Il patrimonio edilizio degli ospedali lombardi

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71 Il volume che ora si presenta vuol essere un contribu- to alla riflessione sull’ospedale tra passato e futuro in Lombardia, regione il cui territorio è stato sottoposto lungo tutto il XX secolo a un consumo spesso scriteria- to, dove ormai ogni nuovo intervento edilizio non può che essere concepito come “costruito nel costruito”, come modifica ambientale in cui le preesistenze han- no grande importanza, non solo in ragione di intrinseca ed eccezionale qualità, ma anche in quanto stratifica- zione insediativa complessa. Per risultare efficace, il pri- mato all’architettura nella progettazione ospedaliera non può prescindere, infatti, da riflessioni a tutto cam- po sullo stato di fatto del territorio lombardo, dalle quali soltanto può discendere una correlazione corretta tra nuovo modello o nuovi modelli di ospedali rispondenti a esigenze sanitarie attuali e loro adattamento alle si- tuazioni di contesto.Già si è segnalato quanto la storia dell’architettura ospedaliera, italiana e lombarda in primo luogo ma con echi rilevanti in tutto l’occiden- te, sia stata profondamente segnata dall’eccezionale esperienza della Ca’ Granda, l’Ospedale Maggiore di Milano di matrice filaretiana. L’edificio, che ha assunto nel XX secolo destinazione funzionale radicalmente di- versa dall’originaria ma non a essa indifferente, merita- va l’esemplare percorso di conservazione, modifica e nuovo progetto che lo ha investito, in cui di volta in vol- ta le motivazioni della scelta di campo sono state rese esplicite e condivise dalle istituzioni preposte a guidare il processo. Un percorso analogo – articolato tra con- servazione, modifica e innovazione – dovrebbe essere attivato anche nelle valutazioni del più ampio e artico- lato patrimonio ospedaliero oggi a disposizione in tutto il territorio lombardo. “Oggi – ha scritto recentemente Cesare Catananti – con le Aziende Ospedaliere dota- Il patrimonio edilizio degli Ospedali di Lombardia dal secolo XV ad oggi di Maria Antonietta Crippa 71

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Il patrimonio edilizio degli ospedali lombardi

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il volume che ora si presenta vuol essere un contribu-

to alla riflessione sull’ospedale tra passato e futuro in

lombardia, regione il cui territorio è stato sottoposto

lungo tutto il XX secolo a un consumo spesso scriteria-

to, dove ormai ogni nuovo intervento edilizio non può

che essere concepito come “costruito nel costruito”,

come modifica ambientale in cui le preesistenze han-

no grande importanza, non solo in ragione di intrinseca

ed eccezionale qualità, ma anche in quanto stratifica-

zione insediativa complessa. per risultare efficace, il pri-

mato all’architettura nella progettazione ospedaliera

non può prescindere, infatti, da riflessioni a tutto cam-

po sullo stato di fatto del territorio lombardo, dalle quali

soltanto può discendere una correlazione corretta tra

nuovo modello o nuovi modelli di ospedali rispondenti

a esigenze sanitarie attuali e loro adattamento alle si-

tuazioni di contesto.Già si è segnalato quanto la storia

dell’architettura ospedaliera, italiana e lombarda in

primo luogo ma con echi rilevanti in tutto l’occiden-

te, sia stata profondamente segnata dall’eccezionale

esperienza della Ca’ Granda, l’ospedale maggiore di

milano di matrice filaretiana. l’edificio, che ha assunto

nel XX secolo destinazione funzionale radicalmente di-

versa dall’originaria ma non a essa indifferente, merita-

va l’esemplare percorso di conservazione, modifica e

nuovo progetto che lo ha investito, in cui di volta in vol-

ta le motivazioni della scelta di campo sono state rese

esplicite e condivise dalle istituzioni preposte a guidare

il processo. un percorso analogo – articolato tra con-

servazione, modifica e innovazione – dovrebbe essere

attivato anche nelle valutazioni del più ampio e artico-

lato patrimonio ospedaliero oggi a disposizione in tutto

il territorio lombardo. “oggi – ha scritto recentemente

Cesare Catananti – con le aziende ospedaliere dota-

Il patrimonio edilizio degli Ospedali di Lombardia dal secolo XV ad oggi di Maria Antonietta Crippa

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te di propria autonomia giuridica, organizzativa e finan-

ziaria, l’ospedale riacquista gli spazi di potere perduto

e ancora una volta risale sul trono dell’assistenza. ma

è un trono fragile; se non si rafforza il territorio entro cui

deve governare e se si pensa solo al “palazzo” del re,

questo potrà essere immaginato, progettato, realizza-

to e abbellito dai migliori professionisti e artisti, ma sarà

un altro imperdonabile errore. è la rete assistenziale nel

suo complesso che va pensata, una rete fatta di ospe-

dali e di strutture territoriali: una rete che tenga con-

to delle caratteristiche geomorfologiche del territorio,

delle sue peculiari esigenze demografiche e sanitarie,

della sua storia sociale, delle sue particolari tradizioni,

delle sue variabili umane”1. lo specialista delle struttu-

re ospedaliere si incontra dunque, si coglie dalle sue

parole, con le esigenze di chi, nel campo del progetto

paesaggistico, urbano e architettonico, si misura con

la tensione tra conservazione e innovazione, dramma-

ticamente avvertita in italia là dove il patrimonio edi-

lizio, artistico e di cultura nelle più diverse forme, non è

concepito come fenomeno astratto, valido in se stesso

a prescindere dalla sua incidenza storica particolare,

unica e irripetibile sempre, ma come effettiva tradizio-

ne di concreti gruppi umani. il tema ha grande rilievo in

rapporto al destino del patrimonio edilizio ospedaliero

attualmente a disposizione, all’attenta considerazione

della sua consistenza, qualità, ricchezza di compo-

nenti. non solo nel Quattrocento, ma anche in diversi

momenti successivi della loro storia, infatti, gli ospedali

italiani e lombardi hanno vissuto stagioni di carità ed

efficienza gestionale, testimoniate concretamente

in documenti e patrimoni edilizi e artistici a nostra di-

sposizione, tuttavia ancora troppo poco noti, troppo

poco tutelati e valorizzati. per le ragioni sinteticamente

esposte, la schedatura di ospedali lombardi proposta

in questo libro risponde a una logica di sintetica ma

puntuale ricognizione della loro lunga storia, a partire

dall’edificazione degli ospedali maggiori tra Xv e Xvi

secolo fino alla situazione attuale. si è tenuto conto

anche della distribuzione geografica di tali organismi

edilizi sul territorio regionale nella sua attuale delimita-

zione e nella articolazione per capoluoghi. si sono inol-

tre presi in esame gli ospedali tuttora attivi, lasciando

ai saggi più articolati sul piano storiografico dei diversi

studiosi, l’eventuale trattazione dei complessi ospeda-

lieri che hanno ormai del tutto perso la destinazione

originaria. Gli ospedali esaminati possono essere suddi-

visi in due grandi gruppi. il primo è quello dei complessi

che hanno avuto il loro avvio a partire dal tipo a cro-

ciera di matrice quattrocentesca2. essi sono:

- l’Ospedale Maggiore di Lodi (posa della prima pietra

nel 1459); venne ampliato nel corso del novecento,

1 C. Catananti, Esiste un modello ideale?, “Salute e territorio”, n. 131, 2002.2 Per una più completa ricognizione sul tema degli ospedali a crociera si veda: L. Franchini (a cura di), Ospedali lombardi del Quat-trocento. Fondazione, trasformazioni, restauri, New Press, Como 1995. Interessante, per i problemi di ristrutturazione degli antichi ospedali in Italia: Nelli-E. Vanzan Marchini, La ristrutturazione degli antichi Istituti, “Salute e territorio”, n. 147 2004.

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dapprima con un complesso di padiglioni specializzati

e negli anni sessanta con un monoblocco verticale;

- l’Hospitale Grande di San Marco a Bergamo (posa

della prima pietra nel 1474), esterno nel Quattrocen-

to al dominio sforzesco, ma sotto l’influsso cultura-

le milanese anche per il probabile coinvolgimento

dell’architetto antonio averulino detto Filerete nella

sua progettazione. nel 1927 l’ing. Giulio marcovigi rice-

vette l’incarico di progettare in area diversa il nuovo

ospedale, inaugurato nel 1930. il complesso si presen-

ta come un poliblocco composto da padiglioni orto-

gonali attestati su corte attrezzata rettangolare, con

padiglioni minori isolati. l’ingresso venne concepito in

monumentale linguaggio neoclassico. attualmente è

in corso la realizzazione di un nuovo ospedale, per il

quale è prevista la costruzione di una chiesa che svol-

gerà funzioni anche di parrocchia;

- il quattrocentesco Ospedale Maggiore di Pavia, sot-

to il titolo di San Matteo, è divenuto sede di università

attraverso un complicato percorso gestionale negli

anni Cinquanta e sessanta del novecento. ampliato

a più riprese tra settecento e ottocento, fu sottoposto

a tutela per settori a partire dal 1910 e trasformato in

caserma nel 1933. in area periferica rispetto al centro,

a nord della città, è stato realizzato il nuovo ospedale

nel XX secolo, su progetto degli ingegneri a. Gardella,

l. martini, G. mariani e l. sala, con edifici satellitari: l’isti-

tuto Carlo Forlanini, su progetto di a. bellani, e l’istituto

Casimiro mondino dell’ing. a. savoldi. nuovi progetti

sono stati realizzati tra 2003 e 2007. interessante la siste-

mazione a parco del contesto circostante;

- l’Ospedale Maggiore di Brescia di fondazione quattro-

centesca è attualmente anch’esso università. tra 1927

e 1934 l’ing. angelo bordone, specialista di vaglia in ar-

chitettura ospedaliera, progettò e realizzò un innovati-

vo complesso ospedaliero, con interessante impianto

di padiglioni raccolti attorno a una corte. modificato

e ampliato continuamente fino al 2000, il complesso

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Ospedali Riuniti di Bergamo - Padiglione Policlinico San Matteo di Pavia - Facciata

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costituisce oggi una grande “cittadella della sanità” di

notevole interesse sia come centro di assistenza e di

ricerca medica che di architettura. notevole la chiesa

dedicata a san luca, aperta al culto nel 1954, per la

tessitura architettonica in mattoni e pietra, caratteristi-

ca anche di molti edifici ospedalieri, per le pale d’alta-

re, i mosaici e le sculture che la ornano;

- l’Ospedale di S. Anna a Como (fondato nel 1468) è

stato completamente dismesso; conservato solo in

parte, è stato sottoposto a un restauro tipologico nel

1978 sotto la direzione dell’arch. luigia martinelli dell’uf-

ficio tecnico del Comune di Como. l’ing. luigi marco-

vigi, con enrico ronzani e luigi Castelli, è autore di un

progetto in forma di cittadella di padiglioni ospedalieri

disposti a raggiera in una nuova area; un edificio am-

ministrativo di nobili forme è stato disposto lungo la via

napoleona, che porta al centro città. nel 1965 l’arch.

ettore rossi progettò un monoblocco a torre di nove

piani fuori terra, con planimetria a t; è attualmente in

corso la costruzione di un nuovo ospedale;

- l’Ospedale Maggiore di Cremona (fondato nel 1451)

venne presto dotato di patrimonio fondiario molto im-

portante. Dal 1972 in area diversa esiste in Cremona

un ospedale monoblocco con edifici bassi aggregati,

progettato dall’ing. arturo braga, con enrico ronzani,

nel 1965. Ha planimetria ad H, sviluppo in altezza per

nove piani fuori terra. è immerso in un parco di grande

interesse. la chiesa è anche sede parrocchiale. attual-

mente è in costruzione una nuova piastra operatoria;

- l’Ospedale Grande di San Leonardo in Mantova

(fondato nel 1449), divenuto ergastolo e poi casa di

reclusione a fine ottocento, è attualmente sede di uf-

fici della polstrada e di abitazioni di famiglie di militari

dell’arma dei Carabinieri. un nuovo ospedale venne

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Spedali Civili di Brescia. Corpo di ingresso, particolare del paramento

Ospedale vecchio di Lodi - Facciata

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realizzato, in un edificio che era stato convento, nel

1811, presto divenuto insufficiente. tra 1919 e 1925 ven-

ne realizzata una nuova struttura, composta da dodici

padiglioni, su progetto dell’ing. Giulio marcovigi, am-

pliato e ammodernato negli anni sessanta e nel 1994.

sono stati esclusi dalla schedatura:

- l’Ospedale Maggiore di Milano o Ca’ Granda, di cui

già si è detto, dal cui istituto, ancora attivo, dipendono

tre altri importanti ospedali milanesi: il policlinico, non

esaminato qui in apposita scheda, istituito in conco-

mitanza con l’università statale degli studi; il nuovo

ospedale maggiore a niguarda e l’ospedale san

Carlo borromeo, gli ultimi due descritti qui in apposita

scheda;

- l’Ospedale Maggiore della Misericordia a parma

(inizio lavori 1477), dedicato a sant’antonio e a tutti i

santi. negli anni venti del novecento venne realizzato

un complesso ospedaliero composto da diciotto pa-

diglioni, denominato ospedale civile, sostituito dall’at-

tuale ospedale maggiore tuttora in fase di amplia-

mento.

il quadro sintetico qui tracciato degli attuali ospedali

lombardi, provenienti da istituzioni quattrocentesche,

rende ragione di una estrema varietà di sviluppi sto-

rici, varietà che potrebbe essere ulteriormente carat-

terizzata esaminando l’articolazione e le specificità

dei presidi, in varie città non capoluogo di provincia,

da questi dipendenti, come le denominazioni attua-

li spesso segnalano, esclusi per ragione di spazio da

questo volume. Debbono essere, infine, almeno ricor-

dati alcuni ospedali quattrocenteschi siti in aree non

più appartenenti attualmente al territorio della lom-

bardia: l’Ospedale Grande della Beata Vergine della

Misericordia o Pammatone di Genova (posa della pri-

ma pietra nel 1474), città dal 1464 sotto il dominio de-

gli sforza; l’Ospedale Maggiore della Carità di Novara

(fondato nel 1482), l’Ospedale Maggiore di Sant’An-

drea di Vercelli, già dal 1427 sotto il dominio dei savoia,

ma con forti vincoli culturali con milano. Caso a sé, in

lombardia, è la storia dell’Ospedale Maggiore di Cre-

ma3, dove nel 1351 sorse un raggruppamento ospe-

daliero chiamato Domus Dei, gestito da un gruppo di

laici con autonomia finanziaria garantita da norme

statutarie. Cambiò sede più volte nel corso dei secoli,

fu costantemente sostenuto da importanti donazioni,

prese denominazione di ospedale maggiore. nel 1959

l’amministrazione dell’ospedale decise di realizzarne

uno nuovo, diede l’incarico del progetto all’ing. arturo

braga con il medico enrico ronzani. nel 1961 il nuovo

ospedale era concluso in forma di monoblocco a t, cui

vennero aggiunti altri edifici dal 1978 al 1998. il secon-

do gruppo di ospedali lombardi esaminati con appo-

site schedature in questo volume riguarda complessi

realizzati tra fine ottocento e inizio novecento.

3 S. Lini, Dalla “Domus Dei” all’Azienda Ospedaliera. Le vicende dell’Ospedale maggiore di Crema dal 1351 al 1998, Leva Artigra-fiche, Crema 1998.

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Page 6: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

essi sono:

- l’Ospedale di San Gerardo dei Tintori a Monza, il cui

progetto, in forma di monoblocco di 15 piani ad an-

damento planimetrico ondulato, con aggiunta di un

corpo di quattro piani, risale al 1962;

- l’Ospedale di Circolo a Varese, costruito in zona pe-

riferica nel 1903, ampliato in continuazione con l’ag-

giunta di padiglioni fino ai 33 attuali, molto diversi tra

loro, in cittadella della salute;

- l’Ospedale di Lecco, che ha cambiato più volte sede,

dal 1840 ad oggi;

- il Sanatorio di Sondalo (sondrio) in alta valtellina, del

1927, oggi complesso monumentale vincolato, avreb-

be dovuto essere, nelle aspettative di mussolini, il più

grande sanatorio europeo;

- il Nuovo Ospedale Maggiore di Milano a Niguarda,

costruito tra 1932 e 1939, tipologia che attesta il pas-

saggio dall’ospedale a padiglione a quello a più bloc-

chi in italia; attualmente è in corso la realizzazione di

una grande piastra di ampliamento;

- l’Ospedale San Carlo Borromeo a Milano, inaugurato

nel 1967, su progetto dell’ing. arturo braga e consulen-

za artistica dello studio ponti-Fornaroli-rosselli. Di Gio

ponti è la chiesa, di grande interesse la sua architettura

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Azienda Ospedaliera di Circolo Fondazione Macchi di Varese

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e le opere d’arte che essa custodisce4.

anche per questo secondo gruppo sarebbero molte

le omissioni da segnalare in relazione alla strutturazione

territoriale per aziende ospedaliere, con diversi presidi.

tra tutti non può essere dimenticata l’evoluzione del mi-

lanese ospedale sacco, sorto come sanatorio di vial-

ba nel 1927, uno dei primi edificati in pianura in italia. in-

titolato al medico luigi sacco nel 1974, divenne anche

polo universitario dell’università degli studi di milano; nel

1975 gli vennero accorpati l’ospedale agostino bassi

e l’ospedale enea; è divenuto infine azienda ospe-

daliera nel 1992. il quadro che le schede presentano,

integrato dai saggi dei diversi autori, suggerisce alcune

riflessioni sia rispetto a tutela e conoscenza storica che

in relazione alle prospettive future. l’abbandono degli

antichi ospedali e la costruzione dei nuovi in lombar-

dia si è articolato in modi molto vari, caso per caso, nel

corso dei secoli. non per tutti è stata elaborata fino ad

ora una ricostruzione storica adeguatamente appro-

fondita. più in generale, inoltre, la storiografia relativa a

tipi ospedalieri succedutisi nel corso del tempo non è

molto vasta e articolata. Quella relativa ai monumenti

quattrocenteschi, sviluppatasi solo a partire dagli anni

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4 M.A. Crippa, C. Capponi (a cura di), Gio Ponti e l’architet-tura sacra. Finestre aperte sulla natura, sul mistero, su Dio, Credito Valtellinese, Pizzi, Cinisello Balsamo (Milano) 2005; M.A. Crippa, Una cappella d’ospedale: continuità di moderno umanesimo in architettura, in: AA. VV., Gio Ponti. Meraviglio-sa ventura costruire chiese. La chiesa della Santa Maria An-nunciata per l’Ospedale San Carlo Borromeo, Ospedale San Carlo, Milano 2006.

Villaggio sanatoriale di Sondalo - Vista dalla galleria di accesso

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trenta del novecento, è attualmente la più solida; quel-

la degli ospedali a padiglione, scarna per non dire pra-

ticamente inesistente, risale agli anni settanta-ottanta.

all’interesse storiografico per i complessi monumentali

quattrocenteschi non conseguirono rapidamente né

una tutela adeguata né coerenti interventi di restauro,

ad esclusione del caso esemplare dell’ospedale mag-

giore di milano, seguito più tardi dai restauri del com-

plessi antichi di Como e Cremona. recentissimo, degli

ultimi anni, è il dibattito sui limiti della tutela del nuovo

ospedale maggiore di niguarda. la chiesa dell’ospe-

dale di san Carlo borromeo, opera di Gio ponti, è stata

interessata da un importante studio dello stato di de-

grado del paramento ceramico, a seguito del recente

restauro del grattacielo pirelli5.

mentre è viva da tempo l’attenzione per i rapporti tra

cura e cultura ospedaliera di area lombarda nel corso

della storia grazie a studiosi come Giorgio Cosmacini,

edoardo bressan, vittorio sironi, è ancora in fase di ge-

stazione l’interesse storico per l’edilizia ospedaliera del

novecento, per la sua evoluzione, per la connessione

con i problemi delle città in cui i nuovi complessi sono

stati insediati, per il mutare dei sistemi tecnologici che li

qualificano. l’estrema specializzazione delle tematiche

ospedaliere, i progressi scientifici e tecnologici della me-

dicina, i radicali mutamenti nella concezione della cura

delle malattie che arriva oggi a investire anche la nozio-

ne del benessere, l’importanza della programmazione

pubblica e del rapporto pubblico-privato nel contesto

della sanità, sono questioni che attraggono le attenzio-

ni maggiori, a discapito di una coscienza storica gene-

rale, tuttavia indispensabile. il volume che si presenta

intende offrire un contributo in questa direzione, senza

la pretesa tuttavia di esaurire l’argomento. molto re-

sta da fare per mettere in luce la lunga storia, ricca di

molta umanità e scienza, delle istituzioni ospedaliere

lombarde; per far conoscere il vasto patrimonio d’ar-

te accumulato in essi in vari modi, in raccolte o musei,

nei decori - pittorici scultorei e vetrari delle architetture,

degli edifici religiosi in particolare ma non solo in quelli -,

nella qualità artistica e monumentale di quanto giunge

fino a noi di molti complessi. il futuro, più che il passato

o il presente, contrassegnato da grande fervore edilizio

in questo ambito, implicherà, inoltre, necessariamente

un più stretto rapporto concreto - non utopico, come

fu ipotizzato, nel celebre progetto rimasto sulla carta

per l’ospedale di venezia6, da le Corbusier e tentato,

nell’ospedale di sarzana da Giovanni michelucci, nel

1967 - tra città ormai aperta, senza precisi confini, e cit-

tadelle ospedaliere in una integrazione che comporte-

rà una rinnovata attenzione per la centralità dell’uomo

in un sistema sempre più parcellizzato.

5 M. A. Crippa (a cura di), Il restauro del grattacielo Pirelli, Skira, Milano 2007.6 A. Petrilli, Il testamento di Le Corbusier. Il progetto per l’Ospedale di Venezia, Marsilio, Venezia 1999.

