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Contenuti di Storia – classe V MODULI UNITÀ DIDATTICHE 1_ L’ultimo scorcio del XIX secolo e la crisi del primo ‘900 U.D._ 1 La questione balcanica U.D. _2 La I guerra mondiale U.D. _3 La Rivoluzione Russa U.D. 4 L’Italia nel primo dopoguerra U.D. 5 Il Biennio rosso U.D. 6 Il Fascismo U.D. 7 Il Nazismo MODULI UNITÀ DIDATTICHE 2_ La seconda guerra mondiale U.D. _ 1 La II guerra mondiale U.D. _ 2 L’Italia verso la repubblica U.D. 3 Il mondo bipolare I MODULI UNITÀ DIDATTICHE 3 Il dopo guerra U.D. _ 1 Dal 1950 al 1970 U.D. 2 La colonizzazione postbellica e le sue Conseguenze U.D. 3 La guerra fredda U.D. 4 Gli anni sessanta: La difficile coesistenza

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Contenuti di Storia – classe V

MODULI UNITÀ DIDATTICHE

1_ L’ultimo scorcio del XIX secolo e la crisi del primo ‘900

U.D._ 1 La questione balcanica U.D. _2 La I guerra mondiale U.D. _3 La Rivoluzione Russa U.D. 4 L’Italia nel primo dopoguerra U.D. 5 Il Biennio rosso U.D. 6 Il Fascismo U.D. 7 Il Nazismo

MODULI UNITÀ DIDATTICHE 2_ La seconda guerra mondiale

U.D. _ 1 La II guerra mondiale U.D. _ 2 L’Italia verso la repubblica U.D. 3 Il mondo bipolare

I

MODULI UNITÀ DIDATTICHE

3 Il dopo guerra

U.D. _ 1 Dal 1950 al 1970 U.D. 2 La colonizzazione postbellica e le sue Conseguenze U.D. 3 La guerra fredda U.D. 4 Gli anni sessanta: La difficile coesistenza

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MODULO 1

U.D. 1 La questione balcanica La questione balcanica all’inizio dell’età contemporanea è determinata dalla crisi dell’impero ottomano. Le potenze europee anziché scagliarvisi contro, hanno interesse nel conservarlo in questa condizione malata, piuttosto che gli equilibri appena consolidatisi vengano nuovamente stravolti. Ma nell’800 iniziarono ad attecchire anche nei Balcani i fermenti nazionalisti, che animarono una serie di guerre di liberazione, la più importante delle quali scoppiò in Grecia nel 1821. Diversi Paesi limitrofi, quali Serbia, Moldavia e Valacchia, videro riconosciuta la loro autonomia. Tuttavia solo negli anni ’70 la questione balcanica esplose come problema di dimensioni internazionali, sulla scia della sempre più irreversibile crisi dell’impero ottomano cui facevano da contrappeso le mire espansionistiche delle potenze europee. Epicentro di tutti i focolai di conflitto divenne la Serbia, un Paese nel quale si era formato un movimento panslavista filo-russo che propugnava l’idea della ”Grande Serbia”. La guerra contro la Turchia scatenata dalla Russia fu conclusa dal trattato di Santo Stefano del 1878, confluito con aggiustamenti nel trattato di Berlino (1878), grazie al quale furono al momento soddisfatte esigenze opposte: Serbia, Montenegro, Romania e il Principato di Bulgaria ebbero riconosciuta l’indipendenza; la Bosnia-Erzegovina fu affidata all’Austria in amministrazione temporanea, una soluzione di compromesso che lasciava aperta la porta dell’annessione, avvenuta nel 1908; alla Russia fu restituita la Bessarabia; la Gran Bretagna poté occupare Cipro. L’impero turco era ormai prossimo al tracollo: l’indipendenza della Bulgaria (1878) e le due guerre balcaniche nel 1912 e 1913, a cui parteciparono solo gli Stati regionali, privarono l’impero turco di gran parte dei suoi possedimenti europei e rafforzarono la Serbia filo-russa. La prima 1912-1913 fu combattuta contro la Turchia da Serbia, Montenegro, Grecia e Bulgaria e si concluse con il trattato di Londra, che riconobbe l’indipendenza dell’Albania e stabilì la cessione di Creta alla Grecia. La seconda 1913 fu combattuta contro la Bulgaria da Romania, Serbia, Montenegro, Grecia e Turchia e si concluse con la pace di Bucarest, per la quale la Macedonia venne divisa tra Serbia e Grecia (che ottenne Salonicco), la Turchia riprese Adrianopoli e la Romania ottenne la Dobrugia. La polveriera balcanica non solo fornì il casus belli alla prima guerra mondiale, ma affossò definitivamente l’impero ottomano.

U.D. 2 I GUERRA MONDIALE

Con l'espressione prima guerra mondiale (per i contemporanei Grande Guerra) si intende il conflitto cominciato il 4 agosto 1914 a seguito dell'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell'Impero austro-ungarico, compiuto a Sarajevo (Bosnia) il 28 giugno 1914 da parte del nazionalista serbo-bosniaco Gavrilo Princip.

La guerra vide inizialmente lo scontro degli Imperi Centrali: Germania e Impero Austro-Ungarico contro le nazioni dell'Intesa: Francia, Gran Bretagna e Russia. Con lo svolgersi del conflitto, a seguito di varie alleanze altre nazioni vi presero parte. Tra queste: Italia, Impero Ottomano, Belgio, Canada, Australia, Stati Uniti, Serbia, Romania, Sudafrica e Nuova Zelanda. Il numero dei continenti coinvolti fu tale da poter definire la guerra come mondiale, prima nella storia dell'umanità.

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L'Italia decise di intervenire nel conflitto il 24 maggio 1915, dichiarando guerra all'Impero Austro-Ungarico. La decisione di intervenire fu presa dal parlamento dopo che il ministro degli esteri Sidney Sonnino ebbe stipulato con la Triplice Intesa il 26 aprile un patto segreto, detto Patto di Londra, nel quale l'Italia si impegnava ad entrare in guerra entro un mese in cambio di alcune conquiste territoriali che avrebbe ottenuto dopo la guerra: il Trentino, il Tirolo meridionale, Trieste, Gorizia, l'Istria (a eccezione della città di Fiume) e parte della Dalmazia.

La guerra si concluse l'11 novembre 1918, quando la Germania firmò l'armistizio con le forze dell'Intesa. Il numero di morti della prima guerra mondiale è stato di oltre quindici milioni.

Nazioni partecipanti alla prima guerra mondiale: gli Alleati sono indicati con il colore blu, mentre gli Imperi Centrali con il colore nero.

• Imperi Centrali e loro alleati: o Germania o Impero Austro-Ungarico o Impero Ottomano o Bulgaria

• Triplice Intesa e loro alleati: o Gran Bretagna o Francia o Russia o Belgio o Italia o Stati Uniti d'America o Serbia o Romania o Giappone o Canada o Australia o Sudafrica o Cina

La guerra Franco-Prussiana del 1870-71 aveva portato non solo alla fondazione di un potente e dinamico Impero Germanico, ma anche ad un'eredità di animosità tra la Francia e la Germania, a seguito dell'annessione a quest'ultima dei territori francesi di Alsazia e Lorena (di questi territori si parlerà per decenni). Sotto la guida politica del suo primo Cancelliere, Otto von Bismarck, la Germania assicurò la sua nuova posizione in Europa tramite l'alleanza con l'Impero Austro-Ungarico e ad un'intesa diplomatica con la Russia.

L'ascesa al trono (1888) dell'imperatore Guglielmo II portò sul trono tedesco un giovane governante determinato a dirigere da sé la politica, nonostante i suoi dirompenti giudizi diplomatici. Dopo le elezioni del 1890, nelle quali i partiti del centro e della sinistra ottennero un grosso successo, ed in parte a causa della disaffezione nei confronti del Cancelliere che aveva guidato suo nonno per gran parte della sua carriera, Guglielmo II fece in modo di ottenere le dimissioni di Bismarck. Gran parte del lavoro dell'ex-cancelliere venne disfatto nei decenni seguenti, quando Guglielmo II mancò di rinnovare gli accordi con la Russia, permettendo alla Francia repubblicana l'opportunità di concludere (1891-94) un'alleanza con l'Impero Russo. Ma il peggio doveva ancora venire: Guglielmo intraprese (1897-1900) la creazione di una Marina militare in grado di minacciare il secolare predominio navale britannico, favorendo l'Entente Cordiale Anglo-Francese del 1904 e la sua espansione (1907), che portò all'inclusione della Russia.

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La rivalità tra le potenze venne esacerbata negli anni '80 del XIX secolo dalla corsa alle colonie, che portò gran parte dell'Africa e dell'Asia sotto la dominazione europea nel successivo quarto di secolo. Anche Bismarck, un tempo esitante sull'imperialismo, divenne un sostenitore dell'Impero d'oltremare, aggiungendo alla tensione Anglo-Tedesca le acquisizioni della Germania in Africa e nel Pacifico, che minacciavano di interferire con gli interessi strategici e commerciali britannici. Il supporto di Guglielmo all'indipendenza del Marocco dalla Francia, il nuovo partner strategico della Gran Bretagna, provocò la Crisi di Tangeri del 1905. Durante la seconda crisi marocchina (o Crisi di Agadir 1911), la presenza navale tedesca in Marocco mise di nuovo alla prova la coalizione Anglo-Francese. Un ingrediente chiave dell'emergente polveriera diplomatica fu la crescita delle forti aspirazioni nazionalistiche degli stati balcanici: ognuno dei quali guardava a Germania, Austria-Ungheria o Russia per ottenere supporto. La nascita di circoli anti-austriaci in Serbia contribuì a un ulteriore crisi nel 1908 riguardante l'annessione unilaterale della Bosnia ed Erzegovina da parte dell'Austria oltre alla pressione tedesca per forzare un umiliante declino da parte della Russia, indebolita dalla sconfitta del 1905 contro il Giappone e dai susseguenti disordini rivoluzionari. L'allarme per l'inaspettatamente rapido recupero della Russia dopo il 1909 alimentò i sentimenti dei circoli di governo tedeschi a favore di una guerra preventiva che spezzasse il presunto accerchiamento da parte dell'Intesa, prima che il riarmo russo potesse far pendere la bilancia strategica contro la Germania e l'Austria-Ungheria. Per il 1913 sia la Francia sia la Germania stavano pianificando di estendere il servizio militare mentre la Gran Bretagna era entrata in una convenzione navale e in colloqui militari con la Francia negli anni precedenti.

Lo scoppio della guerra è convenzionalmente associato all'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria per mano del nazionalista serbo Gavrilo Princip il 28 giugno 1914, ma le origini della guerra risiedono in realtà nel complesso delle relazioni fra le potenze europee tra la fine del XIXe l'inizio del XX secolo, e soprattutto nelle politiche di colonizzazione promosse dalle varie nazioni; l'assassinio dell'erede al trono fu probabilmente la scintilla migliore, e la polveriera scoppiò.

Alcuni membri del governo austriaco pensavano che la campagna contro la Serbia sarebbe stata il rimedio perfetto ai problemi politici interni dell'impero. Nel 1914 il governo dell'Impero Austro-Ungarico aveva infatti una struttura "dualistica": Austria e Ungheria avevano essenzialmente due governi separati sotto lo stesso monarca. Il governo austriaco manteneva il controllo sulla politica estera, ma era dipendente da quello ungherese per questioni come l'approvazione del bilancio.

L'assassinio di Francesco Ferdinando, nel giugno del 1914 a Sarajevo, creò l'opportunità tanto cercata da alcuni leader austriaci di poter contare su un piccolo regno slavo. I cospiratori vennero accusati dalle autorità Austro-Ungariche di essere stati armati dalla fantomatica Mano Nera, un raggruppamento nazionalista pan-serbo collegato ad ambienti governativi serbi.

Con il supporto della Germania, l'Austria-Ungheria, che agì principalmente sotto l'influenza del Ministro degli Esteri Leopold von Berchtold, il 23 luglio 1914 inviò alla Serbia un ultimatum composto da 15 punti, difficilmente realizzabili, che doveva essere accettato nel giro di 48 ore per evitare la guerra. Il governo Serbo accettò tutte le richieste meno una (quella che avrebbe permesso alla polizia austriaca di condurre le indagini nel territorio serbo al posto delle forze dell'ordine locali). L'Austria-Ungheria ruppe perciò le relazioni diplomatiche il 25 luglio e dichiarò guerra il 28, tramite telegramma inviato al governo serbo. Il governo russo, che nel 1909 si era impegnato a garantire l'indipendenza della Serbia in cambio che questa consentisse l'annessione della Bosnia all'Austria, mobilizzò le sue riserve militari il 30 luglio a seguito dell'interruzione nelle cruciali comunicazioni telegrafiche tra Guglielmo II e Nicola II di Russia, che era sotto pressione da parte del suo staff per prepararsi alla guerra. La Germania richiese, il 31 luglio, che la Russia ritirasse le sue forze, ma il governo russo persistette, in quanto la demobilitazione avrebbe reso impossibile

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riattivare la pianificazione militare in tempi brevi. La Germania dichiarò guerra alla Russia il 1 agosto e due giorni dopo contro il suo alleato, la Francia. Lo scoppio del conflitto è spesso attribuito alle alleanze stipulate nei decenni precedenti: Germania-Austria-Italia e Francia-Russia; con Gran Bretagna e Serbia allineate a queste ultime. In effetti nessuna delle alleanze venne attivata fin da subito, anche se la mobilitazione generale russa e la dichiarazione di guerra tedesca contro la Francia furono motivate dalla paura che l'alleanza avversa venisse posta in gioco.

La dichiarazione di guerra britannica contro la Germania (4 agosto), per esempio, non fu il risultato di intese ufficiali con Russia e Francia (ufficialmente non era alleata a nessuna delle due nazioni), ma fu causata dall'invasione tedesca del Belgio (la cui indipendenza la Gran Bretagna aveva garantito di sostenere fin dal 1839), il quale si trovava sul percorso pianificato dai tedeschi per l'invasione della Francia.

Il piano tedesco per affrontare l'alleanza Franco-Russa prevedeva lo sferrare un colpo mortale alla Francia, per poi rivolgersi contro il più lentamente mobilizzato esercito russo. Invece di attaccare la Francia direttamente, fu ritenuto prudente attaccarla da nord. Per fare questo l'esercito tedesco dovette marciare attraverso il Belgio. La Germania chiese al governo belga il libero passaggio, promettendogli in cambio che sarebbe stato considerato un suo alleato. Quando il Belgio rifiutò, la Germania lo invase e iniziò a marciare attraverso di esso in ogni caso, dopo aver prima invaso e assicurato il piccolo Lussemburgo. Incontrò subito la resistenza davanti ai forti della città belga di Liegi. La Gran Bretagna inviò un'armata in Francia, che avanzò nel Belgio.

