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Università della Calabria - Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali Corso di METODI E TECNICHE DEL SERVIZIO SOCIALE (A.A. 2014-2015) Docente: Alessandro Sicora SCHEMI ESEMPLIFICATIVI ED INTEGRATIVI Versione 2 dd. 07.12.14 - definitiva CONTENUTO DEL FASCICOLO: 1. Introduzione al servizio sociale 2 1.1. Definizione internazionale di servizio sociale 2 1.2. Fonti del servizio sociale come disciplina 4 1.3. Caratteristiche del lavoro dell’assistente sociale 5 1.4. Caratteristiche del servizio sociale italiano 5 1.5. Collocazione lavorativa degli assistenti sociali in Italia 6 2. I modelli di servizio sociale 7 2.1. Variabili considerate nei modelli del servizio sociale 11 2.2. Modello psico-sociale 12 2.3. Modello del problem solving 13 2.4. Modello centrato sul compito 14 2.5. Modello integrato 15 2.6. Passaggio dall’epistemologia psicoanalitica a quella sistemica nei modelli di servizio sociale 16 3. Il colloquio d'aiuto 17 3.1. Assiomi della comunicazione 17 3.2. Comunicazione e lavoro sociale. Suggerimenti pratici 18 3.3. Tattiche e uso di domande per la conduzione del colloquio 19 3.4. I vari tipi di colloquio 19 4. Strumenti per l’analisi della situazione 21 4.1. Il genogramma 21 4.2. L’ecomappa 22 5. La documentazione 25 5.1. Accesso alla documentazione della Pubblica Amministrazione 25 5.2. Tutela delle persone rispetto al trattamento dati personali e sensibili nell’ambito degli enti pubblici 25 5.3. Dati personali e dati sensibili (Dlgs 196/03) 26 5.4. Verbale di riunioni 26 1

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Università della Calabria - Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali Corso di METODI E TECNICHE DEL SERVIZIO SOCIALE (A.A. 2014-2015)

Docente: Alessandro Sicora

SCHEMI ESEMPLIFICATIVI ED INTEGRATIVI Versione 2 dd. 07.12.14 - definitiva

CONTENUTO DEL FASCICOLO: 1. Introduzione al servizio sociale 2 1.1. Definizione internazionale di servizio sociale 2 1.2. Fonti del servizio sociale come disciplina 4 1.3. Caratteristiche del lavoro dell’assistente sociale 5 1.4. Caratteristiche del servizio sociale italiano 5 1.5. Collocazione lavorativa degli assistenti sociali in Italia 6 2. I modelli di servizio sociale 7 2.1. Variabili considerate nei modelli del servizio sociale 11 2.2. Modello psico-sociale 12 2.3. Modello del problem solving 13 2.4. Modello centrato sul compito 14 2.5. Modello integrato 15 2.6. Passaggio dall’epistemologia psicoanalitica a quella sistemica nei modelli di

servizio sociale 16 3. Il colloquio d'aiuto 17 3.1. Assiomi della comunicazione 17 3.2. Comunicazione e lavoro sociale. Suggerimenti pratici 18 3.3. Tattiche e uso di domande per la conduzione del colloquio 19 3.4. I vari tipi di colloquio 19 4. Strumenti per l’analisi della situazione 21 4.1. Il genogramma 21 4.2. L’ecomappa 22 5. La documentazione 25 5.1. Accesso alla documentazione della Pubblica Amministrazione 25 5.2. Tutela delle persone rispetto al trattamento dati personali e sensibili nell’ambito

degli enti pubblici 25 5.3. Dati personali e dati sensibili (Dlgs 196/03) 26 5.4. Verbale di riunioni 26

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1. Introduzione al servizio sociale1.1. Definizione internazionale di servizio sociale1Il servizio sociale è una professione basata sulla pratica e una disciplina accademica che promuove il cambiamento sociale e lo sviluppo, la coesione e l'emancipazione sociale, nonché l'empowerment e la liberazione delle persone. Principi di giustizia sociale, diritti umani, responsabilità collettiva e rispetto delle diversità sono fondamentali per il servizio sociale. Sostenuto dalle teorie del servizio sociale, delle scienze sociali, umanistiche e dai saperi indigeni, il servizio sociale coinvolge persone e strutture per affrontare le sfide della vita e per migliorarne il benessere.

La definizione di cui sopra può essere ampliata a livello nazionale e/o regionale.

COMMENTOIl commento serve per decomprimere i concetti fondamentali utilizzati nella definizione e fornice dettagli su: mandati di base, principi, conoscenza e pratica della professione di assistente sociale.

MANDATI DI BASEI mandati fondamentali della professione di assistente sociale comprendono la promozione del cambiamento, della coesione sociale, nonchè l'empowerment e la liberazione delle persone.

Il servizio sociale è una professione pratica e una disciplina accademica che riconosce che i fattori storici, socio -economici , culturali, territoriali, politici e personali interconnessi sono opportunità e/o barriere per il benessere e lo sviluppo umano. Le barriere strutturali contribuiscono al perpetuarsi delle ineguaglianze, della discriminazione, dello sfruttamento e dell'oppressione. Lo sviluppo di una coscienza critica attraverso la riflessione sulle fonti strutturali di oppressione e/o di privilegio sulla base di criteri quali razza, classe, lingua, religione, genere, disabilità, cultura e orientamento sessuale, e lo sviluppo di strategie di azione dirette ad affrontare gli ostacoli strutturali e personali sono al centro di una pratica emancipatoria in cui gli obiettivi sono l'empowerment e la liberazione delle persone. Quale espressione di solidarietà con coloro che sono svantaggiati, la professione si sforza di alleviare la povertà, di liberare le persone vulnerabili e gli oppressi, nonchè di promuovere l'inclusione e la coesione sociale .

Il mandato del cambiamento sociale si basa sulla premessa che l'intervento del servizio sociale ha luogo quando si ritiene che sia necessario portare cambiamento e sviluppo ad una determinata situazione a livello della persona, della famiglia, di piccoli gruppi, della comunità o della società. Esso è guidato dalla necessità di sfidare e cambiare quelle condizioni strutturali che contribuiscono all'emarginazione, all'esclusione sociale e all'oppressione. Le iniziative di cambiamento sociale riconoscono il ruolo dell'agire umano nel promuovere i diritti umani e la giustizia economica, ambientale e sociale. La professione è parimenti impegnata al mantenimento della stabilità sociale, nella misura in cui tale stabilità non viene utilizzata per emarginare, escludere o opprimere un particolare gruppo di persone.

Lo sviluppo sociale è concepito per concretizzarsi in strategie di intervento, condizioni finali desiderate e un quadro politico, quest'ultimo in aggiunta al più comune quadro residuale e istituzionale. Si basa su valutazioni e interventi di tipo olistico biopsicosociale e spirituale che trascendono il divario micro-macro incorporando più livelli del sistema e collaborazioni intersettoriali e interprofessionali finalizzate allo sviluppo sostenibile. Dà priorità allo sviluppo

traduzione in italiano dall'inglese “Global definition of Social Work” anno 2014; a cura di A. Sicora v1 dd. 30.04.14. 1

Disponibile online su: http://www.eassw.org/global-social-work/17/gdsw-definizione-internazionale-di-servizio-sociale.html

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sociostrutturale ed economico e non condivide il luogo comune secondo cui la crescita economica è un prerequisito per lo sviluppo sociale.

PRINCIPI I principi generali del servizio sociale sono: il rispetto per il valore intrinseco e per la dignità degli esseri umani, il non fare danni a nessuno, il rispetto per la diversità, la difesa dei diritti umani e la giustizia sociale.

Promuovere e sostenere i diritti umani e la giustizia sociale costituiscono la motivazione e la giustificazione [essenziale] del servizio sociale. La professione di assistente sociale riconosce che i diritti umani debbano coesistere con la responsabilità collettiva. L'idea di responsabilità collettiva mette in evidenza sia il fatto che i diritti umani individuali possono essere realizzati giorno per giorno solo se ognuno si assume la responsabilità per l'altro e per l'ambiente, sia l'importanza della creazione di rapporti di reciprocità all'interno delle comunità. Conseguentemente, un importante obiettivo del servizio sociale è quello di difendere i diritti delle persone a tutti i livelli facilitandone gli esiti dove le persone si assumono la responsabilità del benessere dell'altro, capiscono e rispettano l'interdipendenza tra le persone e tra le persone e l'ambiente.

