saputo offrire in seguito al terremotoabruzzese, è per me motivo di orgoglio. La prova che i cittadini lombardi hanno dato è semplicementeesemplare.

Sin dalle prime ore successive al sisma, i volontari hanno dimostrato una determinazione non comune:attraverso un loro lavoro instancabile nei campi d’accoglienza, tutti insieme hanno saputo far rinascere lasperanza a L’Aquila, in giorni in cui poteva prevalere la disperazione.

Una solidarietà concreta, dunque, che ha permesso a Regione Lombardia di aiutare fattivamente gliamici abruzzesi con azioni e fatti concreti. Uno di questi è sicuramente la firma dell’Accordo diProgramma finalizzato alla realizzazione della nuova residenza universitaria, che sostituirà la Casa delloStudente, tragicamente crollata il 6 aprile scorso causando la morte di otto studenti. Questa nuovastruttura sorgerà nella zona ovest del capoluogo, nelle immediate vicinanze del polo universitario diCoppito e dell’Ospedale civile regionale, su una superficie coperta di 2.500 metri e un’area verde dicirca 3.500 metri. Oltre ai 120 alloggi per gli studenti di cui 8 per disabili, la struttura comprenderà 4 areepasto, una biblioteca da 120 posti e un’area per le attività sportive di 1.050 metri quadri. Il tuttorealizzato con strutture antisismiche prefabbricate e avanzate dal punto di vista della sicurezza, delrispetto dell’ambiente e del risparmio energetico.

Attraverso la sottoscrizione di questo importante accordo, Regione Lombardia insieme al ministero delloSviluppo economico, al Dipartimento di Protezione civile, alla Regione e alla Provincia abruzzese,alComune e alla Diocesi dell’Aquila, ha testimoniato l’efficienza del nostro Paese nel trovare soluzioni asituazioni di estrema gravità. La nuova residenza universitaria è dunque il segno tangibile ed evidentenon solo dell’operosità di uomini e donne che hanno contribuito in modo significativo alla ricostruzionedella città, ma anche il risultato della capacità delle istituzioni di guardare al futuro.

Lo dovevamo agli otto studenti scomparsi sotto le macerie della Casa dello Studente de L’Aquila, e lodobbiamo alla comunità abruzzese, affinché un’intera città rinasca proprio da quello che RegioneLombardia considera il suo campo d’azione privilegiato: la formazione dei futuri cittadini italiani.

Perché anche in Abruzzo Regione Lombardia non ha voluto rinunciare a quello che considera uno deiprincipi più importanti delle sue politiche: rimettere costantemente al centro delle sue politiche lapersona, attorno a cui costruire esperienze positive di vita, di lavoro, di solidarietà, di creatività culturalee artistica. Per continuare a seminare fiducia e solidarietà, per continuare a costruire un paese diopportunità e di libertà.

Roberto FormigoniPresidente Regione Lombardia

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Questo è un libro di storie. Le storie raccolte, vissute e narrate da angeli in carne, ossa e divisa dellaProtezione Civile!Uomini e donne di una generosità spiazzante. Donne e uomini di straordinaria competenza ed efficienza professionale.

Si chiamano “volontari” perché hanno, dalla loro, la forza possente della volontà.La volontà di non farsi soggiogare dal drammatico esplodere della potenza distruttiva della natura, ma direagire per riportare vita lì dove sembra esservi null’altro che desolazione.Un terremoto irrompe nella vita di una comunità e ne distrugge le certezze.Sotto le macerie spariscono i luoghi, i punti di riferimento della socialità, i simboli della storia, dell’arte,il patrimonio di cultura e tradizioni. Si rompono gli equilibri della vita civile, vengono meno i simbolidel potere e si infrange la sacralità delle istituzioni democratiche.

Gia, il “palazzo” si denuda, sotto le macerie. Eppure, la rovinosa potenza di un cataclisma non riesce atravolgere quell’imperfetta, fallace, vulnerabile ma insostituibile organizzazione di uomini che è lademocrazia. No, in Abruzzo le istituzioni democratiche hanno retto, anzi: hanno rafforzato la loromissione che è, appunto, quella di servire i cittadini. Le macerie hanno sepolto l’Abruzzo ma non la linfa vitale della sua gente, non la speciale vocazionedell’uomo a rigenerare sé stesso e la sua comunità.In una frazione di secondo, migliaia di persone hanno perduto la casa, hanno smarrito la memoria di sé,hanno visto cancellata la storia della propria famiglia, una storia spesso testimoniata solo da vecchiefoto, ormai ingiallite.

Il terremoto rende il presente indecifrabile ed il futuro oscuro. Così, almeno, finché non si ri-genera laquotidianità. È lì, infatti, in quella ordinaria, talvolta cinica, complessità quotidiana che si realizza ladimensione dell’oggi. Quell’oggi che, giorno dopo giorno, avvicina un uomo al suo orizzonte.Il quotidiano è fatto di un tetto e di un letto, del calore di una stufa quando fa freddo e di una mensaconviviale quando si ha fame, della scuola per i più piccoli e del lavoro per i più grandi, di una lavanderiaper una madre di famiglia e di un computer per un professionista, di un parrucchiere che ri-dà ad unadonna il gusto di prendersi cura di sé, di un ufficio postale per un anziano che nella riscossione della suapensione consuma quel rito rigenerante e creativo che è la pianificazione del proprio bilancio. Questa quotidianità in Abruzzo è stata riportata nel volgere di poche ore. In poche ore, gli operatori ed i volontari della Protezione Civile hanno ridato ai disperati cittadiniabruzzesi, una nuova dimensione del vissuto quotidiano. Una dimensione emergenziale, transitoria. Ma talmente ricca di umanità da restituire a ciascuna dellevittime non solo una normalità contingente ma soprattutto la concreta chance di tornare a guardare alproprio futuro. La normalità che talvolta ci appare gravosa, pesante, noiosa diventa una chimericaambizione quando non la si ha più.

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Quella normalità è il più grande, generoso dono offerto ai terremotati d’Abruzzo dagli uomini e donnedella nostra Protezione Civile regionale.Questo libro è il loro diario. È il diario delle donne e degli uomini che dalla Lombardia sono partiti alla voltadell’Abruzzo carichi di professionalità, competenze, coraggio e “cose”. Quelle cose – letti, cibo, serviziigienici, lavatrici, corrente elettrica… - che per molti cittadini abruzzesi hanno significato il ritorno alla vita.È un diario parziale, questo libro. O meglio, è una raccolta di storie.Storie, talvolta, raccontate solo per immagini. Ma in ciascuna di queste immagini, siano esse foto o racconti, vi è la narrazione della straordinariaricchezza umana e professionale del sistema della Protezione Civile lombarda e del ruoloimpareggiabile svolto in aiuto dei terremotati.

I volontari della Protezione Civile, i funzionari della Centrale operativa, i tecnici, i dirigenti delle diverseUnità Operative della Regione Lombardia che, da Milano, si sono spesi senza sosta, giorno e notte, perorganizzare gli aiuti, coordinare i volontari provenienti da ogni provincia, avviare i campi, costruire lanuova vita degli abruzzesi danno onore alla nostra Regione, danno onore alle nostre istituzioni.Gli operatori della nostra Protezione Civile, professionisti e volontari, danno onore all’istituzione cherappresento e dunque a me personalmente. Per la grande lezione che mi hanno trasmesso, per lastraordinaria palestra di umanità e professionalità alla quale ho avuto la responsabilità di addestrarmi nelcorso degli ultimi tragici mesi, beh, per tutto questo, io sarò loro sempre infinitamente grato.

Ma il fatto è che la Protezione Civile lombarda ha saputo onorare il paese intero.I campi allestiti dai nostri contingenti a Monticchio 1 e 2, a Rocca di Mezzo (Comune di Milano) equello successivo di Paganica 5 sono la testimonianza reale di come il principio del buon governo sipossa tradurre in prassi, in risultati concreti, in fatti oggettivi e misurabili. A cosa servirebbe, infatti, per un politico, per un amministratore, invocare il principio della solidarietàse poi non fosse in grado di tradurlo in azioni concrete? Volere è potere, recita la massima. La straordinaria opera di volontà compiuta in Abruzzo dai nostri volontari ammonisce ciascuno di noi –ed ancor più quanti tra noi hanno l’onere della responsabilità politica - al dovere di tradurre sempre iprincipi, gli indirizzi astratti in azioni fattive.

I fatti, allora, sono la sola cosa che merita attenzione.Ed è questo che ho voluto raccontare qui: le storie. O meglio, alcune storie: quelle che abbiamo vissutopersonalmente io ed i miei uomini, quelle che hanno più colpito il personale ed i volontari della nostraProtezione Civile. Storie che testimoniano la straordinaria dedizione della volontà lombarda di mettersial servizio della ricostruzione della vita d’Abruzzo. Queste storie sono state raccolte perché ciascuno di noi - a proprio modo - possa farne tesoro.

Stefano MaulluAssessore alla Protezione Civile,

Prevenzione e Polizia Locale di Regione Lombardia

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Appunti di viaggio, di Marco Cesca 8Bilancio e prospettive, di Alberto Biancardi 14L’ingegnere e il terremoto, di Carlo Giacomelli 20La ragione, di Salvatore Barbara 26Due minuti dopo, di Domenico De Vita 326 aprile 2009, ore 3.32: la terra trema, di Cinzio Merzagora 40La prima settimana, di Giovanni Caldiroli 44Vi siete mai chiesti…, di Dario Besola 54Progetto L’Aquila, di Antonella Belloni 60Born to be a team, di Chiara Ghidorsi 64Un regolamento per il campo, di Giovanni Di Marco 70Il Vigile e la Tendopoli, di Carlo Rovetta 74Problem Solving, di Laura Sion 82Una Pasqua sarda, di Francesco Cau 90Emergenza terremoto. Il problema degli approvvigionamenti alimentari, 96a cura della Dg Agricoltura di Regione LombardiaLa caprese 100La casa con la torretta 106Un “semplice volontario”, di Pino Sporchia 112La squadra della luce, di Alessandro Caretti 120Gli alpini per la Protezione Civile, di Marco Lampugnani 126Le telecomunicazioni in emergenza, di Bruno Laverone 134Anpas per l’Abruzzo, di Battista Santus 140La missione di un radioamatore diciottenne, di Fabio Rusconi 146La Scuola Superiore di Protezione Civile - IReF all’Aquila, di Marco Lombardi 150Emergency management, di Cristiano Cozzi 154Le case dei bimbi, di Francesca Giordano 160Psicologi per i Popoli, di Edgar Alhadeff, Maria Cristina Danielli, 166Maria Angela Quarti, Emilia Ropa, Elisa StucchiMilano per l’Abruzzo, di Leonardo Cerri 172Dall’emergenza una lezione per il futuro, di Dario Pasini 178L'importanza della preparazione teorica, di Fabio Valsecchi 182Il Sistema delle Colonne Mobili Provinciali, di Giovanmaria Tognazzi 186

Scatti, di Alessandro Belgiojoso 190

Postfazione, di Gianni Chiodi 196

AppendiceI Volontari della Missione Abruzzo 197I Tecnici della Missione Abruzzo 203

Indice

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Come succede di ritorno da un lungo viaggio,quando col corpo ci siamo già allontanati ma noncon la mente, che sta ancora lì, ora che a L’Aquilainizia la fase di smantellamento dei campi di acco-glienza, è difficile “staccarsi” da lì per tornare aMilano.

Chi, come me, ha vissuto questi ultimi cinque mesiin prima linea nella gestione del terremoto inAbruzzo, ora sa quanto un’esperienza simile possaassorbire pensieri, energie ed emozioni .

Muovevo i primi passi alla guida della DirezioneGenerale della Protezione Civile, Prevenzione e

Polizia locale, avendone avuto incarico da soli tremesi, e stavo ancora orientandomi, ordinando pen-sieri, prendendo confidenza con piccole emergen-ze quando la telefonata qualche minuto dopo le3.32 di lunedì 6 aprile mi ha bruscamente lanciatonell’ emergenza, quella con la E maiuscola.

Mentre raggiungevo l’ufficio e Milano dormiva,nella mia mente si scontravano in modo disordina-to e ansioso flash di quello che si sarebbe dovutofare e avvertii la paura, puntuale, precisa, di nonessere in grado di affrontare la situazione. Entrare insala operativa è stato come un antidoto: i colleghierano già al lavoro, i monitor macinavano dati, i

Appunti di viaggio

di Marco Cesca

Dal 1 gennaio 2009, Marco Cesca è Direttore Generale della Protezione Civile, Prevenzione ePolizia Locale di Regione Lombardia.Come ingegnere trasportista approda a questo incarico dopo un lungo percorso lavorativo nelcampo delle infrastrutture, dalla viabilità alle ferrovie. L’emergenza del traffico, dei ritardi, degliingorghi è, quindi, il suo pane quotidiano. In Abruzzo, Cesca affronta un’emergenza complessa,in cui i problemi cambiano di giorno in giorno, e le soluzioni vengono proposte con tempestivitàe creatività. Questa, la sua testimonianza.

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telefoni comunicavano aggiornamenti su aggiorna-menti. La macchina si era messa in moto. È stato allora chemi sono sentito parte di un tutto, di un sistema diuomini, mezzi e capacità fatto apposta per risolve-re le crisi, di qualunque tipo e da qualunque parteprovenissero. In quello stesso frangente ho capitoperò anche che avrei dovuto prendere decisioni inpochi minuti e che le mie scelte avrebbero determi-nato il corso dell’azione, indicando la direzione etracciando il percorso che avrebbe seguito la mac-china dei soccorsi.

Fu quanto accadde da lì a qualche ora, quando leindicazioni che sarebbero dovute giungere dalFriuli Venezia Giulia - Regione incaricata di coordi-nare l’intervento di tutte le altre regioni italiane inAbruzzo - non arrivavano: era trascorso troppotempo e bisognava agire. Mentre agenzie di stampadavano notizia di continue nuove scosse, l’operati-vità dei nostri uomini e mezzi, per me rassicuranteconferma, aveva già predisposto il primo carico ditende, cucine e bagni per i primi soccorsi.

Eravamo pronti; decisi che la Lombardia sarebbepartita. C’è voluto poco per avere conferma della

opportunità della decisione. Il 7 mattina i colleghi da L’aquila ci comunicavanodi aver servito una colazione calda agli sfollati.Mai avrei pensato che la notizia dei primi the caldisarebbe stata così importante per me. Il primocampo d’accoglienza iniziava a essere operativo e500 aquilani avevano un posto dove dormire emangiare.

E dopo affannosi giorni di notizie, problemi, telefo-nate, numeri di brande, coperte e piatti caldi, è arri-vato il primo contatto diretto con L’Aquila, venerdì10 aprile. Di quel primo viaggio mi sono rimastiimmagini e sensazioni: il brusco incontro con isegni del terremoto alle porte della città, la fila ordi-nata di tende blu del primo campo d’accoglienzaallestito, il freddo di notte, le scosse che ci sveglia-vano perentorie dal sonno, le case completamentedistrutte di Onna, l’amatriciana servita dalla cucinada campo, la dignità e la caparbietà dei primi aqui-lani incontrati.

E, ancora, l’abnegazione dei volontari della Prote-zione Civile, dei cuochi, dei medici e degli infer-mieri, degli psicologi. Ho visto un bambino maroc-chino abbracciato in lacrime a uno degli Psicologi

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per i Popoli perché lui, nonostante la decisione delpapà di tornare in Marocco, non voleva proprioandarci, voleva stare col suo nuovo amico dottore.Forse è stata proprio questa emozione a farmi insi-stere per far ripartire la scuola, seppur in tenda, ilmartedì, subito dopo le vacanze di Pasqua.

E quasi senza che me ne accorgessi, è successo chele emozioni della mia vita non erano più solo quel-le personali, intime, della sfera privata, familiare,ma erano anche il mio lavoro, il mio impegno nellagestione della crisi, l’orologio che non contava piùle ore d’ufficio e di riposo ma quelle dei bisognidella gente de L’Aquila, confortato dall’espressionecomprensiva delle guardie della Regione, che mivedevano entrare e uscire dalla sala operativa alleore più svariate.

Stavamo correndo senza fiato e riuscivamo a farlotrovando le risposte sul nostro agire direttamente aL’Aquila, coi “grazie” degli sfollati, degli ammini-stratori locali e nonostante quei “grazie” li respin-gessimo come non necessari. E davvero non sononecessari. Perché se si riesce a trovare il freezerindispensabile e si vedono luccicare di commozio-ne gli occhi del cuoco del campo, se si scovano la

domenica di Pasqua le lavagne per la scuola in ten-da, se in poche ore si organizza con i colleghi dellaDG Agricoltura la fornitura di derrate alimentaridalla Lombardia, se si riesce a dotare il campo diun ambulatorio odontoiatrico, le mille telefonate ele affannose ricerche che sono state necessarie,sono state spinte dalla gente che intanto era sfollatanei campi, che avevo visto, con la quale avevo par-lato, che avevo ascoltato. In un’emergenza ci sono diverse fasi: ora siamo inquella dell’accompagnamento alla normalità; uncompito non meno delicato e difficile.

A me rimangono gli appunti di un viaggio che miha fatto crescere e la serenità che mi deriva dalsapermi parte di una squadra professionalmente eumanamente davvero eccezionale.

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Bilancio e prospettive

di Alberto Biancardi

Alberto Biancardi, ingegnere, è dirigente dell’unità organizzativa Protezione civile di Regione Lombardia.In Regione dal 1985, ha lavorato come dirigente presso i Servizi del Genio civile (sia nelle sedi territoria-li sia a Milano) quindi, dal 2002, in Protezione Civile, dapprima nella struttura Pianificazione di emer-genza poi (dal 2005) nella u.o. Protezione Civile. Ha vissuto le principali emergenze degli ultimi anni, partecipando alle più importanti missioni di Prote-zione Civile di Regione Lombardia: dall’incidente aereo del grattacielo Pirelli ai terremoti del Molise e diSalò; dall’emergenza in Valtellina sino al terremoto d’Abruzzo. Innumerevoli le esercitazioni di livello regionale e nazionale che ha gestito (tra queste, “Valtellina 2007”)e numerose le partecipazioni come relatore a convegni in materia di protezione civile.In questa nota, l’ingegner Biancardi traccia un bilancio dell’ultima grande missione di Regione Lombardia eprofila, in prospettiva, un tracciato tecnico-normativo per il progresso del sistema di Protezione Civile.

L’Abruzzo ha rappresentato per la Protezione Civilelombarda una missione importante perché per laprima volta in occasione di una grande emergenzaal di fuori dei confini lombardi, abbiamo avuto ilcoinvolgimento della colonna mobile regionale,delle colonne mobili provinciali e di quella delcomune di Milano, tutte coordinate da un capo-missione della Regione Lombardia e tutte costituen-ti la colonna mobile della Lombardia.

Questo è il frutto di anni di lavoro con il Diparti-

mento di Protezione Civile, con tutte le altre Regio-ni, con le Province e con il Comune di Milano. LaLombardia ha potuto dare di sé un’immagine positi-va per l’organizzazione dei suoi 4 campi di acco-glienza (Monticchio 1- Monticchio 2 - Rocca diMezzo e Paganica 5) e, in particolare, per il livellodi preparazione e di professionalità del volontariatoche sempre è stato all’altezza della situazione e checi è stato invidiato dalle atre Istituzioni presentiall’Aquila. Un esempio fra tutti: i volontari di AEMMilano hanno dato il loro contributo non solo nei

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campi di Regione Lombardia ma in tutti i campi cheavevano problemi sull’impiantistica, mettendosi adisposizione di tutto il sistema. E poi non si può nonparlare dell’attività dei professionisti della RegioneLombardia che hanno, con una professionalità sen-za confronto, verificato più 7 mila abitazioni, classi-ficandole agibili, non agibili oppure agibili a seguitodi interventi.Gran parte di questi tecnici erano personale dellapubblica amministrazione e con la loro attivitàhanno dimostrato competenza ed efficienza, al paridei liberi professionisti impegnati, a loro volta, inun lavoro comune per la missione. Regione Lom-bardia è stata molto vicina ai fratelli abruzzesi intutte le attività intraprese, anche nelle azioni attiva-te per lasciare alla città dell’Aquila un segno chepossa ricordare la grande “solidarietà lombarda”.Sono state realizzate da Regione Lombardia e dalsistema produttivo lombardo una residenza univer-sitaria per 120 studenti e 4 scuole (3 elementari e 1materna) di cui 2 a Paganica.Sono stati inviati dal 6 aprile mezzi ed attrezzature,nonché beni di consumo offerti da ditte lombarde.

Ma al di là dei lati positivi, occorre fare anche tesorodell’esperienza fatta, che ci ha lasciato molti spunti

per le nostre future attività.Due strade assolutamente da percorrere: occorrestringere alleanze forti con le altre “Forze del siste-ma di Protezione Civile” (Prefettura - Vigili del Fuo-co in primis) e lavorare molto sulla “formazione”tramite la Scuola Superiore di Protezione Civile.Stiamo già lavorando su entrambi i fronti perchéoccorre ripartire subito, quando ancora l’esperienzaAbruzzo non è ancora del tutto conclusa.

È stato attivato un tavolo di lavoro con le Prefetturedella Lombardia: con loro si prevede di firmare unprotocollo d’intesa nei primi mesi del 2010 che ciconsenta di lavorare insieme sulla previsione e pre-venzione dei rischi, al fine di essere pronti a colla-borare in emergenza.La stessa cosa si vorrebbe fare con la Direzioneregionale ed i Comandi provinciali dei VV.F. Spessocon loro facciamo fatica a comunicare, ma è assolu-tamente indispensabile lavorare insieme (sono laforza operativa più importante del sistema di Prote-zione Civile) anche tramite le rispettive sale operati-ve. E poi la l.r. 16/2004 apre con i VV.F. una prospet-tiva nuova: quella dell’utilizzo dei volontari di pro-tezione civile in supporto alle forze sempre menonumerose dei VV.F. (nuclei di pronto intervento).

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Sulla formazione l’esperienza Abruzzo ci ha datonumerosi spunti per migliorare la formazione deivolontari e di chi deve coordinarli.Verranno programmati corsi specialistici per ivolontari sulle funzioni in cui si è riscontrata lanecessità di un miglioramento della loro professio-nalità (coordinamento servizio mense e cucine -sicurezza alimentare - sicurezza nell’utilizzo e nellamanutenzione dei servizi igienici).Ma in particolare si curerà la formazione dei Capi-campo e dei capi-missione, figure essenziali nellagestione delle grandi emergenze. Verrà resa obbli-gatoria per tali funzioni la partecipazione a corsiche ne certifichino l’idoneità ed inoltre si cercheràdi mettere a punto una graduatoria degli idonei dacui attingere in caso di necessità.Altre preziose collaborazioni dovranno essere atti-vate con gli Ordini professionali della Regione Lom-bardia per avere, a seconda delle necessità, semprea disposizione “professionisti volontari” (ingegneri,architetti, geologi, medici, veterinari, psicologi, geo-metri ed altri) che possano dare un contributo tecni-co e scientifico in emergenza. Ulteriore punto sucui si dovrà lavorare é l’adeguamento “funzionaleed organizzativo della sala operativa della RegioneLombardia integrata all’unità di crisi” della Regione,

che dovrà diventare la “sala operativa multifunzio-nale ed interforze della Lombardia”.

Per ultimo, una considerazione: la Direzione Gene-rale Protezione Civile, Prevenzione e Polizia Locale,per poter agire in modo ottimale durante le emer-genze, deve avere la possibilità di muoversi diversa-mente da quelle che sono le procedure ordinarie diriferimento per le altre Direzioni Generali e per lamaggioranza dei dipendenti regionali.Occorre prevedere possibilità di modifiche in corsod’opera alle previsioni di bilancio e alla program-mazione degli obiettivi ordinari e straordinari.Inoltre devono essere previste anche per il persona-le regionale deroghe rispetto all’ordinamento regio-nale che non consente di muoversi in emergenzasecondo le necessità.

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Ho preso in mano più volte la penna nel tentativodi mettere in fila, in buon ordine, parole, concetti,esperienze, sentimenti che potessero esprimere etrasmettere la complessità dell’esperienza “Abruz-zo”. Il “come” ed il “quanto” della missione, dalmio punto di vista: il punto di vista di un tecnico.Un tecnico che interviene in un’emergenza e chefa i conti con una complessità che non è solo ope-rativa, poiché l’operatività è inevitabilmente condi-zionata da tutto quello che un’emergenza ha dinon-tecnico: il vissuto umano, i rapporti interperso-nali. La relazione con le vittime, innanzitutto, maanche con i volontari, con i colleghi impegnati nel-la difficile gestione dei campi e con quegli altri col-leghi, i tecnici coinvolti nelle verifiche di agibilitàdei fabbricati. Tutti, gli uni e gli altri, impegnati, cia-

scuno nel proprio ruolo, a svolgere nel migliore deimodi il compito loro assegnato, senza mai chiuder-si nel rigido tecnicismo ma, al contrario, vivendol’esperienza nella sua pienezza, dunque nella con-sapevole valorizzazione della componente umana.

Nel tentare questa stesura, però, mi sono quasisempre bloccato dopo poche righe poiché, comein un film, mi sono puntualmente imbattuto nelleimmagini di quelle altre realtà - così similiall’Abruzzo nella loro tragicità - che ho vissuto nelcorso degli anni: l’Umbria, il Molise, Salò…Come in un flashback, il presente richiama il passato.

Così, mentre rifletto sull’oggi, sull’Abruzzo, sullamissione di soccorso, la pianificazione dell’emer-

L’ingegnere e il terremoto

di Carlo Giacomelli

Carlo Giacomelli, ingegnere, è responsabile della Struttura Gestione delle Emergenze (DG ProtezioneCivile, Prevenzione e Polizia Locale).In Abruzzo ha gestito e coordinato l’intervento delle squadre tecniche messe a disposizione dalla Regio-ne Lombardia.Questa non è la sua testimonianza. Questo è il suo film. Un film che non racconta il terremoto ma i terre-moti. Non solo l’oggi ma il sempre. Un film del quale si consiglia la visione sino ai titoli di coda!

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genza…mentre penso a tutto questo proponendo-mi di fare il “punto”, sistemare i dati, predisporreun testo puntuale e professionale…beh, ecco inve-ce che nella mia mente va in scena tutto un altrofilm! Sono scene in bianco e nero. Sono le immagini diun giovane studente universitario che affronta lasua prima esperienza in un’area colpita da un forteterremoto. Quello studente sono io. Il terremoto èquello del Friuli. L’epoca storica, ormai lontana, è il1976.

Un tuffo nel passato, questo film! Sarà mica ilsegno dell’età che avanza?Forse. Fatto sta che in questo mio personalissimoamarcord, la memoria “tecnico/scientifico/profes-sionale” viene spinta in secondo piano. A prevalere, infatti, è il ricordo delle persone cono-sciute durante le missioni svolte, dal Friuli in poi.Persone positive, persone concrete che affrontanol’immensa tristezza, l’immenso vuoto creato daglieventi con inimmaginabile (alle prime esperienzela ritenevo tale, ora non più!) forza, con la perento-ria volontà di ritornare alla vita normale.Perché, mi chiedo, questo film non parla (solo etanto) di ingegneria sismica ma (soprattutto) di

uomini? Che forse il principale lascito di quelleesperienze non è stato proprio l’immenso patrimo-nio di conoscenza tecnico-scientifico-operativache ha costruito, passo dopo passo, il mio Curricu-lum professionale? Ma si, si che è così! O meglio è anche così. Perché la verità è che quelle esperienze non hannoarricchito solo il mio Curriculum professionale:hanno arricchito forse ancor più il mio CurriculumVitae. Hanno arricchito l’uomo Giacomelli, non solo l’in-gegnere.Hanno dato all’uomo, ed ancor prima al ragazzo,un capitale umano enorme. Un capitale fatto diamicizie, amicizie solide e durature.

Tutto questo déjà vu riemerge adesso con il terre-moto del 6 aprile 2009. In Abruzzo ritrovo la stessa gente già conosciutanelle tante emergenze precedenti. La stessa gente“vogliosa” di riprendersi la propria vita, di ritornarealla normalità pre-sisma; la stessa gente che, all’in-domani di un cataclisma annichilente, si rimboccale maniche e riparte.Di nuovo, come in altre realtà sociali colpite da

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eventi comparabili, anche in Abruzzo si evidenzia,pur con tutte le peculiarità del caso, la tempra delnostro popolo che mi rende orgoglioso di essereitaliano.

Queste considerazioni, questi ricordi, questo “cine-ma” spostano l’attenzione dal testo che avrei volutoscrivere.Avrei dovuto parlare degli oltre 250 tecnici lombar-di (dipendenti pubblici e liberi professionisti) chehanno prestato la loro professionalità eccellente alservizio della Protezione Civile. Era mia intenzione raccontare il lavoro straordina-rio che quei tecnici - i nostri tecnici - hanno com-piuto: le oltre 7500 verifiche di agibilità sui fabbri-cati colpiti dal sisma; il lavoro sulla perimetrazionedelle “zone rosse”, la definizione delle opere prov-visionali da realizzare; l’ausilio tecnico alle proce-dure di esproprio per le aree da destinare alla rea-lizzazione dei fabbricati del progetto C.A.S.E.

Avrei dovuto ringraziare molte persone, troppe: misarei sicuramente dimenticato qualcuno. Perchél’impegno per questo “ambito tecnico”, come delresto in ogni settore operativo in questa emergenzaabruzzese, è stato davvero notevole. Ognuno ha

fatto fino in fondo il proprio dovere, e forse ancheun po’ di più. Del resto, un generale da solo non vincerà mai nes-suna battaglia. Ed il lavoro straordinario che è statofatto in Abruzzo non avrebbe potuto essere cosìstraordinario se le “truppe” non fossero state all’al-tezza: se non fossero state capaci di lavorare insquadra, valorizzando le diverse competenze, lediverse attitudini, le diverse professionalità. Lesquadre non sarebbero state così efficienti se nonfossero state capaci di riporre in valigia non solomanuali di ingegneria ma anche - e forse soprattut-to - il loro vissuto umano, il loro potenziale relazio-nale, la loro capacità di contestualizzare sempre illoro lavoro al dramma di uomini in carne ed ossa. Ecco, avrei dovuto parlare di tutto questo. Ma èrimasto tutto “sospeso”, tra la penna, il pensiero e,soprattutto, è rimasto nel cuore.

Titoli di codaAlla fine di un film, sullo schermo scorrono i titolidi coda. In sala si accendono le luci, la gente pren-de la via d’uscita e i titoli finisce che non li guardanessuno. Peccato, perché i titoli raccontano l’altrofilm: la sua storia “tecnica”.

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Principali Eventi Sismici ItalianiIl nostro paese ha registrato negli ultimi 100 anninumerosi eventi sismici, alcuni catastrofici. i princi-pali sono stati:- 28 dicembre 1908 Messina M = 7.1- 13 gennaio 1915 Marsica M = 7.0- 15 gennaio 1968 Belice M = 6.0- 6 maggio 1976 Friuli M = 6.2- 23 novembre 1980 Irpinia M = 6.8- 26 settembre 1997 Umbria M = 5.5- 31 ottobre 2002 Molise M = 5.4- 24 novembre 2004 Salò M = 5.2- 6 aprile 2009 Abruzzo M = 5.8

Debolezze strutturali riscontrate negli edifici aseguito di eventi sismiciIl terremoto assume il ruolo, nel confronto dei fab-bricati, di collaudatore “incorruttibile” che mette anudo ogni debolezza strutturale ed ogni vizio deri-vante da cattiva esecuzione. Anche il terremoto inAbruzzo ha quindi evidenziato:- Scarsa qualità dei materiali- Pareti non legate- Solai poco rigidi- Solai troppo rigidi ai piani alti senza cordoli peri-metrali e/o catene

- Tetti spingenti- Interventi nel tempo peggiorativi dell’integritàstrutturale con aumento della vulnerabilità degliedifici- Disposizione non corretta delle armature trasver-sali nei nodi trave-pilastro- Esecuzione non efficace dei getti di calcestruzzo

Come fare prevenzioneSi può ridurre il rischio sismico mediante l’attiva-zione di:- Pianificazione urbanistica in prospettiva sismica- Realizzazione di strutture sismo-resistenti- Redazione di piani di protezione civile (gestione,superamento dell’emergenza, ripristino)

Si può prevedere un terremoto?Allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, no.

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Non è per fare l’originale a tutti i costi, se non addi-rittura il guastafeste, ma c’è stato un momento neigiorni immediatamente successivi al sisma, pres-sappoco intorno al terzo giorno di sala operativa,quando la curva dell’adrenalina ha presentato ilprimo flesso, che non ho potuto trattenermi dal por-re a me stesso il seguente interrogativo: “Siamo pro-prio certi che non ci sia qualcosa di sbagliato in tut-to questo?”Si trattava di un quesito ai limiti dell’osceno. Chimai avrebbe dubitato della bontà dell’impulso adagire in una contingenza simile? A chi sarebbevenuto in mente di mettere in discussione la pro-pria condotta quando tutti non esitavano a giudi-carla commendevole?

Non ero nuovo a uscite di questo genere. Qualcosa

di analogo mi era capitato una quindicina di anniprima, durante l’esondazione del Po del ’94, al ter-zo giorno di lavoro ininterrotto lungo gli argini inqualità di Sottotenente del Genio. Anche allora ave-vo sentito l’esigenza di guardare in controluce i sen-timenti che credevo mi animassero, ma avevo avutogioco facile nell’imputare l’insorgenza di quei dub-bi ai precedenti dieci mesi di caserma, nel corso deiquali avevo fatto incetta di assurdità. Si trattava contutta evidenza di una risposta frettolosa e insuffi-ciente, se a distanza di così tanti anni si ripresentavanegli stessi termini inconsulti.

Quando è successo quello che è successo ero inProtezione Civile da pochi mesi, e tra gli incarichiche gravavano sulla mia struttura c’era anche ilcoordinamento dei volontari. Un onere che mi era

La ragione

di Salvatore Barbara

Salvatore Barbara, ingegnere, è Dirigente della Struttura “Pianificazione Emergenza” della Unità Operati-va Protezione Civile, Direzione Generale Protezione Civile, Prevenzione e Polizia Locale di RegioneLombardia.In queste pagine, una sua personalissima riflessione sul senso del volontariato, aldilà ed aldidentro dellamissione Abruzzo.

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apparso fin dal primo momento impegnativo, seb-bene non mi sarei aspettato di dover profonderecosì tante energie nel tenere a freno le centinaia ecentinaia di volontari che non desideravano altroche partire. Perché è questo che ho fatto a livelloindustriale nei giorni immediatamente successivi alsisma: autorizzare con la mano sinistra la partenzadi una squadra, negando con la destra ad altre diecidi poter fare altrettanto.

Non nascondo che il primo sentimento è stato diriconciliazione con la specie; ricucendo una rela-zione che gli strappi di vent’anni di frequentazionedella metropolitana nell’ora di punta avevano fattoa brani. Ma ad un certo punto questa pressione,che non accennava a scemare, anzi, cresceva diora in ora, facendo aggallare la tendenza tutta itali-ca a far telefonare dall’amico dell’amico per garan-tirsi la precedenza rispetto agli uomini e alle donnein lista per essere inseriti nelle colonne in partenzaper l’Abruzzo, ha cominciato ad apparirmi sospet-ta. Come se non avessi già abbastanza difficoltà agestire la prima domanda, ha preso corpo unaseconda, ancora più scandalosa della precedente:“Siamo così sicuri,” mi sono chiesto, “che non cisia qualcosa di malsano in questa impellenza a sta-

re in prima linea; e che sembra travolgere sia ivolontari che coloro i quali, per mestiere, dovreb-bero essere immuni da simili attacchi compulsivi?Non saremo tutti preda di un superomismo da tresoldi, l’unico alla portata di una tanto poco marzia-le società di massa?”Non contento mi sono spinto oltre, formulando unaterza irragionevole supposizione: “E se nella conte-sa storica tra “senso del dovere” e “principio di pia-cere”, proprio in un caso come questo, in cui è opi-nione generale che sia il primo il favorito, fosse ilsecondo a prevalere? Se dietro questa soddisfazio-ne per se stessi, che ci accomuna tutti, e tutti impu-tiamo alla sensazione di essere all’altezza, si celas-se il sollievo di chi è stato risparmiato dall’irrepara-bile che ha investito gli altri, e che soltanto l’esseresui luoghi del disastro può suggellare in via definiti-va?”

Per mia fortuna non avevo tempo da dedicare allespeculazioni filosofiche, tanto meno a quelle dichiara origine nevrotica, anche perché il quartogiorno sono partito per il campo di Monticchio 1,dove avrei avuto modo di apprezzare il potere distraniamento che s’accompagna al dover dareudienza a dodici persone contemporaneamente, su

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un orario continuato di quattordici ore al giorno,facendo il possibile per non permutare le risposteda dare agli uni con quelle da dare agli altri, indi-rizzando la signora il cui cane non la finisce dilatrare dallo psicologo e affidando al veterinario larisoluzione di un caso eclatante di balbuzie post-traumatica.

Senonché una notte ho incrociato un volontario diA2A.Uno di quelli che partiva la mattina all’alba per dareacqua e luce ai campi che erano sorti un po’ dovun-que intorno a L’Aquila, e rientravano alla base quan-do il sole era da tempo tramontato. La mensa deglialpini chiudeva ad una certa ora per tutti, tranne cheper lui e i suoi sodali, a cui era sempre garantito diche rifocillarsi. Io mi stavo aggirando tra le tende bar-dato come uno in procinto di partire per l’esplorazio-ne dell’Antartide, mentre lui, che doveva essere appe-na uscito da sotto la doccia, stava rientrando flemma-ticamente verso la propria, ciabattando sull’asfaltoumido, l’accappatoio aperto sul petto e una sigarettapenzoloni dalle labbra, con un’aria talmente soddi-sfatta da risultare imbarazzante: soprattutto se si pen-sava alla prospettiva di trascorrere le prossime setti-mane lavorando in condizioni tali e ad un ritmo che

nella vita normale non avrebbe mai accettato, nem-meno se l’avessero pagato a peso d’oro. Solo cheadesso lo stava facendo, come suol dirsi, gratis etamore Dei.

È stato in quel preciso istante che gli interrogativirimossi alla partenza sono tornati con prepotenzaalla ribalta.

Questa volta però avevo qualcosa di molto concre-to su cui esercitare le mie tendenze cervellotiche:la faccia di un elettricista. Ebbene, dietro la bracedella sigaretta, che il pungente freddo aquilanopoteva indurre a considerare perfino salutare,giganteggiava il volto appagato di quell’uomo gra-vato dall’onere di portare l’acqua e la luce in ognidove. Un volto su cui ho letto la motivazione chespingeva i volontari a fare quello che facevano, e ifunzionari a funzionare come nessuna contratta-zione sindacale avrebbe mai osato prevedere: eratutta lì, nella possibilità di dare al proprio agirequella sovradose di senso che nella vita di tutti igiorni è merce ormai sempre più rara: in quell’im-pennata di significato che sulle prime non avevodecifrato.

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Ore 3,34,00 del 6 aprile. Un minuto dopo l’eventosismico delle 3,32,39 Stefania Lecchi, operatriceH24 della sala operativa regionale, riceve una chia-mata da una cittadina di Roma: chi è al telefonochiede informazioni riguardo una scossa di terre-moto avvertita un attimo prima.Successivamente altre persone da Roma e dallaCampania chiamano la nostra sala per chiedereinformazioni (resta da capire come mai dal Lazio edalla Campania hanno chiamato noi, forse la somi-glianza dei numeri verdi).Anche se può sembrare un controsenso, nelle saleoperative molto spesso l’entità, la “magnitudo” diun evento sismico viene percepita e riconosciutaattraverso il numero di chiamate dei cittadini, che

avendo avvertito la scossa chiedono con agitazione“dove è successo, cosa è successo e cosa devonofare!”Apprendo della notizia del terremoto a L’Aquila tra-mite l’sms inviatomi dalla sala operativa.La notizia mi porta immediatamente al 2002. Scos-sa 5.5 Richter, ultima grande emergenza nazionaleper un terremoto. Era il Molise. C’erano i bambinidella scuola. Trenta vittime! Subito dopo, mentre mi vesto, penso che ogniemergenza ha sue precise caratteristiche che nonpossono essere pianificate in ogni dettaglio. E unpo’ freddamente mi dico: “OK, stiamo calmi” . Lo scambio e il confronto di informazioni parteimmediatamente. Il capo - Biancardi - e gli opera-

Due minuti dopo

di Domenico De Vita

Domenico De Vita è Responsabile della Sala Operativa della Protezione Civile lombarda. In Regione dal1983, in Protezione Civile dal 1992 ha partecipato alla Missione Arcobaleno - Albania nel 1999, comeResponsabile della colonna mobile regionale. Nel 2002, ha fatto parte dell'Unità di crisi istituita in segui-to al crash aereo del Pirellone di Milano ed è interventuto nell’emergenza Terremoto in Molise - a Ripa-bottoni (CB) - come Responsabile della colonna mobile regionale. È, invece, da Responsabile della Sala Operativa regionale che seguirà l’emergenza Abruzzo.Questa è la sua storia.

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tori dell’H24 della sala operativa insieme al collegain turno di reperibilità – Merzagora – tengono i col-legamenti con il Dipartimento della Protezionecivile. Le notizie sono frammentarie, e certo nonfanno presagire quello che con il passare del temposi va evidenziando come una delle più grandi tra-gedie della storia più recente del nostro paese.In questi momenti il tempo passa troppo veloce-mente, e tante sono le cose che vanno organizzate,verificate, pianificate …È un terremoto! Cosa serve immediatamente e cosaè previsto dal Protocollo operativo? Squadre cinofi-le, tecnici esperti di strutture, tende, cucine, serviziigienici, servizi sanitari, ecc…ma soprattutto tecni-ci e volontari esperti pronti a partire immediata-mente. Bisogna portare aiuti mirati alle necessità,alle richieste, ai fabbisogni…Ai responsabili della colonna mobile regionale,allertati con il sistema di messaggistica della salaoperativa, rispondo “non abbiamo ancora notizieprecise, state pronti”.In queste situazioni tutti vogliono fare tutto …ma laparola chiave, anche se un po’ abusata, è “coordi-namento delle funzioni”, e il coordinamento si facon una sala operativa organizzata in funzioni disupporto a tutte le attività che un sistema comples-

so di Protezione Civile deve fornire.Dalla prima segnalazione pervenuta, la sala opera-tiva ha funzionato con diverse modalità: da casa,per strada, tramite cellulari, e-mail, sms, fax, quan-do le notizie ancora frammentarie non permetteva-no di inquadrare lo scenario emergenziale.Anche i sistemi più organizzati hanno bisogno diun tempo biologico di reazione per andare a regi-me, e soprattutto per ricalibrare le proprie procedu-re e la propria azione, considerato che in questimomenti di emergenza il livello di incertezza è lavariabile a qualsiasi pianificazione. Alle ore 5,05,00 il Dipartimento della Protezionecivile aggiorna la sala operativa regionale infor-mando che sono in corso verifiche in merito a feriti,vittime e danni alle abitazioni.In questi casi la Presidenza del Consiglio dei Mini-stri - Dipartimento della Protezione Civile coordinatutto il sistema nazionale (Vigili del Fuoco, CorpoForestale, Arma Carabinieri, Esercito, Forze dell’or-dine, Croce Rossa Italiana, Enti locali, gestori servi-zi essenziali, ecc.).Le Regioni fanno parte di questo sistema e come lealtre forze si allertano per attivarsi su input delcoordinamento centrale.In sala operativa arrivano le prime immagini tra-

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smesse dai telegiornali nazionali. Palazzi crollati,macerie, ambulanze, gente sconvolta per strada. Tantissime le telefonate, gli scambi informativi, e iltempo passa. Sinceramente non ricordo più se era-no le 8,00… le 8,30 … quando in sala operativa sitiene il briefing con i dirigenti e funzionari, i tecnicidell’H24, i primi della Colonna mobile regionale, icolleghi della Direzione generale Sanità.La prima risultanza della riunione operativa è poten-ziare le funzioni di supporto in sala operativa. Decidiamo di attivare la funzione di Scouting,ovvero il team che parte immediatamente in avan-scoperta per fare il sopralluogo sull’area colpita erimandare alla sala tutte quelle notizie utili perdispiegare uomini e mezzi. Ricordo la prontezzadel collega Caldiroli che subito si è proposto, e ladecisione condivisa di affiancargli due esperti –Cozzi del 118 di Milano per la sanità e Caretti delGVPC Aem/A2a per gli impianti acqua/energia .Il tempo trascorre, arrivano notizie sempre piùdrammatiche. La sala operativa regionale di Prote-zione Civile diventa anche il punto di riferimentoper quella moltitudine di lombardi che voglionooffrire generi di conforto. Per non disperdere questopatrimonio allestiamo una funzione ad hoc contanto di operatori per la registrazione di tutti i dati

finalizzati a creare quello che abbiamo chiamato“il supermercato delle donazioni”: dai pannoliniper l’infanzia al gasolio per automezzi.Dalle telefonate e dalle e-mail che arrivano in salasembra che tutta la Lombardia voglia partire perportare solidarietà, soccorso e beni di primanecessità alla popolazione aquilana. La solidarietà e le donazioni sono punti di forzama possono rivelarsi anche controproducenti,sono punti critici che vanno governati. Quello cheinviamo sui siti colpiti deve essere trasportato, sca-ricato, stoccato, gestito; si tratta di un processocomplesso che per assurdo, e se non opportuna-mente coordinato, “fa più male che bene” a chi stasul campo a gestire l’emergenza.Mentre i colleghi dello scouting guidano velociverso L’Aquila, con Tognazzi della Provincia diBrescia attiviamo una delle funzioni più importan-ti: il coordinamento delle Province per l’impiegodei volontari lombardi, organizzati nelle colonnemobili provinciali.Nel frattempo, presso il Centro Polifunzionale diEmergenza di Legnano della Croce Rossa Italiana,i colleghi Besola e Merzagora organizzano la par-tenza della Colonna Mobile regionale.Con i colleghi della Dg Sanità, Fontana e Fanuzzi,

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si concorda la partenza della colonna mobile sani-taria. In sala è un continuo squillare di telefoni, operatoriaffaccendati, giornalisti e cameramen che ripren-dono gli operatori. L’Assessore Maullu chiedeaggiornamenti, il tempo passa, e arriva la sera. Il direttore Cesca è ancora in sala e anche se è allaProtezione Civile da tre mesi ha saputo subito faresquadra e gestire al meglio il personale addettoall’emergenza.Da L’Aquila, Caldiroli dopo diversi contatti con ilDipartimento della Protezione civile ci confermache la Lombardia deve realizzare una prima tendo-poli in località Monticchio - cinema Garden.I nostri sono partiti per L’Aquila, sono per strada,vanno assistiti, vanno curati, devono arrivare aMonticchio. Questo è un altro compito per sale operative. Resto in sala fino al primo mattino, quando“Gio’”, ormai senza voce, mi dice “Ok, è arrivataanche l’ultima colonna, un attimo e cominciamoa montare”.E così sono trascorse le prime 24 ore, abbiamo atti-vato dalla sala operativa più di 250 persone trasanitari, logisti, ecc. che ora stanno operando aregime per assistere la popolazione aquilana

costretta ad abbandonare la propria casa senza nul-la al seguito. L’emergenza è in continua evoluzione, cambianole necessità e i servizi da attivare, in sala operativai telefoni continuano a squillare, gli operatori pre-sidiano e ottimizzano il lavoro alle funzioni disupporto.

7.000 telefonate e 6.000 emailTrenta persone al giorno, operative per più di 30giorni. Più di 7.000 telefonate in entrata e circa4.000 chiamate in uscita (escluse le comunicazionisu telefono cellulare); 25.000 contatti per il sitoregionale della Protezione Civile. Le mail ricevutesono più di 6.000, 3.000 quelle inviate. Sono solo alcuni dei numeri registrati per questaemergenza ai quali dobbiamo ricordarci di aggiun-gere decine e decine di tende, container servizi,tonnellate di derrate alimentari, centinaia di mezzidi trasporto impegnati da tutte le colonne mobili,11.000 litri di gasolio donato da una società lom-barda e utilizzato dai nostri mezzi nell’area delleoperazioni. Numeri importanti che rivelano la mole di lavorogestita e coordinata dal sistema di Protezione Civiledella Lombardia.

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Chi ha fatto che cosaIl sistema della sala operativa nel corso di questianni e grazie anche alle tante esercitazioni edemergenze, ha raggiunto una buona capacità dirisposta che prende il “la” dal servizio tecnico H24e si sviluppa a “strati di cipolla” con il serviziointerno di reperibilità dell’U.O. Protezione Civile edella Direzione, con la colonna mobile regionale,con l’Unità di Crisi regionale e con il sistema delleProvince. Una lezione che ho imparato: bisogna fermarsi,bisogna condividere le strategie, bisogna staccaree dedicarsi a briefing mirati per ricalibrare le attivi-tà, e tutti devono essere informati.I tecnici del servizio H24 della sala operativa (acontratto con Lombardia Informatica) hanno rad-doppiato il numero dei turnisti presenti e rafforzatole presenze negli orari più critici della giornata peril supporto alla funzione Segreteria e alla funzioneTecnica della sala, tenendo costantemente aggior-nato il registro di sala, e continuando a monitorarela nostra Lombardia. L’U.O. Protezione Civile al completo ha lavorato24/24 ore per l’emergenza; anche gli amministrati-vi sono “scesi” in sala operativa a tamponare leproblematiche legate al turn-over nelle funzioni

relative al volontariato, al trasporto mezzi e mate-riali, alla reportistica, al sito web, al vettovaglia-mento, ai contatti con Trenitalia per agevolare leautorizzazioni per i viaggi ferroviari dalla Lombar-dia per L’Aquila.Chiamati dal Direttore, sono stati coinvolti lo staffdi direzione, i colleghi dell’U.O. Sistema IntegratoPrevenzione e dell’U.O. Polizia Locale, per svol-gere le funzioni dedicate al coordinamento dellesquadre tecniche per la verifica degli edifici, ilcoordinamento degli agenti di Polizia Locale deicomuni lombardi per le informazioni sulla viabili-tà in supporto alle colonne mobili, ma anche ilcollegamento con gli agenti a L’Aquila per il con-trollo delle generalità di sfollati che dall’Abruzzosono arrivati a Milano chiedendo aiuto alla Lom-bardia. E ancora, i colleghi delle altre direzioni: la DgSanità, la Dg Agricoltura per il coordinamento delsistema agroalimentare lombardo relativo ai rifor-nimenti alimentari delle nostre tendopoli, la DgCasa e opere pubbliche, la Dg Reti e servizi pub-blica utilità, la Dg Cultura, la Dg Presidenza, tuttidisponibili a dare il loro contributo all’interno delsistema di Protezione Civile.

