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LA SOMMINISTRAZIONE SOMMARIO: 1. Generalità. 2. Somministrazione e figure affini. 2.1. Sommi- nistrazione e vendita. Differenze. 3. Oggetto della somministrazione: le prestazioni periodiche o continuative di cose. 3.1. Entità delle prestazioni. 3.2. Termine delle prestazioni. 4. L’impossibilità della prestazione. – 5. Mancata o inesatta esecuzione della prestazione. 6. Risoluzione per ina- dempimento. 7. Sospensione dell’esecuzione. – 8. Il patto di preferenza. 9. Il patto di esclusiva. 10. Fallimento e somministrazione. 11. Tutela cautelare del somministrante. 12. Tutela cautelare del somministrato. 13. Danni risarcibili. 14. Somministrazione e casistica. 14.1. Somministra- zione di acqua potabile. 14.2. Utenza telefonica. 14.3. Somministrazione di energia elettrica. 1. Generalità. Legislazione: c.c. 1559, 1562, 1570. Bibliografia: Giannattasio 1974 Oppo 1992. L’art. 1559 c.c. definisce somministrazione il contratto “con il qua- le una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di cose”. Si tratta dunque di un contratto di scambio, al pari della vendita, ma da questa se ne distacca in virtù del proprio dato caratterizzante costituito della periodicità e/o ripetitività delle prestazioni di consegna a carico del somministrante, e dunque diverso dalla logica dello scam- bio istantaneo rappresentativo della vendita. Come osserva la giurisprudenza, «la somministrazione, nel tipo delineato dall'art. 1559 c.c., si individua come contratto di scambio (e, quindi, quanto meno bilaterale) di durata, ad esecuzione continuata, che si caratterizza come negozio unitario pur nel ripetersi degli atti di esecuzione» (Cass. Civ., Sez. I, 6.10.1995, n. 10521, MGC, 1995, fasc. 11). In quanto contratto di durata e ad esecuzione continuata, nella somministrazione l’esecuzione delle prestazioni si protrae nel tempo

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LA SOMMINISTRAZIONE

SOMMARIO: 1. Generalità. – 2. Somministrazione e figure affini. – 2.1. Sommi-nistrazione e vendita. Differenze. – 3. Oggetto della somministrazione: le prestazioni periodiche o continuative di cose. – 3.1. Entità delle prestazioni. – 3.2. Termine delle prestazioni. – 4. L’impossibilità della prestazione. – 5. Mancata o inesatta esecuzione della prestazione. – 6. Risoluzione per ina-dempimento. – 7. Sospensione dell’esecuzione. – 8. Il patto di preferenza. – 9. Il patto di esclusiva. – 10. Fallimento e somministrazione. – 11. Tutela cautelare del somministrante. – 12. Tutela cautelare del somministrato. – 13. Danni risarcibili. – 14. Somministrazione e casistica. – 14.1. Somministra-zione di acqua potabile. – 14.2. Utenza telefonica. – 14.3. Somministrazione di energia elettrica.

1. Generalità.

Legislazione: c.c. 1559, 1562, 1570.

Bibliografia: Giannattasio 1974 – Oppo 1992.

L’art. 1559 c.c. definisce somministrazione il contratto “con il qua-

le una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di cose”.

Si tratta dunque di un contratto di scambio, al pari della vendita, ma da questa se ne distacca in virtù del proprio dato caratterizzante costituito della periodicità e/o ripetitività delle prestazioni di consegna a carico del somministrante, e dunque diverso dalla logica dello scam-bio istantaneo rappresentativo della vendita.

Come osserva la giurisprudenza, «la somministrazione, nel tipo delineato dall'art. 1559 c.c., si individua come contratto di scambio (e, quindi, quanto meno bilaterale) di durata, ad esecuzione continuata, che si caratterizza come negozio unitario pur nel ripetersi degli atti di esecuzione» (Cass. Civ., Sez. I, 6.10.1995, n. 10521, MGC, 1995, fasc. 11).

In quanto contratto di durata e ad esecuzione continuata, nella

somministrazione l’esecuzione delle prestazioni si protrae nel tempo

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soddisfacendo così i bisogni (o meglio, gli interessi dei contraenti) in modo continuativo, e non invece alla fine del rapporto, come in altre fattispecie.

«La durata dell’esecuzione dà luogo ad una molteplicità di atti di esecuzione di-stanziati nel tempo (esecuzione periodica) o ad un comportamento protratto per un certo tempo» (Giannattasio 1974, 207). Come insegna autorevole dottrina, ciò che caratterizza i contratti di

durata è la corrispondenza della durata alla soddisfazione di un inte-resse durevole, quindi l'inerire della durata alla funzione del contratto, nel senso che l'utilità che le parti si ripromettono dal contratto è rela-tiva alla durata del rapporto. Onde la durata stessa non è subìta dalle parti ma è voluta da esse in quanto “l'utile del rapporto è alla durata proporzionale” (Oppo 1992, 221): detto altrimenti, in tanto vi è l’interesse alla somministrazione, in quanto le prestazione vengano e-seguite periodicamente o in un determinato momento.

È proprio la periodicità del fabbisogno del consumatore a caratte-rizzare la somministrazione, la quale implica una pluralità di presta-zioni a carattere periodico (art. 1562, I co., c.c.), nel qual caso cia-scuna prestazione può essere considerata una vendita, tanto che il prezzo è corrisposto all’atto di ciascuna prestazione ed in proporzione di essa (e a ciascuna delle prestazioni sono applicabili i principi della vendita) ovvero continuativo (art. 1562, II co., c.c.), nel qual caso il contratto, pur nella sua unitarietà, si scinde in tanti periodi di tempo (settimana, mese, anno, ecc.) ed il prezzo viene pagato secondo le scadenze d’uso (ogni settimana, ogni mese, ogni anno, ecc.).

Se quelli sinora evidenziati costituiscono gli aspetti della sommini-strazione che, in quanto pregnanti e peculiari di questa fattispecie con-trattuale, devono sempre essere presenti, per quanto riguarda invece le prestazioni concretamente deducibili nel contratto, vi è un’enorme va-rietà.

L’art. 1570 c.c. stabilisce infatti che la disciplina applicabile alla somministrazione sia quella risultante dalla combinazione tra la nor-mativa dettata per questo tipo contrattuale e quella dei contratti a cui corrispondono le singole prestazioni. Quanto disposto dagli articoli 1559 – 1570 c.c. costituisce dunque solo una sorta di “regolamenta-

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zione quadro” del contratto di somministrazione, da completarsi poi, ad opera delle parti, con riferimento sostanziale alle specifiche presta-zioni dedotte in contratto: così, ad esempio, il contratto avente per oggetto prestazioni periodiche o continuative di servizi sarà disciplina-to dalle norme relative al contratto di appalto e da quelle relative al contratto di somministrazione.

Tale flessibilità nella regolamentazione della somministrazione comporta dunque il necessario richiamo alla disciplina dei singoli con-tratti speciali, anche per ciò che concerne gli aspetti relativi all’inadempimento alle obbligazioni derivanti dal contratto.

2. Somministrazione e figure affini.

Legislazione: c.c. 1564, 1570.

Bibliografia: Giannattasio 1974 – Cagnasso 2000.

All’interno del tipo “somministrazione” è possibile individuare al-

cuni sottotipi, con riferimento: i) alla natura del soggetto somministrato, per cui è possibile distin-

guere tra somministrazioni private e forniture pubbliche: a queste ul-time si applica la disciplina generale di diritto privato, fatte salve le de-roghe contenute nella normativa pubblicistica;

ii) all’oggetto del contratto: si distingue, dunque, tra somministra-zione di consumo (altrimenti detta “traslativa” o “di scambio”) e somministrazione d’uso (o di godimento). La prima ipotesi si ha quando devono essere consegnate reiteratamente determinate cose, di cui il somministrato acquista o può aver acquistato la proprietà; nella seconda, invece, al somministrato viene attribuito un semplice diritto personale di godimento: la consegna reiterata riguarda infatti determi-nate cose che una volta utilizzate, dovranno essere individualmente restituite.

Circa la possibile varietà delle prestazioni deducibili in contratto, la dottrina e la giurisprudenza hanno qualificato come somministrazio-ne, tra gli altri: - il contratto di distribuzione di acqua (Cass. Civ., 27.1.1978, FI, 1978, I, 2850);

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- il contratto di fornitura del servizio di depurazione delle acque re-flue, assimilabile a quello di acqua potabile (GdP Centurie, 14.11.2001, GPac, 2002, 221); - la fornitura periodica di combustibile di varia specie (gas, benzina) (Cottino 1970, 111); - il contratto di distribuzione di energia elettrica (Cass. Civ., 21.3.1985, n. 2069, RFI, 1985); - il contratto di utenza telefonica (Cass. Civ., Sez. UU, 29.11.1978, n. 5613, RGC, 1978);

- il contratto di catering (Cons. Stato, Sez. V, 17.1.2000, n. 289, se-condo cui è contratto di somministrazione ex art. 1559 c.c. e non ap-palto di servizi il rapporto tra un Comune e un’impresa di catering che ne sia incaricata di fornire un determinato numero di pasti preparati quotidianamente presso le cucine dell’imprenditore e consegnati ai di-versi plessi scolastici per sopperire alle esigenze della refezione scola-stica);

- il contratto con cui un Comune attribuisce ad una società l’incarico di progettazione, costruzione, manutenzione e collaudo de-gli impianti del gas, nonché l’incarico di fornitura di gas al medesimo Comune, configurabile come convenzione di diritto privato concer-nente la somministrazione del gas al Comune suddetto, previa esecu-zione delle attività e delle opere strumentali necessarie all’adempimento (Cass. Civ., Sez. UU, 17.11.1998, n. 11574, RFI, 1998, Concessioni amministrative, 45).

Tali assimilazioni al contratto di somministrazione non valgono invece con riferimento ad altri modelli contrattuali.