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NELLA PAGINA ACCANTO:Ospedale A. Manzoni di Lecco -

La corte centrale dell’edificio ospedaliero

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l’attuale complesso architettonico degli ospedali

riuniti di bergamo, pur appartenendo al plurisecolare

sistema della cura del malato urbano formalmente

codificatosi nel 1457 per intervento del vescovo

Giovanni baronzio e dei rettori della città1, è una

costruzione risalente al secondo quarto del XX secolo.

la necessità della sua edificazione era tuttavia

avvertita da alcuni decenni, tanto che nel 1907 la

Commissione nominata dal Consiglio ospedaliero

per definire le necessità architettoniche e strutturali

dell’ente sanitario terminarono i loro lavori dichiarando

che l’unica soluzione possibile era quella di creare un

nuovo ospedale da erigere in una località esterna

al centro abitato. Qualche anno dopo il presidente

dell’ospedale, Callisto Giavazzi, ribadiva il giudizio

espresso in precedenza dalla commissione citata,

asserendo che erano molteplici i motivi per i quali i

vecchi fabbricati non erano più idonei ad ospitare

l’ospedale e che rendevano impossibile il “riattamento

ed ampliamento” dei luoghi di cura ospedaliera siti

in città. tra le molte ragioni elencate egli insisteva

sull’esiguità e l’insufficienza della superficie dei

fabbricati, giudicata metà dell’area richiesta come

minimum dalla moderna tecnica medico-ospedaliera

Gli Ospedali Riuniti di Bergamo di Fernidando Zanzottera

SCheda 1

1 Le prime notizie di un sistema ospedaliero compiuto di Bergamo risalgono, infatti, al 5 novembre del 1457, quando il Vescovo Giovanni Barozzi approva i Capitula hospitalis novi et magni structi in civitate Bergami. Insieme ai Rettori della città aveva infatti ottenuto l’autorizzazione di fondare un Ospedale Grande che riunisse in sè tutte le strutture di assistenza al malato e tutti i luo-ghi pii dediti alla cura sanitaria e all’assistenza paramedica. In quell’occasione, dunque, il Vescovo riunì sotto un’unica direzione l’ospedale di Sant’Erasmo fuori dalla porta di Borgo Canale, l’Ospedale di Santa Grata inter vites in Borgo Canale, l’Ospedale di San Lorenzo dell’omonimo borgo, l’Ospedale di San Bernardo presso il ponte della Morla, l’Ospedale di San Tommaso dentro porta di Santa Caterina, l’Ospedale di Sant’Antonio fuori borgo, l’Ospedale del monastero di Santo Spirito, l’Ospedale di San Lazzaro in Borgo San Leonardo, l’Ospedale di San Vincenzo in contrada di San Cassiano, l’Ospedale di Santa Maria Maggiore in Contrada Ante Scolis e l’Ospedale di Santa Caterina del borgo omonimo.

80

Veduta interna del complesso ospedaliero

Page 11: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

81

e sull’errore di orientamento dei fabbricati e

sull’insufficienza delle distanze tra i differenti padiglioni,

che impediva un adeguato irraggiamento solare e

un conveniente ricambio d’aria. altre ragioni erano la

grande ampiezza dei cameroni per i malati che, nel

caso del padiglione della medicina femminile, arrivava

a contare 100 letti; l’esiguità dei locali di isolamento

limitati a 4 posti letto ogni 400 malati; l’insufficienza e

la poca salubrità del riscaldamento affidato ancora a

singole stufe; la mancanza di adeguati locali destinati

ad accogliere i refettori, le latrine, le sale da bagno e

i depositi per il vitto degli ammalati, della biancheria

e dei medicinali; l’assenza di pavimenti facilmente

lavabili e disinfettabili perché molti erano ancora

realizzati in mattone; la completa inadeguatezza dei

locali per i dormitori e il soggiorno del personale di

assistenza ai malati.

raccolto anche il parere favorevole del Consiglio

dell’ordine dei medici della provincia, si diede inizio

al progetto di costruire un nuovo grande ospedale

cittadino. per la sua edificazione fu scelta “una delle

posizioni più ridenti della città, in quel grandioso

anfiteatro formato dalla linea continua di colline,

che iniziano con l’antica bergamo alta, culminano al

centro con il colle di s. vigilio e vanno degradando

verso la selvosa punta di s. matteo”2. si trattava di

un luogo particolarmente adatto alla cura medica

riparato anche dai venti freddi di tramontana, dove,

già nel 1878, vi si era insediato l’attuale istituto sanitario

matteo rota, mentre negli anni seguenti si edificarono

la Clinica Castelli e la Clinica san Francesco.

l’incarico di studiare il progetto per edificare il nuovo

ospedale fu affidato negli anni venti all’ing. Giulio

marcovigi, che riuscì ad iniziare i lavori nel mese di

maggio del 1927. per la progettazione egli si ispirò

ai moderni principi dell’architettura ospedaliera che,

tuttavia, si espressero con una forma fortemente

influenzata dalle strutture architettoniche francesi e

inglesi di fine seicento e dei primi decenni del Xviii

secolo. egli progettò una struttura vagamente ispirata

al concetto di poliblocco sanitario, evoluzione e

reinterpretazione italiana dell’idea del monoblocco

ospedaliero di matrice americana, con forti influenze

della cultura europea dei decenni precedenti. Questo

progetto, a sua volta, fu probabile ispirazione allo studio

per l’ospedale Clinico di modena con il quale gli

ingegneri Giorgio rossi e Carlo tornelli parteciparono

al concorso del 1933. il complesso architettonico degli

ospedali riuniti mostra una disposizione planimetrica

centrale, con i differenti padiglioni ortogonali

organizzati attorno ad una ampia corte attrezzata

che accoglie un grande giardino verde con fontana

circolare. su questo spazio insistono gli ingressi principali

dei differenti padiglioni, raccordati tra loro attraverso

corpi di fabbrica di inferiore dimensione e di minor

pregio architettonico. nella parte centrale dei due

2 Cfr. Luigi Pelandi, Attraverso le vie di Bergamo scomparsa, vol. VI (Il Borgo Canale), Bergamo, 1967, pp. 52-53.

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fianchi sono presenti ingressi monumentali colonnati

con accessi facilitati per le ambulanze che immettono

nei padiglioni, che originariamente ospitavano la

medicina e la Chirurgia. i modelli di riferimento di

Giulio marcovigi furono certamente gli ospedali

a padiglioni inglesi di fine seicento, che all’epoca

avevano significativamente influenzato la coscienza

tecnologica sanitaria europea. il modello di maggior

ispirazione fu il progetto di J. b. le roy per la ricostruzione

dell’Hotel-Dieu di parigi, distrutto da un incendio che

cancellò l’intera struttura medievale. il modello, a scala

inferiore, fu ripreso con alcune piccole varianti inerenti

agli accessi alla struttura e alla collocazione della

chiesa: prospiciente alla corte centrale nell’ospedale

parigino e in posizione sopraelevata ma discosta dalle

architetture ospedaliere nel complesso bergamasco.

Dal progetto di J. b. le roy, marcovigi desume anche

il tema della conclusione della corte con un edificio

destinato ad accogliere i servizi Generali e le cucine,

correlate anche con la Farmacia, la pediatria e il

padiglione per gli studi oftalmici, che si raccorda con

la corte verde attraverso due colonnati semicircolari.

alle spalle del complesso centrale il progettista inserì

dei padiglioni autonomi destinati ad accogliere

i malati affetti da patologie della cute, gli studi di

anatomopatologia e alcuni volumi tecnici, quali

la cisterna dell’acqua, le caldaie, la ciminiera di

smaltimento dei fumi, la lavanderia e i locali per la

disinfestazione. ancora più discosto, sul limitare del

perimetro del complesso architettonico, fu collocato

il padiglione per le malattie infettive e per i pazienti da

porre in isolamento. nell’estremità sud-occidentale

fu invece edificato il padiglione per la cura dei

tubercolotici, che oggi è stato trasformato e ospita un

asilo aperto anche alla cittadinanza.

il modello sanitario perseguito nella fase di

progettazione si basava, dunque, sulla costruzione di

un sistema misto che prevedeva quantitativamente

l’emergere di padiglioni riuniti e la presenza di specifici

edifici distanziati a vocazione specifica. tra questi, sul

fianco occidentale vi era anche il convitto delle suore

e la piccola cappella eclettica.

l’elemento più significativo dell’ospedale, dunque,

non sono le singole architetture, gradevoli ma non

capolavori dell’architettura della prima metà del

XX secolo, ma l’impianto planimetrico, che mostra

anche alcune affinità distributive con il progetto

dell’ospedale di livorno ideato da Cambray Digny

nel 1836.

le scelte del progettista furono esemplarmente

raccolte nei discorsi pronunciati in occasione

dell’inaugurazione dell’ospedale, nei quali si affermò:

“è stato abbandonato intieramente il tipo a padiglioni

staccati o, per meglio dire, a decentramento

assoluto, che si deve ritenere sorpassato dappoicché,

odiernamente, l’igiene degli spedali deve ricercarsi

82

Page 13: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

soltanto nei metodi di cura e di profilassi, nell’antisepsi,

e meglio nell’asepsi che oggidì hanno raggiunto la

massima perfezione; si è cioè costruito un nosocomio,

di tipo intermedio, dove, pur conservando il padiglione

come elemento base, si sono avvicinate, entro termini

convenienti, non solo le fabbriche fra loro, ma le sale

dei malati ai servizi, al precipuo scopo di contemperare

l’interesse dell’igiene con quello tuttavia importante

dell’economia”3. tra le architetture si differenzia

qualitativamente la palazzina di ingresso all’intero

complesso ospedaliero, il cui disegno parrebbe

recuperare il progetto dell’architetto bianconi studiato

per l’ampliamento del 1846 dell’antico ospedale

cittadino di san marco. si tratta di un edificio dalle

vaghe reminescenze neoclassiche caratterizzato da

tre grandi arcate e un imponente atrio colonnato

nel quale, senza troppa grazia, oggi è collocato un

piccolo ma necessario prefabbricato che funge

da ufficio informazioni per il pubblico. l’affaccio

dell’ospedale sul vialone d’ingresso, inoltre, fu pensato

per rispondere ad alcune istanze funzionali e come

elemento di raccordo tra la cittadella sanitaria

degli ammalati e la grande città dei sani che svetta

preminente in lontananza. Come ha giustamente

osservato pizzigoni, infatti, la facciata dell’ospedale

non funge da fondale scenografico ma costituisce

un elemento arretrato rispetto al filo stradale, perché

il vero prospetto ideale doveva rimanere la città alta,

il borgo Canale e il contesto orografico naturale dei

monti bergamaschi4.

la costruzione del nuovo ospedale, inaugurato dai

principi umberto e maria Josè di savoia il 20 settembre

1930, costituisce anche uno degli elementi salienti dello

sviluppo urbano della città moderna. essa rappresentò,

3 AA.VV., Gli Ospedali Riuniti di Bergamo un’istituzione della comunità, Ospedali Riuniti di Bergamo, Tipografia-litografia Nove-cento Grafico, Bergamo, 1999, p.114 Per questo tema si rimanda al convegno “Il verde e la città” svoltosi il 14 marzo del 2007 presso l’Auditorium dell’Accademia della Guardia di Finanza di Bergamo organizzato dall’Ateneo di Scienza Lettere Arti di Bergamo e, in particolare, all’intervento di Graziella Colmuto Zanella. Dei singoli interventi dei relatori, che si spera possano essere raggruppati in un volume di prossima pubblicazione, esistono alcune trascrizioni dattiloscritte non corrette dagli autori.

83

Veduta dei padiglioni che affacciano sull’antica corte interna dell’ospedale

Particolare del nuovo padiglione

Page 14: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

infatti, una delle principali istanze innovatrici della fascia

nord-occidentale della periferia di bergamo, capace

di mettere in moto un meccanismo di rapido sviluppo

urbano gestito da privati e dall’amministrazione

pubblica. il trasferimento in questa area della

struttura ospedaliera e la conseguente dismissione e

rapido abbattimento degli edifici costituenti l’antica

cittadella sanitaria, lasciarono inoltre la possibilità di

ripensare alla configurazione urbana di bergamo,

offrendo, di fatto, la possibilità concreta di poter

elaborare il Concorso del 1926, senza sviluppi positivi, e

di migliorare il successivo piano regolatore della città,

così importante per la definizione del volto moderno

di bergamo. la grandiosità dell’ospedale, inoltre,

rispose pienamente al desiderio dell’amministrazione

locale e del regime centrale di rispondere in maniera

monumentale alle istanze innovatrici espresse dalla

città e alla richiesta di dotare bergamo di una serie di

architetture sociali pubbliche.

nel corso dei decenni il complesso ospedaliero

ha subito numerose trasformazioni dovute

all’accorpamento di altre strutture sanitarie quali,

ad esempio, l’ospedale provinciale pediatrico ugo

Frizzoni (1972) e l’istituto ortopedico matteo rotta

(1975). nel 1983 l’ospedale accolse e creò numerose

altre realtà sanitarie finalizzate a migliorare la cura dei

pazienti secondo logiche di eccellenza, e, per questa

ragione, si è dotata del Dipartimento ostetrico-

pediatrico (1983), dell’unità operativa di nefrologia

e Dialisi (1991) e di un nuovo blocco per le sale

operatorie (1995).

il processo di integrazione e di sviluppo non è facile

ma fino ad oggi ha saputo ben armonizzarsi con

la struttura architettonica esistente, perseguendo

logiche di riempimento degli spazi non occupati

dagli edifici di marcovigi e conservando al suo

interno numerosi beni mobili meritevoli di attenzione

e di valorizzazione. sebbene nel 1993 l’azienda

ospedaliera sia stata riconosciuta “di rilievo nazionale

e di alta specializzazione” dal ministero, la relazione

programmatica dell’agosto del 1996 sottolineava

l’obsolescenza di alcuni elementi strutturali e

impiantistici, con la conseguente impossibilità di

fronteggiare pienamente le nuove frontiere della

scienza medica, sempre in continua evoluzione e

sempre più bisognosa di ospitare laboratori altamente

tecnologici e complessi servizi sanitari specialistici.

per questa ragione negli scorsi anni si è indetto un

concorso internazionale per la costruzione di un

nuovo ospedale di bergamo che ha visto vincitore

il raggruppamento d’imprese che fa capo a sCau

s.a. di parigi, rinnovando idealmente quel legame

storico che intercorre tra la sanità bergamasca e la

cultura ospedaliera d’oltralpe5.

84

5 Cfr. AA.VV., Nuovo Ospedale di Bergamo. Concorso Internazionale, Bolis Edizioni, Bergamo, 2002

NELLA PAGINA ACCANTO:Veduta dell’ingresso dell’ospedale in relazione

al contesto urbano della città alta

Page 15: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi
Page 16: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

86

Gli Spedali Civili di Brescia di Irene Giustina, Elisa Sala*

I.“in una zona posta al centro dell’anfiteatro di colline, tra Costalunga e mompiano, zona fra le più fresche e riposanti della città, sta per completarsi il nuovo ospedale Civile di brescia”. esordiva così, nel 1953, angelo bordoni (1891-1957), illustrando il progetto del nuovo nosocomio cittadino. si stava allora concludendo una lunga vicenda iniziata intorno al 1927, quando bordoni, incaricato di riformare l’antico ospedale di s. Domenico, ormai inadeguato, constatava l’impossibilità di un riadattamento della vecchia struttura ed evidenziava la necessità di erigere un edificio innovativo nella concezione distributiva e nell’organizzazione funzionale. il giovane ingegnere bresciano in quegli anni svolgeva una vivace attività professionale, distinguendosi, tra l’altro, per la partecipazione a milano, con luigi m. Caneva e antonio Carminati, al concorso per il progetto del palazzo di giustizia, all’ideazione del palazzo dei sindacati fascisti dell’industria, allo studio di un nuovo piano regolatore; la realizzazione

dell’istituto bresciano lo impegnò per tutta la vita, consentendogli di maturare una riconosciuta specializzazione nell’edilizia sanitaria. il compimento dell’ospedale di brescia fu rallentato, fin dal principio, dalla scelta della sua ubicazione, condizionata da esigenze di economia e accompagnata da un acceso dibattito politico; erano contemplate tanto l’area di via moretto, dove insisteva l’antico spedale, quanto le più ampie e periferiche zone di s. eufemia e di s. rocchino. bordoni, pur producendo numerose varianti, lavorò su un’idea progettuale di fondo che riproponeva la tradizionale tipologia ospedaliera a padiglioni, attualizzata però dalla connessione reciproca dei corpi di fabbrica. intendendo superare anche la casualità della distribuzione che aveva caratterizzato i complessi a padiglione del secolo precedente, bordoni si ispirò al rigore geometrico presentato dagli istituti del tardo settecento, in cui i fabbricati erano rigidamente ordinati. pure se con un progetto in continua evoluzione, l’impianto

SCheda 2

86

* Il contributo è stato curato dalla prof.ssa Irene Giustina; la stesura è da attribuirsi per la parte I all’ing. Elisa Sala, e per la parte II a Irene Giustina.

Veduta del corpo di ingresso (concluso al rustico nel 1941-42)

Page 17: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

dell’ospedale di brescia – con evidenti rimandi alla crociera rinascimentale, incardinata sulla chiesa al centro della composizione – fu informato su figure geometriche regolari, proponendo uno “schema base [che] non è più la forma aperta della dama ma quella conclusa, funzionale e quasi meccanica della ruota dentata” e adottando “il sistema detto stellare ed anche radiale per i raggi o ali che fuoriescono, simmetricamente, rispetto al centro della figura”. la matrice geometrica alla base di quella idea si scontrò con le contingenze, venendo modificata più volte, fino a giungere – nel terzo progetto, elaborato nel 1934 per l’area, poi prescelta, di s. rocchino – a un impianto costituito da due esagoni regolari concentrici dai cui vertici si proiettavano padiglioni con germinazione a forcella e al cui centro era collocata la chiesa. tale disegno, definito a “fiocco di neve”, subì numerose modifiche fino a che nel 1937-38 fu apprestato il progetto definitivo: l’esagono fu ridotto nelle dimensioni, mentre i bracci radiali acquistarono una particolare emergenza; la biforcazione fu mantenuta solo per il corpo a sud-est e per il suo simmetrico a nord-ovest, scomparendo invece negli altri padiglioni. Di fatto, però, con corpi di fabbrica di dimensioni pressoché uguali, furono eseguiti solo tre padiglioni (a, b e C), lasciando uno spazio libero al vertice settentrionale dell’esagono. nel centro geometrico ideale del complesso, che corrispondeva anche a quello dell’area destinata a contenere l’intera struttura, circolare con raggio di 500 metri, fu costruita la cappella, collegata ai padiglioni da corridoi sopraelevati. il 22 ottobre 1938 fu posata

la prima pietra. l’ospedale bresciano rappresentò una vera novità tra le strutture sanitarie internazionali: la suddivisione dell’edificio in padiglioni interconnessi corrispose a una loro classificazione in relazione alle diverse patologie e quindi dei vari reparti di cura; ognuno di questi fu realizzato su un unico piano. ne sortì un fabbricato di sette piani fuori terra, di cui i cinque superiori destinati al ricovero ammalati e i due inferiori ai servizi generali; i padiglioni furono orientati in modo tale da ottenere infermerie tutte a doppia esposizione. i percorsi interni furono studiati in relazione ai flussi di utenze, disegnando passaggi distinti per gli operatori medici e i visitatori, mentre quelli esterni furono risolti come passerelle aeree, per consentire il trasporto veicolare al livello terreno del complesso; i collegamenti verticali furono progettati soddisfacendo esigenze antisismiche e antincendio. particolare cura fu diretta alla definizione formale dell’edificio, risolto con paramenti di mattoni posati in rilievo a disegnare – interpretando la tradizione costruttiva lombarda secondo gli orientamenti neoclassici prevalenti negli anni venti e trenta – rigorose trame geometriche e nitidi contrasti chiaroscurali, con innesti di stucco di cemento bianco, calce e polvere di marmo. tale ricerca estetica raggiunse accenti monumentali soprattutto nella quinta di ingresso e grande ricercatezza nelle decorazioni e nei dettagli, suscitando l’apprezzamento, tra gli altri, di Franco moretti, che annoverò l’istituto bresciano fra le più rilevanti architetture ospedaliere del ‘900. la costruzione al rustico fu conclusa entro il 1942, ma solo nel 1951 poterono entrare i primi malati e nel 1953

87

Page 18: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

fu definitivamente chiusa la vecchia sede ospedaliera di via moretto. nel 1958 il nosocomio cittadino, ormai in piena attività, era in grado di accogliere più di 1.600 degenti.Gli anni Cinquanta aprirono un periodo di grande fermento per l’ospedale bresciano e portarono a numerose nuove realizzazioni, tra cui l’istituto del radio “olindo alberti” e il Centro di alte energie, sollecitati dall’eccellenza mostrata dagli spedali civili nel campo della radioterapia cancerologica sin dal 1929. il boom economico e lo sviluppo demografico ebbero però notevoli ricadute sulla nuova struttura ospedaliera; già tra il 1960 e il 1961, la carenza di posti letto si attestava intorno alle 700 unità. II. si procedette dunque a realizzare l’ultimo settore del complesso, per altro già progettato da bordoni nel 1955 quale nuova sede per l’ospedale degli infettivi ma lasciato in sospeso nel 1957. il nuovo padiglione, isolato rispetto agli altri in ragione della sua funzione d’uso, sarebbe andato a completare la struttura, collocandosi all’estremità nord-ovest; i problemi determinati dalla carenza di spazi portarono però a una revisione dei programmi e alla costruzione di un padiglione più aggiornato, denominato policlinico

satellite, in grado di garantire nuovi posti letto e assicurare la differenzazione dei reparti in specialità sempre più numerose. il progetto fu commissionato allo “studio di edilizia ospedaliera a. bordoni”, fondato dallo scomparso ingegnere bresciano, e fu elaborato dall’architetto Gianni Griletto, mentre l’ingegnere Dario perugini eseguì i calcoli per le strutture in cemento armato. l’impianto del ‘satellite’, discostandosi da quello dei padiglioni bordoniani, presenta “uno svolgimento a nastro, con una fronte centrale curva ed ali rettilinee raccordantesi in parallelo agli edifici preesistenti”. l’edificio è organizzato secondo una tipologia a monoblocco, in un corpo centrale di dieci piani fuori terra e due ali laterali di sette piani ciascuna, e impiegata l’unità compositiva cellulare, riconducibile all’unione di due camere a tre letti e servizi comuni, che comporta un reparto costituito da multipli di sei letti unicellulari. la struttura, con la contestuale costruzione di una nuova accettazione, fu intrapresa nel 1966 e divenne interamente funzionante nel 1973, attrezzando ben 870 nuovi letti. tre anni dopo fu inaugurato anche il nuovo padiglione infettivi, a conclusione di un dibattito intrapreso fin dal

88

Veduta della cappella al centro del complesso progettato da Angelo Bordoni negli anni Trenta del Novecento. Sulla sinistra, il prospetto del recente ampliamento del padiglione bordoniano (2005); sulla destra, si intravede il Policlinico Satellite (1966-1973)

Veduta della cappella e del passaggio coperto di collegamento con i padiglioni.