I ritardi portati dalla resistenza dei Belgi, dalle forze francesi e britanniche, e dalla inaspettatamente rapida mobilitazione della Russia, sconvolsero i piani tedeschi. La Russia attaccò la Prussi Orientale, deviando così forze tedesche previste per il fronte occidentale. La Germania sconfisse la Russia in una serie di battaglie collettivamente conosciute come battaglia di Tannenberg, ma questa diversione, permise alle forze francesi e britanniche di fermare l'avanzata tedesca su Parigi nella prima battaglia della Marna (settembre 1914), mentre gli Imperi Centrali (l'Impero Germanico e quello Austro-Ungarico) furono costretti a combattere una guerra su due fronti. La prima occupazione alleata del territorio nemico non fu in Europa, ma in Africa: le forze britanniche attaccarono e catturarono la sede amministrativa tedesca dell'odierna Namibia, al tempo colonia tedesca.

1914

• 28 luglio - L'Austria-Ungheria dichiara guerra alla Serbia; • 1 agosto - La Germania dichiara guerra alla Russia; • 2 agosto - Le truppe tedesche occupano il Lussemburgo; • 3 agosto - La Germania dichiara guerra alla Francia; • 4 agosto - La Germania invade il neutrale Belgio; • 4 agosto - Il Regno Unito dichiara guerra alla Germania dopo che questa non rispetta la

neutralità belga; • 20 agosto - Le forze tedesche occupano Bruxelles. • 23 agosto - Il Giappone dichiara guerra alla Germania; • Settembre 1914 - un patto di unità viene firmato da Francia, Gran Bretagna e Russia; • 9 ottobre - Assedio di Anversa - Anversa, in Belgio cede alle truppe tedesche. • novembre 1-5 - L'Impero Ottomano entra in guerra dalla parte della Germania e dell'Austria-

Ungheria.

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1915

• 24 maggio - L'Italia dichiara guerra all'Austria-Ungheria; • Ottobre - La Bulgaria entra in guerra dalla parte della Germania e dell'Austria-Ungheria;

1916

• 31 maggio-2 giugno Scontro navale fra la Grand Fleet e la Hochseeflotte nel mare del Nord; passa alla storia come battaglia dello Jutland, o dello Skagerrak per i tedeschi. Quella che viene ricordata come la più grande battaglia navale di tutti i tempi, fu tatticamente una vittoria tedesca, dato che le perdite inflitte ai britannici furono superiori e piuttosto brucianti (come l'affondamento dei maestosi incrociatori da battaglia Invincible e Queen Mary). Tuttavia l'effetto strategico dello scontro fu di assoluto vantaggio britannico, perché la flotta tedesca non si arrischiò più in mare aperto per cercare uno scontro diretto.la guerra sul mare veniva affidata quasi completamente ai sommergibili.

• 27 agosto - La Romania dichiara guerra all'Austria-Ungheria; • 28 agosto - L'Italia dichiara guerra alla Germania;

1917

• 24 febbraio - All'ambasciatore degli Stati Uniti nel Regno Unito, Walter H. Page, viene consegnato il telegramma Zimmermann, Nel quale l'Impero Germanico offre la restituzione del Sudovest Americano al Messico

La partecipazione Italiana: dalla Neutralità all'entrata in guerra

Anche se con la Triplice Alleanza del 1882 era diventata ufficialmente alleata di Germania e Austria-Ungheria, l'Italia aveva intensificato, negli anni precedenti allo scoppio della Grande Guerra, i rapporti con Regno Unito e Francia, conscia che gli accordi raggiunti, in particolare con quello che era stato il nemico austriaco nell'Ottocento, non le avrebbero garantito, anche in caso di aiuto militare, quei territori su cui aveva posato gli occhi per espandere il proprio territorio (del Trentino, di Trieste con l'Istria e di Zara con la Dalmazia), tanto che esisteva un accordo segreto del 1902 con la Francia, che praticamente annullava i suoi impegni di alleata.

Pochi giorni dopo lo scoppio della guerra, il 3 agosto 1914, il governo guidato dal conservatore Antonio Salandra dichiarò che l'Italia non avrebbe preso parte al conflitto, forte del fatto che la Triplice Alleanza aveva carattere difensivo, mentre in questo caso era stata l'Austria-Ungheria ad attaccare. In realtà sia Salandra sia il ministro degli esteri Sidney Sonnino avviarono presto trattative con i due schieramenti per capire quale sarebbe stata la ricompensa in caso di vittoria. E, anche se la maggioranza del governo era assolutamente contraria all'entrata in guerra, primo tra tutti l'ex Presidente del Consiglio Giolitti, molti intellettuali (tra cui socialisti come Ivanoe Bonomi, Leonida Bissolati e l'allora direttore dell'Avanti! Benito Mussolini, Filippo Tommaso Marinetti e Filippo Corridoni) si schierarono con gli «interventisti», per lo più nazionalisti e parte dei liberali.

Alla fine, il 26 aprile del 1915, al termine di una ardua trattativa, l'accordo con l'Intesa si concretizzò nel Patto di Londra, firmato da Sonnino all'insaputa del parlamento italiano. Con il Patto di Londra l'Italia ricevette la promessa di ottenere, in caso di vittoria, Trento e il territorio attiguo fino al Brennero, le città di Gorizia, Trieste e Gradisca d'Isonzo, l'Istria (esclusa Fiume) fino al Quarnaro e parte della Dalmazia. Inoltre vennero raggiunti accordi per la sovranità sul porto albanese di Valona, la provincia di Adalia in Turchia, e parte delle colonie tedesche in Africa.

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L'Alleanza aveva offerto invece solamente parte di Trentino e Friuli, con l'esclusione di Gorizia e Trieste; va inoltre considerato il fatto che l'Austria-Ungheria era la potenza contro la quale si era combattuto durante le Guerre d'Indipendenza e che entrare in guerra al suo fianco avrebbe smentito tutta la tradizione risorgimentale, sulla quale si fondavano in gran parte le motivazioni degli interventisti. Il 3 maggio l'Italia disdice la Triplice Alleanza. Nei giorni seguenti Giolitti e il parlamento (in maggioranza neutralista) combattono l'ultima battaglia per tenere l'Italia fuori dal conflitto, mentre fuori i nazionalisti manifestano in piazza per l'entrata in guerra (Radioso Maggio). Il 13 maggio Salandra presenta al Re le dimissioni. Giolitti, nel timore di approfondire una frattura istituzionale, rinuncia alla successione, e si dimette. L'Italia entra perciò in guerra, per volontà di un gruppo di relativa minoranza, chiamando a combattere i militari lungo più di 650 chilometri di fronte.

Interventisti e neutralisti in Italia

Alla vigilia della guerra, l'opinione pubblica italiana era così spaccata:

• Interventisti o I liberal-conservatori, che speravano in un rafforzamento delle istituzioni in senso

autoritario, tra cui Antonio Salandra e Sidney Sonnino. o Gli irredentisti, che vedevano la guerra come una prosecuzione del Risorgimento,

un'occasione per liberare le terre italiane rimaste in mano austriaca. o I socialisti rivoluzionari, che speravano che la guerra avrebbe accelerato il

compimento della rivoluzione socialista, tra cui Benito Mussolini. o I nazionalisti, che esaltavano la guerra come strumento per dare potenza e prestigio

alla Nazione. o Gli industriali dell'industria pesante, che avrebbero fatto ingenti guadagni attraverso

la produzione bellica. o Gli intellettuali come D'Annunzio, Corradini, e molti altri.

• Neutralisti o I cattolici, sia per i principi evangelici sia per non andare contro la cattolicissima

Austria. o I socialisti, che vedevano la guerra come una inutile strage, e che volevano

proteggere gli interessi sovranazionali della Seconda Internazionale Socialista. o Giolitti e i giolittiani , che ritenevano di poter ottenere comunque dall'Austria le terre

irredente in cambio della neutralità. o Gli industriali che producevano per l'esportazione, che speravano di poter sostituire

sui mercati internazionali la Germania impegnata nella guerra.

L'Italia dichiarò guerra all'Austria-Ungheria il 23 maggio 1915, e alla Germania quindici mesi più tardi.

Il comando delle forze armate italiane viene affidato al generale Luigi Cadorna. Il nuovo fronte aperto dall'Italia ebbe come teatro l'arco alpino dallo Stelvio al mare Adriatico e lo sforzo principale tendente allo sfondamento del fronte fu attuato nella regione della valli isontine, in direzione di Lubiana. Anche qui, dopo un'iniziale avanzata italiana, gli austro-ungarici ricevettero l'ordine di trincerarsi e resistere; si verificò così la stessa guerra di trincea che si svolgeva sul fronte occidentale. L'unica differenza stava nel fatto che, mentre sul fronte occidentale le trincee erano scavate nel fango, sul fronte italiano erano scavate nelle rocce e nei ghiacciai delle Alpi, fino ed

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oltre i 3.000 metri di altitudine. Nei primi mesi di guerra l'Italia sferrò quattro offensive contro gli austro-ungarici ad est, queste furono:

• Prima battaglia dell'Isonzo: 23 giugno - 7 luglio 1915 • Seconda battaglia dell'Isonzo: 18 luglio - 4 agosto 1915 • Terza battaglia dell'Isonzo: 18 ottobre - 4 novembre 1915 • Quarta battaglia dell'Isonzo: 10 novembre 1915

In queste prime quattro battaglie le perdite italiane ammontarono a oltre 60.000 morti e più di 150.000 feriti, il che equivaleva a circa un quarto delle forze mobilitate. Degna di menzione è l'offensiva nell'alto Cadore sul Col di Lana tendente a tagliare una delle principali vie di rifornimento al settore Trentino attraverso la Val Pusteria. Questo teatro di operazioni fu secondario rispetto alla spinta ad est, tuttavia ebbe il merito di bloccare, in seguito, contingenti austro-ungarici: la zona di operazioni si avvicinava infatti più di ogni altro settore del fronte a vie di comunicazione strategiche per l'approvvigionamento del fronte tirolese e trentino.

Si arrivò così all'inizio del 1916. Mentre in febbraio gli austro-ungarici ammassarono truppe in Trentino, l'11 marzo, per otto giorni, si svolse la Quinta battaglia dell'Isonzo, che non portò ad alcun risultato. A metà maggio gli austro-ungarici sfondarono in Trentino arrivando ad occupare tutto l'altipiano di Asiago; l'esercito italiano riuscì comunque a contenere l'offensiva e gli austro-ungarici si ritirarono tornando a rinforzare le loro posizioni sul Carso. Il 4 agosto iniziò la Sesta battaglia dell'Isonzo che portò il 9 alla conquista della città di Gorizia che, pur non essendo di importanza strategica, verrà presa ad un prezzo altissimo (20.000 morti e 50.000 feriti). L'anno si concluse con altre tre offensive:

• Settima battaglia dell'Isonzo: 14 settembre - 16 settembre 1916 • Ottava battaglia dell'Isonzo: 1 novembre 1916 • Nona battaglia dell'Isonzo: 4 novembre 1916

Anche queste tre battaglie, che pure contarono 37.000 morti e 88.000 feriti, non portarono a conquiste significative.

Nell'ultima parte dell'anno gli italiani riuscirono ad avanzare di qualche chilometro in Trentino, ma per tutto l'inverno del 1916-1917, sul fronte dell'Isonzo, tra il Carso e Monfalcone, la situazione rimase stazionaria. La speranza dell'Intesa era che con l'entrata in guerra degli italiani si indebolisse l'esercito degli Imperi Centrali, che sarebbe stato impegnato su tre fronti, ma questo avvenne solo in parte, anche a causa dell'indebolimento della Russia sul fronte interno. La ripresa delle operazioni arrivò in maggio. Dal 12 al 28 si svolse la Decima battaglia dell'Isonzo. Dal 10 al 25 giugno si svolse invece la Battaglia del Monte Ortigara voluta da Cadorna per riconquistare alcuni territori del Trentino rimasti in mano austro-ungarica. Il 18 agosto ebbe inizio la più imponente delle offensive italiane, l'Undicesima battaglia dell'Isonzo: anche questa non porterà significativi cambiamenti e verrà pagata a caro prezzo, sia come perdite che come conseguenze. Visti gli esiti dell'ultima offensiva italiana, austro-ungarici e tedeschi decisero di contrattaccare. Il 24 ottobre gli austro-ungarici e i tedeschi sfondarono il fronte dell'Isonzo a nord convergendo su Caporetto e accerchiarono la Seconda Armata Italiana, in particolare il Quarto ed il Ventisettesimo Corpo d'Armata, comandato dal generale Pietro Badoglio. Da lì avanzarono per 150 km in direzione sud-ovest raggiungendo Udine in soli quattro giorni. La Disfatta di Caporetto provocò il crollo del fronte italiano sull'Isonzo con la conseguente ritirata delle armate schierate dall'Adriatico fino alla Valsugana, oltre alle perdite umane e di materiale; 350.000 soldati si diedero a una ritirata scomposta assieme a 400.000 civili che scappavano dalle zone invase. La ritirata venne prima effettuata portando l'esercito lungo il Tagliamento, ed in seguito fino al Piave, l'11 novembre 1917,

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quando tutto il Veneto sembrava potesse andare perduto. Alla fine si contarono quasi 700.000 tra morti, feriti e prigionieri. A seguito della disfatta, il generale Cadorna, nel comunicato emesso il 29 ottobre 1917, indicò «a mancata resistenza di riparti della II armata» come la motivazione dello sfondamento del fronte da parte dell'esercito austro-ungarico. In seguito Cadorna, invitato a far parte della Commissione d'inchiesta, venne sostituito dal generale Armando Diaz, l'8 novembre 1917, dopo che la ritirata si stabilizzò definitivamente sulla linea del Monte Grappa e del Piave.

Gli austro-ungarici e i tedeschi chiusero l'anno 1917 con le offensive sul Piave, sull'Altipiano di Asiago e sul Monte Grappa. Gli italiani, decimati dopo Caporetto, furono costretti, per riempire i vuoti d'organico a chiamare al fronte i Ragazzi del '99, appena diciottenni, mentre si decise di conservare la leva del 1900 per un ipotetico sforzo finale, nel 1919. Se la severa disciplina di Cadorna, oltre alle dure parole di Papa Benedetto XV sull'«inutile strage» che avevano colpito i militari più religiosi e ai lunghi mesi in trincea, avevano fiaccato l'esercito, la ritirata sul fronte del Grappa-Piave consentì all'esercito italiano, ora in mano a Diaz, di concentrare le sue forze su di un fronte più breve, meglio difendibile, e, soprattutto, con un mutato atteggiamento tattico, impostato alla difesa del territorio nazionale. Ciò ricoprì di un nuovo significato morale la guerra e consentì il compattamento delle truppe e della nazione, presupposto per la cosiddetta «Vittoria finale». Gli austro-ungarici fermarono gli attacchi in attesa della primavera del 1918, preparando un'offensiva che li avrebbe dovuti portare a penetrare nella pianura veneta. La fine della guerra contro la Russia fece sì che parte dell'esercito impiegato sul fronte orientale poté spostarsi a ovest. L'offensiva austro-ungarica arrivò il 15 giugno: l'esercito dell'Impero attaccò con 66 divisioni nella cosiddetta Battaglia del Solstizio (15 - 23 giugno 1918), che vide gli italiani, finalmente rincuorati, resistere all'assalto. Gli austro-ungarici persero le loro speranze, visto che il paese era ormai a un passo dal baratro, assillato dall'impossibilità di continuare a sostenere lo sforzo bellico sul piano economico e soprattutto su quello morale, data l'incapacità della monarchia di farsi garante dell'integrità dello stato multinazionale asburgico. Con i popoli dell'impero asburgico sull'orlo della rivoluzione, l'Italia anticipò l'offensiva prevista per il 1919 ad ottobre, per impegnare le riserve austro-ungariche ed impedire loro la prosecuzione dell'offensiva sul fronte francese.