«Così l’appalto periodico di opere rientra pur sempre nell’appalto e può essere qualificato, a seconda delle circostanze, come appalto ad oggetto plurimo o co-me ripetizione dello stesso contratto. Così, in ipotesi di trasporto in abbonamen-to, trova applicazione la disciplina del contratto di trasporto. Così ancora, in ipo-tesi di assicurazione in abbonamento, trova applicazione la disciplina del con-tratto di assicurazione. Il carattere periodico o continuativo della prestazione di dare permette quindi di distinguere il tipo contrattuale vendita da quello somministrazione, mentre con riferimento ad altri tipi contrattuali (appalto di opere, trasporto, assicurazione, ad esempio), la disciplina del tipo sembra trovare applicazione sia in ipotesi di unica prestazione, sia in ipotesi di pluralità (o di continuità) di prestazioni» (Cagnasso 2000, 823).

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Ancora, non si è ravvisato un contratto di somministrazione, ma una figura contrattuale diversa, tipica o atipica:

- nel contratto relativo all’esecuzione di lavori da compiersi una tan-tum o anche in più volte con lavoro prevalentemente proprio e senza alcun vincolo di subordinazione rispetto al committente;

- nella fornitura ripetuta di lavori tipografici, qualificabile come ap-palto;

- nell’accordo mediante il quale un soggetto si accolla, nei confron-ti di una società, la trasformazione di materie prime in prodotti finiti, riservandosi la direzione dell’attività produttiva;

- nella fornitura giornaliera di generi alimentari presso lo stesso fornitore in quanto, quale che sia l’entità della fornitura ed anche se esista la prassi di pagare il prezzo a scadenze fisse, niente implica la sussistenza di una somministrazione, in quanto colui che si rifornisce è libero di cambiare da un giorno all’altro fornitore.

2.1. Somministrazione e vendita. Differenze.

Legislazione: c.c. 1564, 1570.

Bibliografia: Giannattasio 1974.

Tra le fattispecie che maggiori problemi creano all’interprete per le

numerose affinità con la somministrazione vi è la vendita. Nessuna incertezza sorge nella distinzione tra le due figure nella lo-

ro nelle loro strutture tipiche: la somministrazione è essenzialmente un contratto di durata, mentre la vendita è invece un contratto a pre-stazione istantanea.

La questione appare invece decisamente più complessa nell’ipotesi di vendita a consegne ripartite, che ricorre quando, in esecuzione di un’apposita clausola contrattuale, l’oggetto generico (nel senso di cui al successivo par. 3) del contratto viene consegnato in tempi diversi, suddiviso in parti o in frazione: la consegna ripartita e protratta nel tempo non incide, tuttavia, sull’oggetto del contratto che rimane co-stituito da un’unica prestazione.

Come osserva la giurisprudenza, il contratto sarà di compravendita se la (specificazione e) consegna in più tempi sia stabilita per realizza-

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re esigenze dell’alienante (maggiore facilità e comodità di esecuzione) (Cass. 27.1.1975, n. 327, MGC, 1975). Non ricorrendo tale circostan-za, occorrerà invece valutare i criteri stabiliti in contratto per determi-nare la quantità della prestazione, anche con riferimento al ruolo as-sunto, essenziale o meno, assunto dal fattore temporale, ossia analiz-zando se nel caso specifico vi sia l’interesse concreto ed attuale del beneficiario della prestazione a che questa venga eseguita entro o in un determinato momento.

Il contratto sarà di somministrazione (e non di vendita a consegne ripartite) se ed in quanto la pluralità di prestazioni periodiche di cose, pur derivanti da un’unica radice contrattuale, vengono consegnate in modo frazionato nel tempo, e ciò per corrispondere ad un fabbisogno periodico del somministrato, anche se nel contratto è indicata la quan-tità complessiva delle cose di cui si prevede che costui possa avere bisogno nel tempo di durata del rapporto (Cass. Civ., 4.7.1991, n. 7380, AC, 1991, 1124).

L’unicità della causa della somministrazione spiega anche la regola posta dall’art. 1564 c.c. secondo cui, in caso di inadempimento di una delle parti, relativo a singole prestazioni, la parte adempiente può chiedere la risoluzione del contratto che, tuttavia, essendo di durata non può che avere effetto ex tunc ai sensi dell’art. 1458 c.c.

Da osservare, infine, che nonostante la distinzione ribadita costan-temente tra vendita e somministrazione, relativamente alla disciplina applicabile, in diverse occasioni la giurisprudenza ha tuttavia ritenuto applicabili alla somministrazione norme dettate in tema di vendita, in particolare gli artt. 1492, 1494 e 1495 c.c., dettati in tema di vizi della cosa vendita venduta (Cass. 3.6.1976, n. 2001, MGC, 1976).

3. Oggetto della somministrazione: le prestazioni periodiche o continuative di cose.

Legislazione: c.c. 1559, 1560, 1655.

Bibliografia: Giannattasio 1974 – Cagnasso 2000 – Zuddas 2003.

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Le prestazioni cui è tenuto il somministrante possono avere un contenuto che varia da contratto a contratto, ma, in ogni caso, devo-no consistere nel mettere a disposizione dell’avente diritto alla som-ministrazione determinate cose, non già opere o servizi, che contrad-distinguono, invece, il contratto d’appalto (art. 1655)

Tali prestazioni, inoltre, devono essere periodiche o continuative di cose.

«Allorquando si parla di prestazioni continuative, il termine viene adoperato in un significato duplice e si fa quindi riferimento sia a quelle prestazioni che im-portano una reiterazione continuata di attribuzioni di utilità, sia a quelle che im-portano una attribuzione ininterrotta, la quale non implica necessariamente una ripetizione di comportamenti. La prima ipotesi si avrà allorquando devono esse-re somministrate cose individue, da sottoporre oppur non ad elaborazione, la seconda quando debbono essere somministrate cose individuate solo nel genere della quantità. Prestazioni periodiche sono invece quelle in cui si ha ripetizione di prestazioni ad intervallo di tempi costanti (ogni giorno, ogni settimana, ogni mese, ogni sta-gione estiva), o ad intervalli di tempo variabili secondo il fabbisogno del sommi-nistrato» (Giannattasio 1974, 255). Le prestazioni, inoltre, possono non essere omogenee sotto il pro-

filo quantitativo ex art. 1560 e/o qualitativo, come si desume dall’art. 1559 c.c.

Oggetto del contratto sono prestazioni di cose, determinate solo nel genere: le cose fornite periodicamente (o continuativamente) passano in proprietà del somministrato all’atto dell’erogazione o della consegna.

La stessa regola vale naturalmente per il passaggio dei rischi. Non si ritiene invece rilevante, ai fini del trasferimento della proprietà, l’individuazione della cosa. Le cose fornite o erogate possono essere mobili o immobili, possono consistere altresì in energie o in titoli di credito (e, in particolare, in titoli rappresentativi di merci) (Cagnasso 2000, 830).

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3.1. Entità delle prestazioni.

Legislazione: c.c. 1559, 1560.

Bibliografia: Giannattasio 1974 – Cagnasso 2000 – Zuddas 2003.

Le prestazioni oggetto del contratto di somministrazione devono

essere determinate o determinabili: possono essere determinate le sin-gole prestazioni o il loro complessivo ammontare.

Nell’ipotesi in cui non sia determinata l’entità della somministra-zione, a norma dell’art. 1560, I co., c.c., si intende pattuita quella cor-rispondente al normale fabbisogno della parte che vi ha diritto, avu-to riguardo al tempo della conclusione del contratto.

«Il concetto di normalità implica una variazione mantenuta in certi limiti che il somministrante ha potuto approssimativamente preventivare con l’aiuto dell’ordinaria diligenza (art. 1560, I co., c.c.). Il criterio interpretativo dell’art. 1560 si riferisce, però, alla quantità della dose da somministrare, ma non può va-lere anche per la quantità delle cose, in ordine alla quale è solo la volontà delle parti che può dettare la regolamentazione. La disciplina normativa postula la ne-cessità di soddisfare esigenze del somministrato sotto il profilo quantitativo, ma anche sotto quello delle preferenze e dei gusti di colui cui la cosa è destinata, per cui se le parti nulla hanno specificato al riguardo, non esiste un criterio legislati-vo che soccorra e non potrebbe il somministrato invocare la risoluzione del con-tratto per difformità dell’oggetto da quanto è imposto da una norma di legge» (Giannattasio 1974, 257).

Il normale fabbisogno del somministrato, ove non determinato,

deve essere comunque determinabile in via oggettiva: ove ciò non fosse possibile, il contratto sarebbe nullo per indeterminatezza dell’oggetto (Cass. Civ., 9.1.1970, n. 6, GI, 1971, I, 1500).

Riguardo alla determinazione della prestazione è possibile distin-guere tre ipotesi:

i) la somministrazione c.d. “a richiesta”, nella quale il somministra-to ha la facoltà discrezionale di richiedere o meno, per il se e per il quanto, la somministrazione;

ii) il caso in cui vi sia la determinazione, da parte del somministra-to, del quantitativo minimo e del quantitativo massimo del contratto;

iii) il caso in cui sia stabilito unicamente un quantitativo minimo di cose da fornire: in tale ipotesi, il fabbisogno del somministrato deter-mina comunque la misura della prestazione, cioè nel senso che il

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somministrato non può liberarsi pagando l’importo del minimo, ma deve ricevere la quantità di cose che gli occorrono in concreto e pa-garne il prezzo. Come osserva la dottrina, in questa ipotesi, il criterio del fabbisogno del somministrato opera non soltanto a carico del somministrante, ma anche a suo vantaggio (Giannattasio 1974, 257).

3.2. Termine delle prestazioni.

Legislazione: c.c. 1559.

Bibliografia: Giannattasio 1974 – Cagnasso 2000 – Zuddas 2003.