Il servizio sociale abbraccia diritti di prima, seconda e terza generazione. I diritti di prima generazione si riferiscono ai diritti civili e politici, quali la libertà di parola e di coscienza e la libertà dalla tortura e dalla detenzione arbitraria; i diritti socio-economici e culturali di seconda generazione includono i diritti di ragionevoli livelli di istruzione, sanità e alloggio e i diritti linguistici delle minoranze; i diritti di terza generazione sono focalizzati sul mondo naturale e sul diritto alla biodiversità di specie e all'equità intergenerazionale. Questi diritti si rafforzano reciprocamente, sono interdipendenti e danno spazio sia ai diritti individuali che a quelli collettivi.

In alcuni casi “il non fare danni a nessuno” e "il rispetto per la diversità " possono rappresentare valori in conflitto e competizione [con altri], per esempio dove nel nome della cultura sono violati i diritti, compreso il diritto alla vita, di gruppi minoritari come quelli delle donne e degli omosessuali. I “Global Standards for Social Work Education and Training” (Standard globali per la formazione al servizio sociale) si riferiscono a questo complesso problema sostenendo che gli assistenti sociali debbano essere formati ad un approccio di base sui diritti umani, con una nota esplicativa che recita:Tale approccio potrebbe facilitare confronti e cambiamenti costruttivi dove certe credenze culturali, valori e tradizioni violano i diritti umani fondamentali dei popoli. In quanto dinamica e socialmente costruita, la cultura è soggetta a decostruzione e cambiamento. Tali confronto costruttivo, decostruzione e cambiamento possono essere facilitati mediante la trasformazione e la comprensione di valori culturali, credenze e tradizioni particolari, e attraverso un dialogo critico e riflessivo con i membri del gruppo culturale nell'ambito di un confronto più ampio sui diritti umani.

CONOSCENZAIl servizio sociale è sia interdisciplinare che transdisciplinare e si basa su una vasta gamma di teorie e ricerche scientifiche. In questo contesto la “scienza” si intende nella sua accezione più elementare come “conoscenza”. Il servizio sociale attinge i propri fondamenti teorici e di ricerca in costante sviluppo, così come le teorie, da altre scienze umane, incluse ma non a titolo esclusivo: lo sviluppo di comunità, la pedagogia sociale, l'amministrazione, l'antropologia, l'ecologia, l'economia, la scienza della formazione, il management, le scienze infermieristiche, la psichiatria, la psicologia, la sanità pubblica e la sociologia. L'unicità delle ricerche e delle teorie del servizio sociale è che queste vengono applicate e hanno carattere emancipatorio. Gran parte della ricerca e delle teorie del lavoro sociale è co-costruita con gli utenti dei servizi in un processo dialogico interattivo e perciò prende forma da specifici ambienti di pratica.

Questa definizione riconosce che il servizio sociale debba essere formato non solo da ambienti di pratica specifici e da teorie sviluppate in Occidente, ma anche da conoscenze indigene. Parte

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dell'eredità del colonialismo consiste nel fatto che è stato dato valore solo a teorie e conoscenze sorte in Occidente e che le conoscenze indigene sono state svalutate, sminuite ed egemonizzate dalle teorie e conoscenze occidentali. Questa definizione cerca di arrestare e invertire quel processo riconoscendo che i popoli indigeni in ogni regione, paese o zona portano propri valori, modi di conoscere e di trasmettere le proprie conoscenze e hanno dato inestimabili contributi alla scienza. Il servizio sociale cerca di rimediare allo storico colonialismo scientifico occidentale e alla relativa egemonia ascoltando e imparando dai popoli indigeni di tutto il mondo. In questo modo prenderanno forma e saranno co-create da popoli indigeni conoscenze di servizio sociale che saranno più adeguatamente praticate non solo in ambito locale ma anche in quello internazionale. Attingendo al lavoro delle Nazioni Unite , l'IFSW (Federazione Internazionale degli Assistenti Sociali) definisce le popolazioni indigene come segue (http://ifsw.org/policies/indigenous-peoples):• vivono all'interno (o mantengono un forte contatto con) territori dei loro antenati geograficamente distinti;• tendono a mantenere nel loro territorio istituzioni sociali, economiche e politiche distinte;• in genere aspirano a rimanere distinte culturalmente, geograficamente e istituzionalmente, invece di essere completamente assimilate nella comunità nazionale;• si autoidentificano come [popoli] indigeni o tribali.

PRATICAIl servizio sociale trova leggittimità e mandato nei propri interventi [mirati] nei punti in cui le persone interagiscono con il loro ambiente. L'ambiente include i vari sistemi sociali nei quali le persone sono inserite, nonchè il naturale ambiente geografico, che ha una profonda influenza sulla vita delle persone. La metodologia partecipativa sostenuta nel servizio sociale si riflette nel [principio della Global Agenda che dice: “il servizio sociale] coinvolge le persone e le strutture per affrontare le sfide della vita e migliorare il benessere". Per quanto possibile, il servizio sociale persegue un lavoro con piuttosto che per le persone. Coerentemente con il paradigma dello sviluppo sociale, gli assistenti sociali utilizzano una serie di competenze, tecniche, strategie, principi e attività a vari livelli del sistema volti a fare manutenzione al sistema stesso e/o a cercare di cambiarlo. La pratica del servizio sociale si estende su una vasta gamma di attività, tra cui: varie forme di terapia e di consulenza, lavoro di gruppo e lavoro di comunità; formulazione e analisi di politiche; advocacy e interventi politici. Da una prospettiva emancipatoria, che questa definizione supporta, le strategie del servizio sociale sono finalizzate ad accrescere la speranza delle persone, l'autostima e il potenziale creativo per affrontare e sfidare dinamiche di potere oppressive e fonti strutturali di ingiustizie, incorporando così in un insieme coerente la dimensione di intervento micro/macro, personale/politica. Il focus olistico del servizio sociale è universale, ma le priorità della pratica del servizio sociale varieranno da un paese all'altro e di volta in volta a seconda delle condizioni storiche, culturali, politiche e socio- economiche.

È responsabilità degli assistenti sociali in tutto il mondo difendere, arricchire e realizzare i valori e i principi enunciati in questa definizione. Una definizione di servizio sociale può essere significativa solo quando gli assistenti sociali si impegnano attivamente per i valori e la vision [in essa espressi].

1.2. Fonti del servizio sociale come disciplina“Il servizio sociale, come ogni professione, dispone di un corpo sistematico di conoscenze teoriche, la cui origine è duplice. Vi è una “teoria della pratica”: è il sapere che si ricava dalla descrizione e interpretazione della realtà operativa che si fonda su processi osservativi e induttivi che originano una serie di enunciati ricavati da generalizzazioni empiriche. Esiste poi una una “teoria per la pratica”, costituita dall’apporto che le diverse impostazioni teoriche delle scienze sociali possono offrire al servizio sociale. Nel servizio sociale la teoria non rappresenta una conoscenza per la conoscenza, ma una conoscenza che orienta l’operatività” . 2

Dal Pra Ponticelli, M., Lineamenti di servizio sociale, Astrolabio, Roma, 19872

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1.3. Caratteristiche del lavoro dell’assistente sociale Alcune delle caratteristiche più importanti che accomunano il lavoro di tutti gli assistenti sociali sono : 3

• utilizzo di competenze relazionali e comunicative, • rapporto lavorativo di dipendenza in organizzazioni pubbliche (o comunque non profit) che

erogano servizi, • forte legame tra assistente sociale e organizzazione di appartenenza, • servizio sociale quale “teoria operativa”, • forte intreccio tra aspetti valoriali e contenuti formativi , 4

• operatività inserita in un campo soggetto a rapidi cambiamenti (e tanto più rapidi sono i cambiamenti, tanto maggiori sono le esigenze di formazione permanente) che richiedono all’operatore di “mantenere, aggiornare e qualificare le capacità acquisite ed effettivamente esercitate” tramite la formazione permanente che, in una sorta di causalità circolare, assume 5

non solo la funzione di risposta al cambiamento , ma anche il ruolo di strumento promotore del 6

cambiamento del sistema socio-sanitario , 7

• esigenza di momenti di formazione interprofessionale legati ad un’operatività che cerca di ricomporre le complessità della persona-utente mediante il ricorso a forme strutturate e permanenti di lavoro tra diversi professionisti ovvero oscillando tra “istanze di collegialità” e 8

“domanda di specificità” , 9

• formazione di base universitaria che solo recentemente (fine anni ’80 – inizio anni ‘90) ha trovato una sua definitiva collocazione tramite la formulazione di curricula accademici articolati secondo una specifica visione di “ciò che serve sapere” per fare l’assistente sociale.