Da Vittorio Veneto, il 23 ottobre partì l'offensiva, con condizioni climatiche pessime. Gli italiani avanzano rapidamente in Veneto, Friuli e Cadore e il 29 ottobre l'Austria-Ungheria si arrese. Il 3 novembre, a Villa Giusti, presso Padova l'esercito dell'Impero firmò l'armistizio; i soldati italiani entrarono a Trento mentre i bersaglieri sbarcarono a Trieste. Il giorno seguente, mentre il Maresciallo Armando Diaz annunciava la Vittoria, venivano liberate Rovigno, Parenzo, Zara, Lissa e Fiume. Quest’ultima pur non prevista tra i territori nei quali sarebbero state inviate forze italiane venne occupata, come previsto da alcune clausole dell'Armistizio, in seguito agli eventi del 30 ottobre 1918 quando il Consiglio Nazionale, insediatosi nel municipio dopo la fuga degli ungheresi, aveva proclamato, sulla base dei principi wilsoniani, la riunione della città alla sua Madrepatria l'Italia. I 5 reparti della Marina entravano a Pola inizando a liberarla dagli slavi che prepotentemente volevano impossessarsene. Il giorno seguente venivano inviati altri mezzi a Sebenico che diventava la sede principale del Governo Militare della Dalmazia.

Ingresso dell'Impero Ottomano

L'Impero Ottomano si unisce agli Imperi Centrali nell'ottobre-novembre del 1914, minacciando i territori russi del Caucaso e le comunicazioni britanniche con l'India e l'Oriente tramite il Canale di Suez. L'azione britannica apre un altro fronte a sud con le campagne di Gallipoli (1915) e della Mesopotamia, nonostante i turchi avessero inizialmente successo nel respingere le incursioni nemiche. Ma in Mesopotamia, dopo il disastro dell'assedio di Kut (1915-16), i britannici si riorganizzano e catturano Baghdad nel marzo 1917. Più a ovest, in Palestina, gli iniziali fallimenti britannici vennero ribaltati con la cattura di Gerusalemme nel dicembre 1917 e la Forza di

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spedizione egiziana guidata da Edmund Allenby che sconfisse le forze ottomane nella battaglia di Megiddo (settembre 1918).

Dopo aver respinto tre invasioni austro-ungariche nell'agosto-dicembre 1914, la Serbia cedette all'invasione combinata di Germania, Austria-Ungheria e Bulgaria dell'ottobre 1915. Le truppe serbe continuarono a resistere in Albania e Grecia, dove una forza Franco-Britannica era sbarcata per offrire assistenza e per spingere il governo greco in guerra contro gli Imperi Centrali. La percezione della guerra nel 1914 era quasi romantica, e la sua dichiarazione venne accolta con grande entusiasmo da molte persone. La visione comune era che sarebbe stata una breve guerra di manovre, con poche azioni pungenti (per «impartire una lezione al nemico») e sarebbe finita con un vittorioso ingresso nella capitale (ovviamente quella nemica), seguita da una o due parate celebrative a casa, per poter poi tornare alla vita normale. C'erano alcuni pessimisti che predissero che la guerra sarebbe durata a lungo, ma Guglielmo II disse che la guerra sarebbe «finita per Natale...».

Dopo l'iniziale successo nella prima battaglia della Marna, le forze tedesche e dell'Intesa iniziarono una serie di snervanti manovre per cercare di costringere gli avversari alla ritirata, nella cosiddetta Corsa verso il mare. Francia e Gran Bretagna si trovarono ben presto ad affrontare le posizioni tedesche trincerate, dalla Lorena fino alle coste belghe nelle Fiandre. Entrambi gli schieramenti presero posizione, i francesi e i britannici cercando di andare all'attacco, i tedeschi cercando di difendere il territorio da loro occupato. Di conseguenza, le trincee tedesche erano molto meglio costruite di quelle dei loro nemici, dato che quelle Anglo-Francesi erano pensate solo per essere «temporanee». Nessuno dei due schieramenti si dimostrò in grado di assestare un colpo decisivo nei quattro anni seguenti, per quanto la protratta azione tedesca nella battaglia di Verdun (1916) e il fallimento alleato della primavera successiva, portarono l'esercito francese sull'orlo del collasso, mentre le diserzioni di massa minavano la linea del fronte. Circa 800.000 soldati dalla Gran Bretagna e dall'Impero Britannico si trovavano contemporaneamente sul fronte occidentale, 1.000 battaglioni, ognuno occupante un settore del fronte, dal Belgio fino all'Arne, che operavano su in sistema mensile a quattro stadi, a meno che non ci fosse un offensiva in corso. Il fronte conteneva quasi 10.000 chilometri di trincee. Ogni battaglione teneva il suo settore per quattro settimane prima di tornare nelle retrovie, quindi nella riserva e infine per una settimana in licenza, spesso nella zona di Poperinge o di Amiens.

Sia la battaglia della Somme (1916), che la battaglia di Passchendaele (1917), sempre sul fronte occidentale, portarono enormi perdite di vite da entrambe le parti, ma minimi progressi nella situazione della guerra. È interessante notare che, quando i britannici attaccarono nel primo giorno della battaglia della Somme, e persero un enorme numero di uomini sotto le continue raffiche delle mitragliatrici tedesche, riuscirono comunque a guadagnare del terreno. Ciò fece sì che il comando tedesco ordinò ai suoi soldati di riprendersi il terreno perso, con risultati molto simili dal punto di vista delle perdite. Quindi, invece di un combattimento sbilanciato, con i soli britannici all'attacco, che avrebbe causato enormi perdite solo dalla loro parte, il volume degli attacchi fu equamente distribuito, così come le perdite sofferte.

Come in ogni conflitto il settore di ricerca maggiormente sviluppato fu quello bellico, che raggiunse livelli impensabili nel giro di pochi anni. Le nuove armi furono numerose, tutte ugualmente letali.

• I gas tossici furono utilizzati per la prima volta dai tedeschi contro i russi, senza molto successo, nella battaglia di Bolimow del 1° gennaio 1915, ma divennero celebri a partire dal 22 aprile 1915, data in cui a Ypres (Belgio) per la prima volta si fece uso di gas asfissianti al cloro, che provocarono il terrore tra le truppe franco-britanniche. Il primo rudimentale rimedio agli attacchi chimici era costituito da fazzoletti bagnati con acqua e/o urina, solo in

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seguito sarebbero state sperimentate le prime maschere antigas. Nel corso della guerra i gas al cloro sarebbero stati poi sostituiti da un tipo di gas più evoluto, sparato da proiettili, denominato iprite (dal nome della stessa città di Ypres).

• La mitragliatrice, che consentiva di sparare centinaia di colpi al minuto agevolando molto la difesa delle trincee.

• I lanciafiamme, introdotti dai tedeschi a Hooge il 30 luglio 1915. • I carri armati (utilizzati inizialmente dai britannici sulla Somme il 15 settembre 1916), che

suscitarono lo stesso stupore e terrore provocato dal gas a Ypres, pur non essendo usati per lo sfondamento delle linee nemiche (come avverrà poi nella seconda guerra mondiale), ma solo per il semplice supporto alla fanteria.

Ognuna di queste nuove armi produsse inizialmente panico e sconcerto tra i nemici, ma non riuscì a produrre un vantaggio sostanziale e duraturo.

L'aviazione militare ottenne rapidi progressi, dallo sviluppo delle (inizialmente primitive) mitragliatrici sincronizzate per poter sparare in avanti, introdotte dall'aviazione tedesca nell'autunno del 1915, allo sviluppo dei bombardieri usati contro Londra (luglio 1917): ancor più drammatico, almeno per i britannici, fu l'uso dei sottomarini tedeschi (U-Boot, dal tedesco Unterseeboote) contro i mercantili alleati in acque internazionali dal febbraio 1915. La decisione tedesca di togliere le restrizioni all'attività sottomarina (1 febbraio 1917) fu strumentale all'entrata in guerra degli Stati Uniti dalla parte degli alleati (6 aprile). L'affondamento del transatlantico Lusitania fu un successo controverso per gli U-Boot. Mentre sul fronte occidentale si era raggiunto lo stallo nelle trincee, la guerra continuò ad est.

I piani di guerra iniziali dei russi prevedevano l'invasione simultanea della Galizia austriaca e della Prussia Orientale tedesca. Anche se l'iniziale avanzata in Galizia fu di ampio successo, i russi vennero respinti in Prussia dalle vittorie dei generali tedeschi Hindenburg e Ludendorff a Tannenberg e ai Laghi Masuri nell'agosto e settembre del 1914.L'organizzazione militare ed economica russe, meno sviluppate, si rivelarono presto insufficienti davanti alle forze combinate di Germania e Austria-Ungheria. Nella primavera del 1915 i russi vennero respinti in Galizia, e in maggio gli Imperi Centrali ottennero un importante sfondamento ai confini meridionali della Polonia, espugnando Varsavia il 5 agosto e costringendo i russi a ritirarsi dalla Polonia.

L'insoddisfazione nei confronti della condotta di guerra del governo russo crebbe nonostante i successi del giugno 1916 (offensiva Brusilov) nella Galizia Orientale, contro gli austriaci, quando i successi russi furono minati dalla riluttanza degli altri generali di impegnare le loro forze a supporto del comandante vittorioso. Le fortune alleate si ravvivarono solo temporaneamente con l'ingresso in guerra della Romania, il 27 agosto. Le forze tedesche arrivarono in aiuto delle unità austriache impegnate in Transilvania, e Bucarest cadde ai piedi degli Imperi Centrali il 6 dicembre. Nel frattempo, l'instabilità interna crebbe in Russia, e lo Zar rimase isolato al fronte, mentre il sempre più incompetente governo delll'Imperatrice provocò proteste da tutti i segmenti della vita politica russa, risultando nell'assassinio del consigliere prediletto della Zarina Alessandra, Rasputin, da parte di nobili conservatori alla fine del 1916.

La Rivoluzione Russa

Nel marzo 1917 (febbraio per il calendario russo che mai ha accettato la riforma gregoriana), le dimostrazioni di San Pietroburgo (ribattezzata Pietrogrado per abbandonare il toponimo germanico, inopportuno in tempo di guerra) culminarono nell'abdicazione di Nicola II e alla nomina di un debole Governo provvisorio centrista, che condivise il potere con i socialisti del Soviet di Pietrogrado. Questa divisione dei poteri portò alla confusione e al caos, sia al fronte che a casa, e

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l'esercito divenne sempre meno capace di resistere efficacemente alla Germania. Nel frattempo, la guerra e il governo, divennero sempre più impopolari, e il malcontento venne usato strategicamente dal Partito Bolscevico, guidato da Vladimir Lenin, allo scopo di prendere il potere.

Il trionfo dei Bolscevichi, in novembre (ottobre per il calendario russo), fu seguito in dicembre da un armistizio e da negoziati con la Germania. All'inizio, i Bolscevichi rifiutarono i duri termini imposti dalla Germania, ma quando questa riprese la guerra e cominciò a marciare impunita attraverso l'Ucraina, il nuovo governo accettò il Trattato di Brest-Litovsk il 3 marzo 1918, che portò la Russia fuori dalla guerra dietro cessione agli Imperi Centrali di vasti territori comprendenti la Finlandia, le Province Baltiche, la Polonia e l'Ucraina (che comprendevano più di un quarto della popolazione russa).

Il 1917 vide l'ingresso in guerra degli Stati Uniti a fianco delle potenze dell'Intesa, mentre la sconfitta russa sul fronte orientale permise alla Germania di spostare truppe verso ovest. Sarebbe stato dunque sul fronte occidentale che sarebbe stato deciso l'esito della guerra. All'inizio del 1917 la Germania riprese la sua politica di guerra sottomarina indiscriminata. Questo, combinato con l'indignazione pubblica circa il Telegramma Zimmermann, portò alla finale rottura delle relazioni tra Stati Uniti e Imperi Centrali. Il presidente Woodrow Wilson richiese al Congresso degli Stati Uniti di dichiarare guerra, il che avvenne il 6 aprile 1917 (solo un membro del Congresso, Jeanette Rankin del Montana, votò contro). L'esercito statunitense e la Guardia Nazionale erano già stati mobilizzati nel 1916 per dare la caccia al rivoluzionario messicano Pancho Villa, il che rese gli spostamenti più veloci. La Marina statunitense fu in grado di inviare un gruppo di navi da guerra a Scapa Flow per unirsi alla flotta britannica e un gruppo di incrociatori a Queenstown, in Irlanda, per aiutare a scortare i convogli. Comunque, occorse del tempo prima che le forze statunitensi fossero in grado di contribuire significativamente sul fronte occidentale e su quello italiano. Britannici e francesi insistettero sull'invio di fanteria statunitense per rinforzare le linee. Durante la guerra, le forze americane furono a corto di una propria artiglieria, aviazione e di unità del genio. Comunque, il generale John J. Pershing, comandante della forza di spedizione americana, resistette al disgregamento delle unità statunitensi per utilizzarle come rinforzo di quelle francesi e britanniche, come suggerito dagli alleati. L'entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1917, aveva reso certo l'eventuale arrivo di nuovi uomini per le potenze dell'Intesa, mentre il ritiro della Russia e la disfatta italiana di Caporetto avevano permesso il trasporto di truppe tedesche ad ovest. Quattro successive offensive tedesche seguirono quella del 27 maggio, portando a guadagni in direzione di Parigi, comparabili a quelli della prima avanzata. Il 21 marzo 1918 la Germania lanciò una grossa offensiva, l'«Operazione Michael», contro le truppe britanniche e del Commonwealth. L'esercito tedesco aveva sviluppato una nuova tattica che prevedeva l'utilizzo di incursori addestrati ad infiltrarsi nelle trincee e catturarle.

Gli alleati reagirono incaricando il maresciallo di campo francese Ferdinand Foch di coordinare le attività alleate in Francia, e in seguito nominandolo comandante supremo di tutte le forze alleate. L'offensiva tedesca si mosse in avanti di 60 km e premette le truppe della Forza di spedizione britannica (BEF), tanto che il loro comandante, il maresciallo di campo Sir Douglas Haig, emise un Ordine Generale l'11 aprile che dichiarava: «Con le spalle al muro, e credendo nella giustezza della nostra causa, ognuno di noi deve combattere fino alla fine». Comunque, per quel momento, l'offensiva tedesca si era fermata, a causa di problemi logistici. I contrattacchi dei canades e delle forze dell'ANZAC spinsero indietro i tedeschi. La forza di spedizione americana, comandata dal generale John J. Pershing, entrò in battaglia in numeri significativi nell'aprile 1918. Nella battaglia di Bosco Belleau, dal 1° al 30 giugno 1918, la seconda divisione, comprendente il Corpo dei Marines, aiutò ad annullare l'offensiva tedesca che minacciava Parigi.