Altro aspetto rilevante che merita di essere analizzato in tema di

somministrazione è il termine delle prestazioni. Mentre nel caso di somministrazioni continuative, l’unico termine

che rileva è quello iniziale, nelle somministrazioni periodiche i termini di consegna possono non essere predeterminati e rimessi, entro certi limiti, alla determinazione del somministrato. In tali casi, però, il somministrante non può tenersi continuamente a disposizione del somministrato né essere costretto ad eseguire la prestazione nello stesso momento in cui all’altro contraente piacerà di richiederla, per cui la legge stabilisce che la data fissata dal somministrato per le singo-le prestazioni deve essere comunicata al somministrante entro con-gruo termine: la congruità non può fissarsi aprioristicamente e per tut-te quante le prestazioni, ma dipenderà dalla natura e dall’entità delle prestazioni e la sua valutazione, in caso di dissenso, spetterà, caso per caso all’autorità giudiziaria (Giannattasio 1974, 257).

Il termine pattuito per le singole prestazione deve presumersi convenuto sia nell’interesse del somministrante che dell’avente diritto alla somministrazione, e deve considerarsi essenziale obbiettiva-mente, per la natura e per l’oggetto del contratto, la cui utilità eco-nomica, avuta presente dalle parti nella stipulazione, andrebbe perduta per l’inutile decorso del termine stabilito. Così, il ritardo rende non più satisfattoria la prestazione alla quale la parte mirava con la stipula-zione, perché la natura e l’oggetto del contratto richiedono, obietti-vamente e necessariamente, che l’adempimento avvenga in un deter-minato tempo, al quale è collegato l’utilità economica della prestazio-ne.

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Qualora il termine sia essenziale non troverà applicazione il I comma dell’art. 1457 c.c., in forza del quale una parte non può richie-dere all’altra di eseguire comunque la prestazione entro tre giorni dalla scadenza del termine, posto che in tal momento lo scioglimento è au-tomatico.

4. L’impossibilità della prestazione.

Legislazione: c.c. 1218, 1256, 1463, 1464.

Bibliografia: Corrado 1963.

In quanto contratto di durata, la somministrazione, più di altre fat-

tispecie contrattuali, è esposta al rischio che la prestazione dedotta in contratto e da eseguirsi in un determinato momento ovvero una delle prestazioni periodiche di cui si è detto divengano impossibili oggetti-vamente a causa di eventi imprevisti e fortuiti.

In questi casi il debitore (somministrante) è liberato dall’obbligo di realizzare il risultato complessivo garantito (con le conseguenze previ-ste in via generale dagli artt. 1463 e 1464 c.c.).

«L’impossibilità e l’illiceità varranno per l’avvenire e non per il passato, poiché le prestazioni, che sono intervenute, avevano un valore economico e giuridico au-tonomo nei confronti della prestazione integrale e l’atto continuato di adempi-mento si risolve nei suoi singoli atti costitutivi già realizzati. Garantendo il rap-porto una prestazione complessa, integrata da singoli, autonomi e distinti atti di adempimento, l’irrealizzabilità della prestazione integrale e di alcuni degli atti, di cui consta, non può togliere valore agli altri atti, i quali abbiano soddisfatto inte-ressi distintamente considerati e protetti. Gli esempi non sono infrequenti: morte del somministratore o del somministra-to, quando eccezionalmente sia stata resa decisiva la persona del contraente per la permanenza del vincolo; la distruzione fortuita dell’opificio, quando si tratti di somministrazione di cose che debbano essere prodotte per conto del cliente e che non possano essere procurate per altra via tempestivamente (es., nel caso di somministrazione di energia elettrica); interventi legislativi molto frequenti nei periodi di crisi e di economia controllato (es.: divieto di somministrare energia elettrica per riscaldamento di abitazione per tutto il periodo di durata del con-tratto)» (Corrado 1963, 306).

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Nel diverso caso in cui per fatto non imputabile al debitore la pre-

stazione diventi impossibile per un certo periodo intermedio tra la sua costituzione e la sua estinzione o quando per un analogo periodo sia vietata da una disposizione eccezionale per esigenze di ordine pubbli-co, è dubbio se la disciplina applicabile sia quella dell’art. 1256, II co. c.c. o dell’art. 1464.

Data per presupposta la non imputabilità della causa dell’inadempimento al debitore, la risoluzione di tale questione pre-suppone la distinzione tra impossibilità

i) definitiva o temporanea e ii) impossibilità totale o parziale. Nel caso di impossibilità definitiva del singolo atto di adempimen-

to, il debitore è esonerato dal compierlo e da ogni responsabilità per inadempimento. L’onere della prova è tuttavia a suo carico (art. 1218 c.c.). Se l’impossibilità sia invece solo temporanea e non sussista la possibilità di un adempimento tardivo, il debitore è esonerato dalla responsabilità per inadempimento, ma sarà comunque tenuto ad a-dempiere, seppure tardivamente, purché la natura stessa della presta-zione, quale risulta dal titolo, giustifichi un adempimento tardivo ed il creditore abbia interesse a tale adempimento (art. 1256).

A tale ultima ipotesi fa riferimento una recente pronuncia del Tri-bunale di Napoli che ha condannato l’Enel al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in seguito ad un black out elettrico. Così testualmente:

«in caso di interruzione della somministrazione di energia elettrica, l'Enel, salvo che dimostri l'assenza di colpa per l'assoluta ed oggettiva impossibili-tà della prestazione, è responsabile nei confronti dell'utente, il quale ha per-tanto diritto al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali deri-vanti dall'inadempimento del contratto di somministrazione (nella specie, il tribunale ha condannato l'Enel al risarcimento del danno esistenziale, in conseguenza delle forti limitazioni allo svolgimento delle normali attività quotidiane, che l'utente ha subito per il black out, ed in relazione al genera-le senso di angoscia provocato da una prolungata attesa al ritorno della normalità).» (Trib. Napoli, 16.4.2007, Corriere del merito, 2007, 8-9, 1003).

Nelle ipotesi di cui al punto ii), se l’impossibilità riguarda la singola

prestazione nel suo complesso questa non è dovuta; se invece

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l’impossibilità non consenta la prestazione integrale, ma non impedi-sca per se stessa un adempimento parziale, troverà invece applicazio-ne l’art. 1464 c.c.: il debitore è cioè tenuto alla prestazione parziale, ma il debitore può comunque rifiutarla qualora non abbia un apprez-zabile interesse all’adempimento. Da parte sua, il creditore, nel primo caso, sarà tenuto ad una controprestazione proporzionalmente ridot-ta, nel secondo non dovrà invece effettuare alcuna controprestazione.

5. Mancata o inesatta esecuzione della prestazione.

Legislazione: c.c. 1559, 1562.

Bibliografia: Zuddas 2003.

In caso di mancata o inesatta esecuzione della prestazione sono

utilizzabili nella somministrazione i normali rimedi contrattuali previ-sti dal codice civile.

«L’inadempimento può costituire talvolta anche un illecito penale. Ciò non mu-ta, ovviamente, i profili civilistici relativi all’azione risarcitoria ma, al più rende ancor più grave la posizione della parte inadempiente. La legge penale sanziona, infatti, tutte le frodi in danno della p.a., quali che siano gli schemi contrattuali in forza dei quali i fornitori sono tenuti a particolari pre-stazioni, in quanto la condotta materiale punibile consiste in una qualsiasi ina-dempienza posta in essere volontariamente nella pubblica fornitura: il reato si consuma nella somministrazione bastando a concretizzarlo l’inadempimento do-loso che attenga alla quantità o alle qualità non essenziali della prestazione dovu-ta» (Zuddas 2003, 126). La giurisprudenza ritiene attinente all’inesatta esecuzione della pre-

stazione dedotta in contratto l’errore di misurazione delle forniture effettuate, da cui deriverebbe poi un errore di fatturazione. L’unica conseguenza di tale situazione è costituita dalla possibilità di pretende-re la corresponsione della parte non percepita (ovvero la restituzione della parte corrisposta in eccedenza), oltre ad un indennizzo nei limiti del giustificato arricchimento.

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«Con riguardo al contratto di somministrazione (nella specie, di energia elettri-

ca), l'errore di fatturazione nel quale sia in corso il somministrante nell'indica-zione del corrispettivo nella relativa bolletta, attenendo non alla formazione del consenso ma all'esecuzione del contratto, non ne comporta l'annullabilità, inci-dendo solo sull'entità della prestazione pretesa dal creditore, al quale è, pertanto, consentito di rettificare la richiesta divergente dai dati reali e di pretendere la parte del corrispettivo non percepita e non soltanto un indennizzo nei limiti dell'ingiustificato arricchimento del destinatario della somministrazione» (Cass. Civ., Sez. III, 16.7.2002, n. 10285, MGC, 2002, 1231).

La mancata o errata misurazione delle forniture (rectius consumi) da

parte del somministrante, dipendente da guasto degli apparecchi di misurazione non esonera il somministrato dall’obbligo contrattuale, ex art. 1562, I co., c.c. (a prescindere, quindi, da espressa previsione nel contratto), di pagare il quantitativo di energia la cui consistenza risulti accertata con metodo scientifico e coerenza logica in riferimento alla natura e all’epoca dell’insorgenza del guasto suddetto, nonché alla mi-sura dei consumi di energia non registrati e quindi non pagati (Trib. Reggio Emilia, 11.10.1980, RGEnel, 1981, 653). Sull’importo così de-terminato, va poi aggiunto quanto il somministrante abbia subito a ti-tolo di maggior danno, come conseguenza del diminuito potere di ac-quisto della moneta e sulla somma complessiva rivalutata decorrono gli interessi legali dalla data della domanda fino al saldo.

6. Risoluzione per inadempimento.

Legislazione: c.c. 1453, 1455, 1458, 1564.

Bibliografia: Giannattasio 1974.

L’art. 1564 c.c., dispone che “in caso di inadempimento di una del-

le parti relativo a singole prestazioni, l’altra può chiedere la risoluzione del contratto, se l’inadempimento ha una notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimen-ti”.

La giurisprudenza evidenzia inoltre che la somministrazione ha causa unica: ciò spiega dunque la regola posta dall’articolo appena ri-chiamato secondo cui, in caso di inadempimento di una delle parti,

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relativo a singole prestazioni, la parte adempiente può chiedere la riso-luzione del contratto che, tuttavia, in quanto trattasi di contratto di durata, non può che avere effetto ex nunc ai sensi di quanto disposto dall’art. 1458 c.c.