Page 19: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

1953 per risolvere il problema dei malati contagiosi, collocati nell’angusto ospedale di s. antonino. la nuova struttura, avviata nel 1973 su progetto dell’architetto paolo Dabbeni, e dell’ingegner Franco Dotti, fu situata in un’area compresa fra il padiglione C e il “satellite”, modificando e aggiornando radicalmente il piano dello studio bordoni, più volte variato nel tempo.la costruzione e le potenzialità del “satellite” evidenziarono la necessità di istituire a brescia una Facoltà di medicina e chirurgia, seguendo una vocazione didattica palesatasi nell’ospedale già nel 1952, quando era stata aperta una scuola di ostetricia, da affiancare a quelle già esistenti per infermiere professionali e per assistenti visitatrici. la nuova Facoltà, istituita nel 1970, comportò, insieme con la costruzione, nell’anno successivo, di una sede autonoma a nord della cinta ospedaliera, un capillare processo di adattamento del nosocomio, teso a conciliare nei diversi reparti le esigenze ospedaliere con quelle universitarie e di ricerca. la convenzione con l’università permise così di qualificare ulteriormente le attività assistenziali dell’ospedale, consentendo di conseguire posizioni di eccellenza nell’ambito della diagnosi e della cura di numerose patologie. tali avanzamenti hanno richiesto nel tempo un costante rinnovamento della dotazione tecnologica e continui interventi, tesi ad ampliare e adeguare le strutture sanitarie. nel 1989, secondo un articolato e pluriennale piano progettuale, è stato completato il trasferimento nella struttura bordoniana dell’ospedale dei bambini,

89

Paramento murario dei padiglioni bordoniani (anni Trenta del Novecento)

Particolare del paramento murario (anni Trenta del Novecento)

Page 20: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

90

istituito nel 1900 e ospitato a lungo in sedi inadeguate e provvisorie; nuovi reparti dell’istituto pediatrico sono entrati in funzione anche nel 1998, nel 2004, fino all’ultimo trasferimento avvenuto nei primi mesi del 2008. tra il 1998 e il 2001, a seguito di un concorso di idee vinto dal gruppo di progettazione avente come capogruppo l’architetto antonio montanari e come componenti gli architetti bauerova in sestak e Kaderabek, è stato realizzato il nuovo edificio ovest per blocchi operatori, inserito fra tre corpi dell’ospedale esistente con una rilevante soluzione high-tech: il braccio si sviluppa come una passerella aerea con struttura a vista, costituita da una trave reticolare gigante appoggiata alle estremità a due torri in muratura, ove sono posti i collegamenti ai padiglioni bordoniani e le uscite di sicurezza. nel dicembre 2000 è stato ultimato l’avancorpo del “satellite”, su progetto dell’architetto paolo Dabbeni e degli ingegneri Franco Dotti e Carlo piemonte, offrendo un considerevole aumento di spazi per alcuni servizi ospedalieri e per il pronto soccorso, insieme con il nuovo ingresso del “satellite” e la nuova elisuperficie. ancora Dabbeni e Dotti, hanno compiuto l’ampliamento del padiglione infettivi (1998–2003), sovralzando di un piano la struttura esistente e aggiungendo nuovi corpi di fabbrica, tra cui il collegamento con l’attiguo “satellite”; nello stesso periodo, hanno progettato anche la nuova sede della medicina del lavoro, un fabbricato che riprende le forme curvilinee di un padiglione bordoniano di servizio, collocato in posizione speculare nell’area dell’ospedale. il raggruppamento temporaneo studio nightingale associates e studio tecnico ing. roberto

Ferrari ha poi provveduto al sopralzo di due piani della sede della medicina del lavoro per ricavare la nuova sede dell’immunologia Clinica (2003-2004). nel 2004-2005 è stato completato il raddoppio di due corpi di fabbrica dell’ospedale con un importante intervento, il primo realizzato in italia in project-financing, secondo il progetto preliminare dell’ufficio tecnico dell’ospedale e il progetto definitivo della società Catalyst brescia s.r.l., riprendendo all’esterno il disegno del paramento bordoniano. infine, nel 2006 è stato attivato, in complesse strutture interrate, il Centro pet/taC con Ciclotrone e radiofarmacia. Considerando anche i presidi ospedalieri di Gardone

90

Paramento murario dei padiglioni bordoniani (anni Trenta del Novecento)

Page 21: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

val trompia e di montichiari e l’ospedale dei bambini, entrati nel 1998 a far parte dell’azienda ospedaliera – in cui gli spedali Civili sono stati trasformati nel 1997 – si è giunti oggi a un’offerta complessiva di 2.500 posti letto, con 71.000 ricoveri ordinari annuali sommati a 25.000 ricoveri in day-hospital.la superficie decentrata e vuota destinata inizialmente alla costruzione del nuovo ospedale è dunque divenuta, col tempo, una “cittadella della sanità”, un esteso centro di assistenza e di ricerca medica che ha assunto un ruolo di crescente rilievo anche nell’orientamento dei processi di crescita urbana e territoriale. l’ampiezza di tale area, fissata con grande intuizione previsionale, ha consentito di accrescere notevolmente il nucleo ospedaliero originario con l’aggiunta di numerosi nuovi volumi, lasciando tuttavia ancora oggi larghi spazi al verde e ai giardini che hanno costituito un altro elemento fondativo e di merito, del progetto bordoniano. la validità delle scelte progettuali adottate nella prima struttura ospedaliera, infine, rimane tuttora manifesta, sia per la versatilità della sua articolazione, che ha consentito l’adeguamento progressivo e l’ampliamento di diversi padiglioni senza intaccare il primitivo impianto “a fiocco di neve”, sia per la coerenza espressiva e la raffinatezza del suo disegno che, impreziosite da una eccezionale cura per il dettaglio e per i materiali costruttivi, ancora oggi la rendono riconoscibile e le permettono di spiccare rispetto agli interventi più recenti.

91

Dettaglio decorativo nel giardino

Page 22: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

Como, città di fondazione romana, accoglie i viaggiatori

alla porta di Camerlata con due monumenti della

storia antica e moderna: la torre del baradello, residua

testimonianza della fortificazione del colle, e la fontana

realizzata a metà degli anni trenta su disegno di Cesare

Cattaneo e mario radice.

Qui si trova l’ospedale sant’anna, a capo dell’omonima

azienda ospedaliera, costituita con i presidi di menaggio

(ospedale erba-renaldi), Cantù (ospedale s. antonio

abate) e mariano Comense (ospedale Felice villa).

il sito particolarmente favorevole, ben vicino alla stazione

delle ferrovie nord milano e all’autostrada che collega la

città al capoluogo lombardo, è un caposaldo del territorio

comasco, rappresentativo del legame che unisce la città

all’ospedale in un rapporto costruito in oltre cinque secoli

di storia, con relazioni dirette sull’intera regione e sul vicino

Canton ticino.

Cinque secoli di alterne vicende, luoghi e tempi diversi

che si sono aggiunti all’antica vocazione ospitaliera della

città. al 1468 risale il primo documento che si possa riferire

all’ospedale; si tratta della bolla pontificia redatta da

papa paolo ii per conferire l’atto di fondazione dell’istituto

sant’anna, su richiesta del vescovo di Como. sorto come

luogo di ospitalità per pellegrini, di assistenza a poveri e

di ricovero per deboli e indifesi, viandanti o bambini, ha

una storia lunghissima nella quale l’istituzione è divenuta

una potenza economica e fondiaria, espressione

della municipalità e, con i luoghi pii collegati, punto di

riferimento del mondo cattolico, non mancando fra i suoi

amministratori alcuni illustri rappresentanti della curia.

la prima sede dell’ospedale era in via Cadorna,

all’interno della Città murata, sul luogo di un precedente

ospedaletto, che faceva parte della chiesetta dedicata

a sant’anna, unito all’ospedale di san vitale sin dal

92

L’Ospedale Sant’Anna di Como di Daniele Garnerone

SCheda 3 Il palazzo dell’ingresso

e degli uffici direzionali

Page 23: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

1353. Già alla fine del XiX secolo si erano manifestati i

limiti di spazio e attrezzature della struttura cittadina.

all’inizio del novecento la città contava 40.000 abitanti,

e l’incremento della popolazione, con la conseguente

domanda di nuove abitazioni, costituiva un elemento

di stimolo per l’espansione urbana e la progettazione di

nuovi edifici. in quegli anni non fu tanto l’amministrazione

pubblica del Comune a determinare la scelta della

costruzione di un nuovo ospedale, quanto piuttosto una

“modesta e pia signora”, teresa rimoldi. alla sua morte,

avvenuta nel 1924, la benefattrice lasciò una cospicua

donazione all’ospedale sant’anna, comprendente circa

cinque milioni di lire in denaro e il patrimonio fondiario

del quale era parte un ampio terreno pianeggiante ai

piedi del rilievo del baradello, tra la frazione di Camerlata

e la chiesa di san Carpoforo. nel 1925, la commissione

tecnica costituita allo scopo di studiare la riorganizzazione

dell’ospedale aveva scartato l’ipotesi di ristrutturare

la vecchia sede cittadina, valutando favorevolmente

l’area ricevuta in donazione. il presidente dell’istituto luigi

negretti affidò all’ingegnere bolognese Giulio marcovigi,

che firmava in quegli anni il nuovo ospedale di mantova,

il compito di elaborare il progetto per il nuovo ospedale,

studiando la soluzione più idonea con la consulenza

dell’ingegner luigi Castelli e del professor enrico ronzoni,

direttore dell’ospedale maggiore di milano, per gli aspetti

propriamente sanitari. Dal vecchio al nuovo ospedale, il

processo di modernizzazione passava attraverso corsie e

93

Dettaglio di una bifora sulla facciata del palazzo direzionale

Page 24: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

laboratori, padiglioni e camere di degenza, secondo un

modello di concreta razionalizzazione e miglioramento

delle condizioni di assistenza e cura, di igiene e salubrità,

con particolare attenzione all’esposizione solare. la scelta

è quella di un complesso a padiglioni elevati su due e

tre piani, oltre al sotterraneo, con uno spazio centrale

per i servizi sanitari comuni, e un numero di posti letto per

ciascun edificio compreso tra 30 e 100.

il progetto prevedeva che ogni padiglione avesse ad ogni

piano un locale ampio destinato a soggiorno e refettorio,

con ampie superfici vetrate comunicanti direttamente

coi giardini al piano terra e con terrazze ai livelli superiori.

il 25 marzo 1928 è avviata la costruzione con le imprese

più importanti del settore, la Croci e buongiorno e la

saile, entrambe milanesi. Con la nuova “cittadella” della

medicina, basata sulla perfetta organizzazione degli spazi

e dotata di centinaia di ambienti e servizi d’avanguardia,

sono garantiti con largo anticipo quei requisiti e quelle

condizioni di prima categoria poi previste dalle

prescrizioni tecniche sull’edilizia ospedaliera emanate

nel 1939. il nuovo ospedale progettato da marcovigi

ha impianto planimetrico a raggiera, impostato su

un fulcro centrale attorno al quale sono distribuiti i

padiglioni che costituiscono il sistema, 12 edifici collegati

mediante percorsi in parte coperti da una pensilina

su pilastri. attestato alla via napoleona è il palazzo

dell’amministrazione, caratterizzato da architettura

consona al ruolo di rappresentatività, con l’ingresso

principale preceduto da un colonnato con terrazza

superiore e gli uffici amministrativi, le sale di presidenza e

di consiglio al primo piano, dove sono oggi conservati la

notevole quadreria e arredi d’epoca. ai lati, due edifici

bassi attrezzati in origine con i servizi di accettazione e

pronto soccorso, ambulatori di medicina e chirurgia.

sull’asse principale di orientamento dell’impianto, da nord

a sud, era in origine innestata una grande fontana in forma

di esedra, sorta di balconata attorno alla quale salivano

in leggera pendenza i percorsi diretti ai due blocchi

edilizi principali di chirurgia e medicina, ad u. Centrale al

sistema la chiesa dedicata alla santa, con l’abside rivolta

a sud e la facciata a monte, verso il rilievo del baradello.

attestato all’edificio sacro, il sistema di collegamento

94

Il monoblocco con la piastra del pronto soccorso

Page 25: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

95

coperto sviluppato su tre bracci, il più lungo dei quali

diretto a monte, verso il padiglione dei servizi ospedalieri.

Da questo, un percorso chiuso da vetrate portava da un

lato al sanatorio, per la prima volta inserito nel perimetro

dell’ospedale, dall’altro all’ospedaletto per i fanciulli.

isolati dal nucleo principale, sono variamente dislocati

altri edifici tra i quali la centrale termica e la lavanderia, e

di notevole rilievo architettonico, il palazzo degli infettivi,

al margine nord del complesso.

alla metà del novecento si afferma un nuovo modello di

organizzazione degli spazi ospedalieri; progressivamente

abbandonato il modello a padiglioni, è introdotto

il tipo edilizio a monoblocco a sviluppo verticale. in

quegli anni l’ufficio tecnico dell’ospedale, presieduto

dall’ingegner Giovanni todeschini, elabora una soluzione

per sopraelevare di un piano i padiglioni.

Già allora si parlava di un nuovo nosocomio per far

fronte alle necessità. nasce da quel confronto il progetto

del monoblocco, dovuto all’architetto milanese ettore

rossi, un edificio a t con facciata principale curvilinea,

elevato su nove piani fuori terra, collocato al centro del

sistema a collegamento tra i reparti e i servizi generali. la

realizzazione dell’edificio, avviato a costruzione nel 1965

dall’impresa comasca nessi e majocchi, ha non poco

alterato l’impianto di marcovigi, del quale si è persa la spina

centrale costituita dalla sequenza della fontana esedra,

della chiesa, sostituita dalla nuova cappella interna, e dei

percorsi coperti tra i padiglioni. all’inizio degli anni ottanta

95

La testata del padiglione Giovanni Battista Grassi

Page 26: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

si torna a pensare a un nuovo ospedale. il dibattito si è

svolto intenso sull’opportunità di realizzare altrove una

moderna struttura o, piuttosto, ristrutturare e ampliare

l’esistente. il confronto sul tema ha interessato ampia

parte della comunità, coinvolgendo parti sociali, politiche

e gli stessi operatori sanitari di fronte alla realizzazione del

nuovo ospedale, la cui costruzione è iniziata nel novembre

2006 e, secondo le previsioni, dovrebbe essere conclusa

nel 2009. la società infrastrutture lombarde presiede la

costruzione che copre una superficie di oltre 76.000 mq

su un’area molto vasta, compresa fra i comuni di Como,

san Fermo della battaglia e montano lucino. il nuovo

complesso è impostato su due corpi di fabbrica allungati

e quattro edifici disposti a raggiera attestati al corpo lungo

mediano, a pianta leggermente curvilinea. sviluppato su

cinque piani, due dei quali interrati, sarà dotato di quasi

600 posti letto, 22 sale chirurgiche, negozi, servizi di bar e

ristorazione e spazi per la cultura e socializzazione. nelle

previsioni il nuovo ospedale della città lariana avrà requisiti

di elevato livello, con una spiccata caratterizzazione

di tipo alberghiero. l’importanza del sito è testimoniata

anche dai reperti archeologici portati alla luce nel corso

degli scavi sull’area, tra cui una necropoli di età romana,

con una ventina di tombe, e una struttura preistorica ad

impianto circolare del diametro di circa 70 metri, risalente

all’età del Ferro (iX sec. a. C.), o forse al neolitico.

96

La Cappella dedicata a Sant’Anna all’interno dell’edificio monoblocco

Page 27: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

97

Vista generale del complesso ospedaliero al piede del rilievo del Baradello

Page 28: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

Gli Istituti Ospitalieri di Cremona di Daniele Garnerone

Cremona, città che ha ereditato un monumentale

nucleo storico costituito in età comunale, è anche un

centro di primaria importanza per l’attività agricola

del suo territorio. lo è stato tanto più in passato quan-

do la struttura del contado era improntata da forti

caratterizzazioni di forma e qualità.

alle porte della città moderna, in direzione sud-est,

percorrendo la strada provinciale 87 (la via Giuseppi-

na a memoria del governo austriaco), il tessuto rurale

ripropone solo in parte le forme storiche del paesag-

gio agrario.

in questo settore è localizzato l’ospedale maggiore,

moderno complesso realizzato alla fine degli anni

sessanta, attestato su viale della Concordia, oggi a

capo dell’azienda ospedaliera istituti ospitalieri di

Cremona; di questa fa parte anche l’ospedale di

oglio po, recentemente ampliato e attrezzato di nuo-

ve funzioni. attorno al centro abitato e al territorio del

contado si è dunque costruita la plurisecolare storia

dell’istituto ospitaliero, una vicenda lunga oltre cin-

quecento anni.

la sua fondazione risale al 1450, quando il consiglio

generale della città ne ordinò l’erezione, auspicata

da nobili, mercanti e dalle gerarchie ecclesiastiche.

la realizzazione trovò sostegno nelle autorità del Du-

cato di milano, dal duca Francesco sforza alla con-

sorte bianca maria visconti, che assicurarono al nuo-

vo istituto la necessaria protezione, esentandolo da

ogni tributo e obbligazione. in tal modo si sarebbero

riuniti sotto una sola giurisdizione tutti i luoghi deputati

al sostentamento e al ricovero dei bisognosi, luoghi

pii, confraternite e ospitali minori sparsi sul territorio.

Con la bolla pontificia del 6 maggio 1451, papa ni-

colò v riconobbe ai cittadini cremonesi l’erezione

SCheda 4

98

Veduta dell’ospedale dal parco

Page 29: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

del nuovo ospedale, ai bordi della città storica, verso

nord, acconsentendo all’accorpamento in perpetuo

del vasto patrimonio che faceva capo ai vecchi rico-

veri gestiti dalla chiesa nel nuovo istituto, intitolato alla

beata vergine maria della pietà.

accanto ai numerosi siti aggregati figuravano i pos-

sedimenti terrieri incorporati fra i beni del nuovo

ente. Fra le maggiori dotazioni, vi era quella derivata

dall’ospedale di santo spirito, detentore dei poderi

di spinadesco, borgo rurale a ovest della città, estesi

su oltre 400 ettari.

si trattava già per quel tempo di fertile campagna sul-

la quale le incessanti attività di bonifica e irrigazione,

con lo scavo dei navigli cremonesi e milanesi, del Ca-

nale della muzza e della fittissima rete di rogge e fossi,

avrebbero poi condotto a elevata produttività le terre,

con l’affermazione dell’azienda capitalista che face-

va capo alla cascina della bassa pianura irrigua.

alla prima costituzione quattrocentesca del patrimo-

nio del nuovo istituto fece poi seguito l’aggregazione

dell’ospedale di san lazzaro, nel 1594. nella seconda

metà del settecento, in occasione della soppressio-

ne degli ordini monastici, furono aggregati anche i

Conventi di san Francesco e di san luca (1777) e del

Convento di san pietro po (1782), quest’ultimo con la

consistente dote di oltre 700 ettari di campagna, oltre

a un elevato numero di livelli, capitali e fitti d’acque.

al volgere dell’ottocento l’ospedale di Cremona,

secondo solo all’ospedale maggiore di milano per

dimensioni e importanza, poteva così disporre di

estesissime possessioni terriere, corrispondenti quasi al

territorio dell’attuale provincia, con talune proprietà

estese anche al basso milanese.

per secoli il ricco patrimonio fondiario dell’ospedale è

stato gestito in regime di affittanza, prevalentemente

a conduzione diretta stante la dimensione media dei

fondi. la progressiva alienazione delle terre, sostanzial-

mente votata a finanziare la gestione dell’ospedale,

quando non a risanarne i bilanci, ha eroso dramma-

ticamente il complesso dei beni posseduti, giunto ad

annoverare, con le aggregazioni e le donazioni, 80 di-

more nella città e 8.500 ettari di campagna e ridotto

agli inizi del novecento a circa 3.150 ettari.

in quegli anni le condizioni igieniche e la dotazione di

spazi rispetto alle esigenze risultavano alquanto pre-

carie. prese avvio in quel periodo l’intenso dibattito

tra gli esponenti di governo locali circa la necessità

di erigere un nuovo ospedale, dotato dei requisiti ne-

cessari a soddisfare le necessità di una moderna città

e nel quale concentrare i servizi ospedalieri sparsi in

numerosi piccoli centri di assistenza e cura del ca-

poluogo. nel confronto, che durò trent’anni, si profi-

lò anche la possibilità di riunire sotto la giurisdizione

dell’ospedale maggiore anche il secondo nosoco-

mio esistente in città, l’ospedale ugolani Dati, fonda-

to nel 1603 e insediato nel cinquecentesco palazzo

99

Page 30: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

affaitati. la riunificazione tardò molti anni prima di

concretizzarsi e, nel frattempo, nel 1910, fu reso pub-

blico il progetto del cremonese Jotta per un nuovo

ospedale, sviluppato con soluzioni architettoniche e

tecnologiche derivate dalla visita ai migliori ospedali

europei del tempo.

nel 1935, col raggruppamento in un’unica ammini-

strazione degli ospedali maggiore e ugolani Dati, e di

altre minori strutture cittadine, fu costituito l’ente degli

istituti ospitalieri.

alla metà del secolo alla vecchia sede di piazza

dell’ospedale, oggi piazza Giovanni XXiii, si erano ag-

giunti in fasi successive altri corpi e fabbricati; pur se

organizzato in sedi diverse, con le conseguenti dise-

conomie di esercizio, gli istituti ospitalieri di Cremona

raggiungevano il livello di prima Categoria, garanten-

do il massimo dell’assistenza con tutte le prestazioni

specialistiche e una capienza complessiva di quasi

1500 posti letto.

solo nella seconda metà del novecento si concre-

tizzò la costruzione dell’odierno ospedale, inaugurato

nel 1972. il nosocomio è inserito in un’area pressoché

quadrangolare, in buona parte sistemata a parco e

giardino alberato, entro la quale una trama di percor-

si e di viabilità conduce all’imponente nucleo cen-

trale, cosiddetto monoblocco, e da questo si allunga

alla serie di edifici bassi distribuiti a corona, da ovest

a est. il progetto è dovuto ad arturo braga, capo in-

100

Il blocco dell’ospedale, dal parco

Page 31: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

gegnere dell’ospedale maggiore di milano, che ha

lavorato in collaborazione con lo specialista igienista

professor enrico ronzani (entrambi impegnati anche

nella progettazione dell’ospedale di Crema).

alla realizzazione dell’opera, iniziata nel 1965 e porta-

ta a completamento nel 1970 dalla senese impresa

di costruzioni pa-bar, hanno contribuito gli ingegneri

romano sora e evandro sacchi.

