Contro La Giustizia - Renzo Lombardi

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CONTRO LA GIUSTIZIA: Illegalità, lobby e miliardi nel Ministero di Grazia e Giustizia.

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I cittadini hanno il diritto d'ottenere dalla giustizia trasparenza ed efficienza. Qui un magistrato svela - sulla base di un'esperienzaj)ersonaIe -come invece il centro di coordinamento delle attività giudiziarie Ìn_Italia, il Ministero di Grazia e Giustizia, sia stato segretamente teatro di intrighi, di illegalità e di sperperi a danno dei cittadini. Proprio in,un settore strategico per l'incremento dell'efficienza: quello dell' informatizzazione.

Sullo scenario di affari miliardari intorno ai computer, compaiono fatti e persone che, apparentemente volti a migliorare il sistema giudiziario, paralizzano invece i tentativi di riformare un pubblico ufficio, e si rivelano cosÌ «contro la giustizia».

Nel libro c'è una frase-guida: «Il potere fa quello che gli pare, se gli pare e quando gli pare». Un'affermazione che riassume i contenuti e'lo stile di un racconto destinato a trasferire fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori il dibattito sulle deviazioni della Pubblica Amministrazione.

La vicenda esposta da Lombardi dimostra che il rinnovamento dello Stato non può essere limitato ai protagonisti della vita politica, ma deve investire necessariamente anche i vertici della burocrazia ministeriale. Tra questi vertÌci esistono singoli e gruppi che a volte sono riusciti a far prevalere i loro illegittimi interessi persino contro la volontà dei ministri in carica.

Erasmo Renzo Lombardi è nato ad Asmara (Etiopia) da famiglia originaria di Formia (Latina). Laureato in Giurisprudenza presso l'Università di Roma, ha 47anni. Ha svolto la professione forense e nel 1975 è entrato in Magistratura. Fino al maggio 1991 ha esercitato le funzioni di pretore a Borgomanero (Novara), dove ha realizzato un ufficio giudiziario moderno ed efficiente, dotato del sistema di automazione ritenuto il più avanzato in Italia. È stato più volte incaricato dal Consiglio Superiore della Magistratura di tenere lezione ai corsi di formazione per giovani magistrati.

Lombardi, chiamato al Ministero di Grazia e Giustizia; ha diretto per circa un anno l'Ufficio Automazione, competente per la gestione dell'informatica destinata agli uffici giudiziario Nel settembre del 1992, constatata l'impossibilità di operare con efficienza e trasparenza nella struttura ministeriale, ha rassegnato le dimissioni dall'incarico ed è ritornato alle sue funzioni di pretore a Borgomanero.

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RENZO LOMBARDI

CONTRO LA GIUSTIZIA Illegalità, lobby e miliardi

nel Ministero di Grazia e Giustizia

TULLIO PIRONTI EDITORE

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Copyright © 1993 by Tullio Pironti Editore Via

Port'Alba, 33 - Napoli

I edizione: aprile 1993

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SOMMARIO

AVVERTENZA pago Il

INTRODUZIONE » 13

Capitolo I

L'illustre Ufficio Automazione del Ministero di Grazia e Giustizia » 19

Si cambia tutto per non cambiare niente

Capitolo II

Arrangiati, se sai » 33

Questo matrimonio non s'ha da fare

Capitolo III

Storia di un consulente mai nato » 41Videoregistrazioni alla Ferraro, monitoraggi alla Di Federico e Comitato alla Pomodoro

Capitolo IV

La spartizione » 59

Non spendere i miliardi è fare brutta figura

Capitolo V

Come l'informatica va avanti anche senza Ufficio Automazione » 65

Una "pensione !nps" per la giustizia

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Capitolo VIStoria di un decreto nato morto » 7 5 Se la lobby non è d'accordo, si blocca l'ordine del ministro

Capitolo VIIFine del primo round L'inutile requisitoria dell'ignoto pubblico ministero

» 79

Capitolo VIII

La lettera scomparsa L'elefante diventa libellula

» 85

Capitolo IXStoria di una morte annunciata Fa risparmiare quattro miliardi: cacciatelo, perché è pericoloso

» 93

Capitolo XStoria di ispezioni soffocate, e di bavagli Il procuratore archi via. Anzi, dispensa elogi

» 103

Capitolo XIGli scheletri nell'armadio » 115 Tra un "Perseo" mitologico mica tanto, e "regi" antichi

Capitolo XII

Ai miei amici peones Imisteri del Ministero

» 129

POSCRITTO » 143

APPENDICE » 149

INDICE DEI NOMI » 171

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Alla memoria di babbo, e a mamma. E agli altri affetti, grandi,

che mi fanno luce nei percorsi.

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CONTRO LA GIUSTIZIA

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AVVERTENZA

Questo libro è nato con l'unica ambizione di informare i cittadini della condizione in cui versa un comparto importante della Pubblica Amministrazione. Non concorre ad alcun premio, né letterario, né di altro genere.

I letterati, gli esperti di diritto e quelli di informatica potranno trovare approssimativo il linguaggio usato. Ma è stata scelta volutamente una forma essenziale, e sono stati evitati, per quanto possibile, i tecnicismi lontani dagli interessi dei lettori non specialisti.

Per prevenire l'accusa di genericità che sarebbe stata altrimenti possibile, il libro reca i nomi delle persone coinvolte nei fatti narrati. Tuttavia le condotte di singoli individui costituiscono - nell'intento di chi scrive - il tramite per evidenziare soprattutto le lacune del sistema, che quelle condotte rende possibili e ripetibili. Il libro avrà conseguito l'effetto sperato se sarà riuscito a stimolare un dibattito sui problemi di fondo.

Gli organi dello Stato che possono essere interessati più direttamente alla vicenda per le funzioni che svolgono, saranno stati raggiunti con idonee iniziative prima della distribuzione del libro.

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Le note sono riportate alla fine di ciascun capitolo, e in appendice sono pubblicati al.cuni dei documenti che testimoniano la verità dei fatti. L'organizzazione del Ministero di Grazia e Giustizia - per la parte che interessa - è stata schematicamente riportata in un grafico all'inizio dell'appendice. La sua consultazione può essere di aiuto per la comprensione di talune parti del testo.

Sono molto grato alle diverse persone dalle quali ho ricevuto incoraggiamento e sostegno. Un grazie particolare rivolgo a Marcello Zinola, giornalista del quotidiano Il Secolo X/X, e a SiI vana Logozzo, giorna-lista del settimanale Il Mondo, dai quali ho avuto anche suggerimenti sulla forma con la quale porgere la . . mIa espenenza.

Borgomanero, 15 gennaio 1993 L'autore

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INTRODUZIONE

Sono stato chiamato al Ministero di Grazia e Giustizia dal ministro Martelli per dirigere l'Ufficio per l'Automazione dei Servizi e per l'Informatica. L'unica ragione ne è stata che, da pretore di Borgomanero, ho guidato negli anni 1985-1989 un'esperienza di (quasi) completa automazione del mio ufficio, da molti ritenuta all'avanguardia.

Ho preso servizio il 27 maggio 1991; il27 novembredello stesso anno ho rassegnato le dimissioni, ma poi il ministro mi ha convinto a rimanere, promettendomi migliori condizioni operative. A settembre dell'anno successivo sono finalmente riuscito a lasciare il palazzo ministeriale per tornare al mio lavoro di giudice.

Un anno di tempo mi è servito soltanto per passare dalla comune e indistinta percezione dei disservizi, alla diretta costatazione relativa allo sfascio in cui versa l'organizzazione della giustizia: non ho combinato nulla. Non sono stato né utile, né dannoso. Sono stato, semplicemente, paralizzato.

Quella che segue vuole essere una sorta di cronistoria dell'esperienza. La scrivo anche pensando a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino, perché mi

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sembra assurdo ed immorale che mentre taluni saltano sul trÌtolo lasciando brandelli di cervello sui muri, altri possano continuare indisturbati a far credere alla gente che si sta facendo tutto il possibile per riformare lo Stato.

Non c'è nessuna vera riforma né in atto né in progetto, perché ogni cambiamento - pur deciso e finanziato dal Parlamento - deve poi essere attuato dagli apparati amministrativi: questi, invece, non ne sono capaci, e non hanno alcun interesse ed alcuna volontà di diventarne capaci.

Quando si dice che la giustizia non funziona, io mi domando perché mai dovrebbe funzionare. Non c'è alcun presupposto perché questo avvenga, se si esclude che Dio, svegliandosi, baci l'Italia e la rimetta magicamente a posto. Al contrario, oltre al vecchiume e alla pubblica inefficienza, esistono persone impudenti che se ne fregano ampiamente di giustizia e di giudici, e che non rispondono davanti a nessuno delle loro beghe, dei loro appetiti, del loro occulto ma enorme potere. Prendono i soldi dello Stato e ne fanno quello che vogliono. Creano inefficienze e perdite di tempo; si procurano prebende e privilegi; si circondano di loro lacchè; vendono a televisioni e a giornali le più grandi bugie; e formano formidabili combriccole ministeriali di potere. Incontrandosi, si scambiano il rituale «Caro, come stai?», ma studiano il sistema di fregarsi a vicenda, in qualche modo, per sedersi sulla più alta poltrona disponibile. Sono invitati a tutti i party, a tutti i congressi, a tutte le inaugurazioni, e ci vanno con macchine ed autisti di Stato. Riveriti, ossequiati, corteggiati.

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Si tratta anche di gente con la qualifica e lo status di magistrato, che non è mai stata chiamata a dirci cosa ha fatto per diventare così tanto gradita a personalità partitiche di primo livello. Al Ministero infatti si va per chiamata. E, salvo qualche eccezione, non si giunge mai ai vertici se non si è graditi ai partiti di maggioranza. In ogni caso, non si va al Ministero - ad organizzare il servizio giustizia per un'intera nazionedopo aver dimostrato di essere capaci di organizzare almeno la contabilità di casa propria. C'è gente che non ha mai organizzato niente, non sa neppure come si fa a dirigere, non ha mai studiato una sola questione di organizzazione. Posti di alta responsabilità sono occupati da persone che sono sempre state in realtà occulti galoppini di fazioni, indaffarati a frequentare gli studi dei loro protettori, dentro e fuori della Magistratura. Gente che non ha mai saputo perché non funziona un ufficio giudiziario, quali sono le connessioni tra i vari settori, cosa c'è prima e dopo delle sentenze dei giudici.

Ma non c'è problema. Tanto non succede mai nulla. La mattina si va lì verso le nove, nove e un quarto. C'è uno sciamare di persone di tutti i tipi. Ascensori e scale continuamente impegnati. C'è una bell'aria di commenti sul tempo che fa, e sull'ultima storia della mamma del cognato di sua suocera, mentre si va tutti al bar a far colazione. I più dotti fanno commenti sull'ultima cretinata di riforma che vorrebbero fare, e che tanto non se ne fa niente, perché niente è pronto, e non si fa a tempo.

Ma senza angosce. Questo non è il luogo delle angosce. Tutt'al più il tormento riguarda la macchina

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di servizio dell'altro, più grande e più potente della propna.

La gente fuori sputa veleno, suda, s'incazza perché le cose non vanno bene. I tempi sono lunghi, le attese interminabili, la burocrazia inarrestabile. Non c'è verso di sapere in tempi ragionevoli chi ha ragione e chi ha torto, chi è colpevole e chi innocente. Nei mille uffici giudiziari di tutt'Italia ci sono operai e industriali, inquilini e padroni di casa, vittime di reati ed imputati; poliziotti, avvocati, giudici e cancellieri, che brulicano come formiche impazzite attorno alla giustiZIa.

Stupidi peones che aspettano che qualcosa migliori. Qui, per colpa dei capi, molti non fanno proprio

nulla; i più non fanno niente di veramente utile; taluni sono arrivisti rampanti che si stanno arricchendo di potere e, forse, di quattrini; e pochi sono persone serie che, a vari livelli, lavorano per vero servizio, e per produrre qualcosa. Li cito per il rispetto che meritano, non perché siano significativi: non sono in grado, per numero e per influenza, di far spostare neppure di poco l'ago della bilancia.

Qui non si sente il fiato della gente di fuori. Il dramma dell'ufficio giudiziario dove giacciono migliaia di fascicoli ancora, addirittura, da registrare, è un pezzo di carta che prende polvere su qualche scrivania. Chi lo ha scritto si è incavolato. Ha voluto finalmente essere coraggioso e si è rivolto direttamente al ministro: «Basta, non ce la faccio più, ed ora dico pane al pane, e vino al vino».

Povero illuso. Come la sua, di carte ne arrivano a

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centinaia, e il ministro, magari, neanche le vede. Il ministro ha ben altro da fare. Si occupa di alta politica, non di organizzazione dello Stato.

Il capo di gabinetto ci mette uno scarabocchio sopra, e la passa al direttore generale. Il direttore generale fa la stessa cosa, e manda la carta al direttore dell'ufficio. Questi l'assegna ad un funzionario che - se non raccoglie o non s'inventa una storia qualsiasi - fa quello che può, e «fornisce gli elementi per la risposta». Il grande pregio della quale potrà essere che è stata scritta e stampata con il massimo della tecnologia ministeriale, e, cioè, con un superato programma per videoscrittura, offerto dall'Ufficio IV della Direzione Generale Affari Civili.

La stessa cosa capita per il parlamentare che rivolge un'inte~rogazione al ministro. Lui si dichiarerà insoddisfatto della risposta. E chi se ne frega. Tanto, non succede niente.

C'era un professore di Agrigento che, quando s'inviperiva con gli alunni della sua classe (che si ostinavano a non capire di dover studiare nel loro interesse) era solito dire: «Me ne macatastrafotto!». E a loro, che gli chiedevano la traduzione di questa "maca" o "mega" parola, di vaga reminiscenza classica, rispondeva imbestialito: «Me ne superfrego!».

Bene. Sono un altro illuso che ha deciso di scrive-re. So benissimo che i ministeri ali che dico io ci metteranno uno scarabocchio sopra.

Ma, a mia volta, "me ne macatastrafotto" e scrivo lo stesso: per indicare da cosa bisogna guardarsi, percontribuire a smascherare chi è contro la giustizia. E per dimostrare agli amici peones la mia solidarietà.

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L'illustre Ufficio Automazione del Ministero di Grazia e Giustizia

Si cambia tutto, per non cambiare niente

Secondo quello che le norme prevedono, l'ufficio che sono stato chiamato a dirigere deve occuparsi di tutto quello che concerne l'informatica e la meccanizzazione dei servizi per la giustizia, sia a livello di Ammiqistrazione Centrale (ministero) che di uffici giudiziari d'Italia. l

Tutto per l'informatica vuoI dire: studi, proposte normative,· progetti, realizzazioni, sperimentazioni, previsioni di spesa, bilanci, governo e controllo delle vecchie e delle nuove iniziative.

Ministero vuoI dire: un complesso di circa 55 uffici con funzioni le più disparate, raggruppati in articolazioni di vario genere, e suddivisi in reparti talvolta anche fino a 14, con un totale di più di duemila addetti.

Uffici giudizi ari vuoI dire: preture, tribunali, corti d'appello, cassazione, procure presso le preture, procure presso i tribunali, procure presso le corti d'appello,

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procure presso la cassazione, uffici e tribunali di sorve-glianza, tribunali e procure per i minorenni.

Servizi per la giustizia sono: servizi e cancellerie per il penale, per il civile, per il commerciale e i fallimenti, per le esecuzioni penali e civili, per gli affari dei minori, per la gestione del personale e delle attrezzature, e per diversi altri settori. Il tutto, sparso in tutta Italia, dalle Alpi all'Etna.

Ognuno può immaginare quale formidabile con-tributo possono dare le tecnologie informatiche alle indagini su fenomeni criminali complessi, e quale enorme impulso il computer può dare alla celerità, alla precisione e alla omogeneità di tutti i servizi giudiziario Anche ai non addetti ai lavori, dunque, appare chiaro che l'Ufficio per l'Automazione per i Servizi e per l'Informatica del Ministero di Grazia e Giustizia nasce (nel 1982) come ufficio di grande importanza, motore e coordinatore del rinnovamento strutturale.

Ebbene, quando io sono arrivato al Ministero, l'ufficio era costituito da quattro persone, ed era alloggiato in due stanze del palazzo di via Arenula. Qualche armadio, una macchina per scrivere qualsiasi, un personal computer abbandonato, e una stampante vecchia come il cucco, e mezza scassata. Le quattro persone (due cancellieri, due dattilografi) vagavano tra l'unica stanza a loro disposizione e il corridoio, alla ricerca di una loro identità. Nessuna di esse aveva un compito preciso. Uno di loro era arrivato lì qualche mese prima di me senza aver mai sentito parlare di computer; gli altri erano e sono brave persone appartenenti al "vecchio" Ufficio Automazione, ma completamente all'o-

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scuro di quello che i capi e i sottocapi avevano fatto in materia.

Negli armadi, pratiche alla rinfusa. Più che pra-tiche, richieste di vario genere, accumulate secondo la corte d'Appello di appartenenza dell'ufficio richiedente.

Nessuno mi fa il cosiddetto "passaggio di conse-gne": nessuno mi illustra a che punto siamo, dove, e perché nel processo di informatizzazione.

Non esiste inventario o raccolta ragionata ed ag-giornata delle iniziative intraprese in passato.

Posso confidare quasi soltanto sulle notizie di cui sono a conoscenza per aver partecipato a riunioni e a convegni tra magistrati che si sono appassionati all'in-formatica per la giustizia.

Leggo le carte, e capisco che c'è una disperata attesa dei nuovi supporti informatici negli uffici giudi-ziari, ed un'immensa disorganizzazione nell'Ufficio Automazione. Penso al sistema computerizzato che ho creato e lasciato nella povera e periferica Pretura di Borgomanero, e lo paragono al fatto che l'illustre e ricco Ufficio Automazione del Ministero - cuore e polmoni di tutta l'informatica per la giustizia - non si avvale al proprio interno della più pallida forma di automazione.

Stanze, carte, persone, macchinette evocano fatal-mente l'immagine di un misero ed allarmante sfascio: eppure, da qui sono formalmente partite iniziative costate miliardi di lire ai contribuenti.

Si incominciano a capire le ragioni delle approssi-mazioni e delle straordinarie inefficienze percepite da me e da altri (per esempio, dal collega della Procura di

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Milano, Antonio Di Pietro) quando ero giudice in periferia;2 ed appare evidente che, per quel poco che è stato fatto, il vero baricentro dell'informatica della giustizia doveva essere da qualche altra parte.

Questa non è certo una struttura di servizio per il Paese.

* * *

Ma sono qui proprio per questo: Claudio Martelli, diventato ministro di Grazia e Giustizia, ha esonerato dall'incarico la precedente direttrice, dottoressa Liliana Ferraro (che era lì dal 29 gennaio 1985), ed ha chiamato me. 3 Ne abbiamo parlato il 18 aprile 1991. Nel corso del colloquio ho capito di essere sotto esame, e il ministro avrà certamente intuito che anch'io, a mia volta, stavo esaminando lui. Un ministro che dimostra di voler cambiare l'aria di un ufficio strategico al punto da mandar via la sua - prima inamovibile - direttrice, merita di essere esaminato da vicino.

Questa volta supero le perplessità che avevo invece opposto con imbarazzo ai ripetuti inviti ad accettare un incarico ministeriale, che mi erano stati fatti durante la gestione del ministro Vassalli, soprattutto dopo che questi aveva direttamente costatato (il 23 ed il 24 giugno 1989) il livello della realizzazione di Borgomanero. Sono attratto dalla determinazione che il ministro Martelli dimostra. Mi convinco che c'è un fondo di serietà nel suo intento di rendere la struttura migliore in tempi contenuti; mi parla di un esperto di informatica, esterno all'Amministrazione, che vorrebbe lavorasse con me; gli dico che sono ben lieto della

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cosa, e che, anzi, non si può fare a meno di energieprovenienti dallo specifico settore. Mi piace che abbia colto subito che il problema è quello di riorganizzare, prima ancora che quello di informatizzare.

Dopo mezz'ora dedicata unicamente a me (senza interruzioni neppure per il telefono: cosa rara, annoto) egli termina il colloquio stringendomi la mano, dandomi il benvenuto al Ministero e comunicando al capo di gabinetto, che nel frattempo convoca, che «Lombardi è dei nostri». Parte così la procedura che mi toglierà con il mio consenso alla Pretura di Borgomanero: ma con il ministro ci vediamo ben presto, e ben prima del mio formale giungere al posto di direttore dell'Ufficio Automazione.

Non passa neppure una settimana: il 24 aprile siedono attorno al tavolo del suo studio il nuovo direttore generale degli Affari Civili, Filippo Verde, il nuovo direttore generale degli Affari Penali, Giovanni Falcone, ed io.4

Il ministro ha anche convocato il professor Adriano De Maio del Politecnico di Milano (l'esperto esterno al quale egli si riferiva nel precedente colloquio), e il professor Giuseppe Di Federico dell'Università di Bologna: entrambi questi docenti universitari erano destinati ad essere nominati, insieme ad altri, quali componenti di due organi consultivi previsti dalla legge per l'informatica nella giustizia, la Commissione tecnico-amministrativa, e il Comitato tecnico. 5

Martelli vuole che si parta subito con un buon progetto di informatizzazione: dopo un'incisiva intro::' duzione, invita "i tecnici" (De Maio, Di Federico ed

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io) ad incontrarsi subito tra di loro, per incominciare a fare sul serio.

A Milano, nello studio del professor De Maio, sabato Il maggio 1991 i tecnici si riuniscono. Sono presenti anche i professori Giovan Francesco Lanzara, dell'Università di Bologna, e Claudio Ciborra, dell'Università di Trento, che, come capirò in seguito, sono stati chiamati a collaborare al Ministero su indicazione del professor Di Federico, e che saranno anch'essi nominati componenti del Comitato tecnico. La leadership viene subito assunta dal professor De Maio, che, oltre ad essere chiaramente il più competente e il più dinamico di tutti, è stato voluto direttamente e personalmente da Martelli, rispolverando vecchie conoscenze degli anni giovanili.

Come me, De Maio è una figura completamente nuova nel panorama ministeriale. Come me - lo si vedrà in seguito - pagherà a caro prezzo questa sua estraneità a qualsiasi lobby interna ed esterna al Ministero. Anzi, per meglio dire, lo Stato pagherà il fatto di non potersi avvalere di un tecnico di primo livello, perché questi non ha niente a che fare - e non vuole avere niente a che fare -con l'inefficienza, la demagogia, il dilettantismo e qualunque altra cosa meno che trasparente.

Di Federico è invece una vecchia conoscenza del mondo giudiziario. Lui stesso sottolinea i rapporti che ebbe - per l'informatica nella giustizia - già alla fine degli anni Settanta con l'allora ministro Morlino; evidenzia la grande stima e l'intensa collaborazione che ha avuto e che ha con Liliana Ferraro, della vecchia gestione; rivela l'avversione che prova contro coloro,

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magistrati e politici, che - dice - si sono opposti in passato al suo ingresso nel Consiglio Superiore della Magistratura.

Dopo un'intera mattinata, il gruppo si lascia con l'intesa che ognuno avrebbe preparato un'ipotesi di lavoro per procedere con razionalità ed efficacia verso l'obiettivo di creare un vero sistema informativo per la giustizia.

Da allora in poi ho ricevuto, studiato e utilizzato ripetuti contributi scritti e verbali del professor De Maio su come strutturare l'ufficio, e su quali linee seguire per poter procedere nell'enorme compito affidato dalla legge all'Ufficio Automazione. Non ho mai ricevuto alcuna relazione ed alc'un suggerimento da parte del professor Claudio Ciborra e del professor Giovan Francesco Lanzara (se si eccettua una nota di quest'ultimo in una sola occasione di incontro successivo). E neppure ne ho ricevuti da parte del loro referente, il professor Di Federico, che pure ho visto presente al Ministero (ma non nell'Ufficio Automazione) con notevolissima frequenza; servito da autovettura e da autisti di Stato, quasi come un direttore di ufficio interno; ed attivo nel palazzo come un protagonista di primaria importanza.

Circa quindici giorni dopo il mio insediamento ufficiale al Ministero, è pronta una mia prima relazione sullo stato allarmante in cui trovo l'ufficio, e sulle cose più urgenti da fare per consentirmi di lavorare. 6 Ribadisco ed amplio le stesse considerazioni e richieste direttamente al ministro (in presenza della dottoressa Livia Pomodoro, nel frattempo nominata capo di gabinetto del ministro; di Filippo Verde e di Adriano

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De Maio) nel corso della nuova riunione voluta da Martelli il 19 giugno 1991.7

Il ministro ordina che si proceda a fomirmi il personale (si parla di una ventina di persone) e il sostegno necessario per andare avanti. Egli viene a sapere in quella occasione che l'Ufficio Automazione è destinato soltanto a studiare e a progettare, perché la gestione più diretta delle attrezzature informatiche è stata assunta da quello che, per intendersi, chiamo qui "ufficio acquisti", e che ufficialmente si chiama Ufficio IV della Direzione Generale Affari Civili. Il ministro non è d'accordo. Dice che gli sembra evidente che l'informatica deve essere curata da un unico ufficio: mente e braccia nello stesso corpo, per una semplice questione di efficienza e di celerità. Il professor De Maio gli fa osservare che è sufficiente che sia assicurata tra Ufficio Automazione ed Ufficio IV una forte integrazione operativa, e che, a questa condizione, è più opportuno, almeno per il momento, non appesantire l'Ufficio Automazione con altri compiti.