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I volontari in sala operativaUn discorso a parte va fatto per i volontari: quantapazienza, disponibilità e flessibilità.Davvero faccio fatica a ricordarli tutti: Ettore,Daniela, Gianni, Marco, Alessia, Luigi, Mario …Ognuno di loro voleva partire per portare il propriocontributo sui luoghi del disastro ma la loro presen-za è preziosa anche nei centri operativi per ricoprireimportanti funzioni di logistica e coordinamento,questo vale anche per gli altri volontari e funzionariche non erano nella sala regionale, ma nelle altrecentrali, come quella del Comune di Milano, dellaProvincia di Milano, della Provincia di Brescia, enelle tante sedi degli enti impegnati per l’Abruzzo.Nella sala operativa regionale fondamentale è statoil contributo del Corpo Volontari di ProtezioneCivile di Milano (per telefoni e e-mail), dell’AnpasLombardia (per il supporto alle attività di assistenzasocio-sanitaria e tra le tante cose … le lavatrici!),dei radioamatori dell’Ari per le telecomunicazioni,del GVPC del Parco del Ticino per la raccolta deigeneri di prima necessità e tanti altri servizi, delGVPC dell’Aem/A2a per raccolta controllo e tra-sporto dei materiali per l’impiantistica dei campi,dell’Associazione Nazionale Alpini per il lavoro distoccaggio generi di prima necessità e per i tanti

viaggi su e giù per l’Italia con i camion della colon-na mobile regionale.

L’emergenza continuaSono passati 180 giorni e l’emergenza non è anco-ra chiusa. Il Dipartimento della Protezione Civile ha chiesto aRegione Lombardia di rispettare l’impegno sulcampo fino al 30 di settembre. Ormai ci siamo, abreve verrà avviato lo smantellamento delle tendo-poli, e questo sarà un altro dei capitoli dell’emer-genza Abruzzo. Lo smontaggio è una fase molto delicata, e comeall’inizio dell’emergenza è stata istituita la funzionedello Scouting, così ora Regione Lombardia ha pia-nificato il team per lo smontaggio. Bisogna essereattenti, non fare mosse frettolose; lavorare in sicu-rezza è fondamentale.Alla pari del lavoro fisico per lo smontaggio di ten-de e attrezzature, è importante la compilazionedelle “carte”, dei verbali formali per la consegna opresa in carico, non è ammissibile che tende e con-tainer possano essere dimenticati in giro.E la sala continua a fare il suo compito, fornendosupporto a chi sta sul campo.

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Le 3.37 del 6 aprile 2009: il telefono cellulared’emergenza del Funzionario in turno di reperi-bilità della Protezione Civile della RegioneLombardia inizia a squillare. “Ciao Cinzio è laSala Operativa. Volevamo avvertirti che c’è sta-ta una scossa sismica abbastanza forte in centroItalia. Non si capisce ancora bene dov’è l’epi-centro, sembra in Abruzzo. Stiamo verificandoe seguendo le Ansa .”(A quel punto realizzo che sono le 3.40 delmattino).(Sala Operativa) “Allora procediamo in questomodo: verifichiamo bene tutte le informazionitelefonando anche all’ING (Istituto Nazionaledi Geofisica, rete sismica). Poi, a breve, ci risen-

tiamo per fare il punto della situazione”.Non credo siano trascorsi più di cinque-setteminuti dalla prima chiamata, che dalla SalaOperativa ricevo conferma: “Ti confermo unascossa sismica intorno al sesto grado Richter inAbruzzo nelle vicinanze dell’Aquila. Dalle pri-missime informazioni pare ci siano numerosicrolli”.Il terremoto è una “brutta bestia”: non sai quan-do arriva, ti coglie sempre di sorpresa, duraqualche minuto (che sembrano decine e deci-ne) e, come in questo caso, di notte, ti producedisastri inimmaginabili.“Ho perso moglie e figlia - mi racconta un ospi-te presente in un campo d’accoglienza - è

6 aprile 2009, ore 3.32: la terra trema

di Cinzio Merzagora

Cinzio Merzagora, architetto, è Responsabile di Unità Operativa presso la U.O. Protezione Civiledi Regione Lombardia. In Regione dal 1980, il suo Curriculum è scandito dalle tante emergenze incise nella “memoriastorica” del nostro paese: dal terremoto in Irpinia sino alla missione in Abruzzo. Membro dellaCommissione nazionale di Protezione Civile tra le Regioni, oltre alle missioni “sul campo” Cinzioè da sempre impegnato anche in un’intensa attività pubblicistica e formativa.Questa, la sua testimonianza dell’emergenza Abruzzo.

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incredibile il terremoto. Io mi sono sentito lette-ralmente catapultato fuori dalla finestra e misono ritrovato in strada, leggermente ferito; miamoglie, che era con me, e mia figlia sono rima-ste sotto le macerie della casa.”Alle 4.00 circa, tramite la Sala Operativa, infor-miamo immediatamente dell’accaduto il Diri-gente della U.O. Protezione Civile della Regio-ne Lombardia, Ing. Biancardi ed il Dirigentedella Struttura Gestione delle Emergenze/SalaOperativa regionale di Protezione Civile, Ing.Giacomelli; la Sala Operativa invia immediata-mente a tutti i funzionari e reperibili di RegioneLombardia un primo sms informativo sullasituazione in atto.Quante telefonate e quanti sms siano state fattio inviati dalle 4.00 alle 6.00 del 6 aprile since-ramente non lo ricordo più. A posteriori possodire che l’attivazione del Sistema di ProtezioneCivile della Regione Lombardia ha funzionatoin modo ottimale.Dalle primissime luci dell’alba del 6 aprile laSala Operativa regionale di Protezione Civileinizia la sua lunga ed estenuante attività h. 24 alfine di garantire al meglio i primi interventi diRegione Lombardia alla popolazione abruzzese

colpita dal sisma. Direttore Generale della DGProtezione Civile, Prevenzione e Polizia Locale,dirigenti, funzionari delle Direzioni Generaliregionali Protezione Civile, Prevenzione e Poli-zia Locale, Presidenza, Sanità, AREU 118 siritrovano per le prime valutazioni dell’accadutoe per i primi provvedimenti d’emergenza.Viene immediatamente pre-allertata la ColonnaMobile Regionale di Protezione Civile dellaRegione Lombardia, composta da AEM/A2a,ANA (Associazione Nazionale Alpini), Anpas,CRI (Croce Rossa Italiana), Consorzio ParcoLombardo della Valle del Ticino, FIR-CB (Fede-razione Italiana Ricetrasmissioni - Citizen'sBand). Vengono pre-allertati i tecnici regionali edegli Enti locali per la costituzione di squadreutili per le verifiche degli edifici lesionati. Ven-gono attivate le “funzioni di supporto” all’emer-genza previste dalle procedure della Sala Ope-rativa regionale (Sanità, Logistica, Materiali eMezzi, Call-center, Radio-Telecomunicazioni,Volontariato).Come spesso accade in questi casi risulta diffi-cile nelle prime ore stabilire un “contatto” diret-to con il Sistema Nazionale di Protezione Civile(Dipartimento di Protezione Civile/Ministero

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dell’Interno) o con la Regione capofila del coor-dinamento delle regioni italiane per le attivitàd’emergenza; tantomeno con enti e istituzionicoinvolte dall’evento.Risulta altresì difficile concordare ed attuarecon tutti i soggetti interessati una “strategiacoordinata” dei primi interventi. L’istinto è quello di partire immediatamente, diportare il più velocemente possibile gli aiuti delcaso, senza “pianificare” a monte una strategiaoperativa. È ciò che è accaduto in passato, adesempio, in occasione del terremoto dell’Irpi-nia del 1980: dopo alcuni giorni si è dovutosoccorrere i soccorritori!Il Sistema Regionale di Protezione Civile dellaLombardia di risposta all’emergenza si è struttu-rato in questi anni su tre “pilastri” fondamentali:la Sala Operativa regionale di Protezione Civile,che rappresenta di fatto la Di.COMA.C. (Dire-zione di Comando e Controllo) dell’intero siste-ma regionale di Protezione Civile, in quantorappresentata da tutte le componenti il sistemanazionale di Protezione Civile (Vigili del Fuoco,Polizia, Corpo Forestale dello Stato, Carabinieri,Volontariato); la Colonna Mobile Regionale diProtezione Civile, che permette la prima attiva-

zione in caso d’emergenza ed il sostegno logi-stico, sanitario, assistenziale alle popolazionicolpite da calamità; le Colonne Mobili delleAmministrazioni Provinciali della Lombardia(con l’aggiunta recente del Comune di Milano),che garantiscono supporto e continuità all’azio-ne della Colonna Mobile regionale.Alle 8.00 circa del 6 aprile, il primo contingen-te della Colonna Mobile regionale di Protezio-ne Civile è pronto per la partenza, destinazio-ne: L’Aquila, località Bazzano/Monticchio. Il primo contingente parte intorno alle 11.00,obiettivo: la costituzione di un campo di acco-glienza (successivamente denominato “Montic-chio 1”). Insieme a loro anche un primissimocontingente di tecnici per la valutazione degliedifici, “capitanati” da Carlo Giacomelli (l’inge-gnere della sismica).Il resto della Colonna Mobile regionale parteverso le 14.30.Nella notte tra il 6 ed il 7 aprile, il campo diaccoglienza di “Monticchio 1” è approntato.Alle 7.00 del 7 aprile, vengono servite daivolontari le prime colazioni. Un record!Sono rimasto a dare il mio contributo alla SalaOperativa per circa 18 giorni, più o meno conti-nuativi; insieme a tutti i colleghi della Protezio-ne Civile regionale e a quelli delle altre Direzio-ni generali della Regione Lombardia abbiamocontribuito all’allestimento di 3 Campi di acco-glienza, assistito più di duemila persone, invia-to generi di conforto e di prima necessità inmodo continuativo ed incessante, risposto amigliaia di telefonate.Il resto è storia recente.

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6 aprile 2009 - ore 3.32. L’Aquila viene devastata daun sisma di magnitudo 5.8 Richter (in seguito il valoreverrà aggiornato a 6.2).Ore 6.30 - Il telefono di servizio, seppur sempre acce-so, al di fuori dei turni di reperibilità mensili non si tro-va sul comodino, ma sul tavolo del soggiorno. Alrisveglio è ormai abitudine controllare se sono arrivatimessaggi dalla Sala Operativa. Il display del cellularesi illumina: 3 messaggi. Apro il primo - delle 3.45 circa- che mi informa del terremoto; il secondo attiva l’Uni-tà di crisi; il terzo mi avvisa che la Colonna MobileRegionale è stata allertata.In automatico accendo la tv e sullo schermo comparel’immagine di un palazzo crollato e di un manipolo divigili del fuoco che, alla luce delle fotoelettriche, cer-

cano tra le macerie. Le notizie sono frammentarie, masufficienti per capire che è una cosa grossa. Proprio lasettimana precedente aveva avuto grande risalto lanotizia dell’allarme lanciato da un ricercatore di unistituto italiano: ci sarebbe stato un forte terremoto inAbruzzo. Avrà mica azzeccato! Per un momento tuttele mie convinzioni di geologo sull’impossibilità di pre-vedere il momento di un sisma cadono; ma subito lavoce dello speaker informa che volontari di tutta Italiasono in arrivo su chiamata del Dipartimento Protezio-ne Civile. Preparare la borsa con il necessario per una settimanaè questione di un attimo; i corsi della task force euro-pea qualcosa hanno insegnato: la check-list con ilnecessario è pronta e basta solo scorrerla.L’immagine

La prima settimana

di Giovanni Caldiroli

Geologo, funzionario della Protezione Civile della Regione dal 1998, Giovanni si occupa principalmen-te di pianificazione di emergenza e, da alcuni anni, anche di volontariato e dell’organizzazione logisticadelle colonne mobili regionale e provinciali. Il 6 aprile, con Alessandro Caretti di A2A e Cristiano Cozzi di AREU, parte alle 12.00 da Milano per lamissione di scouting a L’Aquila da dove coordina le attività delle colonne mobili durante la prima setti-mana dell'emergenza.Questa è la sua storia.

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della Casa dello Studente crollata resterà l’unica vistaper tutta la settimana successiva, trascorsa in semi-clausura nelle due tendopoli che entro tre giorni ver-ranno allestite.Ore 9.00 - La Sala Operativa della Regione Lombardiapullula di persone. Davanti ai megaschermi, osservan-do le poche e ripetitive immagini che giungono dal-L’Aquila, ci sono dirigenti e funzionari della DirezioneGenerale Protezione Civile che valutano il da farsi.L’idea è inviare subito qualcuno per una ricognizioneprecisa delle necessità, mentre si attiva la colonnamobile regionale con i volontari di prima partenza.Do immediatamente la disponibilità e nel giro di 2minuti sono in ufficio a preparare le cose che potreb-bero servire: un po’ di cancelleria, il portatile dell’uffi-cio, poco altro. Chiamo a casa per avvisare che non tornerò per cena. La squadra di “scouting” comprenderà, oltre a me,Cristiano Cozzi dell’Azienda Regionale EmergenzaUrgenza (il coordinamento dei 118) per la parte sani-taria ed Alessandro Caretti di A2A per la parteimpiantistica. Nel giro di due ore siamo pronti, lamacchina viene caricata con le nostre borse e con il“valigione” giallo che contiene l’ufficio mobile: duenotebook, stampante, telefono satellitare, cavi e bat-terie. Anche l’idea del “valigione” proviene dai corsi

della task force europea ed una volta di più si dimo-strerà indispensabile.Ore 12.00 - Siamo in macchina; ci daremo il cambioal volante per non perdere tempo, ma il primo turnospetta a me. Una staffetta della Polizia Locale di Mila-no ci scorta fino all’autostrada: 8 minuti da via Pola apiazzale Corvetto! In autostrada ci preoccupiamopoco dei limiti di velocità, ci preme arrivare il primapossibile per capire al meglio la situazione. Lungo iltragitto superiamo svariate colonne dei Vigili del Fuo-co e di volontari; le pattuglie della Polizia Stradale cisalutano, comprendendo il motivo della nostra pre-mura. Alle 14.30 una sosta dalle parti di Rimini serve afare il pieno e mangiare un boccone al volo. Carettinon si capisce con la cassiera ed anziché panini con ilsalame ci arriva una terribile salamella fredda con cre-ma all’aglio; le prossime due ore passeranno conl’obiettivo di rinfrescare l’alito con quantità esageratedi chewing-gum alla menta.Il navigatore ci fa sbagliare strada: anziché a Giuliano-va-Teramo sulla A25, ci fa proseguire fino a Pescara epoi prendere la A26 fino a Bussi-Popoli. Risultato: cir-ca 80 km in più di strada. Sulla statale incrociamo unacolonna ininterrotta di macchine cariche di persone ebagagli che se ne vanno, mentre nella nostra direzionecontinuiamo a superare lenti veicoli dei Vigili del Fuo-

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co, dell’Esercito e dei volontari di Protezione Civile.L’abilità al volante di Caretti ci fa recuperare il tempoperso ed alle 17.30 siamo in vista del cartello che indi-ca L’Aquila.Ore 18.30 - Attraversare la città si rivela un incubo:l’uscita dell’A25 L’Aquila Ovest è chiusa per verificheai viadotti e quindi tutte le vetture si dirigono versoL’Aquila Est, con il risultato di bloccare completamen-te la circolazione. I vigili urbani fanno i salti mortaliper liberare gli incroci, con fortuna alterna. Le imma-gini che scorrono davanti ai nostri occhi sono dram-matiche: palazzi sventrati, case semi-distrutte, corni-cioni e comignoli caduti ovunque; sembra di essere inuna città dei Balcani dopo un bombardamento. Nes-suno sembra sapere dove si trovi il centro di comandodell’emergenza e facciamo due o tre giri attorno aPiazza d’Armi prima di avere l’indicazione corretta. Ilrisultato è che impieghiamo più di un’ora per arrivarealla DICOMAC (DIrezione COMAndo e Controllo)del Dipartimento Protezione Civile, presso la scuolasottufficiali della Guardia di Finanza di Coppito.Ore 19.00 - Il cortile interno della caserma di Coppitosembra il parcheggio di San Siro il giorno del derby. Afatica troviamo un buco e ci avviamo all’interno. Nonavevo mai visto la DICOMAC all’opera prima del 6aprile: un intero palazzetto dello sport trasformato nel

centro di controllo più grande che abbia mai visto,brulicante di centinaia di persone, più o meno indaffa-rate, tavoli, sedie, computer e stampanti. Individuiamosubito il “Coordinamento delle Regioni”, che costitui-sce il punto di riferimento per chi proviene dal restod’Italia: si tratta di un’isola formata da 4 tavoli, dovealmeno una decina di persone cerca di parlare con glistessi due funzionari della Regione Friuli-Venezia Giu-lia, che ha ricevuto dal Dipartimento l’incarico delcoordinamento. Le informazioni sono comunquescarse e ci dicono di attendere le ore 20 per una riu-nione con i vertici del DPC. Nel frattempo facciamoun giro per cercare visi conosciuti: un collega di qual-che regione, un funzionario del DPC, un Vigile delFuoco. Alle 20.30 la riunione ha inizio: vengono for-niti dati aggiornati sugli sfollati - oltre 70.000 - che inqualche modo bisognerà sistemare; ogni regione vie-ne assegnata ad un COM a cui riferirsi per capire inquale località operare. Noi veniamo assegnati alCOM1 e appena termina l’incontro schizziamo viaper sfruttare gli ultimi momenti di luce - ma sarà unapia illusione.Ore 21.30 - Con una certa fatica individuiamo la sededel COM1, posta in una scuola materna e quando vientriamo l’atmosfera è surreale. Il COM1 è l’oppostodella DICOMAC: poche persone occupano i tavolini

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e le seggiole dimensionati per i bimbi, il rumore èsommesso e l’impressione è quella di un centro dicomando che sta nascendo in quei momenti. La con-ferma ci viene data dai due funzionari del DPC pre-senti. Con loro abbiamo condiviso emergenze edesercitazioni un po’ in tutta Italia e quindi è immedia-to entrare in sintonia. Cerchiamo di capire in fretta, macon molta fatica, poiché le mappe non sono chiare emanca qualcuno che conosca bene i luoghi, qualisiano le possibilità per installare un campo di acco-glienza: ci viene proposto il parcheggio di un cinemamultisala in una zona periferica, in alternativa un’areadismessa di una fabbrica dell’ITALTEL. Vista l’ora -ormai sono le 23 passate - decidiamo di fare unsopralluogo, iniziando dal cinema. Ci incolonniamoper le vie della città, che ora sono quasi deserte, pas-siamo su un viadotto e sotto una galleria, confidandoche i tecnici abbiano valutato bene la tenuta delleopere e, soprattutto, che non vi siano scosse proprio inquel momento. In pochi minuti siamo a destinazionee ciò che vediamo pare uscito da un film del generecatastrofico.Ore 23.30 - Il Cinema Multisala Garden non si puònon notare, perché l’insegna luminosa a carattericubitali è ancora accesa ed un enorme faro illumina ilparcheggio. L’area è occupata da più di un centinaio

di macchine, tutte con i vetri appannati dove imme-diatamente comprendiamo che sono stipati gli sfollati.Appena scendiamo dalle nostre macchine, come for-miche un po’ alla volta scendono anche loro - chi ingiacca a vento, chi avvolto in una coperta - per avereinformazioni. I funzionari del DPC spiegano loro cosasuccederà, mentre noi iniziamo una ricognizione del-l’area per capire di cosa disponiamo in termini di ser-vizi essenziali. Il proprietario del cinema si mette adisposizione e ci illustra il posizionamento di allaccia-menti, scarichi e via dicendo. Decidiamo che il luogoci va bene, anche spinti dal ricordo di esperienze pas-sate dove le tendopoli erano caratterizzate da polveree fango: qui abbiamo una bella spianata di asfalto contutto ciò che ci serve (luce, acqua e scarichi). Il luogo perfetto.Ore 24.00 - I colleghi del DPC se ne vanno per fare unsopralluogo nell’altra area e ci ripromettiamo di sentir-ci nelle ore successive. Siamo ormai calati nella parteoperativa della missione e ci rendiamo conto che laprima cosa da fare è sgombrare il parcheggio dellemacchine degli sfollati, in tutto circa 500 persone. Unpo’ ci spiace costringerli ad andarsene all’esterno eparcheggiare lungo la strada o in mezzo ai campi, maci serve l’area libera per capire come organizzare ilcampo. Tutti comprendono cosa succederà in quel

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luogo e si spostano senza fare obiezioni. Ciò che saràl’Area di Accoglienza Monticchio 1 nei mesi successi-vi è frutto del pensamento di noi tre, soli sotto il gran-de faro del parcheggio, con un foglio A4 ed una pennain mano: sperando di fare scelte che non si rivelinoerrate, a poco a poco l’idea del campo nasce. Siamocosì presi che nemmeno ci accorgiamo che ormaianche la salamella all’aglio è un vago ricordo. Unodegli sfollati ci informa che a poche centinaia di metric’è una rivendita di carne all’ingrosso e che tutti lorohanno mangiato lì. Speranzosi di trovare almeno unpanino ci presentiamo al negozio, ma restiamo delusi:hanno praticamente finito tutto. Il proprietario ci pro-pone qualche fetta di coppa con dei grissini e decidia-mo in fretta che va sicuramente bene. Rifocillati tor-niamo al cinema in attesa della colonna mobile che èin dirittura d’arrivo.

7 aprile 2009Ore 1.15 - Il collega Massimo Ceriani ci ha appenaaggiornato che si trovano a qualche decina di kmdall’Aquila e quindi abbiamo il tempo di rilassarciun momento. Ci aggiriamo per il parcheggio ripen-sando a come abbiamo deciso di disporre il cam-po. Giunti proprio davanti all’entrata del cinema,Caretti si ferma improvvisamente e ci dice di ascol-

tare: un rombo via via più forte sembra scenderedalle montagne circostanti; ad un tratto l’edificiodel cinema incomincia a scuotersi, le vetrate sbat-tono, l’asfalto del parcheggio pare ondeggiare eduna crepa sottile si apre proprio in mezzo a noi.Poco dopo un sms dalla sala operativa di Milano ciinformerà che si è trattato di una scossa di magnitu-do 4.9, la più forte dopo quelle della notte prece-dente ed anche di tutte le settimane successive. Ciguardiamo senza parlare, forse pensando a cosadeve essere stato vivere il terremoto dentro unacasa o un palazzo.Ore 1.45 - L’avanguardia della Colonna MobileRegionale, guidata da Massimo Ceriani, giunge final-mente a destinazione. Gli ultimi minuti sono trascor-si al telefono per dare indicazioni sulla direzione daprendere, impresa tanto più complicata dal fatto chela colonna è composta da numerosi veicoli. Appenasul posto, i volontari iniziano subito il montaggiodelle proprie tende, per due ragioni: la prima è che ilcamion del Comune di Milano con le tende per glisfollati è atteso all’alba, la seconda deriva dalla con-suetudine di approntare un luogo dove riposarsi altermine di una giornata che si prospetta molto lunga.Con l’avanguardia della Colonna Mobile giungeanche un Posto Medico Avanzato del 118 di Milano

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che, nel giro di 30 minuti, è operativo ed inizia a pre-stare le cure a qualche sfollato in preda a crisi dipanico.Ore 4.30 - Anche il resto della Colonna Mobile Regio-nale giunge a destinazione, cogliendomi addormenta-to sui tasti del notebook, intento a scrivere il report perla sala operativa. I volontari specializzati di A2A ini-ziano a ragionare sulla predisposizione degli impiantidel campo; i volontari della FIR-SER Lombardia intan-to allestiscono la tenda segreteria, per essere pronti adaffrontare tutte le incombenze legate alla registrazionedelle presenze nel campo, sia di sfollati che di volon-tari. Nel frattempo il personale dell’ANA inizia il montag-gio delle strutture della cucina da campo: alle ore 7.00sarà già in grado di dare bevande calde e brioche aglisfollati che da due giorni vivono in macchina.Ore 6.25 - I mezzi del Comune di Milano arrivano alcinema, con il loro carico di tende (circa 40) e volon-tari che le dovranno montare. Hanno viaggiato su unautobus dell’ATM di Milano e quindi sono pronti amettersi all’opera: entro le 10.00 metà delle tendesono montate: forse ce la faremo a dare un letto alcoperto agli sfollati entro sera; intanto provvediamo adistribuire le coperte a coloro che non hanno di checoprirsi: due donne, terminato uno scatolone, credo-

no che non ce ne siano più e si accapigliano per pren-dere l’ultima. Le rassicuriamo che c’è roba per tutti ela situazione si calma.Ore 10.00 - Veniamo informati che una secondaColonna Mobile composta da volontari coordinatidalle Province della Lombardia è a circa 200 km daL’Aquila: nel primo pomeriggio dovrebbero essere adestinazione.Ore 12.00 - I Comune di Milano riceve la richiesta diun intervento in località Rocca di Mezzo, circa 40 kma sud ovest di Monticchio. Dopo un consulto con laDirezione Generale a Milano si decide di dare il vialibera: la cucina di Milano potrà essere sostituita daquella della Provincia di Brescia, in arrivo con laseconda Colonna Mobile. I funzionari del Comune diMilano lasciano al campo il personale dedicato almontaggio delle tende e si avviano verso la destina-zione finale. Nel frattempo giungono al campo i colle-ghi tecnici che si occuperanno dell’attività di verificadegli edifici evacuati: il Sindaco de L’Aquila ha infattidichiarato inagibile tutta la città e quindi servirannosopralluoghi a tappeto per consentire alle persone dirientrare in casa. Carlo Giacomelli e Daria Fusè siappropriano di un tavolo, una panca e aperto il pc ini-ziano a coordinare le squadre di ingegneri, architetti egeometri già in viaggio dalla Lombardia.

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Intanto tra la popolazione sfollata inizia a sorgerequalche interrogativo sulle modalità di accesso alcampo e sui tempi necessari ad allestire la tendopoli:li rassicuriamo che nessuno di quelli presenti lungo lastrada verrà lasciato fuori e che contiamo per sera diessere pronti ad assegnare le tende. La cucina del-l’ANA è completamente operativa e preparerà oltre900 pasti, solo per pranzo.Ore 15.00 - Arriva la seconda Colonna Mobile, con lacucina di Brescia ed altri 2 moduli servizi che siaggiungono ai 3 già presenti. Inoltre giunge il postomedico avanzato di 2° livello dell’Ospedale Niguardadi Milano. Si tratta di una struttura enorme, compostada due tende gonfiabili a croce, che in pratica rappre-senta un piccolo ospedale da campo. Le operazioni discarico e montaggio avvengono sotto gli occhi estasia-ti dei numerosi bambini presenti al campo.Si presenta una volontaria di Croce Rossa provenientedal campo sportivo di Monticchio dove si sono radu-nate spontaneamente centinaia di persone, ma non viè nessun presidio “istituzionale”. Ci chiede delle ten-de, poiché non ne hanno e ci sono molti anziani chestanno in macchina da due notti. Gli diamo le pocheche abbiamo disponibili, chiedendo di mantenerciinformati sulla situazione.Ore 19.00 - Ci rendiamo conto che probabilmente

non riusciremo a montare e dare la corrente a tutte letende entro sera e che quindi dovremo ospitare alcunepersone anche nelle due tende polifunzionali. Dopocena iniziamo le operazioni di assegnazione delletende, seguendo un criterio di priorità temporale; ivolontari chiamano nome per nome i componenti deigruppi familiari e li accompagnano personalmentealle tende, che sono state numerate per meglio indivi-duarle. Nel frattempo i volontari di A2A hanno quasicompletato la posa dei cavi elettrici ed in ciascunasono stati posizionate 8 brande con coperte di lanaper tutti.Ore 22.30 - Il COM1 finalmente ci contatta per chie-derci com’è la situazione; li informiamo che ci è giun-ta notizia che al campo sportivo vi è molta genteabbandonata a se stessa; propongo la possibilità cheRegione Lombardia si occupi anche di questo campo:mi daranno una risposta all’indomani.

8 aprile 2009Ore 01.00 - Tutti gli sfollati che avevano “prenotato”un posto sono sistemati, ma continuano ad arrivarepersone, poiché si è diffusa la voce dell’allestimentodel campo. Mettiamo altre 40 persone nella tendamensa, che almeno è riscaldata.Ore 02.30 - Dopo 44 ore consecutive di veglia andia-

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mo a riposare, ma il sonno è disturbato dalle continuescosse nettamente percepite da tutti.Ore 06.30 - Siamo nuovamente in pista. L’obiettivodella mattina è completare l’allestimento del campo eviene raggiunto senza problemi: per mezzogiorno sipuò dire che la struttura è terminata; ora restano damettere a punto i dettagli organizzativi.Ore 15.00 - Con il collega Ceriani facciamo unsopralluogo al campo sportivo e ci rendiamo contoche da soli non possono farcela: sono autonomi per ilvitto, ma non sono in grado di montare le tende. Noine abbiamo al CAPI di Novi Ligure e ci attiviamo subi-to per farle arrivare, in attesa di una risposta dal COM,che giunge solo a sera inoltrata. Provvediamo subitoad informare Milano, per allestire una terza colonnache si occupi di quel campo. I volontari, coordinatiinizialmente dalla Provincia di Bergamo, arriverannoa Monticchio venerdì mattina.

9-10-11 aprile 2009L’allestimento del campo presso il cinema proseguesenza sosta: ormai siamo in grado di dedicarci ai det-tagli ed iniziamo a soddisfare qualche necessità piùcomplessa. Viene allestita una tenda per il presidio deimedici di famiglia, viene posizionato un ufficio mobi-le su un camper delle Poste Italiane. Dalla Lombardia

viene mandato un container speciale per la farmacia.Grazie ad una donazione di una ditta lombarda ed alComune di Ripabottoni, che ci invia oltre 100 lettini,riusciamo a sostituire tutte le brande da campeggio econ un’altra donazione dotiamo ogni tenda di unastufetta elettrica ad olio. Vengono posizionati gli estin-tori e la cartellonistica.La Sala Operativa continua a coordinare l’invio deimateriali e dei beni di prima necessità che di volta involta richiediamo. Non si contano i viaggi dei camione dei tir che fanno la spola tra Milano e L’Aquila.Dalle parti più disparate d’Italia ogni tanto compaionocamion e furgoni che scaricano beni di ogni tipo:vestiario, scarpe, generi per l’igiene personale, panno-lini per bimbi ed anziani (supereremo rapidamente i2.000 pacchi), cibo… Dal 10 aprile il magazzino viene trasferito sotto un ilpallone di un campo da calcetto e 15 volontari sonooccupati tutto il giorno a catalogare e distribuire ilmateriale agli sfollati. Ad un certo punto smettiamo diaccettare donazioni e dirottiamo ogni carico in arrivo,che non sia stato da noi richiesto, al magazzino del-l’ASM di Bazzano, dove è stato istituito il centro logi-stico del COM1.Durante la prima riunione della DICOMAC, sabato11 aprile, viene chiesto il primo censimento delle pre-senze nei campi: noi comunichiamo di avere accolto,nei due campi gestiti, circa 800 persone e di fornirepasti per circa 1.000. Il giorno di Pasqua, 7 giorni dopo il nostro arrivo, io eCeriani lasciamo spazio a colleghi più freschi e rien-triamo a Milano, mentre Caretti e Cozzi si fermanoancora qualche giorno: la sensazione è che L’Aquilasarà una meta frequente nei mesi a venire.

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Vi siete mai chiesti cosa passa nella testa di uno chefa della Protezione Civile una ragione di vita o unaprofessione? Vi siete mai chiesti cosa vede, comeragiona un volontario di pronta partenza? Belladomanda eh? Di quello che è successo da quel 6aprile saprete sicuramente tanto se non tutto. Stessacosa per quello che hanno fatto le istituzioni e ivolontari. Ma nessuno, almeno fino ad ora, vi ha raccontatocosa succede dietro le quinte, in quella parte del tea-tro dove avvengono un sacco di cose che pochiconoscono nei dettagli. Proviamo ad immaginare dimettere un futuristico aggeggio nella testa di qualsiasivolontario o professionista dell’emergenza e provia-mo a vedere cosa succede da questo punto di vista.Se questa cosa la reputate di vostro interesse allora viconsiglio di continuare a leggere.

6 aprile 2009, una data difficile da dimenticare.Ore 03.50. Arriva la prima telefonata

Era ormai qualche ora che stringevo beatamente trale braccia il mio caro amico cuscino. Ad un certo punto una specie di cicalino mi rim-bomba nella testa. Non sono sicuro di aver sentitosubito il suono di un messaggio sms. Forse era inca-strato in qualche parte del meraviglioso sogno chestavo facendo. Poi uno squillo forte che mi fa quasisaltare dal letto: che sogno strano, troppo reale.Un occhio mi si apre e lo sguardo cade su duenumeri rossi. Uno indica il numero 3, l’altro ilnumero 50. “Ma chi è che rompe?” “Pronto, Dario, è la Sala Operativa. È successa unacosa grave, una scossa di terremoto fortissima aL’Aquila, sembra ci siano dei morti, devi raggiunge-re la sala operativa.”Ma come, sono le quattro scarse, eppoi non sononemmeno reperibile. E se è un bluff? Mi incazzerò dibrutto! Questa volta vinco il superenalotto e mi licen-zio. Torno a letto. Massì, chi se ne frega. No, aspetto,

Vi siete mai chiesti…

di Dario Besola

Dario è funzionario di Regione Lombardia da 17 anni. In Protezione Civile dal 1997.Non serve aggiungere altro. Basta leggere la sua storia.

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anzi: sfido la pace notturna del condominio e accen-do la tv. Qualcuno domani mi darà un calcio allaportiera della macchina, ma se è successo qualcosa.qualcosa diranno i telegiornali. Si, certo: alle 4 delmattino, il telegiornale…dov’è sto maledetto teleco-mando?”“Accidenti, è una roba veramente seria!”In quei momenti il sangue ti si gela e ti dà un senso divertigine. Nonostante sia un “veterano” presso l’U.O.Protezione Civile della Regione Lombardia (modesta-mente, da 11 anni a questa parte non me ne sono maiperduta una), la reazione è sempre la stessa.Mando giù il groppone, mi lavo (chissà quando miricapita una doccia!), prendo pochi abiti “civili” epenso al borsone in ufficio con dentro quello che ser-ve per essere identificato e protetto a dovere. Pocheparole con mia moglie che non capisce, uno sguardoai bambini lì nei loro lettini nelle loro camere e lapromessa di sentirci presto per telefono.Tutto di fretta, tutto velocemente.Prendo l’auto e in un clima surreale mi precipitovelocemente verso Milano. Nonostante pesti allagrande l’accelleratore i miei movimenti sembranoincredibilmente lenti. Scuoto la testa. “Alzatevi palpe-bre, collegati cervello, per favore!” .

Sala operativa regionale. Ore: +01.30 dall’eventoArrivo e entro in sala operativa. La quiete della stradanon esiste più. Sembra un giorno qualunque, anzisembra un giorno speciale, uno di quei giorni in cuiin sala si fanno delle manifestazioni. C’è un sacco digente. Sono tutti seri. Tutti indaffarati. Ci sono tutti.Ma proprio tutti. Saluti di rito. Incrocio gli sguardi epare che tutti mi dicano la stessa cosa. È ormai chiaro,non è un’esercitazione, non è uno scenario inventato,è successo veramente. Come agli altri anche a meviene assegnata una postazione. Quella a me piùconsona si chiama “mezzi e materiali” ma non hoancora le idee chiare su cosa dovrò fare. Anzi, pensoche le idee chiare non le ha pressoché nessuno. Ètroppo presto e non abbiamo abbastanza informazio-ni. Non possiamo fare molto. Vediamo le scene in tv,le interpoliamo con le notizie riservate agli addetti ailavori. Il quadro sembra agghiacciante. Chiunquedentro di sé in questi momenti vorrebbe indossare ilcostume del Supereroe e partire a razzo rimettendo lecose al loro posto. Ma non è cosi semplice. Nessunoè riuscito a trovare la sartoria che confeziona certicapi miracolosi. Le ore passano nervosamente e(finalmente) qualcosa si muove. Le notizie sembranoessere certe e il quadro ipotizzato, purtroppo, prendecorpo. Parte la fase di scouting, ovvero: vado, vedo,

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riferisco, faccio. Caldiroli nel frattempo parte. Vuoleandare lui. È la sua prima volta da avamposto. Va avedere e a riferire.

Si prepara la Colonna Mobile Regionale. Ore: +10.00 - +14.00 dall’eventoNel frattempo si conviene di iniziare a predisporre laColonna Mobile Regionale. Danno a me questo inca-rico e mi dicono di stare, dopo la partenza dellaCMR, in sala operativa ad organizzare le spedizionidi tutti i materiali di cui necessitano. Obbedisco.Si parte con il chiamare i referenti della ColonnaMobile che, a loro volta chiamano i loro volontari. Cidiamo appuntamento in uno dei CPE (Centro polifun-zionale di emergenza) dove si caricano i camion contutto quello di cui disponiamo. Tende, brande, mate-rassi, generatori, torri faro, gruppi docce gabinetti,cucine campali e tensostrutture, tavoli panche e mol-to altro. Una fatica boia che ti stronca per una setti-mana. Chi carica sono gli stessi che partono ovvia-mente. Per non sbagliare si porta di tutto. La gabbiacon i canarini, beh, no, quella proprio no! Passano leore e l’adrenalina è palpabile. Mi fermo un attimo aguardare i volontari che hanno appena finito di cari-care i mezzi. Ridono, scherzano. Sono freschi comese fossero appena usciti da un albergo a 5 stelle. Sem-

brano degli scolaretti in attesa del pullman per la gitascolastica. Che scemi! Mi fanno tenerezza: ma dovepensano di andare, a Venezia a dare da mangiare aipiccioni? Che gente!Ecco il momento atteso. Si va in scena. Partono. Tuttifanno ciaociao con la manina davanti ad una teleca-mera di qualche televisione privata mentre sfilanolungo il cancello carraio. Io li vedo passare uno peruno. Mi salutano militarmente. Che gente!Immagino che il viaggio sia stato lunghissimo. Viag-giare in autocolonna è da pazzi, lo so, l’ho fatto unsacco di volte. Procedere al passo di lumaca non èpiacevole, ma nonostante la noia mi riferiscono chenessuno dorme. Non è una novità: succede semprecosi. Sono tutti svegli e arzilli. Mi domando che tipodi colazione abbiano fatto per avere tutta questa grin-ta a 24 ore di distanza dall’ultimo sonnellino. Che gente!

Il luogo scelto per la realizzazione della prima ten-dopoli. Ore: + 24.00 dall’ eventoÈ di nuovo notte fonda.Giovanni (Caldiroli) è arrivato da qualche ora. Rac-conta a noi in sala quello che ha visto ed è facile

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capire che ci si trova davanti ad una vera tragedia. Hamille difficoltà ma il ragazzo, seppur giovane nellemansioni da campo, è in gamba e non deluderà.Affianco a lui ci sono dei vecchi volponi che ne han-no viste parecchie e lo aiuteranno. Nel giro di pocotempo individua un’area dove alcuni scampati al ter-remoto bivaccano nelle loro auto. Decide che è illuogo giusto e che si passa all’azione.

Ore: +30.00 – 40.00 ore dall’eventoIniziano a montare tutto quello che hanno. Nel girodi poche ore montano tende, predispongono acqua eluce, allacciano i gabinetti, realizzano gli scarichi,montano le cucine. Che gente.E di nuovo giorno e le cronache che ci giungonodicono che nessuno si è fermato a riposare. Dopo 48ore dalla partenza nessuno vuole fermarsi. Vuoi vede-re che hanno trovato veramente la sartoria dove fan-no i costumi da supereroe?No, niente sartoria.

Ore: +60.00 dall’eventoÈ una vita che mi faccio questa domanda: perché fan-no questo e perché riescono a farlo per cosi tantotempo?.

Dopo 11 lunghi anni l’ho capito e adesso voglio rac-contarlo ai quattro venti. Piangono.Nessuno vi confermerà questa cosa ma fidatevi.Per i volontari lavorare nelle prime fasi è come pian-gere. Poiché non lo possono fare, loro esprimonoquesto sentimento cosi. Sono delle persone fatte cosi.Tanti di loro hanno a casa mogli, figli che non si spie-gano cosa vanno a fare lì.Vedono tutto, parlano con tutti. Sentono gli odori,respirano aria triste. Davanti alla televisione questecose non si possono capire. Un conto è immaginarle,un conto è viverle. Guardano negli occhi la gente chenon ha più niente e non possono piangere, non pos-sono commuoversi. Guai a farlo, vorrebbe dire avere bisogno di soccorri-tori per i soccorritori! Un disastro totale. Non posso-no sembrare umani ,non possono abbracciare le per-sone per far sentire loro il proprio calore, devono sop-primere quella voglia incredibile di alleviare le loropene. Allora lavorano per loro. Ti fanno il thè in tre secondi,si rompono le mani per darti un minimo di tetto, nonmangiano, non dormono, non vanno in bagno. Lofanno solo per loro. Ma di lacrime niente. Per quelle c’è tempo. Sgorghe-

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ranno dopo, quando nessuno li potrà vedere. Per tanto tanto tempo.Che gente fantastica.

Ore +72 dall’eventoSono passati tre giorni.Il campo è in funzione a pieno ritmo, tutto più omeno fa il suo dovere. Certo, si è ben lontani dallavita che consideriamo normale. Ma se il mio raccon-to ha reso bene l’idea dovreste essere d’accordo conme che, in questa fase è il massimo che si poteva fare.E i volontari?Poi cedono, è matematico. Il grafico della loro opera-tività inizia a puntare verso il basso. Lo capisci subitodal clima che si instaura. Saltano i nervi, si diventairritabili. Non mangiano da chissà quanto tempo unpasto decente e ci si riduce alle classiche confezionidi biscottini o scatolette comprati in autogrill. Il primopiatto di pasta scondito che ti passa sotto il naso tisembra esser stato trattato da un grande chef. Non si lavano dalla partenza e le divise ormai sonoridotte a panni luridi. Un giro al bagno poi….se neriparlerà magari fra qualche giorno. Iniziano a litigaretra di loro. Iniziano a non seguire più le regole, nem-meno quelle minime che hanno portato a quel risul-tato. Vuol dire che è ora di cedere il passo. Serve unaricarica fisica e mentale ma non è facile. Non è facile

convincere che da li in poi non sei più una risorsa maun potenziale soggetto in pericolo. Ci vuole continui-tà e ci vuole del personale fresco di braccia e di men-te. È chiaro che andremo avanti per tantissimo tempoancora.Penso che questi ormai sono bolliti. Anche il nostroGiovanni è andato. Ci sta, hanno subìto l’impattomaggiore. Le braccia hanno ancora energia ma è latesta che ormai ha ceduto. Nessuno di loro riesce arendersene conto ma è la sacrosanta verità.Le mie esperienze da “posto di comando” mi hannoinsegnato questa strategia: Fase 1 Senza farsi accorgere da nessuno si richiedonouomini freschi. Fase 2 Ci si deve imporre. Ci si alza in piedi su uncofano di una macchina e si grida “STOP!!! adessofermi tutti e tutti a casa. Fra un ora arriva il cambio.Preparatevi e nuovetevi!”Fase 3 Si deve scendere velocemente dal cofano etrovare un luogo blindato che ti metta al riparo dallamandria inferocita in tuta giallo blu. Tanto lo so…dopo un buon pasto e un buon bicchie-re di vino, una dormita di tre giorni tra di noi ci saran-no solo sorrisi e pacche sulle spalle.Che ci volete fare, sono le regole del gioco.Dedicato a tutti loro.

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Giovedì 9 aprile 2009. Preparo tutto quello che serveper la partenza. Ho un pò di timore. Lavoro da sette anni in Protezione Civile e ho vissutoinsieme a tutti i miei colleghi numerose emergenze:dall’aereo nel Pirelli ai terremoti del Molise e di Salò.Ma questa volta ho la netta percezione che sia unagrande emergenza e che la vera preparazione, perquanto mi riguarda, sarà messa a dura prova sul cam-po. È dal 6 aprile che si lavora incessantemente in SalaOperativa, con turni anche serali/notturni, per forniretutto il supporto necessario alle squadre di volontari edi tecnici già operativi sul territorio. Sin dalle primeore, insieme all’Ingegnere capo Carlo Giacomelli, mioccupo di individuare tra il personale le figure profes-sionali idonee al rilascio dell’agibilità degli edifici perpoi formare squadre di tecnici - ingegneri, architetti,geometri e geologi. Le adesioni arrivano in grande

numero - e con continuità per tutta la durata del-l’emergenza - non solo dai tecnici funzionari diComuni, Province e Regione, dalle Università e dagliIstituti di Ricerca della Lombardia, ma anche da moltiliberi professionisti che, non esitano a chiudere il pro-prio studio per una settimana, per mettere la loro com-petenza e professionalità a disposizione della gentecolpita dal terremoto. Giacomelli fa da apripista, gui-dando il primo gruppo di tecnici che, già nelle primis-sime ore del dopo sisma, avvia il lavoro tecnico “sulcampo”. Poi arriva il mio turno. Sono molto emozio-nata. Per la prima volta, seguendo le orme di chi mi hapreceduto, dovrò coordinare i lavori delle squadre delmio turno di tecnici, collaborando con il DipartimentoNazionale di Protezione Civile che ha creato il suoquartier generale all’Aquila. Il viaggio è già una avven-tura. Lunghe code sull’Autostrada del Sole: siamo nel

Progetto L’Aquila

di Antonella Belloni

Antonella Belloni, architetto, è esperta in analisi dei rischi naturali. Cura, attraverso la Scuola Superiore diProtezione Civile, la formazione dei tecnici e degli operatori e promuove iniziative di comunicazione perla diffusione della cultura di protezione civile. Ha partecipato alla gestione di emergenze - terremoto inMolise nel 2002 e nell’Alto Garda e della Valle Sabbia 2004. In questa testimonianza, la sua esperienzasul campo come tecnico impegnato nella verifica di agibilità degli edifici colpiti dal sisma.

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periodo che precede la Pasqua e intorno a noi fiumi dimacchine sono in viaggio per raggiungere le località divacanza. Si parte numerosi - con noi anche il DirettoreGenerale - per dare il cambio turno ai colleghi che perprimi hanno raggiunto i luoghi del terremoto e hannoimpiantato e organizzato la tendopoli di Monticchio1.Da Teramo in poi, verso L’Aquila, la strada è una lungafila di lampeggianti di tutti i colori che si muovono for-mando un lungo serpente illuminato. Sono i mezzi disoccorso che, come noi, cercano di raggiungere lazona operativa. Passato il traforo del Gran Sasso e avvi-cinandoci all’uscita Aquila Est ci si lascia alle spalle lavita di sempre e ci si avvicina in rispettoso silenzio alladestinazione. Il Campo di Monticchio 1 si presentacome un luogo ben attrezzato e persino accogliente.Pur essendo passati solo pochi giorni dall’evento, latendopoli, ormai in piena attività, sembra un piccolovillaggio che racchiude le funzioni indispensabili perun area piccola e raccolta. Mi viene assegnata unatenda da condividere con le altre colleghe della Regio-ne che, con me, si dovranno occupare dei rilievi tecni-ci agli edifici. Il clima è rigido. Di notte la temperaturascende di molti gradi rispetto al giorno. Mi promettonouna tenda dedicata all’attività di rilievo edifici: almomento si utilizza la tenda mensa, quando non vie-ne usata per la funzione stabilita. È domenica mattina:

alle ore 8.30 è previsto il primo briefing con le squadredei tecnici che iniziano il loro turno. Si mostrano tuttimolto collaborativi. La situazione mi dà forza e miconforta. Ci si divide sul territorio che ci è stato asse-gnato, organizzandoci in squadre “miste” composteda tecnici provenienti da luoghi diversi. Il lavoro è fati-coso, difficile e, talvolta, porta con sè una componentedi rischio dovuta alle scosse sismiche, di intensitàanche alta, che continuano a succedersi. La sera ci siincontra nella tenda tecnici e, mentre si consegnano leschede di agibilità degli edifici, si discutono le varieproblematiche riscontrate durante la giornata. Si faspesso tardi, anche molto tardi, ma si cena tutti insie-me, al campo. Ogni rilievo permette di acquisire nuove conoscenze:materiali edilizi diversi, particolari costruttivi tipici del-l’Italia centrale, particolari comportamenti strutturali.Sono centinaia gli edifici crollati, del tutto o in parte. Sisono verificati danni su edifici storici realizzati conmateriali di scarsa resistenza che spesso però mettonoin luce interventi di ristrutturazione effettuati in epochediverse e che hanno innescato o favorito il collasso diuno o più elementi strutturali. Il terremoto è come ungrande laboratorio nel quale tutte le strutture vengonosottoposte ad un test. In Abruzzo, per gli edifici realiz-zati in epoca più recente e con una struttura portante

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modo di svegliarsi. Di colpo tutto quello che è il nostropresente viene cancellato e si torna indietro di almeno30 anni. Nessun negozio, supermercato, cinema: solocampi con tante tende e distruzione. Tra noi tecnici sifa largo un’idea: sarebbe carino - ci diciamo - se ogniRegione d’Italia potesse adottare un Paese e, insieme airesidenti, dar vita ad un futuro costruito sulle memoriedegli avvenimenti vissuti. Alla fine del turno, giunti aisaluti, nessuno pensa che sia un addio, ma semplice-mente un arrivederci, come avviene tra amici di sem-pre. In quei giorni ho conosciuto molte persone: gentesemplice che, nonostante il dramma vissuto, ha dato atutti noi una grande lezione di vita, di dignità umana.Al rientro, lontani solo pochi chilometri dall’Abruzzo,si ritorna a fare i conti con la vita di tutti i giorni. E contutte quelle cose di cui, in appena una settimana,abbiamo imparato a fare a meno! Ognuno di noiavrebbe molto da raccontare, perchè ognuno ha vissu-to questa esperienza con il cuore: ogni giorno era unasoddisfazione risvegliarsi là al campo, nonostante lafatica, nonostante le difficoltà operative, nonostante ledifficoltà umane…nonostante tutto questo bastava unsorriso, un saluto, una chiacchera, una pacca sullaspalla per ritrovare le energie. Grazie a quelle personeche hanno perso tutto ho scoperto i valori più grandi:la solidarietà e l’umanità.

in calcestruzzo armato registraiamo danni di notevoleentità o collassi che interessano parti significative del-l’edificio. A questo bisogna aggiungere che alcuni edi-fici presentano cause "intrinseche" di vulnerabilitàderivanti da una non adeguata progettazione e conce-zione strutturale. Sono sempre stata affascinata, dallasismologia sin dai tempi della scuola: la sfida ai terre-moti, la raccolta di esperienze, le ricerche, le masse, leinerzie, la duttilità: la scienza tratta le forze naturali diun sisma in forma matematica. Proteggersi dal terre-moto oggi è possibile grazie alle conoscenze acquisitedall’ingegneria sismica. Ma i danni di un terremoto non possono essere sem-pre fermati da una struttura antisismica, se non c’èanche il supporto di un’architettura, di un’economia edi una cultura antisismica. Così, in Abruzzo, accanto ad un edificio seriamentedanneggiato o crollato si trovano abitazioni intatte chemiracolosamente non sembrano nemmeno sfioratedalla tragedia del 6 aprile. L’Aquila, che avevo visitatoquattro anni prima da turista, mi rimarrà sempreimpressa così come la vedo ora. Mi immagino cosa sipossa provare nel vedere la propria città svuotata divita, privata della sua memoria storica, del suo patri-monio architettonico, ormai irrimediabilmente com-promesso. È come vivere un incubo e non trovare il

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Sono un geologo e lavoro per la protezione civile. Percerti versi, si può dire che vivo sulle disgrazie altrui.Ma si può anche dire che ho la fortuna di fare unlavoro che può davvero “dare un mano” alle personein caso di eventi catastrofici, come un terremoto.E questo è il punto di vista che prediligo.Il terremoto. È un fenomeno che ho studiato, checapisco nei suoi meccanismi, che posso accettareperché il nostro paese è “ballerino” per definizione.Ma è un fenomeno le cui conseguenze, quando sitratta di gestire la vita di altre persone, non sono cosìfacilmente prevedibili.È la mattina del 6 aprile; mi sveglia l’SMS della SalaOperativa regionale di Protezione Civile che avvertedi una scossa di magnitudo 5.8 a L’Aquila. Magnitu-do 5.8: si è visto di peggio. Si sono registrate nel mon-do magnitudo fino a 9.0. Questa volta, però, si tratta del nostro Paese. Un pae-

se nel quale il terremoto Marche-Umbria del 1997,con due scosse di potenza simile a questa, avevaseriamente danneggiato un’ampia area e fatto dellevittime. È un paese, l’Italia, nel quale anche in unaregione come la nostra si possono avere terremoticon gravi conseguenze: Salò e il 2004 sono ancoravivi nel ricordo. Una collega mi chiama alle 7:30,mentre sto per andare in ufficio; pare che la situazio-ne - dalle immagini che arrivano - sia molto grave. Aquel punto, preparo una borsa con vestiti, sacco apelo, caschetto, etc. - in caso ci sia necessità di partiresubito.