1.4. Caratteristiche del servizio sociale italianoAttorno all'inizio degli anni ’90 Maria Dal Pra Ponticelli indica per il servizio sociale italiano quattro caratteristiche principali, ovvero : 10

Rielaborazione da: Sicora, Alessandro. L’assistente sociale riflessivo, Pensa Multimedia, Lecce, 2005, pp. 71 – 72.3

Cfr. Giraldo S., “Lavoro dell’assistente sociale ed esigenze formative”, in Bianchi M.e Folgheraiter F., L’assistente 4

sociale nella nuova realtà dei servizi, Milano, Angeli, pp. 103 – 106 e Fondazione "Emanuela Zancan", “Manifesto della formazione” in Sarpellon G. e Vecchiato T. (a cura di), Le frontiere del sociale - primo rapporto, Padova, Fondazione "Emanuela Zancan", 1993

Scortegagna R., “La formazione nelle professioni sociali” in La Rivista di Servizio Sociale, anno XXXVIII, n. 4 5

dicembre 1998, p. 4.

Diomede Canevini M., “La formazione degli assistenti sociali: costanti e linee evolutive”, in Coordinamento 6

Nazionale Docenti di Servizio Sociale, Il Servizio Sociale come processo di aiuto, 3° ed., Milano, Angeli, 1990, p. 129.

Cfr. Dal Pra Ponticelli M., Documento di sintesi – Formazione permanente degli operatori sociali e lavoro sociale sul 7

territorio: possibile ruolo delle Scuole di Servizio Sociale in “Servizi Sociali”, anno VIII - n. 1, 1981, p. 27.

Cfr. Neve E., “Integrazione e formazione” in Canevini D. e Vecchiato T. (a cura di), L’integrazione delle 8

professionalità nei servizi alle persone – Documentazione sui Servizi Sociali n. 51, Padova, Fondazione Emanuela Zancan, 2002, pp. 79 – 94.

Sabatelli E., “La formazione professionale dell’assistente sociale: i problemi attuali e gli orientamenti emergenti”, op. 9

cit., p. 15.

tratto da Dal Pra Ponticelli, Maria. Il servizio sociale oggi in Italia, A.I.DO.S.S, 1993.10

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1. TERRITORIALITA’ • il Servizio Sociale territoriale (Comune, distretto...) viene considerato come punto di riferimento

per i bisogni di tutta la popolazione residente su di un determinato territorio; • l’attenzione dell’assistente sociale va posta non a tanto sulle “patologie” in atto quanto sui

bisogni, sull’organizzazione dei servizi e sul coordinamento delle risorse per “migliore la qualità della vita” della comunità territoriale;

2. GENERALITA’ • ai servizi sociali territoriali compete qualunque tipo di problema e utenza; • i problemi affrontati (mancanza mezzi economici, casa, lavoro, rapporti familiari problematici,

ecc.) trovano soluzione in una progettualità radicata in prestazioni di assistenza (sussidio, assisistenza domiciliare, ricovero ...), consulenza (parere di un professionista su una questione di specifica competenza) e case-management (integrazione di risorse);

3. UNITARIETA’ METODOLOGICA • a partire dalla metà anni ‘70 vengono superati i cosiddetti “cinque metodi” (casework,

groupwork, community work, ricerca sociale, aministrazione) e si giunge ad un “metodo unico” di intervento articolato in fasi (1. conoscitiva, 2. valutativa, 3. propositiva-decisionale, 4. attuattiva, 5. verifica)

4. PLURIFUNZIONALITA’ • consiste nello svolgimento contemporaneo di più funzioni, ovvero: 1. presa in carico dell’utenza, 2. conoscenza dei bisogni e di risorse della comunità (ricerca sociale), 3. elaborazione di progetti di servizi, 4. organizzazione e gestione dei servizi dell’Ente, 5. animazione e coordinamento di risorse comunitarie.

1.5. Collocazione lavorativa degli assistenti sociali in Italia11

Facchini C. (2010), L’attività lavorativa: ruolo dell’organizzazione e centralià dell’utenza, in Facchini C. (Ed.), Tra 11

impegno e professione. Gli assistenti sociali come soggetti del welfare (pp. 159–184), Bologna: Il Mulino.

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privato sociale14%

altri enti pubblici5%

Ministero Giustizia6%

ASL e Ospedaliere29%

Comuni singoli e associati46%

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2. I modelli di servizio sociale12“Definizione Il termine “modello” (m.) si presta a essere utilizzato in molti ambiti disciplinari e con significati differenti. In linea molto generale possiamo dire che il m. può essere inteso come schema legato al concetto di semplificazione, che serve cioè a percepire in modo più semplice un fenomeno complesso o a organizzare, ordinare dati slegati, apparentemente lontani. Oppure può essere identificato come strumento, schema di riferimento, schema concettuale ipotetico, non assimilabile totalmente con una teoria ma che può essere orientato alla sua costruzione. In questo caso viene sottolineata in modo parti- colare la funzione euristica, strumentale del termine “modello” e sotto questo profilo – che è quello per lo più privilegiato nell’ambito disciplinare del servizio sociale – riveste una funzione orientativa, organizzativa ed esplorativa nei con- fronti dei dati di una realtà da analizzare. Si può pertanto dire che un m. ha soprattutto la funzione di “orientamento” nel contesto dell’analisi dei dati di una determinata realtà. La funzione esplicativa della possibile relazione esistente fra dati di realtà implica che l’elaborazione di un m. presupponga da una parte tecniche induttive e di osservazione della realtà empirica ma dall’altra anche formulazioni dedotte da prospettive teoriche in grado di illustrare aspetti generali della realtà.

Basi teoriche L’elaborazione di m. in qualunque disciplina – ma tanto più per il servizio sociale – è connessa strettamente al problema del rapporto teoria- pratica, in quanto un m., come abbiamo visto, rappresenta uno schema teorico-orientativo per l’analisi della realtà, anche a fini operativi e, soprattutto nel servizio sociale, di realtà individualizzate, particolari, di tipo idiografico. Il rapporto, allora, sarà in modo prevalente con teorie a “medio raggio”, di tipo descrittivo, in grado di orientare nell’analisi di fenomeni particolari attraverso la ricostruzione della loro genesi nel tempo, il loro inserimento in un sistema com- plesso, multicausale, anche se può essere necessario spesso fare ricorso a teorie più generali, nomotetiche, per utilizzarne gli enunciati in modo deduttivo. Qualunque m., quindi, «è in posizione di difficile equilibrio [...] tra una dimensione teorica e una descrittiva, tra una dimensione empirica e una for- male» (Bruschi, 1971, p. 161); la sua costruzione è intrinseca al processo metodologico e ne segue l’iter, che possiamo provare a esemplificare riferendoci ai m. teorico-operativi elaborati nell’ambito disciplinare del servizio sociale. Di fronte a una situazione da analizzare o sulla quale intervenire, che può essere di tipo individuale, organizzativo-gestionale o comunitario, dopo un processo di osservazione, analisi, ascolto si ipotizza un possibile schema di riferimento (m.) che serva da guida per la riflessione sui dati della realtà analizzata, schema desunto dagli assunti di una o più teorie consolidate, scelte in base ai contenuti della situazione, agli obiettivi che si intende raggiungere, ai principi e ai valori che guidano la pratica professionale. Si confronta tale “schema concettuale ipotetico” con le idee, convinzioni, ipotesi maturate nell’ambito dell’esperienza di analisi della realtà e si riflette scientificamente (deduzione) e operativamente (induzione) sulla consistenza logica di tale schema, sulla sua applicabilità, sulla sua validità strumentale, euristica. Alla luce del m. ipotizzato si riflette sui fatti, cioè lo si sperimenta applicandolo a una realtà fattuale al fine di giungere a formulare una sua più precisa configurazione. Naturalmente ogni m. – come ogni teoria, del resto – ha sempre un continuo bisogno di essere verificato, testato; è passibile di sempre ulteriori modifiche, integrazioni, arricchimenti, non è una verità data una volta per tutte, una “ricetta” immodificabile. È importante quindi anche comparare più situazioni “trattate” con lo stesso m. per giungere a possibili

Dal Pra Ponticelli, Maria, “Modelli di servizio sociale” In Campanini, Annamaria, Nuovo dizionario di servizio 12

sociale, Carocci, Roma, 2013, pp. 372 - 379.