Il ministro non sapeva di confermare, e De Maio non sapeva di contrastare, quella completa unificazione dei vari aspetti delle innovazioni informatiche, che era stata già attuata a livello organizzativo mediante il decreto ministeriale del 29 gennaio del 1985, con l'avvento della dottoressa Liliana Ferraro alla direzione dell'Ufficio Automazione. Prima di quella data c'era stata infatti una netta separazione tra l'attività di ideazione, di progettazione ed impulso, e quella puramente contrattualistica e gestionale. Ma, per un verso ampliando le attribuzioni dell'Ufficio Automazione, per l'altro affidandone la direzione alla stessa persona

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che già dirigeva l'Ufficio IV, tutta la gestione dell'in-formatica era stata accentrata nelle mani di una sola persona.

Da parte mia - d'accordo con il professor De Maio -preferivo che questa anomalia organizzati va fosse corretta, sia per ragioni di equilibri istituzionali (che devono prevedere reciproci controlli tra uffici), che per la mia necessità pratica di privilegiare decisamente ilmomento dell'ideazione e della progettazione su quello, puramente conseguenziale, degli acquisti. D'altra parte, innovando rispetto al recente passato, i due uffici erano stati già separati, tant'è che un mio collega, il dottor Fabio Mondello, aveva assunto la direzione dell'Ufficio IV qualche mese prima del mio giungere al Ministero.

Nonostante la distinzione tra i due uffici, era, beninteso, possibile che anche la parte gestionale del-l'informatica restasse di competenza dell'Ufficio Auto-mazione - come da norma regolamentare allora in vigore - dal momento che all'Ufficio IV compete comunque l'acquisto, e la distribuzione su tutto il territorio nazionale, di tutte le altre attrezzature per gli uffici, diverse da quelle informatiche. Ma ero favore-vole ad una modifica di quel provvedimento, di modo che l'Ufficio IV, già dotato di funzionari che avevano esperienza nella materia contrattualistica, si occupasse di questo aspetto del problema, secondo le scelte che sarebbero state fatte nell'ambito dell'Ufficio Automa-ZIOne.

Non sospettavo allora che l'Ufficio IV sarebbe stato un avamposto del sabotaggio. Non avevo la "marpionesca" predisposizione a prevedere che non ci

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sarebbe stata alcuna "forte integrazione operativa", e che, anzi, l'ufficio acquisti (oltre a comprare armadi, fotocopiatrici, macchine per scrivere, carrelli portafa-scicoli, giubbotti antiproiettile, sistemi di intercettazioni telefoniche, autovetture blindate e centinaia di altri generi d'oggetti) si sarebbe arrogata anche la competenza non soltanto a stipulare contratti per l'informatica, ma anche ad adottare indirizzi e a prendere decisioni in materia; a decidere a suo piaci mento (salvo briciole fumogene) le relative forniture; a stabilire nei fatti quali passate realizzazioni devono essere mantenute e quali abbandonate; ad attuare a suo arbitrio la formazione del personale.

E non prevedevo neppure che quell'ufficio avrebbe continuato a distribuire negli uffici giudiziari, secondo criteri ignoti, il risultato delle sue impudenti iniziative. Senza nessun mutamento di indirizzo rispetto a prima. Come se la precedente direttrice fosse ancora là. Come se le novità volute dal ministro fossero minestra da riscaldare subito. E come se - a parte la competenza che la norma non gli dà -l'Ufficio IV avesse annoverato in passato tra i suoi componenti, o avesse acquisito dopo la gestione Ferraro, fior di gente, dotata di forte esperienza di funzionamento degli uffici giudiziari, ed in possesso di preparazione tecnica nelle cose di informatica che servono alla giustizia del Paese.

Vedremo invece da chi è composto l'ufficio acquisti, da chi è pilotato dietro le quinte, e chi sono i suoi occulti consulenti.

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NOTE

l L'ufficio è stato istituito con decreto ministeriale del 3 marzo 1982 come ufficio studi in diretto collegamento con il ministro, seppur inserito in uno dei comparti organizzati vi nei quali si articola il Ministero (Direzione Generale dell'Organizzazione Giudiziaria e degli Affari Generali). Le sue attribuzioni sono state riviste ed ampliate con il decreto ministeriale 29 gennaio 1985 che, affiancando alle precedenti competenze anche quelle tipicamente gestionali, ne ha disposto l'inserimento nel diverso com parto che provvede anche all'acquisizione delle attrezzature per gli uffici (Direzione Generale degli Affari Civili e delle Libere Professioni). L'art. 2 del citato d.m. 29 gennaio 1985 reca: «L'Ufficio ... provvede alla gestione di tutte le attività dirette all'acquisizione degli strumenti di informazione, sia nell'ambito dell'Amministrazione Centrale che degli uffici periferici...; predispone i piani annuali di spesa e di intervento e provvede al controllo operativo e gestionale degli stessi». L'evidente competenza dell'Ufficio non soltanto a studiare, ma anche a gestire "tutte le attività" attinenti all'informatica, è stata ostinatamente contestata da quella che nel testo viene indicata come "lobby".

2 In vari congressi cui avevo avuto occasione di partecipare, ed in diverse relazioni inviate anche al C.S.M., avevo evidenziato che la politica seguita dall'Ufficio Automazione del Ministero non conduceva ai risultati che invece la mia esperienza borgomanerese dimostrava possibili. Una delle citate relazioni ha per titolo "Preture e informatica. Miti, alibi e proposte" (pubblicata su La Magistratura - organo ufficiale dell'Associazione Nazionale Magistrati - nel numero 2-3-4 1990 con il titolo "L'ultimo treno disponibile ").

Tutti i colleghi magistrati che avevano in periferia tentato di migliorare da soli il proprio lavoro utilizzando il computer erano accomunati dallo stesso scetticismo sulla capacità e sulla volontà dell'Ufficio Automazione del Ministero di giungere a soluzioni davvero utili per gli uffici giudiziario Tra gli altri, Antonio Di Pietro, sostituto procuratore della Repubblica a Milano diventato poi la "punta di diamante" del pool dei magistrati milanesi per l'inchiesta "Mani Pulite". Ricollegandosi alla mia citata relazione, Di Pietro mi scrisse il 18 aprile 1990, mettendo in evidenza i

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"ritardi romani", confidandomi il timore che anche le sue relazioni su progetti informatici fossero «archiviate in qualche remoto cassetto ministeriale» ed invitandomi ad unire i nostri sforzi per evitare che, con la tecnica di porre le nostre proposte l'una contro l'altra, il Ministero potesse continuare a "bloccare" ogni idea sull'automazione degli uffici.

La lettera del collega Di Pietro è pubblicata in appendice (pag.2).

3 La dottoressa Liliana Ferraro, magistrato, riuscì ad evitare di ritornare negli uffici giudiziari, ed ottenne di continuare a prestare servizio presso il Ministero. Era il tempo (febbraio-aprile 1991) in cui il ministro Martelli chiamò a Roma anche il dottor Giovanni Falcone, poi tragicamente scomparso nella strage di Capaci del 23 maggio 1992. La dottoressa Ferraro si era occupata in passato della fornitura di attrezzature per il "maxiprocesso" alla mafia iniziato il l O febbraio 1986 nell'aula-bunker dell'Ucciardone a Palermo, ed aveva avuto modo di stabilire rapporti di amicizia con il giudice Falcone. Questo le consentì di ottenere, appunto tramite Falcone, la nomina a capo della segreteria del (nuovo) direttore generale degli Affari Penali. Dopo l'assassinio Falcone la medesima Ferraro fu insediata al posto di direttore generale. Si veda in proposito quanto si dirà nell'ultimo capitolo del libro.

4 I direttori generali sono i dirigenti delle articolazioni mini-steriali che - per numero e varietà di attribuzioni, e per numero di addetti - costituiscono i più importanti com parti del Ministero. Altre primarie articolazioni sono costituite dal gabinetto del ministro (con funzioni di coordinamento), dall'Ufficio Legislativo e dall'Ispettorato Generale. Si veda in appendice (prima pagina) lo schema grafico dell'organizzazione ministeriale, limitato, peraltro, agli uffici citati in questo libro.

5 Si tratta del decreto legge 31 luglio 1987 n. 320 convertito, con modificazioni, nella legge 3 ottobre 1987 n. 40 l recante "Intervepti in materia di riforma del processo penale" (G.U., Serie Generale, 3 ottobre 1987 n. 231). La Commissione tecnicoamministrativa, presieduta dal ministro di Grazia e Giustizia, ha il compito di «individuare le linee, i programmi ed i metodi di automazione». Il Comitato tecnico istituito presso l'Ufficio Automazione e presieduto dal direttore di questo, è competente per

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«l'esame preliminare dei piani e degli interventi necessari e per l'attuazione dei sistemi adottati».

6 La relazione, di dieci fogli, reca la data del 13 giugno 1991 ed il n. 245/91 VA di protocollo. È indirizzata al direttore generale degli Affari Civili. Contiene un'analisi sintetica ma completa dello stato dell'ufficio per quanto riguarda l'assenza di documentazione, di personale, di struttura tecnica di supporto. Viene già evidenziata la mancanza di coordinamento all'interno del Ministero. Si enuncia, anche mediante grafico, la necessità di strutturare l'ufficio in tre aree funzionali e l'urgenza di acquisire personale e consulenti. In appendice (pag. 3) viene pubblicato il primo foglio del citato documento.

7 La dottoressa Livia Pomodoro, magistrato, svolgeva in precedenza le funzioni di procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Milano. Il ministro Martelli la nominò capo di gabinetto. Quel posto era stato lasciato libero dal dottorFilippo Verde, diventato direttore generale degli Affari Civili e delle Libere Professioni dopo essere stato capo di gabinetto del precedente ministro Vassalli.

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II

Arrangiati, se sai

Questo matrimonio non s'ha da fare

Dunque Martelli ha disposto che si proceda. Benché non vi sia traccia scritta di quell'ordine, si può esser certi che il ministro il 19 giugno '91 ha detto che il "nuovo" ufficio doveva essere posto in condizione di lavorare.

C'era, ovviamente, bisogno di personale, di locali, di attrezzature. Nonostante fosse più che lecito atten-dersi il contrario, bisognava partire proprio da zero, e, anzi, da meno che zero, perché la precedente unicità di direzione tra l'Ufficio Automazione e l'ufficio acquisti si era risolta anche in confusione di carte, di pratiche, di competenze, di impiegati. I due uffici non erano rimasti distinti nella fisionomia specifica di ciascuno di essi, ma avevano costituito un unico corpo, a disposizione dello stesso capo.

E quando si era poi proceduto a separare i due uffici (prima del mio insediamento), circa trenta di-pendenti erano stati assegnati all'Ufficio IV, e soltanto quattro all'Ufficio Automazione. In particolare, tutti

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coloro che erano stati coinvolti - in qualche modo nella gestione dell'informatica, erano stati mantenuti in forza all'Ufficio IV. Come se ci fosse fin dall'origine la convinzione - o vi fosse motivo di prevedere - che la gestione dell'informatica sarebbe rimasta comunque in un preciso alveo, nonostante l'apparente ristrutturazione.

Se questa è una deduzione logica, la cosa certa è che l'ordine del ministro Martelli è rimasto, subito e per sempre, completamente ignorato. Al Ministero di Grazia e Giustizia è possibile anche buggerarsene degli ordini di un ministro, ed è possibile che il ministro se ne accorga (come si vedrà), ma, ciò nonostante, non mandi via i collaboratori infedeli. Talvolta capita che li promuova.

Il capo di gabinetto non si è attivato per cercare delle persone valide da inserire nell'Ufficio Automazione, e quando io, sostituendomi alla sua inerzia, ho telefonato, cercato, incontrato, colloquiatoin un ambiente per me completamente nuovo, e sono finalmente riuscito ad individuare cinql,le dipendenti dell' Amministrazione, già residenti a Roma, con i quali costituire una primissima ossatura tecnica dell'ufficio, la risposta della dottoressa Pomodoro è stata un bel rifiuto, senza motivazione. 1

Inizialmente era stata manifestata una certa di-sponibilità, attraverso due lettere inviate dal capo di gabinetto ai responsabili del personale per appoggiare la mia richiesta: ma, evidentemente, alla dottoressa Pomodoro, al tempo delle due lettere, non era ancora giunto in maniera chiara il segnale che il nuovo Ufficio Automazione non doveva funzionare.

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Dopo l'estate, infatti, non c'è stata più alcuna smagliatura nel disinteresse e nel diniego, e l'unica cosa che si è potuta strappare a seguito di ripetute insistenze verbali è stata la spiegazione del perché veniva rifiutata l'assegnazione dell'unico funzionario direttivo che era stato inserito nella richiesta, il dottor Ferdinando Mulas.

Questi era stato richiesto per due motivi: perché si tratta di uno dei pochi funzionari ministeriali - che io sappia - che ha un'utile familiarità con l'informatica giudiziaria; e perché il dottor Mulas aveva già lavorato nell'Ufficio Automazione dal 1986 al 1990 e, quindi, poteva in parte ovviare a quella grave carenza di "memoria storica" che caratterizzava l'ufficio.

L'unica cosa che la dottoressa Livia Pomodoro è stata capace di opporre verbalmente all'insistenza della richiesta è stata che il dottor Mulas non godeva di molta stima nell'ambito del dipartimento dell'Ammi-nistrazione Penitenziari a al quale era allora assegnato. Questa spiegazione, nel contesto del dissestato e folklo-ristico mondo ministeriale, ha i precisi connotati di un'ammissione sull'inconfessabilità del vero motivo del diniego. Infatti, non viene mai fatta indagine sulla stima di cui il dipendente goda o meno, quando se ne dispone il trasferimento da un ufficio all'altro: nessuno degli impiegati amministrativi che sono stati in seguito assegnati al mio ufficio è stato selezionato né dal capo di gabinetto, né da altri, alla stregua di questo o di qualsivoglia altro criterio. Se, malgrado ciò, si dovesse ammettere che l'indagine fu fatta per il dottor Mulas, non si capirebbe come mai il risultato degli accerta-menti, invece di condurre al trasferimento ad un altro

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ufficio del funzionario sgradito, abbia condotto proprio alla conferma di Mulas nell'ufficio di appartenenza.

Il fatto è che, non soltanto non risulta mai contestatoal dottor Mulas un qualsiasi rilievo disciplinare, ma risultano espresse, al contrario, note elogiative anche recenti (del 25 ottobre '91), proprio nell'ambito del dipartimento in cui il citato funzionario lavora. Ed è stridente il contrasto tra l'assoluto disinteresse del capo di gabinetto per le sorti dell'Uffico Automazione, l'assenza di qualsiasi motivazione in merito agli altri impiegati "tecnici" richiesti (Mele, Mormile, Talone e Reali), e l'attenzione negativa riservata, invece, alla questione Mulas.

Si scopre così che il vero motivo della mancata assegnazione del dottor Mulas al nuovo Ufficio Auto-mazione è correlato al fatto che la dottoressa Ferraro -estromessa dal settore informatico, ma, come si vedrà, sempre ugualmente attiva in questo - aveva a suo tempo provocato l'allontanamento dall'Ufficio Automazione del dottor Mulas, che non era, evidentemente, un affidabile "yesman". Il ritorno del dottor Mulas in quello stesso ufficio, oltre che costituire un evidente vantaggio per la nuova gestione, sarebbe stato una sorta di schiaffo verso una persona eccellente. Questi "schiaffi", al Ministero di Grazia e Giustizia, non sono ammessI.

Non importa se il dottor Mulas è l'unico funzionario possibile; non importa se la struttura non è capace di indicarne un altro; non importa se si può acquisire un contributo corposo in un settore dove occorrono esperienze che i dipendenti dell' Amministrazione di

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solito non hanno; non importa un niente di niente: questo matrimonio non s'ha da fare.

L'episodio, come tutti quelli che seguiranno, deve essere posto a confronto con quello che i potenti del Ministero sono capaci di fare quando hanno deciso di attuare un loro progetto. Trasferiscono le persone anche da vattelapesca al polo Nord; acquistano quello che vogliono; si creano l'ufficio più bello del mondo non appena prendono possesso di una nuova stanza.

Basta visitare, e verificare come è divinamente nuovo e lustro, per esempio, l'ufficio del dottor Fabio Mondello; come è splendida l'anticamera dove lavora la sua segretaria; come fanno mostra di sé su certe scrivanie i ricevitori telefonici da più di cento milioni l'uno. Nel palazzo di via Arenula si può adottare questa chiave di interpretazione: dove c'è qualcuno che conta nel maneggio di quattrini (o in proprio, o per interposto potente, oppure per interposto lacchè) si vedono agi, lussi, attrezzature. Dove si trovano i pavimenti qualsiasi, le pareti qualsiasi, le luci qualsiasi, le macchine da scrivere scassate, si è giunti a casa di chi non conta nulla, almeno in quel senso.

E in tutto questo, non conta quello che l'inquilino dell'ufficio fa o non fa; quello che produce per la giustizia e quello che non produce; se le cose che ha, gli servono davvero oppure no; se non sarebbe razionale che avesse a disposizione addirittura di più, in funzione dei suoi compiti: non serve a nulla.

Il potere fa quello che gli pare, se gli pare e quando gli pare.

Quando al potere gli pare, in quattro e quattr'otto escono soldi (dalle solite casse dei soliti peones), esco-

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no iniziative, si fanno contratti, arriva gente nuova. Il potere si rotola gaudente nella farina d'oro; i pavimenti già buoni vengono rifatti; le auto blindate da centinaia di milioni l'una si cambiano se c'è una qualunque cosa (anche una scusa) che non va; escono teledrin per gli uomini di scorta; e gli ottimi giubbotti antiproiettile che giacciono in fondo ai magazzini vengono accantonati in favore dell'ultimo modello.

Alla faccia della giustizia e dell'Ufficio Automa-ZIOne.

Il "nuovo" Ufficio Automazione sta ancora aspet-tando la seconda linea telefonica (per poter diminuire il disagio di tutti gli uffici giudiziari d'Italia), ed un fax. Èstato necessario letteralmente puntare i piedi, per avere la scrivania per uno dei collaboratori. Quando mesi e mesi dopo la richiesta - è stata finalmente ottenuta una fotocopiatrice, era così forte l'eccitazione, che l'ufficio stava per organizzare un party di gaudio, con tanto di sindaco e di banda.

Come se interessato a raggiungere l'obiettivo finale fosse soltanto il nuovo direttore, e non l'Ammini-strazione nel suo insieme, che pure aveva ritenuto di cambiare la gestione di quell'ufficio.

Morale della storia: l'ufficio automazione non ha avuto uno straccio di personale "tecnico". Non ha ricevuto attrezzature di sorta. Non ha avuto una sede dove far lavorare le persone che fosse riuscito quasi a rubacchiare a fatica e in segreto. Sono stati consumati interi mesi di lavoro a rincorrere le condizioni minime perché si cominciasse ad impostare un discorso serio in materia di automazione.

Mesi interi, perché - beninteso - i potenti impie-

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gano poche ore per le cose che decidono di fare; per quelle che decidono di non fare, sanno impiegare anche mesi o anni, manovrando il giochino del "cucù-sèttete", noto alle mamme e ai pargoli di tutto il mondo.

Il gioco del cucù è durato per tutto il tempo della mia permanenza al Ministero; ed un passo di speciale importanza è quello che riguarda il professor Adriano De Maio.

Lo sfascio prosegue nel prossimo capitolo.

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NOTE

l La richiesta di personale è diretta al ministro tramite il direttore generale degli Affari Civili. Reca la data del 4 luglio 1991ed il n. 495/91 UA di protocollo. La prima parte contiene i "curricula" di cinque dipendenti dei quali si chiede l'assegnazione per l'area tecnica del nuovo Ufficio Automazione (Roberto Mele, Stefano Mormile, Ferdinando Mulas, Filippo Reali e Grimaldo Talone). La seconda parte reca il semplice elenco di quattro impiegati destinati all'area amministrativa (Alessandra Chianese, Mario Corrado, Fiorella Manfredi e Beatrice Monteforte). Con appunto n. 10/4/5datato 13 luglio 1991, steso di pugno in calce alla richiesta e diretto al direttore generale Affari Civili, il capo di gabinetto così si esprime: «D'accordo relativamente ai punti 7), 8) e 9)>>. Dunque veniva accolta soltanto la richiesta di Corrado, Manfredi e Monteforte (che, a differenza di tutti gli altri, prestavano già servizio in altri uffici della stessa Direzione Generale) e rigettato tutto il resto. In particolare, non si concedeva l'assegnazione di alcuno degli impiegati destinati all'area tecnica. Nessuna motivazione, e nessuna indicazione di altro personale che si riteneva di poter assegnare.

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III

Storia di un consulente mai nato

Videoregistrazioni alla Ferraro, monitoraggi alla Di Federico e

Comitato alla Pomodoro

Il professor Adriano De Maio io non lo conoscevo.Non è un vecchio amico che mi son portato appresso al Ministero per dividere con lui gli onorari o le "mazzette".

L'ingegner Adriano De Maio, professore di gestione aziendale e prorettore del Politecnico di Milano, è persona che l'onorevole Martelli ha voluto al suo fianco ben prima che io giungessi al Ministero. Pur inserito nei due organismi collegiali di cui ho detto, l egli però non avrebbe potuto essere "utilizzato" al meglio, perché la Commissione tecnico-amministrativa ed il Comitato tecnico sono organi che hanno compiti di concorrere con il ministro a tracciare grandi linee strategiche, o compiti di esprimere un parere tecnico sulle singole iniziative: vengono dunque convocati solo periodicamente, e, quindi, non sono lì ogni giorno ad affiancare gli uffici interni dell' AmministraZIOne.

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Anzi, il primo dei due organismi da me citati non si riunisce mai (mi risulta che dal 1987 al 1992 sia stato riunito tre volte in tutto); il secondo viene convocato dal direttore dell'Ufficio Automazione (che lo presiede), quando ci sono iniziative da sottoporre al parere.

Ebbene, le cose sono due: o l'Ufficio Automazione deve essere, come mi risulta sia stato in passato, una sorta di ufficio passacarte che si limita a sottoporre al Comitato le proposte e le richieste delle grandi case fornitrici di macchine e di programmi, oppure deve essere lui stesso ideatore, motore e coordinatore di iniziative nate all'interno e nel vero interesse dell' Amministrazione.

A me pare evidente che la Pubblica Amministrazione deve governare, e non essere governata dall'esterno, e deve perciò disporre delle risorse tecniche per aggiornare le proprie strutture. Nel settore dell'informatica sono ovviamente insufficienti le esperienze professionali di magistrati e di funzionari di cancelleria, allo stesso modo in cui non sarebbero sufficienti le esperienze professionali di ingegneri, di sistemisti, di programmatori, di esperti di telecomunicazioni, etc.

Disegnare un vero sistema informativo per tutta l'enorme e complessa espansione della giustizia non è infatti come realizzare un programma per tenere la contabilità di un bravo commerciante. Insomma, per non sprecare quattrini, occorre uno staff composito e molto forte tecnicamente; per avallare invece l'acquisto di macchinette a trattativa privata dal fornitore più in auge del momento, spendendo molti miliardi (per buttarne la gran parte negli archivi degli uffici giudizia-

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ri) bastano le persone che prima di me hanno lavorato nell'Ufficio Automazione.

Adriano De Maio avrebbe potuto affiancarmi intanto per creare l'ufficio "forte" di cui ho parlato, e poi per coordinare con me, e con gli altri magistrati e tecnici che mi proponevo di coinvolgere, l'enorme lavoro che occorreva fare.

lnnanzitutto si sarebbe dovuto procedere all'in-ventario approfondito di quello che abbiamo, verifi-candone la validità tecnica e funzionale ad oggi (quante macchine, di che tipo e potenza, con quali programmi, di quale livello di funzionalità, quali ambienti operativi, ... ). Un passaggio indispensabile non soltanto per evitare di costruire il futuro senza tener conto degli investimenti finora fatti, ma anche per stabilire se certe iniziative prese negli anni passati devono essere tenute in vita a qualsiasi prezzo, o se è più opportuno conservarle per quel tanto che basta per giungere senza tr.aumi al momento in cui sostituirle con altre più valide ed aggiornate.

Era poi necessaria una progettazione, anche per grandi linee, comunque estesa a tutto quello di cui la giustizia ha bisogno: nessuno è così stupido da iniziare a costruirsi la casa senza aver fatto un progetto, quantomeno di massima. Nessuna persona che tenga a cuore il suo portafoglio vuole rischiare di trovare la tazza del water nel bel centro del soggiorno, e la camera da letto attraversata diagonalmente dallo scarico a cielo aperto dei fumi della cucina. Questo significherebbe dover rimettere mano alla casa, con aggiunta di altro tempo e di altri quattrini, sopportando nel frattempo gravi disagi.

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Si trattava, ancora, di dividere il progetto in fasi di attuazione, stabilendo le priorità anche in funzione dei quattrini disponibili; tenendo d'occhio la necessità inevitabile di sperimentazione e, soprattutto, curando con speciale attenzione tutta l'importantissima questione della formazione del personale, dai dirigenti ai dattilografi: comunque la pensi l'ufficio acquisti del Ministero di Grazia e Giustizia, l'informatica è cosa che attiene alla cultura dell'organizzazione molto più di quanto la medesima riguardi un fatto puramente contabile o contrattualistico.