Fulcro del sistema è il palazzo elevato su nove piani

fuori terra, con pianta ad H, o doppia t, modello rico-

noscibile anche nell’ospedale san paolo alla barona

di milano (Carlo Casati, 1964-1984).

il nucleo centrale è delimitato da due corpi lunghi e

curvilinei dove sono organizzati gli ambienti di degen-

za e gli studi medici; di superficie pressoché identica,

sono opportunamente distanziati per esser raccorda-

ti al centro dagli spazi di pronto soccorso, dai labora-

tori, dagli spazi di distribuzione e dai servizi ospedalieri.

sul fronte opposto all’ingresso principale si trova an-

che la chiesa, elevata a sede parrocchiale, dedicata

alla beata vergine maria della pietà. pressoché uni-

co nel complesso, presenta prospetti rivestiti in lastre

lapidee, alle quali si aggiunge un’ampia soluzione in

mattone sulla facciata principale.

i fabbricati distribuiti all’intorno, limitati a due e tre

piani, assolvono alle diverse funzioni di supporto; fra

questi, la palazzina direzionale, attestata su viale del-

la Concordia, il vicino polo universitario e al margine

opposto, l’edificio adibito alla cura delle malattie

infettive e la palazzina dei servizi tecnici. la chiara

immagine architettonica che li accomuna è caratte-

rizzata dalle regolari aperture secondo un disegno a

griglia e dalla prevalente finitura in mattonelle di gres

ceramico di colore azzurro. in fase di completamento,

101

Dettagli della facciata della palazzina direzionale e del monoblocco

Page 32: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

la nuova piastra operatoria introduce interessanti ele-

menti di discontinuità architettonica, su progetto di

alberto stasi, ingegnere a capo del servizio tecnico

patrimoniale dell’ospedale.

Grande attenzione è posta anche agli spazi del par-

co, con alberature rigogliose tipiche della pianura irri-

gua: aceri, acacie, tigli, ippocastani, pioppi e platani

oltre a conifere, distribuite prevalentemente nel set-

tore a sud-est, secondo un disegno a macchia che

genera scorci continui e visuali sugli edifici, delimita e

asseconda i percorsi di distribuzione, anche attraver-

so contenute ondulazioni del suolo.

Col tempo, l’istituto ospitaliero è divenuto un com-

plesso centro di ricerca scientifica che ha saputo far

tesoro della incessante attività di tanti illustri medici,

protagonisti della vita civile e della cultura del capo-

luogo, primi fra tutti Gaspare aselli (1581-1625), me-

dico chirurgo e anatomista, docente all’università di

pavia, e Francesco robolotti, medico, storico e patrio-

ta mazziniano.

l’alto valore storico ed artistico del patrimonio pro-

dotto e accumulato nei secoli è ben rappresentata

della notevole documentazione conservata all’ar-

chivio di stato di Cremona, e dalla collezione d’arte.

102

Ingresso della palazzina direzionale

Page 33: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

Corsia del reparto ostetricia

Page 34: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

L’Ospedale A. Manzoni di Lecco di Daniele Garnerone

SCheda 5

104

lecco, e “Quel ramo del lago di Como che volge a

mezzogiorno...”, sono centrali nella storia della lette-

ratura e del risorgimento d’italia. ad alessandro man-

zoni è intitolato il nuovo ospedale alle porte della

città, a est del nucleo antico, nella residua zona pia-

neggiante ai piedi dei rilievi montuosi che si innalzano

verso le frazioni Germanedo e acquate, in posizione

particolarmente favorevole rispetto al sistema di via-

bilità che collega la città con i capoluoghi delle vici-

ne province.

si tratta di una struttura modello – a guida dell’omo-

nima azienda ospedaliera costituita nel 1995 e com-

prendente il presidio di merate, dov’è attivo l’ospe-

dale san leopoldo mandic, e l’ospedale umberto i

di bellano – caratterizzata da elevati contenuti tec-

nologici e improntata a una immagine di grande mo-

dernità che rende onore agli oltre 250 anni di storia

dell’istituto. il primo momento relativo alla costituzio-

ne di un luogo per il soccorso dei bisognosi, il ricovero

e la cura dei malati a lecco ha origini religiose. risale

al 1741, quando il sacerdote della città manzoniana

Don Giovanni battista pagani, parroco del borgo di

acquate, dispose nel testamento che gran parte del-

le proprie risorse patrimoniali fossero impegnate nella

fondazione di un ospedale.

alla morte dell’illustre reverendo, avvenuta nel 1768, il

testamento venne aperto fra le rimostranze degli ere-

di. D’altro canto, la stessa amministrazione austriaca,

contraria con la propria politica alla concentrazione

dei patrimoni di provenienza ecclesiastica, pose il veto

all’operazione limitando a un quinto dell’ammontare

il lascito a favore dell’ente in via di costituzione.

tale provvedimento impedì di fatto la realizzazione

del nuovo istituto e, con il capitale a disposizione, fu

L’edificio ospedaliero, collegato al polo amministrativo-didattico

Page 35: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

costituito un servizio sanitario attivo sul territorio lec-

chese, garantendo altresì un sussidio mensile agli indi-

genti, agli infermi e alle puerpere.

Fu per iniziativa privata e per il tramite di benefatto-

ri che l’ospedale potè alfine costituirsi. tra il 1830 e il

1835, il ricco commerciante lecchese antonio muzzo

elargì la somma di 40.000 lire milanesi allo scopo di

erigere un ospedale “di ampiezza sufficiente a col-

locarvi i poveri di un comune che conta oltre 4.000

abitanti”.

il proposito fu raccolto anche da pompeo redaelli

che mise generosamente a disposizione il terreno su

cui erigere la costruzione, corrispondente all’attuale

sede del municipio, e dall’architetto Giuseppe bova-

ra che prestò gratuitamente la propria opera per re-

digere il progetto dell’edificio.

l’opera ebbe inizio e, non senza difficoltà, fu portata

a compimento nel 1840. Di fronte alla mancanza di

residue risorse per affrontare le spese di gestione, la

chiesa sollecitò l’intervento dei fedeli per consentire

l’entrata in funzione del nuovo ospedale. Fra i promo-

tori dell’iniziativa anche il sacerdote vittorio Cremo-

na, primo amministratore dell’ente, che nel 1843 pre-

stò giuramento per ricoprire la carica. nell’agosto di

quell’anno l’attività ospedaliera prese avvio dando

ospitalità ai primi pazienti.

Già verso la fine del secolo si erano manifestate le

ristrettezze e le limitazioni della struttura, di fronte alle

quali gli operatori più illustri della città promossero la

costruzione di un nuovo edificio.

Gli ingegneri mella e ongania, incaricati dall’ammi-

nistrazione di elaborare il progetto, proposero una

soluzione mirata a ottenere il massimo di modernità,

“escludendo il tipo (dei) vecchi ospedali caserme”;

105

Collegamento verticale al piano 2°

Page 36: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

l’area individuata, affacciata alla via Ghislanzoni, tra

il lago e la ferrovia, avrebbe consentito ampliamen-

ti futuri. i lavori avviati sono portati a compimento

nell’arco di diciotto mesi. nel 1900, trasferiti i degenti

nel nuovo nosocomio dotato di 80 posti letto, il vec-

chio fabbricato è venduto al Comune per la somma

di 100.000 lire. le vicende storiche e politiche dei pri-

mi decenni del secolo vedono affermarsi il ruolo degli

ospedali minori distribuiti sul territorio; per l’ospedale

di Circolo di lecco è disposta la funzione a servizio di

61 comuni della provincia di Como. attorno agli anni

trenta, con i contributi erogati anche della Cassa di

risparmio, sono messi a cantiere i lavori di ampliamen-

to dell’edificio, realizzati su progetto dell’architetto e

ingegnere mario ruggeri.

alla metà del novecento si creano i presupposti

per quello che diverrà, molto più tardi nel tempo, il

nuovo e attuale ospedale. è del 1954 la disponibilità

dell’area circostante villa eremo su iniziativa del sin-

daco ugo bartesaghi. l’antica dimora, edificata alla

fine del seicento dai marchesi serponti, viene ven-

duta al Comune che, all’indomani dell’acquisizione,

destina la grande proprietà terriera adiacente alla

costruzione di un nuovo ospedale. è ancora lo stesso

ruggeri a studiare una soluzione sull’area, ma il pro-

getto non ha seguito.

Frattanto, ai successivi ampliamenti e adeguamenti

funzionali dell’ospedale cittadino si accompagnano

le prime iniziative concrete per il nuovo complesso

ospedaliero. alla fine degli anni ottanta è approva-

to il progetto preliminare e, con gara d’appalto, nei

primi anni novanta sono aggiudicati i lavori di costru-

zione, condotti da un consorzio di imprese costituito

attorno alla impregilo.

il progetto, elaborato dall’architetto aurelio Gorgeri-

no, con la consulenza architettonica di marco zanu-

so e di bohdan paczowski, è portato a compimento

nell’arco di un decennio, con solenne inaugurazione

il 5 febbraio 2000.

principi ordinatori sono l’immagine architettonica, net-

ta e definita, e il rapporto con il contesto. ne deriva un

giusto inserimento nel paesaggio, sia rispetto ai valori

naturali, primariamente determinati dai rilievi che domi-

nano il territorio lecchese, sia rispetto agli elementi dello

spazio urbano, qui caratterizzato dai consueti tipi edilizi

non definiti unitariamente della periferia.

l’organizzazione planimetrica del complesso, un si-

stema costituito da tre corpi principali – l’edificio

ospedaliero, il palazzo direzionale e amministrativo, il

blocco degli impianti tecnologici e dei servizi – col-

legati da percorsi e strutturato da spazi verdi a prato

e alberature a filare ne fanno un modello particolar-

mente riuscito. all’albero, del resto, è fatto esplicito

riferimento nella definizione dell’impianto nel quale

l’edificio che ospita i servizi e le attrezzature tecnolo-

giche corrisponde alle radici, la palazzina direzionale

106

Page 37: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

assolve alla funzione del tronco e l’ospedale vero e

proprio rappresenta la chioma.

un modello che alla natura fa esplicito riferimento,

dunque, e con le sue componenti di forma, materia,

colore e luce l’architettura si confronta, generando

paralleli particolarmente efficaci: cosicché le scabre

rocce che si ergono monumentali a corona della

città si ritrovano nei materiali, nel cromatismo, nell’al-

ternarsi di vuoti e pieni, nel contrapporsi di luci e om-

bre generate dai volumi dell’ospedale, nettamente

emergenti dai prati circostanti, anche in pronuncia-

to declivio. se la componente naturale ha ispirato

il progetto, è alla vita umana che è riconosciuta la

centralità delle funzioni e degli spazi dell’ambiente

ospedaliero. nel palazzo delle degenze, le camere

sono a uno o due letti, con ampie superfici vetrate

che consentono di allargare la vista sul paesaggio

del lago e dei monti lecchesi. non di meno gli aspetti

tecnologici e costruttivi restituiscono l’immagine della

modernità e dell’efficienza. accanto alla netta distin-

zione dei volumi edificati per specificità di funzione, vi

è una pressoché perfetta organizzazione delle attivi-

tà propriamente ospedaliere, con la netta divisione

dei percorsi, l’automazione mediante carrelli robot

dei trasporti in galleria – lungo l’asse di collegamen-

to dei tre edifici – dei materiali sanitari e dei servizi

di cucina, una spiccata attenzione all’umanizzazione

degli ambienti con particolare dotazione di requisiti

107

L’edificio ospedaliero e la palazzina del polo amministrativo-didattico

Page 38: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

accessori e complementari. le imponenti dimensio-

ni del complesso, oltre 500.000 mc di volume e circa

140.000 mq di superficie coperta, sono peraltro miti-

gate dall’altezza massima di quattro piani fuori terra

dell’ospedale vero e proprio. il volume dell’edificio, a

pianta rettangolare, risulta peraltro notevolmente “al-

leggerito” da sei corti originate dalla doppia crociera

interna – impianto che rievoca la milanese Ca’ Gran-

da – e dall’apertura centrale, attestata lungo l’asse

longitudinale, dove lo spazio di accesso pubblico di-

venta una piazza, raccogliendone gli elementi costi-

tutivi di forma e funzione. su di essa si apre l’ingresso al

palazzo delle degenze, con un vasto salone di acco-

glimento e attesa sul quale affacciano le vetrine dei

negozi a perimetro. i collegamenti verticali, mediante

ascensori e scale mobili, consentono di raggiungere

anche i due piani sotterranei a livello dei quali sono

distribuiti l’ampia autorimessa per 1.250 posti, il polo

didattico con aule di studio e un’aula magna per riu-

nioni e conferenze, dov’è esposta la quadreria con i

ritratti delle illustri personalità legate alla storia dell’isti-

tuto, l’archivio generale, laboratori e sale operatorie.

108

La piazzetta all’ingresso dell’ospedale con il collegamento coperto

Page 39: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

L’edificio ospedaliero, dalla scalinata di accesso

Page 40: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

110

L’Ospedale Maggiore di Lodi di Adele Simioli

SCheda 6 l’ospedale maggiore di lodi, che occupa l’intero iso-

lato compreso tra piazza ospitale e le vie bassi, Go-

rini, pallavicino e serravalle, è attualmente adibito a

sede asl e indicato anche come ospedale vecchio

per distinguerlo da quello nuovo costruito negli anni

sessanta nella non lontana area adiacente viale sa-

voia. nel nuovo ospedale è stata concentrata l’attivi-

tà sanitaria organizzata in reparti e laboratori, mentre

nella sede storica trovano posto uffici amministrativi e

attività ambulatoriali.

la calda facciata gialla dell’ospedale vecchio, di

marcata orizzontalità, insieme alla mole duecente-

sca della chiesa di s. Francesco racchiude e ripara

l’accogliente piazza ospedale; penetrando all’inter-

no dell’edificio ci si imbatte in spazi interni ed esterni

che dichiarano l’indubbia rilevanza del complesso

dal punto di vista storico-artistico, in merito allo svi-

luppo urbanistico-architettonico della città di lodi e

come specchio del mutare delle concezioni ospe-

daliere dal medioevo ai nostri giorni. l’aspetto attua-

le del vecchio ospedale è il risultato di una serie di

ampliamenti e edificazioni succedutesi intorno a un

primitivo edificio a crociera quattrocentesco, in un

continuo sforzo di adeguamento funzionale. l’ente

nacque nel 1457 come aggregazione di diciassette

diversi antichi nosocomi esistenti nella diocesi di lodi

grazie alla committenza di Carlo pallavicino, vescovo

della città dal 1456 al 1497. tra gli istituti preesistenti

quello di maggior rilevanza era la casa di carità in-

titolata al santo spirito, fin dagli inizi del Xiii secolo1

110

1 La lapide oggi posta sull’entrata della chiesa dell’ospedale, proveniente da una delle demolite chiese dell’area e datata 1246, testimonia l’esistenza dell’ospedale già in quella data. L’iscrizione in volgare (santo e salutevole pensiero è l’orare per gli defunti - 2 mag 1246), che risale a venti anni prima della nascita di Dante, ha inoltre un elevato valore archeografico.

Ospedale vecchio di Lodi, fronte principale

Page 41: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

dedicata al soccorso dei bisognosi. Gli storici lodigiani

rilevano che il luogo fu trasformato dal frate fondato-

re Facio in vero e proprio ospizio gestito da un ordine

d’infermieri obbedienti alla regola di s. agostino e

costituito da un’infermeria e da una chiesa con sa-

crestia. l’ospedale vecchio è sorto sullo stesso luogo

del primitivo istituto di carità ereditandone il ruolo, il

primo personale e lo stemma, in cui è rappresenta-

ta una colomba che reca un ramoscello d’ulivo nel

becco. l’istituto fu eretto a partire dal 1459 secondo

un impianto a crociera apertamente ispirato alla fila-

retiana Ca’ Granda di milano (la cui costruzione era

stata avviata nel 1456) tanto da suggerire in passato

l’ipotesi di un intervento diretto di Filarete stesso nel

progetto2. la paternità dell’opera, tradizionalmente

attribuita a Giovanni battista da Comazzo e beltramo

da pandino, non può essere stabilita con certezza: il

ruolo dei due architetti è stato infatti ridimensionato

di recente da serena pesenti a favore di antonio da

zurlengo3 mentre raffaela Gorini propende per il bre-

sciano tonino da lumezzane4. l’impianto originario a

croce semplice è oggi solo immaginabile: esso era

costituito da due corsie di uguale lunghezza che si

incrociavano in un vasta sala dove era posto l’alta-

re. la soluzione a crociera rappresentava una solu-

zione artisticamente soddisfacente per la regolarità

della pianta e un grande avanzamento della tecnica

ospedaliera: dalla sala centrale era infatti possibile

vedere tutti gli ammalati i cui letti erano disposti lun-

go le pareti perimetrali delle quattro corsie, allo stesso

modo l’altare era nel campo visivo di tutti i degenti.

la fabbrica è stata interessata da continui amplia-

menti dal Xvi alla fine del Xviii secolo fino a giunge-

re all’impianto il cui scheletro è visibile ancora oggi

nonostante le superfettazioni. tra i vari progetti di

ampliamento rinvenuti in archivio, un disegno data-

to 1537 ed oggi disperso, è stato attribuito al celebre

architetto pellegrino tibaldi. il progetto non realizzato

immediatamente per difficoltà economiche, potreb-

be rappresentare la base degli interventi successivi

dilazionati nel tempo. la figura che ne è derivata è

una doppia croce costituita da due lunghe infermerie

parallele attraversate da un braccio più corto (69 m)

esteso tra via bassi e via pallavicino. la doppia croce

permetteva di separare le corsie femminili da quelle

maschili e in un secondo momento i malati cronici o

incurabili da quelli convalescenti dando inizio ad un

certo grado di separazione degli ammalati, che rima-

111

2 Agnelli G., Ospedale di Lodi – Monografia storica, Il Pomerio, Lodi 1964, p. 47.3 Pesenti S., L’Ospedale Maggiore di Lodi, in Franchini L. (a cura di), Ospedali lombardi del 400. Fondazioni, trasformazioni, re-stauri, Newpress, Como, 1995, pp. 179-200.4 Gorini R., L’ospedale di Santo Spirito della Carità a Lodi: storia della fabbrica in «Artes - periodico annuale di storia delle arti», vol. IV, Università di Pavia, Pavia 1996, pp. 44-53.

Page 42: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

nevano comunque non distinti per patologia. Quan-

do la richiesta di posti letto superava le capacità

dell’ospedale, essi venivano aumentati aggiungendo

campate ai bracci della crociera, motivo dell’irrego-

larità della figura le cui estremità si allungano fino ai

limiti del lotto. le altissime infermerie erano illuminate

da grandi finestre e attraversate da piccoli ballatoi

con ringhiera (ancora visibili e ben conservati) che

correvano in alto lungo i muri perimetrali e da cui era

possibile sorvegliare i degenti. lo spazio interno della

crociera viene utilizzato ancora oggi: in anni recenti

esso è stato suddiviso in altezza tramite l’edificazio-

ne di un solaio intermedio, così da ottenere ambienti

più piccoli da adibire ad uffici. Dalle testate terminali

della crociera, specie dall’ingresso dell’ospedale, è

ancora possibile percepire la volumetria originaria.

negli spazi adiacenti la crociera erano inseriti servizi

e luoghi di riunione e riposo per gli ammalati: rimane

memoria di sedici cortili, di cui il più bello e armonioso

è il piccolo chiostro quattrocentesco della farmacia.

si tratta di un cortile quadrato, con piccolo pozzo al

centro, circondato da un portico a due ordini. al li-

vello inferiore si succedono 16 archi a tutto sesto, 4

per lato, sostenuti da colonne con capitelli a foglie

lobate; a ogni arco ne corrispondono due più piccoli

nel secondo ordine, soluzione adottata di frequente

nella tradizione architettonica lombarda. Gli archivolti

del portico terreno sono arricchiti da fregi variamente

112

Chiostro della farmacia, particolare decorativo

Page 43: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

stampati in terracotta con ghirlande vegetali e moti-

vi a tortiglione che restituiscono un effetto di grande

eleganza e leggiadria al cotto a vista, materiale larga-

mente prevalente nel chiostro, anche da questo punto

di vista equiparabile ai più noti edifici del rinascimento

lombardo. tra le imposte degli archi al piano inferio-

re sono scolpiti tondi con l’immagine della colomba

sostituita al piano superiore da melograni, frutto la cui

interpretazione simbolica, tradizionalmente connessa

all’idea di fertilità e longevità, si è arricchita di nuovi

sensi nella lettura cristiana arrivando a simboleggiare

la carità e la resurrezione di Cristo. sul cortile della far-

macia si apre una delle sale interne più riccamente

decorate, l’ex sala capitolare con le volte affrescate

nel Xvi secolo da Giulio Cesare Ferrari a grottesche

con fantasiosa commistione di motivi di varia ispirazio-

ne. la sala, adibita nel tempo a usi diversi, è oggi sede

del museo Gorini composto da 166 dei numerosi pre-

parati anatomici prodotti dallo scienziato paolo Gorini

(1813-1881) tra il 1840 e il 1880.

un rinnovamento dell’ospedale di grande entità fu av-

viato nel Xviii secolo: nel 1767 maria teresa d’austria

stabilì l’immunità del censo per il pio ente rendendo

l’amministrazione dell’ospedale in grado di avviare un

riordino generale dell’isolato da poco divenuto inte-

ramente di proprietà dell’ospedale tramite successive

acquisizioni e demolizioni di edifici preesistenti. a questa

fase risalgono alcuni degli spazi più monumentali del

complesso ospedaliero: l’odierna facciata principale

e la chiesa dell’ospedale lungo via pallavicino costru-

ita al posto di un più semplice oratorio seicentesco

con cortile annesso usato come fossa comune detto

“foppone”. la chiesa “dei morti” a croce greca, fu edi-

ficata nella seconda metà del ‘700 dal frate-architetto

plana, completa di un piccolo chiostro porticato di for-

ma rettangolare, scandito da archi su colonne e pila-

stri. tale spazio si presenta gravemente compromesso

da quando nel 1902 fu separato dalla chiesa da un

muretto con inferriata e ridotto a cortile tramite l’ac-

cecamento delle arcate del portico mediante pareti

in muratura. si accede alla chiesa dall’entrata di via

pallavicino, ingresso talmente ravvicinato al portale

della chiesa da consentirne solo una visione molto rav-

vicinata che purtroppo non consente di percepire con

chiarezza i volumi. la chiesa dell’ospedale fu costruita

anche utilizzando materiale recuperato dalla demo-

lita chiesa di s. maria del sole che sorgeva nell’odier-

na via indipendenza; gli altari delle cappelle laterali

provengono dalle demolite chiese di s. matteo e s.

andrea mentre l’altare maggiore in marmo intarsiato

apparteneva alla confraternita di s. Croce. tra le ope-

re che decorano l’interno, si ricorda la tela di Camillo

procaccini raffigurante La discesa dello Spirito Santo.

il riordino settecentesco coinvolse anche l’immagine

esterna dell’ospedale tramite l’edificazione del nuovo

fronte su piazza ospedale realizzata nel 1792 dagli ar-

113

Page 44: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

chitetti angelo bassi e marcello segre insieme al cortile

interno e al nuovo corpo di uffici. la lunga facciata

neoclassica è di chiara impronta piermariniana, tanto

che alcuni storici lodigiani hanno parlato non di libera

ispirazione del progetto ma di vera e propria paternità

dell’idea di Giuseppe piermarini. l’elemento centrale

della facciata, scandito da paraste ioniche giganti

con alta trabeazione e timpano finale, corrisponde alla

testata di una delle crociere. l’ingresso mistilineo con

piccolo giardino in via bassi pone invece attenzione

sull’inizio della crociera di minori dimensioni. Dal punto

di vista dell’organizzazione ospedaliera, durante l’800

iniziò quel processo di dislocazione razionale dei servizi

che condurrà al moderno ospedale organizzato in pa-

diglioni specializzati. una riforma generale delle strut-

ture e dei servizi venne tuttavia attuata solo nei primi

anni del ‘900 su progetto dell’ingegnere dell’ospedale

pietro Ferrari e di emilio speroni. punto focale di tale

riforma fu la costruzione di un nuovo reparto chirurgico

secondo le indicazioni del prof. tanzini, terminato nel

1906 su via Gorini. nonostante l’apertura di vari centri

specializzati (ad esempio i reparti radiologico e pedia-

trico), l’ospedale non era più in grado di soddisfare la

richiesta di cura dei cittadini, motivo per cui negli anni

’60 si decise per l’edificazione del nuovo ospedale a

monoblocco verticale, progettato dallo studio bordo-

ni di milano, specializzato in edilizia ospedaliera, sotto

la direzione dell’architetto vittorio Caneva.