La Sala OperativaLa Sala Operativa è già in piena attività. Sono state definite le funzioni principali, distribuitenelle “isole” della Sala: sono già al lavoro anche i col-leghi di altre Direzioni Generali.

Born to be a team

di Chiara Ghidorsi

Chiara Ghidorsi, geologa, lavora in Regione dal 2001 ed in Protezione Civile dal 2005. Il suo è un ruolo“tecnico” di supporto alla gestione della Sala Operativa e della Colonna Mobile regionale.La storia che qui racconta non è una “testimonianza”. È una “colonna sonora”.La colonna sonora di una missione ritmata dalle note di “Born to be a team”.

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Nel frattempo l’estensione e la gravità dell’eventosono sempre più evidenti: le immagini e i raccontiche arrivano via televisione e via Internet sono ine-quivocabili. Parte la squadra di scouting; poco dopo,la Colonna mobile regionale.Intanto, noi in Sala Operativa “lavoriamo” le informa-zioni. Si va avanti così tutto il giorno. E tutta la notte.Sono le 03:37 quando, con un collega, decido dilasciare la sala. Sarei rimasta, ma altri mi dicono cheè necessario riposare. La lunga giornata ha dimostratoche il sistema può reggere anche all’urto di un grossoevento e alla necessità di dare risposte efficaci in tem-pi brevi. I giorni successivi sono un susseguirsi di atti-vità frenetiche: tante sono le esigenze che ci vengonotrasmesse dal campo, e tante le risorse che tutto ilsistema Regione offre. Con altri colleghi mi occupodei report dell’evento. Ovvero: registrare le informa-zioni e redigere sintetici documenti che diano a tutti ilpolso della situazione. Altro fronte operativo è quellodei servizi al cittadino (ad esempio, il supporto perusufruire dei trasporti gratuiti garantiti da Trenitalia): sitratta di capire i passaggi da effettuare, di stabilire unaprocedura snella e semplice, di agevolare le personequanto più possibile.Ancora una volta, la nostra catena interna funziona

bene: al di là degli orari, al di là degli inconvenienti,la struttura è solida e regge.

Il CampoPassano alcuni giorni, la situazione è ormai delineata.Regione Lombardia ha allestito e sta gestendo 2 cam-pi di accoglienza. In Sala Operativa il gruppo di coor-dinamento della missione sta organizzando la turna-zione dei “team” regionali.La prospettiva è di essere presto chiamata anch’io sulcampo, e di mettere in pratica quello che ho impara-to in 4 anni di lavoro in Protezione Civile.È un impegno importante ed entusiasmante, anche semi spaventa la responsabilità che un’attività del gene-re comporta; grazie al cielo, non essendo un funzio-nario di grande esperienza, ho la ragionevole certez-za che mi verrà riservato il compito di affiancare uncollega esperto, nel suo ruolo di Capo campo.La “tegola in testa” però arriva con il primo elenco deiturni: il periodo da coprire è lungo, i colleghi espertisono già impegnati su più fronti, quindi ritrovo il mionome tra i funzionari che andranno in missione inqualità di Capo campo. La mia ansia arriva a livellida Guinness dei Primati.Come in altre circostanze, però, anche questa volta imiei timori si rivelano esagerati: con i colleghi che

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partono con me si fa subito squadra, e la squadra girabene dall’inizio. Ognuno di noi, infatti, identificaimmediatamente il proprio ruolo e sceglie le attivitàda seguire in modo molto naturale: “born to be ateam” - si potrebbe dire, parafrasando il buon Sprin-gsteen. Giovanni Di Marco sfrutta le proprie espe-rienze precedenti per suggerire, guidare, essere disupporto al Capo campo, ad esempio nel delicatomomento di redazione del regolamento del campo.Silvana Di Matteo, da abruzzese (anche se di Pesca-ra), si riserva invece il rapporto continuo con i resi-denti: è lei indubbiamente la persona più giusta persvolgere il censimento degli ospiti registrandone leesigenze. Le attività del campo sono tante e comples-se: c’è l’aspetto logistico (fornitura materiali, anda-mento cucine, buoni gasolio); ci sono i rapporti con iCOM. C’è il lavoro dei volontari, le strategie da deci-dere con i responsabili di funzione per migliorare ilservizio. E c’è il delicato rapporto con i residenti nelcampo che, a distanza di un mese dal sisma, comin-ciano a rientrare nella normalità dei rapporti sociali.Ed è proprio in questi frangenti che più conta il saper“far squadra”. Se, infatti, il confronto tra i componentidel team è costante e la fotografia della situazionelucida, allora la decisione che il Capo campo deveassumere è resa “naturale” perché è in realtà la con-

clusione di un processo condiviso, appunto, da tuttala squadra.

L’estate - Il CapomissionePassano i mesi, la missione si allunga, il termine del30 settembre è un dato ormai assodato. I campi, nelfrattempo, sono diventati 3. Altre attività sono stateiniziate, come ad esempio la costruzione di alcuniplessi scolastici.Il ruolo di Regione sul campo diventa più complesso:il lavoro adesso consiste nel coordinare, indirizzare,decidere le strategie: ecco che nasce e si sviluppa lafigura del Capomissione.La squadra del mio “nuovo primo turno” - questa vol-ta da Capo missione - riproduce in parte quella delturno precedente: i rapporti tra noi sono ormai conso-lidati ed è ancora più semplice lavorare in team. Inol-tre, un senso dell’umorismo simile e la passione perle canzoni anni ’80 aiutano ad affrontare il nuovocompito.Alla gestione della vita del singolo campo si sostitui-scono ora le problematiche di pianificazione e verifi-ca della “sincronia” tra i campi. Dunque: sopralluo-ghi, riunioni di coordinamento con i capi campoentranti ed uscenti, riunioni con i referenti delle fun-zioni trasversali a tutti i campi (informazione alla

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popolazione, supporto psicologico)...E poi c’è il rapporto con i residenti che, al di là delledistinzioni operative tra capocampo e capomissione,considerano noi referenti della Regione il loro puntodi riferimento. Continuano - anzi, si ampliano - anche i contatti conil mondo tecnico-istituzionale (Dipartimento dellaProtezione Civile, Vigili del Fuoco, Forze dell’Ordine,Forze Armate, Amministrazione Comunale…) che stagestendo il coordinamento degli interventi. In questa fase non si è più nella pura emergenza. Sisono iniziati e si portano avanti i processi di supera-mento della crisi e di ricostruzione. È il momento incui, agli interventi di tipo tecnico, si affiancano gli attiamministrativi; non guasta affatto perciò avere un“espertone” on site, come Giovanni che viene inve-stito di queste incombenze burocratico-giuridiche,risolvendo brillantemente e con esemplare attitudinediplomatica anche le situazioni più delicate.

La fine missioneÈ il mio ultimo turno, ancora come capo missione. Esiamo già a settembre. È ormai stata ufficializzata ladata per la chiusura dei campi ed il trasferimentodegli ospiti nelle varie sistemazioni. Diventa fonda-mentale, in questa fase, dare informazioni chiare,

dirette, certe a tutta la popolazione ospitata sino aquel momento nelle tendopoli.Questa volta la squadra è nuova al 100%, ma ancorauna volta è un’ottima squadra. C’è Nicodemo Arriz-za, e c’è Franco Caputo. Forti di esperienza sul cam-po e comprovata competenza professionale, si rivela-no entrambi non soltanto preziosi consiglieri maanche e soprattutto formidabili interfacce tra il brac-cio operativo e quello “umano” della missione! Inizia la pianificazione dello smantellamento deicampi. Si devono recuperare le risorse (materiali emezzi) che non servono più o sono ormai sotto-utiliz-zati, si deve verificare qual è l’impegno dei funziona-ri e dei volontari del sistema regionale per proporreeventuali ridimensionamenti, si deve capire qualifunzioni devono essere assolutamente presidiate e,forse, rafforzate (come ad esempio la funzione diinformazione alla popolazione).

Qualche riflessione a margine di questa esperienza La squadra è un elemento fondante, senza il qualenon si va da nessuna parte. La catena delle respon-sabilità e del comando deve essere chiara e priva diincertezze. L’esperienza può essere fatta sul cam-po, ma ci sono momenti particolari, o problemiparticolari, per cui l’esperienza pregressa è fonda-mentale, soprattutto nel dare sicurezza e serenità digiudizio.Il fattore umano, su emergenze di così lunga durata,diventa preponderante, in alcune situazioni, e vasaputo gestire. La sottoscritta ha ancora moltissimastrada da fare. Ma ha voglia di farla.

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Anch’io c’ero. Come staff giuridico del Direttoregenerale alla Protezione Civile regionale, possoscrivere serenamente di essere stato coinvolto inprima persona nella gestione del campo di Montic-chio 1. Più precisamente, diverse sono state le mis-sioni alle quali ho partecipato: in affiancamento alCapo campo, prima; al capo missione, poi e infinealle operazioni di chiusura della struttura. Dopo diversi anni di servizio presso quella Direzio-ne, e prima ancora al Legale Avvocatura dellaRegione, non avevo mai partecipato ad un incaricooperativo. Ma avevo svolto sempre ed esclusiva-mente compiti di ufficio: controllo sui contratti,attività redazionale di leggi, regolamenti, provvedi-menti amministrativi, oppure stesura di memoriedifensive e approfondimenti giuridici.L’emergenza sisma in Abruzzo mi ha colto mentroero in vacanza con Tiziana, mia moglie, in naviga-

zione da Alessandria verso Savona. Le immaginitelevisive del capoluogo abruzzese devastato han-no riempito subito tutti gli spazi della crociera, ecreato grande angoscia a bordo. Oltre all’insoppri-mibile desiderio di tornare a casa prima possibile.Non avendo mai partecipato ad attività di protezio-ne civile, non immaginavo che presto ne sarei statocoinvolto e “conquistato”. Ben presto ho chiesto edottenuto di poter affiancare i miei colleghi dellaSala Operativa che avevano cominciato a svolgere iturni presso l’area di accoglienza di Monticchio, eche ogni settimana ripartivano per garantirne il fun-zionamento. In particolare, la “folgorazione sullavia di Monticchio” è merito di un collega che,venuto a salutarmi prima di partire, mi ha chiestocosa stessi aspettando per partire a mia volta. Ecco,le sue parole, il tono, lo sguardo, hanno lasciato ilsegno. Già sentivo che dovevo muovermi anch’io,

Un regolamento per il campo

di Giovanni Di Marco

Giovanni Di Marco, esperto giuridico, lavora presso la Direzione Generale Protezione Civile, Prevenzionee Polizia Locale di Regione Lombardia.L’Abruzzo è stata la sua prima missione sul campo. E persino in quel contesto operativo “on the field”, lasua familiarità con norme e regolamenti si è rivelata un atout.

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ma quell’incontro è stato decisivo. E così, anche senon sapevo bene cosa sarei andato a fare, mi sono“arruolato”. Grazie, Nico!Da qui la decisione di segnalare la mia disponibili-tà al responsabile della Protezione Civile regionale,Ing. Biancardi. Che però non è stata immediata. Ciho rimuginato sopra molte notti. Non sono un cuordi leone, e quello che poteva aspettarmi al campo,in termini di devastazione, materiale e morale, mispaventava non poco. E ancora mi spaventa. Però,quelle immagini sui media, e soprattutto i raccontidei colleghi che continuavano la spola conl’Abruzzo, alla fine mi hanno convinto che dovevocontenere la paura, o quanto meno superarla, emettere a disposizione quello che anch’io potevooffrire. Il problema era proprio questo: non sapevose potevo effettivamente essere d’aiuto a qualcuno,oppure se ero solo un peso, sia per gli ospiti delcampo che per i miei colleghi.E invece, in qualche modo, mi sbagliavo.La mia prima missione a Monticchio si è svolta inun momento che può essere definito di post –emergenza, nel senso che la struttura di accoglien-za era stata definitivamente realizzata sia come ten-de che come impianti tecnologici, sia come ospita-lità sia come servizi. E giorno dopo giorno, stava

emergendo il problema della regolamentazionedell’accesso a quei servizi, in termini di civile epacifica convivenza all’interno del campo. Va chiarito a questo punto anche il contesto sociale- ed etnico - di riferimento a Monticchio 1 Garden.La popolazione, in maggioranza, era di cittadinanzaitaliana, residente a Monticchio, ma di estrazionesociale la più varia (dalla piccola/media borghesiafino ai ceti meno abbienti assegnatari di case popo-lari). E tra i cittadini italiani, forte era percentual-mente la rappresentanza rom. Mentre, irrilevanteera il numero degli stranieri, comunitari e non.Quando sono arrivato al Campo insieme a Chiara,che faceva il capo-campo, la convivenza tra gliospiti era molto instabile: sia per l’evidente disagioche patiscono necessariamente tutti coloro che per-dono la propria casa sia per la prossimità tra lorodelle tende, e l’inevitabile riduzione/eliminazionedello spazio fisico che deve tutelare la riservatezza.Insomma, gli abitanti della struttura erano davvero“ai ferri corti”. Le liti erano all’ordine del giorno. Etutti invocavano, in qualche modo, da parte delleautorità del campo l’adozione di norme di compor-tamento stabili e di sanzioni in caso di violazioni.Insomma, la richiesta di sicurezza, cioè di regolecerte su come vivere all’interno del campo, gli ora-

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ri da rispettare, l’ordine per accedere ai servizi, eradavvero forte. In qualche modo, da appassionato dimaterie giuridiche, ho potuto assistere alla genesidi una “legge”, come insieme di norme di condottanecessaria alla vita sociale. E ho potuto viverecome la stessa vita sociale sia la causa prima diquella “legge”, rimandando reciprocamente l’unaall’altra. Da qui, l’idea del Capo campo di adottareun regolamento, composto da poche norme, machiare e di facile applicazione. Con le relativepenalità. Ovviamente, l’incarico di scrivere il rego-lamento è stato assegnato a me, insieme a Laura,una volontaria sociologa e psicologa. Bravissima:grazie anche te, Laura. Sono stati giorni molto intensi, prima di arrivare altesto finale. In quei giorni Laura ed io abbiamo par-lato con gli ospiti del campo e i volontari. Alla fine,Monticchio 1 Garden ha avuto il suo “decalogo”,“per acclamazione”.In realtà questo regolamento assomigliava più adun patto di legalità e socialità che non ad un corponormativo vero e proprio. Ma questo aspetto noncostituiva un limite: semmai, era il suo punto di for-za. Il regolamento sembrava vivere di vita propria,traendo la forza della propria imperatività non dal-l’autorità di Protezione Civile che lo aveva emana-

to, bensì dalla spontanea osservanza ai suoi precet-ti da parte degli ospiti del campo, e dalla ripetizio-ne uguale di quei comportamenti nel tempo.Io credo che l’adesione spontanea al regolamentoda parte degli ospiti del campo fosse senza dubbiola prova della doverosità giuridica dei comporta-menti descritti dalle sue norme. Ma soprattutto laconferma che, dopo il sisma, in quella frazione deL’Aquila si era venuta a formare una comunità nuo-va, che desiderava ripartire a qualunque costo,anche da sola, con proprie regole, e desideravaautogovernarsi perché il sisma l’aveva tagliata fuoridai circuiti civili e amministrativi che c’erano prima.Vorrei aggiungere, infine, che nei giorni successivila validità e l’efficacia del regolamento non è maistata posta in dubbio né da parte degli abitanti delcampo né da parte dei funzionari pubblici che,dopo Chiara Ghidorsi, si sono succeduti come capicampo. E ciò a conferma della bontà del “servizio”che anch’io ho svolto. Da ultimo, non credo sia ilcaso di soffermarsi sull’attività di consulenza inpresa diretta con gli ospiti, che spessissimo mi ècapitato di svolgere in giro per il campo. Possosolo constatare, in conclusione, che in una tendo-poli post terremoto la figura di un giurista serena-mente trova il suo perché.

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Il Vigile e la Tendopoli

di Carlo Rovetta

Carlo Rovetta lo dice sempre: Polizia Locale e Protezione Civile hanno una vocazione comune, unanaturale attitudine a far “squadra”. Lo dice lui che, per una vita, ha fatto il poliziotto. Lui che ha fatto anche il volontario, al servizio dellaricostruzione in Irpinia, negli Anni 80. Lui che oggi, da funzionario dell’Unità Organizzativa regionaledella Polizia Locale, questa sua teoria della “sinergia” tra “vigili” e operatori di Protezione Civile la prati-ca con quotidiana dedizione.Si pensi all’emergenza Abruzzo. Si pensi alle prime concitatissime ore di quell’emergenza.Alla Unità Operativa regionale della Protezione Civile, i professionisti della gestione delle crisi – dallaSala Operativa - guidano un sistema sofisticato e complesso di azioni di soccorso, coordinamento diinterventi e organizzazione degli aiuti.Alla U.O. Polizia Locale, invece, quei primi momenti sono vissuti con umana empatia, dolore, commo-zione. Emozioni. Non azioni.Non è compito della Polizia Locale intervenire in un’emergenza sismica che attiene un’area lontana dal-la Lombardia seicento e passa chilometri. È compito della Protezione Civile.O almeno è stato così sino al 10 aprile quando Cinzio Merzagora - tra i più esperti funzionari della Prote-zione Civile regionale - chiama Carlo, cui lo lega amicizia e reciproca stima, e gli chiede di partire conlui, di lì a pochi giorni, per affiancarlo nella missione di capo-campo della prima e più “strutturata” delletendopoli lombarde: Monticchio 1.Carlo dice si, senza starci a pensare troppo.Il suo capo, Fabrizio Cristalli, è - se possibile - persino più motivato e convinto di lui (al punto di scende-re anch’egli come Capocampo nel mese di maggio).Dunque Carlo, praticamente il tempo di avvertire la moglie e preparare i bagagli, parte.Questa è la sua storia

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Non prendermi troppo sul serio e concentrare l’at-tenzione sulle cose che contano è - da sempre - lamia filosofia di vita: è così nel lavoro e nei rapporticon gli altri. Questo modo di essere ha trovato piena espressio-ne nel mio lavoro in Polizia Locale. Essere “vigile”è da sempre il mio stile di vita: vigile nelle piccole egrandi emergenze.“Vigile” come sostantivo. Ma “vigile” anche comesinonimo dell’aggettivo “attento”.Il Vigile è uno capace di prestare attenzione allepersone e rispondere alle loro richieste.La mia carriera di Vigile è lunga. Sono stato a contat-to con l’umanità più varia. Ed è attraverso le lentipolifocali dell’uomo-vigile che è in me che ho impa-rato a conoscere il mondo, a capire le persone ed iloro bisogni ed a rapportarmi alla realtà senza maiprivarmi di una messa a fuoco ironica, quindi lucida.Questo non significa affrontare la vita con facilità:significa solo che anche nelle situazioni più dure aguidarmi è la massima “è un peccato lamentarsi”!

Cosa mi ha spinto a partire per l’AbruzzoMettere la professionalità e lo stile tipici della Poli-zia Locale a disposizione di un’emergenza umanae civile così tragica: è questo che ha motivato la

mia adesione alla missione.Ma non nascondo che tra le ragioni della mia par-tenza non secondario è stato il fattore personale: ilbisogno di conoscere e capire i miei limiti. Il ruolo di Capo campo, prima, di capo missione,poi, mi hanno dato entrambe le chance che, nellamissione in Abruzzo, mi proponevo di esaudire:realizzare il mio potenziale professionale, ma ancheconfrontarmi con me stesso, con la mia capacità dirappresentare un sostegno per tutte quelle personeche, in un modo o nell’altro, hanno ritenuto di con-fidarsi, di riporre in me la loro fiducia. In fondo, queste due motivazioni - tecnico-profes-sionale ed umana - non sono altro che le ragionidell’agire quotidiano di un poliziotto locale.Insomma, anche in Abruzzo è venuto fuori il “vigi-le” che c’è in me.

Esperienza in Abruzzo: il professionista e l’uomoLa mia prima partenza risale al 18 aprile. Destina-zione: Monticchio 1.La tendopoli è attiva da dieci giorni.L’emergenza delle primissime ore è ormai superata.La gestione del campo, l’assistenza aglisfollati…tutto quello che nei giorni immediatamen-te successivi al cataclisma nasceva dall’impellenza

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di dare sollievo, riparo, soccorso a gente privata ditutto, adesso - dieci giorni dopo - ha ormai lasciatoil posto ad un’esigenza tutta nuova – ma altrettantosentita: dare ordine alla vita, altrimenti anarchica,della comunità-tendopoli.Di questa esigenza, Cinzio ed io ci rendiamoimmediatamente conto, sin dal nostro arrivo alcampo. Per dire: c’é una tenda-lavanderia miracolosamente“full-optional”, ma non c’é un orario cui gli ospitisiano chiamati ad attenersi. Ed il risultato è che c’échi fa il bucato nel cuore della notte, così negandoagli ospiti delle tende limitrofe il sacrosanto dirittoal riposo. E poi non ci si cura di lasciare riposare lemacchine, tra un ciclo di lavaggio e l’altro: le si faandare “a palla”, con il rischio di comprometternefunzionalità e durata. Con il rischio cioè che quellelavatrici ed asciugatrici - dono di un’azienda lom-barda - vengano messe fuori uso nel giro di pochesettimane. Con un conseguente danno per l’interacomunità.Serve un regolamento, dunque.E serve un’autorità - riconosciuta tale dagli ospitidel campo - che ne imponga il rispetto.Un compito gravoso, si potrebbe pensare. Quellagente andava sollevata del trauma calamitoso che

ne aveva sconvolto la vita. In simili condizioni - sipotrebbe obiettare - non si vuole ricevere ordini, sivuol essere aiutati. Ebbene, il regolamento della lavanderia è servitoproprio a questo: a dare aiuto agli sfollati, così comeè stato d’aiuto la stesura di un “regolamento delcampo” con il contestatissimo art.8 sulla possibilitàdi “espulsione dal campo alla seconda diffida”.Il bisogno che nella comunità tendopoli andavaormai nascendo era infatti il bisogno di un progres-sivo - ma concreto - ritorno alla normalità. Alla normalità del vivere civile. Alla normalità delvivere sociale. Alla normalità della vita comune.La stesura e l’imposizione del regolamento dunquesarà stato, forse, un compito gravoso. Ma è stato uncompito necessario ed oltretutto apprezzato dal-l’intera comunità.

L’uomoC’è chi dice che ho una propensione genetica a far-mi ricettore di sfoghi altrui.E chi dice questo, non è lontano dalla realtà.Durante le mie missioni – alla prima ne sono segui-te altre tre, rispettivamente a giugno, agosto e set-tembre - ho ricoperto il ruolo di Capo campo ecapo missione. Ma via via ho finito col farmi carico

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- naturaliter - anche di una funzione meno ortodos-sa, dai contorni più sfumati: quella di punto di rife-rimento per sfoghi di ogni genere, anche personali.Io stavo lì, ascoltavo, mi compenetravo nelle picco-le e grandi storie di cui venivo messo a parte ed allafine - se era il caso - dicevo la mia. Se no, comeaccadeva più spesso, mi limitavo ad ascoltare. Omeglio: a far tesoro di quanto mi veniva detto,soprattutto se le “rivelazioni” avevano un caratteregenerale, se avevano in qualche modo ripercussio-ni sulla vita comunitaria. Ed in tal caso studiavo ilmodo migliore per intervenire.Credo così di aver guadagnato la fiducia, oltre chel’amicizia, di molti ospiti del campo e dei volontaricon cui ho collaborato. Questo mio essere vigile - nel senso di “attento” - edunque pronto ad ascoltare e, nei limiti del possibi-le, contribuire a risolvere i problemi del campo, èstato apprezzato. Con mio commosso compiaci-mento - mi sia concesso di confessare - ho scopertoche qualcuno avrebbe addirittura pensato di costi-tuire un “Rovetta Fans Club”. Devo questo nobilepensiero a due amiche, nonché impareggiabili“complici”: Floriana Liuni, volontaria dell’Universi-tà Cattolica di Milano dedicata all’Info Point, e Ste-fania Marucci, giovane ingegnere aquilana, anche

lei ospite di Monticchio 1, almeno per qualchetempo, divenuta presto preziosa collaboratrice diRegione Lombardia. Difficile, in questa interazione trasversale di espe-rienze, distinguere il ruolo dell’uomo da quello delvigile. Alcune delle testimonianze di cui sono stato messoa parte, seppur nate da racconti spontanei, hannoinfatti portato ad iniziative operative concrete dellequali ancora oggi rimangono segni tangibili. È que-sto, ad esempio, il caso della scuola di Paganica,dove prima del mio arrivo era stato posizionato ilprefabbricato su una gettata di bitume, con la cer-tezza che il Comune di L’Aquila avrebbe provvedu-to agli allacciamenti obbligatori per rendere agibileil prefabbricato (elettricità, acqua, fognatura, ecc.).Nulla però è meno certo di una certezza: nel frat-tempo, infatti, il COM 5 aveva pensato di usarequella struttura come possibile sede del COM.Si poneva dunque un problema “politico” non dapoco.Un problema che mi trovo ad affrontare io, duranteuna delle mie missioni. Non mi perdo certo d’ani-mo. Quel prefabbricato è infatti stato donato dallaRegione Lombardia per essere utilizzato comescuola e tale deve rimanere. Al mio arrivo, quindi,

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insieme ai tecnici di Infrastrutture Lombarde ed alresponsabile di A2A, e con la collaborazione deivolontari del Parco del Ticino, si decide di interve-nire per completare la scuola con gli allacciamentie l’allestimento esterno. Il risultato è noto: la scuolasarà ufficialmente inaugurata il 27 agosto, dal Presi-dente Formigoni, dal Sindaco Cialente e dalla Pre-sidente Pezzopane …e da uno stuolo di bambiniche per una mattinata intera si son divertiti a “testa-re” i giochi, le aule e gli spazi attrezzati predispostiper la loro scuola, grazie anche al contributo creati-vo dei volontari dell’Università Cattolica.L’episodio della scuola di Paganica è un esempioma non è l’unico del contributo che ho personal-mente offerto alla missione Abruzzo. Un giorno, alcuni ospiti di Monticchio 1, inquilinidelle case popolari della piccola frazione di L’Aqui-la presso la quale era allestito il campo mi segnala-no un problema: le case non sono più agibili. Perpoter essere nuovamente abitate servono degliinterventi non necessariamente clamorosi ma pursempre dispendiosi. Troppo dispendiosi per ilbilancio ATER.Contatto allora la Di.COMA.C. e chiedo l’interven-to finanziario del Dipartimento per poter coprire lespese di ristrutturazione degli immobili. Anche

questa volta, la missione è compiuta: il finanzia-mento verrà ufficializzato la settimana successiva.

Il rientro Sono sceso in Abruzzo quattro volte. Ed ogni volta,al momento di partire, cercavo quasi di scappare dinascosto per non dover cedere allo strazio di dire“addio” a persone a cui mi ero affezionato e che aloro volta si erano affezionate a me. Mi predisponevo alla partenza già alcune sere pri-ma. O meglio: prendevo coscienza di quanto pro-fondamente quei pochi giorni avessero potuto toc-carmi.Mi sono così ritrovato, malinconico, da solo, a zon-zo di notte per il campo e “metabolizzare” quelcomplesso di tensione ed emozione accumulatodurante la giornata. Ma mi sono anche ritrovato avivere momenti di allegria, serena e profonda. Eraquesto ad esempio l’umore prevalente nelle cenedi “fine turno”, divenute presto una consuetudinetra gli operatori della Protezione Civile, alla finedella settimana trascorsa al campo. Era, quell’alle-gria, qualcosa che nasceva dalla condivisione dellafatica, degli sforzi, delle responsabilità di quanti -tutti quanti, a vario titolo - avevano partecipato allamissione.

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Cosa mi ha lasciato questa esperienzaTanti spunti di riflessione: sul ruolo, le potenzialitàed i limiti delle istituzioni di cui anch’io sono infondo un rappresentante.Spunti di riflessione sulle potenzialità, non sempreadeguatamente valorizzate, del nostro “capitale”umano e professionale. “Nostro” nel senso di tuttinoi italiani. Nel senso di tutti noi lavoratori “pubbli-ci”. Quel capitale è “nostro” anche per la sua capa-cità di interpretare le peculiarità culturali e civili delnostro paese. E di quel capitale spesso non si faabbastanza tesoro. Mi ha sorpreso, ad esempio, la capacità - non solomia - di affrontare e gestire questioni complessecome le tante che la vita del campo poneva quoti-dianamente. Mi ha stupito la capacità di porsidavanti ad un problema con un unico obiettivo: lasua risoluzione, in tempi rapidi. Una cosa apparentemente banale, si dirà. Eppurequesta cosa “banale” ha del sorprendente per chi -me compreso - vive ormai come un dato di fatto ledifficoltà di un “sistema” che sembra fatto appostaper complicare le cose, per allontanare la possibili-tà di risolvere i problemi.L’esperienza in Abruzzo, aldilà di queste riflessioni,mi ha lasciato però soprattutto un tesoro umano.

Un tesoro affettivo.Un tesoro che tuttora custodisco con pudore erispetto.Un tesoro fatto di persone in carne ed ossa che oggisono miei amici.Un tesoro fatto anche di piccoli souvenir. Testimo-nianze di un affetto che non ha bisogno di parole.E di questi ricordi, quello che per sempre serberònel mio cuore è il dono che gli ospiti di Monticchio1 hanno voluto farmi in occasione della mia ultimamissione.Un poster - firmato da molti di loro - con la scritta:“Di tante parole, quella che riassume meglio quelloche sentiamo per te è: GRAZIE”.

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Non ho mai fatto la volontaria. Non ho neppuremai fatto campeggio in vita mia. La Protezione Civile, prima di venirci a lavorare,onestamente non avevo idea fosse un sistema cosìcomplesso. A dirla tutta, però, non ci ho messotroppo a capire, e riuscire a raccapezzarmi tra “SalaOperativa” e “Colonna mobile”.Il mio lavoro, tuttavia, si svolgeva anche altrove. Leemergenze - alluvioni o incendi che fossero - io le

vivevo dal “mio” punto di vista operativo.Per me, insomma, dire “emergenza” significavamonitorare e coordinare la funzionalità del sistemainformatico. Un’attività tutt’altro che gravida dellacarica adrenalinica che il termine “emergenza”poteva scatenare nei miei colleghi del seminterratodi via Rosellini, quelli addestrati a monitorare leallerte, registrare gli allarmi ed attivare la catenatecnico-operativa dell’intervento sul campo.

Problem Solving

di Laura Sion

Laura è una dipendente di Regione Lombardia. Lavora a Milano, alla DG Protezione Civile. È lì da quat-tro anni dopo averne trascorsi otto alla DG cultura.Per capirci: Laura è un esperta di informatica, non un Rambo o un crisis manager.A Maggio 2009, però, Laura parte per il campo di Monticchio 1.Questa volta non si tratta di un’esercitazione. Questa volta l’emergenza è reale. Questa volta, per Laura,è “la prima volta”.La storia di Laura è una storia di dedizione, senso del dovere, spirito di solidarietà e di responsabilità.Quella di Laura è la storia di chi il giorno del terremoto d’Abruzzo non esita a dismettere i panni del fun-zionario in ufficio per vestire quelli dell’operatore sul campo.Ma quella di Laura non è una storia isolata. È vero il contrario: è una storia tra le tante che dal 6 aprile 2009hanno avuto come protagonisti i dipendenti della DG Protezione Civile della Regione Lombardia.Nella storia di Laura quindi saranno in tanti a riconoscersi.Perché la storia di Laura è un po’ la storia di tutti loro.

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Poi però arriva il terremoto in Abruzzo. E dal quel 6aprile la mia vita professionale subisce una svoltaradicale. Una svolta capace di dare un senso tuttonuovo al termine “emergenza”, un senso tutto nuo-vo al mio stesso ruolo qui nella struttura della Pro-tezione Civile. La notizia l’appresi solo la mattinasuccessiva, arrivata in ufficio.Un terremoto devastante ma lontano. In che modoio - semplice funzionario informatico - avrei maipotuto averci a che fare?Beh, lo scoprii subito.Venni immediatamente convocata nella Sala Ope-rativa. Un luogo, quello, che mi era ormai familia-re. Eppure quella volta era diverso. Non so beneperché mi apparisse così. Quello che so è che unavolta entrata, per settimane intere ci ho vissuto dal-l’alba a notte fonda, senza uscire neppure per man-giare. Quello che so è che dopo 5 minuti avevo giàun telefono in mano, un telefono che per settimaneè stata una specie di protesi dalla quale non riusci-vo più a staccarmi. Il mio compito in quelle primeconcitatissime settimane consisteva nel redigere epubblicare i report. Insieme alla mia collega ChiaraGhidorsi, mi occupavo di raccogliere le informa-zioni e diffonderle in tempo reale in modo che cia-scuno dei tanti terminali della Protezione Civile già

operativi avesse coscienza di cosa avvenisse. Sitrattava di capire cosa ci fosse lì - ovvero sui luoghidel terremoto, nelle aree assegnate a Regione Lom-bardia, le tendopoli, il comando centrale… - edintanto monitorare le risorse disponibili qui - i mez-zi, i gruppi di volontariato, gli aiuti. C’era da foto-grafare istante per istante la situazione in modo chei responsabili del coordinamento avessero sempreun quadro chiaro e aggiornato della situazione inbase al quale assumere decisioni con la tempestivi-tà imposta dalle circostanze. La prima auto di scou-ting era partita da Milano subito dopo l’allarme.Poche ore dopo è stata la volta della ColonnaMobile. Intanto si moltiplicavano le offerte di aiutoda tutta la Lombardia, gente comune che chiamavaincessantemente al numero verde della ProtezioneCivile per offrire cibo, vestiario e persino la propriadisponibilità a soccorrere le vittime del terremoto. La sala operativa era in contatto con l’Abruzzo, coni gruppi volontari della Regione, con il Dipartimen-to nazionale della Protezione Civile… Ora dopo ora il quadro cambiava. E con esso cam-biava la fotografia che attraverso i report io avevo ilcompito di trasmettere. Il primo rapporto si scrivevaalle 7 del mattino e l’ultimo all’una di notte. Ho vissuto così per settimane. E con me, hanno vis-

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suto così i tanti colleghi che nella loro vita profes-sionale in Regione erano abituati a ritmi, consuetu-dini e responsabilità di tutt’altro tenore. Gentegeneralmente impegnata in mansioni di tipo tecni-co-amministrativo e che ora improvvisamente sitrovava a contribuire alla gestione di una situazionedi crisi.Eppure eravamo tutti lì, gli amministrativi e i tecni-ci, i funzionari e i dirigenti, in una concitazionesolo apparentemente caotica. Di concitato c’era larapidità e la quantità del flusso di informazioni, lapluralità di fonti delle notizie e dei destinatari cuismistarle, e l’assoluta necessità di fare tutto rapida-mente.Non sono in grado di descrivere il quadro generaledelle operazioni. Durante l’emergenza non miponevo domande. Non ce ne era il tempo e neppu-re la necessità.Quello che so è che per settimane abbiamo vissutotutti lì, nel seminterrato di via Rosellini, sede dellaCentrale Operativa della Protezione Civile. Settimane trascorse in uno stato di emergenza chenon immaginavo potesse essere gestito con taleefficienza, flessibilità, dedizione, competenza dauno staff di dipendenti pubblici che a vederli nondanno certo l’idea dell’eroe da Mission Impossible.

Ma tant’é.Durante quelle settimane, seguivo le partenze e irientri dei colleghi che, da subito, hanno datovolontariamente la propria disponibilità a rendersioperativi sul campo. Registravo le loro testimonian-ze facendo tesoro delle informazioni che portavanoe degli stati d’animo che ci trasmettevano. Ma lofacevo con distacco: il mio obiettivo era redigere ireport in maniera puntuale. Poi un giorno mi dico-no: “Laura, tra due settimane vai giù”.Ci ho messo un po’ prima di metabolizzare l’infor-mazione, declinarla mentalmente nel suo significa-to concreto e dunque tradurla in un input operati-vo.Si trattava, innanzitutto, di immaginare cosa potes-se comportare risiedere in una tendopoli. La prepa-razione del bagaglio - per una che non ha mai fattocampeggio - è stata un’impresa affatto banale. Tirarfuori il vecchio sacco a pelo che era sepolto in can-tina sotto uno strato di roba archiviata nella catego-ria “da non usare mai”. Quel “mai” che si dovrebberiflettere a lungo prima di pronunciare perché ungiorno, per dire, arriva un terremoto e tutte le cate-gorie perentorie sulle quali si articola la vita, beh,finiscono con il perdere tutta la loro definitivaperentorietà.

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Così è stato per quel mio preistorico sacco-a -pelo,composto di una bizzarra fibra sintetica, evidente-mente in gran voga negli Anni 70. Peso specifico dell’oggetto: Non Pervenuto. Volume: immenso.Ma tant’è. C’era da preparare il bagaglio. C’era il problemadell’abbigliamento adatto al freddo pauroso di quel-la glaciale primavera abruzzese, c’era il problemadel necessaire adatto allo spazio modulare della toi-lette-container, c’erano insomma i classici dilemmidell’equipaggiamento da stato di emergenza logisti-co-operativo. E da questi dilemmi mi sono lasciataassorbire sino al giorno della partenza. In macchina siamo in quattro. Con me DomenicoDe Vita, uomo di grande esperienza nella Protezio-ne Civile, uomo di straordinaria professionalità, daltemperamento passionale, coinvolgente e motivan-te. Un capo naturale. Sarà lui la mia guida in mis-sione. Gli altri due passeggeri sono il collegaDomenico Scognavilla ed una fotografa free-lance,Zoe Vincenti. Sono emozionata. Ma la tensione sistempera durante il viaggio.Arriviamo a Monticchio nel primo pomeriggio.Individuiamo il campo. L’insegna del Garden è ilnostro punto di riferimento. Il campo allestito dalla

Protezione Civile lombarda è nel parcheggio diquel fu-multisala di periferia. Le guardie all’ingresso - la carraia - ci fanno cennodi entrare. Sono le 14.30. È sabato, il giorno dicambio-turno. Ci accoglie Cinzio Merzagora,capo-campo “uscente”. Ci accompagna subito alrefettorio dove ha fatto mettere da parte per noiqualcosa da mangiare. Ci racconta un sacco dicose. Parla a valanga ma io, che non ho ancoravisto nulla del campo, non riesco a capire granchédelle cose che ci dice. De Vita, al contrario, dialogache è una meraviglia. E questo mi basta a rassicu-rarmi.Ho fretta di vedere, capire... Finito di mangiare, Cinzio ci accompagna in giroper il campo.Incontriamo Alessandro Caretti, di A2A. È lui il“mio” capocampo, il mio boss durante la settimana.Alessandro è lì ininterrottamente dal 6 aprile.Quando arrivo giù io, lui e la sua squadra sonoormai H24 al servizio della Dicomac per dare“luce” anche alle altre tendopoli. Nelle settimaneprecedenti la partenza, dalla Centrale Operativa diMilano, non avevo mai avuto occasione di parlarglipersonalmente. Ma il suo nome mi era familiare. Quando ci vediamo mi presento: “Sono Laura, è la

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mia prima volta qui a Monticchio. Sono a tuadisposizione”.Lui - gentile e sorridente - mi risponde: “Ok, grazie”.Punto. Fine della conversazione. In breve, mi devo arrangiare. Sono pur sempre unfunzionario della Regione e la responsabilità di rap-presentare l’istituzione nel campo è mia. Be’, èanche mia. Dunque, non mi perdo d’animo. Hoperso le tracce di De Vita e Merzagora. Non miresta che dirigermi nel luogo dove tutti - volontari eospiti - devono per forza passare. Il luogo che perdeformazione professionale mi è più familiare: lasegreteria. La segreteria del campo è una specie disede distaccata e concentrata della Regione Lom-bardia. Il suo compito è di amministrare, coordina-re e gestire la vita socio-istituzionale della tendopo-li: dall’anagrafe ai “servizi sociali”, dai trasporti allasicurezza, dalle attività ludiche alla salute, dallamanutenzione alla pulizia alle comunicazioni, sinoai rapporti istituzionali, al coordinamento con ilDipartimento, con gli Enti locali de L’Aquila, omeglio con quel che ne rimane.Ecco allora che mi presento in segreteria. Ci sonocinque volontari di FIRCB. Non c’è tempo perdilungarsi nelle presentazioni. C’è un traffico soste-nuto di ospiti in cerca di aiuto, telefoni che squilla-

no, volontari che vanno e vengono, comunicazioniradio di cui a stento colgo qualche stralcio. Mi limi-to a dire: “Sono Laura, sono un funzionario dellaRegione e questa settimana sono di turno qui alcampo.”Sante, il veterano di FIRCB, mi sorride, mi fa postoaccanto a lui, ma non c’è tempo per farmi spiegarecosa possa fare io per lui perché in quel momentoc’è un signore, ospite del campo, che chiede diesser trasferito di tenda…Ecco, è così che ho cominciato. Da quel momento,e per tutta la settimana, la tenda-segreteria è stata ilmio ufficio, ed il problem-solving il mio lavoro. Unlavoro di squadra, cooperativo ed efficiente. Unlavoro sensibile per la delicatezza dei problemi -una miriade di problemi: i più vari, i più imprevedi-bili, i più complessi e delicati. L’obiettivo dell’inter-vento della Protezione Civile è assistere una popo-lazione in stato di emergenza. Il mio compito èquello. Punto.Durante quella prima settimana ho eseguito il miolavoro con un inusitato “distacco”. Stentavo io stes-sa a riconoscermi così capace di affrontare proble-mi piccoli e grandi, di occuparmi di aspetti a voltemolto intimi della vita della gente. Stentavo a ren-dermi conto di come gli ospiti del campo e gli stes-

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si volontari riconoscessero nel mio ruolo, più chein me personalmente, una specie di autorità istitu-zionale. E stentavo a capacitarmi di come io stessain quel ruolo mi sentissi in fondo perfettamente amio agio.Un episodio, tra i tanti vissuti, contribuirà forse achiarire di cosa stiamo parlando.Un giorno arriva in segreteria un volontario che, tra-felato, mi fa: “Laura, ci siamo persi una vecchia!”Ho un mezzo secondo di straniamento. Tra me eme mi dico: “Oddio che guaio. E adesso?” Ma poi penso “a voce alta” e domando al miointerlocutore: “Ma scusa, cosa ti fa pensare che sisia persa?”“Beh - fa lui - stava lì con Laila, la sua cagnetta, sta-va parlando con un altro volontario. Poi, questo si èdistratto un secondo e quando si è rigirato, la sciùraera sparita.”“Beh - faccio io - magari è in giro da qualche parte.L’avete cercata?”“Ma si - fa lui - e il bello è che la cercano anche deisuoi parenti che erano venuti qui al campo appostaa trovarla. Ma niente, nessuna traccia. Né di lei nédel cane. E non è finita…”“A quanto pare - continua infatti il volontario -qualcuno l’ha vista salire sull’autobus.”

“Sull’autobus?” - chiedo io.Ed è lì che mi si è accesa la lampadina. Improvvisamente infatti mi è venuta alla mente labacheca del campo dove qualche giorno primaavevo notato un annuncio che indicava il NumeroVerde della navetta che collega i campi.“Prendi il numero e chiama - dico al volontario. Seè salita sull’autobus qualcuno deve averla vista.”La vecchietta in questione, infatti, non è tipo dapassare inosservato. Va sempre in giro reggendosisu di un bastone ed in compagnia di un minuscoloquadrupede che non la molla di un metro.Detto fatto. Il volontario chiama. Si rintraccia l’auti-sta il quale conferma di averla raccolta alla ferma-ta-capolinea di Monticchio 1 e portata fino al cam-po di Fossa. Bene, adesso sapevamo che la signoraConcetta non era sparita ma si era semplicementeallontanata.Niente panico, dunque.Allora dico al volontario: “Prendi una macchina,porta con te i parenti della signora e vai a Fossa ariprenderla.”E così è stato. Il volontario imbarca il parentado eva a Fossa, dove effettivamente trova Concetta conla sua inseparabile Laila. Stanno bene. Anzi, stannoproprio bene. Stanno talmente bene che quando ilvolontario ed i parenti le esprimono il loro “allar-me” per l’improvvisa sparizione da Monticchio,Concetta stupita per cotanta apprensione rispondecandidamente (in stretto dialetto abruzzese):“Embé, mi annoiavo…!”.

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Lunedì sei aprile duemilanove. Una data che hasegnato tragicamente il destino di migliaia di italia-ni e più indirettamente il nostro intero Paese. Arrivoin ufficio, ancora un po’ assonnato, come puòaccadere ad inizio settimana. Fuori, un sole pallidoe celato da una leggera foschia fa capolino tra ipalazzi che si affacciano in Via Rosellini. Ci sonotutte le premesse per trascorrere una normale gior-nata di lavoro. Ma non sarà così. Incontro subito ilcollega Alberto Petranzan, che mi apostrofa conun: “Hai sentito cosa è successo in Abruzzo? C’èstato un terremoto”. Gli rispondo: “No, non hosentito nulla. Vado subito sul mio computer persaperne di più”. Mi fiondo su Internet, digito la parola “Abruzzo” su

un noto motore di ricerca ed ecco le prime imma-gini, le prime notizie che mi mettono di fronte adun evento che fino a quel momento non avevo maiaffrontato così da vicino. In ufficio i telefoni squilla-no all’impazzata; le e-mail con i report tecnici sisuccedono a ritmi frenetici. Intanto, la rete diffondescene di distruzione alle quali è impossibile rima-nere freddi. Da quel momento, in Assessorato,viviamo in uno stato di emergenza assoluta cheandrà avanti per settimane: un’allerta costante checi coinvolge tutti, qualunque sia il ruolo “ufficiale”che ciascuno di noi copre all’interno della struttu-ra. Pochi giorni dopo il sisma, proprio a ridosso diPasqua, la nostra segreteria riceve una telefona:“Pronto, mi chiamo Antonio Zucca e vi sto chia-

Una Pasqua sarda

di Francesco Cau

Francesco fa parte dello staff Comunicazione dell’Assessore Maullu.Giovanissimo, di origini sarde, da un paio d’anni a Milano, Francesco vive con i colleghi l’emer-genza Abruzzo seppur in un ruolo marginale rispetto a chi in Regione segue più da vicino la mis-sione della Protezione Civile. Pochi giorni dopo il sisma, però, in Assessorato arriva una telefonata.Questa è la sua testimonianza di una vicenda realmente accaduta alla vigilia di Pasqua. Una “sto-ria” i cui protagonisti sono una famiglia di emigrati sardi a L’Aquila, l’Assessore Maullu e una suastretta collaboratrice, Francesca Russo.