Bisognava infine creare protocolli, procedure; oc-correva fare in modo che l'ufficio fosse capace di non perdere i contatti da una parte con quanto fosse riuscito a realizzare, e dall'altra con tutto quello che la tecnologia produce all'esterno sempre più velocemente. Nel settore specifico dell'informatica, chi non si aggiorna diventa vecchio in poco tempo ed antidiluviano in qualche anno, col rischio di non riuscire mai a sfruttare al meglio le risorse, e col rischio - per la giustizia - di stare sempre dieci anni indietro rispetto alla mafia.

Tutto questo non è stato neppure iniziato dall'Ufficio Automazione, nei nove anni di sua vita prima della mia nomina, come hanno ripetutamente segnalato sia il Consiglio di Stato che la corte dei Conti.2 E dunque gli impegni effettivi di spesa, che soltanto nel 1991 hanno raggiunto i 132,8 miliardi di lire, sono stati assunti a caso, al di fuori di ogni piano organico e ragionato.

Ed ora, io e quattro impiegati generici avremmo dovuto porre riparo a questa incredibile ed enorme

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voragine?! Quasi io fossi il Padreterno. O il Suo vice. Ed è evidente che occorreva munirsi di collaborazioni esterne molto qualificate.

Il ministro, infatti, è stato d'accordo con la mia proposta di conferire un incarico di consulenza a De Maio.

Morale? Dopo avermi preso in giro per mesi interi, alla fine dell'ottobre successivo alla mia nomina, finalmente la lobby è venuta allo scoperto, boicottando a chiare lettere il professor De Maio, e, tramite lui, il sottoscritto.

Si era infatti subito stabilita una solidarietà ed una coesione tra il professor De Maio e me, perché le mosche bianche costituite da chi vuoI essere onesto e da coloro che hanno a cuore lo Stato si scorgono reciprocamente anche a distanza, e si ritrovano sempre.

Ed ecco, appunto, la lobby. Alla nomina di De Maio viene opposto che un componente del Comitato tecnico non può essere contemporaneamente consulente nel settore informatico. Da notare: non per costringere me a rinunciare alla nomina di De Maio quale consulente, bensì per indurre De Maio a dimettersi dal Comitato tecnico. Il motivo? È sottile.

Perché il Comitato tecnico è un organo previsto dalla legge, che uno straccio di rilevanza pure ce l'ha, se non altro perché si può fare tanto di verbale dei lavori. E poi, il Comitato presieduto da me aveva iniziato a manifestare la propria indisponibilità a fungere da semplice ombrello protettivo di scelte irrazionali, prese a caso, come si era sentito condizionato a fare nel passato. Ed avevamo iniziato a denunciare che senza

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quadro di riferimento e senza analisi comparate di costi-benefici non era possIbile affrontare i problemi che, scaturiti dalla vecchia gestione, venivano portati all'esame.

Invece, il consulente come lo gestisci? Come ti pare. Tenuto conto che dovrebbe essere comunque nominato consulente del ministro (anche se posto a disposizione, di fatto, di uno specifico ufficib), tu, che ne hai il potere, lo attrai nella tua orbita (all'òmbra del ministro), gli fai fare la sua brava relazione, gli dici che senza il suo consiglio la giustizia sarebbe caduta l'indo-mani, gli paghi una ventina di milioni di onorario, e poi te ne freghi lo stesso.

De Maio in Comitato sarebbe stato un osso più duro da digerire, perché ne sa molto di più di tanti altri, e perché non avrebbe mai avallato scorciatoie, dilettantismi o rattoppi.

È stata la Livia Pomodoro, il 24 ottobre 1991, a convocare presso di sé il professor De Maio giunto a Roma per partecipare ad una seduta di Comitato. Nel corridoio del palazzo gli ha detto chiaro e tondo che, tutto sommato, era meglio optare per la consulenza, tenuto conto, oltretutto, della sua provenienza da Mi-lano. Un messaggio chiaro. Legato al solito modo di gestire le cose. Il componente del Comitato si prende soltanto un modico gettone di presenza, mentre una consulenza può fruttare molto di più.

Il professor De Maio era bianco di rabbia, sia per il merito che per il modo. Soltanto diversi mesi più tardi, e cioè dopo l'inizio dello scandalo Chiesa,3 egli ha temuto che quell'incomprensibile riferimento a Milano avesse, nella mente di chi lo aveva fatto, un

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preciso ed offensivo significato; ed io a mia volta hopensato che, dunque, chi aveva citato Milano potesse conoscere l'ambiente milanese molto prima di Di Pietro. Certo è che l'incompatibilità di cui la Pomodoro parlava era un'altra balla, anche se ammantata dal solito richiamo al rispetto della legge. Rispetto formale, ovviamente. Al Ministero di Grazia e Giustizia, perquello che ho constatato, si fa uso del richiamo alla legge ed alle altre regole soltanto per impedire e per paralizzare una qualunque cosa che non combaci con l'estro dei potenti (maschi o femmine che siano).

Il potere fa quello che gli pare, se gli pare e quando gli pare. L'ho già detto, ma vale la pena di ricordarlo ogni tanto.

Che esista incompatibilità fra componente del Comitato tecnico e consulente assegnato all'Ufficio Automazione è escluso totalmente già dalla lettura del testo normativo: come fa ad esserci incompatibilità se, in forza della stessa legge che istituisce il Comitato, il direttore dell'Ufficio Automazione è anche il presidente del Comitato? Quando mai chi presiede un organo di controllo è anche il capo dell'ufficio controllato? Cosa vuoI dire? VuoI dire chiaramente ed evidentemente che il Comitato tecnico non è un organo di controllo rispetto all'Ufficio Automazione, e che quindi De Maio può stare benissimo sia nell'Ufficio Automazione che nel Comitato, cioè nella mia stessa posiZIOne.

Come mai Livia Pomodoro non ha sollevato, né prima né dopo dell' ottobre 1991, la questione del professor Giuseppe Di Federico che, come De Maio, fa parte dello stesso Comitato, e che, al contrario di De

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Maio, è stato nominato consulente a disposizione di Liliana Ferraro fin dal 30 maggio -1991, per "le tecnologie di supporto del processo penale", con fondi destinati proprio all'informatica?

Quali sarebbero le tecnologie di supporto a1 nuovo processo penale, diverse da quelle informa.tiche?

Tutti al Ministero sanno che con quelle parole si è voluto intendere in primo luogo la "videoregistrazione dei processi". 4

La tematica della videoregistrazione è appartenutapacificamente alla competenza dell'Ufficio Automazione fino a che Liliana Ferraro ne è stata direttrice. E poi ha preso il volo verso la direzione Affari Penali, non appena la Ferraro è andata a lavorare nella direzione Affari Penali. A questa direzione la normativa in vigore non attribuisce alcuna competenza né in materia di organizzazione di servizi, né in tema di acquisizione di strumentazioni - informatiche e non - per gli uffici giudiziario Ma, come è noto, i principi sono sopra le leggi.

Ecco un esempio sfacciato di come il potere fa quello che gli pare: con poche parole scritte su un foglio di carta, in barba ai necessari pareri del consiglio di amministrazione,5 buggerando precedenti decreti mi-nisteriali e qualsiasi altra considerazione, una competenza (che coinvolge una bella fetta di miliardi) passa da un ufficio all'altro.6 Per rimanere, però, nelle stesse mani.

Il deputato Nucara 7 voleva sottolineare proprio questo stupefacente episodio quando, il 26 luglio 1991, ha rivolto un'interrogazione al ministro di Grazia e Giustizia nella quale, dopo essersi «complimentato»

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con Martelli per aver questi deciso di «rimuovere alcune situazioni che apparivano intoccabili, come quella della dottoressa Liliana Ferraro» (il deputato si riferiva alla precedente condizione della Ferraro di direttrice degli Uffici IV ed Automazione) ha chiesto di sapere: «se risponda al vero la notizia a conoscenza dell'interrogante secondo cui in contrasto con quanto in premessa, sarebbero state trasferite, con provvedimenti abnormi, alla direzione Affari Penali competenze già appartenenti alla cognizione di quegli uffici dalla direzione dei quali la dottoressa Ferraro era stata esonerata», «sicché la stessa persona, pur rimossa dalla direzione di quegli uffici, verrebbe nuovamente a gestire un settore che comporta gravi problemi tecnici e rilevanti impegni economici, quasi che la relativa funzione avesse connotazioni di personalizzazione».

Ma il professor Di Federico è stato nominato consulente non soltanto per la videoregistrazione dei processi. Non può essere sufficiente un solo- incarico per un professore che nel corso di un convegno tenutosi ad Arcavacata di Rende (provincia di Cosenza) è "Ordinario di Ordinamento Giudiziario all'Università di Bologna" alle ore 10,30 e "Componente della Commissione del Ministero di Grazia e Giustizia incaricata di costituire un punto di riferimento di TELCAL nella fase realizzativa del Progetto Giustizia" alle 15,30 dello stesso venerdì 8maggio 1992!!?

Per poi diventare, alle 9 dell'indomani mattina, "Presidente della Commissione di studio del CNR per l'elaborazione di proposte operative nel settore delle tecnologie di supporto all'organizzazione giudiziaria".

Il professor Di Federico, infatti, si occupa certo,

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insieme a Liliana Ferraro, di videoregistrazione, ma anche del monitoraggio del nuovo codice di procedura penale. Da quando? Dopo l'estromissione da quel settore di un magistrato che se ne occupava da anni senza fondi e senza mezzi adeguati, ma con serietà e con professionalità ripetutamente riconosciute. 8

Soltanto dopo questa estromissione, soltanto dopo il passaggio della dottoressa Ferraro dall'Ufficio Auto-mazione alla direzione Affari Penali (nella quale l'ufficio per il monitoraggio è inserito), e soltanto dopo la nomina a consulente di Di Federico, l'" Amministrazione" ha chiesto ed ottenuto, per il monitoraggio, uno stanziamento di 2 miliardi e 200 milioni di lire. 9

A nulla è valso che il deputato onorevole Recchia, in sede di esame del relativo decreto legge governativo, abbia ripetutamente evidenziato che la gestione del settore, e quindi l'impiego dei finanziamenti, sarebbe avvenuta con l'intervento di un istituto associato al Centro Nazionale delle Ricerche, diretto proprio dal professor Giuseppe Di Federico, pur essendo l'Amministrazione già dotata di un ufficio "ad hoc". IO

In realtà, la raccolta dei dati per il monitoraggio non ha alcun bisogno di attrezzature e di strutture specifiche, perché un buon sistema di automazione delle cancellerie (che è nella competenza dell'Ufficio Automazione sviluppare ed introdurre) porta come semplice sottoprodotto tutto quello che occorre per verificare l'andamento di uno qualsiasi degli istituti dei codici procedurali. Chi ha voglia di studiare non deve dunque necessariamente crearsi separate strutture, sottraendo finanziamenti all'automazione degli uffici giudiziari, e magari duplicando e confondendo le

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cose. Si lavora per la giustizia, o per creare carrozzoni, oppure per formare delle "vetrine" utili ad altri?

Certo è che questo nesso "Ferraro-Di Federico-CNR" insospettisce, a quanto pare, il deputato Parlato. Questi infatti, nella seduta alla Camera del 22 dicembre 1992, ha interrogato il ministro di Grazia e Giustizia «per conoscere. Premesso che:

- la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha disposto a seguito di alcune interrogazioni dello scrivente, indagini preliminari sui rapporti tra il professor Giuseppe Di Federico e un dipendente del CNR nominato dirigente di ricerca (con un salto di ben tre qualifiche intermedie) a seguito di concorso nella cui Commissione l'anzidetto docente era autorevole membro;

- nell'ambito del nuovo codice di procedura penale la fase delle indagini preliminari è particolarmente delicata;

- nel mese di dicembre 1992, nel corso di un congresso svoltosi presso il CNR ed organizzato dal Di Federico, sono intervenuti il ministro interrogato ed i direttori generali del Ministero (tra cui la dottoressa Liliana Ferraro, direttore generale degli Affari Penali, e componente di commissioni del CNR presiedute dal Di Federico):

- se il ministro intenda impartire direttive, essendo palese il riflesso di autorevoli partecipazioni (e soprattutto di dichiarazioni) sull'indagine preliminare in caso, onde nel futuro, stanti appunto gli accertamenti in corso, e fino alla loro conclusione ove mai non approdassero all'accertamento di illegittimità, non vi siano ulteriori occasioni di commistione, anche indi-

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rette, tra le strutture ministeriali e chi sia oggetto di indagini». 11

Passaggi di competenze, videoregistrazioni, moni-toraggi, miliardi. Un intreccio curioso. Ma il succo è che "c'è chi può". Ferraro e Di Federico possono, De Maio ed io non abbiamo potuto.

Infatti, a fronte di tanta disponibilità e di tanta opulenza dimostrate dall'" Amministrazione" per Di Federico, Adriano De Maio - che non ha bisogno di esporre medaglie sul petto, come uno di quei generaloni russi che comparivano in televisione - non è mai stato nominato consulente dal ministro di Grazia e Giustizia, che pure lo aveva appositamente "prelevato" dai suoi ricordi giovanili, ben prima della mia nomina. Si è detto che, per superare il presunto ostacolo costituito dalla presunta incompatibilità, il professor De Maio - che molto opportunamente non è caduto nella trappola delle dimissioni dal Comitato tecnico - è stato nominato consulente nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per essere poi posto a disposizione del ministro di Grazia e Giustizia. lo però non ho mai visto il decreto. Ed Adriano De Maio, oggi, a più di un anno di distanza dai fatti, mi conferma che neppure lui ha mai visto né ricevuto la nomina.

E l'interrogazione parlamentare dell'onorevole Nucara sulla videoregistrazione dei processi che fine ha fatto? Non si sa. Pare che Martelli non ne abbia saputo nulla. Possibile?

Ma allora, chi comanda al Ministero di Grazia e Giustizia? E perché un ministro che vuole nominare un consulente non riesce a farlo? È per caso l'" Ammi-

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nistrazione" che glielo impedisce? E chi è - a proposito -questa "Amministrazione", di nome, cognome ed indirizzo?

Misteri. Fatto sta che la "storia di un consulente mai nato" corre parallela a quella di un altro consulente che, fuori e dentro del Ministero, è addetto a videoregistrazioni e a monitoraggi miliardari. Ed è anche componente di comitati selezionati. Livia Pomodoro.

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NOTE

I Vedi nota 5 del capitolo I.

2 Nella relazione al Parlamento sul Rendiconto Generale dello Stato per l'anno 1990, la corte dei Conti evidenzia che «Nello svolgimento dell'attività in questione (quella contrattuale gestita dall"'Ufficio IV - Automazione": nda) l'Amministrazione ha manifestato una sostanziale difficoltà di programmazione delle iniziative, come ha messo in evidenza anche il Consiglio di Stato nell'esprimere i pareri di competenza ... ».

Quindi la corte osserva che « ... l'Amministrazione avrebbe dovuto procedere agli acquisti dopo aver accertato la consistenza del proprio fabbisogno, sÌ da fronteggiare le esigenze in modo organico ed efficiente ed evitare interventi episodici ed imprecisi anche da un punto di vista economico».

Ancora censurando la «detta difficoltà di programmare», la corte mette in rilievo che le spese più rilevanti che sono state affrontate fuori da un quadro di riferimento riguardano «nella sostanza il settore dell'informatizzazione».

Oltre alla critica sull'incapacità di programmare, più volte la corte ha messo in evidenza che l'Amministrazione giudiziaria non riesce a ben spendere i fondi, pur potendo fruire (relazione 1991) «ormai da diversi anni, di una situazione che sottrae l'ammini-strazione della giustizia dal sistema normativo vigente: ne emerge un disordinato accavallarsi di norme che non consente l'indi viduazione di un lucido disegno rinnovatore. Numerose norme ... hanno via via esentato l'Amministrazione dall'osservanza della legge di contabilità generale dello Stato o della normativa CEE o hanno consentito il ricorso ad anomale procedure di urgenza, con identificazione dell'urgenza 'in re ipsa'».

3 Mario Chiesa è stato il primo personaggio del Partito socialista italiano arrestato con l'accusa di concussione in quella inchiesta - iniziata nel febbraio 1991 - che sarebbe stata poi denominata "Mani Pulite" e che avrebbe coinvolto molti esponenti di vari partiti, ai massimi livelli.

4 Per rendere più veloci e fedeli le operazioni di verbalizzazione dei processi penali il nuovo codice di procedura (art. 134) ha previsto l'uso della stenotipia o di altro strumento meccanico.

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Soltanto per caso "assolutamente indispensabile" è stata prevista la "riproduzione audiovisiva". Per "videoregistrazione dei processi" si intende dunque il filmato delle udienze di un processo penale.

5 Il consiglio di amministrazione è un organo consultivo interno al Ministero che deve esprimersi anche sulle modifiche organizzative che si intendano apportare alla struttura.

6 L'esonero della dottoressa Ferraro dalla direzione dell'Ufficio Automazione risale ai primi giorni del marzo 1991, ed è stato comunicato dall'interessata in un convegno organizzato a Roma dal Consiglio Superiore della Magistratura nei giorni 8-10 marzo 1991. Ciò nonostante, in data 5 aprile 1991, con nota n. 151/91 UA di protocollo, la dottoressa Ferraro nella sua qualità di direttrice dell'Ufficio Automazione ha inviato per il parere, al Provveditorato Generale dello Stato, un'offerta della Olivetti Information Servi ce S.p.a. e della Philips S.p.a. «riunite in raggruppamento temporaneo d'imprese», «per l'installazione e la gestione di impianti di videoverbalizzazione informatizzata presso alcune sedi giudiziarie». Dal documento emerge che la videoregistrazione: a) apparteneva alla competenza dell'Ufficio Automazione; b) era ritenuta questione informatica ("videoverbalizzazione informatizzata"); c) era oggetto di speciale interesse, dato che, pur avendo già abbandonato almeno di fatto l'Ufficio Automazione, la dottoressa Ferraro ha avvertito l'urgenza di occuparsene ancora.

Il decreto ministeriale 6 giugno 1991 (pubblicato in appendice, pago 4) e predisposto dalla stessa dottoressa Ferraro afferma invece -per giustificare lo spostamento di competenza - che «gli strumenti di videoregistrazione non sono direttamente connessi al processo di informatizzazione degli Uffici Giudiziari».

Da parte sua, il professor Di Federico, con lettera confidenziale del 29 aprile 1991, aveva chiesto al ministro Martelli di adoperarsi per fare in modo che (modificato l'art. 134 del codice di procedura penale) l'uso della "videoregistrazione" fosse non più eccezionale, ma normale ed ordinario.

7 Francesco Nucara, del Pri, è stato deputato nella X legislatura. L'interrogazione risulta dagli Atti Parlamentari della Camera dei Deputati, X legislatura, Discussioni, seduta del 26 luglio 1991 (n. 4-27281).

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8 L'art. 7 della legge 16 febbraio 1987 n. 81 delega il Governo ad emanare, entro tre anni dall'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, eventuali disposizioni integrative e correttive del codice stesso. L'attività di costante e metodica rilevazione della "tenuta" del nuovo codice ("monitoraggio") è rivolta a rendere possibile tale adempimento. Di essa si occupava l'Ufficio V della Direzione Generale degli Affari Penali, che il ministro Vassalli con circolari del 12 giugno 1989 e del 3 febbraio 1990 aveva ulteriormente investito del problema. A capo del citato ufficio è stato fin dalla sua costituzione, nel 1981, il magistrato Carlo Sarzana, che (versato anche in sociologia ed informatica) aveva riscosso ripetuti elogi verbali e scritti per la sua attività. Le citate circolari del ministro Vassalli hanno una speciale valenza, tenuto conto che il professor Giuseppe Di Federico, con lettere del 26 settembre 1989 e dellO gennaio 1990, aveva inutilmente tentato di convincere lo stesso Vassalli ad affidargli la direzione di un progetto cosiddetto "strategico" per il "monitoraggio". Liliana Ferraro aveva partecipato alla predisposizione del progetto, in una riunione tenuta si il 22novembre 1989 presso il Centro Nazionale delle Ricerche (CNR) in Roma. Carlo Sarzana era evidentemente ritenuto di ostacolo ai progetti dei due.

9 Il Ministero presentò un primo decreto legge (13 settembre 1991 n. 298) che lasciò poi decadere (vedi nota seguente). Il secondo decreto, del 18 novembre 1991 n. 365, fu convertito con modificazioni nella legge 17 gennaio 1992 n. 7. Le Gazzette Ufficiali che recano i vari testi sono: Serie Generale: n. 219 del 18 settembre 1991; n. 270 del 18 novembre 1991; e n. 13 del 17 gennaio 1992.

lO Sul primo decreto legge (298 del 13 settembre 1991) si svolse un'accanita battaglia presso la Commissione giustizia della Camera dei Deputati. Le opposizioni (ed, in particolare, i rappresentanti del Pds) hanno attaccato con successo le questioni della "videoregistrazione" e del" monitoraggio". Fu infatti riformulato il primo comma dell'art. 2 del decreto, ed abrogato il secondo comma. La discussione è avvenuta nelle sedute del 3 e del 15 ottobre 1991.

Perduta la battaglia in Commissione, il Governo (o chi per esso) preferì non affrontare l'Assemblea Parlamentare e lasciò decadere il decreto legge. Che, però, venne subito ripresentato (18 novembre 1991 n. 365) con nuova insistenza sia sulla videoregi-

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strazione che sul monitoraggio. Nuova battaglia in Commissione giustizia alla Camera. Le opposizioni hanno ribadito ed ampliato i precedenti interventi. Questa volta, però, suonata la tromba dell'allarme in base all'esperienza del precedente decreto, le forze di maggioranza vengono mobilitate (da chi?) e le opposizioni sono sconfitte. Videoregistrazione e monitoraggio compaiono infatti trionfanti nella legge di conversione del 17 gennaio 1992 n. 7. I verbali delle sedute della Commissione giustizia della Camera (del 4dicembre 1991 e del 9 gennaio 1992) sono illuminanti dell'intreccio che è sotto stante a tutta la questione.

Il Antonio Parlato è deputato del Msi in questa XI legislatura. L'interrogazione è nel resoconto 112 e reca il n. 4-09109. La dottoressa Liliana Ferraro è indicata nell'interrogazione quale direttore generale degli Affari Penali perché, assassinato Giovanni Falcone a Capaci, il posto di direttore generale di Falcone è stato conferito proprio alla Ferraro. Si veda la nota 3 del capitolo I,nonché il testo dell'ultimo capitolo.

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IV

La spartizione

Non spendere i miliardi è fare brutta figura

Settembre ed ottobre sono stati mesi di speciale concitazione nelle stanze del palazzo oltre che fuori. C'erano tanti portafogli che si stavano allargando per poter ospitare i nuovi 120 miliardi destinati all'infor-matica per la giustizia dallo stesso decreto legge che prevedeva finanziamenti per il monitoraggio di Ferraro-Di Federico-CNR. Mi sarebbe piaciuto in quei giorni essere un filo di telefono, perché immagino che mi sarei goduto tutte le perline luccicanti che transitavano da un punto all'altro dei ricevitori.

Ero invece, mio malgrado, ... un semplice "Super-man" alle prese con la lettera del 27 settembre 1991 con la quale il capo di gabinetto Livia Pomodoro mi chiedeva di depositare, entro il successivo IO ottobre, il "Piano di informatizzazione per l'amministrazione della giustizia". Da quel mio piano sembravano dipendere tutti gli investimenti della giustizia, e forse anche il destino politico del ministro. Ma che storie!

La richiesta di depositare il "piano generale" era

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infatti soltanto un modo per mettermi in difficoltà, e per avviare quella procedura di "messa in stato d'accusa" che avrebbe dovuto convincere Martelli ad esonerarmi dall'incarico. In realtà, l'Amministrazione aveva già deciso come e perché spendere i soldi che chiedeva al Parlamento per finanziare l'informatica. Il tutto era contenuto in due successive relazioni che, come ho saputo soltanto mesi dopo, erano state allegate allo schema di decreto legge che era stato predisposto, non so da chi, nell'ambito del Ministero di Grazia e Giustizia. Relazioni e schema di decreto non avevano "investito" l'Ufficio Automazione che, in pratica, era costituito solo dal sottoscritto. Erano state annunciate varie e sconclusionate iniziative, ma io, che ero stato scomodato apposta da Borgomanero, non ne sapevo assolutamente niente.

Ma non basta: anche la spartizione dei soldi era già avvenuta, non so quando, dove, e per opera di chi. L'ho scoperto lo stesso IO ottobre (il giorno in cui scadeva il termine per il mio importantissimo piano generale) quando il sottosegretario senatore Franco Castiglione l hapresieduto una riunione che aveva per oggetto non la divisione dei soldi (già avvenuta), ma la verifica del se gli uffici beneficiati dalla spartizione sarebbero stati in grado di spendere entro il 31 dicembre successivo i miliardi accordati dal famoso decreto legge.

Alla riunione c'erano Filippo Verde, Liliana Ferraro, due rappresentanti del Dipartimento Penitenziario (Fazzioli e Daga), due rappresentanti della Direzione del Personale (Sabelli e Parziale), un rappresentante dell'Ufficio Bilancio (Belsito) ed il direttore dell'Uffi-

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cio IV, Fabio Mondello. Il quale, al suo turno, esordì dicendosi molto soddisfatto che tutti i miliardi che erano stati assegnati al suo ufficio, lui li aveva già tutti impegnati o spesi; e che quindi, per parte sua, non c'era certo il pericolo che si dovessero mandare indietro i quattrini, facendo brutta figura.

E già.Perché il problema non era quello di spenderli bene;

il problema era quello di spenderli comunque entro il 31dicembre 1991, perché altrimenti, per questioni attinenti al bilancio dello Stato, "sarebbero andati perduti". Un Ministero che chiede un urgentissimo decreto legge di finanziamento, e poi non spende subito i quattrini, "perde i soldi" e ci fa anche una brutta figura!