114

Chiostro della farmacia, secondo ordine

Page 45: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

115

Chiostro della farmacia, vista

Page 46: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

L’Ospedale Carlo Poma di Mantova di Daniele Garnerone

SCheda 7 mantova, città a misura d’uomo, prese forma dalle

condizioni naturali del territorio (“cruda”, così scris-

se Dante della leggendaria manto, fondatrice del-

la città), dalla struttura militare, e da una Corte che

amava i fasti dell’arte. tracciandone un profilo, Guido

piovene annotò che “un visitatore distratto, che attra-

versi mantova in fretta, può rimanere inconsapevole

delle bellezze che racchiude […] il meglio di manto-

va è chiuso, i suoi paesaggi sono interni come quelli

dell’anima” 1.

ritroviamo dunque una “città di grande bellezza…

perché belle vi sono anche le cose minori e affasci-

nante il carattere generale dell’ambiente urbano” 2.

Fra le “cose minori”, belle, mantova annovera anche il

suo ospedale, in particolare quella parte dell’attuale

ospedale che risale agli anni venti. a questa si sono

poi aggiunti per fasi successive ampliamenti e ade-

guamenti sino a determinare l’odierno ampio com-

plesso intitolato a Carlo poma che fa capo all’omo-

nima azienda ospedaliera, costituita anche dalle

strutture provinciali di asola, bozzolo, pieve di Coirano,

dall’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione

delle stiviere e dal presidio di viadana, dov’è presen-

te un centro di lungodegenza.

una vicenda plurisecolare attraverso la quale si è

svolta la storia della città. la fondazione dell’ospeda-

le risale al Xv secolo quando, per iniziativa di ludovi-

co Gonzaga, secondo marchese della città, fu istituito

l’ospitale poi riconosciuto nel 1449 con la bolla pon-

tificia di papa nicolò v. Con successive deliberazioni,

tra le quali le bolle papali del 1471 e le disposizioni del

Delegato apostolico della Diocesi mantovana, nel

116

1 Guido Piovene, Viaggio in Italia, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1957, p. 1122 AA.VV., Lombardia, Guida d’Italia, Touring Club Italiano, Milano 1987, p. 740

L’edificio dei nuovi reparti di degenza

Page 47: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

1576, l’istituto fu accresciuto con l’aggregazione di

ospitaletti cittadini e dei sobborghi del contado.

la città vantava a quel tempo il proprio ospedale

Grande all’interno del nucleo cittadino, in fase di

espansione con grandi dimore patrizie, chiese e inse-

diamenti religiosi. si trattava del primo importante in-

tervento a scala urbana dell’epoca rinascimentale.

il prosciugamento del lago paiolo, compiuto a metà

del settecento, restituì un’ampia zona per l’amplia-

mento urbano a sud della città. Con la fine della do-

minazione austriaca, mantova potè dotarsi a partire

dal 1811 dell’ospedale insediato in via pradella, poi

corso vittorio emanuele. il palazzo, restaurato a metà

dell’ottocento, costituiva una porzione del convento

di sant’orsola, del cui antico impianto rimane ancora

l’omonima chiesa.

Questa sede ospedaliera copriva un’area di quasi

15.000 mq che, benché ampia, ben presto si rivelò

inadeguata alla crescita della popolazione e alle esi-

genze che si andavano manifestando. il complesso

poco si prestava a riforme e ampliamenti e la scelta

di indirizzare gli sviluppi verso un nuovo ospedale fu

ritenuta opportuna. l’area fu così individuata lungo

la direttrice di espansione sud-ovest della città, in

località borgo pompilio, una delle zone più elevate

sul bordo delle terre prosciugate dell’antico lago.

la porta belfiore era lontana un chilometro, ciò che

garantiva le necessarie distanze dal nucleo abitato

per la costruzione di un insediamento che avrebbe

dato ospitalità anche agli infetti, senza al contempo

precludere le possibilità di mantenere buoni collega-

menti e la possibilità di sviluppo urbano. il programma

117

Il percorso pedonale coperto di collegamento tra i padiglioni dell’ospedale storico

Un padiglione dell’originario impianto

Page 48: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

di realizzazione destò la generale soddisfazione nella

popolazione che accorse numerosa all’inaugurazio-

ne, avvenuta il 28 ottobre 1928. una via ferrata per il

servizio di tram elettrico garantiva il migliore servizio di

collegamento con la città.

il trasferimento degli ammalati fu realizzato gradual-

mente nel corso di un mese. Già con il primo dicem-

bre la vecchia sede di corso vittorio emanuele venne

completamente abbandonata, dopo oltre un secolo

di attività.

il nuovo ospedale, realizzato tra il 1919 e il 1925, porta

la firma di Giulio marcovigi, ingegnere di bologna, au-

tore del progetto iniziale e della successiva modifica,

in seguito all’adattamento a un nuovo piano finan-

ziario, alla quale concorsero anche gli ingegneri an-

gelo azzi, alberto Cristofori e l’architetto livio provasoli

Ghirardini3.

il modello ospedaliero, prevalente in quegli anni (lo

stesso marcovigi lo propone per l’ospedale sant’an-

na di Como), è costituito da padiglioni dedicati a

specifiche funzioni, opportunamente distribuiti secon-

do regole di assialità e gerarchia, collegati mediante

percorsi opportunamente protetti. orientato sull’asse

sud-ovest/nord-est, l’impianto rivela la matrice a sca-

la urbanistica, strettamente connessa al programma

di espansione della città verso sud, sulle aree recupe-

rate dal prosciugamento del lago paiolo. nell’orga-

nizzare il sistema, l’ingegnere progetta gli spazi con

rigore, individua un asse principale di riferimento al

quale sono innestati i collegamenti secondari, proget-

118

3 Consiglio di Amministrazione, Il nuovo Ospedale Civico di Mantova, L’Artistica di A. Bedulli, Mantova 1929

Particolare dell’edificio delle degenze

Page 49: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

ta edifici in linea e articolati con pianta a u, a t, con

absidi, li raddoppia lungo l’asse di attraversamento

principale, prevede slarghi e giardini, e un lunghissimo

percorso pedonale coperto che, con le diramazioni

ortogonali, le gallerie sotterranee e i passaggi soprae-

levati, consente di raggiungere ogni padiglione. tutto

è organizzato con armonia di forme e proporzioni su

una superficie di 12.000 mq, a fronte di 210.000 mq di

terreni liberi di cui 80.000 sistemati a giardino.

l’originario complesso è costituito da 12 edifici: il pa-

lazzo d’ingresso, quattro padiglioni principali, due

dedicati a medicina generale, uno per la chirurgia,

il quarto per ginecologia e maternità. il padiglione

per l’ospedale infantile bulgarini, che sarà aggregato

all’ospedale Civico, altri padiglioni per le cure di fisio-

terapia e dermosifilopatia, l’edificio dei servizi genera-

li, la chiesa – aperta al pubblico per le funzioni religio-

se festive – con la camera mortuaria, la casa dei frati

cappellani, la lavanderia e la centrale termica.

oltre il limite dell’ospedale propriamente detto si tro-

va il sanatorio belfiore, oggi padiglioni ravà sforni e

D’arco, una dipendenza dell’ospedale, raggiungibile

percorrendo un viale.

accanto a questi edifici vi era una casa colonica,

dimora dei contadini impiegati nella conduzione dei

terreni coltivati all’interno del perimetro dell’ospedale

e destinati a future edificazioni.

il 19 settembre 1952 il Consiglio dei primari delibera di

119

La facciata principale del recente ampliamento

Page 50: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

dedicare l’ospedale al martire Carlo poma, medico

dell’ospedale, nato nel 1823 a mantova. la sua pro-

fessione, svolta con alto senso di responsabilità e ca-

pacità, è stata accompagnata dall’attività politica

ispirata al pensiero mazziniano. arrestato dalla polizia

austriaca nel giugno 1952, poma è imprigionato nel

carcere della mainolda; processato nel novembre

successivo, condannato a morte e impiccato con al-

tri quattro patrioti. oltre alla lapide a memoria dell’il-

lustre martire, sono numerose le iscrizioni variamente

distribuite all’interno degli edifici, prevalentemente

negli atri e negli ambienti di rappresentanza.

alla fine degli anni sessanta è avviato un piano opera-

tivo per un primo consistente ampliamento e ammo-

dernamento della struttura ospedaliera, individuando

nel centro della vasta area il sito del nuovo nucleo. su

progetto degli ingegneri molinari e pavesi, è costituito

da una serie di edifici alti, portati a compimento tra

il 1975 e il 1994, attestati sull’allineamento principale

del vecchio ospedale e sviluppato secondo un im-

pianto ortogonale con andamento prevalente nord-

ovest/sud-est. Ciò di fatto ha determinato le linee di

indirizzo per i futuri sviluppi, confermate dall’ultimo

ampliamento del fabbricato polichirurgico.

il progetto relativo è stato curato a partire dal 1994

dallo studio olbos – ora a lodi ma a quel tempo con

sede a milano – costituito dall’ingegnere attilio susani

e dall’architetto Filippo terzaghi.

Con l’intervento è riproposta la direttrice di sviluppo

del precedente ampliamento, e individuato un se-

condo ingresso che, per caratteri architettonici, spa-

ziali e di funzionalità, è divenuto l’ingresso principale,

in stretta relazione con la viabilità di circonvallazione

e la città storica. il nuovo aggregato, elevato sino a

sei piani fuori terra, è sviluppato attorno a un primo

nucleo centrale, entrato in funzione nel 2003, arretrato

e affacciato a un vasto piazzale, al quale si aggiunge

un edificio in linea affiancato destinato alle degen-

ze, portato a compimento nella primavera del 2006

con la partecipazione dell’ingegnere Fiorenzo beruffi,

membro dell’ufficio tecnico dell’ospedale. previsto

nel progetto anche un secondo edificio in linea, con-

trapposto e simmetrico a quello realizzato.

la grande attenzione dedicata alla progettazione

degli spazi, all’organizzazione delle funzioni e al siste-

ma dei collegamenti orizzontali e verticali si è tradot-

ta in un nucleo ospedaliero particolarmente efficien-

te, dotato di ogni requisito e comfort di elevato livello.

non di meno, gli edifici risultano coerentemente in-

seriti nel contesto, grazie anche all’immagine archi-

tettonica improntata dal mattone, giusta ripresa dei

materiali di finitura tipicamente lombardi e, nel caso

specifico, del vecchio ospedale.

120

NELLA PAGINA ACCANTO: L’edificio di anatomia patologica

Page 51: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

121

Page 52: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

L’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Ferdinando Zanzottera di Milano

SCheda 8 nei pressi della quattrocentesca villa lonati, nota

anche come Cascina lunara, oggi sorge l’imponen-

te complesso nosocomiale di niguarda, la cui edifi-

cazione è connessa alla decisione d’inizio secolo di

abbandonare la storica struttura della Ca’ Granda

dei poveri di Dio progettata dal Filarete alle spalle

del Duomo di milano. l’inadeguatezza della struttu-

ra architettonica ai dettami della scienza medica

tardo-ottocentesca aveva portato nei primi anni del

novecento alla coscienza che il capoluogo lombar-

do necessitasse di un ospedale più moderno e ca-

piente. Dopo numerosi anni di dibattito e trattative

il 24 giugno del 1919 gli istituti ospedalieri di milano

stipularono il contratto preliminare di acquisto di un

terreno di 336.578 mq collocato a nord della città, nei

pressi della strada valassina, comprendente alcuni

fabbricati obbligatoriamente da demolire. l’accor-

do fu preso dopo che la stessa direzione della Ca’

Granda aveva deciso di cedere al Comune l’an-

tico ospedale sforzesco, oramai non più suscettibile

ad ampliamenti e trasformazioni, affinché ne venisse

tramandata la memoria dopo un attento restauro e

dietro il compenso economico di 600.000 lire. il Comu-

ne di milano si impegnava a realizzare le infrastruttu-

re di servizio (ad esempio fognatura, allacciamento

alla rete elettrica e all’acquedotto, ecc.), a realizzare

nuovi collegamenti stradali e a costruire una rete di

trasporto tramviario che unisse la nuova sede ospe-

daliera con il centro cittadino, il Cimitero di musoc-

co e il Cimitero monumentale. in realtà la decisione

di acquisire l’area edificabile tra i comuni autonomi

di affori e niguarda era già stata deliberata il 12 giu-

gno 1917, nella certezza che tale appezzamento di

terreno sarebbe presto rientrato nei limiti del confine

122

L’ingresso principale

dell’ospedale, al centro del

quale è inserito l’altorilievo

raffigurantel’Annunciazione

di Franco Lombardi

Page 53: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

del territorio comunale, poiché in tale data erano già

stati attivati i procedimenti amministrativi per l’allar-

gamento del perimetro urbano e l’annessione dei

comuni di niguarda e Greco milanese.

numerose erano state le ragioni che avevano spinto

l’ente sanitario a scegliere un terreno posto a circa

cinque chilometri dal centro urbano. tra queste vi era

certamente l’alto tasso di inurbamento industriale

che caratterizzava la fascia settentrionale della città.

Dei 12.650 operai residenti nei comuni dell’hinterland

di milano censiti nel 1911, infatti, oltre 9.000 risiedeva-

no ad affori, Greco, niguarda e il comune di musoc-

co e uniti. la costruzione dell’ospedale niguarda Ca’

Granda si inserisce, quindi, in un complesso di opera-

zioni economico-infrastrutturali che miravano alla tra-

sformazione del volto della città ed erano finalizzate

a dotare l’intero territorio regionale di una rete sanita-

ria efficiente basata sul policentrismo di strutture mo-

derne ed economicamente sostenibili. il processo di

trasformazione e di completo abbandono dell’antico

ospedale filaretiano, tuttavia, ebbe una fase germi-

nale particolarmente complessa e lenta, tanto che il

concorso a carattere nazionale per la progettazione

del nuovo ospedale urbano fu pubblicato solamente

il 20 ottobre del 1926, fissando come scadenza ulti-

ma per la consegna dei progetti il 20 luglio dell’anno

successivo. molti furono i professionisti che risposero

al bando di concorso che prevedeva la progettazio-

ne di un ospedale con 1.500 posti letto, ulteriormen-

te ampliabile in base alle molteplici necessità che il

tempo avrebbe rivelato.

il bando poneva particolare importanza alla suddivi-

sione dei reparti ospedalieri e all’edificio di ingresso,

che doveva necessariamente corrispondere a criteri

123

Facciata della cappella, al cui interno sono custodite le vetrate artistiche di Mario Sironi, Aldo Carpi e Alberto Salietti e una serie di bassorilievi, in parte di Adolfo Wildt.

Struttura interna della cappella a pianta centrale, il cui disegno è da attribuire all’architetto Giulio Arata

Page 54: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

estetici e di rappresentanza, risultando “decoroso e

degno della città di milano”.

oltre all’ampiezza dei singoli reparti il bando prescri-

veva rigide norme relative ai percorsi del personale

sanitario e dei visitatori, e sanciva la presenza di al-

cuni ambienti specifici, tra i quali: la chiesa, l’alloggio

per i sacerdoti e i medici interni, i dormitori e relativi

ambienti per ospitare 100 “suore sorveglianti” e 300

infermiere, le biblioteche per il personale sanitario e

i pazienti, la stazione di disinfestazione e tutti gli am-

bienti, modernamente intesi, correlati al funziona-

mento razionale dell’ospedale stesso.

tra i numerosi concorrenti la commissione giudica-

trice1 valutò meritevole di vittoria l’ingegner antonio

bertolaia e virgilio riva, ai quali il 26 febbraio del 1929

fu ufficialmente affidato l’incarico della progettazio-

ne esecutiva del nuovo ospedale. a tutti era tuttavia

evidente la delusione della commissione per quanto

concerneva alcuni aspetti progettuali, soprattutto per

le soluzioni prospettate per il fronte principale rivolto

verso la città, poiché si era dimenticato “che per tutti,

colti e non colti, e specialmente per il popolo, l’ospe-

dale maggiore si è fissato e permane nella mente e

nel cuore con la visione del grande edificio sforzesco,

rivalorizzato con rinata ricchezza da F. m. richino”.

Ciò che la commissione ricercava era dunque una

nuova magnificenza che, in chiave moderna, potes-

se in qualche modo competere con la magnificenza

dell’antica struttura filaretiana, profondamente radi-

cata nell’immaginario collettivo della città.

1 La Commissione del concorso era composta dall’ing. Giuseppe Gorla, il dott. Edoardo Ligorio, l’arch. Gaetano Moretti, l’ing. Angelo Radaelli e il prof. Andrea Scarpellini.

124

Particolare delle piscine riabilitative interne all’ospedale

Page 55: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

per verificare l’adesione del progetto vincitore alle

nuove istanze della scienza medica, il Consiglio ospe-

daliero incaricò enrico ronzani (direttore medico) di

esprimere un suo giudizio scritto. il 7 aprile del 1930

egli manifestò tutte le sue perplessità nei confronti del

progetto bertolaniano che, il 13 luglio 1932, condusse il

Consiglio ospedaliero ad affidare il compito della pro-

gettazione e realizzazione del nuovo ospedale all’in-

gegner Giulio marcovigi, coadiuvato per gli aspetti ar-

chitettonici dall’architetto Giulio arata. sovrintendente

sanitario, invece, fu nominato lo stesso ronzani.

pur avendo subito nel corso dei decenni alcune tra-

sformazioni e ampliamenti, la struttura originaria è ri-

masta abbastanza integra e ancora oggi rispecchia

lo schema planimetrico ideato da marcovigi, al qua-

le, dopo la morte avvenuta nel 1937, subentrò l’inge-

gner Casalis.

la struttura, che secondo alcuni critici vagamente ri-

corda il corpo umano, presenta un impianto che cer-

ca di armonizzare lo schema a padiglioni e la matrice

americana del monoblocco, richiamando lo schema

proposto nel 1933 dall’ingegner arturo braga e dall’in-

gegner Giuseppe Casalis al concorso per l’ospedale

Clinico di modena.

il rapporto con la città è affidato al magniloquente

padiglione di ingresso principale, contraddistinto da

una sequenza di tre fornici arcuati, ai lati dei quali

si trovano gli imponenti vani scala vetrati. al centro

125

Particolare della sala destinata agli sportelli per il pagamento dei ticket sanitari

Page 56: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

dell’edificio l’altorilievo raffigurante l’annunciazione

di Franco lombardi sembra completare il ciclo de-

corativo monumentale esterno affidato al gruppo

scultoreo di Francesco messina che ritrae san Car-

lo borromeo che consegna ai deputati ospedalieri

la bolla di pio iv e l’opera di arturo martini intitolata

Francesco sforza e bianca maria fanno le offerte per

la fondazione dell’ospedale.

superato l’ingresso, che ospita l’amministrazione, gli

uffici della direzione e alcune sale di rappresentanza,

marcovigi ha voluto un ampio cortile con due fonta-

ne circolari, dal quale si può accedere al nucleo prin-

cipale dell’ospedale. esso è costituito da una serie di

edifici di degenza che sorgono attorno a una corte

parzialmente porticata. lontana da essa, ai margini

dell’intera cittadella sanitaria, i convitti, gli ambulatori,

le lavanderie e altri edifici ritenuti di minore importan-

za. al centro dell’ampia corte principale, invece, an-

cora oggi si trova la cappella a pianta centrale, il cui

disegno è da attribuire all’architetto Giulio arata. essa

costituisce una sorta di museo di arte contempora-

nea perché al suo interno sono conservati, tra l’altro,

una serie di bassorilievi raffiguranti le guarigioni mira-

colose di Gesù, in parte di adolfo Wildt, e le vetrate

artistiche di mario sironi, aldo Carpi e alberto salietti.

ereditando la funzione dell’ospedale maggiore, in

cui la quadreria dei donatori e le opere d’arte costi-

tuivano la scenografia naturale nel quale si svolgeva

la ritualità della scienza medica lombarda, il nosoco-

mio di niguarda ricerca con attenzione lo splendo-

re e la comunicazione artistica. per questa ragione

fu nominata una speciale commissione composta

dall’ingegner Casalis, dall’architetto arata, dallo scul-

tore artista edoardo rubino, dal critico raffaele Cal-

zini e dall’architetto Gaetano moretti. essa si doveva

principalmente occupare delle decorazioni architet-

toniche poiché per gli aspetti primariamente artistici

il progettista si poteva avvalere della collaborazione

dell’esistente Commissione artistica dell’ospedale

maggiore, composta dall’architetto ambrogio anno-

ni, dallo sculture mario amman, dal critico vincenzo

bucci, dallo scultore Giannino Castiglioni, dal pittore

Carlo Cressini, dall’architetto e pittore Cesare Jacini

e da Giorgio nicodemi, soprintendente delle Civiche

raccolte d’arte di milano.

nelle scelte iconografica operate all’interno dell’ospe-

dale, inoltre, ebbe un ruolo fondamentale l’arcivesco-

vo milanese alfredo ildefonso schuster che, secondo

Franca moiraghi, seppe trasformare l’ospedale nel

luogo di riconciliazione tra etiche diverse e seppe

mediare “in modo più che onorevole” la presenza

della Chiesa con la medicina laica e le forze politiche

126

Page 57: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

127

non sempre a lei favorevoli2. oggi l’ospedale niguar-

da Ca’ Granda è al centro di un importante trasfor-

mazione architettonica che sta cercando di mediare

l’inserimento di edifici tecnologicamente innovati-

vi con concetti di flessibilità della suddivisione degli

spazi interni, rispettando, nel contempo, il patrimonio

architettonico riconosciuto meritevole di tutela e di

valorizzazione da parte delle istituzioni regionali, del

mondo accademico universitario e delle soprinten-

denze. un’attenzione che oramai da anni caratte-

rizza le iniziative della direzione sanitaria capace di

far convivere realtà profondamente differenti, quali il

museo d’arte paolo pini, ad esso giuridicamente col-

legato, la ricerca scientifica applicata, l’attenzione ai

disabili, il recupero della deficienza motoria e la ippo-

terapia, vere eccellenze in campo culturale e sanita-

rio invidiate, insieme ad alcuni specializzazioni medi-

che, nel vasto contesto della medicina europea.