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generalizzazioni, e anche confrontare situazioni simili con m. diversi e valutare gli esiti ai quali si è giunti. Talvolta può essere difficile che una situazione sociale venga “rap- presentata”, cioè compresa, in maniera completa e totale sulla scorta di un solo m.; questo non vieta tuttavia di poter utilizzare un m. anche solo per analizzare aspetti parziali di una realtà sociale. Esistono infatti m. più specificamente “esplorativi” che servono a saggiare sul campo la validità delle ipotesi conoscitive avanzate, come d’altra parte ne esistono di più operativi, come guida per possibili interventi. Tuttavia possiamo sottolineare che nell’ambito disciplinare del servizio sociale i m. dovrebbero avere sempre anche un risvolto operativo. È inoltre importante precisare che le diverse dimensioni del lavoro professionale postulano l’esigenza di elaborare m. differenti, specifici per ciascuna di queste dimensioni, oltre che spesso anche differenziati al loro interno. Certamente la costruzione, e soprattutto la validazione, di m. relativi a situazioni organizzativo-gestionali o comunitarie si basano su assunti teorici di discipline diverse, su modalità e strumenti di analisi dei dati di realtà specifici in relazione ai differenti obiettivi da raggiungere rispetto alla formulazione di m. da utilizzare in situazioni problematiche individuali.

Evoluzione dei modelli Il servizio sociale, soprattutto nei paesi di più lunga tradizione, ha cercato da tempo di elaborare m. teorico-operativi come strumenti per rendere la propria operatività più scientificamente fondata. Esaminiamo prima di tutto i m. di servizio sociale, elaborati nei paesi anglo- americani, che si occupavano in maniera particolare della dimensione individuale/familiare dell’intervento professionale e che si rifacevano in modo parti- colare alle teorie psicologiche. Possiamo ricordare il m. problem solving [u] (Perlman, 1962) ispirato alle teorie della psicologia cognitivista, costruttivista e umanistica, il m. psicosociale (Hollis, 1964) che si rifaceva alla scuola diagnostica di orientamento psicanalitico già presente negli Stati Uniti intorno agli anni venti, il m. funzionale (Smalley, 1967) influenzato dalle teorie neofreudiane già presenti in elaborazioni di servizio sociale che risalgono agli anni trenta. Successivamente, a partire dagli anni settanta, l’impostazione del m. problem solving, integrato dall’apporto delle teorie sistemiche, ha dato origine a nuovi e interessanti m. non più riferibili solo alla dimensione individuale dell’operatività professionale, quali il m. integrato, il m. centrato sul compito, il m. esistenziale , il m. unitario. Tali approcci vennero successivamente ampliati e arricchiti attraverso approfondimenti teorici e sperimentazioni sul campo [u Modello problem solving]. Proseguì inoltre negli usa anche lo sviluppo di m. orientati alla psicanalisi, sia pure con orientamenti diversi, dando origine al filone del clinical social work, nel quale si cerca di evidenziare più la centralità del rapporto individuo- ambiente che non l’influenza determinante delle pulsioni instintuali. Anche se l’interesse per tali m. non ha avuto molta diffusione, tuttavia molti concetti in uso nella professione derivano da approcci di orientamento psicanalitico. A partire dagli anni ottanta venne ad ampliarsi l’interesse per approcci che si rifacevano al comportamentismo nelle sue diverse interpretazioni, dal condizionamento classico, al condizionamento operante, alla teoria del modelling, all’orientamento cognitivo-comportamentista (Sheldon, 1995). Negli anni più recenti si è evidenziato un filone di studi su m. di servizio sociale utilizzabili soprattutto nella dimensione individuale-familiare dell’intervento professionale, che si rifà agli orientamenti cognitivo-costruttivisti, a impostazioni relazionali-sistemiche: viene sottolineata la centralità della “ricostruzione” insieme all’utente della situazione problematica con l’obiettivo di ipotizzare la formulazione di progetti di fronteggiamento da realizzare congiuntamente (Parton, O’Byrne, 2005), anche attraverso l’apporto del contesto con le sue reti e le sue risorse istituzionali e comunitarie (Dal Pra Ponticelli, 2010). L’interesse per l’elaborazione di m. teorico-operativi del

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servizio sociale ha sempre riguardato anche le altre dimensioni del lavoro professionale, soprattutto nei paesi in cui tali dimensioni venivano quasi considerate professioni specifiche, per le quali spesso erano previste formazioni differenziate. Nel tempo sono stati infatti elaborati anche m. attinenti al lavoro di gruppo, che si rifacevano a vari approcci teorici e si ponevano obiettivi differenti a seconda della tipologia dei gruppi ai quali si riferivano (Roberts, Northen, 1976). Il lavoro con i gruppi che si veniva realizzando intorno agli anni venti in America si poneva soprattutto l’obiettivo di utilizzare il piccolo gruppo come strumento di sviluppo democratico per l’acquisizione di una cittadinanza responsabile e creativa che si batte per affermare i propri diritti; si riteneva che la personalità dei membri maturasse e si trasformasse per mezzo delle attività di gruppo volte a raggiungere tali obiettivi. Così il piccolo gruppo viene inteso come il mezzo e il contesto per affrontare e risolvere problemi sociali; si tratta quindi di gruppi “orientati al compito” (task-oriented). Tale orientamento teorico-operativo viene indicato nell’ambito del servizio sociale come m. dei fini sociali. Un differente approccio al lavoro di gruppo, iniziato intorno agli anni trenta in usa, si poneva invece l’obiettivo di aiutare persone in difficoltà a cambiare i loro comportamenti inadeguati, attraverso la partecipazione a “gruppi volti alla crescita delle persone” (growth-oriented) cioè con finalità terapeutiche e riabilitative. Tale approccio “riparativo” (remedial) ha dato origine a m. orientati sia alla prospettiva psicodinamica (Konopka, 1963), sia a quella cognitivo-comportamentista. Un altro interessante filone di lavoro di gruppo ha dato origine a m. di tipo interazionista, mediativo (reciprocal, mediating) orientati su prospettive teoriche umanistico-sistemiche integrate via via da numerosi altri approcci attinenti alla dinamica di gruppo, alla psicologia sociale (m. developmental) e volti allo sviluppo dell’empowerment dei gruppi o attraverso i gruppi, alla partecipazione dei gruppi della comunità ai processi decisionali e gestionali, all’integrazione dei gruppi etnici, alla promozione di gruppi di auto-aiuto (Gutierrez, Delois, Glenmaye, 1995). Questo filone ha legami molto stretti con lo sviluppo dei m. per la dimensione comunitaria del servizio sociale, attinenti all’analisi dei processi di promozione della società civile, del comunity care, del lavoro di rete, della progettazione integrata dei servizi sul territorio che a partire dagli anni novanta si venivano sviluppando in molti paesi di Europa, fra i quali l’Italia, a seguito dell’orienta- mento della politica sociale locale verso il welfare mix (Popple, 1995). Sono stati elaborati infatti nel corso di quegli anni anche m. per l’analisi del lavoro con la comunità, sia pure con orientamenti diversi. Alcuni più volti alla promozione, allo sviluppo, al coordinamento di reti di solidarietà fra la popolazione residente di un determinato territorio (community liaison), ma anche alla promozione di gruppi di volontariato, di auto-aiuto e al sostegno delle loro capacità di elaborare e gestire progetti di servizi (community care), pro- cessi divenuti molto importanti a seguito della tendenza all’esternalizzazione di molti servizi sociali a livello locale. Si tratta di approcci che si stanno attualmente affermando anche nei paesi in via di sviluppo e sono visti come modalità per attuare pratiche antidiscrminatorie soprattutto nei confronti di minoranze etniche e gruppi marginali attraverso lo sviluppo di forme di advocacy, la promozione di gruppi di pressione, interventi di “servizio sociale radicale”. Una particolare attenzione è data ultimamente a m. di lavoro con la comunità orientati all’empowerment analizzato sotto tre profili: a livello individuale per aiutare le persone della comunità a divenire più consapevoli e intraprendenti attraverso interventi educativi e promozionali; a livello collettivo nei con- fronti di gruppi già esistenti o da promuovere al fine di aiutarli a organizzarsi, a progettare, a creare risorse da mettere in rete; a livello istituzionale al fine di promuovere interventi di politica sociale più rispondenti ai bisogni reali della comunità, sviluppare servizi più funzionali e umanizzanti, migliori progetti di giustizia sociale (community development) (Midgley, 1995).