Così, l'ansia di spendere soldi entro il 31 dicembre deve essere stata tanto forte, che Mondello si era affrettato a predisporre contratti. Ma, per sua sventura, non era riuscito a riferire a Fazzioli e a Daga, che glielo chiedevano con impietosa insistenza, qual era l'oggetto del contratto per quindici miliardi di lire che egli aveva appena annunciato trionfante d'aver stipulato con la Sip.

Quelli insistevano a voler sapere di reti e di non reti (di trasmissione dati), e non so se Mondello non pensasse addirittura alle reti da pesca. Mondello non sapeva di cosa stessero parlando, cercava di aggrapparsi in qualche modo alla "competenza" del sottoscritto, "annaspa va". 2

Da questo, ed anche da tutti gli altri discorsi di quel giorno, ho nuovamente constatato la superficialità ed il dilettantismo di sempre. Parlare di miliardi

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come di "noccioline americane", continuare a dire che "in attesa di iniziative meglio studiate", per intanto, per non "perdere i soldi" (chi paga?!) "facciamo questa cosa". Continuare a rinviare ogni studio serio, ed ogni vera programmazione; mettersi (casualmente?) nelle situazioni di urgenza, e poi giustificare con essa le varie iniziative scoordinate!!

Il tutto, condito dalla completa emarginazione dell'Ufficio Automazione, che era lì rappresentato soltanto per ascoltare e per apprendere - da una serie di persone estranee all'ufficio - quello che, proprio nella materia informatica di sua competenza, si sarebbe attuato con i freschi 120 miliardi di finanziamento. Tanto che non ho saputo frenarmi dal chiedere platealmente al senatore Castiglione cosa cavolo m'aveva invitato a fare a quella riunione, e perché mai non si decidevano a sopprimere il "mio" inutile ufficio.

Non ho incontrato Fabio Mondello spesso, in seguito. Ma nell'unica occasione successiva nella quale ho dovuto trattenermi attorno a un tavolo con lui per questioni informatiche, ho notato che, forse per evitare altre "gaffe", si era portato appresso il "demiurgo" dell'informatica dell'Ufficio IV, la sua struttura portante: il dottor Massimo Pensato, cancelliere assurto giovanissimo al rango di dirigente, dopo essere stato accolto nel novero dei "braccidestri" di Liliana Ferraro, quando questa era a capo degli Uffici Automazione e IV.

Fabio Mondello è fortunato, perché lui ha al suo fianco lo stesso funzionario della Ferraro. lo mi domando: «La gente che paga, chi ha al Ministero che controlli il modo in cui si spendono i suoi quattrini?».

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Si potrebbe rispondere che ci sono tanto di procedure previste dalla legge per i "controlli istituzionali". Ma queste sono balle. I controlli non funzionano. Se fun-zionassero, non sarebbe sotto gli occhi di tutti la storia di "Tangentopoli". E non avremmo tutti constatato che, nonostante i "controlli", tanti miliardi sono stati sperperati.

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NOTE

l Il senatore Franco Castiglione, del Psi, aveva ricevuto formale delega dal ministro Martelli per quanto attiene alla materia informatica. In forza della delega (prevista come possibile dalla legge), egli avrebbe dovuto costituire l'unico riferimento politico dell'Amministrazione in tutte le questioni "informatiche", con conseguente estromissione di quel raccordo tra uffici e ministro che ècostituito dal gabinetto del ministro. Nei fatti, invece, la delega conferita al senatore Castiglione costituiva soltanto motivo di ulteriore confusione, perché sia il ministro che il suo gabinetto gestivano direttamente, e disgiuntamente dal sottosegretario, molte questioni.

2 Il "segreto" sempre mantenuto dall'Ufficio IV sugli atti gestiti e sui contratti stipulati mi impedisce di indicare quale fosse l'oggetto del "contratto Sip". Sulla gelosa difesa da ogni "ingerenza" sui contratti, si rinvia in particolare al capitolo X.

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v

Come l'informatica va avanti anche senza Ufficio Automazione

Una "pensione Inps" per la giustizia

Quindi mentre combattevo per avere locali, strutture, informazioni, personale e consulenti, le iniziative informatiche del Ministero non erano per nulla ferme. Al contrario, esse fiorivano proprio per l'arrivo della nuova linfa pecuniaria. La lobby è riuscita a paralizzare me, ma io non sono riuscito ad impedire che loro dilagassero comunque, continuando nella spendita di pubbliche risorse completamente al di fuori di un quadro di riferimento.

Liliana Ferraro, come già dimostrato, se ne fregava ampiamente di essere stata estromessa dall'Ufficio Automazione, e continuava a pilotare il settore. Infatti, dopo aver assestato il colpo miliardario di portarsi appresso tutta la tematica della videoregistrazione dei processi, in ottobre ha portato a compimento un altro progetto. Quello di legalizzare i presupposti per scavalcare Ufficio Automazione, commissioni, comitati e quant'altro, per procedere più speditamente verso le mete a lei gradite. Con la "convenzione Inps".

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In ottobre Martelli firma con Mario Colombo, presidente dell'Inps, una convenzione tra Ministero ed Ente, secondo la quale quest'ultimo, sotto la forma apparentemente carina di voler soccorrere la giustizia in crisi, diventa in realtà il fornitore di pacchetti applicativi (programmi), di risorse professionali e tecniche per l'informatizzazione dei servizi, di iniziative e di strumenti per la formazione del personale.

Insomma, "giustizia in pensione".Ebbene, la convenzione è un mostro giuridico,

quantomeno perché si pone fuori delle finalità previste dall'art. 3 del d.l. 103/91 (convertito con modificazioni nella legge l giugno 1991 n. 166); ed è un mostro anche sotto il profilo dell'opportunità, perché consegna grosse fette di informatica giudiziaria nelle mani di un Ente che, tra l'altro, non ha tra le sue finalità istituzionali quella di fungere da società erogatrice di tali servizi. La convenzione infine si basa su presupposti falsi, perché l'Amministrazione giudiziaria si impegna a mettere a disposizione dell'Inps un archivio informatizzato, quello definito "Cancelleria Commerciale Registro delleImprese", che non esiste, non soltanto perché le cancellerie commerciali non sono mai state informatizzate, ma anche perché non è mai intervenuta una legge attuativa del registro delle imprese (istituito dal codice civile, e provvisoriamente collocato presso le cancellerie dei tribunali).

Violazioni di legge e falsi presupposti verranno denunciati nel successivo dicembre anche alla Camera, dove i deputati Vairo, Tealdi, Lia, Matulli e Rinaldi protestano per la convenzione, e ne chiedono conto al ministro di Grazia e Giustizia e a quello del Lavoro e

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della Previdenza Sociale. 1 Le perplessità crescono quando si viene a sapere che l'Ibm, essendo notoriamente il fornitore principale dell'Inps, diventerà auto-maticamente il prescelto anche per buone fette di informatica per la giustizia, senza passare attraverso il filtro dell'Ufficio Automazione del Ministero di Grazia e Giustizia. Tutti si chiedono che bisogno c'è di aggirare le norme, imboccando sentieri poco chiari.

Ebbene, la regista, la proponente e la relatrice della convenzione, per parte giustizia, è la dottoressa Ferraro. Èlei che si reca più volte, e si trattiene a lungo anche in ore serali, presso la sede Inps. Ed è lei che compare trionfante in televisione accanto a Martelli, per annunciare la stupenda iniziativa di collaboraZIOne.

Quasi a dire pubblicamente che un conto sono le attribuzioni formali, ed un altro sono i poteri di fatto. L'Ufficio Automazione è stato infatti, ancora una volta, completamente ignorato, ed il sottoscritto apprende la notizia, come tutti, dal telegiornale della sera. Un atto così importante per l'informatica nella giustizia viene ideato, gestito e concluso in una ·sede non competente (la Direzione Generale degli Affari Penali).

Ed è questo il fatto più rilevante, perché dimostra il clima di spudorata disarticolazione, di pieno disprezzo delle regole, di sfascio totale di un Ministero dove anche il ministro tradisce nei fatti quello che lui stesso ha deciso sulla carta. Ovvero che dell'informatica dovevano occuparsi altre persone, nell'ufficio a ciò destinato, in una visione armonica dell'insieme.

Ma lo sfascio completo è provato documental-

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mente2 anche dalla vicenda dell'impiego, da parte dell'Ufficio IV ed in piena contrapposizione polemica con l'Ufficio Automazione, di ben' 40 miliardi per l'acquisto di personal computer, con l'assurda pretesa secondo cui un acquisto del genere - essendo i personal macchine "flessibili" - non incide in alcun modo sui programmi che l'Ufficio Automazione intende portare avanti. Che cinema!

A parte la considerazione che i 40 miliardi spesi in un modo sono 40 miliardi che non si possono più spendere in un altro, si sa benissimo che dopo i personal arrivano le reti di collegamento tra personal, e dopo di queste arrivano determinati programmi che stanno molto a cuore all'apparentemente esautorata, ma tuttora militante ex direttrice.3 Passa nei fatti, in tal modo, una certa linea di automazione piuttosto che un'altra, e si pongono cosÌ dei vincoli all'attività di chiunque voglia progettare un qualcosa di serio (se mai lo permetteranno), perché sarà poi evidente che costui non potrà non tener conto dei "precedenti investimenti" perdecine di miliardi, fatti dall'" Amministrazione", seppure con veri e propri colpi di mano.

La giustizia ci guadagna poco o nulla. Il quadro diventa sempre più complicato e disarticolato. Le risorse non vengono mai sfruttate al meglio. Si produce ricchezza, invece, per tutte le società che, nel sistema costantemente seguito della trattativa privata, si sono accaparrate il monopolio di determinate fette di torta. Sono costoro che assicurano il sostegno tecnico all'" Amministrazione", come risulta evidente dalla cor-rispondenza già citata tra Ufficio Automazione ed

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Ufficio IV in merito alla contestata forni tura dei personal computer. Ma tanti altri documenti possono testimoniare che i consulenti dell'Ufficio IV (e dell'Ufficio Automazione, prima del mio arrivo) sono gli stessi tecnici delle case fornitrici. Sono loro che, incuneandosi negli spazi che riescono a guadagnarsi, rilevano bisogni, individuano obiettivi, stabiliscono percorsi da seguire per attuare gli obiettivi, propongono ed attuano programmi applicativi, e vendono le macchine sulle quali quei programmi vengono utilizzati.

Servizio "chiavi in mano". Si può credere che sia utile. Ma sembra possibile, per esempio, che la Fiat individui obiettivi che le sue auto non possono conseguire, e segnali al cliente che è meglio acquistare autovetture dalla Bmw??! È facile così comprendere quello che sostengo: che in una materia così poco conosciuta come quella dell'informatica, può accadere molto facilmente che bisogni, obiettivi, percorsi, programmi, fasi di attuazione e tutto il resto siano - dai forni tori - relazionati in primo luogo ai loro interessi, e poi, eventualmente, alle esigenze della giustizia.

A fronte di un'Amministrazione che non riesce ad esprimere niente di proprio, perché mai dovrebbe accadere il contrario? È ovvio che gli imprenditori curino i loro interessi. Non so come essi si guadagnino gli spazi e le simpatie nel Ministero di Grazia e Giustizia, ma, posto che non vi sono gare d'appalto aperte a tutti, le valutazioni sono conseguenti.

Sta di fatto che l'Amministrazione non possiede al proprio interno (perché non vuole possederli) adeguati gruppi di lavoro, capaci, in ragione di specifica prepa-razione professionale e di alta affidabilità morale, di

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presiedere al complesso fenomeno. E dunque non governa un bel niente. Viene governata e pilotata dall'esterno.

In questa inquietante palude l'informatica va ugualmente "avanti", nonostante la paralisi in cui è posto l'Ufficio Automazione del "dopo-Ferraro".

Le mie buone intenzioni nei rapporti personali,4 e sulla distribuzione di compiti tra Ufficio Automazione ed Ufficio IV appaiono, col senno di poi, quasi patetiche. Anche ingenua mi appare ora la prima iniziativa che ho intrapreso dopo il mio insediamento. Ho infatti rivolto a tutti i capi struttura del Ministero una richiesta ed un'offerta di collaborazione, ed ho fissato all'uopo una riunione per il 24 luglio 1991.5

La riunione è stata prima rinviata, e poi lasciata morire con quella tecnica stupendamente efficace di far finta che della cosa non si sia mai parlato. Per il 24 luglioil pretesto fu che il senatore Castiglione si era infortunato e non poteva intervenire; poi il capo di gabinetto mi invitò a rinviare la cosa "a data da destinarsi". Ma in seguito ho saputo che qualcuno (inevitabilmente collocato nelle Sfere Alte del Potere) si era lamentato che «un qualsiasi direttore di ufficio non può certo invitare ad una riunione i direttori generali»: e le regole della buona educazione dove le mettiamo?

Bene, anzi malissimo. Ho pensato tra me e me: «Fate stampare la carta intestata su fogli di pergamena; decidete chi può avere il privilegio di scrivere ai direttori generali; fissate voi la data; fate quello che vi pare, purché questa riunione si tenga, così cominciamo a lavorare sul serio».

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Ma figuratevi! Non è certo questo il problema. Il problema è che questa riunione "non s'ha da fare". Sarebbe come giocare a carte scoperte.

Ed infatti, quella riunione non s'è mai più tenuta.Però l'informatica selvaggia, quella pensata nell'oscurità serale, quella attuata a tradimento, quella che porta l'Ufficio IV a strapagare i numerosi incarichi conferiti -senza neppure interpellare l'ufficio responsabile dell'automazione del ministero - alla qualsiasi "Cooperativa Giemme" (villa sull'Aurelia e viaggi di lusso con ministeriali),6 quel genere di informatica è andata ben avanti.

D'altra parte, con una giustizia in pensione (lnps), può accadere questo ed altro. Come in un "bel film" (così dicono i giovani di oggi), dove la realtà supera l'immaginazione.

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NOTE

l Gaetano Vairo, Giovanna Maria Tealdi, Antonio Lia, Giuseppe Matulli e Luigi Rinaldi sono stati deputati della Dc nella X legislatura. L'interrogazione è stata annunciata nella seduta del 12 dicembre 1991, resoconto 729, n. 4-29924.

2 I documenti sono: a) nota dell'Ufficio IV all'Ufficio Automazione del 27 luglio 1991 n. 4/10-497 di protocollo; b) risposta dell'Ufficio Automazione all'Ufficio IV, del 4 ottobre 1991 n. 416 di protocollo; c) nota dell'Olivetti Systems & Networks FM/slb del 26 luglio 1991all'Ufficio Automazione e all'Ufficio IV. Per la spesa di 40 miliardi si veda invece la nota dell'Ufficio IV del 30 gennaio 1992, pubblicata in appendice a pago 20.

3 Mi riferisco in particolare ai programmi denominati "Perseo" e "RE.GE.", dei quali si dirà nel capitolo XI. Come è noto il "programma" per un computer (in lingua inglese "software") è costituito da una serie di istruzioni che, inserite nella macchina, abilitano la medesima a svolgere un determinato compito. Essi sono in qualche modo paragonabili agli apprendimenti che, memorizzati dal cervello di un uomo, consentono a quest'ultimo di svolgere per esempio un determinato mestiere. Come senza apprendimenti un cervello umano non è in grado di guidare alcuna attività dell'uomo, così, senza "programma", il cervello elettronico non sa fare nulla. Ideare e realizzare un programma per computer è attività particolarmente complessa, e, quindi, il programma ha un pregio ed un prezzo economico distinto da quello della macchina (in lingua inglese "hardware").

4 Prima di assumere l'incarico al Ministero, ho inviato da Borgomanero una lettera di saluto a tutti gli alti dirigenti del Ministero e a tutti i direttori dei vari uffici della Direzione Generale Affari Civili. In appendice (pagg. 5 e 6) sono pubblicate le lettere inviate a Liliana Ferraro e a Fabio Mondello.

5 La nota reca la data del 13 luglio 1991 ed il n. 3/IT. U A di protocollo. È pubblicata in appendice, alle pagg. 7-9.

6 Pennacchio Giovanni Mauro e Melchiorri Marcella, coniugi, erano entrambi dipendenti di una società, la S.E.D.A., che aveva realizzato per 1"'Ufficio IV-Automazione" del Ministero

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un semplice programma per memorizzare nel personal computer le richieste di attrezzature che provenivano dagli uffici giudiziario Cessato il rapporto con la S.E.D.A., 1"'Ufficio IV-Automazione" ha affidato la gestione della procedura ai coniugi Pennacchio, ormai perfettamente integrati in quell'ufficio, nel quale sono ogni giorno presenti e del quale utilizzano tutte le attrezzature, come dei dipendenti ministeriali. Il 31 luglio 1989 risulta costituita la "Giemme - Società cooperativa a responsabilità limitata" con sede in Roma via Aurelia 596, il cui presidente è la Melchiorri. Il marito èamministratore unico della "Giemme New - S.r.l." con sede in Roma viale della Serenissima 105, società costituita in data 15 luglio 1992. Si ha notizia anche di una "Giemme Servizi e Software S.r.l." con sede in Roma, via di Boccea.

I coniugi Giovanni e Marcella, le cui iniziali compongono la ditta "Giemme", godono di tutta la stima tecnica e di tutta l'amicizia dei capi e dei funzionari dell'Ufficio IV che, si dice, vengono periodicamente ospitati nella splendida villa di via Aurelia 596, che èsede di una delle società ed abitazione della famiglia Pennacchio. I coniugi sono titolari di contratti faraonici per effettuare operazioni (come l'immissione dati e la stampa di tabulati) di facilissima esecuzione, che dovrebbero essere eseguite dai dipendenti dell'ufficio ministeriale che li ospita. Inoltre, l'Ufficio IV, scavalcando le competenze dell'Ufficio Automazione e comunque senza indire studi e gare sull'argomento, demanda alle varie società dei coniugi (che non hanno esperienza tecnica nella progettazione, sviluppo e manutenzione di software complessi) l'automazione di altri uffici ministeriali. La "Cooperativa" (così i Pennacchio vengono comunemente indicati nei corridoi ministeriali) ha ospitato il dottor Fabio Mondello, e non si sa quanti altri ministeriali, anche in bei viaggi.

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VI

Storia di un decreto nato morto

Se la lobby non è d'accordo, si blocca l'ordine del ministro

Finalmente capii che non era più il caso di fare inviti, e, tantomeno, di confidare ancora nella buona fede altrui. Era giunto anche il momento di smetterla di credere all'impossibile "forte integrazione operativa" con l'Ufficio IV. Ho sollecitato più volte inutilmente anche il sottosegretario senatore Castiglione (che aveva la delega per l'informatica) a rimettere un poco di ordine nel settore. Poi ho deciso di predisporre il testo di un decreto ministeriale che potesse conseguire questo effetto.

Era sufficiente ribadire la regolamentazione già esistente, ed annullare la validità di certe prassi e delle tante deviazioni cui avevo assistito. Per sfuggire agli sbarramenti che avevo ragione di temere, ho inoltrato il testo del decreto direttamente al ministro, facendoglielo pervenire alla sede del Consiglio dei Ministri, dove Martelli svolgeva allora le funzioni di vicepresidente.

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Il decreto che avevo sottoposto a Martelli disponeva il ritorno nella competenza dell'Ufficio Automazione di tutte le iniziative di automazione e di meccanizzazione in genere (ivi compresa la videoregistrazione), confermando l'attribuzione al medesimo ufficio anche dell'aspetto contrattualistico dell'informatica, ed ordinava la consegna di tutti i documenti che avessero a che fare con la materia, determinando l'organico minimo del personale.

Un provvedimento di questo tenore poteva mettere la parola "fine" al caos, alla mancanza di trasparenza oltre che alla "overdose" di potere di varie persone.

Qualche tempo dopo, nei corridoi del palazzo ministeriale è scoppiato il putiferio. La Pomodoro imprecava, rincorrendo per telefono il direttore generale Verde (presunto autore del misfatto); Mondello sembrava uno straccio sul punto di suicidarsi. Non ho avuto l'opportunità di verificare le reazioni di Liliana Ferraro e del professor Di Federico. Questo strepitio accompagnava la notizia che il ministro aveva firmato quel "rivoluzionario" decreto.

Il vecchio regime aveva dunque subìto un duro colpo. La Pomodoro non sopportava che il decreto non fosse transitato per la sua scrivania. Per Mondello questa storia di non doversi più occupare di informatica era proprio indigesta, pur avendo dimostrato pubblicamente di capirne molto poco. Eppure, tra fotocopiatrici, sistemi di sicurezza, autovetture blindate, carrelli portafascicoli, armadi, scrivanie ed ogni altro ben di Dio, un posto al Ministero, con straordinari di un milione netto al mese, ce l'aveva comunque assicurato. Ma la passione informatica, evidentemente, fa le

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sue conquiste. Magari perché è più fIcca di sensazioni!!La Pomodoro non si arrende, e lancia il "processo"

per sapere chi mai aveva osato sottoporre al ministro un decreto senza che lei ne sapesse niente. «Lei - disse - che aveva il compito di difendere "Claudio" dalle illegalità». Compatendo il povero "Claudio", pensai che una mia confessione avrebbe offerto lo spunto per rimettere la lobby in corsa, e scelsi la via della menzogna, che avevo visto così disinvoltamente utilizzare da molti solo per raggiungere i loro SCOpI.

Ho mentito. Ho detto che non ne sapevo niente, e, non avendo trovato un'idea migliore, ho dichiarato che «a suggerire quell'atto al ministro poteva essere stato il professor De Maio». A questi ho già chiesto più volte scusa di quel sotterfugio, mentre alla Pomodoro offro oggi la possibilità di "perseguirmi", una volta che lei abbia stabilito quale tipo di illecito posso aver commesso.

Ma non è servito. Purtroppo, neppure l'arma stupida del sotterfugio ha funzionato.

Infatti, il decreto con la firma del ministro io non l'ho mai visto. Quella firma è stata apposta (ne ho ricevuto notizia certa; sono stato sottoposto a "processo" per questo; ho assistito alle reazioni degli altri). Ma il decreto è sparito nel nulla. Il fatto che, pochi giorni dopo, tutti hanno ripreso il loro soddisfatto "tran tran", sta a significare che il decreto è stato strappato o insabbiato in qualche cassetto.

Del resto, nel Ministero di Grazia e Giustizia nel quale io sono capitato, è "possibilissimo" che il mini-

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stro firmi un decreto, e che, se questo non piace al capo di gabinetto e/o alle persone amiche del capo di gabinetto, il decreto venga bloccato.

Alla faccia della legalità, dell'Ufficio Automazione e della giustizia.

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VII

Fine del primo round

L'inutile requisitoria dell'ignoto pubblico ministero

Diversi miei colleghi che, bontà loro, avevano ritenuto che la mia nomina a direttore dell'Ufficio Automazione del Ministero aprisse una stagione gravida di buone speranze per l'informatica nella giustizia, mi hanno rimproverato di aver "mollato", dando campo libero alle cose vecchie e stravecchie, trite e ritrite di cui molti di loro hanno avuto in passato conoscenza o sentore. Ma io so di averle provate tutte, tranne quella di pormi a mia volta sotto l'ombrello protettivo di qualche altra lobby politico-economica che potesse sconfiggere quella dominante.

A quel punto ho deciso che rimanere ancora al Ministero era tempo e fatica sprecati. Quindi, il 19novembre 1991, ho chiesto al direttore generale Verde di farmi parlare con il ministro, perché intendevo ritornare ad esercitare la mia professione di giudice.

Non sapevo che, in quel momento, era già in fase di preparazione e di stampa una nota che la dottoressa Pomodoro mi ha inviato il 26 novembre successivo.

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Prendendo spunto dal "piano generale" che le avevo rimesso «entro il IO ottobre», come da sua richiesta del 27settembre 1991, l il capo di gabinetto ha avviato la "messa in stato d'accusa" che doveva evidentemente condurre Martelli ad esonerarmi dall'incarico. La strumentalità della lettera era infatti evidente, perché la Pomodoro, dicendosi in sostanza insoddisfatta del mio elaborato, fingeva di ignorare che l'Ufficio Automazione era rimasto soltanto scritto sulla carta, e che, in quelle condizioni, non avrebbe potuto neppure limitarsi a ripetere i macroscopici errori commessi nel passato.

Tant'è che io stesso avevo elaborato quel documento in pochissimo tempo, e completamente da solo (anche per la battitura a macchina), soltanto per il rispetto formale dell'assurda scadenza che mi era stata posta, e per non dargliela vinta. Non avevo certo la pretesa di giungere da solo a compiere un'opera tanto mastodontica ed importante. E, per di più, in un clima di aperta ostilità e di chiaro boicottaggio.

Come dimostrano, per esempio, i continui rifiuti verbali opposti dai componenti dell'Ufficio IV alle richieste di venire in possesso di tutti i dati relativi alle iniziative di automazione già in corso. Le notizie erano indispensabili per procedere alla redazione di un pro-gramma di interventi futuri. Ma Mondello e i suoi se le tenevano ben chiuse nel cassetto. Anche dopo che il 4ottobre 1991 (pressato dalla necessità di rispettare lascadenza impostami) avevo inviato tanto di richiesta scritta.2 Niente da fare. E pensare che la legge 7 agosto 1990 n. 241 (detta sulla "trasparenza amministrativa") ha disciplinato il diritto, anche del privato che vi abbia

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interesse, ad accedere ai «documenti formati o, co-munque, utilizzati dalla Pubblica Amministrazione».