In base all’art. 1564 c.c., la risoluzione del contratto di sommini-strazione è condizionata al verificarsi di un inadempimento

i) che sia di notevole importanza, ossia di particolare gravità da valutarsi in relazione alla condotta dell’agente e del pregiudizio arreca-to da tale condotta, e

ii) tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti, il che si verificherà allorquando si tratti di un adem-pimento che turbi notevolmente l’equilibrio del contratto in tutte le sue attuazioni, “da lasciar ritenere che le parti, se lo avessero previsto, non avrebbero stipulato” (Giannattasio 1974, 259).

La regola vale sia con riferimento all’inadempimento del sommini-strante, sia con riferimento all’inadempimento del somministrato (a differenza della disciplina speciale della sospensione del contratto che riguarda, invece, solo l’inadempimento del somministrato).

La risoluzione per inadempimento, a differenza dell’exceptio inadim-pleti contractus di cui si dirà nel paragrafo successivo, spetta alla parte adempiente nei confronti della parte che non abbia adempiuto, per causa a lei imputabile, l’obbligazione sinallagmatica e non in ogni ca-so, ma solo quando l’inadempimento non sia di scarsa importanza a-vuto riguardo all’interesse dell’altra parte ad ottenere la prestazione (artt. 1453 e 1455 c.c).

In generale, comunque, per il caso di inadempimento, accanto alla risoluzione dell’intero contratto, è configurabile la risoluzione delle singole prestazioni, in quanto, se è vero che tale soluzione desta qual-che perplessità per il rischio di disintegrare l’unità del contratto, per cui solo in presenza di una espressa regolamentazione in deroga sa-rebbe ipotizzabile la risoluzione parziale, nei contratti di durata la riso-luzione può essere solo parziale, non interessando, tra l’altro, gli effet-ti che si sono già prodotti (Giannattasio 1974, 282).

La dottrina è dunque orientata nel ritenere ammissibile, accanto al-la risoluzione del contratto di somministrazione, la risoluzione di sin-gole prestazioni. Nei contratti ad esecuzione periodica o continuata, infatti, tali singole prestazioni rivestono un ragionevole grado di auto-nomia che permette di isolare l’una dalle altre tanto che, addirittura, la

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risoluzione parziale sarebbe in re ipsa quando la parte adempiente, di fronte alla mancata attuazione di una o più prestazioni dell’altra parte, non esegue quelle corrispondenti a suo carico passando tout court alle successive (Zuddas 2003, 125).

7. Sospensione dell’esecuzione.

Legislazione: c.c. 1460, 1565.

Bibliografia: Corrado 1963 – Cagnasso 2000 – Zuddas 2003.

In caso di inadempimento, oltre ai rimedi generali di cui si è detto,

esiste un rimedio specifico dettato espressamente con riguardo alla somministrazione; ai sensi dell’art. 1565 c.c., infatti, se la parte che ha diritto alla somministrazione è inadempiente ma l’inadempimento è di lieve entità, il somministrante non può sospendere l’esecuzione del contratto senza dare congruo preavviso. Dalla formulazione della norma si evince, a contrario, che se l’inadempimento non è di lieve entità, è possibile sospendere immediatamente l’erogazione.

Analizziamo separatamente le due ipotesi. Nel caso di inadempimento di lieve entità, la sospensione può con-

siderarsi legittima solo se preceduta da un congruo preavviso (Trib. Lanciano, 11.11.1995, RGEnel, 1996, 1002): non può ravvisarsi un congruo preavviso in quello dato per telefono da persona non qualifi-catasi e con il quale si assegnava un termine di tre, quattro giorni per adempiere l’obbligazione.

Nel secondo caso, ossia nell’ipotesi che l’inadempimento sia di no-tevole entità, è consentita la sospensione senza preavviso e/o la riso-luzione del contratto, qualora sia venuta meno la fiducia.

Così, nessun dubbio sussiste circa la legittimità del comportamento della società fornitrice di energia elettrica che, a fronte del mancato pagamento di un’ingente somma da parte del somministrato, dopo aver comunque effettuato un preavviso, rimasto inascoltato, ha prov-veduto a sospendere l’erogazione di energia (App. Roma, 10.12.1984, FI, 1985, I, 2413).

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Nei contratti di durata, quale la somministrazione, l’exceptio va dun-que condizionata alla sussistenza di un rapporto di proporzionalità tra i contrapposti inadempimenti.

Da evidenziare, peraltro, che nei contratti e relativi capitolati predi-sposti dalle società di fornitura di acqua, gas, energia elettrica, ecc., è spesso inserita una clausola relativa alla sospensione della fornitura, nella quale viene preclusa al giudice ogni valutazione circa l’entità dell’inadempimento e l’esercizio in buona fede dell’eccezione, in mo-do da stabilire una rigidità di regolamento che dia sicurezza ai rapporti delle società medesime con gli utenti, evidenziando ogni rischio diver-so da quelli valutati nella determinazione del costo di gestione.

La sospensione della somministrazione prevista dall’art. 1565 costi-tuisce un’applicazione specifica dell’istituto exceptio inadimpleti di cui all’art. 1460 c.c.

Una prima differenza tra le due norme è costituita dal fatto che nella seconda è rilevante solo l’inadempimento del somministrato, nel senso che l’art. 1565 c.c. allarga l’ambito di operatività del rimedio previsto dall’art. 1460 c.c. a vantaggio del somministrante consenten-dogli espressamente la sospensione dell’erogazione anche se l’inadempimento sia di lieve entità, con un trattamento di indubbio favore, a fronte del quale la sola salvaguardia dell’inadempiente contro il rischio di un’improvvisa interruzione della fornitura è costituita dall’onere di preavviso (Zuddas 2003, 134).

L’exceptio non adimpleti contractus opera, poi, non soltanto nell’ipotesi di integrale inadempimento della controparte, ma anche quando vi sia stato un adempimento soltanto parziale, sempre che sussista adegua-tezza tra la parte non eseguita dal contraente adempiente e l’entità dell’inadempienza dell’altro contraente (Giannattasio 1974, 316).

«Il rimedio in esame non dà vita ad una situazione di sospensione e di quiescen-za del rapporto in senso tecnico, ma determina invece una modifica temporale del rapporto che sposta nel tempo il momento dell’adempimento, finché ciò sia possibile, senza che venga modificata anche la consistenza obiettiva della presta-zione» (Corrado 1963, 350).

Secondo una dottrina, anche nell’ipotesi di cui all’art. 1565, l’eccezione non è proponibile dal somministrante se la sospensione dell’esecuzione sia da considerare contraria alla buona fede (art. 1460,

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II co., c.c.). La dottrina prevalente ritiene, invece, conformemente al tenore della norma, che il requisito della non contrarietà alla buona fede della sospensione non venga in considerazione nel caso in esame (Cagnasso 2000, 842).

8. Il patto di preferenza.

Legislazione: c.c. 1566.

Bibliografia: Di Paola 2005 – Gallo 2005 – Laghezza 2009.

L’art. 1566 c.c. prevede e disciplina il patto, c.d. di preferenza, in

forza del quale l’avente diritto alla somministrazione si obbliga a dare la preferenza al somministrante nella stipulazione di un successivo contratto per lo stesso oggetto, ossia per un successivo contratto che egli intenda stipulare, identico sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.

Tale patto, insieme a quello di esclusiva di cui al paragrafo succes-sivo, costituisce una limitazione alla concorrenza ed è valido nei limiti di durata di un quinquennio. Se sia convenuto un termine maggiore, questo si riduce a cinque anni.

La dottrina è concorde nel ritenere che per il patto di preferenza sia richiesta la forma scritta, sia pure ad probationem tantum.

Circa la natura giuridica, la giurisprudenza prevalente ritiene che la fattispecie in esame sia inquadrabile nella figura del contratto preli-minare unilaterale, dal quale deriva l’obbligo del promittente di con-cludere il contratto con il promissario, obbligo peraltro subordinato alla decisione dell’avente diritto alla somministrazione di concludere un nuovo contratto avente lo stesso oggetto. Da ciò deriva dunque che, in caso di inadempimento, il promittente sarebbe sottoposto alla sentenza costitutiva di cui all’art. 2932 c.c. (Cass. 26.7.1974, n. 2269, MGI, 1974, 624; 4.3.1980, n. 1445, RFI, 1980, Contratto in genere).

Diversa la posizione della dottrina, la quale ritiene che il patto di prelazione sia un contratto sui generis, avente ad oggetto non l’obbligo di stipulare con il promissario un determinato contratto, come invece è per il preliminare, ma solo l’obbligo di preferirlo (Giannatasio 1974, 284).

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In quanto limitativo della concorrenza, in ogni caso, il patto dovrà essere inoltre analizzato anche con specifico riferimento alla normati-va antimonopolistica comunitaria, ed in particolare agli artt. 85 e 86 del Trattato CEE, relativi alle intese vietate, nonché a quella delle norme contenute nei successivi regolamenti emanati dalla Commis-sione in tema di disciplina antimonopolistica.

9. Il patto di esclusiva.

Legislazione: c.c. 1419, 1463, 1567, 1568.

Bibliografia: Giannattasio 1974.

Il patto di esclusiva è l’accordo tra due soggetti, normalmente ma

non necessariamente imprenditori, con il quale, uno solo od entrambi assumono l’obbligo di stipulare determinati contratti soltanto con la controparte.

Questo patto è espressamente previsto, in tema di somministra-zione, dagli artt. 1567 e 1568 c.c., i quali stabiliscono che se nel con-tratto è pattuita la clausola di esclusiva i) a favore del somministrante, l’altra parte non può ricevere da terzi prestazioni della stessa natura, né, salvo patto contrario, può provvedere con mezzi propri alla pro-duzione delle cose che formano oggetto del contratto; se, viceversa, la clausola di esclusiva è pattuita ii) a favore dell’avente diritto alla som-ministrazione, il somministrante non può compiere nella zona per cui l’esclusiva è concessa e per la durata del contratto, né direttamente né indirettamente, prestazioni della stessa natura di quelle che formano oggetto del contratto. Se poi la clausola di esclusiva è bilaterale, ossia stabilita a favore di entrambi i contraenti, gli obblighi predetti sono a carico, reciprocamente, sia del somministrato che del somministrante.