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Si accenna spesso anche a m. relativi al lavoro professionale nelle comunità residenziali orientato a indurre cambiamenti nei rapporti interpersonali, nella stessa organizzazione e gestione della residenza, per “produrre qualità” sia nella vita degli ospiti che nel lavoro dei caregiver.

Sviluppo dei modelli in Italia In Italia l’elaborazione di m. teorico-operativi ha avuto uno sviluppo lento e difficile dovuto, in parte, alla carenza di una valida e approfondita base teorica del servizio sociale, per molto tempo estraneo ai circuiti accademici e ufficiali della ricerca, della sperimentazione, della riflessione teorica; ma in parte anche alle rapide e sostanziali trasformazioni avvenute negli ultimi decenni nel nostro sistema assistenziale, che hanno scoraggiato gli opera- tori dall’intraprendere ricerche e sperimentazioni sul campo. Agli inizi del servizio sociale nel nostro paese, intorno agli anni cinquanta-sessanta, vennero conosciuti alcuni m. di servizio sociale soprattutto americani, attraverso la traduzione di testi e le “missioni” di docenti di servizio sociale, promosse dall’AAI nell’ambito del progetto di assistenza tecnica alle scuole di servizio sociale. Si trattò soprattutto di m. riguardanti il servizio sociale individuale; fonda- mentale fu nel 1962 la traduzione del volume di Perlman Social Casework: A Problem Solving Process, che divenne il libro di testo del servizio sociale per antonomasia. Vennero conosciuti in quegli stessi anni anche alcuni orientamenti relativi al lavoro di gruppo (Seminario Sullivan, 1956 ) e al lavoro di comunità (Convegno di Palermo, 1958). Si trattava di m. elaborati in relazione a contesti profondamente diversi, con finalità più operative che teoriche e, sotto questo profilo, in maniera abbastanza acritica vennero “utilizzati” più a livello di modalità di analisi e di intervento (già pronte per l’uso) che di schemi teorici da approfondire e convalidare attraverso la pratica professionale, anche perché spesso risultavano scarsamente rispondenti alle reali esigenze della nostra realtà assistenziale. Questa impostazione venne messa in crisi e contestata nei primi anni settanta anche attraverso il rifiuto di m. importati dall’estero, provocando così un vuoto culturale che si è protratto per molti anni. Di fronte ai profondi mutamenti del settore assistenziale, a seguito del decentra- mento regionale, della realizzazione dei servizi sociali territoriali gestiti dall’ente locale e della conseguente soppressione degli enti nazionali di assistenza divisi rigidamente per categorie di utenza, divennero evidenti i limiti della docenza di servizio sociale suddivisa nei vari “metodi”, e anche di m. orientati all’analisi e all’intervento differenziato delle diverse dimensioni del servizio sociale, che nella realtà operativa divenivano invece sempre più integrate. Si riprese quindi l’interesse per la conoscenza di m. di servizio sociale nuovi, integrati, unitari, più adeguati alla nuova realtà operativa. Si rincominciò pertanto a tradurre e a diffondere i nuovi m. che si venivano evolvendo in campo internazionale (Dal Pra Ponticelli, 1985, 1987) e a riflettere su di essi attraverso incontri, seminari, convegni. Sotto la spinta di queste sollecitazioni anche i docenti di servizio sociale delle varie scuole, che nel frattempo si erano inserite completamente e totalmente nel contesto universitario (1987), iniziarono a produrre testi organici sui m. di servizio sociale visti nell’ottica del nostro sistema assistenziale, orientandosi in varie direzioni. Alcuni più sul m. sistemico (Campanini, Luppi, 1998; Lerma, 1992), altri sull’approccio psicanalitico (Milana, Pittaluga, 1983) e socioclinico (Piscitelli, 1996), altri sul filone problem solving (Dal Pra Ponticelli, 1988), sull’orientamento unitario centrato sul compito (Ferrario, 1996) e recente- mente sulla prospettiva cognitivo-costruttiva (Dal Pra Ponticelli, 2010). A partire dagli anni settanta furono elaborati anche studi sulle caratteristiche del servizio sociale territoriale, che rappresenta il “prototipo del servizio sociale italiano”, nonché riflessioni organiche sul lavoro con i gruppi, sul lavoro di rete, sul lavoro di comunità, nei quali sembrano emergere

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orientamenti, indicazioni, impostazioni identificabili come m., forse più operativi che teorici, di impronta italiana. Negli ultimi anni è proseguito questo valido sforzo di riflessione e si è potuta notare una maggiore conoscenza del dibattito internazionale in corso sulla disciplina del servizio sociale, mentre sembra tuttora carente l’analisi dell’impatto che le impostazioni e i m. proposti hanno avuto sulla concreta operatività professionale. Per questa ragione si può forse parlare nel nostro contesto attuale di “ipotesi sui modelli”, mancando ancora una diffusa e approfondita verifica critica, scientificamente fondata attraverso la loro applicazione “sperimentale” alla realtà operativa, anche se si stanno intravedendo alcuni interessanti tentativi in questa direzione (Fargion, 2002, 2009).

Conclusione Per concludere si può ancora una volta sottolineare che di fronte al tema dei m. permane il nodo del rapporto teoria-prassi, che caratterizza ogni disciplina con risvolti operativi, nodo che postula l’esigenza anche per il servizio sociale italiano attuale di orientarsi maggiormente su due strade da percorrere parallelamente: da una parte riprendere il dibattito e l’approfondimento delle basi teoriche cui si ispirano i diversi m. che vengono elaborati sia in Italia che negli altri paesi per un confronto sempre più costruttivo e una maggiore consapevolezza teorica; dall’altra promuovere la valutazione dell’esperienza professionale, attraverso una riflessività sistematica e ben articolata che parta dai dati di realtà del proprio operare analizzati criticamente alla luce di schemi teorici chiari ed evidenziabili fondati su conoscenze approfondite”.

2.1. Variabili considerate nei modelli del servizio socialeI modelli teorici di servizio sociale sono schemi teorico-orientativi per l'esplorazione della realtà, la ricerca di relazione tra i dati e per la pratica. In altre parole, consentono di conoscere per orientare l’operatività. Per tale ragione, sostanzialmente e con diversi livelli di approfondimento, prendono in considerazione le variabili che vengono di seguito elencate e che vengono utilizzate nelle prossime pagine per illustrare schematicamente i principali modelli: 1. chi ha il problema/chi è l’utente, 2. cos’è il bisogno/problema, 3. cause del problema, 4. area d’azione del servizio sociale, 5. livelli a cui opera il servizio sociale, 6. chi e con chi opera l’assistente sociale, 7. obiettivi, 8. risorse, 9. fasi, 10. mezzi (attraverso cui opera l’assistente sociale).