Che bella "trasparenza", nel" santuario della lega-lità"!! Ma il capo di gabinetto fingeva di ignorare ogni cosa, ed invece di intervenire in favore dell'Ufficio Automazione, scriveva contro quest'ultimo. L'unica spiegazione plausibile è che volesse "liberare" il posto di direttore.

È tutto chiaro. Per prima, la pressante richiesta di un piano che nessuno poteva elaborare in quelle condizioni, e poi la conseguente lettera "di accusa". Dovevano servire entrambi a qualche amico della Pomodoro, che, da pubblico ministero dilettante, si deve essere preparata la requisitoria da solo. Infatti, è logico che non si possano attribuire alla Pomodoro certe espressioni che vi sono contenute, come «contesto funzionale», «disegno architetturale d'insieme», e simili. Sono termini tecnici che difficilmente può usare chi non ha dimestichezza con l'informatica. E la Pomodoro questa familiarità n0!1la possiede. L'ha detto lei stessa il 9 marzo 1991 (prima d'essere nominata capo di gabinetto) quando, comparsa sulla tribuna del primo seminario di studi organizzato a Roma dal Consiglio Superiore della Magistratura, ha dichiarato davanti ad un centinaio di magistrati (me compreso) che aveva piacere di essere stata invitata a quel seminario di studi sull'informatica perché, essendo priva di conoscenze in materia, poteva esprimere valutazioni da esterna, come un semplice utente.

Poi, però, chiamata al Ministero ad un mese circa di distanza, si inventa cognizioni che non ha. In realtà, dietro la Pomodoro si è sempre intravista l'ombra dei

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suoi amici "informatici". Ai quali non importa un bel niente di piani generali o particolari: se questo fosse il loro interesse, di piani ne potevano fare a decine, negli anni in cui hanno dominato l'Ufficio Automazione.

La cosa che interessava è che io mi togliessi di torno. Ma per questo non c'era bisogno ormai di alcun processo. Difatti, il patetico "atto di accusa" è risultato inutile, perché io non avevo alcuna voglia di incavolarmi ulteriormente, ed avevo già deciso per conto mio di mandarli tutti a quel paese.

Uno sfascio più sfascio di così non lo avevo immaginato possibile. Tanta impudenza nel far trascorrere sei mesi senza alzare neppure un dito per consentirmi di lavorare non l'avrei potuta mettere in conto. Tanta stupidità nel farmi perdere un sacco di tempo a combattere lotte per me inconcepibili, piuttosto che pensare al coma della giustizia, era al di fuori della mia fantasia. La parata dell'imbroglio, dell'inefficienza, della dabbenaggine si poteva ritenere conclusa.

Il 27 novembre ho così scritto al ministro che revocavo da quel momento la disponibilità che gli avevo manifestato il precedente 18 aprile, e che intendevo assolutamente ritornare a fare il magistrato. 3

Ricordo che il professor Di Federico, il successivo 5dicembre - quando gli dissi delle mie dimissioni esclamò che avevo preso una saggia decisione: mi apparve davvero molto soddisfatto ...

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NOTE

l La richiesta del capo di gabinetto è stata già commentata nel precedente capitolo IV. Il documento da me elaborato ("Linee generali di sviluppo dell'automazione tramite computer dei servizi dell'amministrazione della giustizia") è stato trasmesso al capo di gabinetto con nota del 14 ottobre 1991, n. 433 di protocollo.

2 La nota reca il n. 417 di protocollo, ed è pubblicata in appendice, alla pagina lO.

La richiesta fu rinnovata il 18 dicembre 1992. Una risposta parziale giunse all'Ufficio Automazione il 18 gennaio 1992, ed un seguito di risposta (sempre sommaria) il 30 gennaio successivo. Il contenuto di questi documenti è oggetto di trattazione nel capitolo X.

3 La lettera di dimissioni è pubblicata in appendice, alle pagine Il e 12.

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VIII

La lettera scomparsa

L'elefante diventa libellula

Il lento ed impacciato elefante ministeriale trova un guizzo immediato di efficienza: nei giorni imme-diatamente successivi alla mia lettera di dimissioni è già pronto uno schema di decreto con il quale la direzione dell'Ufficio Automazione viene conferita ad un esterno all' Amministrazione, e precisamente ad un professore universitario (sono aperte le scommesse sul nome).

Se fosse necessaria una prova ulteriore della stru-mentalità delle lettere e delle azioni verso di me e l'Ufficio Automazione, questa sarebbe costituita proprio dall'inusuale velocità di questa iniziativa, e dal tipo di proposta sottoposta al ministro.

Soltanto per un caso il proposito non è stato portato a compimento. È stato il caso, infatti, a fare in modo che il ministro, entrando nell'ufficio del suo segretario particolare, dottor Sergio Restelli, lo abbia sorpreso mentre parlava col professor De Maio. Questi evidenziava l'opportunità di scegliere il nuovo diretto-

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re dell'Ufficio Automazione tra professionisti dotati di esperienza operativa concreta, piuttosto che tra profes-sori universitari, commentando i motivi che mi aveva-

' ••. , t;:L '*no indotto a rassegnare le dimissionL

In questo modo Martelli ha appreso dell'esistenza di mie relazioni, dell'inutile insistenza con la quale avevo tentato di ottenere un potenziamento dell'ufficio, delle difficoltà che mi erano state frapposte.

Il 5 dicembre successivo, il ministro mi telefona e mi convoca per un colloquio. Al termine del quale mi sono lasciato convincere a rimanere. Martelli mi aveva detto che non era stato informato delle difficoltà che incontravo, e mi aveva ribadito la sua personale fiducia, assicurandomi che avrei potuto contare da allora in avanti sulla lealtà del capo di gabinetto (che, mi dicono, aveva sottoposto ad un duro chiarimento). Mi aveva autorizzato in ogni caso a scavalcare la Pomodoro, e a servirmi anche della sua segreteria particolare per fargli pervenire atti e richieste. Mi aveva inoltre assicurato che avrei potuto disporre a tempo pieno dei due ingegneri che, su sua richiesta, De Maio aveva indicato come possibili direttori dell'Ufficio Automazione al posto dell'ipotizzato (da altri) professore universitario. Infine mi aveva promesso che sarebbero state attivate tutte le altre iniziative che De Maio ed io avessimo ritenuto opportune per giungere al risultato di introdurre velocemente efficaci innovazioni tecnologiche.

Una nuova chiamata; un nuovo atto di fiducia; la scoperta, da parte del "capo", che c'è chi trama nel-l'ombra. Forse un tentativo di Claudio Martelli di affermare che è lui il più forte.

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Ma il ministro, tra incarichi nel suo partito e vicepresidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministero non si trova spesso.

E cosÌ, nonostante tutte le sue assicurazioni - alle quali ero ancora disposto a dar credito, malgrado tutto - il decreto di nomina degli ingegneri Vittorio Pronzati ed Andrea Fornaroli (questi i nomi che De Maio aveva fatto) I è giunto soltanto il 24 gennaio 1992. Il decreto è stato da me predisposto, ed è stato sottoposto, prima che al ministro, al direttore generale Filippo Verde ed al capo di gabinetto Livia Pomodoro. 2

Lo stesso 24 gennaio, Martelli ha finalmente firmato, su mia richiesta, anche una lettera indirizzata al ministro per il Mezzogiorno.3 Con la preventiva approvazione di Martelli, il professor De Maio4 aveva infatti stabilito un contatto con il C.I.E.S. (Centro di Ingegneria Economica e Sociale) sorto nell'ambito dell'Università per la Calabria, ed era stata messa a punto con il centro un'ipotesi di collaborazione che, gratuitamente, avrebbe dovuto costituire un supporto di elevatissimo livello tecnico per la più corretta impostazione e soluzione delle molte problematiche che l'Ufficio Automazione doveva gestire.

La lettera di Martelli, col conseguente intervento del ministro per il Mezzogiorno, era necessaria per ufficializzare una collaborazione che, grazie ai contatti informali curati tramite il presidente del C.LE.S., era ragionevole dare già per acquisita.

Ma da entrambe le vicende ho avuto ulteriore conferma del fatto che ero il solo, dentro al palazzo, a voler raggiungere il risultato. Infatti mi sono dovuto inventare di sana pianta tutta l'esperienza necessaria

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per fare lo slalom tra i vari problemi da affrontare e da risolvere: non ho avuto alcun aiuto. Ho fatto quindi da pensatore, da ricercatore, da estensore, da diplomatico, da telefonista, e da fattorino. Ogni apparente passo in avanti è sempre dipeso esclusivamente da me. Ho dovuto combattere contro l'oggettiva novità (per me) delle questioni, soprattutto avvertendo non la solidarietà, ma l'ostilità dell'ente per il quale lavoravo.

A quel punto incominciava a prender piede anche dentro di me quella stupida logica ministeriale, in forza della quale devi agire quanto più è possibile in silenzio, senza far trapelare nulla delle tue intenzioni, anzi fingendo di tendere a qualcosa di diametralmente opposto.

Ma anche questo non è servito a nulla.Difatti, l'originale della "lettera C.LE.S." (spedito in

data 5 febbraio 1992) è stato dato per disperso per mesi, senza giungere al Ministero per il Mezzogiorno.

Soltanto dopo le mie definitive dimissioni ho saputo casualmente che la lettera è ricomparsa. E per fortuna che già il 31 gennaio 1992 alle ore 9,30 (prima della spedizione) mi ero recato alla sede di quel Ministero (Roma, via Veneto 56) per essere ricevuto dal dottor Antonio Da Empoli, collaboratore dell'allora ministro Mannino. Da Empoli era già informato di ogni cosa. Volevo consegnare a lui la lettera per Mannino, ma il funzionario mi consigliò di inviarla attraverso i canali ufficiali. A lui, su sua richiesta, ho lasciato una fotocopia, per avviare, nel frattempo, la macchina burocratica ed accelerare i tempi.

Che dire?Provoca un' inebriante sensazione di efficienza ed

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uno straordinario sentore di pulizia, di trasparenza, di tensione ideale verso il rinnovamento dello Stato andare alla caccia di un originale svanito nel nulla; chiedersi come è potuto accadere; sospettare che il tentacolo della piovra giunga anche all'ufficio postale di questo o di quel Ministero; cercare di capire chi, e perché, ha fatto sparire tutto, o sta maledettamente rallentando tutto. E pensare che si trattava solo di una "lettera" .

Ma non era una casuale inefficienza; era evidente, una volta in più, che quella collaborazione non s'aveva da fare.

Adesso tutto è definitivamente chiaro, anche per chi volesse immaginare una mia ostinata malizia nel sospettare. Infatti - pur essendo stata magicamente ritrovata la lettera - nessuno ha pensato di portare avanti l'iniziativa che un ministro della Repubblica ha ufficialmente avviato.

Partito il sottoscritto, interesserà ancora a qualcuno tagliar fuori tutti i tecnici delle case fornitrici di software e di hardware, per affidarsi invece ad un'Università dello Stato, e farsi supportare tecnicamente (e gratuitamente) in un'impresa di progettazione incredibilmente difficile?

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NOTE

l Vittorio Pronzati, 53 anni, è nato a Milano e si è laureato in ingegneria elettronica all'età di 24 anni, con il massimo dei voti. Ha vastissima esperienza operativa nella progettazione di sistemi informativi complessi e nell'organizzazione dei contesti aziendali nei quali i medesimi devono operare. Ha avuto primarie responsabilità nella Compagnia Generale di Elettricità di Milano, nel Gruppo Saint Gobain Pont a Mousson italiano e nel gruppo Saffa, maturando una conoscenza approfondita anche del mercato internazionale di macchine e di programmi.

Andrea Fornaroli, 46 anni, si è laureato all'età di 24 anni in ingegneria aeronautica al Politecnico di Milano. Da quindici anni lavora nel settore della progettazione, messa a punto ed installazione di sistemi informativi complessi. Ha ricoperto incarichi di primaria responsabilità in importanti complessi (Somea S.p.A. di Roma, Micoperi S.p.A. di Milano, !TC S.p.A. di Pavia, Polytecna Harris S.p.A. di Milano) ed è stato assistente presso l'Istituto di Ingegneria Aerospaziale del Politecnico di Milano.

2 La novità che il decreto di nomina conteneva è che i due ingegneri assumevano il compito di essere a disposizione dell'Ufficio Automazione praticamente in maniera continuativa, e per la durata di un anno. Il loro apporto non si sarebbe dunque esaurito (come invece è regola per i consulenti della Pubblica Amministrazione) in un parere scritto su di una determinata questione.

3 La lettera in oggetto è pubblicata in appendice, a pagina 13. Il Centro di Ingegneria Economica e Sociale, presieduto dal professor Francesco Del Monte, si avvale di studiosi di fama anche internazionale. Il professor De Maio lo ha indicato al ministro perché, oltre ad avvalersi di uno staff molto qualificato, il centro è istituto pubblico e non privato, che, oltretutto, avrebbe potuto sviluppare ricerche senza costi per l'Amministrazione della giustizia. Secondo l'intento, l'Ufficio Automazione avrebbe potuto trovare nel C.LE.S. - anche dopo il termine della prima ricerca - un costante ed autorevole punto di riferimento tecnico per ottenere indicazioni e pareri anche informali. Il ministro fu immediatamente d'accordo con il professor De Mai9, ed il sottoscritto ebbe il compito di approfondire l'intesa informale e di predisporre la lettera che fu poi esaminata e firmata da Martelli.

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4 Nonostante le vicende relative alla sua osteggiata nomina a consulente (per le quali rinvio al capitolo III), il professor Adriano De Maio continuava ad offrire dall'esterno - gratuitamente - la sua collaborazione, sentendosi legato alla fiducia che Martelli gli manifestava in continuazione, richiedendolo di persona e facendolo cercare dai suoi collaboratori della segreteria personale (Sergio Restelli e Marzia Mantovani). Non c'è dubbio che la stima di Martelli per De Maio, e l'apprezzamento di quest'ultimo per il sottoscritto hanno costituito l'unico ostacolo a quella che sarebbe stata altrimenti un'emarginazione ancora più veloce e netta del "nuovo" Ufficio Automazione.

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IX

Storia di una morte annunciata

Fa risparmiare quattro miliardi: cacciatelo, perché è pericoloso

Vittorio Pronzati - ingegnere esperto di informatica, nominato consulente dell'Ufficio Automazionesarebbe stato un pericoloso strumento a disposizione dello Stato. Lo ha dimostrato troppo bene e troppo presto ad appena venticinque giorni dalla nomina a consulente.

Il 19 febbraio 1992, infatti, Pronzati si è recato su mio incarico presso il CED (Centro Elettronico di Documentazione) della corte di Cassazione. Doveva acquisire elementi per valutare una richiesta di poten-ziamento delle attrezzature del Centro che era pervenuta al mio ufficio. La richiesta del direttore del Centro (il magistrato Onofrio Fanelli) si riportava alla relazione tecnica del loro fornitore tradizionale, la Unisys S.p.a.

Ebbene, in poco più di due ore di lavoro, Pronzati ha accertato che l'Unisys, insieme a proposte utili, aveva segnalato anche la necessità di apparecchiature che non avevano ragion d'essere. E, comunque, che i

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prezzi praticati erano del 25-30% superiori a quelli correnti di mercato.

Tant'è che a seguito della verifica, la stessa società proponente ha spontaneamente rivisto la sua iniziale offerta, riducendola da 6.892.648.980 di lire a 5.206.119.100. Ma, togliendo dal conto le apparecchiature ritenute inutili da Pronzati, la commessa si sarebbe ridotta in realtà a soli 2.994.322.030, con un risparmio secco per l'Amministrazione di 3.898.326.950: con un risparmio, cioè, di una somma vicina al sessanta per cento dell'intero affare.)

Senza la mia iniziativa, e senza l'ingegner Pronzati, l'Unisys, facendo temere ai magistrati responsabili del Centro elettronico che il loro sistema sarebbe entrato in collasso da lì a poco, avrebbe ottenuto il passaggio puramente burocratico della sua offerta dal CED Cassazione all'Ufficio Automazione, e da questo al Comitato tecnico. Questa era la prassi, prima del mio insediamento. D'altra parte, né il CED Cassazione, né l'Ufficio Automazione e neppure il Comitato tecnico disponevano di figure professionali alle quali demandare una qualsiasi verifica.

E così il gioco, (oggi per questa, domani per un'altra società, a proposito di un'altra esigenza) era presto fatto. Anche perché tutto veniva presentato come "urgente". Per certe persone interne ed esterne al palazzo, quasi ogni pausa di riflessione sulle proposte dei fomitori ritarda inopportunamente gli interventi e "porta alla paralisi dei sistemi esistenti". L'unico vero problema era che l'Ufficio Automazione decidesse di prendere in considerazione la proposta. Ma l'inesistenza di criteri, l'assenza di programmi prestabiliti, ed il

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costante uso della trattativa privata (e non della gara d'appalto) poteva ridurre la valutazione dell'Ufficio Automazione a poche battute. Tipo: «Questo lo faccia-mo», oppure: «Questo non si fa». Senza verifiche tecniche.

D'altronde il grande e potente (!) Ministero di Grazia e Giustizia non ha mai avuto non dico un ingegner Pronzati, ma neppure uno straccio di consu-lente tecnico. C'è da chiedersi: «Con il fiume di quattrini che è scorso dal 1985 in avanti, non si è potuto, oppure non si è voluto porre rimedio ad una stortura così evidente?». Fatto sta che soltanto con il sottoscritto, e con la preziosa collaborazione gratuita del professor De Maio, l'Ufficio Automazione ha iniziato a porre rimedio alla vistosa lacuna. E con persone scelte.

Infatti il direttore del CED Cassazione, Onofrio Fanelli, ben lieto dell'iniziativa da me attivata, ha scritto che Vittorio Pronzati «si è rapidamente impadronito della conoscenza e del funzionamento del sistema informativo Italgiure Find, e si è dimostrato acuto e profondo conoscitore di tecnologie e di mercato» rivelandosi subito «figura tecnica di alto profilo, indispensabile a chi debba occuparsi delle problemati-che progettuali e gestionali dell'informatica giuridica e giudiziaria».2

Ma il sopraggiungere di un tale ingegnere, se ha rincuorato chi tiene alle sorti della buona amministra-zione giudiziaria, ha certamente sconcertato tutto l'ap-parato di potere interno ed esterno al palazzo: c'era troppo di nuovo sotto il sole. Cosa poteva accadere con, neppure uno, ma addirittura due consulenti di

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quel tipo, a disposizione continua del "nuovo" Ufficio Automazione?

La reazione non si è fatta attendere molto. Il 24 febbraio successivo l'ingegner Pronzati con-

ferma per iscritto le osservazioni già fornitemi verbal-mente il giorno del sopralluogo; il 22 aprile l'Ufficio Automazione invia al capo di gabinetto Livia Pomodoro la vecchia e la nuova offerta Unisys con la relazione Pronzati. Il giorno stesso la Pomodoro chiede al direttore generale degli Affari Civili di predisporre uno schema di decreto «segnalando l'opportunità che, anche a seguito dei rilievi della corte dei Conti, il decreto (di nomina di Pronzati e Fornaroli: nda) venga revocato». 3

Prendendo spunto, cioè, da integrazioni che la corte dei Conti aveva chiesto in data 13 aprile 1992 per poter registrare il decreto di nomina del 24 gennaio precedente, 1'''Amministrazione'' - invece di inviare alla corte le osservazioni integrative richieste - ha preferito ritirare il decreto (caso unico nella sua sto- . ?') na ...

Il 12 giugno 1992, la nomina a consulenti di Vittorio Pronzati e di Andrea Fornaroli viene infatti revocata. Si noti: anche per registrare il decreto di nomina del professor Giuseppe Di Federico la corte dei Conti aveva a suo tempo chiesto integrazioni al Ministero. Quella volta "l'Amministrazione" ritenne di fornire le integrazioni, ed ottenne la registrazione. Questa volta no. Questa volta decide di arrendersi subito, pur avendo io evidenziato, fin dalla predisposizione dello schema di decreto poi firmato da Martelli, tutte le ragioni tecnico-giuridiche che potevano essere

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spese a difesa del provvedimento, se ve ne fosse stato bisogno.

Le "fonti ufficiali" diranno certamente che nei rilievi della corte c'erano profonde, delicate, insupera-bili argomentazioni di diritto. Saranno scomodati Consiglio di Stato e Cassazione. Il rispetto della legalità sarà rispolverato dagli armadi pieni di muffa. Ma la vera chiave per interpretare la sostanza della vicenda resterebbe comunque scolpita in quell"'anche" che il capo di gabinetto ha inserito nella sua richiesta di revoca. La dottoressa Pomodoro, per un evidente lapsus freudiano, ha svelato implicitamente che c'erano tanti motivi per revocare la nomina di Pronzati e Fornaroli, e tra questi c'era "anche" il rilievo mosso dalla corte dei Conti. Non c'è bisogno di tanta fantasia per individuare quali fossero gli altri motivi.

Ma non è stato un finale a completa sorpresa. La morte del decreto di nomina di Pronzati e Fornaroli era stata infatti già annunciata il 30 gennaio 1992 dalla Ragioneria centrale presso il Ministero.

La Ragioneria è una sorta di ufficio passacarte tra il Ministero e la corte dei Conti: prima di pervenire alla corte, i vari provvedimenti transitano dalla Ragionena.

Ma questa volta, per Pronzati e Fornaroli, penneprofessorali, esperte di diritto, avevano rispolverato le loro dotte argomentazioni, e, nel trasmettere il decreto alla corte dei Conti, avevano riempito tre pagine intere di osservazioni critiche, la cui infondatezza può essere commentata anche soltanto col ricordare, ancora una volta, che nessuna arguta osservazione era stata fatta dalla Ragioneria centrale alla solita nomina del solito

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professor Di Federico, pur essendo le situazioni estre-mamente simili, se non del tutto identiche. E che nessuna dotta considerazione era stata fatta in merito al decreto abnorme che ha spostato la competenza sulla videoregistrazione.

Soltanto i provvedimenti che riguardavano l'Ufficio Automazione meritavano, da parte di tutti, una speciale attenzione. D'altra parte, la Ragioneria centrale è quello stesso ufficio che, svegliandosi dal letargo durato tanto a lungo, quanto è durata Liliana Ferraro alla direzione dell'Ufficio Automazione, ha improvvisamente scoperto in data 7 febbraio 1992 che il direttore dell'Ufficio Automazione non ha poteri di firma di ordini di accreditamento di somme, perché non ha «funzioni amministrativo-dirigenziali con rilevanza esterna».

Credo che Liliana Ferraro, se avesse saputo di svolgere per sette anni attività priva di rilevanza esterna, avrebbe quantomeno chiesto l'immediato trasferimento a funzioni più consone al suo livello. Ma a lei il problema non si è posto, perché Liliana Ferraro, da direttrice dell'Ufficio Automazione, ha firmato tutte le carte che ha voluto, anche identiche - in tutto e per tutto - a quella a me censurata dalla Ragioneria. 4 Credo che lei sia stata semplicemente più fortunata, perché all'epoca la Ragioneria centrale era evidentemente meno esperta di leggi, o forse era più oberata di lavoro.

È evidente che stiamo girando e rigirando attorno alla verità, senza volerla affrontare di petto. La verità èche il sottoscritto era estraneo a qualsiasi lobby. E la verità in materia di consulenti è che tutte le Ammini-

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strazioni dello Stato, in base ad una vecchia legge del 1957, nominano i consulenti. L'Amministrazione della giustizia può avvalersi di leggi ancora più favorevoli per farIo.

In sintesi, la verità -la solita verità - è che quando il potere vuole, fa quello che gli pare, come gli pare e quando gli pare. In questo caso non ha voluto. Questa è l'unica spiegazione che regge.

Quando si vuole, si videoregistra e si contratta con l'Inps, si ottengono miliardi e consulenti esterni per il monitoraggio, si istituiscono dall'oggi al domani, con decreto legge, una "superprocura" nazionale e tante "superprocure" distrettuali, rivoluzionando l'intero assetto dell'organizzazione della giustizia.

Quando non si vuole, ogni norma lungamente dimenticata, ogni cavillo, ogni stupidità, ogni scusa può essere accampata almeno per sfiancare "il nemico" e costringerIo alla resa.

Il grande pericolo costituito da un gruppo di persone di altissima qualificazione tecnica e di altrettanto alta affidabilità morale è, cosÌ, "fortunatamente" cessato. L'avventura dell'ottimo ingegner Pronzati comincia e finisce con la visita al Centro della corte di Cassazione; quella dell'ingegner Fornaroli neppure inizia, perché, nel clima irrespirabile generato da rilievi, controrilievi ed incertezze, non si è fatto nemmeno in tempo a far spendere a Fornaroli di tasca propria come è invece accaduto per Pronzati - i soldi per l'aereo e per il taxi.

Nessuna indagine, nessuna verifica, nessun controllo neutrale, nessuna iniziativa autonoma dell'Am-ministrazione della giustizia potrà essere portata avan-

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ti. Il sessanta per cento di miliardi in più di quelli necessari può nuovamente dirigersi caldo e sicuro verso l'originaria meta, per ognuna delle sessanta nuove idee originali che sessanta tra ministeriali, ragionieri, venditori, professoroni e professorini partoriranno nei prossimi sessanta anni di Amministrazione giudiZIana.

Il potere politico, dopo aver promesso interventi incisivi, assiste muto ed indifferente al vanificarsi dell'ipotesi di collaborazione con il C.I.E.S., alla revoca della nomina di Pronzati e Fornaroli, alla persistente inutile attesa dell'ottimo De Maio, al nuovo e più irruento sabotaggio di tutto quello che la mia gestione dell'Ufficio Automazione avrebbe significato.