«L’effetto che la clausola di esclusiva produce è quello di prevenire la concor-renza a danno di una delle parti» (Giannattasio 1974, 289). A tal riguardo, peraltro, la giurisprudenza distingue tra le ipotesi di

cui ai precedenti punti i) e ii) affermando precisamente che

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« la clausola di esclusiva a favore del somministrante, costituendo un mezzo di lotta all'altrui concorrenza e di assicurazione di una riserva di mercato, ha un fondamento economico e giuridico diverso da quello della stessa clausola a favo-re del somministrato, per il quale questa costituisce soltanto un mezzo d'incre-mento patrimoniale» (Cass. Civ., Sez. II, 2.2.1980, n. 742, MGC, 1980, fasc. 2). La clausola di esclusiva, che è elemento accidentale nel contratto

di somministrazione, opera dunque durante lo svolgimento del rap-porto nel senso che le parti vincolano reciprocamente le rispettive ca-pacità di produzione e di assorbimento.

«L’art. 1567 chiarisce (…) che l’esclusiva a favore del somministrante assume va-lore di divieto al somministrato di provvedere con mezzi propri alla produzione di cose che costituiscono oggetto del contratto; mentre l’art. 1568, relativo all’esclusiva a favore del somministrato, sottolinea che essa si risolve in un’obbligazione di non fare (gravante sul somministrante) circoscritta nello spa-zio e nel tempo, alla quale può fare riscontro, per volontà delle parti, un’obbligazione del somministrato di promuovere, nella zona assegnatagli, la vendita delle cose di cui egli ha l’esclusiva. In questa ultima ipotesi il sommini-strato ha il dovere di compiere quanto è nelle sue possibilità per conseguire quel risultato promesso al somministrante ed incorre in responsabilità per inadempi-mento contrattuale, anche se la sua obbligazione abbia avuto esecuzione relati-vamente al quantitativo minimo delle cose da vendere, che sia stato eventual-mente stabilito. La sospensione degli ordinativi da parte degli aventi diritto alla somministrazione con clausola di esclusiva integra gli estremi della violazione dell’art. 1568, II comma, c.c., sol che si escluda che essa origini da una situazione oggettiva di mercato, e sia per contro imputabile a colpa o dolo del somministra-to» (Giannattasio 1974, 289).

Per quanto riguarda poi alla durata massima del patto di esclusiva,

è discusso se essa coincida con la durata del contratto, e se la sua du-rata possa o meno eccedere il termine di cinque anni in applicazione dell’art. 2596 c.c. La giurisprudenza, pressoché concorde, risolve tale questione sulla base del carattere autonomo della clausola in questione rispetto all’intero contratto.

«Nel contratto di somministrazione, alla clausola di esclusiva, di cui all'art. 1567 c.c., che non assuma una posizione prevalente nell'economia del contratto stes-so, sino a staccarsi casualmente da esso e da far emergere un'autonoma funzione regolatrice della concorrenza, non si applica la disposizione dell'art. 2596 c.c., in tema di durata massima del patto di non concorrenza e, pertanto, va escluso che

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essa sia valida solo per cinque anni se pattuita per un periodo superiore. D'altra parte, se la clausola di esclusiva svolge una funzione autonoma di limitazione della concorrenza, non v'è evidentemente ragione perché i limiti temporali della sua validità, posti dall'art. 2596 c.c., si riflettano sulla durata del contratto di somministrazione; ove, invece, tale autonomia sia esclusa, alla intervenuta pro-roga tacita del contratto non può non essere ricollegata, in difetto di una diversa volontà delle parti, la proroga dell'efficacia della clausola di esclusiva per l'intera durata del contratto stesso» (Cass. Civ., Sez. III, 4.2.2000, n. 1238, MGC, 2000, 235; FI, 2000, I, 1595; GI, 2000, 2262). A tal proposito, invece, la dottrina ha affermato che per la clausola

in questione apposta ad un contratto di somministrazione di durata ultraquinquennale o a tempo indeterminato opera la riduzione legale nei limiti del quinquennio, con l’effetto che oltre il quinquennio sarà invece nulla l’intero contratto, a norma dell’art. 1419, I co., c.c., se ri-sulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità (Giannattasio 1974, 298).

L’inadempimento del patto di esclusiva, secondo i principi generali (art. 1463 c.c.) comporta la risoluzione del contratto di somministra-zione, oltre al risarcimento del danno.

«La violazione del diritto di esclusiva posta in essere dal concedente che favori-sca la vendita, nella zona assegnata al concessionario, di prodotti che quest'ulti-mo ha il diritto di commercializzare in modo esclusivo, si configura come com-portamento contrario ai doveri di correttezza e buona fede e costituisce grave inadempimento contrattuale da cui consegue la risoluzione del contratto» (App. Cagliari, 11.4.2007, n. 111, Riv. giur. Sarda, 2009, 1, 37) Da evidenziare inoltre che, poiché con riguardo al contenuto delle

prestazioni, gli articoli 1567 e 1568 c.c. si riferiscono a “prestazioni della stessa natura”, e non invece, a prestazioni identiche, la clausola di esclusiva deve ritenersi violata non soltanto quando la prestazione che si compie a favore di terzi o si riceve da terzi è perfettamente cor-rispondente a quella pattuita in contratto, ma anche quando, apparte-nendo allo stesso gruppo merceologico o a gruppo affine, riesca a soddisfare la medesima esigenza.

All’inadempimento del patto di esclusiva non si applica integral-mente la normativa specifica sulla risoluzione del contratto di sommi-nistrazione, perché, se avrà rilievo la gravità dell’inadempimento, non sarà richiesta anche la menomazione della fiducia che il legislatore col-

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lega soltanto alla continuità e periodicità della prestazione prevista dall’art. 1564 c.c.

In giurisprudenza è stato inoltre affermato che l’inadempimento all’esclusiva possa inoltre condurre all’affermazione di un’eventuale responsabilità extracontrattuale per concorrenza sleale (Pret. Roma, 5.2.1991, FI, 1993, I, 633).

Diversa è l’ipotesi considerata dal secondo comma dell’art. 1568 c.c. che riguarda il caso nel quale il somministrato assume anche l’obbligo di promuovere la vendita di cose di cui egli ha l’esclusiva dal somministrante, obbligo che deve formare oggetto di un patto apposi-to. Stabilisce il secondo comma dell’art. 1568 c.c. che, in tal caso, se il somministrato non adempie, risponde dei danni anche se ha eseguito il contratto rispetto al quantitativo minimo stabilito.

10. Fallimento e somministrazione.

Legislazione: c.c. 1559 – artt. 67, 72, 74, l. fall.

Bibliografia: Pajardi 1994.

Come è noto, la dichiarazione di fallimento determina l’apertura di

una procedura, a carattere “universale”, con finalità essenzialmente liquidatoria, volta cioè alla conversione in denaro di tutti i beni com-presi nell’attivo e al successivo pagamento dei creditori del fallito. Tra i compiti del curatore vi è inoltre anche la definizione di tutti i rappor-ti giuridici pendenti e ciò, sempre nell’ottica della migliore liquidazio-ne, per giungere all’immediata traduzione in attivo o passivo degli stessi rapporti, a seconda che dalla loro definizione derivino diritti pa-trimoniali in capo al fallito o ai terzi.

Nel sistema normativo vigente non è rinvenibile una disciplina uni-taria, organica e valevole per ogni fattispecie contrattuale pendente, bensì la scelta del legislatore è stata quella di disciplinare e considerare specificamente singole figure negoziali.

Il trattamento della somministrazione nel fallimento (e della vendi-ta a consegne ripartite) è desumibile dagli articoli 72 (“Rapporti penden-ti”) e 74 (“Contratti ad esecuzione continuata o periodica”).

La prima disposizione stabilisce che il fallimento determina la so-spensione dei contratti ad esecuzione continuata o periodica deman-

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dando al curatore la scelta di subentrare nel contratto in luogo del fal-lito, previa autorizzazione del comitato dei creditori, ovvero di scio-gliersi dal medesimo, fermo restando che il creditore può comunque mettere in mora il creditore facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contrat-to si intende sciolto.

L’art. 74 sancisce invece che «se il curatore subentra in un contratto ad esecuzione continuata o periodica de-ve pagare integralmente il prezzo anche delle consegne già avvenute o dei servizi già erogati»

Il subentro comporta dunque per il curatore l’obbligo di pagare in

prededuzione non solo le prestazioni in corso e quelle future, nell’ambito del medesimo contratto, ma altresì quelle già avvenute prima del fallimento (ed anche quelle eventualmente solo offerte dal contraente in bonis e non accettate dal somministrato). Le ragioni di una tale soluzione normativa sono da ravvisarsi, secondo la dottrina, nell’esigenza di realizzare una sostanziale equità, per non costringere il somministrante in bonis a continuare le somministrazioni a favore del fallimento e, ciononostante, imporgli la falcidia concorsuale per le prestazioni già eseguite, tenuto conto anche dell’unitarietà del contrat-to.

La dichiarazione di subentro deve essere necessariamente precedu-ta dall’autorizzazione del comitato dei creditori, come dispone l’art. 72, I co., l. fall. Il subentro del curatore nel contratto di somministra-zione determina la ratifica dei pagamenti effettuati prima del fallimen-to e, quindi, esclude la loro revocabilità ex art. 67.

Qualora il curatore optasse, anziché per il subentro, per lo sciogli-mento del rapporto, è pacifico che gli effetti non possano che essere ex nunc, e ciò in considerazione del fatto che la somministrazione è un contratto di durata; infatti

«le erogazioni anteriori al fallimento, che abbiano ottenuto il compenso, costitui-scono situazioni esaurite il cui sinallagma si è concluso nella corrispettività a coppie, e ciò proprio in base alla natura del contratto di durata ed all’autonomia delle singole prestazioni sul piano esecutivo» (Bibolini 1996, 754).