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2.2. Modello psico-sociale13

MODELLO PSICO-SOCIALE (Hollis 1964)

1. fonti teoriche in filone scuola “diagnostica” (studio – diagnosi – trattamento) influenzato da neo-freudiani (A. Freud, Erickson) e psicologia umanistica; riferimenti Hollis a teoria dei sistemi

2. chi ha il problema/chi è l’utente

individuo

3. cos’è il bisogno/ 4. problema

bisogno = “manifestazione di un problema di adattamento sociale, discrepanza nel reciproco adattamento tra l’individuo e le altre persone a cui è legato” (ovvero risposta inadeguata a pressioni ambientali conseguente disfunzioni nel processo di adattamento e integrazione fra l’individuo e la sua situazione sociale)

5. cause del problema

Cause pregresse, spesso risalenti all’infanzia (teorie psicanalitiche)

6. livelli a cui opera il serv.soc.

Trattamento diretto (utente)* e indiretto (ambiente) ! mediazione, chiarificazione, informazione, influenza su persone significative

7. con chi opera l’ass.soc.

Individui

8. obiettivi •“cambiamento nell’individuo/i o nella situazione o in entrambi” •Riflessione sugli aspetti dinamici ed evolutivi dei propri modelli

comportamentali + Cura percezioni distorte di sé e delle situazioni ! insight (presa di coscienza configurazione individuo-situazione ! aiuto a comprensione propri pensieri ed emozioni)

9. fasi 1. f. iniziale (capire ragioni 1° contatto, stabilire rapporto, impeganre utente nel trattamento, inizio trattamento, studio psicosociale)

2. valutazione dell’utente nella sua situazione (programmazione obiettivi e trattamento)

10. mezzi (attraverso cui opera ass.soc.)

Comunicazione (sostegno, influenza diretta, catarsi, esplorazione, comunicazione riflessiva)* ! • esplorazione continua • verbalizzazione in accettazione • considerazione riflessiva su complesso individuo-situazione • sostegno verbale • comunicazione di tipo direttivo

11. efficacia Settore medico e psichiatrico

Elaborazione da Dal Pra Ponticelli, Maria. I modelli teorici del servizio sociale, Roma, Astrolabio, 198513

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2.3. Modello del problem solving14

n.b. superamento schema “medico” studio –

diagnosi – trattamento " analisi iniziale è già

trattamento

PROBLEM SOLVING (Perlman 1957 )

1. fonti teoriche conoscenze psicosociali (psicologia dell’Io) e orientamento cognitivistico

2. chi ha il problema/chi è l’utente

individuo

3. cos’è il bisogno/problema

difficoltà nella soluzione dei problemi

4. cause del problema 1. mancanza di mezzi e risorse, 2. ignoranza o cattiva comprensione dei fatti, 3. esaurimento energie emotive o fisiche, 4. sentimenti troppo intensi (es. ansia), 5. cronicizzazione assoggettamento ad emozioni, 6. no sistematicità in pensiero e azione

5. livelli a cui opera il servizio sociale

livello individuale + alcuni aspetti dell’ambiente

6. con chi opera l’assistente sociale

Individui

7. quali sono le risorse

capacità dell’individuo e dell’assistente sociale

8. obiettivi “Il processo di servizio sociale individuale sostiene, integra e fortifica le funzioni dell’io del cliente” • immediato: ridurre l’ansia (visione più chiara), diminuire le difese vs.

sorgente di aiuto e apprendere comportamento adeguato • di fondo: impegnare dinamismo interno per processo di

apprendimento sociale (azioni appropriate sia alla realtà sociale sia al raggiungimento dei propri fini consapevolmente scelti) ! lavoro utente sui propri sentimenti, atteggiamenti, idee e comportamenti

9. fasi 3. chiarificazione fatti del problema 4. riflessione (penetrare i fatti per coglierne i nessi) 5. decisione (esame congiunto delle alternative e delle conseguenze)

10.mezzi (attraverso cui opera ass.soc.)

• rapporto professionale • sistematica discussione e azione su problema • uso di servizi, prestazioni e risorse

11.efficacia adatto per persone autonome, in crisi temporanea, con incapacità di mediare tra risorse e problemi

Elaborazione da Dal Pra Ponticelli, Maria. I modelli teorici del servizio sociale, Roma, Astrolabio, 198514

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2.4. Modello centrato sul compito15

MODELLO CENTRATO SUL COMPITO (Reid 1972)

1. chi ha il problema/chi è l’utente

individuo

2. cos’è il bisogno/problema

capacità non sfruttate dell’individuo

3. cause del problema comportamento errato

4. area d’azione del servizio sociale

attenzione a ciò che l’utente e l’ass.soc. possono cambiare, non alle cause remote

5. livelli a cui opera il servizio sociale

individuale + alcuni aspetti dell’ambiente (influenzare e sensibilizzare persone significative)

6. con chi opera l’assistente sociale

individui

7. quali sono le risorse

capacità dell’individuo

8. obiettivi apprendimento sociale

9. fasi 1. specificazione del problema 2. contrattazione 3. pianificazione del compito (sperimentare nuovi comportamenti) 4. analisi e rimozione ostacoli 5. sperimentazione e attività guidata 6. revisione del compito 7. conclusione

10.mezzi (attraverso cui opera ass.soc.)

• rapporto professionale • Ente (“autorità” dell’ass.soc.)

11.efficacia problematica particolare e limitate difficoltà di svolgere dei ruoli

Elaborazione da Dal Pra Ponticelli, Maria. I modelli teorici del servizio sociale, Roma, Astrolabio, 198515

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2.5. Modello integrato16

MODELLO INTEGRATO (Pincus e Minahan, 1973)

1. chi ha il problema/chi è l’utente

sistemi

2. cos’è il bisogno/problema

attributo del rapporto tra persona/-e e risorse

3. area d’azione del servizio sociale

interazione tra persone e loro ambiente sociale

4. livelli a cui opera il servizio sociale

• individuo (problem-solving) • rapporto (interazione tra bisogni e risorse) • sistemi (formali e sociali)

5. chi è l’assistente sociale

agente di cambiamento

6. con chi opera l’assistente sociale

sistemi (s. agente, s. di cambiamento, s. cliente, s. bersaglio)

7. quali sono le risorse

risorse sistemiche (naturali, formali, sociali)

8. obiettivo Stabilire, facilitare, modificare i legami tra persone e sistemi di risorse ! “aiutare le persone a sviluppare e usare in modo efficace le capacità personali di reazione e di problem solvine”

9. fasi 1. individuazione problema 2. instaurazione del rapporto 3. chiarificazione o diagnosi 4. analisi dei possibili obiettivi 5. individuazione delle azioni di cambiamento 6. presa di coscienza del cambiamento 7. conclusione rapporto

10.mezzi (attraverso cui opera ass.soc.)

• rapporti instaurati con i 4 sistemi coinvolti --> collaborazione/ contrattazione/conflitto

• contratto ass.soc.-sistemi

Elaborazione da Dal Pra Ponticelli, Maria. I modelli teorici del servizio sociale, Roma, Astrolabio, 198516

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2.6. Passaggio dall’epistemologia psicoanalitica a quella sistemica nei modelli di servizio sociale17

DA: A:

• Trasmissione di energia • Trasmissione di informazioni

• Individuo come sistema chiuso • Individuo come sistema aperto

• Interesse verso i processi intrapsichici • Interesse verso le interrelazioni e i processi comunicativi

• Causalità lineare • Causalità circolare

• Scarsa attenzione al contesto • Importanza del contesto nello sviluppo del sintomo

• Il sintomo come espressione di conflitti intrapsichici

• Il sintomo come espressione di una situazione interpersonale

• Interesse verso il passato • Interesse verso il presente

• Interpretazione e insight come obiettivo terapeutico

• Cambiamento come obiettivo terapeutico

Campanini, Annamaria e Luppi, Francesco. Servizio sociale e modello sistemico, Roma, NIS, 198817

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3. Il colloquio d'aiuto3.1. Assiomi della comunicazioneSchematicamente, i cosiddetti assiomi della comunicazione formulati nell’ambito della Scuola di Paolo Alto sono : 18

1. “Non si può non comunicare” • esempio: l'uomo che legge il giornale sul treno • contraddizioni e cambio di argomento per squalificare la comunicazione

2. “Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi metacomunicazione”

• “Questo è un ordine”, “Sto solo scherzando” • definizione del sé e dell’altro: (i) conferma, (ii) rifiuto, (iii) disconferma (“buono, molto buono”

detto indifferentemente se minestra buona o bruciata)

3. “La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti”

• conflitti su ciò che è causa (es. aggressione) e ciò che è effetto (es. difesa) e corsa agli armamenti

• marito “Io mi chiudo in me stesso perché tu brontoli” VS. moglie “Io brontolo perché tu ti chiudi in te stesso”

• profezia che si autodetermina (“non piaccio a nessuno” ! comportamento sospettoso ! diffidenza da parte degli altri ! conferma della “profezia”: “non piaccio a nessuno”)

4. “Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico. Il linguaggio numerico ha una sintassi logica assai complessa e di estrema efficacia ma 19

manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio 20

analogico ha la semantica ma non ha alcuna sintassi adeguata per definire in modo che non sia ambiguo la natura delle relazioni”

• Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico.Il linguaggio numerico ha una sintassi logica assai piu’ complessa e di estrema efficacia, ma manca di una semantica adeguata nel settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica ma non ha alcuna sintassi adeguata per definire la natura della relazione.