Così il buio prosegue.

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NOTE

l Il CED della corte di Cassazione è nato nel 1971 ed è stato progressivamente arricchito e sviluppato. Esso raccoglie e memorizza in potenti memorie elettroniche un'enorme massa di dati (sentenze di tutte le magistrature, leggi, regolamenti anche CEE, etc.) che può essere raggiunta ed utilizzata mediante collegamento tramite un terminale.

La prima offerta della Unisys Italia S.p.A. (di cui al testo) è datata 30 luglio 1991; protocollata in arrivo al CED Cassazione col n. 7877 il 1agosto 1991, e trasmessa dal CED (con propria relazione) al Ministero il 3 ottobre 1991 con il n. 8798 di protocollo.

La seconda offerta è del 2 marzo 1992; protocollata al CED Cassazione il 4 marzo 1992 con il n. 1475 e trasmessa al Ministero il lOmarzo 1992 con nota 1475/0Fat di protocollo.

2 La lettera del giudice Onofrio Fanelli reca il n. 1433 di protocollo, ed è datata 3 marzo 1992.

3 La nota 22 aprile 1992 dell'Ufficio Automazione al capo di gabinetto reca il n. 1131 di protocollo. La richiesta della dottoressa Pomodoro è vergata a mano, e firmata, sul margine sinistro di una precedente lettera dell'Ufficio Automazione. L'appunto è peraltro protocollato con il n. 62/4/34/2 ed è datato 22 aprile 1992.

4 In appendice (pagg. 14-16) sono pubblicati i documenti dai quali può essere rilevata la perfetta identità tra l'ordine di accreditamento respinto al sottoscritto ed il precedente ordine evaso dalla Ragioneria senza osservazioni. Si noti che la dottoressa Ferraro aveva firmato il documento relativo all'anno 1991 nella sua qualità di direttrice dell'Ufficio Automazione. Identica procedura si era svolta con esito postivo negli anni precedenti.

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Storia di ispezioni soffocate, e di bavagli

Il procuratore archivia. Anzi, dispensa elogi

Corre parallela la serie inaudita di iniziative volte a mantenere il potere sulle informazioni.

Ho già narrato dell'Ufficio IV che teneva ben nascoste nei cassetti le notizie sul patrimonio di macchine già esistente e sulle iniziative in corso. l Lo scritto del 4ottobre 1991 non aveva sortito effetto e quindi, il 18dicembre successivo, avevo rinnovato la richiesta. 2 Non si poteva trascurare l'effettiva disponibilità di fondi (la cui gestione è nelle mani dell'Ufficio IV), perché le valutazioni sul da farsi devono essere ancorate anche al criterio della concreta fattibilità. Soltanto un mese dopo, e forse in relazione alla notizia secondo cui Martelli aveva nel frattempo respinto le mie dimissioni, Mondello mi ha mandato dei tabulati parziali e scoordinati relativi ai personal e alle stampanti fornite agli uffici giudiziario

Il 30 gennaio 1992, a completamento delle notizie precedenti, lo stesso ufficio invia un documento che subito mi appare amaro ed inquietante. Dal documen-

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to non soltanto verifico che l'Ufficio IV ha già deciso per proprio conto di mantenere e di potenziare talune iniziative in atto (confermando in tal modo espressa-mente di ritenersi ufficio competente ad adottare indi-rizzi nelle opzioni che l'Amministrazione può fare in materia di informatica). Ma scopro anche che tutte le risorse finanziarie, anche quelle recentemente incame-rate, sono già tutte esaurite (106.233.000.000): dunque eventuali nuove iniziative dell'Ufficio Automazione sono destinate, almeno per tutto il 1992, a restare nel limbo delle pure intenzioni. 3

È ovvio che se l'Ufficio IV, fin dal giugno 1991(epoca delle prime richieste verbali), avesse posto a disposizione anche soltanto le pochissime notizie del gennaio 1992, si sarebbe potuto disturbare, se non evitare, l'inesorabile pesca nei capitoli di bilancio al fine di continuare a sperperare miliardi in avventurose e dilettantesche ipotesi di automazione degli uffici giudiziario

Ma alzare ferree cortine sui documenti, soffocare sul nascere ogni tentativo di voleme sapere di più, e cercare di intimidire chi estende le notizie al di fuori del palazzo di via Arenula, costituiscono altrettante specializzazioni della lobby.

Voleva saperne di più, per esempio, il Comitato tecnico che la legge affianca all'Ufficio Automazione. Letto il documento 30 gennaio '92 finalmente partorito dall'Ufficio IV, i componenti del Comitato hanno voluto sapere se le iniziative intraprese per stipulare o per rinnovare contratti erano o meno assistite dal parere preventivo del Comitato medesimo, ed hanno chiesto di ottenere gli adeguati chiarimenti in proposi-

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to. Non si fosse mai fatto! La conseguente delibera (del 27 febbraio 1992) ha scatenato le ire della lobby.

Il Comitato è stato immediatamente trasformato da interrogante ad interrogato. Anzi, con tecniche di chiaro significato intimidatorio e repressivo, non il Comitato nella sua collegialità, ma i singoli componenti - me compreso - furono raggiunti, separatamente l'uno dall'altro, nei loro uffici o nelle loro abitazioni, da richieste ... di chiarimenti su quali fossero i motivi e nella loro specifica natura, e con precisi riferimenti a questo o a quel preciso contratto - delle osservazioni sollevate nei riguardi delle procedure contrattuali. 4

Nel Ministero di Grazia e Giustizia, che ancora molti scambiano per il santuario della legalità e della conoscenza del diritto, è possibile che la volontà di un organo collegiale, intesa semplicemente ad acquisire informazioni per meglio svolgere le proprie funzioni, venga aggredita in questo modo illegale, pur di difendere i segreti di Stato che evidentemente l'ufficio che acquista macchinette ed ogni altro ben di Dio coccola al suo interno da tanti anni.

Perché, infatti, tutto il contesto nel quale queste cose si svolgono, e la ripetizione delle iniziative repressi ve fanno in modo che finisca col maturare gravi sospetti anche colui che per sua natura sarebbe incline ad attribuire a tutti la trasparenza, la correttezza e la buona fede.

Chiaramente repressiva è ancora la lettera del 2 aprile 1992 con la quale Livia Pomodoro mi ha chiesto' di «far conoscere con urgenza i motivi» che mi avevano indotto «a rendere note ad organi esterni all'ammi-

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nistrazione le sue (mie: nda) valutazioni sull'attività pregressa dell'Ufficio» Automazione.

Il capo di gabinetto si riferiva alla lettera con la quale il precedente 18 febbraio avevo ancora una volta segnalato al sottosegretario Castiglione il permanere di «incredibile confusione regolamentare nel settore a me formalmente affidato», lamentandomi di non essere in condizione di guidare la necessaria inversione di tendenza nella politica dell' Amministrazione, che a mio giudizio aveva in passato privilegiato «scomposti acquisti di hardware» rispetto ai possibili investimenti in progettazione, in software e in formazione del personale.

A vevo inviato la lettera, per conoscenza, anche a tre uffici giudiziari di Roma, perché erano questi ad aver da ultimo sollecitato il mio intervento in loro favore.

La repentina repressione tendeva evidentemente a due obiettivi: a soffocare critiche sull'operato di chi aveva guidato l'Ufficio Automazione prima di me, e ad evitare che queste critiche varcassero in ogni caso la soglia di via Arenula. Al punto tale che gli «organi esterni all'amministrazione» di cui la Pomodoro parla nella sua lettera sono nientemeno che il presidente della corte d'Appello, il procuratore generale presso la stessa corte d'Appello, ed il presidente del Tribunale di Roma.5

Come dire che i panni sporchi, se vi sono (ma secondo la Pomodoro non vi sono) si lavano in famiglia (salvo a stabilire chi fa parte della "famiglia"). Gli uffici giudiziari, anche quelli di primaria importanza,

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sono "esterni"; non hanno niente a che spartire con l'" Amministrazione" (!).

La mia, pur chiarissima, risposta scritta all'inutile ingiunzione che la Pomodoro mi aveva inviato non ha evidentemente fatto capire alla lobby che le intimida-zioni non hanno nessuna possibilità di far breccia su di me.

Anzi, più si cerca di nascondere cose pubbliche, di pubblico interesse, più io divento curioso di conoscere il motivo di tanta ricercata segretezza. 6

Uno dei motivi della malcelata ansia che aveva fatto partorire quella lettera l'ho, infatti, scoperto.

Era accaduto che il procuratore generale di Roma aveva trasmesso al procuratore della Repubblica la mia nota del 18 febbraio '92, evidentemente chiedendosi (pure lui!) se non era il caso di disporre delle indagini per saperne di più. Credo che sia stata proprio questa iniziativa del procuratore generale a far scattare la molla della reazione. E credo oggi che Livia Pomodoro e la sua intima amica Liliana Ferraro abbiano commesso allora una frettolosa imprudenza. Infatti, se avessero pazientato, se non avessero reagito con tanta arroganza al mio tentativo di chiedere ancora una volta l'indispensabile chiarezza operativa, non avrebberoconsentito di arricchire, con l'urgente richiesta di spiegazioni del 2 aprile 1992, la pila dei documenti che provano la loro rabbia. Ma sarebbero ugualmente uscite vergini - ed anzi rinnovate nel prestigio - dal lieve appannamento di immagine dovuto alle patetiche osservazioni che un Lombardi qualsiasi aveva ritenuto di fare sulla passata gestione dell'Ufficio Automazione.

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La soluzione del loro problema si sarebbe rivelata di lì a poco con un autorevole nome e cognome: dottor U go Giudiceandrea, allora procuratore della Repubblica di Roma.

Il procuratore ha escluso qualsiasi necessità di azione, «provvedendo personalmente all'archiviazione» della relazione giratagli dal procuratore generale. E con questo atto giurisdizionale, un importante organo dello Stato ha suggellato la verginità di cui parlavo pnma.

Ma Ugo Giudiceandrea è andato molto oltre, ha fatto molto di più. Si è fatto lo scrupolo davvero raro ed encomiabile di comunicare la decisione, con apposita lettera, anche a soggetti non interessati al procedimento penale archiviato. E nella insolita missiva ha scritto e diffuso quasi tre pagine di elogi sperticati a Liliana Ferraro, che io non avevo neppure nominato nella mia relazione.

Dicendo in sostanza che Albert Einstein, santa Maria Goretti e Pablo Picasso messi insieme, non avrebbero fatto neppure la metà di quello che è stato così ben realizzato alla Procura della Repubblica di Roma dal 1988in poi.

Chissà cosa risponderebbe l'ultrasettantenne Giu-diceandrea se qualcuno gli chiedesse di chiarire verbal-mente i dettagli di quella lettera, con gli stessi termini tecnici usati nel documento. Chissà se egli confermerebbe o smentirebbe allora quella voce che è circolata per tutti i corridoi di via Arenula, secondo la quale, per sua stessa ammissione, "egli si sarebbe limitato a firmare un documento che altri (chi?) hanno confezionato. 7

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Certo l'ex procuratore della Repubblica di Roma non si deve essere reso conto del fatto che, per accre-sceme il prestigio appena appena scalfito dalla mia iniziativa, ha finito con l'esporre Liliana Ferraro a ben altri interrogativi. Infatti, dopo il 3 aprile 1992 (data della lettera di Giudiceandrea), o Liliana Ferraro di-mostra di aver fatto altrettante forniture ed iniziativeo almeno la metà - per ciascuno degli altri uffici di Procura sparsi in tutt'Italia, o dovrebbe svelare i motivi che le hanno suggerito di riversare proprio sulla Procura della Repubblica di Roma tante sue attenZIOnI.

Qualcuno dovrà pur dire ai cittadini ed ai magistrati con quali criteri, e decisi da chi, vengono distribuite le risorse tra gli uffici giudiziario Quale il nome della o delle persone che stabiliscono che un ufficio deve essere più attrezzato (e quindi più efficiente) di un altro. Bisogna chiarire se l'assenza totale di criteri oggettivi non significhi arbitrio di qualcuno, e se l'arbitrio non possa espandersi al punto da favorire o rallentare indagini e carriere di singoli magistrati. È necessario impedire che la totale disponibilità dei soldi dello Stato possa risolversi in occasioni per catturare simpatie, percoltivare antipatie, e per stringere alleanze. Esaminando i documenti in possesso dell'Ufficio IV si potrebbe dare documentata risposta alle domande. Ma i documenti pubblici, dotati di rilevanza esterna (quali sono quelli che scandiscono l'attività del1"'Ufficio IV-Automazione" diretto per sette anni dalla Ferraro) sono assolutamente intoccabili.

Lo ha ripetuto a chiare note, e per iscritto, l'amica Pomodoro quando un gruppo di ispettori, mandati dal

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ministro a ricostruire la storia del Centro elettronico della corte d'Appello di Roma, hanno chiesto di acquisire presso il solito Ufficio IV tutti i contratti concernenti il Centro, dal 1981 in poi. La risposta è stata secca: bisognafermarsi allo stato delle cose, e depositare la relazione ispettiva senza consultare quei documenti. Questo riscontro non s'ha da fare.

Nella nota di diniego Livia Pomodoro ha scritto che non si possono svolgere accertamenti sull'attività di un ufficio ministeriale senza uno specifico incarico del ministro. Ma il bello è che non il ministeriale Ufficio IV, ma il CED (Centro Elaborazione Dati) della corte d'Appello di Roma era l'oggetto dell'indagine che gli ispettori dovevano svolgere. La richiesta di acquisire documenti presso l'Ufficio IV era sussidiaria e strumentale. Ma "la lingua batte dove il dente duole", e l'amica della Ferraro si è lasciata sfuggire, per un evidente nuovo lapsus freudiano, che non erano gradite indagini di sorta - neppure indirette e parziali sull'attività pregressa di quell'ufficio tanto segreto ed importante. 8

Questo dimostra che al Ministero di Grazia e Giustizia si può fare tutto: si possono insabbiare relazioni e decreti; si può videoregistrare a piacimento; si può andare amichevolmente d'accordo con l'Inps; si può revocare il decreto di nomina di Pronzati e Fornaroli; si può impedire a De Maio di diventare consulente; si può far sparire la "lettera C.I.E.S."; ci si può dedicare a monitoraggi miliardari. In quel Ministero si può fare di tutto, tranne una cosa: avere copia dei documenti custoditi nell'Ufficio IV; sapere come e perché è stato impiegato il denaro; capire quali sono -

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se vi sono - i criteri di distribuzione delle commesse tra i fomitori; conoscere i criteri che vengono usati per distribuire le risorse disponibili tra i mille uffici giudi-ziari d'Italia.

Mi piacerebbe tanto sapere quante e quali attrez-zature ha ricevuto, per esempio, il procuratore della Repubblica di Palmi, Agostino Cordova.9 Se non altro per poter fare un confronto, e per poter rispondere finalmente al procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, il quale, il 22 gennaio 1992, ha chiesto al sottosegretario Castiglione di spiegargli come mai gli uffici pretorili di quella città ricevono dall'Ufficio IV del Ministero «somme per centinaia di milioni annui che gestiscono in prima persona», mentre lui, per scarsità di attrezzature e povertà di fondi, rischia «il più completo isolamento sia in sede locale, sia nei confronti del Ministero». lO

Se conoscessi il parco macchine ed i fondi erogati ad Agostino Cordova potrei forse avere gli elementi per consolare il procuratore di Torino. Gli scriverei, peresempio, che almeno un altro "isolato" in Italia c'è.

A Palmi. Non a Roma, come Ugo Giudiceandrea attesta nella sua lettera dispensatrice di archiviazioni e di elogi.

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NOTE

l Vedi al capitolo VII, nota 2.

2 La lettera del 18 dicembre '91 reca il n. 726 di protocollo ed è indirizzata al direttore generale, oltre che all'Ufficio IV. Si veda in appendice, alle pagine 17 e 18.

3 In appendice (pagg. 19 e 20) pubblico il primo e l'ultimo foglio del documento, che nell'originale si compone di sette pagine e che reca il n. 4/10-497-5-92 di protocollo.

4 La lettera spedita ai componenti del Comitato tecnico è firmata dal capo della segreteria del direttore generale Filippo Verde, dottor Paolo Izzo. Reca il protocollo n. 478/92-14-5 del 17 marzo 1992. Nel testo si attribuisce la paternità dell'iniziativa al senatore Franco Castiglione, delegato dal ministro per l'informatica. Conoscendo il sottofondo ministeriale, credo di poter affermare che il senatore Castiglione ed il direttore generale Verde non hanno saputo opporsi a pressioni provenienti da altre persone.

5 La nota 18 dicembre 1992 da me inviata al senatore Castiglione reca i numeri 896/97/98/99/90 di protocollo. Non ha mai ricevuto una risposta, pur essendo molti, e gravi, i problemi evidenziati, al punto che essa suscitò, come si vedrà, l'interesse del procuratore generale presso la corte d'Appello di Roma.

6 La risposta alle pressanti richieste di spiegazione, che la Pomodoro aveva inviato, è del 29 aprile 1992, reca il n. 1140 di protocollo ed è indirizzata al direttore generale degli Affari Civili.

Essa comunica anche la mia definitiva intenzione di lasciare l'Ufficio ministeriale (<<E non ho motivo di continuare a dar credito ad un apparato amministrativo che, a mio giudizio, non vuole e non sa contribuire a fare chiarezza ed a creare i presupposti per l'efficacia dell'azione: dunque ribadisco alla S.V. che non ritengo di poter continuare ad essere il direttore di un ufficio formalmente titolare di un settore tanto importante e delicato, ma sostanzialmente inesistente a seguito di quello che a me appare un preciso calcolo»).

Lo stesso giorno ho inviato personalmente al ministro Martelli tutta la documentazione del caso, ed in calce, di mio pugno, ho scritto: « ... con viva richiesta di essere presto esonerato dalla

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direzione dell'ufficio. Grazie, e vivi distinti ossequi». Il ministro non mi ha mai convocato per commenti o spiegazioni sull'accaduto. A seguito di mie successive pressioni indirette, si è deciso in data 27maggio 1992 (esattamente un anno dopo il mio insediamento) a mettermi a disposizione del Consiglio Superiore della Magistratura, per il mio rientro alla Pretura di Borgomanero.

7 La nota del dottor Ugo Giudiceandrea reca il protocollo n. 48/92 gab., ed è datata 3 aprile 1992.

8 La richiesta dell'Ispettorato Generale del Ministero è datata 17marzo 1992 e reca il n. 1145/119 Ris di protocollo. La risposta negativa del capo di gabinetto è del 25 marzo 1992 e reca il n. 960/Ris di protocollo.

9 Il magistrato calabrese autore delle indagini sull'omicidio Ligato (scandalo Ferrovie dello Stato-lenzuola d'oro), sulle nuove logge massoniche e sugli intrecci tra queste, mafia ed altre organiz-zazioni malavitose. È stato raggiunto da varie ispezioni durante la gestione del ministro Martelli che, dopo averlo pubblicamente elogiato, lo ha sistematicamente osteggiato nella possibile nomina a superprocuratore nazionale antimafia. Sono noti i sospetti che Cordova deve tutte queste" attenzioni" alle sopraggiunte indagini su appartenenti al Psi, ed è altresì noto che la dottoressa Livia Pomodoro si è distinta nell'azione di sostegno a Martelli.

lO Nella lettera in oggetto il procuratore della Repubblica di Torino pone in evidenza che fino al 1989 tutti gli uffici giudiziari torinesi che si avvalevano di supporti informatici erano collegati con il Casellario centrale del Ministero. Dal 1989 in poi, invece, era intervenuta una divaricazione tra Procura della Repubblica ed altri uffici, nel senso che mentre la prima era rimasta collegata col Casellario (perché così aveva disposto un decreto ministeriale dell'agosto 1990 - detto "decreto Castiglione"-), i secondi erano stati dotati di altre apparecchiature ed altri programmi. Ebbene, sostiene il procuratore, la Procura è rimasta sostanzialmente abbandonata, mentre gli altri uffici torinesi (e in special modo gli uffici pretorili) ricevono nuove attrezzature e pingui finanziamenti.

La questione evidenziata dal procuratore di Torino è quella del programma "RE.GE." di cui si parlerà nel capitolo XI: si tratta di un programma che la dottoressa Ferraro ha privilegiato in tutti i modi, opponendolo, tra l'altro, all'esperienza del Casellario giudiziale diretta dal giudice Francantonio Granero. Di questi si parlerà nell'ultimo capitolo.

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XI

Gli scheletri nell'armadio

Tra un "Perseo" mitologico mica tanto, e "regi" antichi

L'inibizione all'esame dei documenti, il bavaglio a chi vuoI parlare e le continue ruberie di competenze altrui consentono di restare a cavallo del potere. E permettono agli scheletri di rimanere ben fermi negli armadi, dove si accumulano da un po' di anni. Nei primi mesi del 1985, in coincidenza con la nomina della Ferraro a direttrice (anche) dell'Ufficio Automazione, il Centro elettronico già del Tribunale di Roma viene trasferito sotto la diretta competenza del presidente della corte d'Appello Carlo Sammarco, e subito rivoluzionato quanto a macchine e a programmi. Le macchine Sperry vengono repentinamente abbandonate, per sostituirle con costose attrezzature targate Ibm. Altro denaro viene impiegato, per conseguenza, per far funzionare sulle nuove macchine i programmi che già esistevano.

A distanza di qualche anno, lo stesso Centro subisce una nuova rivoluzione. Con lo scopo dichiara-

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to (ma, come si vedrà, mai attuato) di dare omogeneità alle altre iniziative in corso, le macchine vengono nuovamente sostituite, questa volta con nuovi modelli sempre Ibm. Senonché è ugualmente necessario por mano ancora ai programmi, perché vecchio e nuovo Ibm non sono del tutto compatibili tra di loro. Non ho trovato in ufficio la documentazione relativa agli studi e alle analisi che hanno giustificato queste scelte; ma si potrebbero chiedere notizie a Liliana Ferraro e a Carlo Sammarco per sapere quali vantaggi sono stati conseguiti nel fare le ripetute innovazioni del Centro. Benché i livelli difunzionalità dei programmi siano appena discreti, di miliardi ne sono stati spesi a decine e decine.

Collateralmente, un'altra allegra valanga di miliardi è stata impiegata per tenere in piedi senza alcuna logica gli "esperimenti" di automazione dei tribunali civili di Bologna e Ravenna, di Genova e Savona, di Milano e Monza, di Bergamo e Mantova. Gli "esperimenti" sono partiti nel 1982, e sono stati affidati a vari fornitori. Ma l"'Uffico IV-Automazione" ha semplicemente trascinato in avanti le varie iniziative senza adoperarsi per renderle omogenee, neppure dopo gli interventi sul Centro di Roma sopra ricordato (che erano stati giustificati proprio con la necessità di unificare "i linguaggi" delle varie macchine fino ad allora impiegate). Tant'è che gli "esperimenti" vagano ancora oggi, per la grande maggioranza delle questioni, nella più completa confusione di macchine e di programmi. Non è certo imprudente stimarel in sessanta/ settanta miliardi il costo di un'operazione così passiva che, oltre a suscitare continue lamentele da parte degli

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uffici fruitori, non ha condotto ancora oggi, a distanza di dieci anni dal suo inizio, ad un vero, affidabile, completo "prototipo" di programma per l'automazione di tutti i comparti di un tribunale civile.

Le insoddisfazioni sono generali. Per esempio, il presidente del Tribunale di Bologna, in una nota del 15febbraio 1992 definisce «pressoché insignificante» il risultato raggiunto a fronte di «un investimento iniziale di non meno di tre miliardi di lire». E il presidente del Tribunale di Bergamo il 28 ottobre '91 parla da parte sua di «stato di inaffidabilità» del Centro elettronico di quell'ufficio.

L'''Ufficio IV-Automazione", invece di operare per affrontare le questioni di fondo, ha preferito acquistare imperterrito macchine ("hardware", cioè, "ferraglia"). Ed ha preferito delegare - pagandolo - il supporto tecnico per gli uffici ai dipendenti dei fornitori, i quali, non essendo né magistrati, né cancellieri, capiscono troppo poco delle esigenze di costoro.

Non è invece mai stato avviato alcuno studio che, comparando i vari insuccessi tra di loro, consentisse di venire a capo dello scandaloso sperpero di denaro.

Altra storia poi è quella del Centro elettronico della Cassazione, del sistema del Casellario giudiziale e di quello delle carceri.2 Queste realizzazioni hanno ormai una loro validità. Ma esse sono dovute allo straordinario impegno di singoli magistrati e funzionari che, ironia della sorte, hanno agito fuori (e spesso nonostante l'ostilità) dell'Ufficio Automazione. Questo avrebbe dovuto promuovere le condizioni per un collegamento tra le tre esperienze. Esse, invece, sono altrettante isole chiuse al proprio interno. Infatti, mac-

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chine, ambienti operativi e linguaggi di programmazione sono ancora una volta uno diverso dall'altro. E così, non soltanto non si attua l'integrazione dei sistemi informativi a livello europeo (per studiare la qual cosa il dipartimento della Funzione Pubblica ha mandato duecento alti funzionari, gratis, a Stoccolma); non soltanto non si provvede ad integrare i sistemi informativi delle varie pubbliche amministrazioni dello stesso Stato; ma addirittura, nella stessa Amministrazione giudiziaria, una prima costosissima realizzazione non è integrata con un secondo sistema altrettanto costoso. E così via per il terzo: con danni enormi sia a livello di funzionalità, che sotto il profilo economico.