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Il 18 luglio 1918, alla battaglia di Chateau-Thierry, le forze francesi e statunitensi andarono all'offensiva. L'esercito britannico, usando un grosso numero di carri armati, attaccò ad Amiens l'8 agosto causando tale sorpresa e confusione che il comandante in capo tedesco, Generale Ludendorff, disse che fu «il giorno più nero dell'esercito tedesco». Il 12 settembre la Prima Armata Statunitense, che era stata recentemente costituita dalla Forza di spedizione americana, andò all'attacco del saliente di Saint-Mihiel, che la Germania occupava dal 1914. Questo saliente minacciava la linea ferroviaria Parigi-Nancy. Le forze americane erano carenti di supporto dell'artiglieria, che veniva fornito da francesi e britannici. Questa fu anche la prima occasione in cui vennero usati i carri armati americani, guidati dal tenente colonnello George S. Patton. Quattro giorni dopo il saliente era stato ripulito. Il 26 settembre le forze americane iniziavano l'offensiva Mosa-Argonne, che continuò fino alla fine della guerra. Un posto di osservazione chiave dei tedeschi, sulla quota 305 a Montfaucon-d'Argonne venne catturato il 27 settembre. Circa 18.000 americani caddero durante l'offensiva, che fu la prima condotta dagli Stati Uniti come esercito indipendente. Il generale Pershing puntava al fiume Reno, che si aspettava di oltrepassare all'inizio del 1919. Il 24 ottobre l'esercito italiano, con un limitato supporto americano, inizio l'offensiva di Vittorio Veneto contro l'Impero Austro-Ungarico, che durò fino al 4 novembre.

La Bulgaria fu il primo tra gli Imperi Centrali a firmare l'armistizio (29 settembre 1918), seguito dalla Turchia (30 ottobre) La Germania richiese un cessate il fuoco il 3 ottobre 1918, seguita dall'Austria-Ungheria. I combattimenti terminarono con l'armistizio concordato l'11 novembre a Compiègne. Austria e Ungheria firmarono due armistizi separati a seguito del rovesciamento della monarchia asburgica. Il maggiore Harry S. Truman fece sparare i cannoni al suo battaglione fino agli ultimi secondi. Circa trent'anni dopo, il maggiore divenne presidente degli Stati Uniti. Fu lui a ordinare il lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, che pose fine alla seconda guerra mondiale. Si può dire che Truman fece terminare entrambe le guerre mondiali. Quando Guglielmo II ordinò alla Flotta d'alto mare tedesca una sortita contro le navi alleate, questa si ammutinò a Wilhelmshaven, il 29 ottobre 1918. Il 9 novembre, venne proclamata la repubblica, segnando la fine dell'Impero germanico del 1871. Il Kaiser fuggì il giorno seguente nei Paesi Bassi, che gli garantirono asilo politico.

La prima guerra mondiale è considerata come la prima guerra moderna su larga scala. In realtà si presentava come una sorta di ibrido tra una tecnologia militare avanzata e una dottrina strategica di stampo postnapoleonico. Tra le innovazioni che avrebbero cambiato il volto della guerra ci fu l'uso estensivo della mitragliatrice a scopi prevalentemente difensivi. Un solo uomo, appostato in un nido di mitragliatrice, poteva tenere in scacco un'intera brigata, rendendo spesso vani i tentativi di attacco diretto. Conseguenza immediata di tale innovazione fu l'edificazione, in particolar modo sul fronte occidentale, di imponenti linee difensive, una catena di trincee che andavano dal Mare del Nord alla Svizzera.

Le dottrine di guerra tardarono nell'adeguarsi alla nuova situazione, affidate come erano a teorici dell'arte militare formatisi alla scuola di Carl Von Clausewitz, barone prussiano di inizio ottocento. Principale fondamento di tali dottrine era la guerra d'attacco, unica espressione dell' «elan vitale», lo spirito vitale che, nelle parole di Ferdinand Foch, avrebbe assicurato la vittoria finale. Milioni di uomini furono irrazionalmente spinti ad esporsi inermi al fuoco della mitragliatrice, nel vano tentativo di conquistare, con la sola forza del numero, le posizioni nemiche e di dimostrare la superiorità del proprio spirito. L'artiglieria, che aveva conosciuto uno sviluppo tecnico vertiginoso dall'inizio del secolo, fu usata in chiave prevalentemente offensiva, come metodo, spesso inefficace, di scombinare le linee nemiche prima di un attacco. L'impatto psicologico determinato dall'uso estensivo dell'artiglieria pesante sui soldati intrappolati nelle trincee fu devastante, risultando spesso in forme gravi e peculiari di nevrosi ("shell shock").

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La prima guerra mondiale vide anche l'uso delle armi chimiche e dei bombardamenti aerei, che erano stati entrambi messi fuori legge dalla Convenzione de L'Aia del 1907. Gli effetti delle armi chimiche si rivelarono duraturi, sia sui corpi delle vittime (molte delle quali, sopravvissute alla guerra, ne soffrirono per il resto della vita) che sulle menti dei comandanti della generazione successiva (seconda guerra mondiale) che, avendone visto gli effetti nella Grande Guerra, erano riluttanti ad utilizzarli, temendo che il nemico avrebbe reagito disponendo magari di armamenti migliori. L'evidente squilibrio tra una tecnologia avanzatissima e una tattica arcaica avrebbe determinato l'immane massacro della prima guerra mondiale e le sue conseguenze sulla cultura e la storia europea. Nasceva la guerra di posizione e di massa, in cui il vero obiettivo non era più la conquista del territorio nemico e dei suoi centri politici, ma l'esaurimento delle sue risorse.

La trincea rimane, nella letteratura storica e non, il simbolo negativo della prima guerra mondiale. Per quattro anni milioni di uomini furono costretti a convivere sotto terra, esposti agli agenti atmosferici e ai bombardamenti, in condizioni igieniche disastrose. La guerra veniva privata di ogni forma di idealismo, per diventare un'officina, in cui l'efficienza del massacro sopravanzava ogni considerazione umanitaria. Parziale eccezione fu quella dei piloti di aereo, visti come i moderni «cavalieri», per i quali la guerra non significava abbrutimento ma quasi un duello di stampo medievale, unico caso in cui l'eroismo propagandato dalle autorità militari trovava una fittizia applicazione. Le condizioni della vita di trincea ebbero conseguenze enormi sullo sviluppo del conflitto. La diserzione e l'automutilazione erano all'ordine del giorno, tanto da richiedere l'intervento esteso e violentissimo delle autorità. Al contempo nell'inferno della trincea si sviluppavano fenomeni nuovi che avrebbero determinato la storia culturale successiva. Un intenso spirito di cameratismo tra i soldati semplici avrebbe favorito l'idealizzazione e ideologizzazione della guerra, elemento fondamentale per il successivo imporsi delle ideologie totalitarie. Al contempo la consapevolezza dei sacrifici a cui si era sottoposti alimentavano, soprattutto nelle classi popolari, la speranza di una maggiore partecipazione alla costruzione dell'Europa postbellica.

La guerra tecnologica richiedeva la mobilitazione in scala mai vista di uomini e materiali e determinò una vera rivoluzione nelle prerogative dello Stato e un notevole ampliamento dei suoi poteri in tutte le nazioni coinvolte. La guerra vide anche il nascere del cosiddetto "fronte interno", quello dell'opinione pubblica da ammansire e mobilitare ideologicamente in favore della vittoria finale. In tutti gli stati partecipanti ebbe un ruolo crescente la propaganda, volta a raccogliere fondi, consensi, volontari. Tutti gli stati, consapevoli dell'immane sforzo richiesto ai cittadini e interessati principalmente alla vittoria nel conflitto, si spinsero in promesse di allargamento della democrazia a guerra finita, che non poterono essere del tutto disilluse al termine delle ostilità.

Conseguenze della I guerra mondiale

A seguito della guerra, gli alleati mantennero un blocco navale contro la Germania. Si è stimato che il blocco causò la morte di circa 800.000 civili tedeschi a causa della malnutrizione, durante gli ultimi due anni di guerra. Il mantenimento dell'embargo, come venne descritto da Leckie in Delivered From Evil, avrebbe "tormentato i Tedeschi...guidandoli con furia nelle armate del diavolo". Molti storici hanno argomentato che il trattamento riservato alla Germania, dopo la fine della guerra, fu una delle cause della seconda guerra mondiale, altri sostengono l'opposto. Tutti concordano che il trattamento fu o troppo duro o troppo morbido, non ci fu la giusta via di mezzo. Tra i primi critici di tale trattamento si trova il famoso economista John Maynard Keynes, membro della delegazione inglese alla Conferenza di Parigi.

Churchill fece riferimento al blocco durante un discorso del 3 marzo 1919, alla Casa dei Comuni: "Stiamo mantenendo tutti i nostri mezzi di coercizione pienamente operativi...stiamo rafforzando il blocco con vigore...la Germania è prossima alla morte per fame. Le prove di cui

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dispongo...mostrano...il grande pericolo del collasso dell'intera struttura sociale tedesca e della vita nazionale, sotto la pressione di fame e malnutrizione." Il blocco non venne sollevato fino al giugno 1919, con la firma del Trattato di Versailles.

Il Trattato di Versailles

A seguito della Conferenza di pace di Parigi del 1919, il Trattato di Versailles del giugno 1919 pose ufficialmente fine alla guerra. Tra i suoi 440 articoli, il trattato richiedeva alla Germania di accettare la responsabilità della guerra e di pagare pesanti sanzioni. Il trattato includeva anche una clausola per creare la Società delle Nazioni e per stabilire degli stati cuscinetto (come ad esempio la Polonia) per arginare la potenza delle nazioni più forti. Il Senato degli Stati Uniti non ratificò mai il trattato, nonostante la campagna del Presidente Wilson in suo favore. Gli Stati Uniti negoziarono una pace separata con la Germania, che venne finalizzata nell'agosto del 1921.

La guerra costò molto all'Italia: l'ingente spesa sostenuta dallo Stato per finanziare la guerra formò un debito saldato solo alla fine degli anni '70. L'acquisizione del Trentino-Alto Adige e di Trieste ed Istria fu ben poca cosa rispetto alla profonda crisi economica e sociale che si avrà nel dopoguerra, e che porterà alle gravi tensioni sociali che sfoceranno nel biennio rosso prima e nel Fascismo poi. Per la Francia, la fine della guerra sembrò segnare idealmente la fine della dominazione prussiana che durava da quando Prussiani e Britannici sconfissero Napoleone Bonaparte nel 1814, e soprattutto dopo la sconfitta francese del 1870 nella Guerra Franco-Prussiana. Comunque il Comandante supremo delle forze alleate, il maresciallo di campo Ferdinand Foch, aveva richiesto, per la futura protezione della Francia, che il fiume Reno dovesse fare da confine tra Francia e Germania. Basandosi sulla storia, era convinto che la Germania sarebbe di nuovo diventata una minaccia, e sapendo che i termini del Trattato di Versailles l'avevano lasciata sostanzialmente intatta, osservò con grande preveggenza che "Questa non è pace. È un armistizio di vent'anni". Estremamente importante nella guerra fu la partecipazione di truppe coloniali francesi, da Indocina, Nord Africa e Madagascar, senza le quali la Francia avrebbe potuto cadere. Quando questi soldati tornarono alle loro case e continuarono ad essere trattati come cittadini di seconda classe, molti divennero il nucleo dei gruppi pro-indipendentisti.

Quasi il 15% del territorio e delle acque dell'Impero Germanico, venne ceduto su insistenza alleata a diverse nazioni. La parte più grossa venne restituita alla Polonia, che rivendicò molte aree che ne avevano fatto parte prima della partizione del 1772-1775. Queste province vennero incorporate nel 1871 dalla Germania in quello che viene a volte definito il "Corridoio Polacco", a causa della sua posizione tra la Prussia Orientale ed il resto della Germania, il che ne faceva la via d'accesso polacca alla città di Danzica. Regno Unito e Francia occuparono la vasta maggioranza delle ex-colonie tedesche e ottomane come "mandamenti della Lega delle Nazioni". Nonostante le umiliazioni della pace, la Germania onorò i suoi eroi di guerra e commemorò le sue vittorie, soprattutto con la costruzione nel 1927 di un enorme monumento a Tannenberg per la vittoria contro i russi. I nazionalisti tedeschi ben presto elaborarono delle teorie su come le trame interne avessero impedito la vittoria tedesca nella Grande Guerra, la nota idea della "pugnalata alle spalle". Molti Tedeschi finirono col credere che avrebbero potuto vincere se non fosse stato per il tradimento della classe politica. Ci volle la seconda guerra mondiale per convincerli del contrario.

Nonostante fossero stati a favore del pagamento delle riparazioni di guerra da parte della Germania, gli USA finirono con il prestarle dei soldi per la ricostruzione economica, questi fondi vennero in realtà utilizzati per pagare le riparazioni. La Germania saldò parte delle riparazioni sotto forma di beni e materie prime, comunque l'effetto complessivo delle riparazioni fu di causare una recessione economica, non solo in Germania, ma anche in altre nazioni dove le esportazioni tedesche depressero i prezzi di mercato locali.

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È bene ricordare come questo Diktat, imposto dalle potenze vincitrici, oltre a essere oltremisura pesante per l'economia tedesca, fu talmente umiliante da alimentare quel sentimento nazionale di rivincita e riscossa che il nazismo sfruttò per salire al potere. L'irresponsabilità in questo senso dei governi vincitori (soprattutto francesi: la sconfitta del 1870 contro i Prussiani pesava ancora) fu molto grave.

L'Impero Austro-Ungarico venne diviso in varie parti. Vennero create le nuove repubbliche di Austria e di Ungheria, disconoscendo la continuità dell'Impero. Boemia, Moravia e Slovacchia formarono la Cecoslovacchia. La Galizia venne trasferita alla Polonia e l'Alto Adige e Trieste all'Italia. Bosnia e Erzegovina, Croazia, Slovenia, e Vojvodina vennero unite a Serbia e Montenegro per formare il Regno di Serbi Croati e Sloveni, in seguito Regno di Jugoslavia. La Transilvania divenne parte della Romania. Questi cambiamenti vennero riconosciuti, ma non causati, dal Trattato di Versailles. A causa della distribuzione della popolazione e parzialmente per gli interessi delle grandi potenze, i nuovi confini non sempre seguirono una divisione etnica (come avrebbe previsto il "principio di autodeterminazione dei popoli", uno dei 14 punti di Wilson). I nuovi stati dell'Europa orientale, avevano quasi tutti delle minoranze etniche al loro interno. Centinaia di migliaia di Tedeschi continuarono a vivere nelle nuove nazioni (come nella regione dei Sudeti in Cecoslovacchia). Un quarto degli Ungheresi etnici si trovò a vivere fuori dall'Ungheria. Un'altra inosservanza di questo principio fu l'annessione al regno d'Italia del Sudtirolo e di parte della Slovenia. Annessione che rispose più ad un concetto politico-strategico che all'autodeterminazione di quelle popolazioni; soprattutto perché queste annessioni non erano state richieste nel patto di Londra.