2 Cfr. Franca Moiraghi, Precedenti e vicissitudini del progetto per il nuovo Ospedale Maggiore di Niguarda (1882-1939): un percorso nella storia reale, in: Aldo Selvini (a cura di), Cinquant’anni di evoluzione della medicina, s.e., Milano 1989, p. 32.

Il gruppo scultoreo di Francesco Messina raffigurante San Carlo Borromeo che consegna bolla di Pio IV ai deputati ospedalieri

Page 58: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

L’Ospedale San Carlo Borromeodi Milano di Adele Simioli

SCheda 9 il complesso ospedaliero è sito nel quadrilatero com-

preso tra le vie pio ii, arioli venegoni, Cardinale tosi e

san Giusto nella zona ovest di milano, un’area meno

congestionata rispetto al centro città, poco distan-

te dal parco agricolo sud milano. l’ospedale, inau-

gurato nel 1967, è nato come presidio dell’ospedale

maggiore di milano che ne ha gestito l’attività fino al

1976, anno in cui il san Carlo venne scorporato acqui-

sendo autonomia gestionale. la dedicazione si deve

al fatto che san Carlo borromeo fu uno dei principali

benefattori del maggiore che nominò suo erede uni-

versale nel 1572.

il san Carlo nasce come ospedale generale dotato di

un reparto di pronto soccorso per far fronte all’emer-

genza sanitaria divenuta particolarmente grave a mi-

lano negli anni Cinquanta - sessanta anche a causa

della forte espansione urbana; l’area ovest della cit-

tà, in particolare, risultava completamente scoperta

da presidi medici.

il complesso si presenta come un insieme di edifici li-

beramente disposti in un’area verde intorno a un edi-

ficio centrale monoblocco di maggiori dimensioni. il

san Carlo ha tre ingressi (cui si aggiungono l’ingresso

rifornimenti e l’entrata del parcheggio): quello prin-

cipale e l’accesso diretto al pronto soccorso si trova-

no su via pio ii, l’ingresso alla Camera mortuaria è in

via venegoni. la progettazione fu opera dell’ufficio

tecnico dell’ospedale sotto la direzione dell’ingegner

arturo braga, con la collaborazione degli ingegner

stefano sfondrini e novello pieroni per gli impianti

tecnologici. lo studio d’architettura ponti-Fornaroli-

rosselli si occupò della supervisione generale e a Gio

ponti si deve in toto la progettazione della cappella.

a partire dall’ingresso principale posto a nord-est si

128

Vista del monoblocco e del padiglione servizi

Page 59: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

snodano per il visitatore tre possibili percorsi: a sini-

stra si va verso la chiesa; al centro si arriva al blocco

ospedaliero passando per il piccolo padiglione con

i servizi destinati al pubblico e al personale (mense -

negozi – spogliatoi) posto nella posizione più comoda

sul percorso di chi si reca all’ospedale; andando a

destra si costeggia il Dea (pronto soccorso) e l’edi-

ficio quadrato del Cup (Centro unico prenotazioni).

più appartati gli altri edifici: verso nord-ovest il padi-

glione dell’anatomia patologica (camera mortuaria)

e i piccoli edifici dei servizi tecnici e dell’ingresso rifor-

nimenti, a sud-ovest tra le vie venegoni e tosi il “villag-

gio” con gli alloggi del personale, le aule per i corsi di

infermieristica e fisioterapia e la direzione.

l’ingegner braga ha esplicitato i criteri che lo hanno

guidato nel progetto nella monografia sull’ospedale

edita nel 19681: essi rispondono a esigenze di caratte-

re funzionale. ubicazione e collegamenti tra gli edifici

sono stati stabiliti in vista della massima semplificazio-

ne dei percorsi; a funzioni diverse corrispondono edifi-

ci differenti in modo da agevolare futuri ampliamenti.

l’accentramento delle degenze in un monoblocco e

la collocazione dei servizi generali in corpi bassi distin-

ti ma opportunamente articolati con esso, risponde

alle idee più avanzate dell’edilizia ospedaliera degli

anni sessanta.

l’edificio del pronto soccorso è stato edificato nella

seconda metà degli anni ’90, il fondamentale servizio

negli anni precedenti era svolto nel “quadrato”. la di-

stribuzione interna degli ambienti subirà nuove modi-

fiche a partire dal 2009 e in quest’occasione i reparti

di medicina e chirurgia d’urgenza verranno trasferiti

all’interno del monoblocco.

il vicino edificio di cinque piani, a pianta quadrata

1 Braga A., Progettazione e costruzione, in Chiappa F. (a cura di), L’Ospedale San Carlo Borromeo, Edizioni de “La Ca’ Granda”, Milano 1968, pp. 60-119.

129

Monoblocco, padiglione servizi e viale d’accesso

Page 60: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

con giardino centrale, è destinato al Centro unico

prenotazione e agli ambulatori. anche questo edi-

ficio sarà interessato da modifiche interne tra cui si

prevede la realizzazione di laboratori di analisi al

quarto piano e con ogni probabilità la trasformazione

dell’area “interna” del quadrato in giardino d’inverno

da utilizzare come sala d’aspetto. l’edificio è collega-

to tramite gallerie al piano terra e al primo piano del

monoblocco.

il cuore del complesso, l’edificio a 14 piani per le de-

genze presenta una peculiare forma ad Y, data dalla

presenza di tre ali che si diramano da un corpo cen-

trale. l’edificio ha una capacità di circa 750 posti let-

to, il numero stimato più idoneo a garantire adeguate

condizioni di funzionamento si colloca infatti tra i 650 ei

850 posti. per quanto riguarda la distribuzione interna, i

piani da uno a nove sono destinati ai vari reparti, il de-

cimo a quelli operatori, l’undicesimo alle centrali tec-

nologiche; al piano terra e nei due piani sotterranei si

trovano servizi e uffici. nei suddetti nove piani, all’inter-

no dei tre bracci si trovano le camere degli ammalati

mentre nel corpo centrale dell’edificio sono riuniti gli

studi medici, le scale e gli elevatori. anche in questo

caso la forma dell’edificio deriva da ragioni di ordine

funzionale cioè dalla volontà di creare tre divisioni di

letti i cui fronti siano tutti orientati verso sud, sud-est. le

camere progettate da due o quattro posti letto con

bagno esterno, verranno tra breve adeguate - a co-

130

Atrio dell’ospedale

Page 61: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

minciare da due dei piani - agli standard attuali che

prevedono camere doppie dotate di bagno interno.

i percorsi interni si svolgono prevalentemente in senso

verticale mediante gli ascensori contenuti in mag-

gior parte nel nucleo centrale del blocco; altre vie

di traffico sono i percorsi al piano rialzato dedicati al

pubblico e a chi accede, i percorsi al piano seminter-

rato riservati al trasporto dei materiali puliti quali vitto e

medicinali, i percorsi al piano sotterraneo dedicato al

trasporto del materiale “sporco”.

all’atto della fondazione l’ospedale era stato pensa-

to per contenere tutti i servizi indispensabili (radiolo-

gia, laboratori di microbiologia, biochimica, anatomia

patologica, farmacia) e tre divisioni di chirurgia gene-

rale, tre di medicina generale, una divisione di pedia-

tria, una di neurologia, una di ostetricia e ginecologia.

al termine del riordino interno di prossima attuazione

si avranno: tre reparti di Chirurgia, uno di urologia, uno

di pneumologia, tre di oncologia, uno di Cardiologia,

tre di riabilitazione speciale, uno di nefrologia, uno di

neurologia, uno di psichiatria, due di ortopedia, uno

di Gastroenterologia, due di medicina, due di Dialisi,

due di pediatria, uno di ostetricia, uno di Ginecologia,

un blocco parto, uno di rianimazione, uno di Chirur-

gia vascolare.

in posizione appartata e circondata da una vege-

tazione più fitta si trova il “villaggio” che ospita gli

ambienti in cui si svolgono i corsi universitari di infer-

mieristica e fisioterapia, gli alloggi dei dipendenti (at-

tualmente sono in uso 270 camere) completi di con-

vitto e un richiestissimo asilo nido.

i locali progettati negli anni sessanta per il convitto

delle suore sono attualmente occupati dalle tre di-

rezioni (sanitaria, amministrativa e generale) e dagli

131

Chiesa dell’Annunciata, particolare dei Santi ospedalieri rea-lizzati da Costantino Ruggeri

Chiesa dell’Annunciata, interno

Page 62: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

132

Page 63: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

uffici del personale. il complesso è formato da pic-

cole costruzioni modulari collegate fra loro anche in

modo da consentire ampliamenti successivi tramite

l’aggiunta di elementi. la conformazione del grup-

po di edifici crea un ambiente di privacy, per quanto

possibile, e di distacco per i dipendenti dal posto di

lavoro.

Di assoluto rilievo la chiesa dell’ospedale dedicata a

santa maria annunciata, comprendente anche sale

per spettacoli e conferenze al piano sotterraneo, re-

alizzato da Gio ponti tra 1963 e il 1969. Due gallerie

sovrapposte collegano il monoblocco alla chiesa

(consentendo ai malati di raggiungere l’edificio sen-

za uscire all’esterno) e alle sale sottostanti. l’opera si

distacca dagli schemi ospedalieri, che prevedono

nella grande maggioranza dei casi una modesta

cappella, ed è riconosciuta come una delle opere

maggiormente espressive nell’itinerario dell’architet-

to, come testimoniano anche le recenti pubblicazio-

ni dedicate all’opera2. la chiesa è a navata unica

e pianta a esagono irregolare con due lati molto

allungati; i due ingressi dell’edificio, inusitatamen-

te, sono posti sui lati lunghi della figura che fungono

da facciate, determinando un’asse di penetrazione

perpendicolare rispetto al percorso del fedele che

in genere procede in senso longitudinale in direzione

dell’altare. la facciata nord della chiesa è allineata

con una delle ali del monoblocco, in questo modo la

chiesa viene percepita come se fosse di dimensioni

maggiori e non sparisce al confronto con la grande

massa dell’ospedale. i due fronti rivestiti in ceramica si

differenziano per la tipologia delle aperture: mentre il

fronte nord è tagliato da numerose finestre esagona-

li di diverse dimensioni e orientamento, quella verso

meridione prevede solo strette feritoie che modulano

la luce solare. all’interno, il pavimento sale di livello

dal centro verso le due estremità dell’aula, in modo

che l’altare sia visibile a tutti; contemporaneamente i

muri perimetrali si dilatano verso il centro suggerendo

la forma di una nave, un’arca con una poppa e una

prua in corrispondenza dell’altare. l’immagine della

chiesa-nave che guida i fedeli e della fede come

ancora di salvezza è tema simbolico particolarmente

caro all’universo pontiano che ricorre anche in altre

opere, ad esempio nelle croci-ancore della Concat-

tedrale di taranto che ricordano l’iconografia della

croce ortodossa.

133

2 Crippa M. A. - Capponi C. (a cura di), Gio Ponti e l’architettura sacra, Banca Agricola Milanese- Silvana Editoriale, Milano 2005; AA. VV., Gio Ponti – Meravigliosa ventura costruire chiese, Ospedale San Carlo Borromeo, Milano 2006.

NELLA PAGINA ACCANTO: Chiesa dell’Annunciata, fronte nord

Page 64: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

L’Ospedale San Gerardo dei Tintori di Monza di Ferdinando Zanzottera

SCheda 10 nella zona settentrionale di monza, sul limitare del

confine con i comuni di lissone e di vedano lambro,

su un’area di circa 17 ettari, sorge l’imponente struttu-

ra del nuovo ospedale san Gerardo dei tintori, carat-

terizzato da un volume edilizio di oltre 600.000 mc.

esso è storicamente connesso a una tradizione pluri-

secolare della cura dei malati da parte di enti religiosi

e laici della città, che trova nella mensa dei poveri

di theodald a sant’agata (768) una delle sue prime

testimonianze. l’attenzione per i poveri e gli ammalati,

infatti, si sviluppò nei secoli attraverso la realizzazione

di numerose istituzioni sanitarie, tra le quali si posso-

no ricordare l’ospedale di Deusdedit e verullo (835),

l’ospedale di sant’agata (1135), l’ospedale di san

biagio (1141), gli ospedali di san Donato, san mau-

rizio, san rocco e sant’alessandro (citati nel 1169),

l’ospedale di san Gerardo (già in funzione nel 1174),

l’ospedale di san bernardo (Xiv secolo) e la scuola

di santa marta, organizzata nel trecento attorno alla

chiesa omonima1.

il 7 agosto del 1769 le strutture sanitarie ancora esisten-

ti furono aggregate per decreto imperiale nell’unico

ospedale di san bernardo ed uniti, collocato prov-

visoriamente nell’area attualmente corrispondente

a piazza trento e trieste. numerose furono le vicissi-

tudini storiche che si alternarono in questa struttura

ospedaliera, che culminarono con il dono del 1890

da parte di umberto i di un’ingente cifra di denaro

per la realizzazione di un nuovo ospedale, capace di

testimoniare perennemente il suo affetto nei confronti

della città di monza.

Divenuto obsoleto anche questo ospedale, alla fine

134

1 Per questo tema si rimanda a: Alberto Crespi, Augusto Merati, L’ospedale S. Gerardo dei Tintori e la sua quadreria, Tipografia sociale S.p.a., Monza, 1982; Ernesto Marelli, Un Santo, un re, una città. Storia dell’Ospedale di Monza, Editori Laterza, Roma-Bari, 1996.

Veduta del fronte principale dell’ospedale

Page 65: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

degli anni Cinquanta l’amministrazione pubblica

e quella sanitaria cominciarono seriamente a inte-

ressarsi dell’opportunità di trasferire o di ampliare il

vecchio ospedale ottocentesco. il dibattito fu molto

articolato e interessò animosamente la sfera politi-

ca, le corporazioni economico-industriali e l’opinio-

ne pubblica. a favore dell’ampliamento del vec-

chio ospedale, ad esempio, si espresse il presidente

mario malfer (presidente del complesso ospedaliero

voluto dal re il secolo precedente), mentre a favore

del trasferimento si dichiararono nel 1956 e nel 1957

numerosi amministratori locali, tra i quali aldo buzzelli

ed enrico Farè. per redimere la controversia fu nomi-

nata anche un’apposita commissione, il cui pensiero

fu anticipato nel 1959 dall’indizione di un concorso

pubblico per la progettazione del nuovo ospedale

di monza. esso prevedeva l’edificazione della nuova

struttura nosocomiale nell’area oggi occupata dal

complesso di via solferino e da alcune aree limitro-

fe a vocazione agricola. nel 1962 i mutamenti politici

e alcuni eventi storici accaduti nella città di mon-

za convinsero la nuova amministrazione a revocare

il concorso indetto negli anni precedenti, il quale

aveva visto la partecipazione di due distinti progetti.

particolarmente interessanti furono giudicate le idee

presentate dagli architetti romani marino marrazzi e

G. Franco righini, affidando il compito di valutare la

possibilità di reimpiegare parte del progetto in una

nuova struttura sostitutiva del vecchio ospedale, da

erigere all’estrema periferia della città, a un’apposita

commissione. il 23 luglio del medesimo anno l’ospe-

dale affidò ufficialmente l’incarico di progettare il

nuovo complesso sanitario ai due architetti roma-

ni2. i primi riconoscimenti e approvazioni ufficiali non

tardarono ad arrivare e il 14 novembre 1964, giorno

dell’inaugurazione della Casa di riposo per anziani

villa serena, fu posta la prima pietra del nuovo ospe-

dale monzese. i progettisti si avvalsero anche della

consulenza strutturale degli ingegneri mario aquilino,

Fabrizio Cerqua e ugo leone viale, dell’assistenza per

le strutture medico-scientifiche del professor pier luigi

Casini e della collaborazione del pittore Giorgio luz-

zietti per alcune scelte formali e cromatiche. nei loro

processi decisionali marazzo e righini rimasero cer-

tamente influenzati nelle scelte progettuali proposte

nel nuovo ospedale san Giovanni di roma, costruito

nel 1958 dall’ingegner Gasbarri in collaborazione con

l’architetto G. Francisci.

la nuova struttura ospedaliera, il cui progetto origina-

rio si è dovuto modificare in corso d’opera anche a

135

2 La commissione nominata per compiere le verifiche tecniche atte a stabilire se il progetto presentato dagli architetti Marino Marrazzi e G. Franco Righini poteva adattarsi al nuovo scenario architettonico-finanziario era composta dal prof. Augusto Giova-nardi, direttore dell’Istituto di Igiene dell’Università di Milano, dal prof. Germano Sollazzo, Sovraintendente sanitario degli Istituti ospitali eri di Milano, e dall’arch. Eugenio Soncini, esperto di architettura sociale e ospedaliera (cfr. Ernesto Marelli, Un Santo, un re, una città. Storia dell’Ospedale di Monza, Editori Laterza, Roma-Bari, 1996, p. 255).

Page 66: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

seguito della promulgazione della legge 132 del 12

febbraio del 1968 e dei conseguenti decreti attuativi

pubblicati nel mese di marzo dell’anno successivo, è

scomponibile in tre edifici autonomi interconnessi fra

loro da collegamenti orizzontali e dalla piastra basa-

mentale. il primo corpo di fabbrica è costituito da un

edificio a quattro piani, solo parzialmente fuori terra,

in cui sono stati collocati gli ambulatori, il day-hospi-

tal, l’accettazione programmata e alcuni servizi per

l’utenza ospedaliera, quali una caffetteria, il giorna-

laio e altre strutture consimili. alle sue spalle è stato

costruito l’imponente monoblocco di quindici piani,

di cui due interrati. si tratta di una struttura architetto-

nica arcuata dal composito disegno delle facciate,

destinato a ospitare i degenti. posteriormente i pro-

gettisti hanno collocato il pronto soccorso e le sale

operatorie, realizzando una struttura a quattro piani

che sembra richiamare la distribuzione interna dei vo-

lumi delle sperimentazioni architettoniche degli anni

sessanta e settanta di virgilio vercelloni.

la struttura principale, ovviamente, è quella centra-

le, il cui piano tipo è scandito dalla sequenza di tre

distinti settori. ai lati vi sono i reparti che ospitano 60

pazienti ciascuno, mentre al centro sono collocati il

reparto di minore dimensione (22 posti letto), gli ele-

menti di collegamento verticali, costituiti da scale e

ascensori, e i servizi indispensabili per la gestione delle

singole divisioni ospedaliere. le camere, attentamen-

136

Particolari architettonici

Page 67: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

te studiate per offrire il maggior comfort possibile e i

più alti indici di salubrità, sono generalmente esposte

a meridione e presentano una capacità ricettiva di

due e quattro letti.

Dall’impianto generale di degenza differiscono alcu-

ni reparti con specifiche funzioni, come, ad esempio,

la pediatria situata all’ultimo piano del monoblocco

centrale. essa nasce dalla necessità di realizzare una

struttura isolata adatta a ospitare, anche per periodi

medio-lunghi, i piccoli pazienti ammalati, e garantire

la permanenza di accompagnatori. per questa ra-

gione all’interno della struttura sono stati creati degli

spazi appositi che offrono la possibilità ai genitori di

poter rimanere con i piccoli anche nelle ore notturne.

ambienti per il gioco, il disegno e lo svago comple-

tano l’offerta pediatrica che, in questo ospedale, è

particolarmente curata anche negli aspetti comuni-

cativi e di relazione con il mondo esterno3. altra ati-

picità è costituita dalla radiodiagnostica e dall’area

destinata alla cardiologia, dotata di uno specifico

settore di terapia semintensiva. essa è direttamente

connessa alle strutture diagnostiche che, a loro volta,

sono permeabili attraverso percorsi controllati anche

dall’utenza esterna.

alle spalle del monoblocco si dipana la struttura de-

stinata alle sale operatorie, integrata planimetrica-

137

3 Tra le molteplici iniziative si segnala il concorso “Io e l’ospedale” finalizzato a comprendere e comunicare come il mondo infantile concepisce e desidererebbe l’ospedale. L’iniziativa, promossa dagli assessorati alla Cultura e all’Educazione di Monza, l’Azienda Ospedaliera San Gerardo e la Biblioteca Civica, ha trovato anche la sua naturale conclusione nel volume: AA.VV., Io e l’Ospedale. L’Ospedale visto con gli occhi dei bambini, Azienda Ospedaliera San Gerardo, Monza, 2007. L’attenzione ai bambini, inoltre è testi-moniata anche dalla collaborazione dei reparti di neonatologia con aziende private per lo studio e la realizzazione di una tuta spe-ciale per i neonati prematuri. All’interno di alcuni spazi dell’ospedale, inoltre, dal settembre del 2005 è attivo un significativo asilo nido aziendale la cui progettazione è stata curata dagli uffici interni dell’azienda sanitaria, che hanno dovuto risolvere i problemi connessi alla scelta di far frequentare, senza traumi per i bambini, la struttura sulla base dei turni lavorativi dei genitori.