Mancano totalmente studi, analisi, procedure per la verifica di funzionalità, controlli sui benefici prodotti dagli investimenti. Le iniziative non sono poi in ogni caso coordinate. E così si verifica di regola che dove giunge la macchina, non c'è un collegamento telefonico necessario; dove arriva la Sip, non è ancora arrivata l'Olivetti con i suoi personal; dove mandano il programma, nessuno lo sa usare; dove qualcosa potrebbe funzionare, non arriva mai la ditta che deve fare la manutenzione.

Chissà se al procuratore della Repubblica presso la Pretura di Padova hanno risolto quello «sconvolgimento totale del lavoro» da lui denunciato il25 marzo 1992; e se qualcuno, dopo la richiesta del 12 giugno 1992, ha riparato presso la Pretura circondariale di Santa Maria Capua Vetere le due stampanti Olivetti alle quali «è legato l'intero ciclo di lavoro del giudice per le indagini preliminari». Chissà se alla Procura

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circondariale di Napoli è stato risolto il problema dei «frequenti black out» che generano «gravi ritardi nelle registrazioni e nel lavoro».

Gli uffici giudiziari sono nel più assoluto marasma. Piovono lettere di protesta da tutte le parti.

Tranne che da talune sedi giudiziarie che, essendosi poste sul carro promozionale di certe iniziative, sono diventate vetrine dispendiose, necessarie per tentare di legittimare a posteriori scelte di comodo.

Come il programma "Perseo",3 che, pagato con 1.800.000.000 di lire profumate del 17 novembre 1988, è diventato un pozzo di san Patrizio per il Consorzio di Cooperative per l'Informatica (C.C.!.), per la Computer and Microimage S.p.a., per l'Olivetti, e per la Syntax S.p.a.

Sarebbe interessante verificare se qualcuno ha contato il numero di istruzioni del programma prima di stabilire un prezzo tanto assurdo, già fissato in 1.200.000.000 e poi lievitato in pochi giorni fino a 1.800.000.000. Al traino del "Perseo", in un solo giorno (il 31 luglio '89), sono stati approvati, con tre decreti ministeriali, altrettanti contratti, per una spesa complessiva di 41,3 miliardi circa. E ben 4,3 di questi miliardi sono stati impiegati per «corsi di istruzione» e «documentazione didattica per il funzionamento delle attrezzature».

Con tanti miliardi spesi per la formazione, ci dovrebbero essere valanghe di magistrati e di funzionari che utilizzano alla perfezione il "Perseo". Una semplice indagine a campione potrebbe dimostrare esattamente il contrario. I giudici non si son convinti ad usarlo, perché non ne vale la pena. I funzionari di

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cancelleria ancora meno. L'utilizzo del programma da parte di questi presuppone almeno due cose: che il singolo fruitore conosca a menadito tutte le potenzialità del software e della macchina, e perfettamente tutto il servizio di cancelleria che vuole affidare al computer. Presupposti inesistenti per il novanta per cento dei potenziali fruitori, che, con costi molto inferiori, po-trebbero invece usare ben altre automazioni, capaci di fungere loro stesse da guida al personale inesperto.

Ma, grazie soprattutto al "Perseo", la Computer and Microimage S.p.a. da piccola società di servizi (che forniva al Ministero la microfilmatura per le cancellerie commerciali di Roma, nonché per il Tribunale e la Procura della Repubblica di Palermo) è diventata in poco tempo società di progettazione, di sviluppo e di manutenzione di software. Si occupa, in subappalto dalla Olivetti, dello sviluppo del "Perseo" nonché di buona parte dell'attività di formazione del personale. A quanto pare, cura anche l'assistenza connessa ai 3780personal computer che l'Ufficio IV-Automazione ha acquistato nel 1988 e nel 1990 dalla Olivetti.

Amministratore e proprietario della società è l'in-gegner Marcello Pacifico, grande amico di Liliana Ferraro. Non si conosce il motivo per il quale l'Olivetti ha subappaltato parte delle commesse. Forse non è in grado di fare da sé. Forse per altro. Fatto sta che il "Perseo" giustifica l'acquisto dei personal, e l'acquisto dei personal è indispensabile per far funzionare il "Perseo". C'è un dilagare in controllato di quattrini su questo programmino che viene tirato da tutte le parti per adattarlo alla gestione di elenchi di giudici popola-

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ri, presidenti di seggio, periti e consulenti, personale di cancelleria, inventari ed altro.

Il programma era nato nel 1983, quando le tecnologie informatiche erano ben diverse da quelle di oggi. Aveva allora una sua ragion d'essere. Serviva a gestire testi e dati dei maxiprocessi secondo il codice di procedura penale di allora. Oggi il mercato offre numerosi "pacchetti" per personal computer che consentono di fare molto di più, in modo più accessibile. È stato cambiato anche il codice. Per tutte queste ragioni, il "Perseo" aveva perduto ogni concreta utilità già nel momento in cui venne distribuito negli uffici giudiziario

Ma quel programma deve funzionare a tutti i costi ancora oggi. Se non funzionasse, una vena d'oro si esaurirebbe. Ed infatti anche l'Ufficio IV di Fabio Mondello continua a distribuire a pioggia il dorato "Perseo" .

La pioggia comprende personal e stampanti Olivetti, che, in forza di un certo meccanismo chiamato "del doppio quinto contrattuale" , sono stati pagati nel luglio del 1990 al prezzo del 1988, pur in presenza di una marcatissima tendenza al ribasso che coinvolge tutte le macchine informatiche. Il prezzo infatti risulta al momento della fornitura del 40/45 per cento superiore a quello corrente per macchine di pari caratteristiche. Come dire che se l'Amministrazione non avesse fatto ricorso a quella speciale procedura (prevista per legge, ma non certo obbligatoria) avrebbe risparmiato una somma pari al 40/45 per cento di quella sborsata.

Altro importante puntello di questa baracca è il programma "RE.GE.", anch'esso, come il "Perseo", in

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rapporto di reciproco scambio di giustificazione con i personal computer Olivetti.

Questa volta la giustificazione iniziale è stata l'urgenza di dare un supporto informatico al nuovo processo penale. Il programma, infatti, è stato ideato per consentire la registrazione dei processi penali utilizzando il computer piuttosto che i registri di carta. Ma l'urgenza è un'invenzione straordinariamente produttiva nel sistema dello sfascio ministeriale, perché quelli che vogliono fare quello che gli pare, sanno benissimo che, rimanendo senza studi, senza ricerche e senza piani, possono far passare l'iniziativa che gradiscono, sostenendo che è l'unica esistente, l'unica disponibile e l'unica - quindi -compatibile con l'urgenza di provvedere.

Che poi sia un mezzo aborto, chi volete che se ne accorga. È facile ottenere consensi dando una bicicletta a chi è costretto a percorrere a piedi una strada impervia. Purché naturalmente gli si tenga ben nascosto che, allo stesso prezzo pagato per la bicicletta, egli avrebbe potuto avere almeno una motocicletta, se non addirittura un'autovettura.

I giudici e i cancellieri italiani - il cui mestiere non è quello di seguire le invenzioni e i prezzi dei mezzi informatici - vengono continuamente gabbati, perché si fa loro credere facilmente, per esempio, che meglio del "RE.GE. ", per il nuovo codice di procedura penale, non c'è nulla. Ma una cosa del genere può essere sostenuta soltanto in mala fede. Infatti, non si è mai voluto procedere a credibile verifica di funzionalità, né si è mai fatto il confronto con altre realizzazioni che erano già esistenti e funzionanti quando il

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"RE.GE." fu adottato. Nel frattempo l'introduzione del "RE.GE." è cosa fatta.

Ed essa prosegue crescendo, perché, a prova di una significativa continuità di gestione, anche l'Ufficio IV di Fabio Mondello continua ad acquistare personal computer dichiarando semplicemente che questi servono al mantenimento delle iniziative già in atto, e, cioè, delle iniziative adottate dalla benemerita Liliana Ferraro.

Camuffate sotto l'originaria gratuità del programma, nuove spese ingenti (che ho stimato almeno intorno ai 70/80 miliardi di lire) vanno ad arricchire i bilanci degli imprenditori singoli ed associati che ruotano attorno al "RE.GE." come orsi intorno a favi di miele.

L'inaudito sperpero di denaro prosegue con il versamento alla Rank Xerox di quattrini per stampanti laser che Dio solo sa a quale piano di automazione corrispondono. Stampanti destinate a fare la fine dei mille impianti di fonoregistrazione completi di microcassette a 5055 lire l'una (al supermercato tre, comprate isolatamente, costano 7500 lire), pagati ciascuno 25.998.630 di lire, e in gran parte abbandonati nell'ar-chivio degli uffici, in attesa che qualche maestro della Philips vada a dire come funziona a qualche impiegato che sia effettivamente in servizio (voglio dire: c'è il caso che l'abbiano mandato anche dove l'organico è scoperto), e che sia disposto a farlo funzionare.

Ma quel che conta è, alla fine, che i soldi siano stati da una parte spesi, e da una o più parti incassati.

Per il resto, chi se ne frega. Tanto, non succede mai nulla.

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Non succede nulla neppure se il Ministero degli Interni, per la manutenzione dei suoi 4495 terminali, spende in un anno 1.516.372.000, mentre il Ministero diGrazia e Giustizia, per manutenzionarne soltanto 2450, spende 4.383.125.000, e, cioè, quasi il triplo avendo metà terminali.

Lo sfascio totale nell'informatica giudiziaria è ben rappresentata, in sintesi, dal fatto che l'Amministrazione della giustizia ha speso dal 1982 al 1991, e soltanto per cose strettamente informatiche, le stratosferiche centinaia di miliardi di cui parlano i resoconti ufficiali della corte dei Conti, senza che nessuno se ne sia accorto.

Infatti il risultato di tanti quattrini non è giunto ai cittadini fruitori dei servizi, che hanno visto ogni giorno una giustizia sfasciata più del giorno precedente e meno di quello successivo.

E nulla è giunto ai magistrati. I quali, infatti, combattono oggi contro mafie, camorre, tangenti, truffe e scandali vari, con le stesse armi spuntatissime di dieci anni fa, pur avendo la tecnologia fatto nel frattempo altri passi da gigante. Gli uffici giudiziari sono in realtà abbandonati a se stessi, come rilevato anche dal collega Antonio Di Pietro nella già citata lettera del 18 aprile 1990.4

Se si eccettuano - naturalmente - singoli casi, sponsorizzati a dovere dall"'Ufficio IV-Automazione". Come la Procura presso la Pretura circondariale di Roma (sempre Roma!) che, quando ha adottato il "RE.GE.", ha ricevuto anche le vetture blindate. E che nel mese di dicembre 1992 aveva ancora a disposizione 700 dei non so quanti milioni che, per ogni anno

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solare, l'Ufficio IV mette a sua disposizione per le spese di manutenzione. Soldi che l'ufficio non sapeva come spendere, e che ha presumibilmente sprecato, perché i fondi vanno "comunque" spesi entro il 31 dicembre!

Alla faccia degli altri uffici d'Italia, poveri in canna. D'altra parte, ben gli sta. Così anche loro imparano a capire che l'amore per la mitologia greca, e la passione per gli" antichi regi" hanno sempre fruttato parecchio.

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NOTE

l Salvo che per talune iniziative (delle quali cito il costo in modo preciso), i dati numerici contenuti in questo capitolo sono necessariamente stimati, perché l'Ufficio Automazione non ha mai avuto la disponibilità dei documenti che avrebbero consentito il calcolo dei costi. Le stime sono comunque prudenti, e certamente errate per difetto e non per eccesso.

2 Per il CED Cassazione si rinvia alla nota l del capitolo IX. Il Casellario giudiziale raccoglie e conserva sotto forma di apposite schede gli estratti di tutte le sentenze penali e civili che, secondo legge, concorrono a formare i cosiddetti "precedenti" di una persona. Il sistema informativo del Casellario consente di archiviare tutte le citate notizie su un supporto anche magnetico, e di ricercare molto più velocemente i "precedenti", permettendo il rilascio automatico ed immediato del "certificato penale" e del "certificato generale". Dal 1985 in poi è stata avviata una sperimentazione per utilizzare le stesse attrezzature per memorizzare i dati non soltanto dei processi penali ormai definitivamente conclusi, ma anche di quelli ancora in corso (cosiddetti "carichi pendenti "). Quest'ultimo tipo di registrazione, che poteva fungere anche da supporto agli uffici giudiziari per la gestione dei processi, è entrato in rotta di collisione con il programma "RE.GE.", prescelto dall'allora direttrice dell'Ufficio Automazione per "informatizzare" il processo penale svolto secondo il nuovo codice di procedura.

Si veda la nota l O del capitolo X, ed il testo dell'ultimo capitolo.

Il sistema informativo degli istituti di prevenzione e pena è sortoper gestire l'archivio nazionale dei detenuti (anagrafe penitenziaria), e, quindi, per conoscere con celerità la presenza o meno (e in quale istituto) di una persona in uno dei tanti carceri d'Italia. Si è poi esteso per raggiungere anche altri obiettivi, di gestione interna degli istituti penitenziari e di raccolta di informazioni per consentire scelte di indirizzo alle autorità centrali.

3 Il programma "Perseo" rappresenta in origine il tentativo di adattare e trasferire su personal computer le esperienze di gestione informatica del processo penale che erano state condotte dapprima a Savona per il processo nei confronti di Alberto Teardo ed

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altri (imputati di associazione per delinquere di tipo mafioso, e di altri reati), e poi a Palermo per il maxiprocesso alla mafia celebrato nell'aula bunker. Come si dirà, risponde ad una tecnologia che, già superata quando il "Perseo" fu distribuito negli uffici giudiziari, è oggi del tutto obsoleta.

4 Vedi capitolo I, nota 2; e, in appendice, documento a pago 2.

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XII

Ai miei amici peones

I misteri del Ministero

Avendo io assistito al sabotaggio delle promesse fattemi il 5 dicembre '91 dal ministro, è stato perfetta-mente inutile che Claudio Martelli, dopo la mia definitiva richiesta di abbandonare quel posto tenebroso, l

tergiversasse ancora nel lasciarmi riprendere le mie funzioni di giudice. Mi sono avvalso di messaggeri che potessero convincerlo a lasciarmi andar via al più presto. Non che io credessi, ormai, che il ministro tenesse al mio lavoro: così imbecille non sono, dopo tante prove di segno esattamente contrario.

Temevo però che Martelli non avesse il coraggio di confessarsi che il mio era in realtà il suo fallimento, perché non certo io avevo cambiato la direzione del-l'Ufficio Automazione, e non certo io mi ero vantato in una nota di agenzia Ansa di aver chiamato dalla periferia un giovane magistrato che aveva dato prova di saperci fare, per metterlo alla direzione di una svolta informatica. Non certo io, il 15 maggio 1991, avevo ripetuto quel nuovo nome in un'affollata riunione. di

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giudici a Palermo, per indicarlo come l'unico interlocutore degli uffici giudiziari in materia di informatica.

Sono rientrato alla Pretura di Borgomanero la-sciandoli forse tutti convinti che fossi già contento di aver vissuto una meravigliosa ottobrata romana, avendo per di più una macchina di servizio (soltanto una Fiat Tipo, la più piccola e la meno prestigiosa esistente al Ministero, a prova ulteriore del fatto che non sono stato per mia fortuna mescolato con i big, che vanno in potentissime ed inutili Alfa Romeo blindate, da più di 200 milioni l'una).

In realtà, il venir via da Roma è stata la chiusura necessaria di una parentesi che avevo aperto per con-tribuire in un modo diverso al miglioramento del servizio giustizia. Ma chiusa la parentesi del coinvolgimento diretto nel Ministero, non può certo ritenersi concluso il dibattito sullo stato disastroso dell'informatica per la giustizia.

Non è infatti una questione personale, e neppure è questione di questo o di un altro direttore (tant'è che, dopo di me, l'Ufficio Automazione è più inesistente di prima). Un qualsiasi altro direttore che volesse "rompere le scatole", ridiscutere gli equilibri raggiunti, ridare trasparenza alle iniziative, sarebbe ugualmente bloccato. Temo che l'Ufficio Automazione funzionerebbe soltanto se fosse un peduncolo esecutivo della lobby.

Ed allora potrebbe prima o poi accadere che giungano a via Arenula uno o più dei 160 procuratori della Repubblica d'Italia.

Infatti, se nella confusione delle inutili lotte quoti-diane, i singoli episodi mi sono apparsi soltanto il

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frutto di dilettantismi e di approssimazioni, ora, a ripensare e a ricomporre tutte le vicende, prevale decisamente il sospetto che la paralisi dell'Ufficio Automazione possa essere stata il frutto di un preciso calcolo. Ma l'Ufficio Automazione non è un giocattolino con il quale i dipendenti di un'azienda privata si divertono nei momenti di pausa, lanciandoselo tra di loro come una palla. L'ufficio appartiene allo Stato, e le sue attribuzioni sono previste nell'ordinamento di una Pubblica Amministrazione, per fini di pubblico interesse, e non di lobbystico gaudio.

A un procuratore della Repubblica, Livia Pomodoro inutilmente opporrebbe che i documenti non si toccano. A meno che non si voglia esporre un buon gruppo di persone alla necessità di custodia cautelare che eviti l'inquinamento del lavoro di verifica. Magistrati e funzionari, infatti, non sono protetti da immunità di sorta, né se lavorano presso il Ministero di Grazia e Giustizia, e neppure se agiscono in un ufficio giudiziario. La protezione può semmai essere assicurata dal timore, dal silenzio e dalla noncuranza di coloro che continuano a credere che soltanto Libero Grassi ha il dovere di fronteggiare l'illegalità. Ma può darsi che i tempi siano cambiati, e che ci sia .un numero sempre minore di persone che ritengano ancora possibile continuare a farsi soltanto i fatti propri.

Quello che accade nel Ministero di Grazia e Giu-. stizia, infatti, lo sanno tutti gli abitanti del palazzo. Èfatto notorio. C'è gente che lavora lì da decenni, e conosce vita, morte e miracoli dei personaggi di cui ho parlato, e di altri ancora.

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Tanto che un procuratore della Repubblica, oltre a verificare se la vicenda dell'Ufficio Automazione sia stata soltanto il frutto di casuali inefficienze, potrebbe una volta per tutte porre la parola "fine" - in un modo o nell'altro - a quell'interrogativo che molti si pongono, in via Arenula e fuori. Potrebbe, cioè, sciogliere il dubbio sul se le sorde voci che si bloccano sul sette o sul cinque per cento nelle commesse, e quelle che favoleggiano di imprese fornitrici intestate a prestanomi, sono le solite dicerie di gente invidiosa e sfascista, oppure sono notizia popolare (e quindi, secondo il proverbio, divina) di ripetuti imbrogli a danno dei peones e della giustizia.

Una verifica che dovesse risolversi nel senso della chiarezza, della pulizia e della trasparenza, consentirebbe di confermare a favore del Ministero di Grazia e Giustizia quell'idea di "tempio della legalità" che tutti abbiamo bisogno di avere. Sarebbe formidabile poter confermare che esiste un abisso di differenza tra il Ministero che organizza la giustizia, e tutti gli altri angoli d'Italia, dove invece dilagano corruzioni, concussioni, tangenti ed abusi.

E sarebbe un peccato se una verifica rasserenante come questa giungesse prima che io fossi riuscito a faresaminare una mia antica idea. Quella di votare una legge secondo cui ogni denuncia che riguardi uno qualsiasi dei tanti santuari dell' Amministrazione centrale dello Stato, deve essere attribuita alla competenza di quella procura - e di quel corrispondente giudice che sia risultata di volta in volta estratta a sorte, senza palline truccate, fra tutte le procure d'Italia.

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Si troncherebbe così alla radice la possibilità di dire che gli l;lffici giudiziari della capitale sono esposti a pericoli di nebbia per la contiguità fisica con i centri di potere. I relativi magistrati sarebbero meglio difesi da sospetti anche gratuiti ed ingiusti, e la posizione del procuratore di Roma non sarebbe migliore o peggiore di quella del procuratore di qualsiasi altra città. lo potrei abbandonare il timore che, confesso, ho avuto. Quello che il Ministero di Grazia e Giustizia possa essere l'ultimo ad aver paura di un Di Pietro volante. In fondo, ci conosciamo tutti per nome, cognome ed indirizzo, ci diamo del tu anche a livello di famiglie, e ci troviamo tutti alla prossima "prima" di teatro, a sbellicarci insieme dalle risate.

I miei amici peones non hanno di che ridere. Ascoltano continui annunci di strabilianti iniziative, ma vedono che la giustizia non migliora. Se c'è sentore di imbroglio, vengono subito raggiunti dalle smentite da parte delle "fonti ufficiali del Ministero" . Non sanno però che le "fonti ufficiali" sono proprio nelle mani dei responsabili dello sfascio.

Soltanto nei filmetti americani della serie "Co-lombo" capita che il colpevole, dopo che gli si contesta un fatto vero, crolla subito, e racconta pure tutto il resto. Nei "filmetti" italiani accade il contrario. Il colpevole nega pure l'evidenza. Ed usa il vecchio trucco di sostenere che i problemi non esistono, e che, se qualcuno li denuncia, è mosso da ripicche personali. Tra poco le fonti ufficiali diranno che il capitano "Ultimo" ha arrestato Totò Riina per motivi personali. Per una bega insorta tra di loro. Così archiviamo pure la mafia.

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Infatti, per archiviare la vicenda dell'Ufficio Au-tomazione, le "fonti ufficiali" hanno dett02 che, con-trariamente alle mie affermazioni rese alla stampa dopo le dimissioni, «non ci sono lobby di potere, ma solo unabega da cortile», e che, pur avendone avuto «pieno mandato» non sono riuscito a predisporre un piano per «l'automatizzazione» dei servizi.

Il "pieno mandato" è quello che gli amici peones hanno letto in questo libro. Con esso avrei dovuto coprire le voragini che sono state aperte e scavate nei quasi dieci anni precedenti. Infatti, cos'altro sono le predette dichiarazioni ufficiali, se non la pubblica confessione che il Ministero non ha mai avuto un "piano per l'automatizzazione dei servizi" prima del mio insediamento? C'è dunque la prova che, nei dieci anni precedenti, le centinaia di miliardi per l'informatica sono stati spesi a caso. Ma i miliardi non li ha spesi una "begada cortile". Li hanno gestiti coloro che direttamente o per interposta persona - hanno paralizzato il tentativo di razionalizzare il settore, per continuare a fare esattamente come prima, senza alcun quadro d'insieme, e senza mai ricorrere a pubbliche gare d'appalto.

E mettendo nel nulla le buone intenzioni iniziali di un ministro. C'è qualcosa di sfuggente e di inquietante in questa storia. Claudio Martelli non può più sostenere, infatti, di essere all'oscuro di tutto, come fece il 5dicembre 1991.3 Oltre a quello che egli deve sapere per essere ministro da tempo, c'è il fatto che il 20 luglio 1992, dopo l'omicidio Borsellino, gli ho inviato un lungo telegramma. Vi si può leggere che al Ministero «imperversa vera et propria fazione»; che in

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esso «esiste palese stravolgimento di competenze et di procedure at fine di convogliare sempre più il potere di fatto et di diritto verso ben determinato gruppo di persone, non so se et come legate anche at potentati esterni at Ministero». Il ministro conosce i nomi delle persone la cui attività amministrativa dovrebbe essere verificata: glieli ho fatti io, pur potendone essere eso-nerato dal requisito della notorietà che i fatti rivestono quantomeno all'interno del palazzo. Ho segnalato al ministro che all'Ufficio IV c'è gente che sta lì da troppo tempo; e che si alzano «ferree cortine at qualsiasi tentativo di conoscenza di criteri di distribuzione forniture tra imprese et criteri di distribuzione delle risorse tra uffici giudiziari». Ho cercato di porre in risalto l'esigenza di moralizzazione.

Da quanto ho letto sui giornali, il ministro Martelli almeno su quest'ultimo punto mi ha dato ragione. 4

Riferendosi però a quello che accade fuori, e non anche a quello che vive dentro al suo palazzo.

In quest'ultimo, chi più sfida le leggi e i regola-menti più sale nella scala del potere, e acquista, perciò, la possibilità di mettersi a cavallo dello Stato.

La storia della dottoressa Liliana Ferraro è in proposito senza dubbio la più illuminante: abbandonate le fatiche dell'ufficio giudiziario poco tempo dopo essere stata assunta in magistratura, l'illustre collega ha conseguito incredibilmente la posizione di una doppia dirigenza di uffici ministeriali strategici, tenendola ben salda per più di sette anni.

Per avanzare nel grado e nello stipendio, avrebbe dovuto ritornare negli uffici giudiziari, perché la legge non consentiva di promuovere a funzioni superiori i

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magistrati che fossero stati per troppo tempo lontani dal loro proprio lavoro. Ebbene, la Ferraro ha preferito rinunciare alla promozione, pur di mantenere il suo doppio incarico ministeriale.

Ma rinunciare solo provvisoriamente: il tempo necessario, cioè, all'approvazione di una leggina passata per le grazie di chissà chi - che ha tolto il blocco alla promozione sua e di un ristrettissimo numero di magistrati, squalificando contemporaneamente l'intera categoria dei giudici.