Cambiamenti meno concreti compresero la crescente assertività delle nazioni del Commonwealth. Battaglie come quella di Gallipoli per Australia e Nuova Zelanda, e del crinale di Vimy per il Canada, portarono ad un aumentato orgoglio nazionale e a una maggiore riluttanza a rimanere subordinate al Regno Unito, causando la crescita dell'autonomia diplomatica degli anni '20. Per quanto riguarda la Gran Bretagna stessa, il finanziamento della guerra ebbe un enorme costo economico. Da principale investitore oltremare, si trovò ad essere uno dei principali debitori, con il pagamento degli interessi che formava circa il 40% di tutte le spese statali. L'inflazione più che raddoppiò tra il 1914 ed il 1920, mentre il valore della sterlina inglese crollò. Le riparazioni, in forma di carbone tedesco, depressero l'industria locale, e la situazione precipitò con lo sciopero generale del 1926. Alla fine della guerra il governo ottomano collassò completamente e l'Impero Ottomano venne diviso tra le potenze vittoriose. Francia e Regno Unito si presero gran parte del Medio Oriente, e ai Britannici venne dato il Mandato di Palestina sotto l'egida della Lega delle Nazioni. Italia e Grecia ottennero gran parte dell'Anatolia, comunque la resistenza turca scacciò i Greci, mentre gli Italiani non riuscirono a stabilirvisi. Lo stato indipendente di Armenia, creato nella Turchia orientale, venne invaso dall'Armata Rossa nel 1920 ed annesso all'Unione Sovietica. Venne creata anche un'area autonoma curda, ma i tentativi di ottenere l'indipendenza negli anni '20 vennero soppressi dai Turchi. Durante la Rivoluzione Sovietica e le guerre civili, molte nazioni non russe si guadagnarono un'indipendenza temporanea o duratura. Tra queste troviamo Finlandia, Lituania, Lettonia, ed Estonia. Proclamato da Tedeschi e Austriaci sull'area del Regno del Congresso nel 1916, il Regno di Polonia venne rimpiazzato dalla Seconda Repubblica Polacca nel 1918. Sotto la dinamica guida del temporaneo capo di Stato Jozef Pilsudski, si riunì alle ex-province polacche di Austria e Prussia. Pilsudski voleva anche aiutare Bielorussia ed Ucraina a diventare nazioni indipendenti, ma il suo piano fallì e queste divennero due separate Repubbliche Sovietiche.

La Romania, inizialmente formata dall'unione di Valacchia e Moldavia recuperò la parte orientale della Moldavia dalla Russia. Gli stati di Armenia, Georgia e Azerbaijan vennero stabiliti nella

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regione del Caucaso. Nel 1922 tutte queste nazioni vennero invase e dichiarate Repubbliche Sovietiche. Eventi simili si verificarono in Asia centrale.

Gli Stati Uniti furono probabilmente i veri vincitori della guerra: il numero delle vittime fu piuttosto esiguo rispetto a quelli delle altre potenze dell'Intesa, e il ruolo decisivo giocato dagli americani fu comunque fondamentale per l'esito favorevole a queste ultime. Questo portò a una sorta di "dipendenza" economica nei confronti degli Stati Uniti da parte di un'Europa allo sfascio, che, nel rivendicare porzioni di territorio, aveva dato via a una guerra di proporzioni devastanti, che la aveva portata a perdere un'intera generazione di uomini e un predominio mondiale di cui godeva praticamente da sempre. La guerra si rivelò però anche un piccolo fallimento, visto che gli alti ideali promessi dal Presidente Woodrow Wilson non vennero raggiunti. Il popolo americano scelse così l'isolazionismo, uscendo dalla Società delle Nazioni. Godette di diversi anni di una prosperità disequilibrata, fino al crollo della borsa del 1929.

Le pressioni sull'economia mondiale causate dalle riparazioni tedesche, e la presenza di tutta la capacità industriale sviluppata per la guerra e in attesa di riconversione, furono le cause principali della Grande Depressione del 1929.

U.D. 3 LA RIVOLUZIONE RUSSA

La Rivoluzione russa è stata un evento sociopolitico che ha influenzato la storia mondiale di tutto il XX secolo. L'Unione Sovietica, nata dalla Rivoluzione, fu il primo tentativo, su scala nazionale, di applicazione pratica delle teorie sociali ed economiche di Karl Marx e Friedrich Engels. All'inizio del 1917 la Russia, dopo tre anni di guerra, era stremata. Le perdite ammontavano a più di sei milioni tra morti, feriti e prigionieri e tranne alcune vittorie sul fronte austriaco, vittorie ormai vanificate dagli eventi, la Russia aveva subito una grave serie di sconfitte che avevano comportato la perdita della Polonia russa portando così il fronte all'interno dei suoi confini stessi. Nelle città mancavano viveri e combustibile anche a causa dello stato disastroso in cui versava il sistema ferroviario e nelle campagne l'inquietudine dei contadini aumentava a causa del sempre maggior numero di reclutati per la guerra. Il regime zarista chiuso a riccio nella difesa del principio dell'autocrazia aveva ormai perso del tutto il contatto con la realtà della Russia, al punto che anche molti degli elementi più conservatori delle classi tradizionalmente alleate del regime stavano prendendo coscienza che solo un'uscita di scena di Nicola II, e forse dello stesso zarismo, avrebbero loro permesso di mantenere il controllo dello stato.

Gli eventi noti come rivoluzione di febbraio, che portarono alla caduta del regime zarista, avvennero principalmente a Pietrogrado, l'allora capitale dell'Impero russo. Per quanto riguarda le date bisogna tenere presente che fino all'aprile del 1918 nell'Impero russo era ancora in vigore il calendario Giuliano indietro di 13 giorni rispetto a quello corrente. La rivoluzione di febbraio, a detta di tutti gli storici, fu un movimento spontaneo della popolazione di Pietrogrado e delle truppe stanziate nella città, nel senso che nessuno pianificò ed organizzò la protesta o ne definì gli scopi. Ovviamente dopo i primi momenti molti cercarono di guidarla verso diversi obiettivi. La spontaneità del movimento non può essere interpretata, però, come assenza di condizioni rivoluzionarie. La guerra e le privazioni a cui erano sottoposte le classi lavoratrici, unite alla politica conservatrice dei governi che impedivano quasi del tutto la libertà di espressione e di organizzazione (si tenga conto che ad esempio molti dirigenti del partito bolscevico, che era costretto ad operare nella clandestinità, si trovavano in esilio all'estero e non rientrarono in Russia

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che dopo i fatti del febbraio) avevano creato, nella popolazione, uno stato d'animo di attesa di un cambiamento non più rinviabile.

I prodromi di ciò che sarebbe accaduto si ebbero il 9 gennaio, anniversario della domenica di sangue, in molte città ebbero luogo grandi dimostrazioni contro la guerra. La polizia intervenne pesantemente nei confronti dei dimostranti e si ebbero numerosi morti e feriti. La riapertura della Duma il 14 febbraio non servì certamente a calmare gli attacchi contro Nicola II ed il suo governo. Il 18 febbraio, a Pietrogrado, gli operai delle officine Putilov, una delle maggiori industrie della città, iniziarono uno sciopero in seguito ad un conflitto con la direzione che dopo cinque giorni dichiarò la serrata dello stabilimento. Il 23 febbraio gli operai della Putilov, a cui si erano uniti altri lavoratori, scesero in piazza e si giunse a proclamare lo sciopero generale. Composto da rappresentanti degli operai (uno ogni mille) e da quelli dei soldati (uno per ogni compagnia) il soviet, in cui i Socialisti Rivoluzionari avevano la maggioranza, cercò inizialmente di sottrarre l'iniziativa politica al Comitato della Duma e fallito questo tentativo si orientò su quello che verrà poi chiamato il "dualismo dei poteri" con il Comitato. In pratica nessuno dei due organi, pur in assenza di una struttura legale di tale situazione, poteva operare in diretto disaccordo con l'altro. Frattanto la situazione precipita, a Pietrogrado gli insorti controllano ormai le poste i telegrafi le ferrovie ed anche le basi mlitari. Zarskoe Zelo, dove si trova la famiglia imperiale, viene occupata intorno al 29/30. Il 28 febbraio la rivolta scoppia anche a Mosca con esiti analoghi a quelli di Pietrogrado. Nel frattempo lo zar, convinto ancora di poter semplicemente reprimere la rivoluzione decreta, senza alcun effetto, lo stato d'assedio nella capitale e nomina un dittatore militare per "sedare le agitazioni". Nella notte tra il 2 ed il 3 marzo Nicola II abdica in favore del fratello, il Granduca Michele, ma questi lo stesso giorno rinuncia al trono ponendo così fine alla monarchia in Russia ed ai tre secoli di dominio della dinastia Romanov.

I Bolscevichi non avevano avuto un ruolo da protagonisti nella rivoluzione di febbraio; infatti, il partito, praticamente clandestino, benché avesse cinque rappresentanti alla Duma, era privo dei suoi dirigenti migliori, tutti in volontario esilio all'estero o deportati in Siberia. Anche nei soviet che si vanno ricostituendo in tutta la Russia la maggioranza è quasi sempre costituita da Socialisti Rivoluzionari. Non appena appreso dei fatti di febbraio Lenin, capo del partito, che da alcuni anni si trova in Svizzera, decide di tornare in Russia. Sia la Francia che la Gran Bretagna si rifiutano di concedergli il visto di transito per raggiungere la Svezia e di lì, attraverso la Finlandia, la Russia. Le potenze dell'Intesa sanno che uno degli obiettivi dei bolscevichi è l'immediata apertura di trattative con la Germania per giungere ad una pace mentre è loro interesse che la Russia continui a trattenere sul fronte orientale parte dell'esercito tedesco. Per gli stessi motivi la Germania concede invece il permesso di transito. Lenin è perfettamente conscio che il tornare in patria attraverso la Germania lo esporrà all'accusa di essere un agente del nemico ma, insieme a trenta altri esuli russi, decide comunque di tornare con il famoso vagone piombato, ossia su una carrozza ferroviaria che ha porte e finestrini sigillati in modo da evitare qualsiasi contatto con l'esterno. Il 3 aprile Lenin arriva alla stazione di Finlandia di Pietrogrado, ad attenderlo vi è una folla enorme a riprova della rilevanza che le tesi dei bolscevichi cominciano ad avere all'interno del movimento rivoluzionario.

Il giorno seguente, 4 aprile 1917, alla conferenza del partito bolscevico Lenin espone quelle che diventeranno le linee guida del partito per i mesi futuri. Il proletariato deve porre fine al dualismo dei poteri, abbattendo il governo provvisorio, di ispirazione borghese, trasferendo tutto il potere ai soviet. I contadini devono occupare le terre dei grandi latifondisti. La guerra deve essere immediatamente fermata per giungere ad una pace senza profitti per alcuna delle parti. Nelle stesse tesi Lenin propone anche al partito di cambiare nome, ufficialmente questo è ancora "frazione bolscevica (maggioranza) del Partito Socialdemocratico Russo", la proposta è di chiamarlo Partito Comunista Russo in modo da differenziarsi del tutto dalla Seconda Internazionale.

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Con il passare dei mesi le contraddizioni insite nella complessa situazione della Russia dopo il febbraio 1917 si fanno sempre più evidenti. Un moto spontaneo di operai che chiedono condizioni di vita migliori, di soldati che chiedono la fine della guerra e di contadini che rivendicano il possesso della terra, ha portato al potere uomini che intendono continuare la guerra tenendo fede agli accordi con le potenze dell'intesa e che non hanno alcuna intenzione di cedere le proprieta' personali. Il 15 settembre 1917 Lenin, ancora nascosto ad Helsinki in Finlandia dopo il fallito tentativo rivoluzionario di luglio, scrive al Comitato Centrale del partito affinché venga iniziata la preparazione del passaggio dei poteri ai soviet. Lenin rientra in segreto a Pietrogrado il 10 ottobre e vince le ultime resistenze interne al proprio partito sull'insurrezione. Il 12 ottobre viene creato il Comitato militare rivoluzionario con sede nell'Istituto Smolnyj, che ha il compito di dirigere l'insurrezione; a presiederlo viene chiamato Trotsky. Il Comitato può contare, a Pietrogrado, su circa dodicimila Guardie Rosse, trentamila soldati della guarnigione e sugli equipaggi delle navi della flotta del Baltico. Il governo provvisorio dispone, in città, di settecento allievi ufficiali e di un battaglione femminile.

Rivoluzione di ottobre: L'insurrezione prende il via la sera del 24 ottobre; durante la notte vengono occupati i punti più importanti di Pietrogrado: poste, telegrafi, stazioni ferroviarie, banche, ministeri. Il governo provvisorio praticamente cessa di esistere senza alcuna resistenza. Kerensky fugge verso il fronte e gli altri ministri si rinchiudono nel Palazzo d'Inverno, che verrà occupato il mattino del 26 ottobre. Nel frattempo, la sera del 25 ottobre, si è riunito il Secondo Congresso dei Soviet, ed è a questo organo che i bolscevichi consegnano il potere appena conquistato. Quella notte la discussione prosegue senza sosta ed alle cinque del mattino del 26 ottobre, mentre si arrendono le ultime sacche di resistenza nel Palazzo d'Inverno, viene decretato il passaggio del potere ai soviet. Come primo atto il congresso rivolge a operai soldati e contadini un proclama in cui afferma che il governo sovietico, in via di creazione, avrebbe offerto ai tedeschi la pace immediata ed avrebbe consegnato la terra ai contadini. Nei giorni che seguono, mentre la rivoluzione si diffonde e si scontra con i primi tentativi di resistenza, viene organizzato il primo governo sovietico che prende il nome di Soviet dei commissari del popolo. Alla presidenza va Lenin, Trotzsky agli Esteri, gli altri incarichi vanno ad altri membri del partito bolscevico ( il 2 novembre il governo subisce un rimpasto in seguito all'ingresso dei socialrivoluzionari di sinistra), a Stalin viene affidata la commissione per le questioni delle nazionalità. Mentre la rivoluzione si diffonde il nuovo governo sovietico (inteso come espressione del Congresso dei Soviet e non come governo dell'Unione Sovietica che ancora non esiste) muove i suoi primi passi ed emette i suoi primi atti formali. Come già annunciato da Lenin il 26 ottobre (calendario giuliano) il decreto sulla terra prevede l'immediata distribuzione, senza indenizzo, delle terre dei proprietari terrieri ai contadini privi di terra. Con il decreto sulla pace si propone a tutti i belligeranti l'apertura immediata di trattative per una pace "giusta e democratica" accompagnate da un immediato armistizio di almeno tre mesi. Al vecchio sistema giudiziario si sostituiscono i tribunali del popolo inizialmente di tipo elettivo; la polizia viene sostituita da una milizia composta prevalentemente di operai; viene realizzata la completa separazione tra stato e chiesa; viene introdotto il matrimonio civile, con uguali diritti per entrambi i coniugi, e viene introdotto il divorzio; la donna ottiene la totale parità di diritti rispetto all'uomo; viene introdotta la giornata lavorativa di otto ore. Riguardo all'esercito vengono tolte la differenze di trattamento fra soldati e ufficiali. Sul fronte dell'economia vengono nazionalizzate tutte le banche private; il commercio estero diviene monopolio dello stato; flotta mercantile e ferrovie diventano statali, mentre le fabbriche vengono affidate direttamente agli operai. Il nuovo governo denuncia anche tutti gli accordi internazionali compresi quelli segreti e sospende il rimborso dei prestiti ottenuti all'estero dal regime zarista.