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Si rinvia, a tal riguardo, a quanto già detto in precedenza in tema di risoluzione per inadempimento, par. 6.

Così come precisato dall’art. 72, III co., come modificato dall’art. 4 del D.Lgs. 12.9.2007, n. 169, il contraente in bonis non può reclamare alcun risarcimento in conseguenza dello scioglimento del contratto: l’esclusione di ogni pretesa risarcitoria deriva fondamentalmente dal fatto che il fallimento non costituisce un evento paragonabile all’inadempimento; esso, quindi, non attribuisce alcun diritto alla riso-luzione contrattuale, a meno che l’azione di risoluzione non sia stata fatta valere già prima dell’apertura del concorso. Solo in questo caso si riconosce al contraente non inadempiente il diritto ad ottenere, anche dopo il fallimento dell’altro contraente, una pronuncia di risoluzione per inadempimento che sia efficace nei confronti della massa.

È alla luce di quanto sinora affermato che deve essere analizzata la questione dell’efficacia e dell’opponibilità al curatore di clausole del tipo del c.d. “consumo minimo garantito”, fattispecie soprattutto connessa con i contratti di somministrazione di energia elettrica, e del-la conseguente configurabilità di risarcimenti di danni connessi al mancato rispetto di tali clausole.

Con queste clausole il somministrante si impegna a tenere a dispo-sizione del cliente somministrato una determinata quantità di potenza (c.d. “impegno di potenza”), con la previsione che il corrispettivo debba essere versato periodicamente in costanza di rapporto.

Dopo iniziali incertezza, la giurisprudenza si è attestata sull’inefficacia e sull’inopponibilità al fallimento di una siffatta clauso-la, che viene travolta dal sopravvenuto fallimento del somministrato e dallo scioglimento del contratto, senza che sia ipotizzabile un risarci-mento danni a seguito del suo mancato rispetto (salve, ovviamente, le prestazioni già eseguite e le situazioni eventualmente già consolidatesi prima dell’apertura del concorso).

«Nel contratto di somministrazione di energia elettrica il cosiddetto impe-

gno di potenza, che si sostanzia nell'obbligo del somministrante di predisporre e mantenere l'impianto in guisa di tenere a disposizione dell'utente una determina-ta quantità di energia, configura, al pari di quello inerente alla somministrazione di energia, non prestazione ad esecuzione non istantanea anteriore alla esecuzio-ne del contratto, ma una prestazione continuata, accessoria e strumentale a quel-la principale di somministrare l'energia cui corrisponde un corrispettivo fisso da pagarsi periodicamente, maturando coevamente al consumo dell'energia, tanto

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nel caso di rapporto a tempo indeterminato quanto nel caso di rapporto a tempo determinato con previsione di rinnovazione tacita. Pertanto la risoluzione del contratto per sopravvenuto fallimento dell'utente travolge il suddetto impegno e i correlativi obblighi dell'utente medesimo, facendo salve soltanto le prestazioni già eseguite, con l'ulteriore conseguenza che nel periodo della risoluzione alla na-turale scadenza del contratto non è configurabile un credito del somministrante in dipendenza di quell'impegno» (Cass. Civ., Sez. I, 5.2.1988, n. 1259, MGC 1988, fasc. 2; FI 1988, I, 1896; Fall 1988, 455).

Una tale soluzione, del resto, è coerente con il fatto che, come si è

sottolineato, il fallimento non può essere fonte di danni risarcibili, non essendo equiparabile ad un inadempimento e che, perciò, l’apertura del concorso rende automaticamente inoperanti tutte le clausole penali contenute nel contratto pendente, nella cui categoria rientra anche quella qui considerata (Pajardi 1994, 323).

Alle medesime conclusione si dovrebbe pervenire a proposito della clausola di risoluzione automatica conseguente al fallimento, quella clausola, cioè, che esplichi efficacia risolutiva automatica della somministrazione per il solo fatto che uno dei due contraenti sia di-chiarato fallito. Non pare tuttavia condivisibile la diversa posizione di chi ammette l’efficacia di tale clausola sulla base del rilievo della natu-ra fiduciaria che caratterizza la peculiarità del contratto di sommini-strazione, e ciò sulla base della considerazione che ove si aderisse a tale orientamento, si incorrerebbe nella violazione dell’imprescindibile regola della previa sospensione del contratto, dettata dall’art. 72 l. fall., che è norma imperativa e non derogabile. Tale clausola, inoltre, sa-rebbe invalida per la ragione che finirebbe per comprimere la normale espropriabilità dei diritti patrimoniali del debitore, stravolgendo, attra-verso una mera pattuizione privata, una disciplina normativa che, co-me si è detto, è inderogabile.

Analogamente, è da ritenersi invalida una clausola che prevedesse un risarcimento del danno a favore del contraente in bonis per effetto dello scioglimento del rapporto conseguente al fallimento dell’altro contraente; tale clausola sarebbe contraria al principio della non risar-cibilità dei danni derivanti dall’apertura del concorso nei confronti di uno dei contraenti e, come tale, violerebbe la regola fondamentale del trattamento paritario dei creditori concorrenti.

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11. Tutela cautelare del somministrante.

Legislazione: c.p.c. 700.

Nell’ipotesi di somministrazione ad esecuzione continuativa, in

particolare con riguardo a quelle aventi ad oggetto la fornitura di gas, energia elettrica ed acqua, si è posto il problema della esperibilità dei rimedi possessori per il caso di interruzione dell’erogazione.

La giurisprudenza ha dato risposta affermativa a tale questione. Così testualmente:

«In ipotesi di contratto di somministrazione di gas, il somministrante ha diritto di sospendere la fornitura in caso di inadempimento della parte che ha diritto al-la somministrazione; detta sospensione del servizio richiede la collaborazione at-tiva dell'utente, il quale deve permettere l'accesso al contatore sito presso la pro-pria abitazione. Sussiste pertanto il fumus boni iuris per ottenere un provvedimen-to ex art. 700 c.p.c. che consenta di accedere alla abitazione dell'utente per prov-vedere alla chiusura del misuratore dei consumi. Per quanto riguarda il periculum in mora, va tenuto presente che il somministrante, senza l'emissione del provve-dimento cautelare richiesto, sarebbe costretto a continuare l'erogazione del ser-vizio per il tempo occorrente a far valere il suo diritto in via ordinaria, subendo così il persistere ed aggravarsi dell'inadempimento dell'utente. Anche sotto questo aspetto, pertanto, il predetto provvedimento cautelare può essere concesso» (Trib. Carpi, 26.1.2007, Dejure).

12. Tutela cautelare del somministrato.

Legislazione: c.c. 1168, 1170 – c.p.c. 700

Bibliografia: Giannattasio 1974 – Zuddas 2003.

L’analisi della dottrina e giurisprudenza per quanto riguarda la con-

cessione di rimedi cautelari ha riguardato anche la posizione del somministrato.

«Devesi, innanzi tutto, precisare che la questione si pone nei limiti dell’ammissibilità dell’azione di reintegrazione (art. 1168 c.c.), dovendosi in ogni caso escludere l’azione di manutenzione (art. 1170 c.c.), nel caso di interruzione di una prestazione periodica del contratto di somministrazione (…).

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Avendo il codice vigente data una diffusa disciplina al contratto di somministra-zione, vien fatto di domandarsi se le norme contenute negli artt. 1559 e ss. c.c. contemplino ogni possibile violazione o se sia concepibile una preliminare difesa dell’avente diritto alla somministrazione con l’azione di reintegrazione. Dal mo-mento che l’art. 1565 riconosce, sia pure per implicito, al somministrante, il di-ritto di sospendere la fornitura per inadempimento delle obbligazione del som-ministrato, potrebbe pensarsi che questa tutela accordata al somministrante, che si attua con l’interruzione di fatto della fornitura, porti ad escludere una tutela del somministrato per ottenere la reintegra del godimento. La questione è già stata esaminata in dottrina e risolta nel senso che la tutela specifica di un contra-ente non è di ostacolo ad una diversa tutela possessoria dell’altro. In seguito all’allacciamento e all’inizio della fornitura si crea una situazione che si prolunga e per la quale è sempre concepibile una tutela contro interruzioni violente o clandestine, che non rientrano nella fattispecie prevista dall’art. 1565 c.c.» (Giannattasio 1974, 310).

Allo stato attuale, comunque, gli interpreti sono unanimi nel

negare la tutela possessoria al somministrato in quanto il mancato adempimento genera un credito, non un possesso: l’utente ha quindi diritto alla somministrazione, ma non ha il possesso delle energie che gli devono essere somministrate (Zuddas 2003, 147).

«In tema di somministrazione di energia elettrica, l'utente che abbia subito il di-stacco della fornitura non può esperire le azioni possessorie, giacché l'interru-zione di energia in corso di prelievo con fonti di illuminazione attive (o apparec-chiature elettriche di accumulo funzionanti) non comporta spoglio di energia - essendo questa già consumata (o accumulata) - né è configurabile lo spoglio per quella eroganda, che non può essere oggetto di possesso attuale, perché prima dell'apprensione vi è soltanto potenziale disponibilità realizzabile mediante la concreta utilizzazione solo con la persistente collaborazione dell'ente erogatore; d'altra parte, neppure può sussistere una situazione di possesso in relazione alla potenza assicurata, atteso che in tal caso manca il benché minimo riferimento a un bene reale, evidenziandosi soltanto un obbligo contrattuale dell'ente erogato-re a rendere possibile all'utente un assorbimento simultaneo di energia elettrica sino alla predeterminata quantità convenuta. (Nella specie, è stato escluso lo spoglio lamentato dal ricorrente per avere l'Enel sostituito il contatore dell'ener-gia elettrica con applicazione di un limitatore della potenza impegnata, così de-terminando il distacco e l'impossibilità di utilizzare gli elettrodomestici per la in-sufficienza dell'assorbimento consentito)». (Cass. Civ., Sez. II, 30.12.2004, n. 24182, MGI, 2004). È invece ammesso e riconosciuto il ricorso ai provvedimenti

d’urgenza, dal momento che nella maggior parte dei casi la prestazio-

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ne oggetto della somministrazione riguarda servizi essenziali rispetto ai quali non è pensabile che si attenda l’esito di un ordinario giudizio di cognizione. A tal riguardo, la giurisprudenza ha affermato che l’illegittima sospensione di un servizio da parte della società erogatrice comporta per l’utente, privato di un servizio essenziale ai bisogni della vita, un pregiudizio irreparabile ai sensi dell’art. 700 c.p.c.