Infatti, ai fini della carriera dei magistrati, la citata legge mette sullo stesso piano il servizio prestato a combattere contro mafie e camorre, e il tempo trascorso dietro le scrivanie ministeriali.5

Superato questo incidente di percorso, la dottoressa Ferraro si è imbattuta nel neo ministro Claudio Martelli che l'ha repentinamente ed inopinatamente sollevata dalle due poltrone.Ma è durato poco, ed è stato fuoco di paglia. Aggrappatasi con successo a Giovanni Falcone (chiamato nel frattempo da Martelli al Ministero), la dottoressa è stata nominata capo della segreteria del povero magistrato di Palermo. Ma dopo la strage di Capaci la Ferraro ha definitivamente raggiunto i vertici del potere e della notorietà. Infatti, l'antivigilia del Ferragosto successivo al tritolo, Liliana Ferraro è stata "incaricata" di sostituire Giovanni Falcone.

Non è stato interpellato il Consiglio Superiore della Magistratura (caso unico nella storia), perché il Consiglio non avrebbe fatto altro che bocciare la nomi:na, non avendo la dottoressa - ancora una volta l'anzianità ed il titolo per ricoprire il ruolo di direttore

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generale. È stata forzata oltre ogni limite l'interpretazione di una norma di legge che consente di conferire incarichi di questo tipo anche ad estranei all' Amministrazione giudiziaria.

Come se la dottoressa fosse qualificabile esterna all'amministrazione giudiziaria, pur non avendo ella mai rinunciato né al titolo, né allo status, e neppure allo stipendio del magistrato.

La corte dei Conti ha censurato il decreto, ma la Ferraro è rimasta ugualmente seduta dietro alla scrivania che fu di Giovanni Falcone.

I cittadini estranei al palazzo di via Arenula sono stati opportunamente guidati, dalla stampa amica o da quella ingannata, ad inneggiare alla nomina di una donna, finalmente, al posto di alta responsabilità ricoperto in vita nientemeno che da Giovanni Falcone. Una donna che ne avrebbe portato avanti tutto il programma.

Ma una composta signora che lavora al Ministero, a proposito di un articolo comparso su un noto settimanale ("Nel nome di Falcone sconfiggerò Cosa Nostra")6 mi ha parafrasato Groucho Marx dicendomi: «Dal momento in cui ho preso in mano l'articolo sino a quando l'ho rimesso a posto, non ho smesso di ridere per un solo momento. Un giorno ho intenzione di leggerlo».

Tutti al Ministero sanno infatti che Liliana Ferraro, con la disponibilità di centinaia di miliardi, con il favore di leggi in deroga alle ordinarie norme di contabilità, e con l'accesso alle stanze di molti potenti (come, appunto, è dimostrato dalla sua fulminea carriera), non ha fatto tuttavia sollevare la piramide

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dell'organizzazione giudiziaria neppure di un centimetro, quando era direttrice di ben due uffici strategici. Non è riuscita, o non ha voluto, creare un vero Ufficio Automazione, pur avendolo diretto per sette anni. E non ha introdotto nel Ministero neppure la meccanizzazione della rassegna stampa, che è una delle cose che vanno bene per la giustizia come per l'agricoltura come per il commercio estero.

Altro che sconfiggere la mafia! Al punto che il quadro dei misteri del Ministero è

diventato più inquietante. È inquietante la storia di un ministro che inizia con entusiasmi, continua con incer-tezze, e finisce nel giro di un anno col cedere posti di alta responsabilità proprio alle persone da lui stesso inizialmente estromesse.

Non, però, a tutte le persone inizialmente estromesse: soltanto ad una di esse.

Martelli - nel congedare la Ferraro dal posto di direttrice dell'Ufficio Automazione - aveva per esempio allontanato dal suo incarico anche la persona che allora tentava di contrastare gli indirizzi dell'Ufficio Automazione. Il nuovo ministro sembrava aver adottato una scelta salomonica del tipo "nel conflitto tra i due, né l'una né l'altro". Si tratta del responsabile del sistema informatico nazionale del Casellario giudiziale 7

, ilmagistrato Francantonio Granero. Che da allora è rimasto in disparte, e non è stato "ripescato" in alcun modo. E dire che il Casellario è una "cosa informatica" che funzionava, e che, anzi, aveva potenzialità di sviluppo ulteriore. Poteva dare un supporto al nuovo codice di procedura penale con costi aggiunti vi minimi. Ma Granero aveva commesso l"'errore" di critica-

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re la gestione Ferraro, in numerose relazioni. Aveva già evidenziato molti limiti e manchevolezze che sarebbero state da me constatate stando all'interno dell'Ufficio Automazione. Si era opposto ad iniziative dispendiose e di dubbia funzionalità, proponendo invece di sfruttare al meglio le risorse già esistenti e già funzionanti su gran parte del territorio nazionale. Non si era comportato da perfetto "yesman". Non poteva dunque essere "riabilitato" in alcun modo, perché lo sviluppo della storia dimostra ora che la dottoressa Liliana Ferraro, per motivi incomprensibili ai più, ha raggiunto il massimo del suo potere proprio con la gestione Martelli. E dunque non c'è spazio per le vecchie e nuove critiche alla Ferraro, e meno che meno per Francantonio Granero.

Tanto più che fu proprio Granero a dirigere l'Ufficio Istruzione del Tribunale di Savona, e a condurre, insieme al collega Michele Del Gaudio, l'istruttoria della prima Tangentopoli Italica conclusasi con la dura condanna del socialista Alberto Teardo.8 I maligni raccomandano di non dimenticare, nella ricostruzione dei fatti, neppure questi particolari.

Di certo c'è che i percorsi sono tortuosi, le illegalità evidenti, le contraddizioni del ministro molto strane. Non si può puntare sull'esperienza e sulla figura di Giovanni Falcone per la Direzione Generale degli Affari Penali, e poi credere di poter sostituire Falcone con Liliana Ferraro. Il primo ha combattuto per decenni nelle frontiere del crimine mafioso, l'altra non ha fatto il giudice neppure contro un ladro di biciclette. Ed allora, qual è il sospetto meno irriguardoso: che non c'era alcun bisogno di Falcone al Ministero, o che la

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Ferraro deve svolgere, da quel posto, un mandato affatto diverso, ed ignoto?

Non sono il solo ad avere queste perplessità. Per esempio, il 21 ottobre 1992 l'onorevole Parlato

ha interrogato il ministro di Grazia e Giustizia propriosulla carriera della dottoressa Ferraro e sulla «pioggia di dichiarazioni» della medesima «su suoi asseriti meriti eminenti nella lotta al terrorismo, nella collaborazione prestata al generale Dalla Chiesa, nonché nella decennale dichiarata collaborazione con Giovanni Falcone». Il deputato ha affermato che queste circostanze sono «tutte quanto meno da verificare», perché appaiono «incompatibili con gli incarichi in precedenza ricoperti».

E, prima e dopo di lui, diversi altri parlamentari hanno chiesto di conoscere i dettagli e le motivazioni del cosiddetto" caso Lombardi". 9 Sono state sollecitate «opportune iniziative volte a chiarire la portata ed il senso di recenti interventi sulla stampa del dottor Renzo Erasmo Lombardi, che parla di sperperi e di cattivo uso di fondi a disposizione del Ministero di Grazia e Giustizia, chiamando cosÌ in causa in modo diretto l'operato, quanto meno per un certo periodo di tempo, della dottoressa Ferraro».

Ora più di prima dubito che il ministro intenda mai «dar luogo» alle «opportune iniziative» alle quali, dunque anche in sede parlamentare, è stato più volte sollecitato.

C'è qualcosa che gli consiglia, o qualcosa che gli impone, di non farlo? Perché la svolta informatica è stata abbandonata? Perché i documenti dell'Ufficio IV non possono essere esaminati? Perché l'amico De

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Maio è stato prima chiamato, e poi "mollato"? Perché la Ferraro è stata prima congedata e poi promossa a più importanti funzioni?

I meriti per questa nomina sono stati conseguiti negli anni fallimentari della gestione dell"'Ufficio IV -Automazione", oppure nel breve periodo trascorso nella segreteria di Giovanni Falcone? E i peones d'Italia possono essere messi al corrente della natura di questi eventuali meriti?

Se non saranno chiariti fino in fondo almeno questi "misteri", nessun corso politico-amministrativo sarà "nuovo". Lo sfascio, nell'informatica ed altrove, resterà immutato. Il palazzo ministeriale continuerà a mostrare la sua bella facciata sulla via Arenula, nelle molte giornate di sole della capitale. Ma sempre meno si capirà quali sono i veri giochi che si svolgono nei bui corridoi interni. Dopo l'inutile "fiammata" iniziale di Claudio Martelli, la giustizia attenderà invano, per molto tempo ancora, di essere migliorata.

Buonanotte, cari peones.

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NOTE

l Vedi nota 6 del capitolo X.

2 Nel pubblicare una sintesi delle dichiarazioni che ho reso al Corriere di Novara del lO settembre 1992, L'Indipendente dell' Il settembre 1992 ha pubblicato anche la succinta e sbrigativa versione delle "fonti ufficiali" del Ministero.

3 Mi riferisco all'incontro con il ministro, che seguì alle mie prime dimissioni e del quale si tratta nel capitolo VIII.

4 Nell'infuriare delle polemiche per il coinvolgi mento di noti rappresentanti del mondo politico nell'inchiesta milanese "Mani Pulite", il ministro Martelli si era fatto promotore anch'egli (nell'ambito del suo partito e fuori) della necessità di porre al centro dell'attenzione politica "la questione morale".

5 Si tratta del decreto legge 26 marzo 1990 n. 64 convertito, con modificazioni, nella legge 25 maggio 1990 n. 124 (art. 7 bis).

6 Oggi, 14 settembre 1992, numero 38, pago 43.

7 Sui compiti del Casellario giudiziale si veda la nota 2 del capitolo XI.

8 Alberto Teardo, di Savona, era allora presidente della Regione Liguria. Fu arrestato alla vigilia delle elezioni politiche del 1983, essendo candidato al Parlamento. Nel processo, concluso con dure condanne, furono coinvolti anche altri esponenti del Psi, della Dc, del Pci oltre che imprenditori e portaborse. Il giro di affari tangentizi scoperto e colpito da Del Gaudio e Granero è stato stimato intorno ai 19 miliardi di allora. Michele Del Gaudio, ora giudice a Napoli, ha svelato i risvolti del processo nel libro La toga strappata, edito da Tullio Pironti (Napoli, 1992).

9 Antonio Parlato è deputato per il Msi in questa XI legislatura. L'interrogazione risulta dagli Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, n. 4-06628. Altre interrogazioni alla Camera sul "caso Lombardi" sono state presentate dai deputati: Francesco Marenco (Msi) il 21settembre 1992 (n. 4-05261); Carlo Palermo e Diego Novelli (La Rete) il 22 dicembre 1992 (n. 4-09149).

Al Senato hanno presentato interrogazioni i senatori Ezio Leonardi (Dc) il 15 settembre 1992, e Giuseppina Maisano Grassi (Verdi) il 6 ottobre 1992 (n. 3-00214).

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POSCRITTO

Il l febbraio 1993, quando il manoscritto era già stato licenziato per la stampa, il ministro Claudio Martelli ha risposto alle interrogazioni parlamentari sul "caso Lombardi" (Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, XI legislatura, Discussioni, seduta dell' l febbraio 1993).

Il lettore che, dopo questo libro, avesse l'occasione di esaminare il verbale della seduta (documento estre-mamente interessante, in altra parte, anche per chi segue le indagini sull'assassinio di Giovanni Falcone) non potrebbe che allarmarsi ancora di più.

Egli avrebbe una prova ulteriore del completo appiattimento di una persona intelligente come Martelli su tesi false e banali, oltre che scorrette, che sono proprio le tesi ed i trucchi della "lobby" ministeriale. L'abitudine immorale della quale è anche quella di strumentalizzare in modo vergognoso il nome del povero - e disgraziatamente ignaro - Falcone.

Da questo fatto ogni persona onesta trarrebbe vieppiù il timore che la "lobby" abbia risucchiato gradualmente un ministro della Repubblica, esponendolo oltretutto alla "gaffe" di dichiarare in Parlamento che, insomma, l'aver chiamato Lombardi ad un importante incarico ministeriale è stato un errore. I ministri

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hanno il compito e la responsabilità di ben soppesare le scelte prima di farIe, e non dopo: e se non sono capaci di ponderare le iniziative, non devono fare i ministri.

Appena una settimana dopo la seduta alla Camera, l'onorevole Claudio Martelli ha riconosciuto che non poteva continuare a fare il ministro, ed ha rassegnato le dimissioni (10 febbraio 1993).

Altre persone, però, sono rimaste al posto loro, ed hanno già iniziato a condurre il nuovo ministro Conso verso un altro bel giro di valzer.

Nuovo turno, stesso imbroglio! Il sottogoverno della gestione Martelli è rimasto

sottogoverno di Conso, e questi probabilmente non sa che si tratta delle persone che hanno condotto e vinto una lotta per il mantenimento del potere interno. Oggi sono più forti di ieri.

Il sottogoverno lancia ampi sorrisi, ed invita a cena l'apprezzato tecnico del diritto, dandogli del Ministero un'immagine di freschezza, di efficienza, di pulizia. Il ministro non si permetterà certo di sindacare tutte le scelte fatte (e fatte fare) dal suo predecessore, non conterà le persone che, pagate dai peones, figurano in servizio nel suo gabinetto. Non chiederà a costoro chi è il loro vero padrone, e perché si trovano lì anche facendo parte, talvolta, di altre amministrazioni.

E se vedesse che qualcuno s'intrufola in affari che non gli competono, il ministro sarebbe portato a pensare che questo è dovuto unicamente all'amore per la giustizia. Ma io, partito dalle stesse premesse, ho poi conosciuto sulla mia pelle quei polli, ed ho ragione di pensare che i polli devono difendere qualche gallo, o devono spennare qualche gallina: in quell'ambien-

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te l'amore per la giustizia c'entra come i cavoli a merenda. Chissà se il professor Conso si è chiesto, per esempio,

perché mai il capo dell'Ufficio Legislativo del Ministero (che è l'ufficio competente a supportare il ministro nella sua attività di propulsione di decreti legge o di disegni di legge), perché mai il capo dell'ufficio competente si è messo in ferie proprio mentre si andavano preparando i decreti su Tangentopoli, che sarebbero stati poi violentemente attaccati dall'opinione pubblica, e rifiutati dal capo dello Stato.

Le ferie in questione sono venute fuori da un'impellente necessità di riposo, oppure si è trattato di una ribellione al fatto che alle costole di Conso si è intrufolata la compagnia della Direzione Generale degli Affari Penali? Il capo dell'Ufficio Legislativo aveva motivo di ritenere che da quella collaborazione non sarebbe venuto fuori nulla di buono?

Davanti ai compiacenti schermi della televisione di partito, alcune persone molto distinte, altissimi magistrati che però siedono da anni dietro comode scrivanie ministeriali (pelle curata, abiti delle migliori griffe, occhiali con montatura di fine tartaruga, linguaggi e sorrisi tipici della nobiltà della cultura) direbbero che una collaborazione si rende per aiutare il nuovo ministro ad orientarsi in tutti i percorsi che un professore universitario non può conoscere, e che, invece, i ministeriali praticano come fumate di sigaretta. Un nuovo ministro ha sempre bisogno di molte cose, e chi nel Ministero è più disponibile e generoso, gliele offre subito su un piatto d'argento. Soltanto, beninteso, per amore della giustizia.

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Che poi dagli antri ministeriali possano uscire aborti come i decreti che sottraggono i politici amici al magistrato indipendente, per affidarli alle mani delicate di funzionari dipendenti, questo è affare che è uscito una volta tanto alla luce del sole soltanto perché era troppo sfacciato. VuoI dire che la prossima volta ne faranno uno più sgusciante e silenzioso.

Nuovo giro, stesso imbroglio anche in questo senso. Infatti, già nel settembre '92 la stessa direzione Affari

Penali aveva elaborato per conto di Claudio Martelli il decreto legge 19 settembre 1992 n. 385, scavalcando, anche allora, l'Ufficio Legislativo del Ministero di Grazia e Giustizia.

Con l'intento dichiarato di far rientrare nelle casse del popolo i patrimoni di chi ha rubato allo Stato sotto forma di tangenti, il decreto sarebbe riuscito a tappare finalmente la bocca a tutti coloro che stavano parlando, e a tutti quelli che avrebbero potuto parlare in futuro. Anche a chi potrebbe parlare su eventuali, malaugurate, tangenti ministeriali.

Il decreto, infatti, colpiva indiscriminatamente sia i corrotti che i corruttori, sia i concussi che i concussori, sia gli impuniti che i pentiti. E li colpiva fortemente: finalmente la "giustizia giusta" predicata da certi per-sonaggi a diciotto carati. Gli stessi che, quando sponso-rizzarono il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, sapevano di aver già rubato per anni, ed erano quindi interessati ad intimidire tutta una categoria di potenziali "nemici". Ma chi cercava di segnalare questo pericolo fu tacciato di dietrologia sfascista. Il

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referendum fu propagandato come segnale, appunto, di una "giustizia giusta".

La giustizia, sarà bene ripeterlo, c'entra come i cavoli a merenda. La giustizia si deve occupare dei peones, e lasciar stare i beones: questo è l'evidente messaggio e il chiaro filo conduttore che segna le iniziative di taluni politici e dei loro vecchissimi supporti ministeriali.

Anche con il ministro Conso, a quanto pare, ci saranno le solite facce, con i soliti ritornelli. Se verranno figure nuove, quelle vecchie comunque non scom-pariranno, e, dunque, i nuovi arrivati potranno servire -anche senza loro consapevolezza iniziale - a dare un cognome diverso allo stesso potere, mantenendolo in corsa.

Nei pochi mesi di permanenza in quegli oscuri corridoi ho imparato a memoria una canzone che ho sentito fischiettare tante volte, e che suona pressappoco così:

«Il Ministero è casa nostra.I miliardi per le forniture li hanno dati a me, e non ti

dico neanche come li spendo, e perché. Se rinforzo un ufficio di pretura, piuttosto che uno di procura, sono fatti che non riguardano te. E poi, visto che parli tanto, ti sbatto fuori senza rimpianto. Al posto tuo ci metto chi mi pare: uno, s'intende, che mi è compare, e che legge il giornale che piace a me.

Il Ministero è casa nostra.Son passati ministri di vari colori. Li abbiamo prima

o poi fatti fuori. Alti, bassi, belli, brutti. Se qualcosa non ci va, resta sempre lo Zio Sam, che da fuori il Ministero guida tutto col pensiero».

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Di recente ho saputo che gli autori dello stornello stanno aggiungendo alla canzone una nuova strofa, ancora da limare. Pare che il senso sarà: «È venuto il nuovo ministro e ci ha confermato la fiducia. Il nuovo ministro ha trovato che lavoriamo così bene che ha confermato anche tutti i nostri pupilli, anzi ne abbiamo chiamati degli altri. Conso è una persona squisita: ci parliamo quando ci pare, gli diciamo quello che ci pare, e, se non lo convinciamo, gli facciamo parlare anche a lui dallo Zio. Lo Zio ci ha garantito che non ci sarà nessuna novità: qualche iniziativa per dare fumo negli occhi, e basta. Il Ministero è casa nostra, e tale rimarrà».

E così, in questo Paese si continua a far finta di ignorare che il rinnovamento che cambi il nome di un ministro, e che non azzeri d'un colpo tutti i vertici della Pubblica Amministrazione, è patetico, o volutamente fittizio.

I vertici della Pubblica Amministrazione sono corresponsabili dello sfascio, e forse più, perché i poteri occulti sono sempre più subdoli di quelli palesi. Essi sono tra i frutti peggiori della partitocrazia tangentista. Creati per servire, hanno raggiunto forte ed autonomo potere, tanto da condizionare nei corridoi i loro stessi padri. Occorrendo, con l'aiuto del tranquillo Zio esterno.

Vi sta bene così, cari peones?

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APPENDICE

Elenco dei documenti citati

Pago

AVVERTENZA: Schema grafico organizzazione del Ministero

Capitolo I:

Nota 2: Lettera 18 aprile '90 da Di Pietro a Lombardi 2

Nota 6: Lettera Ufficio Automazione n. 245/91 UA del 13 giugno 1991 diretta a direttore generale AA.CC.

(l foglio) 3

Capitolo III:

Nota 6: Decreto Ministeriale 6 giugno 1991 (l foglio) 4

Capitolo V:

Nota 4: Lettera 2 maggio '91 del dottor Lombardi a dottoressa Liliana Ferraro (l foglio) 5

Lettera 2 maggio '91 del dottor Lombardi a dottor Mondello 6

Nota 5: Lettera dell'Ufficio Automazione n. 3/IT.UA del 13 luglio '91 (3 fogli) 7-9

Capitolo VII:

Nota 2: Lettera Ufficio Automazione ad Ufficio IV, del 4 ottobre '91 n. 417 prot. ( 1 foglio) lO

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Nota 3: Lettera 27 novembre 1991 n. 652 prot. del dottor Lombardi a ministro Martelli (2 fogli) 11-12Capitolo VIII:

Nota 3: Lettera 20 gennaio '92 n. 200/14/Aut. del ministro Martelli al ministro Mannino (l foglio) 13

Capitolo IX:

Nota 4: Lettera 7 febbraio '92 n. 2515 di prot. della Ragioneria centrale ad Ufficio Automazione. Allegati: ordine di accreditamento anno 1992 firmato da Lombardi ed anno 1991 firmato da

Ferraro (3 fogli) 14-16Capitolo X:

Nota 2: Lettera 18 dicembre '91 n. 726 di prot. dell'Ufficio Aut. a direttore generale AA.CC. e

ad Ufficio IV (2 fogli) 17-18

Nota 3: Lettera 30 gennaio 1992 n. 4/10-497-5(92) dell'Ufficio IV ad Ufficio Automazione (2 fogli) 19-20

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INDICE NOMI

Belsito Giuseppe 60 Borsellino Paolo 13, 134

Castiglione Franco 60, 62, 64, 70, 75, 106, 111, 112

Chianese Alessandra 40 Chiesa Mario 46, 54 Ciborra Claudio 24, 25 Colombo Mario 66 Conso Vincenzo 144, 145, 147,

148 Cordova Agostino 111, 113 Corrado Mario 40

Da Empoli Antonio 88 Daga Luigi 60, 61 Dalla Chiesa Carlo Alberto 140 Del Gaudio Michele 139, 142 Del Monte Francesco 90 De Maio Adriano 23, 24, 25,

26,27,39,41,43,45,46,47, 48,52,77,85,86,87,90,91, 95, 100, 110, 141

Di Federico Giuseppe 23, 24, 25,41,47,49,50,51,52,55, 56, 59, 76, 82, 96, 98

Di Pietro Antonio 22, 29, 30, 47, 124, 133, 149

Einstein Albert 108

Falcone Giovanni 13, 23, 30, 57, 136, 137, 139, 140, 141, 143

Fannelli Onofrio 93, 95, 101 Fazzioli Edoardo 60, 61 Ferraro Liliana 22, 24, 26, 30,

36,41,48,49,50,51,52,55, 56,57,59,60,62,65,67,72, 76, 98, 101, 107, 108, 109, 110, 113, 115, 116, 120, 123, 135, 136, 137, 138, 139, 140, 141, 149, 150

Fornaroli Andrea 87, 90, 96, 97,99, 100, 110

Giudiceandrea Ugo 108, 109, 111,113

Granero Francantonio 113, 138, 139, 142

Grassi Libero 131

Izzo Paolo 112

Lanzara Giovan Francesco 24, 25

Leonardi Ezio 142 Lia Antonio 66, 72 Ligato Lodovico 113 Logozzo SiI vana 12

Maisano Grassi Giuseppina 142

Manfredi Fiorella 40Mannino Calogero 88, 150 Mantovani Marzia 91 Marenco Francesco 142 Martelli Claudio 13, 22, 23, 24,

26,30,31,33,34,41,49,52, 55,60,64,66,67,75,76,77, 80, 86, 87, 90, 91, 96, 103, 112, 113, 129, 134, 135, 136, 138, 141, 142, 143, 144, 146, 149, 150.

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Marx Groucho, 137 Matulli Giuseppe 66, 72 Melcllwrri Marcella'72, 73 Mele Roberto 36, 40 Mondello Fabio 27,37,61,62,

72,73,76,80,103,121,123, 149 Monteforte Beatrice 40 Morlino Tommaso 24 Mormile Stefano 36, 40 Mulas Ferdinando 35, 36, 40

Novelli Diego 142 Nucara Francesco 48, 52, 55

Pacifico Marcello 120 Palermo Carlo 142 Parlato Antonio 51, 57, 140, 142 Parziale Roberto 60 Pennacchio Giovanni Mauro

72, 73 Pensato Massimo 62 Picasso Pablo 108 Pomodoro Livia 25, 31, 34, 35,

41,46,47,53,59,76,77,79,

172

80, 81, 86, 87, 96, 97, 101, 105, 106, 107, 109, 110, 112,113,131

Pronzati Vittorio 87, 90, 93, 94, 95, 96, 97, 99, 100, 110

Reali Filippo 36, 40Recchia Vincenzo 50 Restelli Sergio 85, 91 Riina Totò 133 Rinaldi Luigi 66, 72

Sabelli Guglielmo 60 Sammarco Carlo 115, 116 Sarzana Carlo 56

Talone Grimaldo 36, 40 Tealdi Giovanna Maria 66, 72 TeardoAlberto 126, 139, 142

Vairo Gaetano 66, 72Vassalli Giuliano 22, 31, 56 Verde Filippo 23, 25, 31, 60,

76,79, 87, 112

Zinola Marcello 12