• sintassi = (studio dell') insieme della regole relative ai procedimenti tramite i quali le unità sintattiche si combinano in frasi e in periodi

• semantica = (studio del) significato delle parole; relazione tra segni linguistici e il loro significato

• linguaggio analogico : rappresentazione degli oggetti per similitudine (immagini, gesti, ecc.)

Watzlawick, Paul; Beavin, Janet Helmick e Jackson, Don D.. Pragmatica della comunicazione umana, Roma, 18

Astrolabio, 1971, pp. 41-63.

per sintassi si intende, in linguistica, l’insieme delle relazioni grammaticali tra le parole che costituiscono una frase o, in generale, 19

un’espressione linguistica di più elementi e, nel linguaggio filosofico, quella parte della logica, e specificamente della semiotica, che ha per oggetto di studio le relazioni tra i segni, indipendentemente dai significati (DISC Compact - Dizionario Italiano Sabatini - Coletti, Firenze, Giunti Gruppo Editoriale, 1997)

per semantica si intende, in linguistica, l’analisi e lo studio del linguaggio dal punto di vista del significato e, in logica, lo studio del 20

rapporto fra i segni e gli oggetti a cui si riferiscono, cioè dei nessi fra i segni linguistici e i loro significati (DISC Compact - Dizionario Italiano Sabatini - Coletti, Firenze, Giunti Gruppo Editoriale, 1997)

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• linguaggio numerico : rappresentazione degli oggetti per segni convenzionali arbitrari • La comunicazione verbale (numerica) necessita del supporto del messaggio non verbale

per evitare possibili fraintendimenti. Il linguaggio non verbale contiene elementi analogici che si trasmettono attraverso la postura, la gestualità, il tono della voce, la mimica e che corrispondono, in parte, a universali del comportamento umano, in parte a codici culturalmente definiti. Ne consegue un’indicazione di possibili applicazione pratica: è utile ascoltare il livello non verbale e riconoscere se trasmettiamo messaggi rispettosi della cultura del ricevente in una posizione paritaria.

5. “Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza”

N.B. per una comunicazione efficace e’ importante saper metacomunicare

3.2. Comunicazione e lavoro sociale. Suggerimenti pratici

Esempio: Il marito dice alla moglie: “Non mi hai ancora stirato le camice”

Risposta simmetrica della moglie: − Ho lavorato tutto il giorno e sono stanca.

Stiratele tu! Risposta del marito: − simmetrica: Ogni scusa è buona per non

fare quello che dovresti! − complementare: Non arrabbiarti, cara.

Posso aspettare quando avrai tempo.

Risposta complementare della moglie: − Che sbadata che sono! Le stiro subito! Risposta del marito: − simmetrica: Anch'io mi dimentico spesso le

cose. Fai con calma. − complementare: E' proprio vero: non ti

ricordi mai niente!

Considerazione Fuochi d’attenzione e/o azioni conseguenti

La comunicazione è tutto il comportamento della persona: “parliamo” con tutto il corpo, non solo con le parole.

Fare attenzione al tono della voce, ai gesti, al modo di presentarsi, al tono della voce propri e del nostro interlocutore.

Non si può non comunicare (es. il treno e le strategie per evitare un interlocutore inopportuno).

Domandarsi: quale significato ha il silenzio o il ritirarsi della persona?

La comunicazione non è il messaggio che noi mandiamo, ma ciò che l’altro interpreta (es. fraintendimento tra amici per un mancato saluto).

Importanza dell’ascolto e del percepire dal nostro interlocutore i “messaggi di ritorno” (feed-back), ovvero quelle frasi e quei comportamenti che ci dicono ciò che l’altro ha capito di quanto gli abbiamo comunicato.

La comunicazione si realizza su due livelli: quello di contenuto (la “notizia”, l’informazione che trasmetto) e quello di relazione (l’atteggiamento che definisce il tipo di rapporto tra le due persone che comunicano; il messaggio, spesso non verbale, che dice “Ecco come mi vedo... ecco come ti vedo...; es. differenza dell’impatto di una informazione data in tono gentile rispetto alla stessa informazione data in tono brusco da un impiegato dietro lo sportello di un ente pubblico).

1. importanza del controllo del tono della voce, dell’uscire dalla logica della colpa e della rivendicazione (“Come ti è capitato di fare questo?” invece di “Perché hai fatto questo?”) per comunicare accettazione e calore; 2. importanza della capacità di “comunicare sulla comunicazione” (es. “Questo è un ordine”, “Sto solo scherzando”, “Stai parlando sul serio?”, il paradosso del cretese che dice “Tutti i cretesi sono bugiardi”)

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3.3. Tattiche e uso di domande per la conduzione del colloquio1. Espressioni di comprensione e interesse (anche con riferimento all’uso consapevole della comunicazione non verbale)

2. Ripetizione dell’ultima/e parola/e pronunciate dall’utente (con tono interrogativo)

3. Chiarificazione e interpretazione ripetizione di quanto detto dall’utente, ma in un linguaggio più familiare, anche in forma di domanda Dovrei capire che lei vuol dire… Mi sta dicendo che... Ho sentito che diceva di… Voleva dire che…

4. Riassunto o ricapitolazione Vediamo se sono riuscito a capire: da ciò che ho sentito, la sua situazione è così e così… Per riassumere ciò di cui abbiamo discusso… Negli ultimi dieci minuti abbiamo parlato… e mi sembra che lei stesse dicendo…

5. Domande Aperte: Cosa….? Come…? Cosa/come pensa di…? Come si sente….? Evitare risposte si/no: piuttosto che domandare Le riesce difficile andare avanti con questo sussidio? Meglio dire “Come è riuscita ad andare avanti con questo sussidio? Domande investigative: Utente: Sono stanca, Assistente sociale: Cosa la rende così stanca?/Mi può fare qualche esempio? Domande investigative ipotetiche: Supponiamo che Lei facesse…. Supponiamo che avesse… Cosa crede succederebbe se lei dicesse….

6. Domande lineari e domande relazionali Domande lineari: Come si chiama? Dove abita?... Domande relazionali: es. domande triadiche o circolari: si rivolgono ad un componente della famiglia per conoscere come vede la relazione tra altri due componenti, possibilmente alla presenza di tutti Come si è comportata sua moglie quando suo figlio è scappato di casa? Come reagisce sua moglie quando lei si mette a bere? Domande lineari possono essere “cosa la rende infelice?” o “quando è diventato così infelice?” , mentre domande circolari possono essere “cosa fa il suo partner quando lei si sente così infelice?”