A partire dal 12 novembre, mentre nel paese è in pieno svolgimento, con risultati contrastanti, l'insurrezione bolscevica, si svolgono le elezioni, più volte rimandate, per l'Assemblea Costituente

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in base a liste ed a una legge elettorale definite dal precedente governo. I risultati sono i seguenti: la partecipazione al voto risulta inferiore al 50% degli aventi diritto, i bolscevichi ottengono il 25% dei voti, il Partito Cadetto il 13%, i rivoluzionari socialisti il 58% ed i menscevichi il 4%. Nelle città ed al fronte i bolscevichi salgono oltre il 40%, e talvolta come a Pietrogrado superano il 60%. Quello che il voto rileva è l'intima debolezza della borghesia, rappresentata dal partito cadetto, ed il forte peso che i socialisti-rivoluzionari hanno nelle campagne. Nelle campagne i socialisti-rivoluzionari controllano anche i soviet contadini che si vanno formando. Molto spesso si tratta della componente di sinistra degli s-r che si schiera con i bolscevichi, scelta che porta all'unione del Comitato esecutivo dei Soviet contadini, eletto a fine novembre a fondersi con quello eletto nel II congresso dei Soviet degli operai e dei soldati in quello che viene conosciuto come congresso panrusso (VCIK). Il 5 gennaio, dopo molti tentennamenti, qualcuno propone persino di effettuare la riunione nelle zone cosacche sotto il controllo del generale Kaledin, si tiene a Pietrogrado la prima seduta dell'Assemblea Costituente. In questa sede i bolscevichi chiedono all'assemblea di ratificare tutti gli atti e i decreti emessi dai Commissari del Popolo e di fronte al rifiuto abbandonano la riunione insieme agli s-r di sinistra. L'assemblea, sotto la presidenza di Cernov, approva poi una legge che prevede il passaggio della terra ai contadini ed un'altra per la pace immediata. Il giorno seguente il presidente del VCIK, Sverdlov, scioglie l'Assemblea.

Il trattato di Brest-Litovsk fu un trattato di pace stipulato tra la Russia e gli imperi centrali il 3 marzo 1918 in Bielorussia, presso la città Brest (un tempo conosciuta come "Brest-Litovsk"). Esso sancì l'uscita della Russia dalla prima guerra mondiale. Anche se la fine della guerra portò a esiti diversi rispetto a quanto previsto dal trattato, esso fu, seppur non intenzionalmente, di fondamentale importanza nel determinare l'indipendenza di Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia.

Uno dei primi atti del nuovo governo nato nelle giornate della rivoluzione d'ottobre è la proposta rivolta a tutti i belligeranti di un immediato armistizio generale per giungere entro breve tempo ad una conferenza per una pace "giusta e democratica". Tutte le iniziative che il governo bolscevico prende riguardo alla guerra subito dopo la rivoluzione per essere comprese devono essere inquadrate nella convinzione, di Lenin e di quasi tutti gli altri dirigenti, che la rivoluzione mondiale (o almeno europea) è ormai imminente. Comunque nessuno degli altri belligeranti, tranne la Germania, dà segno di aver ricevuto la proposta russa e quindi il nuovo governo procede in modo autonomo e nel dicembre del 1917 concorda con la Germania un armistizio e l'apertura di trattative di pace. La Germania da parte sua ha tutto l'interesse a trarre dalla situazione russa tutti i vantaggi possibili. Le richieste che sono avanzate durante le trattative sono sempre a svantaggio della Russia anche utilizzando il concetto di "autodeterminazione dei popoli" che fa parte dei primi pronunciamenti del governo dei Commissari del Popolo.

Il 28 gennaio (10 febbraio) è Trotskij ad annunciare la decisione russa di non combattere più e di smobilitare l'esercito. In risposta a ciò il 18 febbraio (calendario gregoriano – dal 1 febbraio giuliano la Russia adotta il calendario gregoriano) l'esercito tedesco riprende l'avanzata sfondando le sguarnite linee russe. Malgrado eroici tentativi di difesa da parte di reparti di volontari appena costituiti la situazione è disperata e Lenin ottiene, dietro minaccia di dimissioni, l'autorizzazione dal Comitato Centrale del Partito Bolscevico a firmare la pace, nonostante le nuove condizioni siano ancora più gravose delle precedenti: cessione di Estonia e Lettonia oltre a tutti i territori occupati dalle truppe tedesche, riparazioni economiche e cessioni all'Impero Ottomano nella Transcaucasia, la pace viene firmata a Brest-Litovsk il 3 marzo 1918. Quella firmata a Brest-Litovosk è una "pace imperialista"

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che nega uno dei principi enunciati coi decreti dell'ottobre: quello sull'autodeterminazione dei popoli. L'Ucraina è occupata dall'esercito tedesco che installa un governo fantoccio con la funzione di coprire il prelievo di materie prime e grano necessari per lo sforzo bellico tedesco ad occidente. In Finlandia, che aveva ottenuto l'indipendenza dall'ottobre 1917 i tedeschi inviano truppe in appoggio ad una controrivoluzione che rovescia il governo socialdemocratico. Anche in Lituania ed Estonia ai governi dei soviet ne vengono sostituiti altri appoggiati direttamente dall'esercito tedesco. Il periodo immediatamente successivo alla firma del trattato di pace con gli Imperi Centrali sembra voler concedere al giovane potere dei soviet il tempo di consolidarsi al punto che il 23 aprile Lenin può dichiarare "la guerra civile è, per l'essenziale, finita". In questo caso la previsione del principale dirigente bolscevico risulta errata: due mesi dopo la guerra infuria su decine di fronti ed il nuovo potere giunge, più volte, alla soglia della distruzione. Tra le molte cause che si possono riconoscere per tali avvenimenti due sono quelle forse di maggior peso, una di ordine esterno ed una di ordine interno. La speranza dei bolscevichi che la distribuzione della terra ai contadini fosse una misura sufficiente per risolvere i problemi alimentari della Russia si rivela illusoria. Molti contadini, non più costretti a lavorare per produrre un surplus producono solamente per il loro fabbisogno; in primavera il governo è costretto a dare inizio alle requisizioni di grano allo scopo di rifornire le città le cui scorte sono ormai esaurite. Anche se le requisizioni, almeno all'inizio, colpiscono principalmente i contadini più agiati i cosiddetti kulak sono spesso alla base di vere e proprie rivolte, talvolta dirette dai rivoluzionari socialisti di sinistra.

U.D. 4 – 5 – 6 L’ITALIA NEL PRIMO DOPOGUERRA, IL BIENNIO ROSSO E IL FASCISMO

Il Biennio rosso (1919 - 1920) è il periodo della storia italiana immediatamente successivo alla prima guerra mondiale in cui si verificarono manifestazioni operaie e tentativi di creazione di forme di autogestione all'interno di alcune importanti fabbriche, soprattutto del nord. Le agitazioni si estesero anche alle zone rurali della pianura padana e furono accompagnate da scioperi e manifestazioni. Gli imprenditori reagirono con la serrata (lavoro), ed il Governo schierò l'esercito in assetto di guerra per reprimere i moti popolari. Il Partito Socialista Italiano, diviso fra riformisti e massimalisti, non seppe dare una risposta unitaria a queste istanze, e si avviò verso la scissione di Livorno del 1921, da cui nacque il Partito Comunista Italiano. Questo clima sociale provocò un forte allarme nei ceti moderati, che temevano rivolgimenti politici ispirati alla rivoluzione bolscevica del 1917, e fu una delle principali cause che favorirono l'affermazione del regime fascista in Italia.

Il fascismo fu un movimento politico del XX secolo che sorse in Italia a partire dalla fine della prima guerra mondiale, in parte come reazione alla Rivoluzione Bolscevica del 1917 e alle forte lotte sindacali, operaie e bracciantili, culminate nel Biennio Rosso, in parte in polemica con la società liberal-democratica uscita lacerata dall'esperienza della guerra. Il nome deriva dalla parola fascio (lat.: fascis) e fa riferimento ai fasci usati dagli antichi littori come simbolo di unione. L'ascia presente nel fascio simboleggiava il loro potere, in particolare il loro potere giurisdizionale.

Fondatore ed ispiratore del movimento fascista fu il forlivese Benito Mussolini, già espulso per interventismo dal Partito Socialista Italiano, che il 23 marzo 1919 dette vita a Milano ad un piccolo gruppo denominato Fasci italiani di combattimento. Il fascismo fu il primo dei grandi movimenti nazionalisti diffusisi rapidamente in Europa negli anni Venti e Trenta del secolo scorso in molti paesi, accomunati da una matrice comune di conservatorismo, nazionalismo, razzismo, autoritarismo e culto della personalità del dittatore: il nazismo in Germania, le guardie di ferro in Romania, il franchismo in Spagna. Dal '38 in poi, con la pubblicazione del "Manifesto degli scienziati razzisti", in realtà redatto al 90 per cento da Mussolini, il fascismo si dichiarò

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esplicitamente anche antisemita e, anche se non fu realizzato alcun intento di sterminio fino al 1943 (quando l'Italia venne occupata dall'esercito nazista), gli ebrei furono allontanati dalla vita pubblica, spesso privati del lavoro ed esposti a varie forme di vessazione.

Il fascismo tendeva ad imporre l'assoluta preminenza del partito fascista, identificato con lo Stato, in ogni aspetto della vita politica e sociale. Pur combattendo il comunismo e il socialismo come nemici della patria e della società (col diretto appoggio, in questo, della grande industria e dei capitalisti privati, spaventati dalle rivendicazioni sindacali, con cui il fascismo ebbe sempre un rapporto privilegiato) Mussolini mutuò dalla dottrina socialista molte idee, creando uno stato maggiormente centralizzato e strutturando l'economia in un modello di pseudo-socialismo corporativista.

Le radici del fascismo, come degli altri regimi totalitari europei “cugini” del periodo, vanno individuate nella profonda crisi della società italiana del primo dopoguerra e nelle deboli radici della sua democrazia liberale. L'ideologia del fascismo fu elaborata negli anni '20 e successivamente stilata in un articolo scritto da Giovanni Gentile durante il suo incarico di ministro dell'Istruzione e poi siglato da Mussolini, ma non venne mai veramente applicata, restando un documento privo di seguito. Il fascismo visse soprattutto della volontà di Mussolini e si limitò a seguire alcuni principî di massima da lui indicati di volta in volta e ad alimentare il culto della personalità, adoperando i mezzi di comunicazione di massa per trasmettere un ideale di uomo forte, deciso e risoluto. Di certo il fascismo si riallaccia a correnti di pensiero ultraconservatrici, che risalgono al XIX secolo, in generale contraddistinte dalla critica contro il preteso materialismo e l'idea di progresso delle società capitaliste borghesi, ritenute distruttrici dei valori più profondi della civiltà europea. Tali scuole di pensiero tendono a rievocare un'idea romantica, secondo molti storicamente inesatta, di una mitica società premoderna, armonica e ordinata, nella quale i diversi ceti della società, ciascuno nel suo àmbito, collaborano per il bene comune.

In Italia il fascismo trovò i suoi precursori negli anni precedenti alla prima guerra mondiale, nel movimento artistico del futurismo (il cui ispiratore, Filippo Tommaso Marinetti, aderì successivamente al movimento di Mussolini), nel decadentismo e nell'arditismo di Gabriele D'Annunzio e in numerosi altri pensatori ed azionisti politici nazionalisti che si ritrovarono nella rivista Il Regno (Giuseppe Prezzolini, Luigi Federzoni, Giovanni Papini), molti dei quali militarono in seguito nelle fila fasciste.

Fu l'indiscutibile abilità di politico di Benito Mussolini, ex dirigente del Partito Socialista Italiano, convertito alla causa del nazionalismo e della Grande Guerra, a fondere la confusa congerie di idee, aspirazioni, frustrazioni degli ex combattenti reduci dalla dura esperienza della guerra di trincea, in un movimento politico che all'inizio ebbe una chiara ispirazione socialista e rivoluzionaria (vedi il programma dei fasci di combattimento del marzo 1919) e che si contraddistinse fin da subito per la violenza dei metodi impiegati contro gli oppositori. La crisi economica del dopoguerra, la disoccupazione e l'inflazione crescenti, la smobilitazione dell'esercito (che restituì alla vita civile migliaia di persone), i conflitti sociali e gli scioperi nelle fabbriche del nord, l'avanzata del partito socialista divenuto il primo partito alle elezioni del 1919, crearono, negli anni 1919-1922, le condizioni per un grave indebolimento delle strutture statali e per un crescente timore da parte dei ceti agrari e industriali di una rivoluzione comunista in Italia sul modello di quella in corso in Russia. In questa situazione fluida, Mussolini colse l'occasione e, abbandonando rapidamente il programma socialista e repubblicano, si pose al servizio della causa antisocialista; le milizie fasciste, appoggiate dai ceti possidenti e da buona parte dell'apparato statale che vedeva in lui il restauratore dell'ordine, lanciarono una violenta offensiva contro i sindacati e i partiti di ispirazione socialista (ma anche cattolici), in particolar modo nel nord d'Italia (Emilia Romagna, Toscana in particolar modo), causando numerose vittime nella sostanziale indifferenza delle forze dell'ordine.

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Le violenze furono nella gran parte dei casi provocate dagli squadristi fascisti, che sempre più apertamente furono appoggiati da Dino Grandi, l'unico reale competitore di Mussolini per la leadership all'interno del partito, che nel congresso di Roma del 1921 si fece da parte e diede via libera al futuro Duce.

La violenza crebbe considerevolmente negli anni 1920-22 fino alla Marcia su Roma (28 ottobre 1922). Di fronte all'avanzata di milizie fasciste mal armate e guidate su Roma, il Re Vittorio Emanuele III di Savoia, preferendo evitare ogni spargimento di sangue decise di affidare l'incarico di Presidente del Consiglio a Mussolini, che in quel momento aveva in Parlamento non più di 22 deputati. Vittorio Emanuele mantenne sempre il controllo dell'esercito: se avesse voluto, avrebbe potuto senza problemi cacciare da Roma Mussolini e le forze fasciste, inferiori in tutto alle guarnigioni di stanza nella capitale; quindi non si può parlare, a rigor di termini, di colpo di stato o di "rivoluzione fascista", in quanto Mussolini ottenne il governo legalmente, con un incarico (quantunque oggetto di molte e profonde critiche) del sovrano.