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mando da L’Aquila”. La linea telefonica è disturba-ta, le parole non così ben scandite, rotte dalla forteemozione che trapela dalla voce dell’uomo. Fran-cesca Russo, la segretaria particolare dell’Assesso-re, che ha preso la telefonata, capisce subito che sitratta di una persona che ha bisogno di aiuto. Delnostro aiuto. Antonio Zucca è il capostipite di unafamiglia originaria di Tonara, in provincia di Nuo-ro. Una famiglia come tante, emigrata parecchiotempo fa in Abruzzo dove ancora adesso vivono irami “cadetti” di cui Antonio è appunto la figurapiù rappresentativa. In quei giorni, agli Zucca“aquilani” si erano uniti i nonni, venuti dalla Sarde-gna per trascorrere con i nipoti le imminenti festivi-tà pasquali. La famiglia Zucca, però, come tutti icittadini del capoluogo abruzzese viene colpita dalterremoto. Fortunatamente non conta vittime, ma idanni subiti alla loro abitazione sono gravi. Comeil resto della popolazione, dunque, anche lorosaranno sfollati. Il primo pensiero del signor Anto-nio, superato lo shock, è di far ritornare in Sardegnai parenti anziani ed i bambini. Siamo però ormaiprossimi alle festività pasquali. Ed è veramente dif-ficile trovare posto in aereo per Cagliari. Ecco ilmotivo della telefonata alla Regione Lombardia. Ilperché della richiesta di aiuto formulata all’Asses-

sore Maullu. Il signor Zucca, infatti, aveva sentitoparlare di questo Assessore lombardo, il cui cogno-me evidentemente tradiva le origini sarde. “DaMilano - spiegherà poi lo stesso signor Antonio -degli amici mi consigliano di chiamare l’Assessoreregionale alla Protezione Civile, Stefano Maullu.Me ne parlano come di una persona seria che si stagià interessando per l’Abruzzo. Inizialmente non cifaccio caso ma dopo innumerevoli e vani tentativiper cercare un volo, mi decido e chiamo.” LaRegione Lombardia, oltretutto, si era già distintaper la tempestività e la generosità dell’interventopredisposto dalla Protezione Civile di cui, proprioquesto autorevole sardo era responsabile. Si com-prende dunque il perché di questa telefonata che,seppur così angosciosa, trova nella voce amica diFrancesca Russo una prima consolatoria risposta.“Ai primi squilli - continua il signor Zucca - avevo ilcuore che sembrava volesse saltar fuori. Poi unavoce dolce e gentile: “Buongiorno, sono France-sca”. Con un’emozione che mai avevo provatocerco di spiegare il problema. Lei, capito da dovechiamo, mi dice solo una cosa: “Chiuda e risparmiil telefono perché le servirà tanto, la richiamo io”.Non faccio in tempo a replicare che chiude lei, edun attimo dopo mi richiama. Tutto questo mi emo-

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ziona ancora di più, e quasi non riesco a spiegarecosa mi serve.” Francesca, infatti, intuisce subitoche si tratta di una vicenda umanamente sensibile.E nonostante la linea telefonica sia disturbata, rie-sce a farsi dare il numero del signor Zucca sugge-rendogli di richiamarlo lei, ovviamente anche perevitare a questo signore in cerca di aiuto di sobbar-carsi pure il costo di una telefonata da cellulare.Così, messa giù la cornetta, Francesca richiamaAntonio il quale sembra quasi commosso dal fattoche sia stato effettivamente richiamato! Questaseconda conversazione si rivela meno disturbata.Francesca ha così modo di farsi descrivere il pro-blema. E, quindi, di attivarsi subito.Avvisa imme-diatamente l’assessore Maullu, il quale chiede dirichiamare questo signore per potergli parlare.“Nel giro di pochissimo tempo - continua Antonio- mi chiama l’Assessore in persona. In poche paro-le gli spiego il nostro problema e nel giro di pochis-simo il suo staff non solo riesce a trovare il postoper nonni, mamme e figlie ma riesce a impegnarela Meridiana affinché ci offra il passaggio gratuita-mente.” In effetti è proprio così che va. L’Assessoreancor prima di richiamare il signor Zucca, ci dàdisposizioni per attivarci con la compagnia aereaMeridiana affinché trovi un posto alle donne, gli

anziani e i bambini della famiglia Zucca. Ci riu-sciamo. Riusciamo a trovare i biglietti che Meridia-na mette a disposizione gratuitamente per permet-tere il rimpatrio di questa famiglia. Non nascondo,da sardo, di aver partecipato a tutta la vicenda ed alsuo felice esito con una commozione che, credo,essere stata ancora maggiore di quella dei miei col-leghi. Mi ha commosso sentire il sollievo del signorZucca quando Francesca gli ha comunicato gliestremi dei biglietti: per lui è stato un segno di spe-ranza. Il primo, forse, dopo giorni di inferno. “Cre-do - insiste Antonio - che la nostra storia oltre adaver toccato la sensibilità di un politico, abbia toc-cato quella di una persona, per di più sarda, peraltri sardi che neppure conosceva.” Per Antonio,come per gli altri componenti adulti della famigliaZucca rimasti a L’Aquila, questo nostro tutto som-mato piccolo aiuto è stato vissuto con grande sol-lievo. È, infatti, grazie alla sensibilità ed alla dispo-nibilità di Stefano Maullu, un assessore dellaRegione Lombardia, una “personalità” mai cono-sciuta prima, che la Pasqua della famiglia Zucco èstata in qualche modo una Pasqua normale. Pertutti noi, la più grande sorpresa nel nostro metafori-co uovo di Pasqua ce l’ha data proprio il messaggiodi ringraziamento di Antonio. “Un grazie di cuore -ci ha scritto Antonio - oltre che all’Assessore Maul-lu va a tutto il suo staff che, sia da Milano sia nelcampo di Monticchio 1 a L’Aquila, con sensibilità eabnegazione, ha contribuito a risolvere non solo ilnostro problema, ma soprattutto ad alleviare le sof-ferenze di migliaia di aquilani colpiti dal sisma.”

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Coinvolta sin dalle prime ore post–terremoto la DGAgricoltura si è immediatamente attivata, in coordina-mento con la DG Protezione Civile, per esaudire lanecessità di approvvigionare di prodotti alimentari icampi di accoglienza allestiti da Regione Lombardia.Nel corso di una riunione coordinata, il 14 aprile, dalDirettore Generale, Paolo Lassini, sono stati fissati iprimi incarichi operativi per la presa di contatto con le

aziende agroalimentari e le loro organizzazioni di rife-rimento per la messa a disposizione e l’invio dei pro-dotti (latte, carni, pesci conservati, vino, ortofrutta,salumi, formaggi, sughi, succhi di frutta etc.).L’idea era di rifornire i campi con prodotti freschi diqualità dell’agroalimentare lombardo, sfruttando larete di contatti estesa e consolidata della DG Agricol-tura. Tali prodotti dovevano essere forniti con cadenza

Emergenza terremoto. Il problema degli approvvigionamenti alimentari

a cura della Dg Agricoltura di Regione Lombardia

La Dg Agricoltura di Regione Lombardia ha contribuito alla missione Abruzzo sin dalle prime ore del-l’emergenza. Tutti i funzionari, senza esclusione di ruoli, hanno infatti messo subito a disposizione deicolleghi della Protezione Civile il proprio tempo e la propria professionalità. La loro tempestiva mobilita-zione presso le aziende e i produttori lombardi ha permesso di reperire rapidamente le scorte necessarieal fabbisogno di viveri per la popolazione abruzzese ospitata presso i campi della Lombardia. Il loroimpegno per la missione, tuttavia, non si è fermato a questa prima fase. In seguito, infatti, la Dg Agricoltu-ra ha anche assunto la responsabilità degli aspetti organizzativi e operativi, affidandone la gestione ad unnucleo di operatori attivo sia sul campo sia presso la Sala Operativa regionale. A tutti i colleghi della Dg Agricoltura che a vario titolo hanno contribuito al successo della missione va ilgrazie di tutta la struttura regionale di Protezione Civile. Limiti di spazio ci impediscono di ricordarli tutti.Ci limitiamo quindi a menzionare qui, a titolo rappresentativo, solo i componenti della squadra operati-va: Enrica Gennari, Saverio Aloisio, Gloria Sainaghi, Davide Ilardo, Alessandro Pezzotta, Cesare Scolari,Luigi Critelli, Ninetto Locatelli, Filippo Clary.In questa nota, la descrizione delle funzioni assolte dalla Dg Agricoltura nell’ambito della Missione Abruzzo.

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settimanale/bisettimanale per coprire le necessità dialmeno 90 giorni, secondo una pianificazione decisadalla Protezione Civile.In una lettera a firma congiunta gli Assessori all’Agri-coltura ed alla Protezione Civile hanno inoltrato alleaziende dell’agroalimentare lombardo, ai Consorzi diproduttori, alle Cooperative, alle Associazioni ed allarete della Grande Distribuzione Organizzata formalerichiesta di contribuire alla missione attraverso propriedonazioni. Contestualmente, grazie anche al coinvolgimento deicolleghi di ERSAF, è stato istituito un “call center”interno con il compito di contattare telefonicamente evia mail le aziende. L’attività è stata coordinata dallostaff del Direttore Generale ed ha visto coinvolte circa15 unità.

La fornitura di prodotti freschi e congelati però nonsarebbe stata possibile se i campi non fossero statiattrezzati delle strutture ricettive necessarie.A tale scopo, sono stati allora inviati un cassone frigoed un autoarticolato freezer, messi a disposizione gra-tuitamente da ditte private lombarde del settore dellalogistica che hanno anche offerto il trasporto delle der-rate presso il campo base di Monticchio 1.È stato quindi messo a disposizione (con turnazioni)

un funzionario della DG Agricoltura presso la salaoperativa della Protezione Civile per lo smistamento ela risposta alle offerte di aiuto pervenute direttamentedalla ditte agroalimentari e della GDO, nonché al col-legamento con i responsabili di cucina e di campo. Lostesso funzionario ha curato inoltre anche l’aggiorna-mento di un database delle consegne effettuate.

Circa 50 aziende (allevamenti, salumifici, latterie,caseifici, macelli, centrali ortofrutticole GDO) hannodonato prodotti alimentari di prima qualità. Si stima in500.000 Euro il valore delle derrate sommato ai costidi trasporto e stoccaggio.Le consegne - 8 in tutto, distribuite nell’arco di 60giorni - sono state gestite da un funzionario della DGAgricoltura che si è occupato di organizzare i punti diraccolta delle merci.

A rotazione un funzionario della DG Agricoltura è sta-to presente stabilmente presso il campo base di Mon-ticchio 1, con il compito di fungere da raccordo tra leDirezioni Generali e i responsabili di campo per ilcoordinamento delle richieste di approvvigionamentoe il monitoraggio delle scorte.I prodotti venivano consegnati a Monticchio 1, puntodi arrivo e smistamento delle derrate alimentari alle

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varie cucine; in particolare, al campo operavano duecucine con relativi refettori, di cui una gestita dal-l’ANA (Associazione Nazionale Alpini) delle variesezioni lombarde, ed una seconda gestita dalla pro-vincia di Brescia, mentre i campi di Monticchio 2 eRocca di Mezzo avevano in dotazione una sola cuci-na con relativo refettorio.Una volta giunte a destinazione le derrate alimentarivenivano accuratamente inventariate per tipologia, estoccate negli appositi alloggi. Al fine di ottimizzare almassimo le risorse a disposizione, la DG Agricoltura siè impegnata anche a garantire la gestione ed il con-trollo della merce. Nelle primissime settimane del-l’emergenza, infatti, a Monticchio 1 si era arrivati aservire sino a circa 1200 pasti al giorno: un numeronettamente superiore alle effettive presenze nel cam-po (calcolando sia gli ospiti che i volontari). Da qui, lanecessità di riorganizzare l’intera attività di refettorio ecucina per evitare sprechi e sperpero di risorse. Poiché tutti gli ospiti ed i volontari erano dotati di untesserino con codice a barre leggibile con una “pisto-la” laser, si è pensato allora di effettuare dei controlliall’ingresso di ogni sala mensa, in modo da escludereautomaticamente i non aventi diritto. I controlli si sono rivelati efficaci. Fin dal primo giorno,infatti, il numero dei pasti somministrati si è ridotto a

869, per arrivare dopo solo 8 giorni a 722, un valorequesto che si è mantenuto stabile nel tempo, permet-tendo così una reale visione del fabbisogno giornalie-ro e dunque una notevole riduzione degli sprechi. Esempre a tal fine, si è anche deciso di uniformare imenu delle due cucine di campo.Il nostro campo, giudicato a 5 stelle, ha saputo venireincontro anche alle esigenze alimentari degli ospiti direligione musulmana preparando pietanze non incontrasto con il loro credo.Il nostro impegno non si è limitato a garantire unagestione razionale delle mense, ma si è esteso anchealle attività di fornitura e smistamento delle derrate ali-mentari dai depositi di raccolta.A tal proposito si è provveduto ad inventariare tutta lamerce presente e creare una banca dati che rilevassesia le entrate che le uscite dettagliando le quantità e ladestinazione nell’ambito delle 4 cucine rifornite.L’adozione di questo metodo di monitoraggio haconsentito di avere, in tempo reale, una visione orga-nica dei materiali in giacenza e dei fabbisogni darichiedere.Superata la fase di prima emergenza, per consentireun graduale ritorno alla normalità dell’economia loca-le, il Ministero degli Interni, in coordinamento con ilCOM, ha disposto che gli approvvigionamenti doves-sero essere effettuati dai siti locali convenzionati conlo stesso Ministero. Al fine di garantire che il materialeoccorrente per la preparazione dei pasti fosse costan-temente a disposizione delle cucine, abbiamo quindidovuto seguire una procedura rigorosa che prevedevaun doppio passaggio, dapprima presso il COM per ledovute autorizzazioni, e successivamente presso i for-nitori indicati per effettuare le provviste necessarie.

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La caprese

È il 12 maggio. A Milano, la Centrale operativa dellaProtezione Civile è, come sempre, in piena attività. Dall’inizio dell’emergenza Abruzzo, la macchinaorganizzativa continua a funzionare con precisionecronometrica. Il coordinamento degli aiuti, l’allesti-mento dei campi, l’implementazione dei servizi,l’ausilio dei tecnici lombardi ai campi gestiti dallealtre regioni, il turn-over dei volontari, la logistica,le riserve alimentari.Nel momento in cui si svolge la storia che narriamoqui, dunque, nelle tendopoli allestite e gestite dallaRegione Lombardia, agli ospiti non manca proprionulla: dalla lavanderia alla banca, dall’ufficiopostale al parrucchiere, dalla rete wireless al denti-sta. Ci sono le bici ed i giocattoli per i bambini, unemporio di abiti ed accessori donati dalle più rino-mate “griffe” del made in Italy. “Ci manca solo che ci stendano il tappeto rosso” -commenta con gratitudine una delle ospiti di Mon-ticchio 1, una maestra che in una tenda ha creato“la scuola dell’amicizia”. E il giudizio suo non è unmero esercizio di piaggeria, perché a Monticchionon manca davvero nulla. È stata allestita persino lascuola - una tenda per le elementari, una per lemedie e le superiori.Ma tra i fiori all’occhiello del campo, è la mensa a

battere ogni record di gradimento! Oddio, chiamarla mensa, oltre che riduttivo, risultafrancamente fuorviante. Una mensa evoca odori, sapori e consuetudini tut-t’altro che invitanti.Cibi pre-cotti, insapore, di qualità affatto eccelsa. Una mensa - onestamente - mette tristezza. A mensa si va ad assumere calorie per il sostenta-mento quotidiano, non si va a cena o a pranzo.Non si va, insomma, con lo stesso spirito di chi siaccinge a consumare, insieme al cibo, un tributo alpalato.A Monticchio 1 invece è proprio all’insegna delgusto che si celebra il rito del pasto. E la ragione diquesta bizzarra constatazione è semplice: si man-gia stra-bene. La mensa allestita dalla Protezione Civile nel primodei tre campi lombardi, dunque, sarebbe piùappropriato definirla “ristorante”, il ristorante Mon-ticchio 1: un grande ristorante, che può arrivare aservire - come ha fatto - fino a 1000 coperti al gior-no, in turni di 250 “avventori” alla volta. E per avere successo in una missione così impegna-tiva certamente conta l’efficienza organizzativa;certamente è fondamentale che le consegne sianoeffettuate con puntualità, che il cibo sia quello

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richiesto, ecc. ma la cosa che conta di più - per inostri cuochi volontari - è che gli ospiti si alzino datavola, satolli e soddisfatti. E questo è quanto effettivamente è avvenuto dasubito a Monticchio 1.Non sorprenda quindi se, nelle settimane immedia-tamente successive all’installazione del campo, sulmenu proposto dagli chef lombardi di Monticchio1 figura già una selezione dei prodotti più pregiatidella gastronomia italiana. Ora, tutto questo lo diciamo non (solo) per magnifi-care le virtù culinarie dei cuochi volontari lombar-di. Ma per rendere chiaro di “cosa stiamo parlan-do”, ovvero quale sia il contesto della storia cheadesso vi raccontiamo.È il 12 maggio, dicevamo, ovvero circa 5 settimanedopo il sisma, 5 settimane dalla partenza degli aiutilombardi, 5 settimane dalla messa a regime del pri-mo campo Monticchio 1, quando a Milano AlbertoPetranzan, l’assistente di Maullu che segue per con-to dell’Assessore il lavoro della Protezione Civile inAbruzzo, riceve una telefonata. È il volontario Giovanni, allora in servizio al Cam-po di Monticchio 2.“Alberto” - gli dice Giovanni - “qui c’è un proble-ma: non abbiamo da mangiare”.

A queste parole, ci manca poco che ad Albertovenga un coccolone. Non si era mai verificato, sino ad allora, che alcampo mancassero provviste. Era francamente impossibile che si verificasse unbuco, in un sistema organizzativo rodato ed effi-ciente, come quello della Protezione Civile lom-barda.Oltretutto, le ultime consegne risultavano regolar-mente effettuate. Non si erano verificati problemi dirifornimento. Era già a regime il sistema di appro-viggionamento dei cibi freschi in loco. Insomma,non c’era nessun problema.Per questo, nella testa di Alberto, quelle parole evo-cano le ipotesi più allarmiste ripescate direttamentenell’archivio immaginifico della peggiore cinema-tografia catastrofista - uno tsunami, un black outelettrico, l’arrivo degli alieni.Intanto, dall’altro capo del telefono, Giovanni con-tinua: “Eh si, Alberto. Vorremmo fare una collettatra di noi.”“Una colletta? Come una colletta? - replica allar-mato Alberto (i volontari non devono sostenerespese. Tutti i costi sono interamente gestiti dallaProtezione Civile. Insomma, una colletta è qualco-sa che proprio non esiste).

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“Eh, si - fa Giovanni - una colletta… per compraredelle mozzarelle”.Alberto, dalla sede della Protezione Civile regiona-le, al telefono con il volontario Giovanni del piùgrande campo gestito dalla Protezione Civile lom-barda in Abruzzo, è ormai prossimo al mancamen-to.Resta in silenzio per un attimo. Un istante che - achi assiste alla scena - pare un’eternità. Poi siriprende, focalizza la situazione e, sereno, chiede:“Ma perché proprio la mozzarella?”“Eh, si - fa l’interlocutore - mozzarella e pomodori,perché sai, la carne…”E qui il dialogo si fa più articolato. Quasi sensato.Al punto che Alberto, abbandonata la dimensionecinematografica, riprende in pugno la situazione e,con mirabile prontezza professionale, replica:“Ma dimmi, Giovanni, cos’ha la carne che non va?Non sarà mica andata a male?”“No no - lo tranquillizza l’amico volontario. È soloche è già da qualche giorno che qui mangiamo car-ne, e stasera avevamo voglia di una caprese!”“Al campo hanno voglia di una caprese” - ripete adalta voce Alberto, a beneficio delle sue increduleorecchie e dei sempre più perplessi astanti (i colle-ghi Francesca, Francesco e Demetrio).

A quel punto, l’atmosfera da catatonica si fa dirom-pente. Dirompente, infatti, è lo scroscio di risa incui i nostri - Alberto & co - esplodono all’unisono.Ed è tale la magnitudo di queste risa che dagli altriuffici accorrono, preoccupati e sorpresi, i colleghidella segreteria assessorile.Ora, in un contesto di “normalità”, se uno al telefo-no ti dice che quella sera ha voglia di mangiare unacaprese invece che della carne, beh tu di certo nonprovi né stupore né imbarazzo. Se all’altro capo delfilo, infatti, invece che il responsabile della cucinadi un campo della Protezione Civile incaricata digestire vitto, alloggio, servizi e sicurezza di unacomunità di oltre un centinaio di sfollati, vi fossestato un amico con degli ospiti a cena, be’, in talcaso, di certo, quel dialogo telefonico ad Albertosarebbe apparso più che normale. Ma la situazione di Monticchio 1, pur nella suastraordinaria efficienza, non poteva certo essereassimilata a quella di una cena privata. Non ci si stupisca dunque se la storia della capresesuonasse, alle orecchie del nostro dirigente e deisuoi colleghi particolarmente sorprendente.Passato lo stupore, tuttavia, quell’episodio halasciato un segno nella memoria umana e profes-sionale dei suoi protagonisti.

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L’affaire della caprese, infatti, non ha proprio nullaa che fare con il sistema organizzativo della Prote-zione Civile lombarda, con la complessa, articola-ta, rigorosa macchina degli aiuti, con il sistema diprevenzione e di assistenza, con il volontariato, laformazione degli operatori, con il coordinamentotecnico, ecc.No, non è questo il “punto”. Il punto vero, semmai,è l’umanità, quella straordinaria umanità che rap-presenta la prima, forse la più preziosa, risorsa deinostri uomini della Protezione Civile. È infatti nella loro capacità di riconoscere i bisognidelle persone assistite e nella loro prontezza nelsoddisfarli, che si realizza la missione ontologica diquanti, funzionari e volontari, tecnici ed operatori,prestano il loro servizio per la Protezione Civile. La loro missione è ricreare la “normalità” in unasituazione, come quella di una tendopoli, che tuttoè fuorché normale.Una normalità che può apparire - a chi la vive dal-l’esterno - impossibile. Eppure la Protezione Civile lombarda dimostra chericostruire la vita normale si può.E la normalità è fatta anche di desideri, non solo dibisogni. Desideri di cui il cibo - il piacere che il cibo è capa-

ce di creare - è uno dei più atavici, dei più rassicu-ranti e dei più umani.È così che quel giorno, a Milano, le donne e gliuomini dell’Assessorato alla Protezione Civile dellaRegione Lombardia che da settimane vivevano insimbiosi con i volontari ed i colleghi dislocati inAbruzzo; quegli uomini e quelle donne che da set-timane saltavano i loro pasti per garantire continui-tà e tempestività al loro lavoro, che da settimanerelegavano il sonno a una manciata di ore per not-te, beh, quel giorno, lo staff dell’Assessore la pausapranzo se l’è concessa ed è stata - manco a dirlo - abase di mozzarella, pomodoro e basilico!

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La casa con la torretta

La casa con la torretta, vista da fuori, sembra inte-gra. La villetta, una gradevole costruzione a duepiani, si trova nel cuore di Monticchio, a pochi chi-lometri da L’Aquila. Risale alla fine del 700. Piùrecente, invece, è la torretta, edificata attorno agliAnni 50 del secolo scorso. Nel suo primo sopralluogo sui luoghi del terremo-to, a pochi giorni dal sisma, Stefano Maullu, Asses-sore regionale della Lombardia alla ProtezioneCivile, viene colpito da quella casa. O meglioancora: viene colpito da una signora di mezza età,già intravista al campo Monticchio 1, ferma lìinnanzi, con lo sguardo in sù.È una situazione consueta, in verità: nei primi gior-ni dal cataclisma, infatti, la gente, seppur ormai alriparo nei campi attrezzati dalla Protezione Civile,durante il giorno va davanti alle proprie case. Sono i giorni dei primi sopralluoghi, delle primeverifiche di agibilità. C’è chi, più fortunato, haragioni per sperare in un responso positivo. Ma c’èanche chi davanti a sé non trova più una casa masolo un cumulo di macerie.Vedere una persona ferma a sentinella di casa pro-pria, dunque, non ha nulla di inconsueto in queidrammatici giorni in Abruzzo.Eppure, in quella casa ed in quella signora c’è qual-

cosa di curioso.Così Maullu le si avvicina, discretamente. Ed è come se la signora non aspettasse altro.Prima ancora che l’Assessore lombardo faccia intempo ad aprir bocca, infatti, lei in dialetto abruz-zese, senza distogliere lo sguardo dalla torretta,esordisce: “Bacco, Tabacco e Venere riducono l’uomo incenere.”Nonostante l’idioma poco familiare, Maullu rico-nosce il proverbio.Dunque sorride - un po’ sorpreso - e guarda lasignora. Ma la signora non lo guarda e continua a tenere gliocchi fissi alla casa. Così anche Maullu ri-gira l’attenzione alla casa, maha ancora in mente l’eco del proverbio. Bacco, Tabacco e Venere.Allora riguarda la signora, e poi ancora la casa fin-ché, visto che la signora non viene spontaneamentein suo soccorso, rompe gli indugi e osa:“Mi perdoni, signora, ma cosa c’entra il proverbiodi Bacco?”A questo punto, la signora distoglie lo sguardo dal-la casa, anche se solo per una frazione di secondo.Guarda Maullu negli occhi, quasi riconoscente di

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quella domanda e comincia un racconto che leparole, da sole, non saranno in grado di restituirealla ricchezza espressiva della sua narratrice. E tuttavia, cercheremo di riportare al meglio l’epi-sodio, non tanto per la storia in sé quanto per tuttoquello che la storia di questa casa racconta a pro-posito del vissuto dei nostri borghi, dell’intreccio distorie dinastiche e familiari che in una stratificazio-ne secolare si fanno depositarie della memoria delnostro paese. Una memoria che neppure un cata-clisma micidiale e distruttivo, come quello deL’Aquila, riesce a cancellare.“Quella casa è mia” - esordisce la signora - “manon mi è mai piaciuta”“La comprò mio padre dal precedente proprietario,quando io ero ancora una bambina”.Il padre della signora era un contadino, all’epocagià “benestante”. O quanto meno, era benestantequanto bastava per potersi permettere di rilevare daun rampollo dell’aristocrazia abruzzese la dimorache, del casato, era una specie di simbolo.“La casa - spiega la signora - era la residenza di vil-leggiatura della famiglia. Poi ci andò a stare l’erede,questo giovin signore”“All’inizio - continua il racconto - la torretta nonc’era. Fu lui a costruirla, per vanità.

Proprio così - insiste - per vanità”.A sentir la signora, infatti, questo signorotto era ungran vanesio oltre che un inguaribile perdigiorno. “Trascorreva il suo tempo a giocare, bere e andarea donne, intanto che mio padre e quelli come luistavano sui campi a rompersi la schiena. E quellatorretta - tanto per essere chiari - la volle costruireproprio per farsi bello nei confronti di noi popolani.Per far vedere quanto era ricco, lui”.Intanto che il nostro viveur se la spassava, però, inpaese c’era chi lavorava e raccoglieva i frutti dellapropria fatica, invece di sperperarli all’osteria. E con ciò costruiva un futuro di “riscatto”, per sé eper la propria famiglia. Per il signorotto infatti la bella vita non durò a lun-go e ad un certo punto, ridotto ormai sul lastrico eperseguitato dai creditori, dovette mettere da partela spocchia e vendere le sue proprietà. Casa con latorretta compresa. Ed il bello è che dovette vender-la proprio ad uno di quei paesani di cui disprezza-va così tanto la volgare propensione al sacrificio: ilcontadino “arricchito”, il papà della nostra narratri-ce. “Quando mio padre comprò la casa - raccontala signora - io non ero per niente contenta perchéquella torretta proprio non l’ho mai potuta vedere.”Le pur legittime rimostranze dell’allora giovanissi-

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ma figlia, però, non potevano nascondere il fattoche l’acquisto fosse un vero affare. Il padre della signora infatti contrattò una formuladi pagamento ingegnosa: una piccola somma indenaro cash ed un vitalizio in “natura”, ovverol’impegno a rifornire il signorotto di un’adeguatadotazione di patate vita natural durante. Propriocosì: patate a vita in cambio di un palazzetto del700! L’impegno - sia detto per inciso - fu onoratodall’acquirente e dai suoi discendenti sino allanaturale estinzione di ogni dovere, ovvero allamorte del beneficiario. Fin qui la storia, che lasignora ha raccontato così, tutta d’un fiato. In undialetto abruzzese rispettosamente italianizzato abeneficio dell’ascoltatore lombardo che, presissi-mo dal racconto, per tutta la durata della narrazio-ne non riusciva a distogliere lo sguardo da quellatorretta. Perché, almeno all’apparenza, la casa eraintegra. In realtà l’intero immobile è stato poi clas-sificato come “non agibile”. Ma chi può dire se,senza quella controversa sopraelevazione postic-cia, la casa avrebbe retto al sisma del 6 aprile senzasubire i danni strutturali che invece ha subito. O se,invece, sarebbe stata colpita comunque. Certo èche la storia narrata dalla signora una certa sugge-stione l’ha creata. Al punto che, in occasione di

una successiva visita al campo, Maullu cerca lasignora, animato dal desiderio di suggerirle unachiave di lettura “positiva” all’intera vicenda, ovve-ro di cogliere la sciagurata occasione del terremotoper ristrutturare la casa facendo sparire la torrettauna volta per tutte.Un’ottima idea, certamente. Tant’è che anche la signora, evidentemente, l’avevagià meditata in dettaglio. Salvo però dovervi rinun-ciare a causa del niet della Sovrintendenza, sotto lacui giurisdizione ricade il possedimento immobi-liare in oggetto. La casa - è infatti la sentenza dei tutori del nostropatrimonio artistico e culturale - va tutelata e rico-struita nella sua interezza in quanto immobile diriconosciuto pregio storico. Che piaccia o no allasua legittima proprietaria, dunque, la torretta reste-rà. E con lei resterà la fisionomia urbana di questopaesino a pochi chilometri dal capoluogo abruzze-se, e resteranno le sue storie: le storie delle famiglieche ci vivono da generazioni. Quelle famiglie a cuiil terremoto ha portato via molto ma non la memo-ria. Anche quella parte della memoria che invecequalcuno avrebbe magari voluto archiviare.

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Un “semplice volontario”

di Pino Sporchia

Giuseppe, per tutti Pino, si definiva “un semplice volontario”. In realtà ricopriva il ruolo di Capoarea del Parco Ticino e di Coordinatore del Gruppo Comunale di Prote-zione Civile del Comune di Turbigo.Il suo primo intervento di Protezione Civile risale al terremoto del Friuli, nel 1976. Nel 1979 è tra i primiad arruolarsi nel gruppo di volontariato del Parco Ticino.Nel 1990 entra anche nel Gruppo Comunale di Protezione Civile di Turbigo. Nella missione Abruzzo Pino ed il suo gruppo si impegnano senza sosta, senza riserve, con il consuetoslancio, la consueta umanità. Pino è lì, a Monticchio, anche l’ultima settimana di settembre. Gli ultimi giorni di vita del campo. Gli ulti-mi giorni di una missione che lui ed i suoi volontari hanno contribuito a rendere una pagina gloriosa nel-la storia della Protezione Civile regionale.

Pino oggi non c’è più.L’amico Pino. Il veterano Pino. Il volontario in servizio permanente effettivo non è più con noi.La sua generosità, la sua allegria, la sua umanità, la sua dedizione: quelle virtù che ne hanno fatto unesempio per le donne e gli uomini del Parco del Ticino, un esempio per tutti i volontari, un esempio pergli operatori impegnati sul campo. Ebbene, “quel” Pino è invece vivo più che mai. Vivo nel ricordo di tut-to il mondo della Protezione Civile. Nel ricordo dei colleghi, degli amici, dei compagni di squadra, lagrande squadra della Protezione Civile regionale. Vivo nei cuori di tutte quelle persone per cui Pino è sta-to più che un volontario. È stato un angelo salvatore.

Questa è la storia che Pino ha scritto appena qualche giorno prima di partire per la sua ultima missione.

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Lunedi 6 aprile ore 07.45 la Regione Lombardia,tramite Lorenzo Poma ci allerta per un terremotoin Abruzzo. La prima cosa che ho pensato (avendo delle cono-scenze in quel luoghi, ex colleghi di lavoro che miraccontavano della loro terra ballerina) è che deveessere una cosa veramente brutta.

Mi attacco al telefono e comincio a chiamare ilpersonale di pronta partenza. Nel giro di 30 minuti trovo 12 volontari di Turbigoche vanno in sede a prepararemezzi e materiale:officina, cucina, tende, rimorchio estintor, gazeboe tutto quanto può servire durante un’emergenza.

Il contributo di volontari che il Parco Ticino devedare alla colonna mobile regionale è di 20 uomi-ni. Nella prima mattinata ce ne vengono richiesti12. Alle 10.00 invece ci comunicano che deinostri, partiranno solo 6 volontari, con 2 automez-zi dotati di gancio traino.

Il problema allora è chi lasciare a casa. Sono tuttivalidissimi ed esperti. Hanno già contribuito aisoccorsi nei terremoti in Umbria e Molise, oltreche nelle tante altre situazioni drammatiche in cui

è intervenuto il nostro corpo.Ma la scelta ora è obbligata: la Regione chiedevolontari con patente superiore. E cosi sia. Alle13.00 si parte, destinazione centro CRI di Legna-no, punto di ammassamento della C.M. Regionale.

Dopo aver salutato vecchi amici e compagni dialtre situazioni tragiche, con Cinzio Merzagora etutti i referenti dei gruppi della Colonna Mobile sitiene una conferenza stampa. OK, ci comunicanoche l’orario previsto per la partenza è le 17.00. Fra i miei uomini c’è un po’ di malumore: perchèaspettare le 17.00? Ma alle 15.00 arriva il contror-dine: si parte subito. Partiamo.Finalmente siamo in autostrada e qui comincianoi problemi: alcuni mezzi si fermano per noie almotore. La Colonna Mobile si sfalda in vari tron-coni, non ci sono collegamenti radio tra gli auto-mezzi, dopo varie fermate all’1 si esce dall’auto-strada, poco prima dell’uscita per L’Aquila.

Si passa tra paesini e si comincia a vedere casedistrutte e una lunga teoria di macchine lungo ibordi delle strade, tutte con i vetri appannati e lì cirendiamo conto del problema. Nessuno per paura

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dormiva in casa, tutti in auto. Era necessario farein fretta, montare un campo per dare, anche se intenda, un posto più comodo per dormire.Fa freddo. Giungiamo al Garden, posto individua-to per il Campo della Regione Lombardia. Ciattendono Giovanni Caldiroli, Massimo Ceriani eAlessandro Caretti, partiti il mattino, con un mez-zo veloce per lo scouting.

È desolante, ci mettiamo subito al lavoro, si montala tenda; alle 4 ci si butta stanchi sul materassoper riposare qualche ora ma è impossibile perchèarrivano sull’area altri uomini e mezzi dellaColonna Mobile, e giustamente anche loro devo-no montare le tende per un piccolo riposo.

Alle 6.30 ci si alza: comincia un duro lavoro dipreparazione del campo e occorre fare in fretta.Dobbiamo dare un tetto a tutti prima di notte.Essendo in pochi sarà una giornata lunga. Alle19.45 mentre si stanno consegnando le prime ten-de arriva una scossa veramente forte, del 5.3 dellaRichter, facendoci ballare in un modo incredibile.

La popolazione spaventatissima scappava da tuttele parti urlando. Riusciti a tranquillizzarli, si pro-

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cede all’assegnazione delle tende. Alle 23.30 tuttii cittadini presenti erano sistemati e noi stanchi esenza cena ci buttiamo sulle nostre brande.

Mercoledì si continua con la sistemazione delcampo, il posizionamento dei cartelli segnaletici,la pulizia dei bagni, il piantonamento ai cancellid’entrata, il viaggio con un camion dell’AEM allavolta di Avezzano, per il ritiro di materiale vario.Per fortuna arrivano tre nostri volontari che hannoaccompagnato i medici del Niguarda e portato icamion del 118.

Dopo un brevissimo riposo ci danno una mano.Chiediamo a casa di mandarci il rimorchio con ibagni e una roulotte, che verrà poi assegnata alparroco.

Per un paio di giorni siamo in tredici del nostrogruppo a lavorare. Si va a prendere Alberto Petran-zan all’aeroporto e gli diamo un posto nella nostratenda: con Caldiroli e Ceriani siamo in 14 in ten-da e 2 nella veranda.

Il giorno dei funerali di stato delle vittime, duenostri volontari partecipano in rappresentanza:

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torneranno nel tardo pomeriggio, distrutti nelvedere tutte quelle bare, specialmente quelle deibambini.

Si fanno altri viaggi ad Avezzano, Pescara, Roma aprendere altro materiale, giornalisti, l’AssessoreMaullu, l’onorevole Podestà - futuro Presidentedella Provincia di Milano.

Si portano nel paese simbolo del terremoto“Onna” e L’Aquila. Dimenticavo, anche l’assesso-re Maullu la sera prima ha dormito nella nostratenda. Una cosa che ai volontari ha fatto moltopiacere è stato vedere l’assessore Maullu e l’Ono-revole Podestà mettersi in coda con i volontari peril pranzo.

Una cosa che ci ha colpiti è la forte escursionetermica. Nel pomeriggio si arrivava ai 23/25 gradi,alla sera si scendeva ai 7/8 e di notte a 0/-2.

Il mercoledì visto che comincia ad arrivare vestia-rio vario, scarpe, pannolini, materiale per igieneintima ecc. si comincia a fare anche magazzino inalcune tende, ma in un attimo sono piene. Caldiroli riesce ad ottenere l’utilizzo della tenso-

struttura di fronte al campo, così facciamo il tra-sloco del magazzino. Martedì sera , il titolare diuna ditta di estintori di Bassano del Grappa mitelefona (come ha fatto ad avere il mio numeronon l’ho ancora capito ) e mi chiede se abbiamobisogno di estintori. Dico di si e, se ci sono, anchealcuni a CO2. Mi risponde: “Ok, domani arrivocon gli estintori”.

Mercoledì pomeriggio in effetti arriva con due fur-goni e mi consegna: 300 estintori in polvere, 40 alsaclon e 10 alla CO2. Il giorno dopo mando unfax di ringraziamento a lui e al sindaco di Bassanodel Grappa. Gli estintori vengono distribuiti aMonticchio 1 e 2: quelli che sono avanzati vengo-no tenuti di scorta e poi posizionati a Paganica.

Posso assicurare che c’è stata una magnifica colla-borazione con tutte le componenti della ColonnaMobile Regionale, con il Comune di Milano e igruppi di Protezione Civile della Provincia diMilano.

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Alle prime ore del mattino del 6 aprile, le notizie daL’Aquila sono ancora parziali. La nostra partenza viene decisa in tempo reale, quan-do dal Dipartimento giunge un quadro sufficiente-mente chiaro dell’entità dell’emergenza. Una pattuglia della Polizia Locale ci scorta attraversola città, sino all’ingresso in autostrada. Superato ilcasello, tariamo il navigatore sulla rotta L’Aquila. Nonsappiamo cosa troveremo. Sappiamo però di doverraggiungere al più presto la Dicomac, sede del Dipar-timento sui luoghi del sisma. E sappiamo che la Dico-

mac è insediata nella caserma della Finanza. Arriviamo a L’Aquila nel primo pomeriggio. Attraver-siamo la città.Le macerie. Le sirene. I mezzi di soccorso. Le autodella polizia, dei vigili, le ambulanze.E poi la gente. Gente che carica l’auto di bagagli.Gente che vaga caoticamente in una città che apparemeno distrutta di quello che - ci renderemo contodopo - è in realtà.Ci dirigiamo verso la caserma della Finanza. Ma è lacaserma sbagliata.

La squadra della luce

di Alessandro Caretti

Sono le 3 e mezza di notte del 6 aprile quando sul cellulare di Alessandro arriva il primo SMS di allertadalla centrale operativa della Protezione Civile lombarda. Alle 10.30, il nostro uomo è in via Rosellini per il primo briefing con il suo capo, Luigi Bossi, il verticedella Regione ed i responsabili della Colonna Mobile. Tre ore dopo, la partenza.Alessandro Caretti, volontario di Protezione Civile di AEM/A2A è - con Giovanni Caldiroli e CristianoCozzi - il primo a lasciare la Lombardia. Destinazione: caserma della Guardia di Finanza de L’Aquila. La sua missione comincia così, con una Milano-L’Aquila in 5 ore 5 ed una sosta in autogrill a base di sala-melle congelate. Dal 6 aprile, Alessandro è, per tutti, “l’uomo della luce.” Questa è la sua storia.

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Cerchiamo indicazioni. Le troviamo. La Dicomac èalla scuola della Guardia di Finanza, a Coppito. Ciarriviamo. Entriamo. La palestra non è più una pale-stra. È una sala operativa in fibrillazione. Il nostroreferente è il tavolo “regioni”.Ci chiedono chi siamo, cosa portiamo. Ci registrano.Registrano le potenzialità della nostra Colonna Mobi-le. Una potenzialità classificata come “importante”.Ci indirizzano al Com 1.Il Com 1, ovvero “l’ente locale” del Dipartimentodeputato al governo dell’area terremotata de L’Aquilae delle frazioni limitrofe, è fisicamente ubicato in unavecchia scuola. Lo presidiano due funzionari delDipartimento. Nostre vecchie conoscenze. Non per-diamo tempo in formalità. Hanno già individuato unpaio di aree funzionali all’allestimento del campo dicui dovremo occuparci noi.Ci presentano un dipendente dell’ufficio tecnico delComune de L’Aquila e, con lui, ci rechiamo sulla pri-ma area della lista: il cinema Garden, un multisala inzona Monticchio.Arriviamo. L’insegna è illuminata. Il parcheggio pienozeppo di macchine. E dentro le macchine, gli sfollati.Il proprietario del cinema è arrivato lì subito dopo ilterremoto. Ha aperto lui il cancello del parcheggio.L’ha illuminato ed ha fatto entrare la gente, i concitta-

dini accorsi lì, come lui, in cerca di riparo, alla largadagli edifici.È buio, quando arriviamo noi. È ormai quasi mezza-notte.Il nostro primo compito è ingrato. Dobbiamo sgom-berare l’area e predisporla all’arrivo della ColonnaMobile, attesa ormai nell’arco di poche ore.Con Giovanni e Cristiano, mi metto a bussare al fine-strino delle auto. Una per una. Spieghiamo loro per-ché li “cacciamo”. “Non vi cacciamo”, cerchiamo di persuaderli. “Vi chiediamo solo di spostarvi di pochi metri”. Pochi metri fuori dal recinto, in un’area antistante ilparcheggio e che a breve diverrà a sua volta un par-cheggio.Una mobilitazione, questa, dolorosa ma necessariaper allestire il campo che in poche ore darà loro unriparo più confortevole dell’abitacolo dell’auto.Nessuno fa problemi. Quasi nessuno. Alcuni ci offro-no addirittura da mangiare: un pezzo di formaggio,persino della pasta confezionata in vaschette sotto-vuoto, come quelle che si trovano a mensa. Non ci chiediamo come le abbiano avute. In queimomenti, quello che succedeva era incredibile. Lasolidarietà. La generosità. L’umanità.Sgomberata l’area, in attesa della Colonna Mobile,

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facciamo un sopralluogo tecnico dell’area. Indivi-duiamo gli allacci, la rete fognaria. C’è una fossabiologica. L’impianto elettrico, quello del cinema, èutilizzabile. Servirà un intervento tecnico. Ma èfunzionale.Piove quella notte. E fa freddo.Arriva la Colonna Mobile.I mezzi di A2A sono 9: 1 camion con rimorchio, per imateriali elettrici e idraulici; 2 furgoni, rispettivamen-te destinati agli interventi elettrici e idraulici; 1 mezzoper gli interventi in alta tensione e 5 furgoni con imateriali logistici e le attrezzature dei tecnici, unasquadra composta in tutto di 19 volontari.Ci mettiamo subito al lavoro. Seguendo un ordine dipriorità che non si fatica a comprendere: i servizi pri-mari, innanzitutto, dunque cucina, servizi igienici.Il campo cresce così, di tenda in tenda. Di servizio inservizio. E poi di accessorio in accessorio. La prima sera le tende saranno al buio. Il giorno dopoavranno la luce. Quello dopo ancora le stufe. Il quar-to giorno al campo ci sono i servizi generali, lavande-ria compresa. Il resto segue a ruota: il servizio postale,la cappella…A Monticchio c’è un altro campo da attrezzare. Lochiameremo Monticchio 2. È, in linea d’area, apoche centinaia di metri dal Garden.

È nato spontaneamente, come assembramento ditende “private” montate dagli stessi residenti delquartiere prospiciente il campo di calcio. Le lorocase, in gran parte palazzine di recente costruzione,sono gravemente danneggiate.Loro hanno ricostruito il quartiere, ma in tenda. I ser-vizi in uso sono gli spogliatoi del campo. Insufficienti,almeno per un soggiorno che si annuncia ormai pro-lungato.Con la mia squadra, ricreiamo a Monticchio 2 le retiidriche ed elettriche necessarie per i servizi - cucina,toilettes, segreteria… - che gli altri gruppi di Protezio-ne Civile lombarda si accingono ad installare.Poi, dalla Dicomac arriva la richiesta di impiegare lesquadre di AEM/A2A al servizio degli altri campi. Sia-mo tutti disponibili.Ma possiamo farlo? Si, possiamo. E possiamo perchéa Milano, in Sala Operativa, c’è il Presidente Bossiche coordina i lavori, reperisce i materiali, risolve iproblemi irrisolvibili. Non so come faccia. Ma soche lo fa. Per noi che siamo giù, è difficile renderciconto delle difficoltà che uno come Bossi, ovverouno che l’emergenza la sta gestendo dalla Sala Ope-rativa di Milano, può incontrare per rispondere allenostre richieste. Che sono sempre perentorie, urgen-ti, tassative.

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Non mi rendo conto di quanto straordinario sia il suolavoro. Non me ne rendo conto almeno fino a quan-do io stesso mi trovo, da Capo campo, a smazzareproblemi su problemi. Problemi di ogni tipo.Compreso quello dei servizi igienici di Monticchio 2,intasati a causa di una omissione da parte della localeditta incaricata dello spurgo.Un incidente come tanti. Uno di quegli inconvenien-ti che, come spesso avviene, ti sorprende nel cuoredella notte. Uno di quegli inconvenienti che non puòattendere la mattina dopo per essere superato. E cosìil Capo campo - ovvero io - va a svegliare un paio divolontari e il funzionario della Regione che, nella fat-tispecie, è anche il Responsabile della Sala Operativadella Protezione Civile lombarda, Domenico De Vita.“C’è un’emergenza” gli dico. “A Monticchio 2 sono…nella merda!”“Ok” mi fa De Vita “Andiamo a spalarla!”La situazione si presta all’ironia. E dunque, di battutatriviale in battuta triviale, ci ritroviamo io, Domenico,Cristiano Cozzi ed un paio di altri volontari a carica-re 5 bagni chimici su un furgone e trasportarli, nelcuore della notte, al campo-fratello di Monticchio 2dove ad attenderci è Corinne, la giovane e dolcissimaCapo campo. Gli ospiti del campo non si accorgono di nulla. Salvo

trovare l’indomani mattina, dei box per i servizi igie-nici meno accoglienti del solito, ma funzionali, alme-no per tamponare l’emergenza. Quella mattina, invece, per noi è business as usual. Abbiamo ormai un nostro uomo fisso alla Dicomac.È lui che fa da interfaccia tra il Dipartimento e lenostre squadre, per il coordinamento dei lavori in tut-ti gli altri campi in cui è richiesto il nostro interventotecnico.In sostanza, si tratta di creare reti elettriche capaci diilluminare le tende, fornire stufe adeguate, ripristinareimpianti danneggiati. Interventi non sempre comples-si ma sempre capaci di dare un po’ di sollievo allagente dei campi.È un lavoro che facciamo senza sosta. Senza limiti diorario. Nessuno dei volontari sente la fatica. E se lasente, la tiene dentro. In gran parte, a ripagarci è ilvolto di quelle persone per cui persino un gesto pic-colo piccolo, come rendere funzionale il riscalda-mento, può far la differenza.Non ho mai sentito un solo volontario lamentarsi.Non ho mai sentito nessuno obiettare sui ritmi bellicia cui, spesso, ci sottoponiamo. Noi come tutti gli altrivolontari, come tutti gli altri operatori, i funzionaridella Regione, i ragazzi della Cattolica, i responsabilidei nuclei di Protezione Civili delle Province e deiComuni lombardi, gli uomini del Dipartimento…Tut-ti - indistintamente - coinvolti al massimo qualunquesia il ruolo svolto sul campo. Questo è l’insegnamento più prezioso che l’Abruzzomi ha regalato.

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Arrivo in sala operativa verso le 8.Domenico De Vita, responsabile della Sala è giàlì. Con lui, una quindicina di persone. Tra loro iresponsabili della Colonna Mobile.Facciamo un primissimo briefing ma le notizieche ci giungono dal Dipartimento sono ancoratroppo frammentate perché si possa procedere adun’immediata pianificazione operativa. Restiamo in attesa di istruzioni. Intanto ciascunodi noi si mobilita per allertare i principali referentidelle rispettive associazioni.Non avendo ancora input dal Dipartimento, milimito a chiamare i responsabili degli autisti, affin-ché a loro volta sentano chi tra i volontari dotatidella patente adatta a guidare i mezzi pesanti, siadisponibile a partire subito.

Con loro faccio una preventiva valutazione delcalibro della nostra mobilitazione: individuare lerisorse, le competenze e le attrezzature più adatte.In breve, c’è da progettare la fase 1 della missione.Intanto, verso le 11, parte la macchina di scoutingcon a bordo Giovanni Caldiroli, per la RegioneLombardia, Alessandro Caretti di A2A, e CristianoCozzi del 118.

Più o meno a quell’ora arriva l’OK del Diparti-mento all’invio della nostra Colonna Mobile. Trasmetto la notizia ai miei uomini - i coordinato-ri degli autisti e il responsabile del magazzino - edo loro appuntamento alle 14, al deposito centra-le di ANA, a Cassago Magnago.Prima di arrivare alla sede, passo da casa. Devo

Gli alpini per la Protezione Civile

di Marco Lampugnani

In Protezione civile dal 1987, Marco è coordinatore regionale di ANA, Associazione Nazionale Alpini, eresponsabile della logistica della Colonna Mobile della Protezione Civile lombarda.Sono le 6 del 6 aprile quando apprende dal Tg la notizia del terremoto che nella notte ha colpitol’Abruzzo.Pochi minuti dopo è già in macchina, direzione Milano, via Rosellini, sede della Centrale Operativa.Il suo racconto comincia qui.