In tema di servizi di catering, è stato ammesso il ricorso ai provve-dimenti in esame, affermandosi che

«può essere determinato in via cautelare e urgente il corrispettivo della sommini-strazione dei pasti nel contratto di "catering", nell'ipotesi in cui: a) gli indici sta-biliti dalle parti per l'aggiornamento del prezzo (nella specie, l'indice Assoristo-ranti) non esistano; b) l'impresa somministrante abbia comunque chiesto ed ot-tenuto consistenti aggiornamenti del corrispettivo sulla base dell'indice rivelatosi inesistente; c) il recupero del credito per il pagamento del corrispettivo non do-vuto sia particolarmente difficile; d) lo stato di incertezza sull'ammontare del corrispettivo quale elemento essenziale del contratto renda il pregiudizio irrepa-rabile» (Trib. Roma, 6.7.1995, FI, 1996, I, 708). Analogamente, in tema di somministrazione dell’acqua, posto che

tale servizio soddisfa un'esigenza di carattere primario e che il gestore del servizio di distribuzione opera in regime di monopolio in una par-te del territorio servito e in regime di oligopolio nella zona restante,

«può ritenersi che ricorrano i giusti motivi d'urgenza, richiesti dall'art. 1469 sexies cpv. c.c., per la concessione della tutela inibitoria cautelare» (Trib. Palermo, 4.7.2000, DeR, 2001, 2, 181).

In ogni caso, comunque, si ritiene che nessun provvedimento

d’urgenza possa essere richiesto dal somministrato inadempiente: così, non può disporsi la riattivazione, in via d’urgenza, di un’utenza sospe-sa per morosità del ricorrente, quando non risultino neppure eviden-ziate le ragioni giustificatrici dell’urgenza di provvedere (Pret. Milano, 13.7.1989, RGEnel, 1989, 1003) ovvero quando il soggetto abbia fatto ricorso a strumenti di autotutela (Pret. Firenze, ord. 8.7.1975, RGEnel, 1975, 829).

Infine, altra più recente pronuncia ha affermato che il pericolo di subire la sospensione dell’erogazione di un servizio essenziale non in-tegra gli estremi dell’irreparabilità necessari ai fini della concessione di

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un provvedimento d’urgenza, quando lo stesso possa essere evitato attraverso un comportamento dell’interessato (nel caso di specie, il pagamento delle bollette insolute) inidoneo a determinare a sua volta un danno non riparabile (Trib. Roma, ord. 2.4.1998, RGEnel, 1998, 432). La tutela cautelare ex art. 700 c.p.c. è stata inoltre negata

«nell'esecuzione di un contratto di somministrazione di energia elettrica, laddove il mancato allacciamento dell'utente da parte dell'Enel sia condizionato dall'atti-vità di una pubblica amministrazione (nella specie: autorizzazione regionale per la costituzione di servitù) nei confronti della quale l'Enel ha soltanto un onere di stimolo e non la possibilità di sostituirsi nel suo operato» (Pret. Canosa di Puglia, 22.6.1992, RGEnel, 1994, 213).

13. Danni risarcibili.

Legislazione: c.c. 1223, 1225, 1453, 1570.

L’inadempimento alle obbligazioni derivanti dal contratto di som-

ministrazione determina il sorgere di una pretesa risarcitoria da parte dell’altro soggetto, che deve essere adeguatamente ed integralmente risarcito del danno patito, e ciò nei modi e termini stabiliti dalle nor-me generali del codice civile in materia: i pregiudizi risarcibili saranno quelli che siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento ex art. 1223 c.c. e, salvo il caso di dolo del debitore, che potevano prevedersi al tempo in cui è sorta l’obbligazione ai sensi dell’art. 1225 c.c.

Il contraente adempiente potrà chiedere all’inadempiente o la riso-luzione del contratto o l’esecuzione specifica dell’obbligazione, col ri-sarcimento dei danni in entrambe le ipotesi, compresi quelli verificati-si posteriormente alla domanda di risoluzione (art. 1453 c.c.).

Dal principio per cui il danno da risarcire per inadempimento con-trattuale va accertato con riferimento al momento dell’inadempimento, consegue che, nel caso di mancata esecuzione di un contratto di somministrazione, il quale importa che una parte sia obbligata ad eseguire a favore dell’altra non una singola prestazione, ma periodiche o continuative prestazione di cose, il danno deve essere accertato con riferimento a tutta la durata del contratto stesso.

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Se il contratto è a tempo indeterminato, il danno va commisurato al periodo che intercorre dal momento della inadempienza a quello in cui cessa il periodo di preavviso.

Non è da escludere, inoltre, «l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 1227, comma 2 c.c., che esclude il risarcimento con riguardo ai danni che il creditore avrebbe potuto evitare usan-do l’ordinaria diligenza» (Cass. Civ., 13.9.2004, n. 18352, MGC, 2004).

Per procedere alla quantificazione del danno, in caso di inadempi-

mento consistente nel rifiuto di ricevere la prestazione pattuita, salvo l’ulteriore danno, devono essere calcolati il lucro cessante, consistente nel valore differenziale tra il prezzo di costo (inteso come prezzo di acquisto che il somministrante ha dovuto sopportare, se l’ha dovuto acquistare da altri, ovvero di produzione, se ha curato personalmente la produzione) e il prezzo di vendita concordato con il somministrato.

Il somministrante non è comunque tenuto a risarcire il danno pro-vocato ad un utente in occasione della sospensione dell’erogazione del servizio

«se lo ha preventivamente avvertito dell’impossibilità, non riconducibile a pro-pria colpa, di eseguire la prestazione » (Cass. Civ., 9.6.1997, n. 5144, MGC, 1997).

Infine, richiamando quanto già detto circa l’oggetto del contratto

di somministrazione (par. 1), dal momento che per espressa previsio-ne dell’art. 1570 c.c., si applicano alla somministrazione, in quanto compatibili, le norme che disciplinano il contratto al quale corrispon-dono le singole prestazioni, per poter determinare esattamente even-tuali inadempienze delle parti e, quindi, i danni e risarcimenti che ne conseguono, è comunque necessaria, occorrerà volta per volta richia-mare le disposizioni dei singoli contratti speciali.

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14. Somministrazione e casistica.

Nei repertori della giurisprudenza, il contratto di somministrazione è fattispecie oggetto di innumerevoli pronunce, specialmente per quanto riguarda la fornitura di servizi c.d. essenziali (acqua, luce, gas, telefono), servizi che soddisfano cioè bisogni diversi e primari aventi un fondamento costituzionale nella tutela dei diritti inviolabili di cui all’art. 2 della Cost.

Circa l’essenzialità di tali servizi, in diverse occasioni la giurispru-denza (Pret. Catania, 8.11.1995, Arch. Civ., 1996, 230; App. Milano, 3.5.1991, Arch. Locaz., 1993, 108) ha evidenziato che la mancata forni-tura degli stessi servizi determina, inevitabilmente, la compressione di aspettative di qualità della vita, sia individuale che di relazione, diffi-cilmente rinunciabili.

14.1. Somministrazione di acqua potabile.

Legislazione: c.c. 1559, 2059.

Nel caso di somministrazione di acqua potabile, la caratteristica

della potabilità è fattore discriminante per determinare l’esatto o il mancato adempimento delle obbligazioni dedotte in contratto.

In particolare la giurisprudenza ha stabilito che la somministrazio-ne di acqua non potabile costituisce inesatto adempimento del con-tratto di fornitura che dà diritto al somministrato, non essendo ipotiz-zabile la risoluzione del contratto, ad un’equa riduzione del canone al fine di rimediare all’alterazione dell’equilibrio patrimoniale tra pre-stazione e controprestazione causata dal mancato adempimento da parte dell’ente della sua prestazione di fornire acqua potabile (GdP Pordenone, 23.6.1997, GPac, 1997, 252), nonché al risarcimento dei danni patiti (Cass. Civ., 25.6.2002, n. 9240, RFI, 2002, Comune, 6).

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14.2. Utenza telefonica.

Legislazione: c.c. 1176, 1218, 1559 – c.p.c. 700.

Il contratto di utenza telefonica è riconducibile nell’alveo dei con-

tratti di somministrazione (Cass. Civ., Sez. III, 2.10.1997, n. 9624, NGCC, 1999, I, 154).

Tra le questioni che si riscontrano con una certa frequenza nei rapporti con i gestori telefonici vi sono quelle del ritardo o della man-cata attivazione del servizio telefonico.

Proprio tali questioni costituiscono l’oggetto della Delibera n. 179/2003/CSP dell’AGCOM che ha previsto che i gestori telefonici indichino nei contratti, presentati agli utenti per la sottoscrizione, il tempo di fornitura del collegamento iniziale, per assicurare che questi siano certi e brevi, salvo i casi di eccezionalità tecnica, che devono es-sere rappresentati al cliente.

In merito al danno risarcibile in caso di inadempimento alle obbli-gazioni derivanti dal contratto di utenza telefonica, in un caso di ri-tardata attivazione del servizio telefonico, il giudice di pace di Verona (GdP Verona, 16.3.2000, in GI, 2001, 1159) ha ravvisato un inadem-pimento contrattuale da cui deriva un danno esistenziale, suscettibile di valutazione equitativa, consistente non solo nell’impossibilità di di-sporre subito del servizio, ma anche nei disagi che il creditore deve affrontare per sollecitare la società fornitrice ad adempiere.