Da primo ministro, i primi anni di Mussolini (1922-1925) furono caratterizzati da un governo di coalizione, composto da nazionalisti, liberali e popolari, che non assunse fino al delitto Matteotti veri e propri connotati dittatoriali. In politica interna Mussolini favorì la completa restaurazione dell'autorità statale e la soppressione dell'estrema sinistra, con l'inserimento dei fasci di combattimento nell'interno dell'esercito (fondazione nel gennaio 1923 della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale) e la progressiva identificazione del Partito in Stato. In politica economica e sociale vennero emanati provvedimenti che favorivano i ceti industriali e agrari (privatizzazioni, liberalizzazione degli affitti, smantellamento dei sindacati). Nel luglio 1923 venne approvata una nuova legge elettorale maggioritaria, che assegnava due terzi dei seggi alla coalizione che avesse ottenuto almeno il 25% dei suffragi, regola puntualmente applicata nelle elezioni del 6 aprile 1924, nelle quali il “listone fascista” ottenne uno straordinario successo, agevolato anche dai brogli, dalle violenze e dalle intimidazioni contro gli oppositori. L'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, che aveva chiesto l'annullamento delle elezioni per le irregolarità commesse, provocò una momentanea crisi del governo Mussolini. La debole risposta delle opposizioni (secessione dell'Aventino), incapaci di trasformare il loro gesto in un'azione antifascista di massa, non fu sufficiente ad allontanare le classi dirigenti e la Monarchia da Mussolini che, il 3 gennaio 1925, ruppe gli indugi e, con un noto discorso nel quale assumeva su di sé l'intera responsabilità del delitto Matteotti e delle altre violenze squadriste, di fatto proclamò la dittatura, sopprimendo ogni residua libertà e completando l'identificazione assoluta del Partito Nazionale Fascista con lo Stato. Per l'effettiva realizzazione di uno stato dittatoriale - ossia per vedere formalmente inserite all'interno dello Stato italiano organizzazioni e istituzioni derivate dal Partito Fascista - occorrerà attendere la costituzionalizzazione del Gran Consiglio del Fascismo, avvenuta il 9 dicembre 1928. Pur potendo essere definito un regime dittatoriale il regime conservò in vigore lo Statuto del Regno - c.d. Statuto Albertino - piegandolo però alle sue esigenze.

Dal 1925 fino alla metà degli anni trenta il fascismo connobe solo un'opposizione sotterranea e di carattere cospirativo, guidata da figure memorabili (in buona parte comunisti come Antonio Gramsci, socialisti come Pietro Nenni, demo-liberali come Giovanni Amendola, liberali come Piero Gobetti), molti dei quali pagarono con la vita, l'esilio, pene detentive o il confino il loro rifiuto del fascismo. La maggioranza degli italiani, soprattutto nei ceti medio-alti ma anche quel mondo agricolo vicino al Partito Popolare, trovò un modus vivendi con la nuova situazione, vedendo forse in Mussolini un baluardo contro il materialismo e il socialismo e soprattutto contro il disordine economico successivo alla guerra '15-18: da parte sua, il fascismo italiano non esercitò mai una grande opera di indottrinamento della popolazione come quella intrapresa dal nazismo in Germania, ma piuttosto, come il franchismo spagnolo, si limitò nella maggior parte dei casi ad esigere solo una partecipazione di facciata. Tale situazione venne favorita dal riavvicinamento con la Chiesa

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Cattolica, che culminò nel Concordato dell'11 febbraio 1929, con cui si chiudeva l'annosa questione dei rapporti tra Stato e Chiesa aperta nel 1870 dalla breccia di Porta Pia e che restituiva al cattolicesimo il ruolo di religione di Stato. Inoltre è proprio a questo periodo che risalgono i notevoli risultati del regime nel campo dei lavori pubblici e delle politiche sociali, che giovarono al regime stesso altissimi consensi: sono gli anni, infatti, della bonifica delle paludi pontine e dell'appoderamento delle vaste aree del latifondo paludoso-malarico a favore delle famiglie degli strati più indigenti tra gli ex combattenti del primo conflitto mondiale, gli anni che danno inizio alla politica delle bonificazioni e delle fondazioni delle "città nuove" rurali che, oltre al consenso popolare, donarono un'ampia visibilità internazionale al regime.

In politica estera Mussolini, dopo l'incidente di Corfù del 1923, per un lungo periodo non si discostò dall'obiettivo del mantenimento dello status quo in Europa con una politica prudente e scevra da avventure militari, nonostante la retorica nazionalista. L'Italia mantenne ottime relazioni con Francia e Inghilterra, collaborò al ritorno della Germania nel sistema delle potenze europee pur nei limiti del Trattato di Versailles, tentando altresì di estendere la sua influenza verso i Paesi sorti dallo sfacelo dell'Impero austro-ungarico (Austria e Ungheria) e nei Balcani (Albania, Grecia) in funzione anti-jugoslava. L'Italia fu inoltre uno dei primi paesi europei a stabilire nel 1929 relazioni diplomatiche con l'Unione Sovietica. Nel 1934 Mussolini si erse a difensore dell'indipendenza dell'Austria contro le mire annessionistiche della Germania hitleriana, sebbene l'avvicinamento italiano col Paese confinante, che il Duce portò sino alla personale amicizia col cancelliere Dolfuss (ucciso appunto dai tedeschi), non avesse secondo alcuni obiettivi tanto differenti. L'affermazione del nazismo in Germania ed il successo di Hitler negli anni 1934-36, di fronte alla sostanziale inazione delle democrazie occidentali, convinsero Mussolini che vi fosse per l'Italia l'opportunità di espandere ulteriormente il suo prestigio e le sue conquiste territoriali, pur con un apparato industriale gracile e provato dalla crisi economica del 1929 e con un esercito arretrato e mal equipaggiato. Nel 1935 l'Italia, con un pretesto invase l'Etiopia, che venne rapidamente conquistata (maggio 1936: proclamazione dell'Impero).

Pochi mesi dopo l'Italia fascista si schierò coi franchisti nella guerra civile spagnola, inviando anche un corpo di spedizione di 20.000 uomini. Lungi dal rafforzare economicamente il paese, queste imprese indebolirono il consenso al regime gettando i primi semi del risentimento popolare, e in politica estera lo allontanarono da Francia e Inghilterra spingendolo ad allinearsi in maniera crescente con la Germania nazista (1936: Asse Roma-Berlino, 1937: Patto Anticomintern comprendente anche l'Impero giapponese; 1938: acquiescenza di Mussolini all'annessione dell'Austria; 1939: Patto d'Acciaio in funzione offensiva). Nel 1938 Mussolini fece promulgare dal Re le leggi razziali antisemite, che non avevano precedenti in Italia e che furono applicate senza entusiasmo. Nel marzo 1939, senza alcuna vera ragione, ordinò l'occupazione dell'Albania già saldamente nella sfera d'influenza italiana, ponendovi come governatore (viceré) il genero Galeazzo Ciano. Ulteriore segno di avvicinamento al nazismo fu la proclamazione in Italia delle leggi razziali nel 1938, che prevedevano delle clausole ancora più restrittive rispetto alle leggi razziali del 1935 di Hitler. Nonostante le clausole del Patto d'Acciaio (assistenza automatica in caso di guerra), nel settembre 1939 Mussolini si dichiarò non belligerante, ma nel giugno 1940, contro la volontà di gran parte delle gerarchie fasciste, entrò in guerra contro Francia ed Inghilterra, fidando nella rapida vittoria tedesca. L'impreparazione dell'esercito e l'incapacità dei suoi comandanti condussero a terribili sconfitte su tutti i fronti (Grecia 1940) e alla rapida perdita delle colonie dell'Africa Orientale (1941) e della Libia (1943), creando un indebolimento delle difese che aprì le porte all'invasione della Sicilia. Il 25 luglio 1943 una manovra ordita da parte di alcuni importanti gerarchi (Grandi, Bottai e Ciano) con l'appoggio del Re, si tradusse in un famoso Ordine del giorno presentato al Gran Consiglio del Fascismo col quale si chiedeva al Re di riprendere il potere, e portò all'arresto di Mussolini e all'improvviso crollo del fascismo, che si dissolse tra il giubilo della

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popolazione; ma la caduta di Mussolini non preludeva alla conclusione della guerra, che si protrasse per alcune settimane nella crescente ambiguità del nuovo governo Badoglio.

La nascita della Repubblica sociale

Il 12 settembre, Hitler inviò una squadra di paracadutisti sul Gran Sasso per liberare Mussolini dalla prigionia e condurlo in Germania. Dopo aver incontrato Hitler, Mussolini fu trasferito in un castello della Baviera, sorvegliato da un plotone di SS e da dodici ispettori in borghese della Gestapo; un telefono militare permetteva di comunicare solo con il quartier generale di Hitler e con Roma. Con un discorso alla radio, il 18 settembre Mussolini annunciò la nascita di un nuovo governo fascista; Dopo due mesi il nuovo governo definì la sua denominazione, Repubblica Sociale Italiana (RSI). La nuova entità politica fu ribattezzata nel linguaggio popolare “Repubblica di Salò”, ma in realtà non ebbe una vera e propria capitale, perché i tedeschi stabilirono la sede dei diversi ministeri a Salò, ma anche in altre località turistiche sul lago di Garda (Gardone, Maderno) e in alcune città della Lombardia e del Veneto (Cremona, Brescia, Treviso, Venezia e Padova).

Il programma in 18 punti della R.S.I., discusso al congresso di Verona del novembre 1943, ripropose un regime a partito unico (art. 5), razzista e antisemita (art. 7, «Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica»). La novità stava nel carattere repubblicano del nuovo stato fascista (art. 1), negli ampi spazi previsti per le consultazioni popolari (artt 2-4) e in un programma sociale che conteneva alcuni elementi di anticapitalismo (artt. 9 e sgg.), tanto che si è parlato di un ritorno al fascismo delle origini (quello del programma di Piazza san Sepolcro). In realtà molte delle nuove parole d'ordine erano destinate a rimanere pura esercitazione verbale, anche perché la Repubblica sociale non fu un vero e proprio stato indipendente, ma un governo collaborazionista, in tutto simile a quelli sorti in altre parti d'Europa dopo le invasioni tedesche. Hitler non esitò a mutilare il territorio nazionale italiano, annettendo alla Germania alcune aree ex asburgiche (province di Trento, Bolzano, Belluno, Udine, Gorizia, Trieste, Pola e Fiume) e, nei territori che avrebbero dovuto essere di giurisdizione della Repubblica sociale, sia l'amministrazione civile sia le operazioni belliche restarono sotto il controllo ferreo dell'autorità militare tedesca. La Repubblica di Salò non ebbe neppure una forza armata unitaria, in parte per volontà dei tedeschi, in parte a causa delle divisioni esistenti tra i capi dei vari corpi armati, in competizione tra loro per accaparrarsi privilegi e fette sempre più ampie di potere. il 30 novembre 1943 decretarono l'arresto degli ebrei di tutte le nazionalità, il loro internamento in campi di prigionia e il sequestro (poi tramutato in confisca) di tutti i loro beni (Ordine di polizia n. 5 del Ministero dell'Interno della Repubblica sociale italiana). Il 25 aprile 1945 la liberazione del nord Italia, la fucilazione di Mussolini con l'amante Claretta Petacci e l'esposizione dei loro cadaveri, assieme a quella di altri gerarchi fascisti a piazzale Loreto a Milano, segnarono la fine della guerra e del fascismo in Italia.

U.D. 7 IL NAZISMO

Il termine nazismo (o nazionalsocialismo) definisce l'ideologia e il movimento politico tedesco collegati all'avvento al potere in Germania nel 1933 da parte di Adolf Hitler, conclusosi alla fine della seconda Guerra Mondiale con la conquista di Berlino da parte delle truppe sovietiche (maggio 1945). Il nazismo è comunemente associato al Fascismo, benché i nazisti affermassero di sposare una forma nazionalista e totalitaria di socialismo (opposta al socialismo internazionale Marxista). Il nazismo trae origine dal partito politico guidato da Adolf Hitler, l'NSDAP, (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, Partito operaio nazionalsocialista tedesco) ed è basato sul programma politico indicato da questo nel libro Mein Kampf. Una volta raggiunto il potere tramite una regolare

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elezione, si trasformò in dittatura, con un programma di eliminazione anche fisica sia degli avversari politici che di persone appartenenti a categorie ritenute inferiori, quali gli ebrei, i testimoni di Geova, gli slavi, gli omosessuali, i portatori di handicap e i ritardati mentali.

Ideologia del nazismo: in base al "Mein Kampf" (La mia battaglia), Hitler sviluppò le sue teorie politiche, partendo dall'attenta osservazione delle politiche dell'Impero Austro-Ungarico. Egli nacque come cittadino dell'Impero, e credeva che questo fosse indebolito dalla diversità etnica e linguistica. Inoltre, vedeva la democrazia come una forza destabilizzante perché poneva il potere nelle mani delle minoranze etniche, che erano perciò incentivate a indebolire ulteriormente l'Impero. Secondo i nazisti, un ovvio errore di questo tipo è quello di permettere o incoraggiare il plurilinguismo all'interno di una nazione. Questo è il motivo per cui i nazisti erano così preoccupati di unificare i territori abitati da popolazioni di lingua tedesca. Il cuore dell'ideologia nazionalsocialista era il concetto di razza. La teoria nazista ipotizzò la superiorità della razza ariana come "razza dominante" su tutte le altre e in particolare sulla razza ebraica. Il concetto di "razza" non ha alcun fondamento biologico o etnico, ma l'esistenza delle "razze" è l'essenza della dottrina pseudo-scientifica nazista. Per il nazionalsocialismo una nazione è la più alta espressione della razza. Quindi una grande nazione è la creazione di una grande razza. La teoria dice che le grandi nazioni crescono con il potere militare, e ovviamente il potere militare si sviluppa da culture civilizzate e razionali. Queste culture naturalmente crescono da razze dotate di una naturale buona salute e con tratti di aggressività, intelligenza e coraggio. Le nazioni più deboli sono quelle la cui razza è impura: sono perciò divise e litigiose, e quindi producono una cultura debole. Le nazioni che non possono difendere i loro confini erano quindi definite come le creazioni di razze deboli o schiave. Le razze schiave erano ritenute meno meritevoli di esistere rispetto alle razze dominanti. In particolare, se una razza dominante necessitava di "spazio vitale" (Lebensraum), si riteneva avesse il diritto di prenderlo e di eliminare o ridurre in schiavitù le razze schiave indigene. Come conseguenza, le razze senza una patria venivano definite "razze parassite": più gli appartenenti a una razza parassitaria erano ricchi e più virulento era considerato il parassitismo. Una "razza dominante" poteva quindi, secondo la dottrina nazista, rafforzarsi facilmente eliminando le "razze parassitarie" dalla propria patria. Questa era la giustificazione teorica per l'oppressione e l'eliminazione fisica degli ebrei e degli slavi, un compito che anche molti nazisti trovavano personalmente ripugnante ma che compivano giustificando le loro azioni in nome dell'obbedienza allo Stato nazista. L'uomo che riconosce queste "verità" era detto "capo naturale", quello che le negava era uno "schiavo naturale". Gli schiavi, soprattutto quelli intelligenti, si riteneva cercassero sempre di ostacolare i padroni promuovendo false religioni e dottrine politiche. Per iniziare a diffondere questo pensiero e farlo assimilare dalla popolazione venivano mostrati filmati di tedeschi deformi, fisicamente o mentalmente, fatti giungere adagio adagio da tutta la Germania in alcuni centri di raccolta, mettendo in evidenza i loro problemi fisici e mentali; furono questi i primi esseri umani bruciati nei forni dai nazisti. All'inizio queste operazioni di sterminio erano fatte di nascosto: solo gli abitanti del luogo si accorgevano che, dopo ogni arrivo, dai camini di questi centri di raccolta usciva una grossa quantità di ceneri e forti odori. Si usarono i mezzi di comunicazione dell'epoca, soprattutto le riprese cinematografiche, per far accettare alla gente queste pratiche come qualcosa di necessario per il bene comune. Vennero inoltre prese informazioni su molte persone per verificare se effettivamente erano originarie della Germania o avevano parentele non ariane. Venne sviluppato un ideale di persona ariana con determinate caratteristiche (colore degli occhi, dei capelli, ecc): molte donne tedesche che corrispondevano a tali caratteristiche erano costrette ad unirsi ad uomini tedeschi per generare figli di razza pura ariana. Tutto questo venne fatto in apposite strutture dove ogni bambino non aveva una madre o un padre, ma doveva essere allevato alle ideologie naziste fin da piccolissimo in modo da poter un giorno servire la patria dove meglio erano le sue attitudini.