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preparare il bagaglio personale. La mia sacca del-le emergenze è già pronta. Ma quanto durerà lamissione? Un paio di giorni, una settimana, unmese? Mi preparo al peggio. Abbigliamento “tec-nico” da freddo ed equipaggiamento da lavoro incondizioni estreme.Idem per l’attrezzatura. Le strade, le reti elettrichee di telecomunicazioni, potrebbe essere tuttodistrutto. Sono queste le considerazioni che trasmettoanche ai miei uomini: “attrezziamoci al peggio”.Ed il peggio significa predisporre i mezzi conmacchinari, scorte di viveri e stoviglie ma anchecon un generatore, delle torce, delle coperte, icontainer con i servizi igienici mobili…

Non sappiamo cosa ci aspetta. Sappiamo solo chesul campo potremmo trovare il nulla.Il nostro obiettivo è riuscire a prestare soccorsonel tempo più breve, a tutta la popolazione che èpossibile soccorrere. E per questo, più che la buo-na volontà serve organizzazione. La miglioreorganizzazione possibile.In questo senso, non avendo ancora un quadrochiaro della realtà sul campo, arrivar giù consquadre troppo numerose può rivelarsi contropro-

ducente. Meglio scaglionare le partenze. Partiredunque con una prima squadra di emergenza che,una volta sul posto, possa organizzare le partenzesuccessive, coordinando l’invio di uomini, mezzie attrezzature secondo le esigenze reali.

Con questo criterio allestiamo i mezzi e ci prepa-riamo alla partenza.La mia Colonna lascia Cassago Magnago verso le17. Siamo in 25, su 9 mezzi tra cui un paio di Sca-nia. Il carico è consistente: portiamo con noi unacucina mobile, il refettorio, la cella frigorifera, iservizi.

Lungo la strada, ci imbattiamo nella Colonnamobile della Regione Lombardia, partita poco pri-ma di noi. Procediamo lentamente. La Colonnadei mezzi è lunga. Il buio, ormai, via via più fitto.Man mano che ci avviciniamo - è ormai notte fon-da - il traffico si fa sempre più rado. La nostraColonna procede come un serpentone gigante. Imezzi hanno i lampeggianti accesi. L’immagine diquei mezzi riflessa sul mio specchietto retrovisoreè suggestiva.

A pochi chilometri dall’Aquila, all’altezza di

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Assergi, ci imbattiamo in un blocco. La strada èstata chiusa in via precauzionale dalla PoliziaStradale, in attesa di verificarne l’agibilità. Siamo costretti quindi ad uscire dall’autostrada eproseguire passando attraverso il “canyon” diScoppaturo. Una strada impervia, buia, stretta tradue pareti rocciose dalle quali il terremoto ha fat-to staccare dei massi che adesso giacciono lungol’asfalto: un monito inquietante del pericolo chepotremmo correre tutti noi.Lo scenario è spettrale.Con il mio mezzo mi metto in cima alla Colonna.Sono io a far da guida. Procedo piano. Non senza preoccupazione. Il ter-remoto, devastante, è avvenuto poco meno di 24ore prima. Le scosse di “assestamento” sono con-tinue. Tra me e me penso: “E se arrivasse qui, ora,una nuova scossa?”.Per fortuna, non succede. Arriviamo sani e salvi a Paganica, la frazione delcapoluogo più prossima alla nostra destinazione. In strada c’è un silenzio paralizzante. Attorno anoi macerie, rovine, distruzione. Incontriamo pochi mezzi di soccorso, per lo piùVigili del Fuoco e Polizia.Seguiamo le indicazioni per Monticchio. Il nostro

punto di riferimento è il cinema Garden. Lo vedia-mo: l’insegna è ancora illuminata.Arriviamo al parcheggio - l’area del campo indivi-duata dalla Regione Lombardia - che sono le tre emezza di notte. All’esterno dell’area recintata c’è un centinaio diauto parcheggiate. Attraverso i vetri si intravededella gente. Sono gli sfollati. Si sono rifugiati inmacchina, cercando riparo nell’area antistante ilparcheggio del cinema. Un’area sicura perché,appunto, lontana da costruzioni.

Caldiroli, Caretti e Cozzi, insieme ai primi gruppidi volontari arrivati via via dalla Lombardia sonogià lì. Sono anche già state montate alcune tende. In attesa del nostro arrivo, hanno già tracciato inlinea di massima la “planimetria” del campo.Un campo non si tira su come se si trattasse dipiantare 4 tende in un campeggio. Va innanzituttodisegnato, come fosse una città. Vanno tracciate lestrade, le ubicazioni dei servizi, circoscritti glispazi tra le tende perché possano passarvi i mezzi.Vanno realizzate le linee elettriche - senza le qua-li sarebbe impossibile installare i servizi, a comin-ciare dalla cucina, le celle frigorifere, ecc. Un lavoro, questo, che imporrebbe del tempo. Tem-

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po che, nella primissima emergenza, non c’era.Monticchio 1, il primo campo allestito da RegioneLombardia, è nato per dare riparo ad una popola-zione bisognosa di un riparo immediato. Gentebisognosa di assistenza, sanitaria ed umana. Gen-te che nel volgere di qualche minuto ha perdutotutto.A questa gente era necessario dare soccorso. Edarlo subito. Monticchio 1 nasce così. E quando ripenso al senso di gratitudine da partedi quella gente nei confronti di noi operatori dellaProtezione Civile - senza distinzione tra professio-nisti e volontari - beh quel pensiero è sufficienteper ripagarmi, per ripagare tutti i miei uominidegli sforzi compiuti, della fatica sopportata, deiritmi di lavoro ai limiti della umana sopportazio-ne. Si, a ripagare tutti noi volontari basta il ricordodi quei volti, del sollievo espresso con lo sguardopiù che con le parole, davanti ad un banale pasto,un pasto frugale ma caldo che, in quelle primedrammatiche ore, poteva risultare quanto di piùprezioso potesse esserci.Ma torniamo ai fatti.Quando arriviamo noi della Colonna Mobile, lesquadre di volontari ci vengono incontro.

Ciascuna di loro viene ordinatamente smistataverso i diversi settori della Colonna nella quale c’èil grosso delle “strutture” e delle “infrastrutture”necessarie all’allestimento del campo. A ciascunadi loro viene assegnato un compito.C’è la squadra che procede al montaggio delletende, quella dei tecnici che lavora agli allaccia-menti degli impianti elettrici e sanitari. E ci siamonoi alpini. Il nostro compito a Monticchio 1 è lagestione della cucina mobile.Abbiamo un generatore. Abbiamo stoviglie per unmigliaio di persone. Abbiamo viveri per un ristoroimmediato.

Non sentiamo la stanchezza del viaggio. Non sen-tiamo neppure il freddo tagliente della notte aqui-lana. Ci mettiamo subito a lavoro.Sono le 7 del mattino, ovvero meno di quattro oredopo il nostro arrivo, quando cominciano ad arri-vare i primi sfollati rimasti, sino ad allora, al riparoin macchina. Quella gente - sconvolta dal terre-moto - è all’addiaccio da ormai 24 ore. Sono pro-vati. Serviamo loro bevande calde - caffé, the, lat-te. E via via la fila si allunga. Ci rendiamo subitoconto che le derrate che abbiamo con noi nonpossono bastare.

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I volontari, spontaneamente, non esitano a tirarfuori dagli zaini il cibo portato per sé. Biscotti,qualche frutto, dei succhi, del pane. Tutto quelloche in fretta erano riusciti a mettere insieme primadi partire. Ma visto il numero di persone da soccorrere, ènecessario trovare dell’altro cibo.Così, mentre la squadra finisce di montare la cuci-na, il responsabile dell’approvvigionamento simette in cerca di un posto dove acquistare viveri.Ma trovare un supermercato aperto in zona, ilgiorno dopo il sisma, non è impresa facile.Tuttavia, qualcosa si riesce a recuperare. Ed è cosìche a mezzogiorno riusciamo a preparare unpasto - un piatto di pasta - per circa 300 persone.Intanto, tuttavia, al Garden il numero di autoaumenta visibilmente. Arriva nuova gente durantetutta la giornata. Tanta gente. Noi stessi non neabbiamo contezza, almeno fino a sera quandoalla tenda-mensa si presentano oltre mille perso-ne. È solo allora che ci rendiamo davvero contodelle dimensioni dell’emergenza.La cosa importante è che, anche quella primasera, riusciamo ad offrire un pasto caldo a tutti.E se questo è stato possibile lo si deve, oltre chealla straordinaria prontezza dei miei volontari,

alla dedizione dei rappresentanti della Regione edei tanti operatori impegnati a vario titolo nell’as-sistenza, anche ad un altro fatto straordinario: gliaiuti che per tutta la giornata hanno continuato adarrivare. Mentre il campo veniva allestito, in quelle primeore del 7 aprile, mentre si montavano le tende, siinstallavano i servizi igienici, si costruiva il refetto-rio, lì nell’area dell’ex Garden continuavano,infatti, a giungere furgoni interamente carichi digeneri alimentari. Furgoni partiti da tutta Italia,sulla scorta dell’emozione suscitata dalla notizia.Furgoni arrivati sui campi grazie alla mobilitazio-ne straordinariamente tempestiva di aziende edassociazioni dell’intero paese. Tra questi, un tir-fri-go inviato da una nota azienda nazionale di salu-mi che ha messo a disposizione della nostra Pro-tezione Civile non solo il mezzo ma anche il suocontenuto.

Sin dalle prime ore, e per diverse settimane, han-no continuato a pervenire offerte da parte dimigliaia di donatori. È solo grazie alla capacitàorganizzativa ed alla professionalità degli uominidella Protezione Civile della Regione Lombardiase si è riusciti a razionalizzare gli invii degli aiuti

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ai campi, evitando sprechi che in una situazioneemergenziale di portata così devastante sarebbestato facile registrare. E sempre alla competenza deiresponsabili del coordinamento, ovvero alla SalaOperativa, si deve la capacità di rispondere e sod-disfare con magistrale tempestività e prontezza alleesigenze che noi volontari, da quel mondo “a par-te” che sono i campi, continuavamo a mandare.

Nella mia pur lunga esperienza al servizio dellaProtezione Civile non mi era mai capitato di doveraffrontare un’emergenza di così vaste proporzio-ni. Non mi era mai successo di dover fare i conti,oltre che con il soccorso immediato, anche con lagestione del postcrisi. Non mi era mai capitato didover mantenere in allerta i miei volontari per unperiodo continuativo di sei mesi.

L’Abruzzo è per me - per tutti noi volontari e opera-tori professionali - una “prima volta”. E la primavolta è sempre una prova. Una prova, questa, parti-colarmente dura, umanamente e tecnicamentedura.

Ne faremo tesoro. Ne abbiamo, in parte, già trattomolte significative lezioni. E tra queste, una in

particolare: il sistema di Protezione Civile lombar-do è una realtà esemplare. Lo è dal punto di vistaorganizzativo, professionale e tecnico. Ma lo èanche grazie alla straordinaria capacità di coin-volgere e mobilitare decine di associazioni divolontari su tutto il territorio regionale. Sonoorgoglioso di farne parte. E sono orgoglioso deimiei volontari, per la generosità, la serietà, la pro-fessionalità con cui hanno contribuito a sollevaredal dramma le popolazioni d’Abruzzo.

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La notizia del terremoto la ricevo alle 7 del matti-no del 6 aprile da fonti del Dipartimento della Pro-tezione Civile nazionale. Mi metto in contatto conRegione Lombardia e Domenico De Vita, respon-sabile della Sala Operativa mi conferma la notizia. Si tratta di un’emergenza grave. Su questo non cisono dubbi. Non si hanno ancora indicazioni pre-cise. Non si hanno ancora i dettagli della missioneper la quale la nostra Protezione Civile è già in sta-to di allerta e soprattutto non si ha ancora un OKalla nostra partenza.

Alle 9 una nuova telefonata dalla Regione: questavolta è Dario Besola che mi dice che è stata deci-

sa la convergenza dei mezzi della Colonna Mobi-le al CPE, il Centro Polifunzionale Emergenze diLegnano.

Nel frattempo mi metto in contatto con sei mieicolleghi volontari, selezionati sulla base delle spe-cifiche competenze operative. Dico loro di ritiraredal rimessaggio 4 mezzi operativi - sempre prontia partire - e di convergere al più presto a Legnano. I 6 partono da mezza Lombardia, dalle province diMilano, Lodi e Pavia.Alle 12 siamo tutti là. Dei quattro mezzi, uno trasporta le attrezzatureper la segreteria, computer, stampanti, supporti

Le telecomunicazioni in emergenza

di Bruno Laverone

Con i suoi venticinque anni di volontariato alle spalle, Bruno Laverone è un veterano di FIR-CB Lombar-dia di cui, dal 2000, è Presidente.La Federazione Italiana Ricetrasmissioni - Citizens’s Band fa parte della Colonna Mobile di ProtezioneCivile Lombardia con il compito di gestire le telecomunicazioni sul territorio in situazioni di emergenza.In Abruzzo, i volontari di FIR-CB Lombardia hanno installato le infrastrutture di TLC delle aeree di acco-glienza predisposte da Regione Lombardia e gestito le attività di segreteria di campo.Bruno arriva a Monticchio la notte tra il 6 e il 7 aprile, con la prima Colonna Mobile lombarda.Questa è la sua storia.

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informatici, materiale di consumo, ecc. Il secondoquelle per le radiocomunicazioni con anche unatrentina di radio portatili.Il terzo mezzo è attrezzato per la nostra logistica,con due tende da campo “accessoriate” per il rico-vero dei volontari.Il quarto mezzo è un fuoristrada per gli spostamen-ti in loco.

Verso le 15.00 la Colonna Mobile è al completo.In totale si compone di una ventina di mezzi. Alle15.30 lasciamo Legnano. Arriveremo a Monticchioesattamente 12 ore dopo, alle 3 della notte tra il 6e il 7 aprile.Il viaggio non è semplice. Alla tensione per la mis-sione che ci attende, si aggiungono alcuni incon-venienti tecnici ai mezzi che rallentano la già nonvelocissima marcia verso la meta.Ma arriviamo al Garden sani e salvi. Ed è solo allo-ra che la nostra missione parte davvero.

Ci mettiamo subito a lavoro.Innanzitutto, montiamo la tenda per il pernotta-mento. Un’operazione che non ci impegna più diun’ora.Immediatamente dopo cominciamo l’allestimento

della segreteria.Alle 7 del mattino è tutto pronto.Ma pronto per cosa? Ci sono circa 500 persone da alloggiare. 500 per-sone che, da due notti, dormono all’addiaccio.Non c’è tempo per operazioni di registrazionecomplesse. Ci limitiamo a prendere i nomi e regi-strare la tenda cui vengono destinati, avendo cura,naturalmente, di rispondere il più possibile alleesigenze dei singoli e dei nuclei familiari. In que-sto momento la priorità è trovare un ricovero e unpasto caldo per questi infelici reduci da una dram-ma che li segnerà per sempre. Di tutto ciò si occu-pano egregiamente i colleghi delle altre funzioni:mensa, sanità, logistica, servizi tecnologici.

Solo dal secondo giorno, cominceremo le opera-zioni anagrafiche vere e proprie. Per prima cosa, registriamo i volontari e diamoloro un badge di riconoscimento. Poi, via via pro-cediamo con gli ospiti.I primissimi giorni sono i più difficili, soprattuttodal punto di vista umano.

La segreteria è la principale fonte di informazionicui gli sfollati hanno accesso.

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In quei giorni, si sta ancora scavando tra le macerie. C’è una ragazza che per due giorni continua avenir lì da noi, in segreteria: chiede notizie diun’amica di cui non sa più niente e per la qualeteme il peggio. Più o meno ogni mezz’ora, laragazza torna e ci chiede di consultare nuovamen-te l’elenco delle vittime, progressivamente aggior-nato dal Dipartimento e reso disponibile onlineper la consultazione.

Ma il nome dell’amica della nostra ragazza noncompare. È così per almeno 24 ore. Finché quelnome ad un certo punto appare. Ed il dolore, inquel momento, invade la segreteria, assale tuttinoi. Un dolore straziante. Un dolore che portoancora dentro di me.

Nei giorni successivi, alle attività anagrafiche siaggiungono le funzioni operative più tecniche. Traqueste, la predisposizione di una connessionewireless, fruibile liberamente in tutta l’area diMonticchio 1. È appena il secondo giorno dall’installazione delcampo. Eppure è sufficiente questo piccolo “mira-colo” per ridare un po’ di gioia agli sfollati, soprat-tutto ai più giovani che, grazie ad Internet, posso-

no riappropriarsi di un po’ della loro “normalità”.Presto, la segreteria diventa il terminale della vitacivile di quella piccola comunità che è il campo.

Sono tanti e tali i problemi, piccoli e grandi, chedobbiamo affrontare! Così tante e varie le situazio-ni individuali e collettive cui dobbiamo dare unarisposta, supportati dai funzionari di Regione Lom-bardia che coordinano le operazioni. Non possoche limitarmi a ricordarne qualcuna. Non necessa-riamente le più complesse. Solo quelle che più misono rimaste impresse.

Tra queste, il ponte-radio fornito alla Polizia Loca-le de L’Aquila ed il soccorso “a domicilio” delledecine di sfollati disseminati nel vasto territoriodel capoluogo. Si tratta in gran parte di gente cheviveva in casolari di campagna, lontani dai centriabitati.

Gente che non intendeva abbandonare la campa-gna perché questo avrebbe significato condannarei loro animali, galline, per lo più. A tutta questagente la Colonna Mobile di Regione Lombardiafornisce una tenda da campo dove sistemarsi,provvediamo a portare loro il cibo ed a rifornirli

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della “pappa” per le loro bestie. Impresa, questa,tutt’altro che banale in un territorio devastato,dove gli esercizi commerciali aperti si contano sul-le dita di una mano. Eppure riusciamo a trovarepersino del mangime per galline, un bene tantoraro quanto prezioso per i tanti contadini-terremo-tati della zona.

E che dire della signora anziana, claudicante, ospi-tata al campo che nella fuga non aveva avutomodo di prendere con sé la stampella che le per-metteva di deambulare? Bisognava trovarle un nuovo bastone. E grazie alcoordinamento ed alla dedizione di tutti riusciamoa ridare a quella povera donna la possibilità dimuoversi in libertà.Ecco, è questo il tenore delle richieste - tutte legitti-me - che in quei primissimi giorni vengono sotto-poste alla segreteria. Ed è quello il nostro compito,in quei giorni.

Nelle settimane successive, dall’emergenza si pas-sa via via ad una progressiva normalizzazione dellenostre attività. In gran parte, servizi amministrativi.Si pensi al censimento - non so più quanti ne sianostati fatti nel corso di quei sei mesi!

A maggio, ad esempio, in previsione delle elezionieuropee di giugno si è posto il problema della regi-strazione dei residenti al campo per il recapito delcertificato elettorale. Per poter fornire agli aventidiritto il documento necessario all’espletamentodel voto, infatti, il Comune de L’Aquila aveva biso-gno di avere un recapito della nuova residenza deisuoi cittadini. E per fare ciò era necessario censireufficialmente i residenti del campo.

Ancor prima di quel censimento pre-elettorale, civiene chiesto di censire gli aventi diritto ad unposto negli alberghi della costa, requisiti dalDipartimento per offrire agli sfollati una sistema-zione più confortevole della tenda. Anche qui, sitratta di imbastire delle pratiche, verificare i requi-siti dei richiedenti, trasmettere la documentazioneal COM e dunque registrarne l’esito.

E poi, di censimento in censimento, si è giuntiall’ultimo, quello richiesto dal Dipartimento perverificare il numero di sfollati in grado, dal 6 set-tembre, di riprendere possesso della propria abita-zione. Le persone interessate, in questo caso, sonoquelle la cui abitazione ha ottenuto la certificazio-ne di agibilità, ovvero l’inclusione nella fascia A.

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Un’operazione non così banale come potrebbeapparire dal momento che, a causa di alcuni ricor-si, le verifiche sugli stabili vanno avanti ancoradurante tutto il mese di agosto e per parte del mesedi settembre.

Al momento in cui scrivo, i campi sono in via didismissione. Gli sfollati si accingono progressiva-mente a rientrare nelle proprie case, a prender pos-sesso di uno degli alloggi costruiti dopo il sismacon il progetto C.A.S.E. o a trasferirsi in un riparo,temporaneo, ma più confortevole della tenda.

La segreteria sarà l’ultimo avamposto del campo.Le funzioni amministrative andranno avanti anchedopo che l’ultimo ospite avrà trovato sistemazionealtrove.I miei volontari, dunque, saranno tra gli ultimi apoter definire la missione Abruzzo “compiuta”.Va a loro il mio pensiero. Ai miei 21 uomini - sia-mo in realtà 22 “colleghi” e tra noi non si badatroppo alle gerarchie! - che dal 6 aprile hanno pre-stato servizio nell’operazione di soccorso coordi-nata dalla Protezione Civile lombarda.

Molti di loro hanno sopportato ritmi massacranti.

Molti di loro hanno sostenuto 3, 4 e anche 5 tur-ni. Alcuni hanno totalizzato anche 80 giorni diservizioSono loro, i volontari di FIR-CB, che mi riempionodi orgoglio e gratitudine.Questa storia - la mia storia - è la loro storia.A tutti loro, dico solo una cosa: grazie. Anche sesono certo che non vogliono essere ringraziati. Laloro vera gratificazione, infatti, non è il mio “gra-zie” ma la convinzione di essere stati utili.

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Il 6 aprile ricevo la notizia del terremoto alle 5.30 delmattino.Sebbene le informazioni siano ancora scarse e fram-mentate, mi rendo subito conto che si tratta di qual-cosa di grave.Mi mobilito immediatamente per allertare i volontaridi turno. Anpas è una struttura capillare: il solo grup-po lombardo conta oltre 100 associazioni aderenti.Questo ci permette di essere sempre reperibili edoperativi H24.Così, non abbiamo difficoltà ad individuare le 14

persone che costituiranno il primo contingente inpartenza con la Colonna Mobile regionale.Parallelamente, anche il Dipartimento Nazionalechiede la disponibilità ad Anpas Nazionale e quindi,secondo la nostra organizzazione, anche a noi. Anpas Lombardia, quindi, sarà presente in Abruzzosu due fronti operativi diversi.Per il versante “nazionale” si tratta più che altro digestire e coordinare i turni delle squadre che si avvi-cenderanno nei vari campi gestiti direttamente daAnpas.

Anpas Lombardia per l’Abruzzo

di Battista Santus

Battista Santus, volontario dal 1978, è Vice Presidente vicario di Anpas Lombardia e da sei anni è ilResponsabile del settore di Protezione Civile. Anpas è uno dei pilastri del volontariato al servizio della Protezione Civile. È una struttura nazionale,dunque sotto il coordinamento diretto del Dipartimento. Ma Anpas Lombardia, con il centinaio di asso-ciazioni che la compongono, fa anche parte della Colonna mobile regionale. Nell’emergenza Abruzzo, ilgruppo lombardo di Anpas entra in operatività su due fronti: quello nazionale, coordinato dal Diparti-mento, e quello regionale guidato dalla Sala operativa della Regione che sovrintende l’organizzazionedella Colonna mobile lombarda.Anpas Lombardia attiva i suoi volontari sui due “terreni”. Battista, coadiuvato dal coordinatore operativoValerio Zucchelli e dai referenti dei Comitati Provinciali e zonali, è lì per coordinarne l’azione. Questa è la sua storia.

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Per quanto riguarda la Colonna Mobile Regionale,invece, il nostro ruolo operativo è più integrato nellacatena di comando. Con le altre associazioni dellaColonna e con la Sala Operativa (nella quale abbia-mo distaccato un nostro operatore) si lavora, infatti,in stretta sinergia, in un rapporto di cooperazione emutuo supporto. Nessun vincolo gerarchico: solo sti-ma reciproca, capacità di fare squadra e totale pro-pensione a collaborare per trovare risposte immedia-te ai problemi. Ad esempio, nei primissimi giorni sipresenta in sala operativa una famiglia provenientedall’Abruzzo: bisognava darle supporto psicologico etrovarle un alloggio. Immediato il coinvolgimentodella nostra responsabile del gruppo di supporto psi-cologico e il coinvolgimento delle associazioni pertrovare una possibile sistemazione, che riusciamo aindividuare grazie alla rete dei rapporti sul territorio ealla sensibilità del Sindaco di Garbagnate Milanese.

I problemi, in un’emergenza complessa come il ter-remoto de L’Aquila, non mancano.È necessario mantenere la lucidità, non lasciarsisommergere dall’emozione.È necessario, dunque, contenere l’incontenibilemobilitazione dei volontari che, appena avuta lanotizia, ci subissano di telefonate per chiedere di

partire subito. Una generosità, la loro, spontanea.Una generosità che nasce dalla motivazione che staalla base della scelta di vita compiuta dai volontari:l’autentica volontà di prestare soccorso, di aiutarechi ha bisogno di aiuto.

In quei momenti, le notizie diffuse da radio e tv dan-no la dimensione del dramma. La reazione deivolontari è immediata: andar giù a prestare soccorsoed aiuto a quelle popolazioni.Ma il problema è che in quelle prime ore, in Abruz-zo, non serve mandare migliaia di volontari. DallaLombardia per arrivare in Abruzzo non si impieganomeno di 6 ore. È evidente che il nostro compito nonpuò essere quello di scavare tra le macerie. A cercarei corpi, a tirar fuori i feriti sono già intervenuti i Vigilidel Fuoco e la Protezione Civile della RegioneAbruzzo e delle regioni limitrofe. Sono loro che, arrivati sul posto immediatamentedopo il sisma, hanno avuto la possibilità di farequello che noi, dalla Lombardia, non avremmopotuto fare mai: salvare le vite che era ancora possi-bile salvare.

Il nostro compito in Abruzzo non è insomma quellodi andare a scavare sotto le macerie.

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Si tratta piuttosto di prestare soccorso, ovvero di alle-stire dei campi e dar conforto agli sfollati. E farlo nelpiù breve tempo e nel migliore dei modi possibili.

La Protezione Civile della Lombardia comincia adallestire il primo campo, Monticchio 1, nella nottetra il 6 e il 7 aprile. Alle 7 del mattino del 7 aprile, lacucina è già attiva ed i primi sfollati cominciano atrovare un riparo sotto le tende.Tutto questo lavoro è stato fatto da poco più di unacinquantina di uomini. Se invece di 50 fossero stati 100, 200, 300 non sisarebbe fatto più in fretta. Si sarebbe solo fatto inmodo peggiore e con più confusione, rendendoancora più drammatiche le condizioni degli sfollati.

Altro aspetto: giunti sul posto, i primi operatori man-dati da Regione Lombardia comprendono subito chenon si sarebbe trattato di una missione breve. Questoprimo step è un momento fondamentale: valutarecon precisione l’entità dell’emergenza significa riu-scire a pianificare gli aiuti che servono davvero, apianificare la mobilitazione di uomini e mezzinecessari, la loro migliore utilizzazione possibile.

Ebbene, gli uomini incaricati da Regione dello scou-

ting capiscono subito che saremmo rimasti giù perdei mesi.E questo significa che - per dei mesi, non dei giorni odelle settimane - avremmo dovuto garantire pienacopertura della turnazione dei nostri volontari.

Ovvero, che molti volontari - come in realtà è suc-cesso - sarebbero stati chiamati a sostenere più di unturno settimanale.In alcuni casi, questi turni sono arrivati fino a 2, 3,persino 4 settimane consecutive.

Ora, se avessimo ceduto alle pressioni spontanee deivolontari, avremmo rischiato di ritrovarci dopopochissimo con delle risorse umane “fuori uso”, perla fatica, per la pressione incredibile cui si viene sot-toposti al campo. Una pressione che, come molti di noi sanno bene, èsoprattutto emotiva.

Non mi dilungo sulle modalità della nostra aggrega-zione alla Colonna Mobile. Dico solo che il 6 aprile,all’orario fissato per l’appuntamento a Legnano, ivolontari di Anpas Lombardia si presentano pronti,con l’equipaggiamento e le dotazioni adatti adaffrontare soccorsi generali, dunque non solo mezzi

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di soccorso sanitario (2 autoambulanze) ma ancheattrezzature logistiche, fuoristrada per gli spostamen-ti in loco e poi, il fiore all’occhiello di Anpas Lom-bardia: il carrello UTES (Unità Tecnologica Emergen-ze Sanitarie). Ovvero, una struttura sanitaria mobile“leggera”, adatta al trasporto nelle condizioni piùdisagiate. Nonostante le sue dimensioni ridotte,infatti, il carrello con i suoi 10 posti letto, è un vero eproprio posto medico avanzato, adatto al trasporto“a traino” ed elitrasportabile, in grado di essere trai-nato e posizionato là dove i grossi mezzi non posso-no arrivare. Il carrello è un’idea nostra, di Anpas Lombardia.Un’idea innovativa che si è mostrata sul campo effi-cace al punto da esser presto recepita dal 118 lom-bardo e via via anche dai 118 di altre Regioni e dallestrutture nazionali di Protezioni Civile.

L’emergenza Abruzzo per Anpas Lombardia non hasignificato solo supporto sanitario.Siamo stati anche noi, come gli altri gruppi di Regio-ne Lombardia, assorbiti a 360 gradi dalla necessità diaffrontare la pluralità di piccoli e grandi problemiquotidiani.Il nostro obiettivo era fare in modo che gli sfollatipotessero soffrire il meno possibile. E questo signifi-

cava anche riuscire a dare loro servizi che ne alle-viassero la difficoltà della vita in comune. Servizipratici, come la possibilità di fare il bucato.

Già nei primi giorni di vita della tendopoli, infatti, alcampo non mancava praticamente nulla. Salvo …una lavanderia. Resici conto del problema non abbiamo esitato unistante. Sin dalle prime ore, quando era apparsa evidente ladimensione del dramma i nostri volontari presentinelle varie aziende avevano sondato la loro disponi-bilità per aiuti tangibili. Tra le prime la Candy HooverGroup.Abbiamo incrociato il bisogno della popolazionecon la nostra capillarità e capacità di far rete e con lasensibilità degli imprenditori italiani.Dopo 24 ore dall’evidenza del problema, grazie allarapidità della Candy, alla capacità logistica di Regio-ne Lombardia e alla presenza di volontari esperti, alcampo era perfettamente disponibile e funzionanteuna tenda con 10 lavatrici e 10 asciugatrici. L’idea hadimostrato immediatamente la sua efficacia: i campidi Monticchio 2 e Paganica 5 hanno chiesto la possi-bilità di analoga dotazione. La Candy e i dipendentidella rete commerciale hanno rinnovato la loro

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generosità e anche questo bisogno è stato soddi-sfatto. Questa delle lavatrici è una storia bella, di solidarietàed efficienza, ma non è la sola. Nel corso dei mesi trascorsi in Abruzzo - non solonei primi, drammatici giorni - la solidarietà, genero-sità e dedizione dei lombardi (e non solo) ha avutotestimonianze continue. Troppe per poterle ricordaretutte. Troppo importanti per poterle dimenticare.

Tra queste attestazioni di solidarietà e dedizione, mipreme sottolineare quella individuale delle decine divolontari che si sono dedicati anima e corpo all’aiutodelle vittime del terremoto, sottoponendosi a ritmi dilavoro massacranti, a turni prolungati, talvolta per 2-3 settimane consecutive, lontano da casa, lontanodalle proprie famiglie.

Mi sono chiesto spesso se, nel mio ruolo di responsa-bile del gruppo, non stessi sottoponendo i volontariad una pressione eccessiva.La risposta ai dubbi me l’hanno data loro stessi. Nona parole, ma con la gioia che ho letto nel loro sguar-do il giorno di Pasqua quando, su loro iniziativa, si èdeciso di organizzare per gli ospiti del campo la pro-cessione del Cristo in Croce per onorare la celebra-

zione della Settimana Santa. È stato un momento, questo, di profonda intimità.Un gesto che ha contribuito a dare alle vittime delterremoto ed a tutti noi - volontari e operatori di Pro-tezione Civile - rinnovata forza per vivere il presentee la speranza per riprogettare il futuro.

Questa immagine - la processione del Venerdì Santo- rimane un ricordo indelebile della difficile Missio-ne d’Abruzzo. Un ricordo che è anche una lezioneper tutti noi operatori di Protezione Civile.

Per concludere, vorrei ricordare comunque il grossolavoro e sacrificio speso dai volontari di Anpas Lom-bardia anche nei campi gestiti da Anpas Nazionalead Acqua Santa e Collebrincioni, anche quiall’aspetto sanitario si è unita la necessità di pensaree provvedere a tutto; voglio ricordare che da AnpasLombardia è stata messa a disposizione la cucina dacampo per Collebrincioni. A volte gli stessi volontariche hanno operato in un campo hanno poi chiestodi poter lavorare anche in altri, insomma volontari a360 gradi che dalla Lombardia hanno si sono spesiin grandi gesti di disponibilità e solidarietà per terrad’Abruzzo.

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Ho conosciuto il mondo radiantistico duranteun’esercitazione di Protezione Civile nel 2007, misono appassionato ed ho cominciato a frequentarela Sezione A.R.I. di Lomazzo. Dopo il corso prepa-ratorio, ho conseguito la patente di operatore esono entrato nel gruppo A.R.I. - R.E.A maggio 2009 ho partecipato a una missione-lam-po di un week-end con altri gruppi di ProtezioneCivile .Ai primi di giugno è arrivata ad Ari-Re Lombardia larichiesta di operatori per la Di.Coma.C. ma io non

ho potuto dare la disponibilità in quanto impegnatocon gli esami di maturità. Per il turno di agosto,però, essendo libero sono partito. Destinazione:Coppito.

La partenza è fissata per il 14 Agosto alle 21:30. Lacolonna è composta dal fuoristrada di Lorenzo conGianpaolo come passeggero, dall’auto di Luigi conil passeggero Maurizio e infine mio padre Enzo edio con la nostra auto.Dopo quasi 12 ore di strada, incluse le soste per

La missione di un radioamatore diciottenne

di Fabio Rusconi

Fabio è un giovanissimo volontario di ARI-Re, l’Associazione Radioamatori Italiani che si occupa diRadiocomunicazioni di Emergenza (RE) nell’ambito della Protezione Civile.ARI-RE è operativa a livello nazionale - come associazione iscritta nell’elenco del Dipartimento Naziona-le della Protezione Civile e come rete alternativa di comunicazioni d’emergenza che collega le 103 Pre-fetture d’Italia con il Ministero degli Interni e la sala radio del Dipartimento nazionale di Protezione Civi-le; a livello regionale/provinciale - come rete alternativa di comunicazioni d’emergenza che collega tuttele sale operative regionali e i COM delle 103 province d’Italia.ARI-Re Lombardia fa parte della Colonna mobile regionale. In questa testimonianza, Fabio racconta la sua missione Abruzzo, durante una settimana vissuta “sulcampo” insieme ai compagni più esperti del gruppo dei volontari lombardi.

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riposare, arriviamo alla Scuola della Guardia diFinanza a Coppito. Diamo il cambio alla squadraFIR-SER e facciamo conoscenza con il personaledella Croce Rossa militare e del Dipartimento Pro-tezione Civile.Il nostro compito è tenere i contatti radio e telefoni-ci con i COM e dare supporto in caso di necessità.Nel pomeriggio arriva anche Stefano da Civitavec-chia e la squadra risulta al completo.

Il nostro lavoro è suddiviso in 3 turni - mattina,pomeriggio/sera e notte - ciascuno dei quali presi-diato da due persone. Il nostro compito in sostanzaconsiste nell’essere a disposizione dei COM e deicampi 24 ore su 24.Durante i miei turni non si presentano emergenzesignificative, a parte due casi “particolari”. Il primosuccede una notte, quando ci viene segnalato daun COM il ferimento con tentata violenza di unadonna da parte di uno straniero - che poi è statoarrestato; un’altra volta, invece, quando si verifical’interruzione dei tubi dell’acquedotto di un campoche ospita 600 persone; anche stavolta il problemaviene risolto rapidamente, grazie all’intervento deiVigili del Fuoco prima, e degli addetti della società

idrica poi.Io e la mia squadra abbiamo la fortuna di averecome compagni di sala radio due membri dellaCroce Rossa militare.

Stefano ed io facciamo amicizia, in particolare, conFranco, un tenente della Croce Rossa militare, pro-fessore universitario e pilota d’aereo civile al qualeci lega, appunto, la comune passione per il volo.

Un giorno apprendiamo che c’è la possibilità difare un giro nella “Zona Rossa” (il centro storicodell’Aquila) accompagnati dai Vigili del Fuoco.Dopo aver chiesto l’autorizzazione al ColonnelloCastiglioni prendiamo le macchine fotografiche eci mettiamo in marcia. La squadra in perlustrazioneè composta da Gianpaolo, Lorenzo, due Vigili delFuoco, un’impiegata della DICOMAC residenteall’Aquila ed io.Lo scenario che ci si presenta è impressionante: unincrocio tra una città bombardata e le scene delfilm “Io sono leggenda”. Le immagini che mi si pre-sentano le avevo già viste in televisione, ma dalvivo... Alcune case da fuori sembrano lesionate inmaniera non grave, ma dentro sono completamen-

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te collassate. L’albergo Duca Degli Abruzzi è com-pletamente crollato. La notte del terremoto, dopo laprima scossa, il Direttore lo ha fatto evacuare. E perfortuna, perché subito dopo l’edificio crollerà com-pletamente sotto i colpi della seconda scossa. Tragli ospiti, ci spiegano i vigili, c’è un’intera scolare-sca in gita.Vediamo una casa i cui pilastri hanno cedutofacendola “scendere” di un piano.Secondo i Vigili del Fuoco la maggior parte dellacase del centro storico dovranno essere abbattute ericostruite ex novo. Le chiese e gli edifici storici,invece saranno messi in sicurezza.

Tornati alla base, i colleghi del Dipartimento cichiedono una mano per spostare del materiale chepoi andrà caricato su un furgone diretto a Roma.Il materiale è davvero tanto: radio e accessori vari,un ponte ripetitore, scatoloni; il furgone è pienofino al tetto! Poi ci viene chiesto anche di svuotarele scatole dei telefonini che il Dipartimento destinaai capi-campo, dividendo i manuali di istruzionedai cavetti e gli auricolari.Alla fine, per sdebitarsi, i ragazzi si offrono di por-tarci fuori a cena, anche se in due turni separati dal

momento che la sala radio deve essere presidiataH24.Trascorriamo una serata molto piacevole: il pasto ècosì abbondante che quasi non riusciamo a finire ilsecondo. Ma la cosa più bella sono i racconti deinostri amici del Dipartimento. Molti di loro hannouna lunga esperienza in Protezione Civile. Ci rac-contano così dei tanti avvenimenti cui avevano par-tecipato, le missioni cui avevano preso parte. E iloro racconti sono così appassionanti che alla fine,persino anche noi comaschi parliamo con quell’in-tercalare tipico romanesco, per l’esattezza: “che telo dico a fà”.

Il 22 Agosto, alla fine del nostro turno settimanale,cominciamo i preparativi per il ritorno: sistemare latenda, fare i bagagli, salutare tutti - ma proprio tutti:dal Colonnello Castiglioni al Professor De Bernar-dinis, passando per i Vigili del Fuoco e l’impiegatadell’ufficio postale della caserma.Montiamo poi sulle macchine e dopo altre 10 oredi viaggio siamo finalmente a casa, consapevoli delfatto che questa esperienza ci ha profondamentesegnato.

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Il 6 aprile 2009 L’Aquila trema, squassata nel pro-fondo. Il 10 aprile la Scuola Superiore di ProtezioneCivile arriva a Monticchio 1, il primo campo dellaRegione Lombardia. In sostanza al campo arrivo io,quale referente scientifico della Scuola. Ma l’Abruzzo è, per la prima volta, un uscire dalleaule per andare a verificare sul posto, in tempo rea-le, dai diretti interessati, le necessità di formazioneutili a rendere sempre migliore la risposta della Pro-tezione Civile. Tutto questo succede quasi per caso:Stefano Maullu, Assessore regionale della Protezio-ne Civile, mi invita a “scendere” e Marco Cesca, ilDirettore Generale, mi offre un passaggio in auto.

Seguiamo di 100 ore l’avanguardia regionale che hagià messo in piedi il campo. Arrivato sul posto, inpoco tempo ci si rende conto di quanto si possaancora fare da Milano. Direi che questo è il primorisultato importante: rendersi conto che una avan-guardia è tale - ed è vincente - perché c’è una retro-guardia che la sostiene in modo coordinato ed effi-ciente. Questo è il rapporto instaurato tra Sala Ope-rativa a Milano ed operatori a Monticchio: il succes-so dell’uno è strettamente legato alla capacità diinterfacciarsi con l’altro.Così è anche per la Scuola Superiore. Chi mi leggemolto probabilmente ha già esperienza di emergen-

La Scuola Superiore di Protezione Civile - IReF all’Aquila

di Marco Lombardi

Marco Lombardi, docente all’Università Cattolica del Sacro di Milano, è referente scientifico della Scuo-la Superiore di Protezione Civile della Regione Lombardia. La Scuola, che dal 2003 è gestita dall’IstitutoRegionale lombardo di Formazione per l’amministrazione pubblica, Iref, nasce per rispondere alla richie-sta di formazione continua dei vari attori del sistema della Protezione Civile: le organizzazioni di volon-tariato, gli amministratori e i tecnici degli enti locali, i professionisti che collaborano alla stesura dei pianidi emergenza comunali ed ai programmi di previsione e prevenzione provinciali.Cosa c’entra un professore come Lombardi in una missione “sul campo” come quella coordinata inAbruzzo dalla Protezione Civile regionale?Lo spiega lui stesso. In questa sua testimonianza.

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ze. E dunque sa che una emergenza è tale soprattut-to perché sorprende, stupisce, rompe le abitudini ele routine che tanta certezza e sicurezza ci danno.Tutti noi siamo dei grandi conservatori e vorremmoil domani fatto quasi perfettamente come lo ieri:ammettiamo giusto quel piccolo cambiamento cheevita la noia. Dunque, combattere l’emergenzasignifica anche ridurre la sorpresa che allunga inostri tempi di reazione, ovvero semplicemente lanecessità di vedere - e riconoscere - le tende blu delcampo, incorporarne la topografia e l’organizzazio-ne, anticiparne i problemi. Questo è tanto piùnecessario quanto meno è il tempo per acclimatarsia Monticchio o Paganica: arrivi oggi e parti fra seigiorni. Se impieghi un giorno per capire dove sei,uno per salutare e passare le consegne… mi capite:il tempo è tiranno! Da qui il primo risultato di que-sta discesa in campo della Scuola: a Milano partonoi TOTS - che sta per “Training On The Spot” - cioèuna formazione all’impronta, reattiva ma meditata,rispondente al bisogno immediato registrato giornodopo giorno. Prendono forma undici incontri che,per undici settimane, coinvolgeranno i turni mon-tanti ai campi. Ogni settimana, poco prima dellapartenza, a tutti i volontari è offerto un corso, brevema intenso, con le immagini e le testimonianze di

chi è appena rientrato dal campo. Si ha così occa-sione di vedere le tende prima di incontrare la gen-te, di discutere prima i problemi che si dovrannoaffrontare poi, essendo così preparati da subito, adaffrontare i problemi ed offrire soluzioni. Questosignifica giocare d’anticipo e ridurre la sorpresa,cioè essere immediatamente operativi.Si tratta di una grande innovazione. Un’innovazioneper la PC nel suo insieme; un’innovazione, in parti-colare, per una struttura istituzionale che ha saputodimostrarsi flessibile, modificando se stessa, peradeguarsi alle nuove esigenze.Ma non finisce qua. Ormai il canale aperto con icampi ha lasciato il segno. Dopo la prima visita,infatti, avevamo lasciato al campo alcune “cono-scenze”: quelle fatte di incontri brevi ma intensiquali solo le emergenze sanno manifestare. Dicostoro le notizie arrivavano a Milano, ogni settima-na nei corsi che curavo direttamente. Col passaredel tempo, però, arrivavano anche i segnali del disa-gio che cresceva. Era ormai passato un mese dal“colpo”. E ditemi se non è vero: durante la prima settimana,dentro le tende blu piazzate l’una vicino all’altra, ilpianto del bimbo che piange due strati di tela lonta-no è il suono della vita sopravvissuta con forza. Ma

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quattro settimane dopo, inevitabilmente quel suo-no diventa un disturbo che impedisce di dormire. Ecosì, tanti altri piccoli segni che stanno a testimo-niare il ritorno alla normalità: quando le vecchieabitudini, fatte di orari propri e gesti personali, cer-cano di riprendere il sopravvento rispetto alle forza-ture dettate dalla emergenza e, per questa, accetta-te da tutti.Il ritorno alla normalità è una inevitabile via di sof-ferenza non solo per quanto si ha perso per sempre,ma anche per quanto cerca di riemerge in un con-testo di esperienza e di relazione molto differentedal precedente. Dunque, la comunità delle tende,fatta di ospiti della Protezione Civile e di residentidell’Abruzzo, chiama: il 9 maggio la Scuola torna aMonticchio. Non sono più solo ma con me un paiodi giovani giornalisti che avviano il primo progettodi informazione e comunicazione dentro a uncampo.Anche questo secondo mio viaggio a Monticchio -adesso 1 e 2 - immerge il professore nella realtà cheama: giro per le discariche con segaccio e martelloalla cintura per costruire con materiali di recuperopiù che dignitose bacheche per la comunicazionenel campo. In quei giorni a Monticchio 1 sorge Info-point, la tenda dedicata alla informazione, contor-

nato da quattro espositori che informavano su quan-to accade dentro e fuori del campo. Nasce l’idea,realizzata poi a Milano, di pubblicare il giornaledella comunità sotto le tende: Tendopolis, quindici-nale uscito in 9 numeri stampato a Milano e distri-buito nei campi della Regione Lombardia dal primogiugno al venti settembre 2009. Questo primo espe-rimento di comunicazione al campo coinvolge, neimesi di realizzazione, una quindicina di giovanigiornalisti dell’Alta Scuola di Comunicazione del-l’Università Cattolica e il personale milanese dellaPC regionale. Anche in questo caso, come per i TOTS, la Scuola hareagito a una esigenza specifica: utilizzare la comu-nicazione per informare, strutturandola in modoordinato per dare notizie utili in una forma che di persé generasse sicurezza, e per promuovere la collabo-razione e ridurre il conflitto nei campi. Si è trattato diuna prima assoluta, che ci ha permesso di mettere ingioco competenze sino ad allora teorizzate sull’usodella comunicazione come strumento di gestionedella vita del campo: un altro tesoro dell’esperienzaabruzzese da portare a regime.A inizio ottobre, mentre scrivo, quella esperienzapuò considerarsi finita, ma non è un ricordo nostal-gico perché si declina operativamente in nuovi corsie nuove procedure che la Scuola Superiore di Prote-zione Civile attiverà già nel 2010. Per tutti coloro che ci sono passati, nel bene e nelmale, uomini e istituzioni, il terremoto d’Abruzzolascerà “dentro” un segno indelebile che si manife-sterà “fuori”, riuscendo ad essere sempre pronti afare del proprio meglio.

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Lunedì 6 Aprile 2009: quando il mio cellulare rice-ve, verso le 5 del mattino, un sms della Sala Opera-tiva Regionale di Protezione Civile che con pocheparole informa dell’avvenuta scossa di terremoto inAbruzzo, non potevo nemmeno immaginare chequalche ora dopo sarei stato in viaggio per quellaregione. Anche perché, il messaggio non descrivela portata dell’evento e non conferma l’esistenza divittime. La giornata inizia quasi come una giornataqualunque, se non fosse stato per le notizie che ini-ziavano ad arrivare in casa mediante i telegiornalidel mattino.

Accellero la colazione e l’uscita per recarmi sulmio posto di lavoro, al S.S.U.Em 118 di Milano,presso l’ospedale Niguarda. Una volta arrivato, rie-sco a raccogliere maggiori informazioni sull’acca-duto. Alle 8 una cosa è chiara: oltre alle abitazioni,il terremoto aveva distrutto anche delle vite umane.Pur non avendo ancora idee chiare su quanto suc-cesso e quindi nemmeno su quanto si dovesse fare,ascoltando il mio istinto, decido di iniziare ad aller-tare i colleghi che, come me, appartengonoall’Unità Speciale Grandi Emergenze. Non volevoinfatti che, in caso di reale bisogno, il S.S.U.Em.

Emergency management

di Cristiano Cozzi

Cristiano Cozzi è Responsabile Operativo dell’Unità Regionale Grandi EmergenzeRegione Lombardia - Sanità, Ospedale Niguarda.La sua missione Abruzzo comincia, con Giovanni Caldiroli e Alessandro Caretti, con lo scouting - il pri-mo step necessario alla pianificazione dell’intervento della Protezione Civile della Lombardia.Il suo è il racconto delle prime ore. Il “prima” del primo campo. Un “prima” che, per uno come lui abi-tuato a soccorsi in tempo reale, è per alcuni versi già un “dopo” . L’intervento sanitario di emergenza nel-le zone terremotate è attivo sin dalle prime ore dopo il sisma. Non è un’attività di soccorso ai feriti che gliviene chiesta, dunque. Il compito di Cristiano in Abruzzo è piuttosto quello di allestire un presidio ospe-daliero capace di affrontare i bisogni sanitari “ordinari” in una realtà che di ordinario non ha più nulla. Questa è la sua storia.