Nello stesso senso, altro giudice ha successivamente stabilito che «la ritardata attivazione del servizio telefonico è un inadempimento contrattuale da cui deriva un danno esistenziale, consistente, non solo nell’impossibilità di di-sporre subito del servizio, ma anche nei disagi che l’utente deve affrontare sia per provvedere diversamente sia per sollecitare la società ad adempiere» (GdP Roma, 11.7.2003, in DR, 2004, 85).

Ancora, in altra occasione il Giudice di Pace ha condannato il ge-

store telefonico, il quale, nonostante i numerosi solleciti da parte del cliente, non aveva provveduto all’attivazione della linea: anche in que-sto caso, il fornitore è stato condannato a versare all’altra parte, oltre ad una somma a titolo di indennizzo dovuto per la mancata attivazio-ne, anche un’ulteriore somma, determinata equitativamente, per il ri-storo del danno esistenziale, avendo ritenuto provato, sulla base delle

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allegazioni e della prova testimoniale esperita, che l’attrice aveva sop-portato un lungo stato di disagio, provocato da indifferenza ed insen-sibilità della società (così GdP Napoli, 2.7.2008, in Dejure).

Con la delibera 52/08/CIR del 2 luglio 2008 è stata la stessa Auto-rità delle comunicazioni, a cui aveva ricorso un utente, a condannare un’impresa a indennizzare il cliente a seguito della mancata attivazione della linea telefonica per ben 3 anni, senza alcun fondato motivato. Nel provvedimento AGCOM ha evidenziato che viene fatta salva la possibilità per l’utente di richiedere in sede giurisdizionale il risarci-mento dell’eventuale ulteriore danno subito.

«Il contratto di utenza telefonica è inquadrabile nello schema del contratto di somministrazione e pertanto la clausola contrattuale che prevede la facoltà del somministrante di sospendere la fornitura nel caso di ritardato pagamento anche di una sola bolletta rappresenta una specificazione contrattuale dell'art. 1565 c.c. (del quale amplia l'ambito a favore del somministrante), e costituisce quindi una reazione all'inadempimento dell'utente cui viene opposta l'exceptio inadimpleti con-tractus; ne consegue che la sospensione della fornitura è legittima solo finché permane l'inadempimento dell'utente e che detta sospensione, se attuata quando ormai l'utente ha pagato il suo debito, costituisce inadempimento contrattuale e obbliga perciò il somministrante al risarcimento del danno ai sensi degli art. 1176 e 1218 c.c., a meno che non sia fornita la prova che tale inadempimento è stato determinato da causa non imputabile al somministrante, ovvero, nella spe-cie, dalla ignoranza incolpevole dell'avvenuto pagamento; la mancata conoscen-za del pagamento da parte dello specifico ufficio addetto alla sospensione e riat-tivazione del servizio, essendo un fatto interno alla società e non dipendente dall'utente, non esclude l'obbligazione risarcitoria se non sia fornita la prova che essa dipende da causa estranea alla società e alla sua organizzazione» (Cass. Civ., Sez. III, 2.10.1997, n. 9624, NGCC, 1999, I, 154).

In tema di contratto di utenza telefonica, richiamando quanto af-

fermato in precedenza in merito ai provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c. è da evidenziare che

«il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto

dagli art. 3 seg. del regolamento concernente la risoluzione delle controversie in-sorte nei rapporti tra organismi di telecomunicazioni ed utenti, adottato con de-libera n. 182/2002 dall’autorità per le garanzie nella comunicazione, non deter-mina l’improcedibilità del ricorso d’urgenza, ex art. 700 c.p.c., all’autorità giudi-ziaria»

(Trib. Firenze, 4.3.2005, GM, 2005, 2323).

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14.3. Somministrazione di energia elettrica.

Legislazione: c.c. 1559.

È pacifica l'applicazione della disciplina di cui agli artt. 1559 e ss. c.c. al contratto di fornitura di tipo continuativo e di consumo avente ad oggetto energia elettrica.

Nel caso in esame, la peculiarità del contratto risiede nel fatto che il somministratore, nell'impegnarsi a soddisfare i bisogni futuri del somministrato, assume su di sè, oltre che l'obbligo di apprestare i mezzi necessari per l'adempimento, anche i rischi della fornitura, co-stituendo quest'ultima l'alea normale del contratto (ex multis, Cass., n. 2359/1968) quale proiezione delle prestazioni nel futuro. Per costante dottrina e giurisprudenza, nel caso di contratto di somministrazione di energia elettrica, oltre all'obbligo principale della somministrazione, sul somministrante grave anche l’obbligazione accessoria derivante dal c.d. impegno di potenza (si rinvia a quanto detto in precedenza in te-ma di fallimento, par. 10). Quest'ultimo costituisce una prestazione continua, accessoria e strumentale a quella principale della fornitura, e si sostanzia in una nell'obbligo del somministrante di predisporre e mantenere l'impianto in modo da tenere a disposizione dell'utente una determinata quantità di energia, a cui corrisponde un corrispettivo fis-so, da parte dell'utente, da pagarsi periodicamente e che viene a matu-rare contemporaneamente al consumo di energia.

La mancata esatta esecuzione del contratto di fornitura di energia elettrica obbliga la parte inadempiente al risarcimento dei danni (artt. 1218, così come richiamato dall'art. 1570 c.c.).

È pur vero che l'art. 1218 c.c., in tema contrattuale, detta la regola generale secondo cui il debitore può liberarsi delle conseguenze dell'i-nadempimento se prova che l'inadempimento stesso è da ricondurre a causa a lui non imputabile, tuttavia, secondo costante interpretazione giurisprudenziale tale prova deve essere rigorosa, piena e completa e deve comprendere anche la dimostrazione della mancanza di colpa del debitore, sotto qualsiasi profilo, dovendosi, diversamente, presumersi

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nel medesimo la sussistenza di tale elemento soggettivo (Cass. 7604/96).

«L'inquadramento del rapporto nell'ambito del contratto di somministrazione disciplinato dall'art. 1559 c.c., comporta l'impegno del somministrante di appre-stare tutti i mezzi necessari per l'adempimento e l'assunzione in capo al medesi-mo di tutti i rischi della fornitura tra i quali rientrano anche quelli relativi alla re-golare e costante erogazione di energia elettrica. La circostanza che l'Enel curi solo la distribuzione e non la produzione di energia non la esime dall'obbligo di adottare tutte le misure necessarie a superare l'ostacolo o a limitare il disagio nel tempo. A mente dell'art. 1218 c.c., nell'ambito della responsabilità contrattuale la colpa del debitore è presunta spettando allo stesso la prova che l'inadempimento è dipeso da causa ad esso non imputabile e non al creditore, appellante, come sostenuto dal giudice di pace». (App. Ariano Irpino, 5.2.2009, Rass. Foro Arianese, 2009, 2, 91). «Nell'ambito di un rapporto contrattuale scaturente da un negozio di sommini-strazione continuata di energia elettrica, incombe sull'ente erogatore, convenuto per il risarcimento del danno (e tenuto alla esecuzione della propria prestazione secondo buona fede), l'onere di provare che l'interruzione della erogazione ener-getica lamentata dal somministrato sia dipesa da una delle cause di giustificazio-ne previste nella specifica clausola contrattuale di esonero (forza maggiore, lavo-ri di manutenzione, esigenze di servizio, cause accidentali, scioperi) espressa-mente sottoscritta dall'utente all'atto della stipula del negozio» (Cass. Civ., Sez. III, 9.6.1997, n. 5144, MGI, 1997). Così, alla luce di tali osservazioni, in diverse occasioni è stata di-

chiarata la responsabilità per inadempimento contrattuale della società fornitrice in caso di black-out preceduto da altri, seppur di più breve durata, che avevano evidenziato l'inadeguatezza del sistema di somministrazione dell'energia elettrica, nonché la mancata diligenza della convenuta che avrebbe potuto impedire il secondo black - out, garantendosi energie alternative.

Dall'accertamento dell'inadempimento contrattuale discende che la parte inadempiente sia tenuta al risarcimento dei danni patiti dall’utente, danni di natura patrimoniale che non patrimoniale, nella configurazione esistenziale.

La ricorrenza dei danni esistenziali, in particolare, viene general-mente ravvisata nel fatto che l'interruzione di energia elettrica deter-mina la rinuncia da parte dell'utente di tutte o molte di quelle attività che costituiscono la normale aspettativa di ogni essere umano, deter-

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minando così una modifica negativa della vita dell'istante, consistente nell'alterazione delle normali attività dell'individuo e che, pertanto, non devono essere oggetto di una specifica prova.

Tali alterazioni, pur non accertabili medicalmente, perché non sfo-cianti in una patologia come nel caso del danno biologico ledono, tut-tavia, diritti degli individui di rango costituzionale (art. 2) e tutelati dall'ordinamento.

La lesione della personalità del soggetto è suscettibile di tutela, in-dipendentemente dallo specifico interesse leso che può anche non a-vere una diretta rilevanza costituzionale, ma va tutelato ogni qualvolta configuri una alterazione della manifestazione della personalità tutela-ta costituzionalmente ex art. 2 della costituzione (App. Milano, 14.2.2003, Dejure).

«La prolungata sospensione dell'erogazione di energia elettrica, conseguente all'interruzione del collegamento internazionale tra Svizzera e Italia, configura un inadempimento contrattuale imputabile alla società che distribuisce l'energia all'utente finale, al quale non spetta alcun indennizzo automatico, bensì il risar-cimento del danno non patrimoniale, che va liquidato in via equitativa». (GdP Ceglie Messapica, 7.9.2005, FI, 2006, 4, 1, 1255)

Sempre in tema di risarcimento del danno da black-out, la più re-

cente giurisprudenza osserva che

«chi agisce in giudizio per ottenere il risarcimento del danno seguito ad un lungo periodo di interruzione della somministrazione dell'energia elettrica deve provare il danno-conseguenza (nella specie, la Corte ha cassato la decisione del merito, che aveva riconosciuto all'utente il risarcimento del danno seguito ad un lungo periodo di black-out in base ad una massima di esperienza; a detta della Corte, l'inferenza probabilistica andava motivata rispetto al caso concreto)»

(Cass. Civ., Sez. III, 21.9.2009, n. 20324, D&G, 2009)

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