Immagine pano-ramica dell’intera struttura del mo-noblocco centrale

Page 68: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

mente alle aree di emergenza. in questa porzione

dell’edificio, facilmente riconoscibile per le sue forme

sinuose e curvilinee che contrastano con la geome-

trizzazione regolare delle rimanenti parti, sono state

inserite 18 sale operatorie organizzate in unità funzio-

nali. alcune di esse sono sale operatorie indifferenzia-

te, mentre altre sono dotate di specifiche attrezzature

destinate alla chirurgia specializzata quali la cardio-

chirurgia, l’ortopedia e l’oculistica.

Fondamentali risultano anche le scelte compiute dai

progettisti per lo studio di specifici settori destinati,

solo per fare qualche esempio, alla gestione della

biancheria, alla sterilizzazione degli strumenti e agli

impianti funzionali dell’intero complesso architettoni-

co. tutto l’edificio è stato oggetto di una meticolosa

analisi che ha condotto a una progettazione unita-

ria, che rende assimilabile questa struttura ospedalie-

ra ad altre realtà sanitarie progettate nei medesimi

anni, quali, ad esempio, l’ospedale san Carlo di mila-

no al quale lavorarono l’ingegner braga e lo studio di

architettura Gio ponti, antonio Fornaroli, alberto ros-

selli. nel nosocomio monzese i progettisti, ad esempio,

hanno disegnato anche la forma dei vassoi per i pasti,

ponendo particolare attenzione ai vani per l’allog-

giamento delle vaschette contenenti i cibi precotti e

la facilità di impilamento dei portavivande vuoti.

particolare attenzione è stata rivolta anche ai ma-

teriali e alle apparecchiature di servizio, selezionate

per ottenere la massima funzionalità e la maggiore

“riduzione delle operazioni di manutenzione” facili-

tandone, nel contempo, la pulizia e la disinfestazione.

una ricerca condotta anche in senso estetico che ha

interessato le scelte cromatiche degli elementi delle

facciate degli immobili. l’adozione dell’acciaio por-

cellanato per i rivestimenti esterni, infatti, ha concesso

di sperimentare soluzioni figurative differenti ottenute

mediante l’accostamento di tonalità e gradazioni di-

verse. ulteriori variazioni cromatiche sono state inserite

in funzione dell’irraggiamento solare e dell’esposizio-

ne naturale della struttura architettonica. le facciate

meridionali, infatti, presentano una finitura superficiale

dalle tonalità più chiare rispetto alle opposte faccia-

te settentrionali.

oggi l’ospedale san Gerardo dei tintori detiene nu-

merosi primati e possiede molteplici eccellenze de-

terminate anche dalla capacità di lavorare in siner-

gia per la cura completa del paziente e per il merito

di una comunità ospedaliera composta da medici e

amministratori consapevoli, come ha recentemente

affermato il Direttore Generale Giuseppe spata, che

si possa curare realmente un malato “solo se c’è un

gruppo coeso, che costruisce un percorso di cura

che diventa un’offerta” reale e un “ospedale bello in

cui si lavora con dignità e gusto” e a cui ognuno for-

138

4 Senza firma, L’efficienza del bello, in “San Gerardo oggi”, n. 2 (settembre 2008), anno 10, p. 3.

Page 69: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

139

5 Cfr. Antonio Urti (a cura di), San Gerardo: profilo europeo, in “San Gerardo oggi”, n. 1 (aprile 2008), anno 10, pp. 2-3 e Andrea Gori, Nuove strade nella lotta all’HIV, in “San Gerar-do oggi”, n. 2 (settembre 2008), anno 10, pp. 26-27.

nisce il proprio contributo4.

Questa, ad esempio, è l’impostazione che ha con-

sentito all’azienda sanitaria monzese di raggiungere

importanti risultati riconosciuti a livello internaziona-

le nel campo della rianimazione, delle malattie in-

fettive e nel trattamento terapeutico dell’infezione

da Hiv e, in particolare, per mantenere integra la

funzionalità immunitaria nei soggetti affetti senza

ricorrere agli attuali farmaci antivirali, efficaci ma

estremamente tossici per i pazienti stessi5. la ricerca

costituisce uno dei principali vanti dell’ospedale,

aperta alla collaborazione con istituti privati e con

l’università. il recente accordo per il posizionamento

del ciclotrone, infatti, non solo dimostra l’attenzione

che questo ospedale riserva all’attività scientifica,

ma contribuisce a collocare l’azienda monzese ai

vertici europei per quanto concerne la strumentazio-

ne per l’alta diagnostica terapeutica.

Blocco delle sale operatorie planimetricamente integrate alle aree di emergenza ed edificate dietro il blocco centrale

Page 70: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

L’Ospedale San Matteo di Pavia di Emanuele Vicini

SCheda 11 l’ospedale san matteo di pavia, nato alla fine del Xv

secolo nel centro della città, si distingue in lombardia,

perché sorge vicino a uno studium universitario dedica-

to all’insegnamento delle discipline mediche.

nel corso dei secoli, il nosocomio e la scuola medica si

trovano a coesistere e a cooperare: l’ospedale diventa

luogo di apprendimento e di educazione per la facoltà

medica e fornisce i casi clinici su cui sviluppare la ricer-

ca scientifica.

Questa condizione pressoché unica vive una stagio-

ne di particolare vivacità e ricchezza nel Xviii secolo,

all’indomani della riforma teresiana che trasforma l’uni-

versità di pavia in uno dei centri culturali più avanzati in

europa.

la crescita delle esigenze di cura ospedaliera da un

lato e di ricerca medico scientifica dall’altro determina

notevoli difficoltà logistiche e organizzative già nella se-

conda metà del XiX secolo. inoltre, la nascita in europa

di nuovi ospedali per padiglioni separati, con lo scopo

di contenere e circoscrivere la diffusione delle malattie,

mette in evidenza una certa arretratezza degli spazi del

san matteo pavese, confinati negli edifici tardo sette-

centeschi e ottocenteschi del centro città.

all’interessamento e al prestigio di Camillo Golgi, nobel

per la medicina, studioso di fama internazionale, do-

cente a pavia e rettore dell’università nel primo decen-

nio del novecento, si deve l’attenzione che il governo

nazionale pone all’erezione di un nuovo nosocomio.

reperito il finanziamento1, viene scelta la struttura a

padiglioni separati che esige un’area vasta e preferi-

bilmente periferica. si riconosce nella zona Caima -

Deserto (335 mila metri quadrati, a nord della città) la

soluzione migliore: sebbene sia lontana dal centro, è

però vicina alla statale milano - Genova e allo scalo

140

1 Erogato con il R.D. 24 dicembre 1908, n. 778.

Facciata del Policlinico San Matteo, inaugurato nel 1932

Page 71: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

ferroviario e presenta un’altimetria superiore al centro

cittadino, un terreno asciutto e una notevole ricchezza

di acque incanalate.

al termine di un lungo e piuttosto complesso concorso

pubblico, vince il progetto degli ingegneri arnardo Gar-

della e luigi martini, con padiglioni di diversa ampiezza,

collegati da una fitta rete di vie sotterranee. risultano

particolarmente appropriate la non eccessiva altezza

degli edifici (un piano), luminosi e ben arieggiati, la strut-

tura molto compatta e sobria delle cliniche, con corpi

in aggetto per i reparti di degenza, sale operatorie, sale

di visita, i laboratori e lunghi corridoi di disimpegno.

il lento procedere dei lavori si interrompe nel 1916, a

causa della guerra, per riprendere solo nel 19252. nasce

in questa data un Consorzio che comprende i due at-

tori principali, l’università e il Consiglio ospitaliero (che

aveva retto fino a quel momento le sorti dell’antico

ospedale), cui si aggiungono il Comune di pavia, l’am-

ministrazione provinciale e altri enti.

parallelamente alla lunga realizzazione architettoni-

ca, il Consorzio si deve occupare di dar vita all’isti-

tuzione che reggerà il nuovo nosocomio nel quale si

fondono le prerogative assistenziali, con le esigenze

universitarie di cliniche moderne nelle quali svilup-

pare la ricerca medica e l’insegnamento. Da una

141

2 R.D. 14 giugno 1925, n. 1048. All’indomani del conflitto, è molto forte l’interesse dello stato per le grandi opere pubbli-che, che garantiscono un aumento dei livelli occupazionali nel paese.

Padiglione di Clinica Medica, una delle “corti” interne a giardino, secondo il progetto rivisto dagli inge-gneri Mariani e Sala, 1932

Page 72: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

memoria3, risalente al 1924, si possono comprendere le difficoltà incon-

trate dalle istituzioni coinvolte per raggiungere una soluzione praticabile e il

lungo percorso, costellato di varie ipotesi4, che porta infine alla scelta di co-

stituire un soggetto chiamato Ospedale clinico5: in esso confluiscono tutte le

rendite e i fondi di pertinenza dell’ospedale; l’università lascia al Genio Civile

la proprietà degli edifici, ma mantiene una posizione di prestigio, detenendo

la presidenza del Consorzio che gestirà il nuovo nosocomio.

la ripresa dei lavori vede rispettato il progetto di Gardella e martini per gli istitu-

ti di anatomia umana normale e anatomia patologica (edifici a pettine, con

sobrie decorazioni nelle cornici marcapiano e nelle finestre), all’estremo nord

dell’area, mentre per le cliniche e i reparti specialistici intervengono gli inge-

gneri Giuseppe mariani e leonardo sala, del genio civile. a loro si deve il com-

pletamento dei fabbricati lasciati a rustico prima della guerra, per collocarvi

la clinica medica e chirurgica con le rispettive patologie e provvisoriamente

l’otorinolaringoiatria e l’odontoiatria, la clinica pediatrica e il brefotrofio. la ra-

diologia invece viene ospitata nella palazzina di ingresso.

si costruiscono poi padiglioni nuovi, simmetrici, con doppio corpo e corridoio

centrale di disimpegno: la clinica ostetrico-ginecologia, la clinica dermosifi-

lopatica, la clinica oculistica e i padiglioni per i servizi generali. si ottengono

così undici edifici, per un totale di 17.200 mq, in muratura di mattoni e solai in

cemento armato. tutti i padiglioni sono realizzati a due piani, per ridurre l’area

occupata e risparmiare sui costi di gestione.

Del progetto originale rimane sostanzialmente invariato il blocco di ingresso,

collocato a sud, verso la città. sviluppato in larghezza, su due piani, occupa

142

3 Archivio Civico del Comune di Pavia, Cartelle speciali 132 – 134.4 Per un’analisi dettagliata della questione si veda: E. Vicini, Gli istituti universitari e il polo del nuovo Policlinico di Pavia negli anni trenta e quaranta del Novecento, in “L’Università e la città. Il ruolo di Padova e degli altri Atenei italiani nello sviluppo urbano. Atti del convegno. Padova, 4-6 dicembre 2003, Bologna, CLUEB, 2006.5 Sancita da un decreto del Ministero della Pubblica Istruzione e del Ministero dell’In-terno del 25 novembre 1927.

Particolare del fianco a balconi del nuovo dipartimen-to di Emergenza eAccettazione (“DEA”), Studio Calvi e Pizzi, in corso di realizza-zione

Page 73: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

tutto il lato settentrionale del piazzale antistante il poli-

clinico, dedicato a Camillo Golgi. un gioco di aggetti di-

versi determina una gerarchia delle parti che valorizza

la porzione centrale, nella quale si colloca l’ingresso a

tre fornici, chiusi da eleganti e massicci cancelli in ferro.

Completano l’edificio un falso attico a coronamento

e un trattamento a bugnato leggero della muratura

del primo piano. le sale di rappresentanza, collocate

al piano superiore, sono affrescate dal pittore pavese

antonio oberto, cui si deve anche la decorazione del-

la chiesa, di eleganti fattezze neogotiche, collocata a

nord dell’area ospedaliera.

i padiglioni realizzati da mariani e sala sono molto sobri,

privi di partiti decorativi, e organizzati a pettine: tra i di-

versi blocchi, innestati perpendicolarmente su un corpo

rettilineo, si aprono degli spazi verdi dei quali i degenti

possono usufruire. la muratura è aperta con ampie fine-

stre e verande affacciate sui giardini. molto curata è an-

che l’illuminazione delle aule didattiche presenti in ogni

istituto. risulta quindi decisamente efficace e gradevole

il rapporto tra lo spazio di degenza, ricerca e studio e il

verde che abbraccia e protegge tutti i padiglioni.

per la progettazione del parco si scelgono piante ad

alto fusto a ridosso della cinta muraria, siepi, cespugli

fioriti e alberi più piccoli nei riquadri tra gli edifici, trat-

tati come piccoli spazi a corte. solo studi abbastanza

recenti6 hanno messo in luce l’importanza di progetta-

re specificamente lo spazio verde in un ospedale, per

offrire importanti stimoli visivi e olfattivi e per creare un

ambiente rassicurante e gradevole: l’obiettivo priorita-

rio è non estraniare il degente dalle abitudini visive di un

panorama consueto che – normalmente – comprende

spazi verdi7. il nosocomio pavese offre già ai primi del

novecento una soluzione molto efficace, che ben si

coniuga con un’architettura poco sviluppata in altezza,

e con un trattamento murario non dissimile dall’edilizia

residenziale.

tra le edificazioni satellitari rispetto al complesso ospe-

daliero va citato l’Istituto Carlo Forlanini, (progetto di

adelmo bellani) costruito tra il 1939 e il 1943 come un

monoblocco a t con stanze per i degenti luminose, ter-

razzate e rivolte a sud. è inserito in un parco di notevoli

dimensioni, a nord della cintura del policlinico, ricco di

piante ad alto fusto per l’ossigenazione dell’aria e gode

ormai di una soluzione architettonica più moderna,

compatta e sintetizzata in un unico edificio che com-

prende tutti i servizi necessari ai degenti.

Collocato nel centro della città, invece, è l’Istituto per le

malattie neurologiche Casimiro Mondino, configurato

come una fondazione, la cui sede è progettata dall’in-

gegner angelo savoldi nel 1907 e ampliata nel 1925

con un secondo edificio contiguo, ideato dall’ingegner

143

6 R.S. Ulrich, Aesthetic and affective response to natural environement, in I. Altman e J.F. Wohlwill eds. Human behaviuor and environement: advances in theory and research, vol.6, New York, Plenum Press, 1983.7 Il tema è affrontato da vari studi, tra i quali si cita: S. Marsicano, Abitare la cura: riflessioni sulla architettura istituzionale, Milano, Franco Angeli, 2002.

Page 74: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

primo zorzoli. la posizione, all’epoca a filo di un’impor-

tante arteria di comunicazione cittadina, impone for-

me basse, sviluppate in larghezza sul fronte della via e

trattate con un vocabolario architettonico più classico

(mensole, cornici aggettanti, timpani e centine sulle

finestre). Gli anni settanta e ottanta del novecento

vedono la crescita di nuovi padiglioni a monoblocco,

nella parte nord del recinto del policlinico: l’istituto per

le malattie infettive, il centro ortopedico e traumatolo-

gico, la nuova pediatria e i cosiddetti reparti speciali. si

tratta di edifici molto semplici, di altezze diverse, privi di

una progettazione unitaria o coerente nelle forme, ma

adeguati a specifiche esigenze mediche e scientifiche.

l’area dell’ospedale ospita, dalla fine degli anni novan-

ta, una serie di interventi edilizi di enorme portata. a fir-

ma dello studio Calvi di pavia e di emilio pizzi è sorta la

nuova clinica delle malattie infettive, terminata nel 2007,

ed è in via di completamento il Dea (Dipartimento di

emergenza e accettazione). si tratta di strutture a pia-

stra–torre, secondo una tipologia progettuale già speri-

mentata in europa8: nella parte basamentale, a svilup-

po orizzontale, sono collocati i servizi e le cure, mentre

nelle torri trovano posto le camere per i degenti. ormai

tralasciato l’impianto originale per bassi padiglioni mi-

metizzati da un parco, le nuove strutture presentano svi-

luppi molto articolati, con vetrate, murature in mattone

a vista e cemento.

Fuori dalla cinta del policlinico è ormai ultimato l’innova-

tivo centro di adroterapia oncologica, progettato dallo

studio Calvi (2003 – 2007), e finanziato da un consorzio di

ospedali tra i quali anche il san matteo pavese. anche

l’istituto per le malattie neurologiche Casimiro mondino

e la più giovane fondazione maugeri (nata per lo studio

e la prevenzione delle malattie del lavoro), accreditate

presso regione lombardia e sede di cliniche universita-

rie, sono state collocate non lontano dal policlinico, in

edifici progettati ancora dallo studio Calvi (entrati in uso

rispettivamente nel 2007 e nel 2001). aperti su una zona

della città poco urbanizzata, questi complessi richiama-

no l’impianto a piastra–torre, con soluzioni molto varie,

sobriamente decorate da piccoli specchi d’acqua,

fontane e spazi verdi progettati per rendere gli ambienti

più gradevoli e accoglienti.

144

8 Il tema è sviluppato in un’ampia bibliografia dalla quale si cita a titolo di esempio: F. Rossi Prodi, A. Stocchetti, L’architettura dell’ospedale, Firenze, Alinea, 1990.

Antonio Oberto, Affresco con l’allegoria della carità. Policlinico San Matteo, sala del Consiglio di Amministrazione, 1932

Page 75: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

145

Nuova clinica delle Malattie Infettive (“torre AIDS”), Studio Calvi e Pizzi, 2007

Page 76: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

Il Villaggio Sanatoriale di Sondalo di Ferdinando Zanzottera

SCheda 12 l’attuale complesso architettonico del villaggio mo-

relli di sondalo deve la sua origine all’intensa attività

dell’istituto di previdenza sociale, al quale il governo

nazionale nel 1927 aveva affidato il compito di interve-

nire drasticamente contro la diffusione della tubercolosi

e delle malattie respiratorie, incaricandolo anche della

costruzione degli edifici ospedalieri necessari. in quella

data, infatti, fu stimato che la nazione necessitava di

oltre 20.000 posti letto che furono distribuiti in colonie

post-sanatoriali, nei sanatori di pianura e in sanatori di

montagna. il progetto di edificare in alta valtellina un

imponente nosocomio fu la risultante di un lungo pro-

cesso di studio medico-scientifico e della comparteci-

pazione di fattori economici, politici e sociali. nei primi

decenni del XX secolo, infatti, si radicarono anche in

italia le concezioni mediche per la cura della tuber-

colosi, che vedeva nel clima montano fondamentali

elementi per la cura e la guarigione della malattia.

l’assenza di grandi agenti inquinanti, la mancanza di

polveri organiche, l’abbondanza di ozono e la limitata

presenza nell’aria di microrganismi dannosi, favorirono

dunque il “principio medico” di edificare una grande

struttura sanatoriale in valtellina, terra che negli anni

trenta era ancora caratterizzata da un parco sviluppo

industriale e dalla presenza di numerosi altri centri me-

dici per l’assistenza sanitaria, che avevano indotto la

popolazione autoctona a individuare nell’architettura

ospedaliera elementi di sviluppo socio-economico. la

costruzione del più grande sanatorio europeo, infatti,

non fu percepito come pericolo dalla cittadinanza di

sondalo, ma come ulteriore possibilità di sviluppo e di

elevazione professionale e sociale. la coscienza da

parte dell’istituto nazionale Fascista di previdenza so-

ciale dell’esistenza di questo atteggiamento da parte

della popolazione non giocò un ruolo di secondaria

importanza nella scelta del luogo, che poteva inoltre

146

Uno dei padiglioni-tipo edificati prima

del 1939 nel qua-le si distinguono

le strutture architettoniche

destinate alle cure elioterapiche e, in copertura, le stazioni di arrivo della teleferica di

servizio

Page 77: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

avvalersi di una fitta rete assistenziale già esistente e

di una notorietà del luogo che, per certi versi, ne ga-

rantiva anche un successo economico. secondo una

relazione stilata dall’organizzazione antitubercolare

italiana, infatti, in provincia di sondrio nel 1937 esisteva-

no già 1.669 posti letto suddivisi in undici sanatori e una

casa di cura edificati a sondalo (sei realtà sanitarie), a

trevisio (tre sanatori), a Chiavenna, a morbegno e a ti-

rano, che possedevano un ospedale ciascuno. il baci-

no d’utenza di queste strutture era assai più ampio del

territorio provinciale, poiché i pazienti provenivano da

tutta la regione lombarda e da alcune località estere.

il successo era dovuto certamente alla perizia medi-

ca del personale incaricato ma anche alla notorietà

del professor eugenio morelli, originario di teglio, e alla

grande campagna pubblicitaria della climatoterapia

e dei metodi sanatoriali valtellinesi e, in particolare del-

la Casa di Cura di pineta di sortenna e del sanatorio

popolare umberto i di prasomaso.

l’incarico di progettare il nuovo complesso sanatoriale

fu affidato nei primi anni trenta a una équipe di tecnici

diretti dal professor eugenio morelli, alto Consulente per

l’organizzazione antitubercolare dell’inFps e docente

universitario ritenuto tra i maggiori esperti europei di

malattie polmonari. i suoi consigli e i suoi studi furono

il modello di riferimento per l’ufficio tecnico che si oc-

cupò fisicamente della progettazione architettonica e

del disegno della costruzione nei minimi dettagli sotto

la supervisione dell’ingegner mattiangeli. il suo opera-

to, tuttavia, fu la diretta applicazione delle concezioni

mediche di morelli, il quale, ad esempio, impose an-

che la forma dei nuovi edifici1. malgrado le numerose

trasformazioni avvenute nel corso degli anni Cinquan-

ta e sessanta, il complesso architettonico di sondalo

appare ancora oggi nella sua integrità progettuale.

pensato inizialmente per ospitare circa 3.000 degenti,

il villaggio sanatoriale fu edificato con otto padiglioni

per ammalati di forme polmonari, un padiglione per

malati soggetti a trattamenti chirurgici e da nove fab-

bricati eterogenei destinati ad accogliere gli alloggi di

parte del personale, la chiesa e alcuni servizi fonda-

mentali. Data la particolarità delle malattie da curare

e la conformazione del terreno, la scelta obbligata per

la forma architettonica fu quella dei padiglioni separa-

ti, collegati tra loro da una fitta rete viaria interna, con

uno sviluppo complessivo di circa undici chilometri. i

padiglioni, inoltre, potevano costituire delle unità sani-

tarie perfettamente autonome con servizi di diagnosi

e di cura indipendenti.

le convinzioni mediche del professor morelli e le ca-

147

1 Tra i differenti principi architettonici di Eugenio Morelli uno dei principali era la necessità di avere strutture rettilinee. Nel volume che raccoglie i suoi scritti curato dalla Federazione Italiana Contro la Tubercolosi si può infatti leggere: “Per eliminare una lunghezza eccessiva dei fabbricati, per dare un certo movimento alla massa, talvolta per diminuire i colpi di vento, i sanatori anzi-ché svolgersi in una linea retta, sono arcuati o angolari. Ne deriva che la disposizione delle camere e delle verande, se sarà buona da un lato, lo sarà meno dall’altro: ma quanto più importa dal punto di vista disciplinare è che ciò apporta enorme diminuzione di sorveglianza […] è per questa ragione che, sacrificando un po’ l’estetica, noi abbiamo costruito sanatori in linea completamente retta” (Cfr. Eugenio Morelli, Contributi di pneumotisiologia in onore di Eugenio Morelli, Federazione Italiana Contro la Tubercolosi, Roma, 1956, p. 98).