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118 di Milano e l’Azienda Ospedaliera Niguarda sifacessero trovare impreparati. Verso le 8:30, come avoler dimostrare che le peggiori previsioni stavanodiventando realtà, vengo raggiunto dalla telefonatadi un amico, Domenico De Vita. Mi sollecitava araggiungere la Sala Operativa Regionale di Prote-zione Civile perché erano arrivati i primi dati circail grado di distruzione operato dal sisma. Nella Sala Operativa lo scenario abruzzese è abba-stanza ben definito grazie alle informazioni chevengono fatte circolare dal Dipartimento Naziona-le. E allora, velocemente, il grado di sollecitudinecon il quale si raccolgono informazioni e si orga-nizzano sia mezzi sia uomini cresce esponenzial-mente. Intorno alle 10:30 arriva l’ultima conferma dellagravità di quanto successo a L’Aquila: il Diparti-mento Nazionale richiede l’invio della ColonnaMobile Lombarda. I dirigenti presenti però, decido-no di creare anche una squadra di scouting, chepossa partire immediatamente per recarsi nel minortempo possibile nelle zone del sisma, che diventa-no sempre più difficili da raggiungere. La squadra è composta dal sottoscritto, da Giovan-ni Caldiroli, un collega del Servizio di ProtezioneCivile Regionale, e da Alessandro Caretti, un espo-

nente del Servizio di Protezione Civile perAEM/A2A. Gli obiettivi sono due: prendere contatticon le strutture di coordinamento attivate in loco ericercare, mediante ricognizione del territorio, unluogo adeguato alla ricezione della Colonna Mobi-le Regionale. Le cinque ore di viaggio trascorrono velocemente eservono ad ognuno di noi per rivedere le propriecompetenze e priorità, sia individualmente, sia col-legialmente in una proficua discussione, durata,appunto tutto il tempo del trasferimento. Durante iltragitto, continuo a ricevere e a fare telefonate: ave-vo bisogno di notizie sempre aggiornate da L’Aqui-la e, insieme, dovevo accertarmi che, a Milano,l’attivazione della Colonna Mobile avvenisse nelmiglior modo possibile. Tra le tante telefonate fatte e ricevute, una si dimo-stra particolarmente importante: quella intercorsatra me e Rosario, un funzionario del Servizio Sani-tario del Dipartimento di Protezione Civile. Rosariomi informa del fatto che l’ospedale San Salvatoreveniva ormai considerato inagibile e per questo siprocedeva alla sua evacuazione. Questo, per noi,significa prendere consapevolezza che la nostrafutura attività sanitaria non avrebbe potuto contaresulla più importante struttura della Regione. Ma

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significa anche altro: la resa dell’ospedale era laresa della città e, se ancora serviva, era indice dellagravità di quanto accaduto.Arriviamo a L’Aquila poco dopo le 17. Davanti anoi, si impone l’evidenza di tutta la devastazioneprodotta. Il silenzio, il temporale e la sensazione diisolamento incorniciano il nostro ingresso in città.Mentre proseguiamo verso la Caserma della Guar-dia di Finanza di Coppito, possiamo vedere quantepersone lavorano per rimuovere le macerie e cerca-re vite umane che possano essere ancora salvate.Sebbene avessi un compito preciso, cioè raggiun-gere il Centro di Coordinamento dei Soccorsi, sen-to fortissimo il desiderio di partecipare a quelle pri-me, eroiche, estenuanti operazioni di salvataggio.Eppure, non lo faccio perché era necessario rag-giungere i punti di comando e perché sapevo chein un’emergenza di quelle dimensioni risulta fon-damentale rispettare i compiti assegnati. Così arrivo a Coppito dove vedo persone in divisediverse intente a fare però la stessa cosa: organizza-re i soccorsi. Dopo aver presentato le potenzialitàdella Colonna Mobile lombarda veniamo indiriz-zati verso il Centro Operativo Misto 1 (C.O.M.1),per ricevere nel dettaglio la nostra missione. Quan-do entro nel locale che ospita il C.O.M.1, il riposti-

glio buio e freddo di una scuola elementare, nonposso immaginare che avrei trovato Piero e Arman-do, due amici, oltre che due funzionari dell’UfficioEmergenze del Dipartimento di Protezione Civile. Enon posso nemmeno immaginare che con loroavrei lavorato per tutta la durata della mia esperien-za in Abruzzo. La situazione del C.O.M.1 è alquanto precaria.Abbiamo a disposizione solo due radio: una io euna loro. Nelle frenetiche ore successive sarebbestato quello l’unico modo per comunicare tra dinoi. Eppure il calore prodotto da quell’incontro rie-sce a riscaldare l’ambiente. Iniziamo a lavorare. Il gruppo, formato da me, Gio-vanni, Alessandro, Armando e Piero, insieme alVicesindaco dell’Aquila, in qualità di esperto delterritorio, ha una priorità assoluta: cercare un luogoadeguato alla ricezione della Colonna Mobile lom-barda e alla successiva creazione del campo diaccoglienza. Il luogo adatto viene trovato nel par-cheggio del cinema multisala di Monticchio. Men-tre ci rechiamo verso l’area designata, la mia atten-zione viene catturata da un’immagine per me indi-menticabile. Le colline tutto intorno a L’Aquilasono illuminate dai lampeggianti blu dei numero-sissimi mezzi di soccorso distribuiti ovunque.

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E ognuna di quelle luci sembra voler dire: “siamogià qui ad aiutarvi”. Arrivato a Monticchio, di fronte al cancello di quel-la che sarebbe stata l’area del campo della RegioneLombardia, faccio la conoscenza con i veri prota-gonisti di questa vicenda storica: la gente ed il ter-remoto. Nelle macchine ferme nelle vicinanze del“nostro” parcheggio c’erano intere famiglie che,dopo essere scappate dalle loro abitazioni, si eranorifugiate in macchina e avevano considerato, lorocome noi, sicuro quel luogo del paese perché lon-tano da costruzioni e ben illuminato. Poi, intorno alle 23:30, proprio mentre effettuiamodelle misure per l’allestimento del campo, arrivauna scossa di terremoto con una magnitudo dipoco inferiore ai 5 gradi della scala Richter. Unvetro esplode, l’odore di gas si diffonde intorno anoi e davvero a me sembra che il mondo intero stiasobbalzando. Alla scossa segue un silenzio elo-quente: abbiamo appena capito cosa avevano vis-suto quelle persone, abbiamo appena provato laloro stessa paura, abbiamo appena condiviso i loropensieri. Questo, forse, inizia ad avvicinarci a loro.E a riprova di ciò, uno degli sfollati ci regala pane eformaggio. Questo è solo il primo di una serie diregali che ci ha fatto l’Abruzzo.

La giornata però non é ancora finita. Verso l’una delmattino arriva il contingente per la creazione delPosto Medico di Primo Livello che poco dopo è giàoperativo e presta soccorso ai primi pazienti. Insie-me a noi, lavora il personale della Protezione CivileRegionale che si occupa dell’allestimento tende.Alle 8 del mattino di martedì, la cucina da campooffre già le prime colazioni.Durante la giornata di martedì lavoriamo all’allesti-mento del posto Medico Avanzato di SecondoLivello, che può offrire trenta posti letto di cui ottodi Terapia Intensiva, oltre ad un Laboratorio Analisied a una Farmacia completa.Nel mese successivo il nostro campo arriverà adospitare giornalmente circa settecento persone ed ilnostro Posto Medico, nel complesso, effettuerà1500 prestazioni sanitarie. È impossibile raccontare in poche righe le vicende,a volte tragiche a volte serene, che ho vissuto inquegli indimenticabili trenta giorni. Ma forse è pos-sibile descrivere il clima in cui tutto è stato fatto:ognuno di noi ha cercato di mettersi a disposizionedell’Operazione Abruzzo nel miglior modo possibi-le, occupandosi anche di faccende non strettamentecomprese nel proprio mansionario. E per questovorrei arrivasse a tutti i sanitari che hanno collabora-to con me, il mio più sincero ringraziamento per labuona riuscita della missione. Credo davvero che inquesto caso, il sistema di Protezione Civile sia riu-scito a dimostrare la veridicità della Teoria Gestaltsecondo la quale, quando lo scopo è unico, “l’insie-me è superiore alla somma dei singoli”.

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Il 6 Aprile mi trovo in Sri Lanka, per seguire un proget-to dell’Università Cattolica. Quella mattina sono aGalle, presso la sede della Caritas quando un padrecingalese mi dice che era successo un terremoto in Ita-lia, mi legge l’Sms inviatogli dalla BBC: “Ore 3.31,terremoto in Abruzzo, nella zona del capoluogoL’Aquila; al momento i morti accertati sono 20, ma lacifra continua ad aumentare in quanto i volontari diProtezioni Civile e Vigili del Fuoco accorsi da tutta Ita-lia stanno ancora lavorando all’estrazione dei corpi”. Il padre si accerta che L’Aquila non fosse vicino a

Milano e che non avessi parenti da quelle parti. La notizia mi rende molto pensierosa tutto il gior-no: chiedo continui aggiornamenti dall’Italia e,appena mi è possibile, mi metto a guardare il cana-le americano CNN, l’unico disponibile su satellite.Ricordo le immagini di distruzione, dagli edificialle macchine, ma quello che mi colpisce maggior-mente è la disperazione delle persone, i loro piantidi dolore, le grida contro i giornalisti: mi appaionocome espressioni di rabbia contro il mondo intero.Vedo i vigili del fuoco, insieme alle altre associa-

Le case dei bimbi

di Francesca Giordano

Francesca, psicologa dell’infanzia, dottoranda in Psicologia del trauma infantile, ha coordinato l’area creativo-espressiva del progetto “L’Università Cattolica per i minori dell’Abruzzo” nei campi di Regione Lombardia.La sua missione comincia pochi giorni dopo il sisma. E va avanti, pressoché senza interruzioni, sino allachiusura dei campi lombardi. Ha una grande responsabilità, Francesca: supportare i bambini nel proces-so di elaborazione dell'esperienza traumatica vissuta, facendo loro ritrovare la normalità, in un contestonuovo e per certi versi avventuroso, quale quello della tendopoli.Senza una solida formazione accademica, quel lavoro non avrebbe potuto esser portato a compimento.Ma senza la dedizione, la passione, la spontanea umanità che Francesca ha investito nel “progetto”, ibimbi dei campi e le loro famiglie non avrebbero potuto vivere quei momenti straordinari che hannocadenzato l’attività dei volontari della Cattolica. In questa testimonianza Francesca si concentra, in parti-colare, su uno di quei momenti: la “settimana della casa”.

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zioni, lavorare senza sosta all’estrazione dei corpidavanti agli occhi della popolazione speranzosa diritrovare i propri cari ancora in vita. Dentro di me penso che avremmo dovuto agireanche noi come Università Cattolica con il modellodi intervento consolidato in contesti di emergenzanazionali e internazionali. Era strano pensare chemi trovavo oltreoceano per un progetto, quandol’emergenza era accaduta proprio in Italia. Mandoun Sms alla mia tutor di dottorato, prof. CristinaCastelli, scrivendole: “Prof, ho sentito del terremotoin Abruzzo. Progetto?”. Lei risponde: “Oggi ho unmeeting per definire accordi. Appena torni faccia-mo una riunione e ne parliamo”. Torno a Milano il lunedì successivo. Mercoledì sonoin Università per la riunione preannunciata. La Prof.Castelli ci aggiorna sui contatti presi con ProtezioneCivile di Regione Lombardia e ci invita a stendere ilpiù velocemente possibile un progetto sulla prima fasedi analisi dei bisogni. Decido di prendermi in carico ilprogetto, candidandomi come coordinatrice, anchese fatico ancora a figurarmi cosa questo avrebbe com-portato. È così che, dopo aver partecipato ad unincontro organizzato da Regione Lombardia per infor-mare i volontari in partenza sulla situazione ai campi,il pomeriggio di sabato parto con un gruppo di Prote-

zione Civile del Parco del Ticino. Resto al campo unasettimana, parlo con la popolazione, con gli insegnan-ti, con i genitori e i bambini, riuscendo così a farmi unquadro complessivo dei bisogni emergenti. Ritornatain Università, stendo il progetto. L’intervento partirà i primi di maggio e andrà avantifino alla chiusura del campo, nel mese di settembre.Durante il primo periodo, l’attività consiste nel sup-porto alle insegnanti durante la scuola di campo e nel-la gestione dello spazio ludoteca. Questa prima fase siconclude con uno spettacolo “Quattro passi ‘pè le viee Munticch’ de na vote e de voje” (in dialetto montic-chiese significa: “Quattro passi per le vie di Montic-chio di una volta e di oggi”). Organizzato dagli inse-gnanti, con il nostro supporto, la recita mette in scenastorielle, canzoni e tradizioni di L’Aquila e, in partico-lare, di Monticchio. Il messaggio che abbiamo volutolanciare era che la cultura e le tradizioni non eranostate distrutte tra le macerie delle case, ma restavanovive nei cuori e nelle menti dei membri della comuni-tà. Lo spettacolo, risvegliando un vivido senso diappartenenza alla cultura, ha regalato ai bambini -attori protagonisti - e agli spettatori, tra cui i genitori emolti anziani, entusiasmo e grande partecipazione.Durante l’estate organizziamo un campo estivo “R-Estate insieme”, suddiviso a settimane, ciascuna delle

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quali con una tematica preminente. I temi sono sceltisecondo un percorso preciso: si parte con i temi dellequattro stagioni e dei quattro elementi, per favorireuna ripresa di contatto, e quindi di fiducia, con lanatura che nella notte del terremoto è parsa loro tantomaligna quanto incomprensibile. A questo proposito,la Regione Lombardia ha offerto ai bambini un’escur-sione di 4 giorni al Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazioe Molise, dove i bambini hanno potuto fare esperien-za delle bellezze naturalistiche, superando così la pre-ponderante connotazione distruttrice della natura,derivante dall’esperienza del terremoto. Nelle settima-ne successive vengono trattate le tematiche delle emo-zioni, della casa e della famiglia: tre aspetti della vitadei bambini che il terremoto ha profondamente colpi-to e messo a dura prova. Le ultime settimane sonodedicate alle storie personali dei bambini e, in partico-lare, ai loro “ricordi e sogni”, dolorosi e felici e, infine,ai loro “desideri e futuro”, favorendo così il processodi transizione dal campo, proprio della fase di post-emergenza, alle nuove sistemazioni, indici di unaripresa di normalità. La settimana della casa viene vissuta dai bambini congrande partecipazione ed entusiasmo. Già in prece-denza alcuni bimbi avevano manifestato il loro inte-resse rispetto alla tematica, costruendo di loro sponta-

nea iniziativa delle casette con materiale di scartoreperito al campo. In particolare, nel campo di Pagani-ca, i bambini erano soliti, in piccoli gruppi, recuperaredel materiale, come bancali, passerelle, tappeti e telo-ni e costruire “le loro casette”, dentro cui custodivanodegli oggetti personali. Si instaurava così la discussio-ne su chi fosse il capo della casa, ruolo molto ambitoda tutti. Queste casette venivano poi distrutte da lorostessi “per ricostruirne una più bella”, come spiegava-no i bambini. Le attività creativo-espressive della settimana dellacasa hanno avuto inizio con il laboratorio del disegno,in cui veniva chiesto ai bambini di disegnare una casaa loro scelta. Chi disegnava la vecchia casa, chi la casadel paese d’origine – la Macedonia per una gran partedi loro - chi la casetta di legno dove avrebbe volutoabitare, o che era in fase di costruzione. Una bambinaha disegnato un castello delle fiabe, l’unica tipologiadi casa a non assumere per lei connotati minacciosi.La sua esperienza del terremoto era stata fortementetraumatica, in quanto era rimasta sepolta sotto lemacerie della propria abitazione e non voleva in nes-sun modo tornare a vivere in una casa, ma affermavadi volere restare al campo per sempre. La seconda parte della settimana è stata dedicata allacostruzione di un plastico della Monticchio (o della

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Paganica) del futuro. Ciascun bambino ha costruito,con dei pacchetti di sigarette rivestiti e con la parteondulata del cartone, la propria casetta, colorandola edecorandola a suo piacimento. Giardini, fiori, stecca-ti, tendine e griglie per arrosticini, a seconda della fan-tasia dei bambini, abbellivano queste casette. Su ognicasa era presente un cartello con il nome del bambi-no. Successivamente ogni “proprietario” decidevadove collocare la propria casetta all’interno del plasti-co, che presentava già due punti di riferimento delpaese: la piazza principale con la chiesa e il parco.Creare, pitturare e decorare la propria casetta e inserir-la nel plastico, ha favorito l’adozione da parte deibambini di un approccio attivo e costruttivo e, allostesso tempo, ha stimolato la proiezione di sé stessinel futuro. Il risultato è stato per loro di grande soddi-sfazione: i bambini stessi hanno infatti voluto chiama-re i loro genitori perché vedessero il loro operato. Contemporaneamente alle attività, la squadra di Pro-tezione Civile di San Fermo della Battaglia ha costruitouna casetta con la legna donata da diverse squadre diVigili del Fuoco. L’obiettivo era creare un luogo di inti-mità e di contenimento per i laboratori creativo-espressivi, all’interno dell’area verde, una zona delcampo che i bambini percepivano come “loro”. C’èstata una grande partecipazione da parte di tutti alla

costruzione della casetta e la serata d’inaugurazione,tanto attesa, con il taglio del nastro, è stata per loromolto emozionante. Per l’occasione i bambini aveva-no dipinto la casetta ed avevano aiutato nell’allesti-mento di decorazioni e festoni. Sono stati inoltreappesi alle pareti i disegni delle case fatti da loro adinizio settimana ed esposto il loro plastico. La funzione contenitiva della casetta è stata piena-mente percepita dai bambini, che hanno infatti sceltodi chiamarla Rifugio Unicatt. Dopo la sua costruzio-ne, hanno voluto che ogni attività del campo estivo sisvolgesse lì dentro: canzoni in gruppo, musiche, dise-gni, attività manuali. Era come se quelle assi di legnodessero loro un senso di protezione e, contempora-neamente, di unità e compattezza del gruppo. Unamamma un giorno mi ha raccontato che suo figlio eraentrato nella tenda esclamando: “Mamma, vieni avedere la nostra nuova casa!”. In un contesto comequello dell’area di accoglienza, dove i luoghi sono perlo più condivisi con altre persone, dalle tende allog-gio, alla mensa, ai bagni, è stato importante per i bam-bini sentire di avere uno spazio proprio, dove poteraffrontare argomenti complessi e a volte dolorosi, inuna cornice rassicurante e portatrice di significato,come quella del laboratorio creativo-espressivo.

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È la sera del 15 aprile 2009: ci troviamo tutti nellasede dell’Associazione per il passaggio delle con-segne e per raccogliere le voci di chi, nei campi, ciè già stato, fin dal giorno del sisma. Si deve decide-re la composizione della nuova squadra che dovràpartire di lì a 3 giorni. Ognuno consulta frenetica-mente l’agenda di lavoro ed infine si decide diandare in 5: 4 psicologici e un’educatrice.

È fondamentale la scelta di coloro che si troveranno acondividere questa esperienza, particolarmenteintensa e difficile dal punto di vista emotivo. Sentia-mo di aver voglia di partire ma, nello stesso tempo, cichiediamo se riusciremo ad affrontare tutto il dolore,la confusione e il disorientamento delle persone col-pite dal terremoto. Con gli occhi osserviamo i voltiattorno a noi e, senza parole, ci scegliamo: è un pro-

Psicologi per i Popoli

Questa la testimonianza della squadra intervenuta a Monticchio Garden dal 18 al 26 Aprile 2009:Edgar Alhadeff, psicoterapeuta ASL MilanoMaria Cristina Danielli, psicoterapeuta ASL MilanoMaria Angela Quarti, psicoterapeuta ASL MilanoEmilia Ropa, educatrice coop. COMIN, MilanoElisa Stucchi, psicologa e psicoterapeuta in formazione.Psicologi per i Popoli Milano è un’organizzazione di volontariato, facente parte della Federazione Nazio-nale Psicologi per i Popoli, è accreditata dalla Protezione Civile nazionale per gli interventi psicosocialiin emergenza a favore delle vittime dirette e indirette, della comunità colpita, dei soccorritori e delleorganizzazioni impegnate nell’organizzazione e nella gestione della risposta all’evento.

“Dà parole al dolore:il dolore che non parlasussurra al cuore greve

e gli comanda di spezzarsi”Shakespeare, Macbeth, atto IV, scena 3,1

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cesso di rispecchiamento che ci permette di decidere;sappiamo che, per lavorare senza essere anche noispezzettati e traumatizzati, dobbiamo costruire unasquadra che permetta di “sostenerci nel sostenere”,nel “curarci intanto che curiamo”. Non è un caso chein 3 ci conosciamo già, facciamo parte del gruppodelle emergenze della ASL e abbiamo avuto occa-sione di lavorare insieme. Ciò che ha permesso a tuttie 5 di consolidare il nostro rapporto sono state le gior-nate di esercitazione con la Protezione Civile a Mar-co di Rovereto: non solo possiamo fidarci l’uno del-l’altro, ma abbiamo anche una modalità di affrontarele emergenze che tende a sdrammatizzare, a nonperdere il contatto con gli aspetti vitali.

Sabato 18, carichi di libri e riviste scientifiche, comecoperte di Linus che ci scaldano e ci rassicurano,oltre che divise recuperate la sera precedente, final-mente partiamo. Durante il viaggio, si alternanomomenti di chiacchiere, silenzio e progettazionedell’intervento rispetto alle consegne che abbiamoavuto. La comunicazione non verbale tra di noi èrapida e veloce, la sintonia del gruppo si palesa già ametà viaggio e prima di arrivare decidiamo di fermar-ci, come se ognuno di noi sentisse la necessità divivere il proprio baricentro spazio temporale ed emo-

tivo, individuale e gruppale. Per 10 minuti non è più iltempo delle chiacchiere e dei progetti: improvvisa-mente e silenziosamente ognuno entra in contattocon le parti di sé che lo hanno portato lì, in quelmomento, a fare quell’esperienza, il vento, il silenzioe l’attesa, poi per tutta la settimana non ci sarannoaltri momenti vuoti di rumori, suoni e voci.Si giunge, finalmente, dopo tanta strada, all’ingressodel campo dove si vede subito una moltitudine dipersone in un andirivieni incessante e numerosedivise delle diverse organizzazioni di volontariato.Cerchiamo subito la nostra tenda e quella delle attivi-tà psicologiche, un punto da cui partire, una basesicura; immediatamente comprendiamo che la divisanon è solo obbligatoria ma necessaria al nostro inter-vento, non solo per gli altri ma anche per noi.

Troviamo ben presto il Capo Campo, Cinzio Merza-gora: questo atto dovuto alla prassi delle emergenzeè nello stesso tempo un momento fondante dellanostra attività; lui riconosce subito il nostro ruolo eci comunica immediatamente l’ora della riunioneserale di briefing. Questo capo campo ci fa sentireall’istante la presenza di un padre amorevolmenteautorevole, che con un grande sorriso e poche paro-le riesce a presentificare il clima emotivo del

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momento e tutte le cose da fare.La presenza sul campo dei colleghi del turno prece-dente, in partenza la mattina successiva, ci permettedi permanere per qualche ora in quell’area transazio-nale fondamentale per confrontare le nostre aspettati-ve fantasmatiche con la realtà del campo e per valu-tare i bisogni dei cittadini (vita nella tendopoli narratae vita nella tendopoli vissuta).Ora a distanza di tempo, se dovessimo riassumerele cose fatte, ci viene in mente un elenco di inter-venti psicosociali, di emozioni, di volti, di flash,ma, forse, tutto quello che ha legato ogni singoloatto clinico è stato un dare ordine al disordine,ridurre il caos traumatico, utilizzando la mentegruppale come luogo psichico di orientamentospazio temporale ed emotivo. (Mente gruppale arti-colata a vari livelli e costituita da tutto il sistema diintervento della Protezione Civile).Che cosa ci ha colpito dei cittadini di Monticchio? Glisguardi che guardano ma non vedono, di chi ha sem-pre nella voce un certo tremore, delle lacrime chespuntano ad ogni parola; il bisogno di vicinanza fisicaper ridefinire i propri confini, modalità impellente eprimaria di riappropriarsi del nucleo vitale dell’esi-stenza. Il racconto ripetuto delle paure, dei dolori, deitraumi, anche precedenti al terremoto, visti e restituiti

dai nostri sguardi e dalle nostre parole, permette alleemozioni di emergere legittimandole. È cosi che sisnoda e si riannoda il filo narrativo autobiografico,sepolto dalle macerie del terremoto; si ritrovano lecapacità, la forza, la determinazione e la fiducia nelpensare ad un futuro possibile e realizzabile.Ricordiamo con emozione ogni storia raccontata eogni evento a cui abbiamo assistito.

Angela(*), la maestra della scuola materna di campo,che nell’organizzare con noi la “tenda scuola”, haritrovato, negli scatoloni recuperati e portati al campodalla Protezione Civile, i giochi dei bambini dellascuola materna in cui lavorava, ormai sepolta dallemacerie. Un pianto di dolore incontenibile, la vergo-gna di manifestare la sofferenza, il pudore e il biso-gno di condividerla e di viverla attraverso lo sguardodell’altro. Ma ecco che, accanto a questo dolore,emerge anche la gioia di ritrovare un ricordo cheappartiene ormai al passato ma che è tutt’oggi pre-sente e le permette di proiettarsi nel futuro e di ritor-nare in contatto con gli aspetti vitali del proprio ruoloprofessionale.Vincenzo, 70 anni portati con dignità, che non si ras-segna a dover chiedere, ad avere bisogno dell’aiuto dichi non ha perso tutte le proprie cose, fa finta di non

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aver necessità di niente, si lamenta di chi sembrachiedere troppo, ma è sempre vicino a noi e parteci-pa ad ogni gruppo.Adele, che conosciamo già poche ore dopo il nostroarrivo, verso mezzanotte, pallida, spaventata, avvoltain una coperta, ha affidato la figlia in tenda ad unavicina, si avvicina, timida e timorosa, per raccontareche ha deciso di ritornare al campo, dopo alcuni gior-ni trascorsi in un albergo sulla costa, perché non tol-lerava la lontananza dai parenti in questo momento didifficoltà. Cerca con il nostro aiuto di superare il sensodi colpa per aver lasciato la sua terra, per essere statalontana da chi, come lei, sta cercando di affrontare iltrauma del terremoto. Come tanti altri si vergogna e hatimore nel dover chiedere vestiti ed oggetti per la vitaquotidiana: subito si offre per rendersi utile all’internodel campo e, dopo qualche giorno, la vediamo parte-cipare attivamente alle iniziative della tendopoli.

Il sentimento di colpa insieme al dolore della perditasembrano essere una delle condizioni psichichemaggiormente presenti al campo. È così anche perFranco, paralizzato dal “crimine” di avere ancora unlavoro, mentre quasi tutti lo hanno perso. Sarannonecessari più colloqui per aiutarlo ad accettare cheforse è stato più fortunato di altri, che può mantenere

un ruolo professionale e che può e deve riprendere lasua attività lavorativa.Accanto a coloro che chiedono direttamente il nostroaiuto, ci sono tanti che sembrano avere bisogno diosservarci, di osservare come altri condividono connoi il loro e anche il “nostro” dolore, di tenere adistanza la propria sofferenza, di attivarsi per distan-ziarsi da emozioni troppo dolorose. Giustamenteognuno ha un proprio tempo per affidarsi e fidarsi.Luciano, adolescente simpatico e socievole, già daiprimi momenti attivo all’interno del campo, scherza eride con tutti. Dopo alcuni giorni dal nostro arrivo, sipresenta spaventatissimo e balbettante, per il riattivar-si di flash traumatici relativi al terremoto, stupito dallasintomatologia psicosomatica post-traumatica, sco-pre con noi la normalità di tali sintomi ed emozioni esi rende contro che non sono la manifestazione diuna debolezza psichica. Piange e si commuove pertale scoperta che lo libera dalla necessità di mettersila solita maschera.

Giulia si presenta all’accettazione del campo, appareturbata e subito dirompe in un pianto di disperazio-ne. Una storia familiare contrassegnata da conflittua-lità, da reciproche rivendicazioni e incomprensionitra madre e figlia, esasperata dalle difficoltà di vita

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quotidiana che il terremoto ha determinato. A volte,in una situazione di grave calamità, per poter pensareagli altri, bisogna prima aver pensato a se stessi, esser-si presi cura di sé. Il giorno seguente Giulia inizia aprestare servizio volontario nelle cucine del campo,ritrovando una propria dimensione: traspare dai suoiocchi la gioia di questa conquista, la soddisfazione difare qualcosa di utile per sé e di contribuire allagestione del campo.Nella tendopoli si osserva la ripresa dei riti e dellenormali attività quotidiane, anche se è una quotidia-nità un po’ speciale. I bambini vanno a scuola rego-larmente da più di una settimana, i genitori aspettano,con qualunque tempo, i figli davanti alla tenda scuo-la, si raggruppano e parlano tra loro come tutti i geni-tori del mondo. Quando i bambini sciamano fuori, igenitori li abbracciano, li sgridano, chiedono allemaestre e agli psicologi se ci sono stati dei problemi,qualcuno ne approfitta per parlare delle proprie pau-re e di quelle dei figli.A metà settimana decidiamo, insieme ad alcuni citta-dini del campo, adulti e adolescenti, di aprire unospazio di aggregazione al caldo e al coperto, vista lapioggia costante, con l’obiettivo di favorire la creazio-ne di un tessuto sociale maggiormente simile a quelloche il terremoto ha distrutto. Inoltre aiutiamo la popo-

lazione del campo ad organizzarsi per cogestire,insieme alla Protezione Civile, la tendopoli–paese diMonticchio.Il lavoro al campo sembra non finire mai: c’è semprechi chiede, chi si avvicina per un consiglio o perrimostranze sui disservizi della vita di campo; lenostre tute della Protezione Civile ci rendono benidentificabili, lasciandoci ben pochi attimi di riposo.Tutto il giorno le emozioni di dolore, di perdita, di lut-to, di disperazione … in sostanza il trauma degli altridiventa anche il nostro ed è qui che la dimensionedel gruppo di lavoro si rivela fondamentale: il soste-gno, la vicinanza, la complicità, la fiducia, la passio-ne per il nostro lavoro e la capacità di trovare degliattimi di gioia forniscono quel nutrimento essenzialee quel contenitore psichico che ci permette di ricon-fermare la nostra interezza e la nostra vitalità.A volte basta uno sguardo tra noi, non solo per divi-derci il lavoro e per capire le priorità, ma anche percontinuare a condividere gli obiettivi dell’interven-to con tutte le squadre di volontariato presenti nelcampo.

Alla fine della settimana, lasciamo la tendopoli arric-chiti da tutte le relazioni vissute sia con i cittadini diMonticchio, sia con gli altri volontari. Commossi ericonoscenti per aver sperimentato che la forza vitaledell’uomo non può essere annientata neppure datraumi così importanti, solo se la condivisione, lavicinanza e l’empatia restano le fondamenta di ognirapporto umano e professionale.

(*) I nomi dei cittadini della tendopoli di MonticchioGarden sono stati modificati per tutelarne la privacy

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Questa volta non è un’esercitazione. Questa voltal’emergenza è reale. Questa volta si tratta di met-tere in pratica le procedure, le azioni di interventoapprese, provate e ri-provate così tante voltedurante le esercitazioni. In Abruzzo si sta consu-mando un dramma. Un’emergenza di proporzionicosì enormi da imporre a noi uomini e donne diProtezione Civile il ricorso a tutto il sangue fred-do, la lucidità, il controllo, la capacità di tenutaed organizzazione che abbiamo sempre saputoessere gli “asset” essenziali al buon esito di unamissione.L’allerta arriva alle 3,50. Meno di due ore dopo, mi

ritrovo insieme al personale ed ai volontari delgruppo comunale nella sede di via Barzaghi. È la Regione Lombardia a coordinare gli aiuti inpartenza con la prima Colonna mobile. Su richie-sta della Regione, il Comune di Milano mette adisposizione la sua logistica pesante, i mezzi e leattrezzature necessarie per garantire soccorsi - untetto ad almeno 400 persone. Vengono subito allertate le diverse strutture opera-tive comunali di Protezione Civile: il Nuir (Nucleodi Intervento Rapido), l’Atm (l’Azienda TrasportiMilanesi) e Milano Ristorazione. Le operazioni dicarico dei mezzi e dei materiali proseguono fino al

Milano per l’Abruzzo

di Leonardo Cerri

Leonardo Cerri è Responsabile della Direzione specialistica di Protezione Civile del Comune di Milano.Con il suo gruppo partecipa alla Missione Abruzzo sin dall’inizio, su richiesta e sotto il coordinamentodella Regione. Con la colonna regionale, Cerri arriva a Monticchio la notte tra il 6 e 7 aprile. Da lì, lacolonna milanese viene subito destinata all’area delle “Rocche” con il compito di allestire e gestire icampi di Rocca di Mezzo e delle tre frazioni di Fonte Avignone, Rovere e Terranera.Alla fine di maggio, su richiesta del C.O.M. 4, da cui dipendono i campi delle Rocche, il gruppo milane-se di Protezione Civile assume anche la responsabilità delle Funzioni F6 e F7 (Trasporti, Materiali e Mez-zi e Servizi Essenziali).In questa nota, Cerri ricostruisce le tappe della “sua” missione.

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pomeriggio. Montiamo, tra l’altro, una cucina dacampo, inaugurata appena un paio di mesi prima ècapace di sfornare circa 1800 pasti all’ora, e poi:gruppi elettrogeni, due torri faro, una cisterna per ilgasolio, due tende pneumatiche utilizzabili comemensa o per le attività di socializzazione e 35 ten-de per il pernottamento. E poi ancora tavoli e pan-che per più di 500 persone, ed altrettanti posti letto,completi di brande e sacchi a pelo, illuminazione eriscaldamento. Ed infine, le derrate alimentari (alunga conservazione), l’acqua e tutto il necessarioper un intervento di prima emergenza.

La Colonna comunale con i mezzi di soccorso apieno carico è composta da 2 autotreni, 3 camiondi supporto, 3 camion del Nuir, 5 pick up di cuiuno con cisterna gasolio e 2 con traino torri faro, 1pullman Atm per il trasporto dei volontari e 1 vet-tura capo colonna. Con me partono 8 dipendenti e 33 volontari delgruppo comunale, 12 cuochi, 3 autisti del Nuir e 3dell’Atm. Una parte di loro rimarrà in Abruzzoininterrottamente per un mese intero. Solo in unaseconda fase, infatti, inizieranno le turnazioni, cia-scuna di due settimane, che progressivamentevedranno alternarsi volontari e personale della

Direzione Specialistica Protezione Civile. La prima meta della Colonna è Monticchio, l’areaassegnata dal COM 1 alla Regione Lombardia, edè li che, una volta arrivati, riceviamo notizia delladestinazione: a noi del Comune di Milano è affida-ta l’area delle Rocche dove dobbiamo allestire egestire i campi di Rocca di Mezzo, Fonte Avigno-ne, Rovere e Terranera per un totale di 900 personeda assistere.

Prima di partire, scarichiamo e montiamo le 35tende al Garden, l’area destinata al campo dellaRegione, Monticchio 1. Ripartiamo subito dopo,per raggiungere la nostra destinazione. Ma la stra-da principale è interrotta. Siamo costretti a seguireun tragitto più lungo e tortuoso. Giunti alle Rocchetroviamo già 18 volontari della Provincia di Pado-va e 20 della Croce Rossa Italiana: con loro si col-laborerà per tutta l’emergenza, instaurando un rap-porto di reciproca fiducia e stima. L’area destinata all’allestimento del campo è ilpiazzale antistante la palestra di Rocca di Mezzo.Sono già state montate 5 tende. Un numero infini-tamente inferiore alle necessità. La gente è raccol-ta lì intorno. È disorientata. Il primo contatto conla popolazione è un momento emotivamente diffi-

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cile, anche per noi. La paura sui volti di quelle per-sone, il loro smarrimento ci motivano al di là del-l’impossibile.Non avvertiamo la fatica, non ci lasciamo intimidi-re dalla dimensione dell’emergenza. Ci mettiamosubito a lavoro per dare agli sfollati un riparo ed unristoro il più rapidamente possibile.

A Rocca di Mezzo, come nelle sue tre frazioni,non ci sono stati morti e gli edifici per lo più nonhanno subito danni ingenti, almeno all’apparenza.I rocchigiani si mostrano da subito di tempra forte.Mentre noi scarichiamo i materiali e montiamo letende, loro cercano di dare una mano ai volontari.Ed è anche grazie alla loro collaborazione che giàa sera 148 sfollati troveranno riparo nelle prime 18tende che siamo riusciti ad allestire, mentre i 40anziani del paese vengono alloggiati in una partedella grande palestra, un edificio sicuro costruitoin legno lamellare ed arcate metalliche, che nonha riportato danni. Per tutti gli altri, volontari intesta, non resta che ripararsi nelle macchine e neimezzi di soccorso.

II mattino seguente, di buon ora, siamo già al lavo-ro: montiamo le altre tende, la cucina da campo e

la mensa - che realizziamo in uno dei tendonipneumatici a sei archi e che arrediamo con i tavo-li, le panche ed ovviamente un impianto di riscal-damento adeguato.

La prima settimana è molto dura: il campo ospitaormai circa 850 persone ma mancano ancora ledocce ed i bagni sono solo quattro, due per gliuomini, due per le donne.E poi fa molto freddo: la notte la temperatura scen-de a meno 5: del resto Rocca di Mezzo si trova a1.325 metri di altezza. Giorno dopo giorno, però, il “villaggio” crescerà,si farà più attrezzato ed accogliente sino a meritarele “5 stelle” della michelin delle tendopoli!

Stelle a parte, il campo ormai funziona a pienoregime. Per questo, ne affido la gestione ad un tecnico della Direzione Specialistica, RenzoZanutto, che successivamente si avvicenderà conMauro Pedrazzi, e rientro a Milano. È necessario,infatti, seguire il coordinamento dalla “base”, dallanostra centrale operativa. Si tratta di reperire e smi-stare le risorse, organizzare uomini e mezzi, piani-ficare, in sinergia con la Regione, le attività dellamissione.

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Grazie ad un sistema di comunicazione innovativoadottato dal Comune di Milano per la prima voltain un teatro reale di emergenza, siamo in grado dicoordinarci in tempo reale con il Com, i campi, lestrutture di soccorso e le centrali operative. Si tratta di un sofisticato software di Crm (Customerrelationship management) che ci permette sin dal-le prime ore di adattare la piattaforma di comuni-cazione multi canale alle esigenze legate al sismae in particolare alla gestione dei campi e dellecomunicazioni con il COM 4. È stato configuratoin appena un paio d’ore, direttamente sul luogo.Da subito, quindi, abbiamo potuto mettere in rete,utilizzando semplici collegamenti internet, i pal-mari, i telefonini e i computer sia degli operatorisia dei cittadini di Rocca di Mezzo e delle altre trefrazioni.

In questo modo abbiamo potuto ricostruire il com-plesso tessuto relazionale tra le forze di ProtezioneCivile, le amministrazioni locali e centrali, gli sfol-lati e le Forze dell’Ordine. Sul sito internet delComune di Rocca di Mezzo, inoltre, è stata riser-vata un’area per la registrazione ed il censimentodi tutta la popolazione, creando cosi una nuova edattendibile “anagrafica” delle tendopoli.

La piattaforma ha permesso quindi di avere sempreaggiornamenti in tempo reale, con le informazionicaricate dalle varie fonti operative - i campi, iCOM…Da Milano, quindi, si è in grado da subito di acqui-sire e visualizzare, quotidianamente i report, lefotografie e inviare sms predisposti dal responsabi-le delle tendopoli.

Il 30 maggio, il C.O.M. 4, da cui dipendono i cam-pi delle Rocche, affida a Milano la responsabilitàdelle Funzioni F6 e F7 (Trasporti, Materiali e Mezzie Servizi Essenziali). "In considerazione del fonda-mentale contributo dato dalla Direzione Speciali-stica che fino ad oggi ha operato sul territorio delCentro operativo misto 4 nel comune di Rocca diMezzo, e tenuto conto delle capacità professionalied organizzative dimostrate dal personale che hagarantito la gestione del campo di accoglienza..":cosi recita la nota redatta dal responsabile delC.O.M. per motivare l’assegnazione a Milano delnuovo compito. Un compito tutt’altro che facile. Il COM 4, infatti,ha la responsabilità di 21 campi di accoglienza,che ospitano circa 4.200 sfollati, e coordina l’atti-vità di circa 400 volontari di Protezione Civile e di

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necessario fare un bilancio, trarre insegnamentodagli errori e valorizzare gli aspetti che si sonodimostrati più virtuosi - e tra questi, senz’altro lerisorse umane, volontarie e non.Ma non dobbiamo adagiarci. Non è nel nostro spi-rito e nel nostro stile. Non è nello spirito della Pro-tezione Civile e non è nello spirito dei milanesi.

60 Vigili del Fuoco. Assumere le Funzioni 6 e 7 perMilano è una grande sfida. Una sfida che, graziealla competenza dei nostri operatori, la sinergiacon il COM e la dedizione dei nostri volontari, ilComune di Milano riuscirà ad onorare al meglio.

Il nostro impegno, però, non si esaurisce con lagestione dei campi. Per circa due settimane, infatti,trenta volontari del gruppo comunale di Protezio-ne Civile hanno supportato, in squadre da quattro,i tecnici dei Vigili del Fuoco per la messa in sicu-rezza degli edifici storici. Abbiamo operato nellecittadine di Rocca di Mezzo, Rovere e Terranera,aiutando a puntellare volte, bifore o trifore, a “cin-turare” parti di facciate o campanili pericolanti e arecuperare campane o statue votive.

Per molti di noi, contribuire a salvare l’enormepatrimonio architettonico ed artistico di quei luo-ghi ha significato un po’ contribuire alla loro rina-scita. Il Sistema di Protezione Civile della Lombar-dia ha compiuto una missione complessa, impe-gnativa che, spesso, è andata aldilà della semplicegestione dell’emergenza. È stata una prova sulla quale tutti noi, operatori evolontari, saremo chiamati ad interrogarci. Sarà

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Sabato 3 ottobre 2009, Monticchio 2 chiudeAi primi di settembre ricevo da Regione Lombardiae Provincia di Milano la richiesta di collaborareall’organizzazione logistica dello smontaggio del-l’area di accoglienza che, per noi volontari dellaProvincia, è “il” campo. Monticchio 2, da cui sono andato e venuto più vol-te., è il campo che ho contribuito ad allestire, gesti-re e far vivere in questi lunghi mesi sin dalla primapartenza della colonna mobile. Da allora, si sonoavvicendate 35 colonne mobili e hanno operato -solo lì - più di seicento volontari. L’atmosfera peròoggi è ben diversa da quella dei primi giorni.In quei mesi, infatti, il campo è diventato una verae propria comunità, dove ricostruire metaforica-mente - e non solo - la quotidianità così brusca-

mente interrotta.All’approssimarsi della chiusura del campo, tutta-via, i sentimenti tra gli sfollati non sono più gli stes-si: predominano il senso di attesa e di paura, unapaura sottile ma angosciante. Gli ospiti del campo, uomini e donne, si attardanovolentieri con me a spiegarmi da cosa nascanoqueste loro paure: è l’attesa per la prossima desti-nazione!Già, quale sarà la destinazione futura di ognuno diloro? Lontano dal paese? Lontano dalle persone edalle attività di questa piccola comunità che viveancora dei rapporti e delle relazioni quotidiane, ras-sicuranti e familiari che qui sono il collante del-l’identità della popolazione? Mi raccontano dellapaura di perdere il “nucleo sociale” di Monticchio,

Dall’emergenza una lezione per il futuro

di Dario Pasini

Dario Pasini è Presidente del Comitato di Coordinamento delle Organizzazioni di Volontariato di Prote-zione Civile della Provincia di Milano - CCV-MI.Monticchio 2 è il campo che insieme ai suoi volontari ha contribuito a creare ed accompagnare alla“vita”. A Monticchio 2, Dario è tornato più volte. L’ultima all’inizio di ottobre, con una missione chiara:preparare la chiusura.Questa la testimonianza scritta pochi giorni dopo il suo ultimo viaggio.

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di veder frantumare la comunità. Mi dicono che vor-rebbero mandare don Cesare non si sa dove e che…nooo: questo per loro è impensabile! Per me, è inve-ce incomprensibile il loro sgomento. Ok, mi vienedifficile ma cerco di capire e di immedesimarmi nel-le loro vite per cogliere questa paura. Io che vivo aMilano, non ho mai dato importanza a questi aspettidella vita comunitaria. La vita, a Milano, non ruotaintorno alla “piazza” del paese; ognuno è il centro dise stesso, anche quando sta in mezzo agli altri. Nellametropoli è andata perduta l’idea di comunità comepolo di aggregazione della vita sociale. Per la gentedi Monticchio, invece, è proprio l’appartenenza allaloro comunità che dà senso ad ogni singola e perso-nale realtà. Solo ora, catapultato mio malgrado in questo model-lo di vita mi rendo conto di quel che in questi mesi hovissuto, ed è così che ripercorro la mia avventura e lamia vita “nel sisma”. Ed è solo così che scopro quan-to fossi impreparato a vivere una vera emergenza.

La mia prima partenzaÈ il 26 aprile, sono le 8.00 quando, completamenteconcentrato sulle attività logistico/organizzative chemi attendono, arrivo per la prima volta al campo:una specie di formicaio, in piena e concitata attività,

nel quale non mi sento affatto a mio agio.Mi bastano però poche ore per “prendere le misure”e capire che avrei dovuto fare i conti anche con ilmio cuore, con il mio senso di impreparazione eimpotenza, con la mia umana impossibilità di darconto a tutti di tutto. Fare i conti con l’impossibilità diessere sempre in grado di dare le risposte giuste aitanti problemi che gli sfollati mi sottopongono,aspettandosi una soluzione. La soluzione che puòdare uno che, come me, in quel momento indossauna divisa e, in più, ha una scritta sul petto che dicechiaramente “coordinatore”.Coordinatore! Già! Ma sono lì a coordinare cosa?Mi fermo, respiro e penso. Penso che con il miogruppo di volontari siamo una squadra preparata ecoesa, armata di entusiasmo e passione. E che siamolì solo per ciò che umanamente è possibile fare. Equesto pensiero mi da conforto.Dopo quella prima volta, in Abruzzo ritornerò spes-so. Torno una seconda, una terza e un’altra voltaancora e, passata la prima necessità di montare ten-de e strutture, mi rendo conto che “i residenti” siaspettano da me (da noi) qualcosa che io non possodare: una bella notizia, risolutiva del loro stato pre-cario; magari la soluzione ad una situazione familia-re ben più complessa del semplice aspetto logistico.

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Resto in silenzio, ho difficoltà a gestire questi rappor-ti umani. Mi sento assalito da sentimenti di delusionee amarezza ed allora cerco di darmi da fare, impe-gnandomi in attività materiali per rendere il campoancora più accogliente e organizzato.Ma l’attività pratica va via via diminuendo mentreaumenta il tempo per richiamare tra gli sfollati iricordi del passato e per le riflessioni sul senso dellanostra - di noi volontari - missione.Come nella vita di tutti i giorni, quindi, tornano i pro-blemi “normali”: una coppia in crisi che l’emergen-za non aiuta a ritrovarsi; un uomo in difficoltà adinserirsi nel contesto del nuovo gruppo sociale finoraa lui estraneo; un bimbo che sta male; il lavoro cheritorna e con esso l’assillo e l’impegno; i bambini e lapreoccupazione dei genitori per il loro futuro. Ho una figlia piccola anch’io e capisco le loro ansiee la loro inquietudine. Ma i bambini di Monticchio2, oggi, sono tornati a sorridere e a giocare. C’è unaluce nei loro occhi, oggi. È la luce della vita cheriparte.

Domenica 4 ottobre 2009, ore 23.30: rientriamo. Il cancello del centro di Agrate si chiude alle miespalle e con lui si chiude la Missione Abruzzo, alme-no per quanto riguarda il grosso impegno assolto

dalle Province di Milano e Monza Brianza nellagestione delle cucine.Domani la vita, la mia vita, tornerà alla sua quotidia-nità. Già, la quotidianità! Con una finestra che reste-rà per sempre aperta sulla mia e sulla nostra espe-rienza.Mi porto a casa una meravigliosa esperienza umana,pur nella tragicità dell’evento dentro cui si sonoincontrati e incrociati i destini di mille e mille perso-ne. E, dentro questo contesto, è stato “normale” par-lare e interagire con tutti: dai funzionari del Diparti-mento, a quelli della Regione e delle altre Istituzionilocali; è stato “normale” avvicinarsi e conoscersi fravolontari di cento e più organizzazioni diverse; è sta-to “normale” mettere in luce quelle eccellenze eprofessionalità da anni nell’ombra; è stato “normale”far lavorare i giovani assumendomi in prima personala responsabilità del loro agire; è stato “normale” farein sei mesi un percorso di collaborazione che avreb-be richiesto forsedieci anni; è stato “normale” sentirsi gruppo, sotto laspinta di un’adrenalina positiva che solo la necessitàdi fronteggiare un evento sa attivare. Mi porto a casal’idea che sono state gettate le basi del gruppo pro-vinciale. Il mio sogno, il gruppo provinciale!

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Nei miei 10 e passa anni di carriera come Respon-sabile del Servizio di Protezione Civile per la Pro-vincia di Lecco, ho avuto la possibilità di seguireun’intensa attività di formazione, per lo più, mirataalla gestione delle situazioni di emergenza. Tra le tante esperienze formative, una delle piùsignificative è stato il corso per “Coordinatori diEmergenza”, organizzato nel 2001 dall’IREF (Istitu-to Regionale di Formazione). Molte poi le attività ditraining alle quali ho partecipato sul campo.

Perché questa premessa? Perché non è insolito, nelmondo della Protezione Civile, imbattersi nell’opi-nione secondo la quale studiare la teoria in realtànon serva a nulla, nella convinzione che quello cheserve veramente per gestire ed affrontare situazionidi Protezione Civile siano solo l’esperienza e lacapacità operativa acquisite sul campo.

Ma questo, dal mio punto di vista, è sbagliato. O meglio, è vero solo in parte.

La Protezione Civile è un sistema complesso chenon si può comprendere a fondo se lo si guardasolo da punti di vista parziali, per quanto significa-tivi, come possono essere quelli dei singoli gruppidi volontariato chiamati ad intervenire in un’emer-genza.Quello che si vive in questi casi, infatti, è spessofrutto di azioni spontanee talvolta compiute in uncontesto caratterizzato da forte coinvolgimentoemotivo dovuto all’urgenza dei soccorsi, degliinterventi di messa in sicurezza, ecc. E questoimpedisce - o rende più difficile - una valutazioneobiettiva, lucida, di carattere generale. Per essere in grado di gestire un’emergenzacon efficacia ed efficienza, invece, serve uno

L’importanza della preparazione teorica

di Fabio Valsecchi

Fabio Valsecchi, geologo, è Responsabile del Servizio di Protezione Civile per la Provincia di Lecco. Nellamissione Abruzzo ha coordinato il gruppo della colonna provinciale ed assolto la funzione di Capo campo.Una prova anche empirica, questa, dalla quale è scaturita un’attenta riflessione teorica.Questa la sua testimonianza.

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sguardo analitico addestrato, ed una padro-nanza degli strumenti teorici e professionalipropri del crisis management.