3.4. I vari tipi di colloquioIl colloquio di servizio sociale può essere classificata in vari modi. Una proposta in tal senso viene offerta da Zillanti e Rovai che distinguono le seguenti tipologie: 21

1. colloquio informativo o di segretariato sociale, i cui obiettivi sono: • raccogliere, elaborare e decodificare la domanda per comprendere il bisogno espresso; • dare informazioni sulle prestazioni e sulle competenze del servizio;

Zilianti A., Rovai B., Assistenti sociali professionisti, Roma, Carocci, 2007, pp. 102 - 105.21

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• valutare la rispondenza tra domanda espressa e competenze, strumenti e risorse che il servizio può offrire;

• fornire una prima risposta (eventualmente un intervento di urgenza) e/o inviare la persona al servizio competente per la presa in carico;

2. colloquio valutativo, che si colloca prevalentemente nella fase valutativa del processo metodologico coinvolgendo continuamente l'utente e che ha quale obiettivo l'elaborazione di una valutazione professionale per formulare un progetto di intervento;

3. colloquio di negoziazione, nel quale l'assistente sociale funge da mediatore con l'obiettivo di trovare un accordo tra due parti discordanti;

4. colloquio terapeutico, il cui obiettivo è quello di indurre un cambiamento operando sull’utente, spesso in collaborazione con altri professionisti;

5. colloquio di trattamento, nell’ambito dell’attuazione del programma d'aiuto per rimuovere il disagio operando sul contesto di vita dell’utente;

6. colloquio di indagine psicosociale, con l’obiettivo di inchiesta sulle circostanze (cause) e con “prognosi” del problema al fine di scrivere una relazione, ad esempio, per la magistratura;

7. colloquio di consulenza, che ha quale fine quello di fornire chiarimenti e pareri professionali ad altri operatori, istituzioni, soggetti di vario tipo.

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4. Strumenti per l’analisi della situazione4.1. Il genogrammaIl genogramma è “una forma di rappresentazione dell’albero genealogico che registra informazioni sui membri di una famiglia e sulle loro relazioni nel corso di almeno tre generazioni. Il genogramma mette in evidenza graficamente le informazioni della famiglia, in modo da offrire una rapida visione di insieme dei complessi patterns familiari” (McGoldrick, F.G. Gerson, 1985, p.1) Si tratta di costruire una mappa della famiglia, che comprenda tre generazioni, in cui vengono indicati con simboli il sesso dei componenti, l'età e il tipo di parentela che lega tra loro i familiari. Ogni operatore può trovare un proprio modo per rappresentare la situazione. Alcuni simboli correntemente utilizzati vengono riportati di seguito:

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4.2. L’ecomappaL’ecomappa è uno strumento utile per visualizzare le interazioni tra famiglia e ambiente attraverso cui vengono rappresentati graficamente i sistemi significativi con i quali la famiglia mantiene rapporti, evidenziando con un simbolo il tipo di relazione esistente. Questi sistemi (scuola, lavoro, strutture di quartiere, servizi socio-sanitari pubblici e privati, gruppi di amici, di conoscenti o di volontariato) possono essere risorse o vincoli da considerare nella valutazione e nel progetto di intervento, sia come sistemi bersaglio che come sistemi d'azione.

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Costruire ecomappeKennedy, V. (2010). Ecomaps. MAI Review, (3). Retrieved from

http//:review.mai.ac.nzRelazioni tra individuo/ famiglia

e persone/sistemidell’ambiente –caratteristiche darappresentare:

1. Forza delle connessioni(debole, incerta o forte)

2. Impatto delle connessioni(fornitura o drenaggio dienergia/ risorse)

3. Qualità della connessione(apportatrice o no distress)

Esempi di domande:• Chi è coinvolto nella relazione e

come sei/sono coinvolto/i?• Quanto a lungo sei/sono stati

coinvolti?• Come ti senti/si sentono rispetto

a questa relazione/attività/servizio/coinvolgimento?

• Che cosa stai ottenendo/stanno ottenendo da questa relazione?

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5. La documentazione5.1. Accesso alla documentazione della Pubblica

Amministrazionelegge 7 agosto 1990 n. 241 Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi “E’ considerato documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni o, comunque, utilizzati ai fini dell’attività amministrativa” (art. 22.2)

diritto di accesso "! dovere di trasparenza

obbligo motivazione (presupposti di fatto e ragioni giuridiche) per ogni provvedimento amministrativo

i cittadini hanno diritto a (art. 10): • prendere visione degli atti (ma facoltà di differimento se lesione diritto riservatezza terzi o

impedimento o grave ostacolo a svolgimento azione amm.va) ! richiesta accesso motivata e rivolta a P.A. che ha prodotto o detiene stabilmente documento

• presentare memorie scritte e documenti (che la P.A. ha l’obbligo di valutare)

5.2. Tutela delle persone rispetto al trattamento dati personali e sensibili nell’ambito degli enti pubblici

Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 - Codice in materia di protezione dei dati personali

Art. 18. Principi applicabili a tutti i trattamenti effettuati da soggetti pubblici 1. Le disposizioni del presente capo riguardano tutti i soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici. 2. Qualunque trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici è consentito soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali. 3. Nel trattare i dati il soggetto pubblico osserva i presupposti e i limiti stabiliti dal presente codice, anche in relazione alla diversa natura dei dati, nonché dalla legge e dai regolamenti. 4. Salvo quanto previsto nella Parte II per gli esercenti le professioni sanitarie e gli organismi sanitari pubblici, i soggetti pubblici non devono richiedere il consenso dell'interessato. (omissis) Art. 19. Principi applicabili al trattamento di dati diversi da quelli sensibili e giudiziari 1. Il trattamento da parte di un soggetto pubblico riguardante dati diversi da quelli sensibili e giudiziari è consentito, fermo restando quanto previsto dall'articolo 18, comma 2, anche in mancanza di una norma di legge o di regolamento che lo preveda espressamente. (omissis) Art. 20. Principi applicabili al trattamento di dati sensibili 1. Il trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici è consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge nella quale sono specificati i tipi di dati che possono essere trattati e di operazioni eseguibili e le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite. (omissis)

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5.3. Dati personali e dati sensibili (Dlgs 196/03)

5.4. Verbale di riunioni22

➢ Utile per partecipanti (“memoria” e “oggettivazione” della riunione) e destinatari esterni (bisogno di informazione)

➢ Segretario: responsabile ufficiale della memorizzazione ➢ Rispetto espressione dei singoli partecipanti

➢ Dosagggio quantità appunti " 1. tipo resoconto, utilizzo e destinatari 2. tipo di conduzione (il moderatore sintetizza i punti chiave e le conclusioni? A voce? Su

lavagna? Su fogli?) 3. rispetto dell’ordine del giorno 4. “clima” della discussione (attenzione a precisione quando esiste disaccordo)

➢ Quale tipo di appunti: 1. esaustivi (es. registrazione audio) 2. selettivi (in dettaglio solo alcuni punti della discussione) 3. imperniati sulle decisioni

➢ Informazioni essenziali: 1. data e luogo della riunione 2. obiettivo

Fonte: Simonet, Renée e Jean. Scrivere per ricordare, FrancoAngeli22

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dato anonimoil dato che in origine, o a

seguito di trattamento, non può essere associato ad un interessato identificato

o identificabile

dato personalequalunque informazione relativa a

persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o

identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra

informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale

dato sensibileidoneo a rilevare l’origine razziale ed etnica, le

convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati,

associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e

la vita sessuale

dati

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3. nome e funzione dei partecipanti 4. nome del moderatore (o conduttore o presidente) e del segretario (o verbalista) della seduta 5. ordine del giorno (se ufficializzato)

Tecniche per la stesura di un verbale: 1) scrivere rapidamente e con abbreviazioni 2) ascolto attivo dei punti di vista esposti 3) individuazione delle parole chiave 4) sintesi (per riformulare in modo conciso) 5) scelta dei momenti chiave:

a) proposta di un nuovo tema b) conclusione-sintesi

6) utilizzo di tabelle e schemi per evidenziare a) punti di divergenza e convergenza b) relazioni fra causa ed effetto

Esempio di tabella su punti di divergenza e convergenza:

Esempio di tabella su relazioni fra causa ed effetto:

Esempio: alcuni partecipanti esprimono punti di vista differenti sulle possibili soluzioni di un problema

Enunciato delle soluzioni Argomenti a favore Argomenti contrari

Soluzione 1 ….. …..

Soluzione 2 ….. ……

…..

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I problemi Le cause

La decisione

Le modalità d’azione