Page 78: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

pacità organizzative dell’ingegner mattiangeli spinse-

ro per la creazione di un padiglione tipo di otto piani

di altezza, capace di ospitare 300 posti letto. al primo

piano furono collocati i magazzini, la centrale termica

e gli alloggi del personale di fatica, mentre al primo

piano furono inseriti il soggiorno per i degenti, la pic-

cola cappella privata del padiglione, il refettorio per

gli ammalati e la cucina sussidiaria, successivamente

ampliata e divenuta la vera cucina per il servizio di

tutti i ricoverati all’interno del padiglione. al terzo pia-

no si trovavano gli uffici di direzione, le sale per le visite

e le cure mediche e i laboratori di analisi, mentre nei

piani superiori si sviluppavano i differenti reparti di de-

genza, ognuno dei quali originariamente costituiti da

sette camerate da sei letti, sei camere da due letti e

alcuni locali di servizio. ogni padiglione, inoltre, possie-

de ancora oggi delle “sopraelevazioni” nei quali erano

previsti gli alloggi per gli addetti all’assistenza sanitaria.

ogni aspetto fu attentamente studiato e dibattuto e

persino il numero dei letti seguì attente logiche legate

a parametri economici e alla morale sanitaria allora in

auge. Dagli otto padiglioni tipo si discosta la struttura

architettonica destinata ad accogliere la chirurgia, un

edificio di sei piani oltre la consueta sopraelevazione,

in cui fu realizzato il reparto di isolamento infantile, il re-

parto chirurgico attrezzato e autonomo e alcune sale

ortopediche. al primo piano del padiglione si trovava-

no la centrale termica, gli alloggi per il personale sa-

nitario, le scuole destinate a ospitare i bambini malati

ricoverati e un grande salone per la ricreazione. il se-

condo e il terzo piano, invece, ospitavano le camerate

senza verande destinate al ricovero degli adulti senza

gravi patologie respiratorie, che potevano effettuare

le loro cure elioterapiche direttamente sulla terrazza

del padiglione. i due piani superiori accoglievano le

stanze per i bambini che si affacciavano anche su una

148

Particolari delle arcate delle infrastrutture viarie interne di collegamento tra i differenti padiglioni

Page 79: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

veranda continua, nella quale i pazienti potevano fare

piccole passeggiate. il sesto piano era composto dalle

stanze per i degenti adulti con gravi patologie medi-

che, i cui ambienti di degenza erano dotati di ampie

verande posteriori.

per garantire efficienza al villaggio ospedaliero i pro-

gettisti avevano ideato un vasto edificio in cui con-

densare i servizi generali, dotato di magazzini per

alimentari e beni mobili, cantine, lavanderia, guar-

daroba, forno per il pane, celle frigorifere, cucine,

laboratori scientifico-farmacologici e gli alloggi per

i medici, gli impiegati e le suore. Questo padiglione

era dotato anche di teleferiche che lo collegavano

ai singoli padiglioni, ai quali poteva inviare i cibi cotti,

la biancheria disinfestata e tutto ciò di cui le cure sa-

nitarie necessitavano.

Con molte difficoltà tecnico-ingegneristiche nel 1939

il villaggio era concluso e, benché privo degli arredi

e delle strutture accessorie, fu consegnato all’inFps.

lo scoppio della seconda Guerra mondiale impedì la

sua immediata apertura e a presidiare la struttura ri-

mase un numero esiguo di operai e dei giardinieri, che

trasformarono simbolicamente la aiuole interne in orti

di guerra coltivando patate e tabacco. nel 1941 fu ri-

vista la decisione di attendere qualche anno prima di

aprire l’ospedale ai pazienti e accordi in tal senso ven-

nero stipulati con la Croce rossa italiana. i primi lavori

per aprire il sanatorio iniziarono solamente nell’estate

del 1943 allorquando tutto si arrestò nuovamente per

la paura che il complesso fosse occupato dalle truppe

militari tedesche. evento che si verificò l’anno succes-

sivo, quando i tedeschi aprirono tre padiglioni per la

cura di un numero esiguo di soldati e approntarono

un padiglione per i militari della luftwaffe mai giunti a

sondalo. a loro si deve anche la prima trasformazione

della cucina centrale che non entrò mai in funzione,

poiché i macchinari furono smembrati e collocati nelle

cucine dei singoli padiglioni.

Queste non furono le uniche trasformazioni d’uso cau-

sate dalla seconda Guerra mondiale che procurò

anche alcuni danni alle strutture in ragione di un bom-

bardamento aereo da parte degli alleati. Dall’estate

del 1943 all’estate dell’anno successivo, inoltre, la citta-

della sanitaria divenne un importante deposito di beni

artistici provenienti dall’accademia Carrara di ber-

gamo, dai musei bresciani e dalle sedi milanesi della

pinacoteca di brera, dell’ambrosiana, dei musei Civici

del Castello sforzesco, della villa reale, del museo pol-

di pezzoli, del museo teatrale della scala, dell’archivio

storico Civico e della biblioteca trivulziana. terminato

il periodo bellico per la struttura sanatoriale iniziò una

nuova fase nel 1946, quando vennero ospitati i pazien-

ti nel primo padiglione aperto, capace di contenere

270 degenti. Contemporaneamente vennero arreda-

ti e aperti gli altri padiglioni, effettuando i lavori che

si conclusero nel 1949, quando si ebbe la completa

apertura del complesso architettonico e la possibilità

di ospitare oltre 2.500 degenti. negli anni seguenti la

struttura fu oggetto anche di importanti testimonian-

ze storico letterario-giornalistiche come quelle lasciate

149

Page 80: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

da egidio Corradi2 o quelle raccolte da saverio luzzi3

nella sua storia della sanità italiana.

nei decenni successivi il sanatorio acquistò sempre più

la sua importanza nel panorama scientifico e medico

europeo connesso alle cure polmonari, fino a costitu-

irsi come centro di eccellenza della sanità lombarda.

nata come la cittadella sanatoriale autosufficiente

più grande d’europa con una storia cantieristica senza

uguali in ambito sanitario4, oggi rappresenta un com-

plesso monumentale vincolato dalla belle arti per il suo

interesse architettonico di livello europeo, che ospita

numerosi reparti, tra i quali: anatomia patologica, ane-

stesia e rianimazione, broncopneumotisiologia, cardio-

logia, chirurgia (generale, toracica e vascolare), ema-

tologia, fisiopatologia respiratoria, medicina (generale

e dello sport), neurochirurgia, neurologia, ortopedia,

ostetricia e ginecologia, pediatria, radiologia e urolo-

gia, ai quali sono da aggiungere un importante pronto

soccorso, l’unità spinale e i reparti per la riabilitazione

funzionale, cardiologica, ortopedica e pneumologica.

2 Tra le tante testimonianze letterarie del Villaggio Sanatorio di Sondalo quella lasciata da Egisto Corradi nel 1952 sulle pagine del Corriere della Sera rimane forse una delle più significative della seconda metà del secolo. Riferendosi a questa struttura sanitaria sul quotidiano milanese egli infatti scriveva: “A qualche misterioso stabilimento o laboratorio od officina segreta pensa subito chi si trova a percorrere di notte la strada Tirano-Bormio. Sulla sinistra, là dove i contrafforti montuosi formanti la valle leggermente si aprono, migliaia di lumi si accendono d’improvviso nel nero velluto delle abetine e delle pinete […] Chi si trova ad osservare questo spettacolo non può non pensare vagamente a misteriose città del futuro, non può non pensare anche per un solo attimo di essere capitato furtivamente sotto le guardate mura di una città atomica”.3 Cfr. Saverio Luzzi, Salute e sanità nell’Italia repubblicana, Donzelli editore, Roma, 2004.4 Per la sua realizzazione si sono dovuti risolvere numerosi problemi connessi all’apertura di apposite cave per l’approvvigionamen-to di materiali lapidei, alla creazione di due cantieri ausiliari collegati al futuro sanatorio con due apposite teleferiche, alla costru-zione di una polveriera capace di ospitare oltre 45 quintali di dinamite, 10 quintali di polvere da sparo e 5.000 capsule detonanti, a una nuova rete elettrica ad alta tensione di 10.000 Walt, alla costruzione di una centrale per la produzione e distribuzione di aria compressa sei atmosfere e alle ingenti opere idrauliche connesse al potenziamento della portata di una derivazione del torrente Rio, alla costruzione di un serbatoio di 120 mc e all’allacciamento all’acquedotto comunale. Per gli aspetti cantieristici e organizzativo-gestionali del Villaggio sanatoriale si rimanda a: Daniele Castiglioni, Il “Cantiere” di Sondalo, in “ Rassegna di Architettura”, anno XII, n. 11, pp. 315-318.

150

Particolare di due padiglioni dell’ospedale inse-riti nello splendido scenario naturale

Page 81: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

151

Interno di uno dei padiglioni-tipo

Page 82: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

L’Azienda Ospedaliera di Circolo Fondazione Macchi di Varese di Ferdinando Zanzottera

SCheda 13 nella zona periferica della città, di fronte alle splen-

dide colline che chiudono il lago di varese e degra-

dano verso la pianura, sorge il complesso ospedaliero

di Circolo. pur connettendosi alla storia plurisecolare

della sanità cittadina, la struttura architettonica di

questo ospedale ha poco più di cento anni. Gi av-

venimenti che hanno condotto alla sua edificazione

risalgono, principalmente, al primo decennio del XX

secolo, quando la Cassa di risparmio delle province

lombarde nella seduta del 5 febbraio del 1903 san-

civa la sua volontà di destinare ingenti capitali per

contribuire al riammodernamento e al rifacimento di

numerose strutture nosocomiali lombarde. “la que-

stione ospedaliera – scriveva il comitato esecutivo

della Cassa di risparmio – si presenta invero grave e

complessa. sono noti i gravi disagi in cui si trovano og-

gidì tanti ospedali per le ristrettezze dei mezzi, di fron-

te alle imperiose esigenze dell’igiene e della scien-

za medico-chirurgica […] i fabbricati monumentali

tendono a essere sostituiti mano mano da padiglioni

isolati posti in località salubri, lontani dagli abitati ed

infine, con elevato sentimento umanitario, non ostan-

te le difficoltà tecniche che si frappongono, si invoca

il decentramento dei grandi ospedali per impedire i

grandissimi inconvenienti che derivano dall’affolla-

mento dei ricorrenti e del trasporto degli ammalati

dimoranti in lontani comuni”1.

l’occasione di ottenere un contributo per migliorare

il sistema ospedaliero cittadino fu dunque positiva-

mente accolto dall’amministrazione locale e, soprat-

tutto, dal presidente della Congregazione di Carità

che gestiva la struttura sanitaria. il 30 maggio del

1905, dunque, fu deliberata la costruzione di un nuovo

edificio la cui progettazione fu affidata il 19 gennaio

del 1907 a una commissione composta dall’ingegner

paolo molina, dall’ingegner enea torelli, da riva rocci

152

1 Cfr. G. Bagaini, L’Ospedale di Varese dalle origini alla costituzione in ospedale di circolo, Officine grafiche “Esperia”, Milano, s.d. ma 1990, pp. 35-36.

Le cortine murarie della

nuova struttura ospedaliera e

l’inedito rappor-to con la maglia urbana esistente

Page 83: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

e dal professor scipione. nello stesso mese dell’anno

successivo il progetto architettonico e il piano finan-

ziario erano completati e furono presentati ottenen-

do grandi consensi per l’adesione ai più avanzati cri-

teri sanitari.

matrice spaziale del nuovo progetto era l’ospedale

vittoria di belfast, progettato nel 1901.

per maggior sicurezza il progetto fu fatto visionare

al professor Golgi e all’ingegner riccardo bianchini,

codirettore della rivista l’Ingegneria Sanitaria, il qua-

le, pur apportando alcune modifica al disegno, nel

1908 dichiarò che ogni dettaglio era stato studiato

con “molto amore” e che alcune difficoltà d’indole

tecnica erano state superate con “genialità di con-

cezione”.

progettato come un ospedale a padiglioni il noso-

comio di varese possedeva un’architettura centrale

principale in cui erano stati condensati i servizi gene-

rali, le abitazioni del personale e le camere dei pensio-

nati, ai fianchi del quale si addossavano il padiglione

medico e il padiglione chirurgico, con una capacità

ricettiva di 200 posti suddivisi in 14 infermerie allineate

su un unico piano. a inframmezzare i padiglioni dal

corpo centrale i progettisti posero le sale operatorie e

i locali di cura. il padiglione centrale, inoltre era carat-

terizzato da un’ampia veranda vetrata che ancora

oggi corre su tutta la fronte dell’edificio raggiungen-

do i 200 meri di lunghezza.

iniziati i lavori, il progetto fu realizzato con celerità e il

24 ottobre del 1910 si diede inizio ai trasferimenti de-

153

Particolare del ponte aereo di collegamento tra la nuova struttu-ra architettonica ospedaliera e il nucleo centrale dei padiglioni originari

Page 84: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

gli ammalati dalla vecchia sede ospedaliera. Questa

storica struttura emerge ancora oggi all’interno del

tessuto edilizio della nuova città della salute di varese

che, con il passare dei decenni, oggi può contare su

33 strutture architettoniche con differenti dimensioni

e caratteristiche tecniche, una superficie coperta di

quasi 72.000 mq e un volume superiore ai 320.000 mc.

all’interno del complesso ospedaliero, infatti, oggi si

conservano ancora il nucleo originario costruito nel

primo decennio del XX secolo, l’antica villa tamagno,

annessa all’ospedale in epoca successiva, la sede

degli uffici amministrativi e di rappresentanza, e i nu-

merosi padiglioni che si sono costruiti nel corso della

prima metà del secolo. tra questi: il padiglione dei tu-

bercolotici, progettato dall’ingegner riccardo bozzoli

e dall’ingegner aurelio G. bianchi nel 1927-1928; il pa-

diglione per i servizi batteriologici, progettato dall’in-

gegner bianchi nel 1927; il padiglione per i contagiosi,

disegnato dall’ingegner bianchi nel 1928-1930; il pa-

diglione di anatomia patologica e l’obitorio, ideati

dall’ingegner bianchi insieme all’arch. Federico tala-

mona nel 1928-1929; i due edifici per la maternità e

l’infanzia, progettati dall’ingegner bianchi e l’archi-

tetto talamona nel 1932. sopralzi degli edifici esistenti

e nuovi fabbricati furono edificati dal 1948 al 1970,

occupando nella progettazione l’ingegner Carlo Feli-

ce niada, il geom. luciano Carcano, l’arch. Giuseppe

noris, l’architetto Franco niada, l’ingegner arturo bra-

ga, l’ingegner alberto ronzani, l’ingegner Giuseppe

154

Particolare del cromatismo e delle texture murarie interne impiegate nella nuova struttura architettonica

Page 85: Il patrimonio edilizio degli ospedali  lombardi

scaini, l’ingegner massimo allevi e l’architetto ludovi-

co barbiano di belgioiso2.

oltre a questi padiglioni l’azienda ospedaliera di Cir-

colo Fondazione macchi di varese oggi può conta-

re su un’innovativa struttura terminata in questi ultimi

anni. il progetto non si è limitato alla nuova realizzazio-

ne ospedaliera, ma ha ricercato una razionale orga-

nizzazione sanitaria dell’intera struttura, perseguendo

l’ottimizzazione dei percorsi interni e la concentra-

zione delle attività chirurgiche, delle aree funzionali

omogenee delle degenze, degli studi medici e delle

attività didattiche. i progettisti, inoltre, hanno amplia-

to alcuni settori quali la terapia intensiva e la medici-

na legale e hanno riorganizzato le attività di pronto

soccorso. per raggiungere questi scopi hanno com-

piuto alcune demolizioni e hanno ideato nuovi edifici

ospedalieri articolati in un unico complesso architet-

tonico di nove piani, di cui sette fuori terra, dotato di

un eliporto alla sua sommità e di una superficie lorda

pavimentale di quasi 60.000 mq. il nuovo complesso

è basato su una “grande piastra servizi” concentrati

nei primi tre piani dell’edificio, due piani sotterranei e

il piano terreno. nella parte inferiore sono collocati gli

elementi tecnologici, i blocchi operatori e gli ambienti

specializzati nella diagnostica, mentre nel piano terre-

no sono stati ricavati gli ingressi principali all’intera cit-

tadella ospedaliera, il pronto soccorso, gli studi medi-

ci, alcune attività commerciali, il baby parking, il bar e

la chiesa, non ancora completata in tutti i suoi aspetti

decorativi. nei piani superiori alla piastra, la struttura

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2 Per una puntuale ricostruzione storico-architettonica dei singoli padiglioni si rimanda a: G. Bagaini, L’Ospedale di Varese dalle origini alla costituzione in ospedale di circolo, Officine grafiche “Esperia”, Milano, s.d. ma 1990; E. Anklam, G. Armocida (a cura di), Medicina e ambiente, Atti del XXXVIII Congresso Nazionale della Società Italiana di Storia della Medicina, Ispra-Varese-Cuveglio, 16-19 ottobre 1997, Ispra, 1999; Marina Cavallera, Angelo Giorgio Ghezzi, Alfredo Lucioni (a cura di), I luoghi della carità e della cura. Ottocento anni di storia dell’Ospedale di Varese, Atti del convegno dell’omonimo Convegno organizzato dal Centro Culturale Massimiliano Kolbe e dall’Ospedale di Circolo e Fondazione MACCHI, Varese, 11 ottobre 1997, Franco Angeli, Milano, 2002.

Spazio distributi-vo antistante gli ascensori centrali dei nuovi padiglioni ospedalieri

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architettonica si sviluppa planimetricamente con due

edifici paralleli, blocco chirurgico e blocco medico,

raccordati da un edificio di minori dimensioni, nel quale

fondamentale studio è stato assegnato ai percorsi oriz-

zontali e verticali dei pazienti, dei visitatori e del perso-

nale sanitario. i progettisti hanno cercato di creare de-

gli spazi “a scala umana” capaci di ridurre l’estraneità

dell’ambiente ospedaliero. un ampio ingresso con una

reception luminosa, accogliente e tecnologicamen-

te avanzata costituisce il primo approccio dell’utente

con la realtà ospedaliera, che non smentisce la scel-

ta di creare dei volumi ariosi, vetrati e particolarmente

ampi in tutte le realtà destinate al pubblico e negli atri

dei singoli reparti. le camere per i degenti, a due letti,

possiedono ampi standard qualitativi, ricercati anche

negli ambienti riservati all’attività del personale para-

medico, la cui matrice spaziale è da ricercare nella cul-

tura architettonica ospedaliera americana e di alcune

nazioni asiatiche. per meglio realizzare il nuovo modello

di nosocomio, si sono ripensati i percorsi pedonali e car-

rabili dell’intera struttura e, in particolare, si è realizzato

un tunnel sopraelevato che relaziona la nuova struttura

ospedaliera con il padiglione centrale d’inizio secolo.

nel processo di risistemazione notevole importanza è

stata assegnata alla sistemazione del verde, esistente e

progettato, al fine di realizzare ambienti con standard

qualitativi migliori, relazionare il nuovo intervento con il

contesto paesaggistico limitrofo e interfacciare la città

dei malati con la città dei sani.

i progettisti hanno riservato particolari cure anche allo

studio dei materiali di finitura e dei paramenti mura-

ri esterni, realizzati essenzialmente con tavelle in cotto

montate a secco su una sottostruttura metallica ca-

pace di armonizzarsi con il contesto architettonico nel

quale l’ospedale è inserito. il cromatismo degli intonaci

interni, invece, è stato studiato per creare interessanti ef-

fetti chiaroscurali e per contribuire favorevolmente alla

percezione psicologia degli ammalati e dei visitatori.

la flessibilità e la reversibilità delle suddivisioni interne è

stato un altro elemento progettuale ampiamente ricer-

cato, che ha anche condotto i progettisti a prediligere

una maglia strutturale modulare unica di 7,20x7,20 m. le

divisioni interne, inoltre, sono state per la maggior parte

realizzate con partizioni leggere costruite a secco, che

offrono la certezza che nei prossimi anni la struttura po-

trà essere modificata con costi ridotti e con interventi

non invasivi.

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Il gioco dei pieni e dei vuoti della nuova struttura architettoni-ca. Sulla sommità dell’edificio si intravede l’eliporto, collegato con le strutture di primo intervento e del pronto soccorso.

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Spazio distributivo realizzato in tutti i padiglioni della nuova struttura architettonica

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Finito di stampare nel dicembre 2008