Il terremoto in Abruzzo ha rafforzato questa miaconvinzione. Proverò a spiegare perché.Ho partecipato alla missione coordinata dallaRegione Lombardia in ruoli diversi: oltre cheresponsabile per la Provincia di Lecco, infatti, sonostato anche Capo campo a Paganica 5, tra fineluglio e inizio agosto.Sono partito con il collega Valentino Castelli. Hoavuto con me la colonna mobile dei volontari dellaProvincia di Lecco. L’esperienza è stata positiva:grande collaborazione, efficienza, nessun proble-ma di particolare gravità.Eppure, al mio rientro, mi sono reso conto che, puressendo stato giù una settimana, non avevo capitoquasi niente di quello che realmente gira attorno adun campo per sfollati ed ancor meno quello chesignifica gestire un evento complesso come l’emer-genza sisma in Abruzzo. Durante la mia missionenella tendopoli, infatti, sono stato totalmente assor-bito dalla gestione del “mio campo” che, sin dasubito, mi appariva il più bello, il migliore, ilmeglio attrezzato, il più vivibile...

Insomma è evidente che nella mia valutazione aprevalere fosse l’aspetto emozionale, non quellolucido, razionale, del professionista di ProtezioneCivile.

È proprio questa riflessione sull’esperienza perso-nalmente vissuta in Abruzzo che ha rafforzato lamia convinzione, ovvero che se non si è già in pos-sesso di una solida conoscenza teorica del sistemaburocratico/gestionale ordinario e dei processi diProtezione Civile, in Emergenza si rischia di svolge-re azioni di cui non si comprende appieno la porta-ta ed il valore, e dunque neppure le conseguenze.

Scegliere e decidere, anche cose all’apparenzabanali, porta sempre a delle conseguenze: se non sihanno basi teoriche di conoscenza della macchinaamministrativa si rischia di agire solo sulla base diquello che ci comanda il cuore. E questo non valeaffatto solo per i volontari. Anzi, la cosa sorpren-dente che io stesso ho personalmente registrato èche questo cedere all’emotività può colpire persinoun operatore professionista con una consolidataesperienza come la mia!

Come Capo campo mi sono interrogato più volte

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sul mio ruolo giuridico/istituzionale, sulle mieresponsabilità verso i volontari e gli ospiti, suimiei compiti rispetto alle questioni legate allasicurezza dentro e fuori il campo, sulle mieresponsabilità amministrative. Mi sono chiesto –in sostanza - se il Capo campo fosse un pubblicoufficiale o un incaricato di pubblico servizio. E senella mia funzione di Capo campo dovessi asse-condare comunque le contingenti necessità degliospiti oppure tenere un comportamento impronta-to alla gestione burocratico-normativa arrivando aimpartire ordini del tipo: questo si può fare e que-sto no.

Faccio un esempio: un giorno, durante la mia mis-sione a Paganica 5 si presentata una squadra dicarabinieri che, rivolgendosi a me nel mio ruolo diCapo campo mi chiede se servisse qualche cosa, sevi fossero segnalazioni da fare.Ebbene, mi sono chiesto: ma questi uomini delleForze di Polizia dipendono, in qualche modo,anche dal Capo Campo ovvero, nella fattispecie,da me?

Sono stati loro stessi, in questo caso, ad aiutarmi asvelare l’arcano. Mi hanno spiegato infatti di aver

ricevuto l’ordine di mettersi a disposizione delCapo campo, così come avrebbero fatto se fosserostati incaricati di gestire l’ordine pubblico metten-dosi al servizio dell’autorità locale. Accidenti, midico: allora qui nel campo l’autorità sono io!Molte e diverse sono le domande che mi sono fatto. E non tutte hanno ancora trovato risposta. Quelloche ho capito però è che quando si parla dell’espe-rienza sul campo, in fondo, si fa spesso riferimento“alla somma degli errori del passato”. Ebbene è necessario far tesoro di quegli errori nellaconsapevolezza però che il contributo di ciascunodi noi, pur se importante, rappresenta solo una goc-cia nel mare; che la Protezione Civile non è unacompetizione tra chi è più bravo. E che mai unintervento sul campo deve essere improntatoall’obiettivo di dimostrare il maggior valore dellapropria squadra rispetto ai gruppi “concorrenti”. Questo rischio non si deve assolutamente correre,sebbene mi sia reso conto quanto facile sia per tuttinoi operatori di Protezione Civile - professionisti,tecnici, volontari - in qualche modo incapparvi.Per questo la recente esperienza in Abruzzo è statauno stimolo ulteriore a migliorare le mie conoscen-ze teoriche, per uscire dalla logica del punto divista personale ed imparare a rivolgere sempre losguardo al più generale, complesso e variegatosistema della Protezione Civile.

Credo che questa pubblicazione possa rappresen-tare un valido e concreto contributo in questadirezione.

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Nel 2002, a seguito delle riforme legate al decen-tramento amministrativo, la Regione Lombardia haassegnato alle province la tenuta dell’Albo Regio-nale del volontariato di Protezione Civile.La consapevolezza del nuovo ruolo spinge da subi-to le Province a collaborare in seno all’Unione Pro-vince Lombarde con un gruppo di lavoro ad hocche si adopera per la condivisione di esperienze ebuone prassi, sia a livello politico che tecnico.Anche se in forma non organizzata ed istituziona-lizzata, si avvia la collaborazione con la Regioneper il recepimento di questa delega che, proprionell’autunno dello stesso anno, trova un primoriscontro operativo nel supportare la colonna mobi-le regionale in Molise e sul territorio regionale perfar fronte all’emergenza idrogeologica.Con il Testo Unico di Protezione Civile (L.R. n. 16del 22 maggio 2004), all’indomani delle riformecostituzionali sull’ordinamento della Repubblica,

viene attribuito un ruolo determinante alle Provin-ce nelle diverse attività di Protezione Civile. L’Art. 3del Testo Unico elenca le materie assegnate preve-dendo compiti nel coordinamento dei Comuni perle attività di pianificazione e di programmazione,di coordinamento del volontariato, di attivazionedei servizi tecnici di competenza. L’art. 7 si spingeoltre attribuendo al Presidente della Provincia laqualifica di Autorità di Protezione Civile e cometale di responsabile dell’organizzazione generaledei soccorsi sul territorio.Nel 2004 l’emergenza Sisma di Garda e Valle Sab-bia segna un nuovo punto di passaggio verso undecentramento anche dell’intervento operativo, enel 2005 con l’intervento per le Esequie del S.Padre, Papa Giovanni Paolo II, gli embrioni delleprime “colonne mobili provinciali”, costituitesi inalcune Province, verranno mobilitate dalla Regioneper l’assistenza dei pellegrini a Tor Vergata.

Il Sistema delle Colonne Mobili Provinciali

di Giovanmaria Tognazzi

Direttore del Settore di Protezione Civile della Provincia di Brescia, in questa nota Tognazzi definisce ilquadro normativo ed operativo delle Colonne Mobili provinciali nell’ambito del sistema regionale di Pro-tezione Civile e riporta in dettaglio il ruolo da queste assunto nella Missione Abruzzo.

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Si costituisce nel 2005 il tavolo inter-istituzionaleRegione–Province nei livelli politico e tecnico qua-le momento istituzionale di confronto.Nel 2007 l’organizzazione dell’esercitazionenazionale “Valtellina” metterà in luce una serie dilimiti e criticità che daranno impulso ad un’accele-razione degli investimenti in dotazioni per far fron-te alle emergenze, almeno di livello locale.

6 aprile 2009. L’affermazione di un modelloLa prima emergenzaDopo l’allertamento di Regione Lombardia vengo-no mobilitate le organizzazioni di volontariato e lerispettive colonne mobili.Alle ore 13 viene richiesto alla Provincia di Brescia,dal coordinatore della Sala operativa regionale,Domenico De Vita, di comporre una colonna per lagestione in autonomia di un campo con la collabo-razione delle altre Province. Brescia ha una colon-na mobile già adeguatamente strutturata e prontaall’uso, dotata di un’unità logistica del tutto auto-sufficiente per erogare pasti (cella frigorifera, pro-duzione energia elettrica, cisterne di acqua potabi-le, servizi igienici e docce, modulo camper segrete-ria), non è dotata però delle strutture necessarieall’ospitalità degli evacuati (tende, effetti letterecci,

e servizi igienici per gli ospiti).In quanto responsabile della Protezione Civile dellaProvincia di Brescia, mi è stato quindi affidato ilcompito di estendere e coordinare la richiesta allealtre realtà provinciali, supportando nel ruolo dicoordinamento il collega Fabio Valsecchi, dellaProvincia di Lecco.Un rapido censimento con i colleghi delle altreprovince ha consentito la composizione di unacolonna che, partendo già alle 22.00 della stessasera del 6 aprile, fosse in grado di raggiungere laColonna Mobile Regionale. Qualche dato sulladotazione della colonna provinciale aiuterà a com-prendere la portata dell’intervento, limitatamentealla primissima fase di emergenza. La sola Provin-cia di Brescia ha allestito un convoglio compostoda autocisterne per acqua potabile e poli-soccorso,autogrù, un’autoscala, un’unità mobile TLC, auto-carri e fuoristrada, una cucina, un’unità distribuzio-ne mensa, una cella frigorifera, un modulo bagni edocce, 2 generatori e poi ancora tende pneumati-che e 50 brande. La Provincia di Lecco ha messo adisposizione 4 mezzi, 10 tende, 80 brande e 11volontari. La Provincia di Bergamo, 12 tende, 2capannoni per la logistica, 4 volontari ed altrettantimezzi. Varese ha portato una decina di tende e 50

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brande; Lodi, 5 volontari ed un container wc, men-tre Pavia, un’ambulanza attrezzata, 8 Persone e 2automezzi. La Provincia di Milano, infine, ha con-tribuito al convoglio con 34 volontari, una tendapolifunzionale ed una decina di tende da campo.

La messa a regime e il mantenimento nel tempoA prescindere dalla quantità/disponibilità di mezzied attrezzature per l’intervento in prima emergenzail coordinamento provinciale ha assolto a diversefunzioni che hanno costituito l’affermazione diquanto definito dagli indirizzi normativi e politici,ma soprattutto una serie di precedenti che defini-ranno gli orientamenti anche per le politiche future.In particolare, per la prima volta Enti locali (Provin-ce e Comune di Milano), che non fossero le Regio-ni sono stati coinvolti direttamente con un ruolooperativo - le prime ordinanze non contemplavanola presenza di altri soggetti che non fossero appun-to Regioni/Volontariato. Si è garantito un supportodi personale/funzionari per la gestione delle colon-ne di volontariato, il reperimento e la disponibilitàdi tecnici rilevatori e l’organizzazione in colonnedi erogazioni liberali di beni e risorse pervenute dasingoli ed aziende che nella prima emergenzarischiavano, se non gestite, di intralciare la “mac-

china dei soccorsi”, destinandole ai centri di rac-colta e dilazionando l’invio secondo le esigenzedei campi. Sono state garantite le risorse umane sulcampo, con funzioni di supporto alla Regioneimpegnata nel raccordo a livelli superiori, coadiu-vando l’attività di scouting e progettazione (che haconsentito l’apertura di altri 2 campi) e della fun-zione di Capo campo; dapprima inviando missionidi funzionari di province diverse affinché si creasseuna “formazione di base” ed un esperienza comu-ne e successivamente razionalizzando l’impiego innuove turnazioni. Sono stati fatti interventi com-pensativi alle carenze dovute agli imprevisti o adimprovvise necessità (sia in termini organizzativiche di risorse, ad esempio, per gli acquisti di mate-riali e attrezzature). Si è provveduto, infine, conmissioni periodiche a verificare le situazioni, cer-cando di mitigare gli effetti dovuti al cambio digestione tra le rispettive colonne di volontari, fun-zionari e ospiti.

Le Province hanno sostenuto la Regione inun’emergenza lunga ed impegnativa dando compi-mento a quanto il territorio della Lombardia è ingrado di esprimere, se incoraggiato e sostenuto nelprincipio autentico della sussidiarietà. Con il loroimpegno tempestivo, continuativo e capillare, leProvince lombarde hanno dato un contribuitosostanziale alla Missione Abruzzo. Un contributoche dà valore all’intero sistema regionale di Prote-zione Civile.

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Postfazione

Il 6 aprile 2009 è stato un giorno veramente tragico per L’Aquila. In pochi secondi, la splendida città che tutti ama-vamo si è trasformata in un cumulo di macerie. Chiese secolari, palazzi storici, l’inestimabile patrimonio artistico edarchitettonico, tutto spazzato via. Come le vite di 307 nostri concittadini, tra i quali molti giovani non sopravvissutial crollo delle abitazioni prese in affitto nel centro storico o della maledetta Casa dello studente. Un’esperienza chenon auguro a nessuno di vivere. Come amministratore ma soprattutto come uomo, figlio di questa terra d’Abruzzo.Eppure, nel dramma, nel dolore, nel profondo senso di impotenza e solitudine, L’Aquila ha riscoperto valori, lega-mi, gesti d’altruismo e d’amore che si pensava non esistessero neanche più. Tutta l’Italia, nei momenti di concitazio-ne dell’emergenza post terremoto, ci è stata vicina. E non solo col pensiero o col cuore. Uomini e donne della Pro-tezione civile, del volontariato, dei Vigili del fuoco e delle forze armate e dell’ordine, si sono subito precipitati inAbruzzo nel disperato tentativo di salvare più vite possibili. Hanno scavato tra le macerie con noi, anche mettendoin pericolo se stessi, ci hanno confortato, hanno cucinato per noi pasti caldi. Di questo grande esercito ha fatto par-te, e fa parte ancora, la Regione Lombardia che ci ha messo a disposizione mezzi, competenze professionali edanche fondi per contribuire alla ricostruzione del tessuto edilizio ma anche culturale. Col Presidente Roberto Formi-goni abbiamo subito instaurato un rapporto di grande collaborazione. Ricordo con piacere la sua prima visita alcampo di accoglienza di Monticchio, nella periferia aquilana, gestito con efficienza proprio dalla Regione Lombar-dia. È qui che Formigoni annunciò di voler costruire un campus universitario ed una struttura didattica a Coppito.Un gesto veramente apprezzabile, considerando i gravi danni subiti dal nostro prestigioso ateneo. Ma ricordo anchela visita successiva, compiuta quasi a voler controllare che tutto procedesse per il verso giusto, che le promessevenissero tutte mantenute. L’Aquila ferita e piegata ha scoperto, in questa triste occasione, una nuova Italia che hamesso da parte localismi e campanilismi, che si è stretta incondizionatamente intorno alla nostra sofferenza, che hapatito con noi, che empaticamente ci sta sostenendo per farci rialzare la testa. Da questa Italia, da questo Governo,abbiamo avuto molto. In appena sei mesi sono state realizzate casette antisismiche, sono state affittate case, preno-tati alberghi per togliere le migliaia di sfollati dalle tendopoli prima del sopraggiungere dell’inverno. Sono stati mes-si in sicurezza gli edifici scolastici per assicurare la regolare ripresa dell’attività didattica e, dove impossibile, ovvia-to con i Moduli provvisori. L’attività amministrativa non ha mai abbandonato la città ed a piccoli passi sta ripren-dendo anche quella commerciale e produttiva. E se ciò è stato possibile, molto lo dobbiamo alla solidarietà delsistema Paese. C’è ancora molta strada da fare, anzi, adesso viene il difficile. Ma siamo certi che con l’aiuto delleRegioni italiane, insieme, potremmo raggiungere altri traguardi. Le nostre ferite, il nostro dolore, le nostre speranze,la nostra riconoscenza, sono tutti sentimenti che è possibile trovare in questa splendida pubblicazione voluta dal-l’assessore Stefano Maullu. A lui va il sincero ringraziamento del popolo aquilano, per il suo impegno quale respon-sabile della Protezione civile della Regione Lombardia. Ma anche per questa sua importante iniziativa editorialeche, se da una parte rende merito ai tanti professionisti e volontari lombardi, accorsi ad affrontare la tragedia insie-me a noi, dall’altra continua a mantenere viva l’attenzione sull’enormità dell’evento che ha sconvolto il nostro terri-torio. Grazie assessore Maullu, grazie Lombardia e grazie Italia.

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Gianni ChiodiPresidente Regione Abruzzo

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Mustapha Aanzoul, Mariarosa Abate, Luciano Abba, Nazareno Abello, Mirco Abrami, Cristian Accini, Alberto Accorsi, Daniele Accorsi, Vincenzo Accurso, Carlo Acer-boni, Daniela Aceti, Carlo Acquati, Diego Acquistapace, Marco Acquistapace, Carlo Adale, Michele Adamo, Carlo Adele, Mario Agazzi, Alberto Aggio, Carmen Agnel-li, Galdino Agnelli, Lorena Agnelli, Piero Agnelli, Roberto Agnelli, Alberto Aiani, Amelio Airaghi, Roberto Airoldi, Emilia Albanesi, Alfredo Albarano, Oreste Albarano,Claudio Alberghini, Francesco Albertario, Giovanni Alberti, Roberto Alberti, Giulio Albertoni, Ivan Albertoni, Riccardo Albiero, Claudio Albini, Luigi Aldeghi, Giovan-ni Aldini, Celestino Aldizio, Alberto Alebardi, Alessandro Alessi, Andrea Alessi, Antonio Alfieri, Klaus Nicola Alfieri, Francesco Algeri, Gerardo Algeri, Omar Algisi, Bru-no Allevi, Ezio Alloisio, Vittorio Almici, Bimaria Edith Alomia Biojdo, Pietro Altamura, Giuseppe Amato, Simona Amatucci, Remo Ambrosetti, Giovanni Ambrosi, Gian-pio Ambrosi, Eddi Ambrosini, Edii Pietro Ambrosini, Gianpietro Ambrosini, Enrico Ameraldi, Aniello Ametrano, Mauro Amigoni, Antonio Amisani, Franco Anadotti,Matteo Anastasi, Moreno Andreani, Fiorenzo Andreola, Fedele Andreoli, Antonello Andreoni, Maurizio Andreoni, Angelo Andrusiani, Federico Anfossi, AlessandraAngel, Giancarlo Angelibusi, Nicola Angelini, Luciano Angioloni, Davide Annovazzi, Paolo Anselmi, Alessandro Antinori, Michele Antinori, Claudia Antonelli, Rober-to Antonietti, Claudio Antonini, Ilario Antonini, Ivan Antonini, Giovanni Apostoli, William Aquilini, Danio Arcari, Luca Arcari, Daniele Archetti, Luciano Archetti, LuigiArchetti, Norman Archetti, Marco Arcolani Boffetti, Giuseppe Ardemagni, Pierangelo Ardemagni, Piergiuseppe Ardemagni, Luigi Arenghi, Nadia Argenti, PasqualeArianna, Francesco Aricci, Francesco Arici, Valerio Arici, Franco Arienti, Rodolfo Arienti, Cristian Arigoni, Luciano Arioli, Maria Luigia Arioli, Chiara Arizzi, GiuseppeArmanelli, Roberto Arnetti, Adriano Arosio, Francesco Arrabito, Flavio Arras, Aquilino Arrighetti, Claudio Arrighi, Franco Arrigo, Giacomo Arrigoni, Marco Arrigoni,Ernesto Arsuffi, Luca Luigi Arzuffi, Danilo Asperti, Massimo Asti, Franco Astori, Fabio Attanasi, Ottavio Attanasi, Maurizio Atzori, Daniele Audino, Carmelo Autelitano,Alberto Autuori, Mario Avena, Pasquale Avignone, Fabio Avogadri, Luca Azzali, Stefano Azzali, Denis Azzoni, Stefania Azzoni, Marco Baccalà, Ezio Baccanelli, Giu-seppe Baccanelli, Margherita Baccanelli, Laura Bacchetta, Cristian Bacchiocchi, Andrea Bacciocchi, Massimiliano Bachis, Valentina Bachis, Guido Bacis, Ivan Bacis,Giuseppe Bacullo, Gianluca Badini, Achille Bagagiolo, Francesco Bagarelli, Elena Baggi, Tarcisio Baini, Alfredo Baini, Giovanna Baioni, Alfredo Baita, Nives Baldacco-ni, Federico Baldassari, Aurelio Baldelli, Aurelio Baldelli, Giovanni Baldini, Flavio Balduchelli, Clemente Balestra, Danilo Balestrieri, Marco Balestrini, Antonio Balge-ra, Pietro Ballarini, Emilio Luigi Ballerini, Gianantonio Balletti, Stefano Balzarotti, Armando Balzi, Marco Bana, Bruno Bandera, Elia Bandera, Sergio Bandera, SergioBandiera, Massimo Bandirali, Alessandro Bani, Claudio Banni, Tiziano Baracchi, Fabio Baravelli, Elisabetta Barawitzka, Andrea Barbaglia, Carlo Barbaglio, GianpaoloBarbariga, Nadia Barbi, Massimiliano Barbieri, Pierluigi Barbieri, Sergio Barbieri, Alessandra Barboglio, Giuseppe Barboni, Renato Barbugian, Alessandro Barcaro,Mario Barcaro, Ezio Barcella, Sergio Barcella, Milo Barillà, Efrem Nevio Barini, Felice Barini, Piero Bariselli, Giorgio Barlocco, Bruno Barni, Patrizio Barni, FabrizioBaronchelli, Alessandro Baroncini, Andrea Baroni, Giorgio Barozza, Giuseppe Barreca, Renato Barri, Pietro Bartoletti, Maria Candida Bartolini, Stefano Paolo Barzaghi,Sergio Barzasi, Romano Basile, Cristina Bassani, Lino Bassani, Vittoria Bassetti, Cristian Bassi, Ermanno Bassi, Giuseppe Bassi, Luigi Daniele Bassi, Renzo Bassora, Lio-nello Battaglia, Roberto Battaioli, Marcello Battistello, Giuseppe Battistessa, Lucia Battisti, Giovanni Bavaro, Arrigo Bazzeghini, Mara Bazzeghini, Antonia Bazzoni,Luca Beatini, G.Mario Beccarelli, Alberto Becchi, Daniele Becciu, Umberto Bedin, Francesco Bedogne’, Pierfelice Begliossi, Pasquale Belardo, Antonio Bellina, PaoloBelinato, Abdelatif Belkhifi, Gianroberto Bellandi, Roberto Bellandi, Claudio Belleri, Cristian Belleri, Fabio Belleri, Gianmarco Belleri, Massimo Belleri, Umberto Belle-sini, Amilcare Bellettato, Paolo Bellinato, Carlo Bellini, Gianpaolo Bellini, Roberto Bellini, Serena Bellini, Luigi Bellitra, Silvia Bellobono, Emiliano Belloni, GiacomoBelloni, Serafino Bellotti, Alberto Bellotto, Tiziano Bellucco, Francesca Belotti, Marco Belotti, Pamela Belotti, Armando Beltrami, Stefano Benaglia, Ruggero Benassai,Silvano Benassi, Battista Benatti, Monica Benatti, Roberto Benatti, Mario Benazzi, Tania Benetti, Igina Beneventi, Fabio Benigni, Bortolo Bennato, Salvatore Benvenuto,Fabrizio Benzi, Roberto Berardelli, Roberto Berardinello, Gianluigi Beretta, Luca Giuseppe Beretta, Pietro Oscar Beretta, Tiziano Beretta, Samantha Beretta, Egidio Ber-gamaschi, Marcello Bergamelli, Antonio Bergami, Giorgio Bergantin, Vito Berghella, Alessandro Bergomi, Fabio Bergomi, Sandra Berionni, Giacomo Berlinghieri,Claudio Bernardelli, Daniele Bernardi, Davide Bernardi, Lorenzo Bernardi, Simona Bernardi, Simone Bernardi, Valentino Bernardi, Mario Bernardo, Damiano Berna-sconi, Daniele Bernardoni, Don Franco Bernasconi, Eugenio Bernasconi, Giulia Bernardoni, Maurizio Bernasconi, Mara Berni, Adriano Bernini, Fabio Bernini, Riccar-do Bersani, Guerino Bersini, Oliviero Bertacchni, Alesandro Bertana, Bruno Bertani, Davide Bertarini, Fausto Bertasa, Roberto Bertazzi, Giuseppe Bertazzolo, Alessan-dro Bertazzoni, Faustino Bertelli, Maurizio Berti, Matteo Bertinelli, Francesco Berto, Bruno Bertocchi, Lorenzo Bertocchi, Ennio Bertoglio, Pietro Bertoglio, Luigi Berto-glio, Tiziana Bertola, Gianni Bertolani, Davide Bertolazzi, Alessandra Bertole Viale, Adriano Bertoletti, Alan Bertoletti, Mauro Bertoletti, Michele Bertoletti, Raffaele Ber-toletti, Romeo Bertoletti, Samuele Bertoletti, Emiliano Bertoli, Diego Bertoli, Vittorio Bertoli, Alessandro Bertolini, Astrid Bertolini, Isaia Bertolotti, Luciano Bertolotti,Enrico Bertoni, Giuseppe Bertoni, Marco Bertoni, Massimo Berton, Maurizio Bertozzi, Eugenio Bertuetti, Luciano Bertulessi, Alberto Besana, Luigi Besana, StefanoBesozzi, Silvio Betti, Emil Bettinsoli, Monica Bettonagli, Gianfranco Bettoni, Giovanni Bettoni, Luigi Bettoni, Sergio Bettoni, Ferruccio Bettoschi, Giuseppe Bevilacqua,Fabio Bianchetti, Silvia Bianchetti, Albert Bianchi, Antonio Bianchi, Bruno Bianchi, Cristiano Bianchi, Fabio Bianchi, Giuliano Bianchi, Guido Bianch, Linda Bianchi,Orietta Bianchi, Roberto Bianchi, Rudy Bianchi, Stefania Bianchi, Aurora Bianchini, Luca Bianco, Grazia Bianco, Giuseppe Bianconi, Sergio Biasetti, Erminio Biasini,Andrea Biasoli, Marco Biasolo, Luigi Biella, Roberto Biena, Francesco Biffi, Giovanni Bigi, Dario Bigiotti, Massimo Bigliani, Luigi Bignami, Serena Bignami, AlessandroBigoni, Mosé Bigoni, Ermes Bimbati, Angelo Bini, Lucrezio Bino, Emanuele Bino, Pietro Binotto, Paolo Bio, William Biraghi, Paolo Biscotti, Stefano Bisi, Gianni Bizzar-ri, Elvio Bizzotto, Gabriele Bizzozero, Mario Bleynat, Alessandro Bocca, Samantha Bocca, Giuliano Bocchi, Giordano Bocchiola, Gottardo Bodini, Michele Bodoni,Giancarlo Boffelli, Alessandro Boffi, Bruno Boglioni, Enrico Bogni, Tiziano Boioni, Valentino Boles, Alfredo Bollani, Pierluigi Bollani, Felice Bolognese, Maurizio Bolpa-gni, Stefano Bompani, Alberto Bonacina, Federico Bonacina, Massimo Bonacina, Massimo Bonacorsi, Pier Francesco Bonadei, Giuliano Bonafede, Laura Bonaffini,Marco Bonali, Gilio Bonalume, Franco Bonalumi, Daniele Bonanomi, Giorgio Bonanomi, Luciano Bonavida, Carlo Alberto Bonazzi, Luciano Bonazzoli, Luciano Bon-dioli, Mauro Bondioli, Benedetto Bondura, Luigi Bonelli, Alessio Bonetti, Ennio Bonetti, Francesco Bonetti, Giovanni Bonetti, Omar Bonetti, Roberto Bonetti, StevensBonetti, Alessandro Bonfadelli, Ivano Bonfadelli, Mariaelena Bonfadelli, Marialaura Bonfadelli, Chiara Bonfadini, Luca Bonfanti, Gianluigi Bonfanti, Daniele Bonfiglio,Maria Gabriella Bongiovanni, Mauro Tiziano Boni, Matteo Boniardi, Roberto Bonicchio, Simone Bonini, Francesco Boniotti, Mauro Boniotti, Marinella Bonizzi, Ange-lo Bono, Gaspare Bono, Alberto Bonomelli, Anna Maria Bonomelli, Bernardo Bonomelli, Giancarlo Bonomelli, Giorgio Bonomelli, Ivan Bonomelli, Mario Bonomelli,Thomas Bonomelli, Augusto Bonomi, Katia Bonomi, Marco Bonomi, Paolo Bonora, Renato Bontacchio, Alice Bontempi, Sergio Bontempi, Benedetto Bonura, Barbara

I volontari della Missione Abruzzo

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Bonvini, Adriano Bonza, Vittorio Bonzi, Giordano Boracchi, Antonio Borali, Massimo Borciu’, Moris Livio Bordoli, Adriano Bordoni, Giovanni Borea, Alberto Borelli,Claudio Borelli, Alessandro Borghesan, Francesco Borghesi, Guido Borghesi, Maria Anna Borghi, Franco Borghi, Enzo Borgo, Massimo Borgonovo, Natalino Bornatici,Claudio Borra, Claudio Borroni, Remigio Borsani, Fausto Borsatti, Giuliano Borsatti, Antonio Bos, Francesco Boschetti, Angela Bosio, Artemio Bosio, GianbattistaBosio, Manolo Bosio, Moris Bosio, Roberto Bosio, Antonio Bosisio, Chiara Bosisio, Roberto Boso, Luigi Bossi, Maurizio Bossi, Silvano Bossi, Giuseppe Bossoni, MarcoBossoni, Vincenzo Bossoni, Aladino Botatti, Gaetano Bottaccin, Omar Bottesini, Roberto Botti, Stefano Bottiani, Paolo Bottini, Valentina Bottini, Erminio Bottoli, Vin-cenzo Bottura, Elisabeh Bourvic, Pasquale Bove, Umberto Boveri, Renzo Bozzato, Giovanni Bozzini, Alessandro Bozzoli, Dino Bracelli, Marisa Bracelli, Alberto Braga,Gianfranco Braga, Umberto Braga, Massimo Braghieri, Maurizio Bramati, Alberto Brambilla, Alessio Brambilla, Antonio Brambilla Antonio, Camillo Brambilla, Debo-rah Brambilla, Gianluca Brambilla, Marco Brambilla, Patrizia Brambilla, Sergio Brambilla, Anna Brambillasca, Matteo Brancalion, Natale Brancato, Bruno Branchi,Luciano Branchi, Fabrizio Brasca, Stefano Brasca, Tiziano Brasca, Gianluca Breda, Mariarita Bregaglio, Marco Bregoli, Giorgio Brembilla, Mauro Breme, Cristian Bre-scia, Angelo Bresciani, Francesca Bresciani, Pierangela Bresciani, Umberto Bresciani, Roberto Brescianini, Alessandro Brevi, Angelo Brevi, Giuseppe Brevi, GiuseppeBrevi, Calogero Patrizio Brezza, Mario Briancesco, Graziana Bricalli, Marco Bricalli, Poliuto Bricalli, Angelo Bricchetti, Vito Bricchetti, Cristian Brignoli, GiuseppeAndrea Brignoli, Valter Brignoli, Mario Brillantino, Luca Brioschi, Ivan Brivio, Mario Brivio, Gianluca Brocca, Alessandro Broggi, Carlo Mario Broglia, Roberto Broglia,Giovanni Brotto, Emanuele Brugaletta, Monica Brugali, Ernesto Brugnetti, Diego Alfredo Brumana, Rudy Brunati, Claudio Brunelli , Veronica Brunelli, Francesco Bruni,Igor Bruni, Emanuele Bruno, Flavio Brusa, Adriano Brusaioli, Gianluigi Brusati, Ettore Brusatori, Giovanni Bruschi, Arnaldo Brusetti, Alida Brusoni, Francexsco Brusotti,Angelo Buffoni, Massimo Bugamelli, Pietro Bugeia, Alberto Buglia, Claudio Buizza, Franco Buizza, Alessandro Bulzoni, Andrea Buonnaccorso, Crescenzo Buonopane,Nicola Buonsante, Francesco Burani, Riccardo Buratti, Davide Burlotti, Diego Burlotti, Giuliano Busacchini, Davide Busi, Loris Busi, Serena Busi, Bortolo Businaro,Giancarlo Buson, Paola Busotti, Sergio Giuseppe Bussatori, Italo Butchievietz, Andrea Butta, Pier Dario Buzzella, Giorgio Buzzetti, Valeriano Buzzola, Anna Cabiddu,Fabio Cacchero, Alberto Caccia, Fabio Caccia, Angelo Caccialanza, Ernesto Cadei, Carlo Cadregari, Ernesto Cagna, Primo Cagni, Sergio Cagossi, Serena Caiani, NelloCairoli, Angela Caironi, Maurizio Caironi, Oriano Caironi, Giuseppe Calabrese, Cesare Calcinardi, Giampietro Caldara, Sergio Calderoli, Laura Caldinelli, Ciro Cale-andro, Roberto Caleffi, Alberto Caletti, Mauro Caligari, Petru Caliman, Patrizia Calonghi, Gianfranco Calufetti, Giuseppe Calvetti, Pietro Calvi, Silvio Calvi, MaurizioCalzavara, Pierluigi Calzighetti, Adriana Calziniato, Ennio Calzoni, Giovanni Camanini, Marco Camattari, Francesco Camba, Laura Cameroni, Ugo Camesasca, Ales-sandro Camilleri, Enrico Caminada, Alessandro Camnaghi, Pierfranco Campagnoli, Davide Campagnolo, Claudia Campana, Fabio Campana, Paolo Campana, MatteoCanato, Ferdinado Candiani, Fabio Canestrari, Francesco Cangini, Giovanni Cannizzaro, Pietro Cannizzaro, Roberto Canobbio, Tarcisio Canova, Walter Canova, ElisaCantarelli, Roberto Canton, Diego Cantoni, Carlo Cantoreggi, Maurizio Canzini, Roberto Capelletti, Bruno Capelli, Fabio Capelli, Marco Capelli, Silvio Capelli, Gio-vanna Capoferri, Luigi Cappa, Gianpietro Cappadocia, Alessandro Caprioli, Gianmassimo Caprotti, Sara Capulifere, Giuseppe Caputo, Katia Caputo, Andrea Carbone,Giuseppe Carbone, Giuseppe Emilio Carcano, Mauro Carcano, Roberto Cardano, Sergio Cardin, Giancarlo Cardini, Marco Caredda, Luca Carelli, Alessandro Caretti,Rossella Carissimi, Claudio Carlin, Roberta Carmignani, Angelo Carminati, Giancarlo Carminati, Nicola Carminati, Riccardo Carminati, Luigino Carminato, DanielFlorian Carnaghi, Claudio Carnini, Bruno Carollo, Fabrizio Carota, Fortunato Carra’, Aldo Carrara, Gianfranco Carrara, Paola Carrara, Samuele Carrara, Augusto Carra-ro, Giacomo Carrera, Sergio Carrera, Andrea Carretti, Alessandro Carsana, Ugo Carsana, Angelo Natale Carsaniga, Remo Carsetti, Biagio Caruso, Sergio Caruso, Danie-le Casaccia, Daniele Casali, Giuseppe Casali, Mirco Casali, Matteo Casanova, Giuseppe Casati, Lorenzo Casati, Eugenio Casellato, Pietro Casiraghi, Mirco Caslini,Franco Caspani, Ivan Caspani, Franco Cassanelli, Marco Cassanelli, Flavio Cassarino, Massimo Cassetta, Angelo Cassetti, Giorgio Cassina, Ettore Cassis, Dario Cassis,Lorenzo Castellanelli, Simone Castellani, Gian Battista Castelli, Giancarlo Castelli, Giorgio Castelli, Giuseppe Castelli, Luigi Castelli, Pietro Castelli, Donato Castellin,Lucrezia Castelnovi, Fabrizio Castelnovo, Giuliano Catamessa, Alberto Cattaneo, Giancarlo Cattaneo, Luciana Lolita Cattaneo, Luigi Cattaneo, Mario Cattaneo, PaoloCattaneo, Raffaella Cattaneo, Roberto Cattaneo, Vincenzo Cattaneo, Fabrizio Cavallera, Fabio Cavalleri, Nicoletta Cavalleri, Andrea Cavalli, Tiberio Cavallini, AngeloCavenaghi, Giacomo Cazzaniga, Stefano Cazzaniga, Vincenzo Cazzaniga, Rosanna Cazzaro, Ferdinando Celentano, Alessandra Celestini, Antonio Celi, GrazianoCelon, Mario Censi, Davide Cerati, Gabriele Cerea, Severo Ceresara, Luigi Ceresoli, Bruno Ceriani, Bruno Ceroni, Gabriele Cerponi, Chiara Cerqui, Sergio Cerroni,Carlo Ceruti, Giorgio Ceruti, Michele Cerutti, Paolo Cervi, Luca Cesana, Giovanni Cesani, Tiziana Cesaretto, Giulio Cesari, Giovanna Cesario, Enzo Cestari, CelestinaCherubini, Eugenio Cherubini, Cesare Chezzi, Giorgio Chiala’, Gaetano Chiappa, Elena Chiapperini, Emanuele Chiappini, Nicola Chiarella, Eberardo Chiella, Pier Vit-torio Chierico, Giuliano Chimini, Roberto Chinelli, Crsitian Chiodi, Amadio Chiribella, Ugo Chisci, Christian Chiudinelli, Augusto Ciabatti, Germano Ciani, LucianoCiani, Antonio Cianti, Antonella Ciapetti, Fiorenzo Ciapponi, Elena Cibaldi, Lucio Ciceri, Pierangelo Ciceri, Vincenzo Ciceri, Mario Ciciriello, Francesco Cicognara,Raffaele Cicognara, Gianfranco Cicorella, Agnese Cighetti, Giancarlo Ciglioni, Mario Ciglioni, Ivan Attilio Cigognini, Antonio Cilenti, Simona Cimenti, Bassiano Cin-quanta, Domenico Cioffi, Giuseppe Cioli, Gualtiero Cioli, Giuseppe Ciprian, Domenico Cipriani, Graziano Cireddu, Andrea Cirini, Riccardo Cittadini, Giorgio Citte-rio, Andrea Civardi, Domenico Cividati, Enrico Civilini, Fausto Civini, Pietro Paolo Clapis, Floriano Clarari, Claudio Clerici, Francesco Co’, Luca Codara, FrancescoCodega, Luca Coffetti, Renato Cola, Gregorio Colaianni, Gianpietro Coldara, Marco Colgiago, Loredana Colleoni, Massimiliano Colletta, Enrico Colnaghi, Ettore Col-nago, Sara Cologna, Pietro Cologni, Andrea Colombani, Amabile Colombi, Benito Colombi, Renata Colombi, Marco Colombini, Natale Colombini, AlessandroColombo, Angelo Colombo, Antonio Colombo, Carlo Colombo, Cristian Colombo, Cristina Colombo, Gianmario Colombo, Gianpietro Colombo, Giovanni Colombo,Giuseppe Colombo, Luca Colombo, Luciano Colombo, Marco Colombo, Mario Colombo, Massimo Colombo, Matteo Colombo, Mauro Colombo, Michele Colombo,Paolo Colombo, Pietro Colombo, Roberto Angelo Colombo, Walter Colombo, Donato Colombo Zefinetti, Roberto Colonna, Marco Colosio, Mariagrazia Colpani,Luciano Colzani, Renzo Colzani, Egidio Comensoli, Michele Cometti, Giuseppe Comi, Stefano Comi, Emilio Cominassi, Giuseppe Cominato, Domenica Cominelli,Fabrizio Comini, Renato Comizzoli, Graziano Commodaro, Maurizio Comotti, Giuseppe Compagnoni, Gian Franco Confalonieri, Andrea Confeggi, Mario Confeggi,Angelo Conforti, Siria Congia, Simone Consolaro, Giorgio Consonni, Valter Consonni, Augusto Contardi, Stefano Conte, Giancarlo Conti, Giulio Conti, Michele Conti,Roberta Conti, Aristide Conzadori, Nello Copertini, Bruno Copes, Fausto Copes, Siro Copes, Claudio Coppa, Pietro Coppa, Procolo Coppola, Cesare Corbella, OmarCorbetta, Angelo Corbo, Renato Cordoni, Stefano Cordoni, Rinaldo Corgatelli, Gabriele Corna, Alessandro Cornelli, Massimo Corno, Gianfranco Corradi, GiancarloCorrente, Flavio Corsini, Giangiuseppe Corsini, Paolo Corsini, Vito Cortelaro, Carlo Cortese, Walter Cortese, Emilio Corti, Fabio Corti, Luca Corti, Marco Corti, RobertoCorti, Sergio Corti, Maria Angela Cortinovis, Silvio Cortinovis, Renato Cosco, Gabriele Cosio, Bruno Costa, Gianmario Costa, Manuel Costa, Ezio Cotta, Giancarlo Cot-tino, Ettore Cozzi, Luca Cozzi, Agostino Cremaschi, Giorgio Cremaschi, Omar Crepaldi, Francesca Crescini, Claudio Cressoni, Giacomo Claudio Cressoni, Marco Cre-stani, Giovanni Crippa, Stefano Crippa, Claudio Cristanello, Francesco Cristinelli, Pietro Cristinelli, Francesco Cristini, Gianpaolo Cristini, Mario Cristini, Emilio Croci,Luca Croci, Umberto Croci, Mauro Crociani, Mariagrazia Cropelli, Ferdinando Crottini, Albino Cucchetti, Pierangelo Cumella, Armando Cuniberzi, Nicola Cuoco,

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Daniele Cuoghi, Claudio Cursano, Cesare Curti, Vincenzo Curti, Antonio Cutrì, Sergio D’ambrosio, Giuseppe D’agostino, Giorgio Dal Bono, Gianluigi Dal Padulo, Vir-ginia Dal Pizzol, Luigi Dal Pozzo, Luigi Daleffe, Nicola D’alessandri, Carmine D’alfonso, Diego Dalla Via, Luca Dall’alba, Luca Dall’ara, Diego Dallera, Giovanni Dal-meri, Ilaria Dameno, Mario Damioli, Luigi Damonti, Simone Damonti, Alessandro Danelli, Osvaldo Danese, Angelo Danesi, Diego Danesi, Giuseppe D’angelo, Jessi-ca Dangolini, Cristian Dassa, Luigi De Benassutti, Giuseppe De Bernardi, Renato De Bernardi, Luciano De Giovanni, Francesco De Marco, Maurizio De Marco, MarioDe Maso, Gianluigi De Moliner, Giovanni De Netto, Flavio De Paoli, Eugenio De Ponti, Francesco De Roberto, Domenica De Santis, Ivan De Sensi, Roberto Deantoni,Massimo Debellini, Roberto Dedé, Enrico Degiacomi, Riccardo Dehò, Fausto Dei Cass, Rosario Deiana, Luigi Del Bono, Roberta Del Bono, Alessandro Del Monaco,Antonio Del Po, Pantaleone Del Regno, Fabio Delfini, Rino Della Bianca, Ernesto Della Corna, Lorenzo Della Giovanna, Giuseppe Della Polla, Gianfranco Della Tor-re, Antonio Delle Donne, Antonio Delledonne, Valeria Dell’olivo, Oliviero Dell’oro, Ezio Dell’orto, Valter Dell’orto, Osvaldo Dellupi, Livia Demuru, Alfredo Denzio,Pierino Destefani, Matteo Di Bartolo, Salvatore Di Blasi, Antonino Di Chiara, Guido Di Davide, Ottavio Di Dio Fiorentino, Antonio Di Giovanni, Cecilia Di Giulio,Mattea Di Gregorio, Vincenzo Di Ielsi, Paolo Di Liberto, Antonio Di Liddo, Alfonso Di Marco, Romeo Di Marco, Giovanni Di Maria, Stefano Di Palma, Antonello DiRaimo, Rocco Di Rella, Gabriele Di Renzo, Antonio Di Resta, Tullio Di Resta, Davide Di Sario, Fabrizio Di Stefano, Massimo Di Stefano, Antonio Di Tonno, VincenzoDi Vito, Antonio Diana, Francesco Diana, Salvatore Dibenedetto, Renato Digoncelli, Ermanno Dilda, Rita Dimascio, Rocco Dirella, Giuseppe Dispinzieri, Eros Divitti-ni, Mario Dognini, Franco Dolci, Manuela Dolci, Paolo Dolci, Tiziana Dolci, Bruno Doloni, Angelo Domenichini, Barbara Domenighini, Enrico Donati, Mauro Dona-ti, Daniele Donda, Fabio Donda, Livio Donda, Luca Donda, Giuseppe Dondi, Mariangela Doneda, Marco Donelli, William Donelli, Luigi Donghi, Vincenzo Dongio-vanni, Giovanmaria Donina, Carlo Donzelli, Francesca Donzelli, Marina Donzelli, Norma Donzelli, Clelia Dore, Agostino Dossi, Andrea Dotti, Tiziana Draghi, Danie-la Drago, Giuseppe Durante, Vincenzo Durante, Paolo Dusi, Cristian Econimo, Lorenzo Econimo, Mostafa El Fehdi, Emanuele Elli, Pietro Ellul, Olga Elvetti, Nicola Epi-fano, Dionigi Erba, Luana Eridano, Roberto Erme, Alessandro Esposito, Antonella Esposito, Antonio Esposito, Carmine Esposito, Mario Esposito, Massimiliano Esposito,Sante Esposti, Matteo Fabrici, Diego Facchinetti, Marco Facchinetti, Alexander Facchini, Davide Facchini, Luca Facchini, Giovanni Faccia, Luciano Facoetti, GiuseppeFaé, Giampietro Fagetti, Cosimo Faggiano, Alessandro Fagnani, Beniamino Fagoni, Gianbattista Faini, Carlo Falasco, Andrea Faldarini, Roberto Falgari, Bortolo ClaudioFanchini, Sergio Fanelli, Domenico Fanetti, Enrico Fanfoni, Battista Fantini, Matteo Fantini, Diego Fapanni, Maria Elena Fapanni, Maurizio Faré, Emil Fascendini, Floria-no Fascendini, Gianluca Fascendini, Matteo Fascendini, Valter Fascendini, Sergio Fatai, Claudio Fatoni, Margherita Favero, Maria Fazio, Vincenzo Luigi Fazzari, CesareFazzina, Francesca Fedele, Franco Fedeli, Camilla Fedi, Lorenzo Fedriga, Flavio Fei, Alberto Fellissini, Andrea Femiani, Angelo Fenaroli, Paola Fenaroli, Emilio Fenili,Virgilio Fenili, Pietro Fenotti, Giancarlo Feraboli, Rebecca Feroldi, Romano Feroldi, Mauro W. Ferracin, Luciano Ferraglio, Mario Ferrandi, Lucia Ferrante, Mario Ferra-ra, Marco Ferraresi, Antonio Ferrari, Auro Ferrari, Bruno Ferrari, Carlo Ferrari, Daniele Ferrari, Egidio Ferrari, Flavio Ferrari, Giovanni Ferrari, Ilario Ferrari, Luigi Ferrari,Mauro Ferrari, Nadia Ferrari, Romeo Ferrari, Silvia Ferrari, Valter Ferrari, Viviana Ferrari, Alberto Ferrario, Matteo Ferrario, Piera Ferrario, Aldo Ferraris, Renza Laura Fer-rati, Claudio Ferreri, Gaetano Ferreri, Monica Ferri, Tiziano Ferri, Nunzio Antonio Ferrigno, Stefano Ferrini, Letizia Marta Ferro, Ivan Festa, Marco Festa, Dario Fezzardi,Noris Fietta, Vincenzo Figaroli, Emilio Figini, Fabio Figliuolo, Domenico Filippelli, Fabio Filippi, Guglielmo Filippi, Paolo Filippi, Luca Filippin, Claudio Filippini, RitaM.L. Finazzi, Claudio Finelli, Marco Finocchio, Fulvio Fiorani, Gianluca Fiorella, Mario Fiori, Elmati Firari, Evaristo Fiscato, Ezio Fiscato, Stefano Fiscato, Diego Fistole-ra, Miriam Flisi, Renato Flor, Luigi Fogazzi, Oscar Fogazzi, Nicola Foglia, Andreino Fogliadini, Giacomo Fogliata, Angelo Foglio, Lorenzo Foglio, Elvezio Folini, DiegoFolla, Paolo Fonso, Emanuele Fontana, Luca Fontana, Stefano Forati, Rino Forcella, Mauro Foresti, Paolo Foresti, Gianantonio Forlani, Massimo Formica, Clelia Fornera,Giulio Fortini, Angelo Fortunato, Luigi Foschetti, Tullio Fostini, Antonio Foti, Antonino Foti, Lara Foti, Giovanni Fracassetti, Andrea Fracassi, Giancarlo Francinetti, Salva-tore Fragale, Fulvio Franceschelli, Alberto Franceschina, Domenico Franceschini, Elena Francesconi, Francesco Francesetti, Alfio Franchini, Andrea Franchini, CristianFranchini, Enzo Franci, Fabio Frangi, Carla Franzini, Angelo Franzoni, Luigi Franzoni, Mario Franzoni, Pietro Franzoni, Claudio Franzoso, Claudio Fraschini, GiovanniFrassi, Sandra Frassi, Carlo Fratini, Giuditta Fregonese, Adriana Fresca Fantoni, Piercarlo Frezzato, Rocco Friciello, Claudio Frigeri, Carlo Frigerio, Davide Frigerio, Fran-cesca Frigerio, Roberto Frigerio, Tullio Frigerio, Claudio Frigetto, Flavio Frignani, Stefano Frignani, Maurizio Frignati, Mauro Frigo, Silvano Frison, Giorgio Frosi, GiorgioFrosio, Angelo Fullone, Francesco Fullone, Bruno Fumagalli, Clara Fumagalli, Ernesto Fumagalli, Franca Fumagalli, Franco Fumagalli, Giulio Fumagalli, Luciano Fuma-galli, Marta Fumagalli, Matteo Fumagalli, Sergio Fumagalli, Paolo Fuochi, Ettore Fusari, Felice Fusari, Primo Fusari, Cristiano Fusaro, Claudino Fusi, Mario Gabelli,Samantha Gabellotto, Pancrazio Gaetano, Davide Pietro Gafforelli, Davide Gafforelli, Pierantonio Gaffuri, Giuseppe Gagetti, Nicola Gaioni, Patrizia Galantini, PietroGalbardi, Fabrizio Galbiati, Ernesto Galbusera, Gabriella Galbusera, Eugenio Galeazzi, Franco Galeazzi, Daniele Galimberti, Giuseppe Galleani, Alioscia Gallerani,Andrea Galli, Cristian Galli, Giovanna Galli, Giuditta Galli, Luca Galli, Marco Galli, Massimiliano Galli, Nadia Galli, Roberta Galli, Stefano Galli, Francesco Galliaz-zo, Maurizio Gallizioli, Luisa Gallo, Elisa Gallo Cassarino, Giuseppe Gallotta, Gianfranco Gallotti, Agata Galvagno, Mauro Galvani, Adriana Galzignato, GiovanniGamba, Flavia Gambaroni, Giorgio Gambassa, Angelo Gandaglia, Pier Roberto Gandelli, Raffaella Gandelli, Enrica Gandolfi, Pierluigi Gandolfi, Battista Gandossi,Carlo Gandossi, Paolo Gangini, Fabrizio Ganzerla, Giovanni Gaoli, Germano Garatti, Luigi Garau, Claudio Garavaglia, Silvio Garavelli, Franco Garbellini, AlessandraGardoni, Leonello Gardoni, Augusto Paride Garghentini, Alessio Gargioni, Giovanni Garioni, Giuseppe Garlaschelli, Pietro Giacomo Garlaschelli, Luigina Garolfi,Graziano Garzetti, Mario Gasparin, Filippo Gasparini, Simonetta Gasperini, Assunta Gatelli, Giuseppe Gatta, Morris Gatta, Sonia Gatta, Adolfo Gatti, Angelo Gatti, Cri-stina Gatti, Emanuele Gatti, Francesco Gatti, Giorgio Gatti, Luca Gatti, Luciano Gatti, Massimo Gatti, Paolo Gatti, Luigi Gattico, Mario Gatto, Vincenzo Gaudiosi,Romolo Gavarini, Samuele Gavazzi, Maurizio Gavazzoli, Emanuele Gazza, Cristina Gazzi, Andrea Geissa, Cloridano Gelati, Maria Gelli, Claudio Gelmetti, GiulianoGelmini, Davino Gelosa, Walter Gelosa, Natale Gemmi, Angelo Gennari, Cristian Gentile, Luigi Gentile, Erminio Germinario, Angelo Gerna, Monica Geroldi, Ange-lo Gerosa, Massimiliano Gerosa, Gianmario Gervasoni, Giovanni Gervasoni, Umberto Gervasoni, Bruno Fabio Ghelfi, Giacomino Gherardi, Vittorio Ghidetti, Rober-to Ghidinelli, Riccardo Ghidoni, Daniela Ghilardi, Giorgio Tiberio Ghilardi, Pierangelo Ghirardi, Umberto Ghiringhelli, Mario Ghislanzoni, Silvano Ghislanzoni,Eugenio Ghisleri, Domenico Ghizzinardi, Eugenio Giacomelli, Franco Giacomelli, Simona Giacomelli, Donato Giacometti, Giuliano Giacomi, Cirelli Giacomo,Calogero Giacopino, Marco Gialdini, Valter Giambelli, Salvatore Giammetta, Silvia Giana, Massimo Giandini, Renato Gianella, Alessandro Giani, Gianfranco Giani,Giuseppe Giannini, Renato Gianotti, Roberto Giassi, Angelo Giavarini, Angelo Gilardi, Paolo Ginami, Bruno Gioia, Michele Giordano, Salvatore Giordano, RobertoGiovanelli, Lelio Giovanessi, Claudio Giovannini, Rodolfo Giovari, Emiliano Girardi, Claudio Girelli, Maria Grazia Girola, Andrea Gironi, Mara Gironi, MassimilianoGiudes, Domenico Giudice, Alfio Giudici, Andrea Giudici, Marco Giudici, Claudio Giuliato, Laura Giupponi, Ottorino Giurato, Elio Giustinoni, Marco Giustinoni,Omero Lorenzo Glumi, James Gnani, Giulio Gobbetti, Cristian Gobbi, Dolores Gobbi, Giovanni Gobbi, Maicol Gobbi, Michael Gobbi, Renzo Gobbi, Francesco Gof-fi, Guido Goffi, Silvano Goffi, Paolo Goi, Battista Goini, Emanuele Goldoni, Fabrizio Golonia, Giovanni Gorgoglione, Stefano Gorini, Alessandro Gorla, ManuelaGorla, Ugo Gorla, Battista Gorletta, Alfredo Gottardello, Alessandro Gotti, Ferruccio Gottifredi, Roberto Gozzini, Ernesto Gozzo, Fausto Gozzoli, Michele Gradanti,

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Giorgio Graia, Massimo Graia, Massimiliano Grana, Mirko Granata, Raffaele Granata, Antonio Grandi, Fulvio Grassetti, Dario Grassi, Davide Grassi, Franco Grassi,Mauro Grassi, Mirco Grassi, Elena Grassini, Fabrizio Grataroli, Angelo Grazioli, Lucio Grechi, Luigi Greco, Carlo Greguoli, Giovanni Greppi, Omar Greppi, RobertoGreppi, Davide Grigis, Daniele Grilli, Giuseppe Grisafi, Alessandro Grisanti, Faustino Gritti, Gianfranco Gritti, Maria Grazia Gritti, Simone Gritti, Giulio Grizzetti,Mario Grizzetti, Simone Groff, Alberto Grossi, Natale Gruppillo, Emilio Gualandris, Maria Letizia Gualdoni, Giordano Guandalini, Andrea Guarienti, Natale Guarino,Thomas Guarischi, Luca Guasconi, Mauro Guazzato, Mario Guazzetti, Giuliano Guerienti, Pierluigi Guerini, Pasquale Guerinoni, Roberta Guerra, Gianfranco Guerre-schi, Giovanni Guerrini, Bersini Guerrino, Elio Guida, Riccardo Guidi, Walter Guidi, Daniela Guindani, Pierina Guizzardi, Rinaldo Guizzardi, Eugenia Guizzetti, Fer-dinando Guizzetti, Giovanni Guizzo, Pietro Gulberti, Oscar Gull, Pamela Gulperti, Guido Gurini, Silvia Gustinelli, Giovanni Angelo Guzzi, Nicola Guzzone, EzioIacomella, Gaetano Giacomo Iacona, Cristina Iafullo, Sabrina Iannaccone, Alfredo Iannace, Franco Matteo Ilariucci, Alessandro Iliceto, Lorenza Imberti, Matteo Imber-ti, Roberta Imberti, Saverio Impelliceri, Riccardo Incicco, Aldo Innocenti, Vittoria Inserra, Sebastiano Interlandi, Lisa Inversini, Luca Inzerillo, Andrea Isonni, Luigi Kal-tembacher, Erica Maria Knollseisen, Marta La Gumina, Salvatore La Gumina, Santino La Malva, Calogero La Marca, Ruggiero La Mera, Roberto La Morticella, Mario LaRuina, Stefano La Sorda, Giuseppe La Terra, Salavatore Labrozzo, Alessandro Laffranchi, Domenico Lagonigro, Luca Lai, Claudio Lamarca, Flavio Lamberti, AntonioLamera, Ruggero Lamera, Nadia Lampertico, Gianmario Lampugnani, Marco Lampugnani, Roberto Lampugnani, William Lampugnani, Luciano Landini, FrancescoPaolo Landino, Umberto Landoni, Andrea Laneri, Mariaelisa Lanfranchi, Elisa Lanfranconi, Elvira Lanini, Mauro Lardelli, Roberto Laricchia, Gabriele Lasagna, RaffaeleLattanzio, Umberto Laurente, Bruno Laverone, Barbara Lavia, Maurizio Lazzaretti, Nico Lazzaretti, Maurizio Lazzari, Angelo Lazzarini, Enrico Lazzarini, Nicola Lazza-rini, Roberto Lazzarini, Sergio Lazzarini, Massimo Lazzaro, Romeo Lazzaroni, Enrico Lazzerini, Graziella Leali, Roberto Legati, Mariolino Leggio, Matteo Legnani,Angelo Legutti, Giorgio Lena, Bianca Lenarduzzi, Giorgia Leone, Luisella Leone, Michela Leone, Eligio Leonelli, Davide Leoni, Mario Leoni, Leonardo Leonzio, Miche-le Lepore, Paolo Lesbo, Gianpietro Leva, Alberto Levi, Nicola Liberato, Simon Licini, Christian Lieti, Massimo Lietti, Adriano Ligas, Carlo Marco Limido, Enrico Limoni,Franco Limonta, Ugo Limonta, Martino Linati, Eurosia Linetti, Pierpaolo Lio, Luigi Lione, Fabrizio Lizza, Lorenzo Lo Vecchio, Augusto Locatelli, Ciro Locatelli, CristianLocatelli, Danilo Locatelli, Dario Locatelli, Gabriele Locatelli, Giovanni Locatelli, Ivan Locatelli, Moreno Locatelli, Pierangelo Locatelli, Angelo Locati, Valentina Loca-ti, Fausto Loda, Giorgio Loda, Cristian Lodetti, Giovanni Loglio, Eugenio Lombardo, Enzo Lonardi, Nicola Lonardi, Giampaolo Longhi, Ugo Longhi, Pasqualino Longo,Andrea Longoni, Marco Longoni, Adriano Lorandi, Giampietro Lorandi, Clemente Lorenzini, Graziana Lorini, Riccardo Losa, Fernando Losi, Patrizio Losi, AlessandroLosio, Filippo Lospalluto, Marina Lotterio, Francesca Lottici, Sandro Lovati, Natale Salvatore Lovecchio, Edoardo Loverini, Pierluigi Lozio, Roberto Luberti, AmbrogioLucchini, Fernando Lucchini, Paolo Lucchini, Parma Luciana, Ferdinando Lucini, Roberto Lugana, Alessandro Luinetti, Guido Luiselli, Dante Ivanhoe Lujan Cubas,Fabrizio Lunghi, Rosanna Lunghi, Manuele Lunni, Daniele Lupi, Gianmarco Lupi, Luca Lupini, Angelo Luraschi, Gianfranco Lusenti, Mauro Lussana, Pietro Luigi Lus-sana, Antonio Mabretti, Carla Macario, Guglielmo Macchi, Mauro Macchi, Pierenrico Macchini, Carlo Macri, Debora Macri, Vladimiro Maderna, Monica Maduli, Car-lo Maffeis, Luca Maffi, Giuliano Maffioli, Stefano Magagnato, Rita Magagnoli, Massimiliano Maggi, Silvestro Maggi, Fabrizio Maggiolini, Cristiano Maggioni, FabrizioMaggioni, Costanzo Maggiori, Giancarlo Magistrelli, Giuseppe Maglione, Pietro Magliulo, Raffaele Magliulo, Giampiero Magnani, Antonio Magni, Daniela Magni,Giorgio Magnolfi, Mauro Magnoni, Aldo Magri, Francesco Magri, Flavio Magro, Andrea Mainardi, Piero Maini, Paolo Maino, Angelo Maiolani, Walter Maiolini, LucaMaiolo, Franco Maistro, Luigi Malacrida, Valeria Malacrida, Roberto Malafarina, Isidoro Malagutti, Fabio Malascalza, Walter Malazzi, Franco Maletta, Fabio Malgarot-ti Ronchi, Giancarlo Malinverno, Marri Maltarolo, Giovanni Maltecca, Mauro Maria Maltese, Giuseppina Malugani, Lino Mambrin, Umberto Manara, Giuseppe Man-ca, Antonio Mancinelli, Francesco Mancuso, Giuliano Mandelli, Vittorio Manente, Giovanni Manenti, Giacomo Manera, Silvio Manfredini, Siegfried Mangano, Dona-to Mangialetti, Antonella Mangili, Stefano Manglio, Alberto Manini, Sergio Manini, Massimiliano Maniscotti, Giuseppe Manoli, Giuliano Mansani, Andrea Manstretta,Luigi Mantegazza, Luigi Silvano Mantegazza, Fernando Mantovani, Luca Mantovani, Franco Manzoli, Arnaldo Manzoni, Pierino Manzoni, Renzo Manzoni, Rudj Man-zoni, Stefano Manzoni, Alessandra Marafetti, Marisa Maragna, Francesco Marazzi, Carla Marcandelli, Alessio Marchese, Paolo Marchese, Mariano Marcheselli, ElioAndrea Marchesi, Enrico Marchesi, Piero Marchesi, Adua Marchetti, Marco Marchetti, Paolo Marchetti, Valerio Marchetti, Cesare Marchi, Daniela Marchi, Luca Marchi,Michel Marchi, Gabriella Marchignone, Tarcisio Marchina, Andrea Marchini, Sandro Marchini, Marco Marconi, Guido Marcotti, Silvio Marcucci, Armando Marenda,Daniela Maretti, Giorgio Maretti, Arnaldo Margutti, Alessandro Mari, Luigi Mari, Adriano Mariani, Alberto Mariani, Fabio Mariani, Francesco Mariani, Luigi Mariani,Mariausidia Mariani, Salvatore Mariani, Walter Mariani, Ivana Marindi, Stefano Marieni, Felice Marinelli, Michele Marinelli, Giancarlo Marini, Laura Marini, MariaRosa Marini, Mario Marini, Ivano Marino, Dario Marinoni, Silvia Marinoni, Fabrizio Mariotti, Lucia Mariotti, Massimo Mariotti, Simone Maritan, Mario Mariuz, Gaeta-no Maroni, Massimo Marozzi, Eva Marrella, Tommaso Marrese, Roberto Marsala, Lorenzo Marsetti, Flavio Marsilli, Massimo Martegani, Camilla Martelli, Carlotta Mar-telli, Franco Martellosio, Severino Martin, Giovanni Martina, Maurizio Martina, Vittore Martina, Battista Martinazzoli, Alfredo Martinelli, Claudio Martinelli, DavideMartinelli, Franco Martinelli, Massimo Martinelli, Michele Martinelli, Omar Martinelli, Alberto Martinetti, Albino Martini, Giuseppe Marturelli, Maria Cristina Maruc-co, Francesco Marullo, Claudio Marveggio, Italo Marzi, Alessandro Marziali, Daniele Marzini, Maurizio Marzullo, Andrea Mascherini, Giovanni Mascherini, RupertoMascheroni, Concetta Masciangelo, Adriano Mascioni, Daniela Maselli, Bruno Masiero, Andrea Masoni, Carlo Massa, Fabio Massa, Fabrizio Massa, Matteo Massa,Nadia Massari, Andrea Massaro, Luca Mastroianni, Alberto Materzanini, Gianfranco Mattaboni, Manuela Mattanza, Maria Mattavelli, Angelo Mauri, Carlo Enzo Mau-ri, Livio Alessandro Mauri, Marcello Mauri, Stefano Mazza, Livio Mazzan, Giorgio Mazzaracca, Mario Domenico Mazzeo, Tommaso Mazzeo, Mauro Antonio Mazzet-to, Sante Mazzetto, Paolo Mazzini, Pantaleone Mazzitelli, Alberto Mazzocchi, Lorenzo Mazzocchi, Chiara Mazzola, Walter Vittorio Mazzola, Paola Mazzoldi, DanieleMazzoleni, Laura Mazzoleni, Marco Mazzoleni, Mauro Mazzoleni, Roberto Mazzoleni, Simone Mazzoleni, G.Battista Mazzucchelli, Giacomo Mazzucchelli, ValterMazzucchelli, Massimiliano Meani, Cristian Medeghini, Salvatore Melana, Antonio Melegari, Matteo Mellera, Cosimo Mellone, Claudio Melocchi, Gianpaolo Meloni,Simone Melzi, Juri Menegari, Elisabetta Meneghello, Francesco Meneguzzi, Gabriella Mensi, Ugo Meraviglia, Giuliano Meregalli, Alberto Merli, Angelo Merlini, Anto-nio Merlino, Luca Merlotti, Maurizio Merlotti, Cornelio Meroni, Elisa Meroni, Laura Meschiari, Giorgio Messetti, Salvatore Messina, Felice Metelli, Daniele Mezzanza-nica, Riccardo Mezzetti, Loris Michielazzo, Giacomo Micheli, Elena Milan, Andrea Milan, Marco Milanato, Carlo Milani, Giovanna Milani, Aldo Milesi, DonatellaMilesi, Egidio Milesi, Gianbattista Milesi, Giulio Milesi, Luigi Milesi, Paolino Milia, Luca Ernesto Milo, Piercarlo Minari, Monica Minazzi, Matteo Minchio, IgnazioMincuzzi, Giancarlo Minella, Mario Minella, Stefano Minelli, Luciano Minniti, Otello Minoia, Giovanni Minutoli, Saverio Minzera, Chiara Miotti, Giorgio Miotto, LorisMistura, Giacomo Modina, Franco Modolin, Silvio Modolo, Simone Moi, Giorgio Moino, Matteo Molaschi, Andrea Molendi, Enrico Moles, Alessandra Molinari, Euge-nio Molinari, Sergio Molinari, Silvio Mollica, Michele Mologni, Fabio Molon, Maurizio Molteni, Mauro Molteni, Ido Moltoni, Leonardo Moltoni, Fabio Mombelli, Lui-gi Mombelli, Felice Monfrone, Daniele Monfroni, Federico Mongiorgi, Eugenio Montagna, Primo Montagna, Francesco Montalbano, Alfredo Montanari, GiuseppeMontanaro, Fabrizio Montinaro, Riccardo Montini, Angelo Montis, Michela Montis, Antonio Montrasio, Sergio Montrasio, Caterina Mora, Eliseo Mora, Donatella

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Morali, Giovanni Morali, Laura Moranda, Gianmario Morandi, Paolo Morandotti, Giuseppe Morbio, Giovanni Moreschi, Angelo Moretti, Daniela Moretti, FrancescoMoretti, Giancarlo Moretti, Gino Moretti, Marco Moretti, Mario Moretti, Marzio Moretti, Ruggero Moretti, Stefano Moretti, Matteo Moretto, Eliano Moriggi, FrancescoMoriggi, Santina Moriggi, Raffaella Moriggio, Salvatore Mormome, Amalio Pio Mornata, Flavia Moro, Gabriele Moro, Gian Paolo Morone, Marco Morone, AdelmoMoroni, Alba Moroni, Dario Moroni, Francesco Moroni, Monica Moroni, Silvano Moroni, Urbano Moroni, Francesco Morosini, Deborah Morsavilini, Enrico Morselli,Francesco Morzenti, Dario Moscardin, Andrea Mostosi, Diego Mostosi, Franco Motta, Michele Motta, Oscar Motta, Agostino Mottes, Maria Luigia Mozzi, Luca Muc-chietto, Giovanni Mulas, Dario Mulazzani, Franco Muner, Simone Muraro, Emilio Murro, Andrea Murru, Gianvittorio Murru, Luciano Musanti, Calogero Musarra Tubi,Francesca Musciatelli, Giovanni Angelo Mussi, Giovanni Mussi, Luigi Mussi, Sabrina Mutti, Silvio Mutti, Corrado Muzzi, Stefania Nana, Francesco Nanfaro, Valter Nar-delli, Gianfranco Nardini, Marco Nassini, Davide Nassuato, Adriano Nava, Giuseppe Nava, Giorgio Navarra, Mario Nazzari, Attilio Negri, Claudio Negri, ErnestinoNegri, Giovanni Negri, Giuseppina Negri, Iole Negrini, Augusta Negrinotti, Cristian Negrinotti, Laura Negrinotti, Valeria Neri, Vittorio Neri, Silvestro Nevola, FrancoNezosi, Giangiuseppe Nezosi, Mite Maria Nezosi, Simone Nezosi, Massimo Nichetti, Paolo Nicola, Raffaele Nicola, Libero Nicolai, Gino Nicolini, Erminia Nigrelli,Luca Nisti, Pierangelo Nobili, Franco Nolli, Marco Nordio, Mario Nori, Fabiola Noris, Francesca Nosadini, Cesare Nossa, Antonio Nova, Stefano Nova, Vittorio Novel-lo, Juri Nozari, Francesco Nuzzolese, Mario Odelli, Daniela Oggioni, Luigi Oggioni, Massimo Oggioni, Mariavittoria Ogliara, Marco Ojan, Piero Oldrati, Claudio Oli-vari, Angela Olivetti, Atos Olivieri, Dino Olmi, Alan Omodei, Andrea Omodei, Vladimiro Omodei, Edgardo Ondei, Martino Ontani, Rocco Opizzi, Andrea Opran-di, Francesco Oprandi, Aurelio Oreglia, Maurizio Orioli, Paolo Orioli, Giovanni Orizio, Massimo Orisio, Carlo Orlandi, Maurizio Orlandi, Remo Orlandi, Mauro Anto-nio Orlando, Maurizio Ornaghi, Maurizio Orsanigo, Flavio Orsatti, Davide Orsignola, Luigi Ortenzio, Franco Ortu, Costantino Osio, Mauro Osmetti, Francesco Osna-go, Elena Ossola, Enrico Davide Ottaviano, Angelo Ottelli, Santino Ottelli, Novella Ottolina, Roberto Ottoni, Ferdinando Ozzimo, Alessandro Paccanaro, MassimoPacchiarini, Gianfranco Pace, Bruno Pacini, Gaetano Pacrazio, Donatella Paderni, Valentino Paderno, Loris Padovan, Antonio Padovani, Francesco Padovani, SivlioPadovani, Antonio Paganelli, Carlo Paganelli, Marco Paganelli, Antonio Pagani, Gabriele Pagani, Luciano Pagani, Vitaliano Pagani, Ivan Paganotti, Romolo Paganotto,Emanuele Pagnoncelli, L. Alessandro Pagnoncelli, Ottorino Pagnoni, Rocco Pagnotta, Marco Pagura, Anna Maria Paini, Andrea Paiola, Emanuele Palagiano, SalvatorePalermo, Andrea Paletti, Angelo Palladini, Roberto Palmabella, Cristian Palmieri, Paolo Palmieri, Giacomo Palmizio, Maurizio Pampado, Sergio Pan, Silvia Pandiani,Andrea Pandini, Michele Pandolfi, Vincenzo Pandolfi, Giuseppe Panigada, Alberto Panizza, Simone Panizza, Massimo Panizzi, Roberto Panizzolo, Renzo Pantarotto,Giovanni Pantus, Carmen Panza, Alberto Panzera, Attilio Panzeri, Matteo Panzeri, Silvio Panzi, Giuseppe Papa, Giorgio Papa, Pietro Papazzoni, Franco Paravicini, Gian-luigi Pardo, Bernardo Parecchini, Paolo Giulio Parenti, Gianpietro Pareschi, Luigi Paridi, Maurizio Paridi, Alda Paris, Enrico Paris, Giacomo Paris, Giuseppe Paris, LucaParis, Mattia Paris, Giovanni Parisotto, Ernesto Parma, Giovanni Parma, Sabrina Paro, Clara Parolari, Rudi Parolari, Fulvio Paroli, Franco Parravicini, Edio Paruta, MauroParzanici, Corrado Pasinelli, Emilia Pasinelli, Ersilia Pasinelli, Gabriele Pasinelli, Giovanna Pasinelli, Luca Pasinelli, Marco Pasinelli, Michelangelo Pasinelli, Silva Pasi-nelli, Wainer Pasinelli, Ivan Pasinetti, Dario Pasini, Giampiero Pasini, Luciano Pasini, Ruggero Pasini, Edi Pasotti, Eleonora Pasotti, Gabriele Pasotti, Paolo Pasotti, DenisPasquali, Pietro Pasquali, Silvio Pasquini, Giovanni Passalacqua, Massimo Passera, Giovanni Passerini, Marco Luca Passini, Riccardo Pastorelli, Antonia Patelli, Valenti-no Patelli, Filippo Patera Filsa, Gianluca Paterlini, Maurizio Pavani, Mauro Pavesi, Stefano Pavesi, Tonino Paviani, Silvia Pavoni, Francesco Pecorari, Arcangelo Pedemon-ti, Luigi Pedersoli, Francesco Pedone, Marco Pedrana, Claudio Pedretti, Gino Giorgio Pedretti, Giuseppe Pedretti, Monica Pedretti, Paolo Eros Pedretti, Tiziano Pedretti,Alessio Pedrinazzi, Claudio Pedrini, Bruno Pedrocchi, Roberto Pedrolli, Tulio Pedrollo, Christian Pedroncelli, Luca Pedroncelli, Alessandra Pedroni, Erminio Pedrotti,Vittorio Pedruzzi, Guido Pegoraro, Spartaco Pelacchi, Gianpietro Peli, Patrizia Peli, Santino Pelizza, Antonio Mario Camillo Pelizzoli, Ornella Pellegatta, Bruno Pellegri-nelli, Lino Pellegrini, Vincenzo Pellegrino, Silvano Pellicani, Fabio Pelliccioli, Gennaro Peluso, Tommaso Peluso, Lucia Penati, Reginaldo Peracchi, Giuseppe Peregalli,Antonio Perego, Fabio Perego, Giuseppe Perego, Laura Perego, Luigi Perego, Luigi Peretti, Giacomo Peri, Aldo Perico, Paolo Perico, Pietro Perico, Stefano Perillo, Clau-dio Perin, Roberto Perlini, Sabrina Perlini, Valter Perlini, Angelo Perna, Carmine Perna, Mario Perna, Salvatore Perna, Carlo Pernigoni, Barbara Perondini, Tommaso Per-rotta, Michele Persico, Oscar Persico, Lucia Pertile, Bruno Perucchini, G. Carlo Perucchini, Lodovico Peruzzi, Vincenzo Pesante, Francesco Pesce, Oscar Peschiera,Giuliano Petesi, Vito Petita, Maria Lina Petitto, Francesco Petrocchi, Aldo Petrogalli, Tatiana Petrucci, Adriana Peverada, Lorenzo Pezzali, Gianfranco Pezzetta, AndreaPezzoli, Gabriele Pezzotti, Luca Pezzotti, Renato Pezzotti, Mario Piacenza, Valter Pianazza, Carlo Piazza, Miriam Piazzalunga, Bortolo Piazzani, Gian Fausto Piazzani,Gian Paolo Piazzani, Pietro Enzo Piazzi, Primo Piazzi, Ludovica Piazzoni, Gianfranco Piccinelli, Massimo Piccinelli, Ermanno Piccolo, Mariella Piccolo, EugenioPicozzi, Gian Mario Pieretto, Luigi Pierone, Luigi Pignanelli, Achille Pigni, Valter Pilatti, Ezio Pinalli, Gianluigi Pincetti, Paolo Pinciroli, Emnuela Pinetti, FrancescoPinetti, Cristian Pini, Antonio Pinna, Renato Pinotti, Gianni Pinzetta, Roberto Piola, Lino Piovanelli, Luigi Piovani, Giovanni Piovera, Tiziano Piovesan, Antonio Pippe-ri, Mario Piran, Matteo Piran, Giuseppe Pirelli, Alberto Pirola, Domenico Pirola, Gabriele Pirovano, Ruth Pirovano, Ugo Pirozzi, Mariano Pirrello, Daniela Pisanu, Fran-cesco Piscioli, Franco Piscioli, Luciano Pisnoli, Monica Pispico, Ugo Piva, Alberto Piva, Giacomo Piziali, Gian Luigi Piziali, Claudio Pizio, Giulio Pizio, Nahyeli Pizio,Francesco Pizzagalli, Gianfranco Pizzamiglio, Alberto Pizzetti, Giampiero Pizzi, Fausto Pizzini, Mario Pizzini, Alberto Pizzo, Alessandro Plebani, Franco Plebani, Mar-co Plebani, Paolo Plebani, Angelo Plona, Daria Pluda, Maria Rosa Pluda, Lucia Pochetti, Mario Pochetti, Giorgio Podestà, Alessandro Poffi, Andrea Poggi, Claudia Pog-gi, Stefano Polenghi, Albino Poletto, Donatella Poli, Maurizio Poli, Sergio Polinelli, Antonino Polizzi, Fabio Pologna, Gianbattista Polonioli, Lorenzo Poma, LucianoPoma, Simone Poma, Andrea Pomes, Ermanno Ponti, Giovanni Ponti, Fioralba Pontiggia, Giuseppe Pontone, Teodorico Ponzo Motta, G.Battista Ponzoni, Ida Ponzoni,Valentina Ponzoni, Walter Ponzoni, Maurizio Porazzi, Fabio Porotti, Marica Porro, Massimo Porro, Giampietro Porta, Pierangelo Porta, Gian Luca Porteri, MassimilianoPorteri, Teresa Posa, Francesco Pozzaglio, Fabrizio Pozzi, Giuseppe Pozzi, Mauro Pozzi, Nicoletta Pozzi, Felice Pozzoli, Serafino Pozzoli, Alessandro Prada, ClaudioPrada, Claudio Preda, Luigi Preda, Palmiro Premoli, Filippo Prestigiacomo, Marco Preti, Riccardo Previati, Giovanni Previtali, Ripalta Preziuso, Andrea Primavera, Fran-cesco Priolo, Lucia Priora, Celestino Proserpio, Milena Proserpio, Giancarlo Protti, Sergio Provezza, Matteo Provvidi, Marco Pietro Puglia, Luca Pugliese, GiuseppePulvirenti, Francesco Pusterla, Mario Quadri, Marzio Quadri, Enzo Quadrio, Simone Quadrio, Vittorio Quadroni, Giuseppe Quagliani, Maria Quartieri, Roberto Quat-tri, Vito Quercia, Federica Quinza, Marco Quirini, Fabio Rabossi, Cinzia Radice, Mario Radici, Elvira Raffaele, Laura Raffaele, Roberto Raggi, Giordano Ragnoli,Domenico Raimondi, Maurizio Raimondi, Lucia Raimondi Cominesi, Anna Rais, Sergio Rambaldi, Antonio Rambaldini, Luciano Rampini, Marco Ramponi, RobertaRamus, Leonardo Rania, Massimo Ranieri, Giuseppe Rapelli, Massimo Rapuzzi, Cristina Raschetti, Romano Raschetti, Giuseppe Rasera, Giuseppe Rasica, SimoneRava, Adriano Ravani, Cristian Ravani, Piergiuseppe Ravani, Mosè Ravasi, Tarcisio Ravelli, Piero Ravellini, Gianpietro Ravellini, Eleonora Ravizza, Livio Ravizza, Fede-rico Razzini, Mario Razzini, Massimo Re, Raffaele Re, Enio Rebai, Marco Recalcati, Francesco Recaldini, Diego Recenti, Angelo Redaelli, Carlo Redaelli, GiovanniRedaelli, Natale Redaelli, Sandro Redaschi, Tulio Redaschi, Gianfranco Redi, Veronica Redolfi, Roberto Reggi, Diego Regonati, Giordano Reina, Luigi Remigi, EmilioRenaldini, Pietro Rendazzo, Gian Luigi Rendina, Roberto Renzi, Silvano Reolon, Domenico Repici, Marco Rho, Silvana Ribola, Daniele Ribolini, Luciano Ribolla, Jes-

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sica Ricci, Marco Lamberto Ricci, Michele Ricciardelli, Andrea Ricciolini, Lucia Ricco, Antonio Riccobono, Renato Richiedei, Lorenzo Rigamonti, Mauro Rigamonti,Vincenzo Rigamonti, Dario Rimoldi, Stefano Rimoldi, Giuliano Rimondo, Rocco Rinaldi, Antonio Ringhini, Salvatore Riondino, Enrico Ripamonti, Ferdinando Ripa-monti, Gianluca Ripamonti, Michele Ripepi, Maurizio Risconi, Gianluca Risi, Giancarlo Riva, Giorgio Riva, Marco Riva, Rinaldo Riva, Sergio Riva, Giuseppe Rivellini,Daniele Rivetta, Giorgio Rizza, Alberto Rizzardi, Massimiliano Rizzato, Ermanno Rizzi, Ermes Rizzi, Ivan Rizzi, Sergio Rizzi, Angelo Rizzini, Sergio Rizzini, GiorgioRizzo, Salvatore Rizzo, Ambrogio Robbiati, Fabio Rocca, Luca Rocca, Mauro Rocca, Ottavio Rocca, Diego Rocchetti, Pierluigi Rocchi, Piermario Roda, AdrianoRogantini, Tomas Roggeri, Bruno Romagnoli, Massimo Romano, Davide Romanò, Matteo Romanò, Claudio Romelli, Pietro Roncalli, Andrea Roncelli, Enrico Ronchet-ti, Roberto Ronchetti, Ambrogio Ronchi, Giacomo Ronchi, Cristian Ronco, Roberto Ronco, Fabrizio Rondi, Maurizio Ronzio, Mauro Ronzoni, Renato Ronzoni, CarloRosa, Mauro Rosa, Filippo Rosalia, Sergio Rosanò, Elisa Rosati, Flavio Rosi, Giovanni Rosignoli, Luca Rossetti, Michele Rossetti, Riccardo Rossetti, Andrea Rossi, Ange-lo Rossi, Barbara Rossi, Domenico Rossi, Eleonora Rossi, Ettore Rossi, Federica Rossi, Franco Rossi, Roberto Rossi, Tiziano Rossi, Walter Rossi, Franco Rossini, LuciaRossini, Mauro Rosso, Francesco Rossoni, Renzo Rossoni, Adele Maria Rota, Alessio Rota, Egidio Franco Rota, Giuseppe Rota, Luciano Rota, Rosangela Rota, AlfredoRotella, Graziano Rotondo, Raffaele Rotondo, Massimiliano Rottoli, Mario Rovaris, Paolo Rovati, Bruno Roveda, Daniela Rovelli, Silvia Rovelli, Giuliano UmbertoRoveri, Walter Rovida, Pietro Rozzini, Giovanni Rubin, Oscar Ruffo, Salvatore Tonino Ruffo, Fabio Ruffoni, Carlo Ruggeri, Celeste Ruggeri, Giovanni Ruggeri, IvanoRuggeri, Maurizio Ruggeri, Sabino Ruggeri, Corrado Ruscica, Pierluigi Rusconi, Renato Rusconi, Valerio Russello, Maria Russo, Tiziana Ruviaro, Lucio Saba, SalvatoreSabatino, Sergio Sabbadini, Chiara Sabbioni, Angelo Saccani, Daniele Sacchi, Danilo Gelsomino Sacchi, Mauro Sacchi, Valentina Sacchi, Maksym Sadovnychyy, Davi-de Sala, Devis Sala, Enrico Sala, Erminio Sala, Giorgio Sala, Giuseppe Sala, Marco Sala, Moreno Sala, Remo Sala Tenna, Franco Salami, Massimo Salami, Andrea Sala-ri, Marco Salaris, Osvaldo Salavaneschi, Marcos Saldarini, Giuseppe Saligari, Maria Cristina Salis, Liliana Salodini, Giacomo Salonia, Giuseppe Salpietro, Claudio Sal-vadeo, Simona Salvadori, Mario Salvagni, Claudio Salvetti, Daniele Ferdinando Salvetti, Stefano Salvetti, Thomas Salvetti, Alessandra Salvi, Alessandro Salvi, FabrizioSalvi, Ines Salvi, Silvio Salvi, Laura Salvini, Maria Sambataro, Nadia Sanca, Nadia Sancini, Vittorio Sandionigi, Fabio Sandrelli, Moreno Sanfelice, Davide Sangalli,Maurizio Sangalli, Sergio Sangalli, Sara Sangiorgi, Chiara Sanpietri, Domenico Sansone, Grazia Santagati, Domenico Santagostino, Massimo Santambrogio, GianluigiSanti, Luigi Santinelli, Maurizio Santinelli, Vito Giovanni Santoiemma, Raffaele Santonastaso, Giovanni Santoro, Ludovico Santoro, Mario Santoro, Olga Santoro, Batti-sta Santus, Valerio Sanvito, Angelo Sapienza, Giovanni Sara, Mario Saraceni, Mirko Saraceni, Matteo Saranga, Giuseppe Sarchielli, Luigi Sartorato, Annamaria Sartore,Gigi Sartori, Isabella Sartori, Simone Sartori, Daniele Sarzi Sartori, Maria Pia Sassi, Walter Sassi, Gianmichele Sasso, Simone Satto, Giuseppina Savaresi, Armando Savi-ni, Massimiliano Savio, Alfredo Saviola, Romolo Savoia, Giuliano Savoldi, Roberto Savoldi, Carlo Savoldini, Valeriano Sbaraini, Mauro Sbardellati, Daniela Sbarufatti,Cristina Sbravati, Giuseppe Scabioli, Giuseppe Scaccabarozzi, Ottavio Scaccabarozzi, Pierantonio Scaletti, Nicola Scalzullo, Filippo Scambiato, Claudio Scanacapra,Domenico Scandale, Mauro Scandroglio, Fausto Scansani, Siman Scapuzzi, Claudio Scarabelli, Silvio Scaramella, Andrea Scarioni, Giuseppe Scattolini, Filippo Scavo,Francesca Scazzola, Francesco Scazzola, Aldo Sceresini, Alessio Schiatti, Fabrizio Schiatti, Roberto Schiatti, Michele Schifio, Giuseppe Schinelli, Piermario Schiroli,Giuseppe Scichilone, Fausta Gemma Schwarz, Cristina Scialò, Alberto Sciaravel, Roberta Scinetti, Daniele Scocchia, Pier Valter Scoglio, Luigi Scolari, Andrea Scorda-maglia, Enzo Scorpio, Franco Scoscini, Luciano Scotellaro, Adriano Scotti, Dario Scotti, Roberto Scroffi, Daniele Secchieri, Luigi Franco Seghezzi, Simone Segna,Michele Selvitella, Simone Semenza, Luigi Seminari, Giovanni Semperboni, Augusto Sempio, Roberto Semprebuono, Ugo Senocrate, Maurizio Seresini, Davide Serli-ni, Chiara Sertori, Stefano Sesana, Chiara Sesti, Katiuscia Setti, Maurizio Severini, Serafino Severini, Viviana Seveso, Laura Sforzini, Antonio Sgambi, Marco Sganzerla,Maurizio Sgarbi, Massimo Sgura, Gianluca Siciliano, Luigi Sigismondi, Giuseppe Signorelli, Luciano Signorelli, Mario Signori, Barbara Signorini, Massimiliano Signo-roni, Umberto Sigorini, Andrea Silvani, Bruno Silvestri, Luigi Silvestri, Maria Cristina Silvestri, Massimo Silvestri, Enzo Simonato, Flaviano Simondi, Santo Simone,Dario Simonetti, Valentino Simonetti, Luigi Simoni, Antonio Simonini, Marcello Sina, Nunzio Sindona, Pierluigi Sinesi, Marco Sinico, Fortunato Sinopoli, Luigi Sirian-ni, Giacomo Sirtoli, Marco Sirtori, Marco Sissa, Elisa Sisti, Francesca Slanzi, Aldo Soave, Giorgio Soffientini, Pietro Sofroni, Fabio Solaro, Graziano Soldati, Fabrizio Sol-dieri, Francesco Somensini, Gianantonio Sondrini, Stefano Songini, Sergio Sonnati, Amelio Sonzogni, Samuele Sordelli, Matteo Sormani, Tiziana Sormani, Ivan Sorsoli,Roberto Sozzi, Giovanni Spada, Elena Spagnoli, Roberto Spajani, Giuseppe Spalenza, Marco Spampatti, Domenico Spandri, Giuseppe Sparvieri, Vincenzo Spasiano,Franco Spaziani Testa, Raffaella Specchio, Cristina Specia, Silvano Spelgatti, Marco Speziale, Marco Spina, Sergio Spina, Edoardo Spinelli, Ginetto Spinello, Marco Spi-sni, Giuseppe Sporchia, Roberto Spoti, Antonio Spreafico, Matteo Spreafico, Mario Squaratti, Luca Squizzato, Davide Stacchetti, Davide Stachetti, Luca Roberto Stan-zione, Mauro Stefana, Pierangelo Stefana, Bruno Steffenini, Sergio Stevani, Mario Stevanin, Damiano Strada, Maurizio Stradiotti, Alda Stradiotto, Michelino Stranges,Francesco Stucchi, Marco Stucchi, Simone Stucchi, Michelangelo Stucci, Daniele Subacchi, Francesca Suglio, Angelo Suma, Pierfausto Superti, Riccardo Superti, Mat-tia Suzzani, Roberta Sverzellati, Giuseppe Tabiolati, Elisa Tacchinardi, Ezio Tacchinardi, Alberto Tacconi, Luigi Taetti, Angelo Tagliabue, Elena Tagliabue, GiuseppeTagliabue, Walter Tagliabue, Marisa Tagliaferri, Claudio Tagnochetti, Valter Taiocchi, Alex Talamona, Fiorenza Tallinucci, Valentino Taloni, Maurizio Tamagni, Aldo Tam-borini, Gian Pietro Tameni, Luca Tameni, Osvaldo Tameni, Livio Tammi, Giuseppe Tappella, Guido Tarabini, Marco Tarabini, Mario Tarantola, Angelo Taravella, GiorgioTarca, Duilio Tarchini, Helena Tarletti, Claudio Tasca, Rosalba Tavola, Gianluigi Tempo, Franco Tenchiri, Massimo Tentorio, Stefano Terenghi, Adi Terreni, Aldo Terrieri,Felice Teruzzi, Sergio Terza, Bortolino Terzi, Marco Terzi, Villy Tesei, Alex Tessarini, Corrado Testa, Giovanni Testa, Luigino Testoni, Luca Tettamanti, Omar Tiberti, DarioTiberto, Salvatore Tidu, Kathriyn Timms, Orlando Tira, Fabio Tiraboschi, Mirella Tiraboschi, Marco Tironi, Luca Titta, Massimo Tobia, Ruggero Tocco, Alessandro Todaro,Victor Todaro, Silvano Todesco, Elisabetta Tognetti, Ugo Togni, Walter Togni, Marco Toia, Mara Tolettini, Ivan Toloni, Gustavo Tomasi, Sergio Tomasi, Giuseppe Tomasi-ni, Barbara Tomè, Stephanie Tonani, Carlo Tondini, Roberto Tonni, Silvano Tonni, Alessandro Tonoli, Roberta Tonoli, Alfredo Torelli, Romeo Tormento, Giorgio Tornello,Clara Tornielli, Francesco Torre, Daniele Torrente, Giancarlo Torresani, Rosalino Torretta, Domenico Torri, Manuel Torri, Ettore Tosa, Germano Tosa, Enea Toscani, Stefa-no Toselli, Fabrizio Toso, Giovanni Toti, Marco Trapani, Luca Tregambe, Roberto Tresoldi, Roberta Trevisan, Paolo Trezzi, Fausto Trinca Rampelin, Antonino Tripodi, Vin-cenzo Tripoli, Paolo Triscorina, Katia Troli, Oliviero Troli, Silvia Trombetta, Giuseppe Trovato, Alessandro Tulis, Lorenzo Tumiati, Manuel Turati, Luciano Turatti, PrimoTurchetti, Gianbattista Turiani, Cinzia Turla, Mario Turla, Mauro Turla, Eleonora Turotti, Floriana Turra, Irene Tursi, Roger Ubaldini, Diego Uberti, Ezio Uberti, UgolinoUgolini, Anselmo Ungaro, Leonardo Urbano, Cinzia Urgnani, Silvano Urgnani, Maria Pia Urraci, Franco Usanza, Francesca Vacquin, Francesco Vailati, Giuseppe Vai-lati, Roberto Vailati, Carlo Valdi, Franco Valenti, Demetrio Valentini, Tommaso Valentino, Giuseppina Valenza, Giuseppe Valenzisi, Piergiorgio Valli, Claudio RomanoValsecchi, Maurizio Valsecchi, Renzo Valsecchi, Ulderico Valsecchi, Gianluca Valvassori, Massimiliano Valvassori, Doriano Vangelista, Alda Vaninetti, Valter Vaninetti,Giuseppe Vannetti, Massimiliano Vanoni, Paolo Vanoni, Walter Varetto, Francesco Varinelli, Roberta Varinelli, Giuseppe Varotti, Vincenzo Vasapollo, Giuseppe Vasec-chi, Giuseppe Vassena, Innocente Vassena, Giuseppe Vavassori, Antonio Vecchi, Vanni Vecchi, Viviana Vecchio, Lucrezia Venezia, Pierangelo Ventura, Fausto Venturel-li, Mauro Venturelli, Paolo Venturelli, Carlo Venturini, Paolo Verani, Alessandro Verdelli, Gianluigi Verderio, Paola Verderio, Luisa Verdi, Elsa Verga, Francesco Vergado-

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ro, Simona Veronelli, Roberta Vertemara, Roberto Vertola, Serena Verzelletti, Fabio Verzeroli, Claudio Veschi, Simone Vescovi, Fernando Vestetti, Mario Vettorello,Giambattista Vezzoli, Roberto Vezzoli, Luigi Vezzosi, Tiziana Vezzosi, Bruno Viadana, Mario Vian, Emidio Viavai, Mario Vicinelli, Daniele Vidali, Marco Vidoni, Alessan-dro Viganò, Dario Viganò, Graziella Viganò, Massimo Viganò, Francesco Vigna, Agostino Vignati, Marco Vignati, Matteo Vignati, Patrizia Vignoli, Adelia Villa, Amato Vil-la, Ambrogio Villa, Lorenzo Villa, Massimo Villa, Matteo Villa, Michele Villa, Rosario Villa, Tiziano Villa, Roberto Villano, Ivan Vinante, Federico Francesco Viola, Gian-franco Virtuani, Ernesto Viscardi, Alessandro Visini, Giuseppe Visinoni, Alberto Visioli, Mario Vismara, Alessandro Vitale, Biagio Vitale, Claudio Vitali, Daniele Vitali,Enrico Vitali, Giuseppe Vitali, Maria Luisa Vitali, Sergio Vitali, Tullio Vitali, Michele Vitulano, Paolo Viviani, Roberto Viviani, Filippo Viviona, Paolo Voci, Fabio Volantini,Paolo Volantini, Vincenzo Volpe, Bruno Volpi, Cristina Volpi, Roberto Zacchi, Govanni Zaffino, Alberto Zaffrea, Gilberto Zaina, Giampiero Zamai, Carlotta Zamarco,Mauro Zambarbieri, Stefano Zambelli, Franco Zammarchi, Franco Zampiero, Mirco Zamuner, Gabriele Zanardi, Oscar Zanardi, Fabio Zanardo, Lorenzo Zancato,Gabriele Zanchi, Gianfranco Zanchi, Marco Zanellato, Massimo Zanellato, Sergio Zanellato, Claudia Zanetta, Andrea Zanetti, Luisa Zanetti, Mauro Zanetti, ErnestoZanga, Antonino Zanghi, Gianfranco Zani, Mario Zani, Primo Zani, Antonio Zanini, Carlo Zanini, Corrado Zanini, Fabio Zanini, Gianpietro Zanini, Maurizio Zanirato,Gabriele Zanni, Nino Giovanni Zanni, Sergio Zanni, Angiolino Zanola, Augusto Zanoletti, Anna Zanon, Gianpietro Zanoni, Manuel Zanoni, Annamaria Zanotta, Stefa-no Zanotti, Paolo Zanzottera, Franco Zappella, Arrigo Zapponi, Duilio Zatti, Giovanmaria Zatti, Giuseppe Zecca, Roberto Zeni, Andrea Zennaro, Luciano Zerbinati,Mario Zeresi, Cecilia Zerla, Marcello Zerra, Mario Ziboni, Gianmario Zieri, Pietro Zighetti, Roberto Ziglioli, Davide Zignani, Andrea Ziliani, Massimo Ziliani, RobertoZiliani, Stefano Zilioli, Diego Zini, Eugenio Zoffili, Franco Zolin, Samuele Zonca, Simone Zonin, Tiberio Zoppa, Massimo Zoppi, Sabrina Zordan, Walter Zorloni, Ales-sandro Zubani, Luca Zubani, Paolo Zubani, Franco Zuccarini, Paolo Zuccati, Valerio Zucchelli, Claudio Zucchetti, Giovanni Zucchetti, Luigi Zucchi, Maurizio Zucchi,Pierantonio Zucchinali, Giovanni Zucco, Roberto Zuccollo, Lorenzo Zuccotti, Caterina Zuelli, Massimo Zuffi, Giulia Zuliani, Santo Zumbino.

Nella Missione Abruzzo, oltre a migliaia di volontari, il Sistema regionale lombardo di Protezione civile

ha impegnato tecnici e funzionari della Regione, delle Province, dei Comuni, delle Polizie Locali,

degli Ordini e degli Albi professionali, delle Università, dell’Azienda regionale per la Protezione dell’Ambiente

e di tutto il Sistema allargato di Regione Lombardia.

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Missione Abruzzo Testimonianze di Protezione Civile(Allegato al bimestrale “SICUREZZA NEWS”)

Pubblicazione della Direzione GeneraleProtezione Civile, Prevenzione e Polizia Locale di Regione Lombardia (www.protezionecivile.regione.lombardia.it)Assessore: Stefano Maullu(e-mail: [email protected])Direttore Editoriale: Marco CescaCoordinamento di redazione: Sandra Tabarri

Editore incaricato:Edizioni Nazionali Srl20142 Milano, viale Faenza 26/5 Registro operatori della comunicazione n° 1461

Coordinamento generale: Simona Bonfante Direttore responsabile: Luigi RigoCollaborazione giornalistica: Eleonora Marchiafava Progetto Grafico: Giovanni MontoncelloPhotographer: Michele Lepre

Stampa: Reggiani Spa Brezzo di Bedero (VA)Chiuso in tipografia: dicembre 2009Prima ristampa copie n° 3.000

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Grazie a Zoe Vincenti, che con i suoi scatti ha catturato l’anima della missione Abruzzo di Regione Lombardia restituendo ainomi un volto, ed alle parole un’immagine.Sono di Zoe le foto che accompagnano la testimonianza di Laura Sion, le immagini “sul campo” di Domenico De Vita e Cin-zio Merzagora ed alcuni momenti della lunga missione di Alessandro Caretti.

Grazie ad Alessandro Belgiojoso, che in Abruzzo è tornato più volte, fotografando la vita del campo, il backstage operativodella missione, gli uomini e i luoghi della Protezione Civile di Regione Lombardia. Il contributo di Alessandro alla MissioneAbruzzo sta nei tanti scatti riprodotti in maniera anonima tra le pagine del libro, e nel personale omaggio d’artista che havoluto fare alle vittime ed agli eroi del terremoto d’Abruzzo con la raccolta “personale” che qui pubblichiamo.

Grazie ad Elena Brivio, ingegnere occasionalmente prestato alla fotografia, che ha realizzato le immagini che accompagna-no il testo di Salvatore Barbara.

Un grazie speciale, infine, a tutti i volontari, i funzionari degli enti locali, gli operatori della Protezione Civile della Lombar-dia, gli amici che hanno contribuito con la loro testimonianza, le loro foto, il loro supporto alla realizzazione di questo libro.Ciascuno di loro avrebbe meritato un capitolo a sé.Ma lo spazio per dire loro grazie non sarebbe mai stato sufficiente.Questo libro è per tutti loro.

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www.regione.lombardia.it

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