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Comunque, è un fraintendimento pensare che il nazismo fosse incentrato "solo" sulla razza. La teoria economica nazista era immediatamente preoccupata da problemi di economia interna e aveva separatamente delle concezioni ideologiche sull'economia internazionale. Hitler si riproponeva di risolvere tre problemi che affliggevano la Germania:

• L'eliminazione della disoccupazione • L'eliminazione dell'iperinflazione • L'espansione della produzione di beni di consumo per migliorare il tenore di vita delle classi

medio-basse.

Tutti questi obiettivi erano intesi ad indirizzare le imperfezioni percepite della Repubblica di Weimar e a solidificare il supporto popolare del partito. Dal punto di vista economico, nazismo e fascismo sono collegati. Il nazismo può essere considerato un sottoinsieme del fascismo, dove tutti i nazisti sono fascisti, ma non tutti i fascisti sono nazisti. Il nazismo condivide molti aspetti con il fascismo: il controllo completo del governo su finanza e investimenti (allocazione del credito), industria e agricoltura. Nonostante ciò, in entrambi i sistemi, il potere corporativo e i sistemi basati sul mercato per la formazione dei prezzi esistono ancora. Come altri regimi fascisti, il regime nazista enfatizzò l'anticomunismo e la supremazia del capo, un elemento chiave dell'ideologia fascista nel quale il governante viene ritenuto come incarnazione del movimento politico e della nazione. Contrariamente ad altre ideologie fasciste, il nazismo era virulentemente razzista. Alcune delle manifestazioni del razzismo nazista furono:

• Antisemitismo, che culminò nell'olocausto • Nazionalismo etnico, incluse le nozioni di Tedeschi come Herrenvolk ("razza dominante") e

Übermensch ("superuomo") • Un credo nel bisogno di purificare la razza tedesca attraverso l'eugenetica, che culminò

nell'eutanasia involontaria dei disabili.

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MODULO 2

U.D. 2 la seconda guerra mondiale

Con seconda guerra mondiale si intende quel conflitto cominciato nel settembre 1939 con l'invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche, allargatosi progressivamente con l'entrata in guerra di: Gran Bretagna, Francia, Italia, Unione Sovietica, Giappone, Stati Uniti e altri paesi, europei e non. Si concluse in Europa l'8 maggio 1945 con la resa incondizionata del Terzo Reich e nell'area del Pacifico il 15 agosto dello stesso anno con la capitolazione dell'Impero giapponese (anche se la firma della resa avvenne il 2 settembre) che subì pochi giorni prima gli unici due bombardamenti atomici della storia.

• Principali paesi coinvolti (con un asterisco sono indicati i paesi dell'Asse): o 1 settembre 1939 - 8 maggio 1945: Terzo Reich (Germania e Austria) o 1 settembre 1939: Polonia o 3 settembre 1939 - 8 maggio 1945: Gran Bretagna (e Australia) o 3 settembre 1939 - 8 maggio 1945: Francia o 10 settembre 1939 - 15 agosto 1945: Canada o 17 settembre 1939 - 8 maggio 1945: Unione Sovietica o 30 novembre 1939 - 4 settembre 1944: Finlandia o 9 aprile 1940 - 4 maggio 1945: Danimarca e Norvegia o 10 giugno 1940 - 25 aprile 1945: Italia fino all'8 settembre 1943 o 28 ottobre 1940 1945 - Grecia o 21 giugno 1941 - 1945: Ungheria o 7 dicembre 1941 - 15 agosto 1945: Giappone e Stati Uniti

Il risentimento tedesco nei confronti del trattamento subito dopo la fine della prima guerra mondiale, e le susseguenti difficoltà economiche, permisero ad Adolf Hitler e al suo movimento estremista nazionalista (NSDAP) di prendere il potere in Germania e assumere il controllo totale della Nazione. Ignorando i vincoli imposti dal Trattato di Versailles, egli ricostruì l'esercito tedesco. Rimilitarizzò la zona di confine con la Francia, ottenne l'unificazione di Germania e Austria, e si annesse parti della Cecoslovacchia (i Sudeti, la Conferenza di Monaco). Nel 1922 Benito Mussolini e il suo Partito Fascista avevano preso il potere in Italia e nel maggio 1939 strinsero il famoso Patto d'acciaio con la Germania. L'Impero giapponese invase la Cina nel settembre del 1931, usando la messa in scena del sabotaggio ferroviario di Mukden come pretesto per l'invasione della Manciuria. Anche se il governo giapponese si oppose all'azione, l'esercito fu in grado di agire in maniera indipendente e instaurò un governo fantoccio, creando uno stato separato: il Manchukuo. La Germania stipulò un trattato (Patto Molotov-Ribbentrop) con l'Unione Sovietica e nel 1939 avanzò pretese territoriali su parte della Polonia (il famoso Corridoio di Danzica). La Polonia rigettò le pretese e la Germania, il 1 settembre 1939, la invase con un pretesto (Incidente di Gleiwitz). Il 3 settembre, Regno Unito e Francia inizialmente riluttanti a morire per Danzica dichiararono guerra alla Germania.

Il periodo che va dal settembre del 1939 al maggio 1940 divenne noto come la finta guerra - guerra lampo. Le forze tedesche vennero spostate a ovest dopo l'attacco alla Polonia, mentre il 17 settembre 1939 l'Armata Rossa sovietica metteva in atto un'invasione da est in applicazione del patto Molotov-Ribbentrop. La Francia si mobilitò lungo il suo confine, pesantemente difeso lungo la famosa Linea Maginot, mentre i britannici inviarono un corpo di spedizione in Francia. Eccetto per un breve attacco francese attraverso il Reno, ci furono poche ostilità, mentre ambo le parti ammassavano le proprie forze.

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Nel frattempo, il 30 novembre 1939, l'Unione Sovietica aveva invaso la Finlandia dando il via alla Guerra d'inverno che si concluse nel marzo 1940 con la cessione di alcuni territori finlandesi all'Unione Sovietica. Come più tardi risultò chiaro, il significato di questo attacco per l'URSS fu soprattutto dovuto alla consapevolezza che presto la Germania avrebbe attaccato e il retroterra finlandese avrebbe permesso all'URSS di difendere l'avamposto di Leningrado. Il 9 aprile 1940 la Germania invase e annientò in breve la resistenza di Norvegia e Danimarca. Nel 10 maggio 1940 le truppe tedesche attaccarono i Paesi Bassi e il Belgio e da qui, passando per la Foresta delle Ardenne e aggirando completamente la Linea Maginot entrarono in Francia dando il via alla battaglia di Francia. La loro tattica della blitzkrieg (guerra lampo) riuscì a sconfiggere i francesi e le armate britanniche in Francia.

Il 10 giugno 1940 l'Italia dichiarò guerra alla Gran Bretagna e alla Francia, rimanendo però sulla difensiva, e attaccando sulle Alpi solo pochi giorni prima che la Francia chiedesse l'armistizio ai tedeschi. L'esercito britannico evacuò da Dunkerque lasciandosi dietro il proprio equipaggiamento, e il nuovo governo francese del maresciallo Philippe Petain nel 22 giugno trattò la pace, che lasciò la Germania in possesso di Parigi, del nord e di tutta la costa altlantica, mentre la Francia centro-meridionale rimaneva indipendente con le sue colonie, e il governo si insediava nella cittadina di Vichy.Nonostante le assicurazioni francesi che in nessun caso la flotta sarebbe stata consegnata ai tedeschi o agli italiani, l'Ammiragliato britannico diede avvio ad una azione (nota come Operazione Catapult) volta a devitalizzare le navi da guerra francesi che, lasciata la Francia, erano ancorate nelle basi algerine di Mers el Kebir e Orano. Il risultato di questa azione, oltre a mille morti fra i marinai francesi, fu estremamente controproducente. Le navi francesi che furono in grado di farlo rientrarono a Tolone, mentre quelle alle quali fu impossibile (come la corazzata Richelieu) reagirono energicamente a qualunque tentativo alleato di penetrare in Nordafrica. Una minima percentuale dei marinai francesi internati in Gran Bretagna aderì in seguito alla Francia Libera. Nel giugno 1940 l'Unione Sovietica occupò la Lituania, l'Estonia e la Lettonia.

Non trovando vie per una pace con la Gran Bretagna la Germania iniziò una campagna di bombardamenti strategici che venne chiamata dai britannici the Blitz. Quella che passò alla storia come la battaglia d'Inghilterra (10 luglio - 31 ottobre 1940) però non ottenne i risultati sperati: se inizialmente la Luftwaffe bombardava i centri di controllo della Royal Air Force, in seguito la tattica si trasformò nel semplice bombardamento terroristico di Londra. Ciò permise alle fabbriche inglesi di produrre aerei in gran quantità e alla RAF di ottenere il dominio dei cieli indispensabile per contrastare l'Operazione Leone Marino, l'invasione della Gran Bretagna già pianificata dal comando tedesco ma mai realizzata. Allo scopo di portare la Gran Bretagna alla sottomissione la Germania attuò anche un blocco navale, la Battaglia dell'Atlantico, svolta soprattutto dai famigerati U-Boot. Secondo una teoria accreditata, in realtà Hitler perseguì malvolentieri la campagna contro la Gran Bretagna, ritenendo che l'avversario inglese fosse ormai fuori combattimento e che prima o poi avrebbe chiesto un armistizio. Tutti i suoi piani erano rivolti all'Est, alla campagna contro l'Unione Sovietica, e pertanto non allocò alla Battaglia d'Inghilterra tutte le risorse che avrebbe dovuto e potuto impiegare. Il 28 ottobre 1940 su personale iniziativa di Benito Mussolini l'Italia invase la Grecia partendo dalle basi in Albania. Sebbene in inferiorità numerica le forze greche respinsero gli invasori dando agli alleati la loro prima vittoria e costringendo Mussolini a chiedere aiuto ai tedeschi. I caduti italiani nel dissennato attacco alla Grecia furono più di 13.000.

Dovendosi concentrare sui balcani, la Germania dovette posporre l'invasione dell'Unione sovietica, già nei piani di battaglia fin dall'inizio del conflitto, e per Hitler strategicamente ben più importante. Per la Royal Navy la situazione nel Mediterraneo si fece difficile. Nonostante la brillante vittoria contro gli italiani presso battaglia di Capo Matapan (27 marzo), la Mediterranean Fleet subì pesanti perdite durante le operazioni per l'evacuazione della Grecia. Il 22 giugno la Germania attaccò l'Unione Sovietica, con la quale aveva un patto di non aggressione, con l'Operazione Barbarossa. I

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russi furono colti ampiamente di sorpresa e i tedeschi conquistarono vaste aree di territorio, catturando centinaia di migliaia di soldati nemici. I sovietici si ritirarono, e riuscirono a portarsi dietro gran parte della loro industria pesante, togliendola dalla linea del fronte e riposizionandola in zone più remote. Una tenace e disperata difesa impedì alla Germania di conquistare Mosca prima dell'arrivo dell'inverno. La Germania, che si aspettava di finire la campagna in pochi mesi, non aveva le proprie armate equipaggiate per il combattimento nel rigido inverno russo. Il 7 dicembre 1941 con un'operazione a sorpresa e senza preventiva dichiarazione di Guerra, il Giappone bombardò il porto di Pearl Harbor distruggendo ed affondando la maggior parte delle navi alla fonda. La risposta statunitense fu immediata, il giorno dopo gli Stati Uniti d'America entrarono in guerra contro il Giappone ed i suoi alleati.L'escalation giapponese fu rapida e violenta. Malesia, Singapore, Birmania e Nuova Guinea vennero rapidamente invase. La resistenza statunitense nelle Filippine venne anch'essa rapidamente liquidata. Nella primavera del 1942 l'esercito tedesco portò nuovi attacchi, ma sembrò incapace di scegliere tra un attacco diretto a Mosca e la cattura dei pozzi petroliferi del Caucaso. Sul fronte russo combattevano anche i soldati del corpo di spedizione italiano, il CSIR che arrivò nell'estate del 1941, e che venne rinforzato dall'ARMIR giunto nell'estate del 1942, e resterà coinvolto in una disastrosa ritirata. Mosca venne ancora una volta risparmiata, e alla fine del 1942 i sovietici riuscirono a schiantare le linee del fronte dell'Asse a sud e a circondare la Sesta Armata Tedesca nella battaglia di Stalingrado dove i Tedeschi furono sconfitti. Al disastro tedesco di Stalingrado ne seguì un altro in Tunisia, con la perdita dell'ultimo caposaldo dell'Asse in Nordafrica e la cattura di un quarto di milione di soldati tedeschi e italiani (maggio 1943). Subito dopo gli Alleati usarono il Nordafrica come trampolino di lancio per l'invasione della Sicilia, l'Operazione Husky (luglio 1943) e dell'Italia continentale (settembre 1943), che Churchill descrisse come "il ventre molle dell'Europa". Tale operazione non fu ben vista dagli alti comandi alleati, perché in quel momento si stava preparando l'imponente Operazione Overlord, infatti i soldati alleati avevano a malapena le armi per combattere. Il 25 luglio Mussolini fu destituito e sostituito con il Maresciallo Pietro Badoglio. L'Italia si arrese, firmando l'armistizio il 3 settembre, reso poi pubblico l'8 settembre, ma le truppe tedesche si mossero a disarmare gli italiani e a difendersi in Italia da soli. Essi stabilirono una serie di resistenti linee difensive sulle montagne, ed i progressi degli alleati rallentarono. Contemporaneamente all'invasione della Francia, gli Alleati conquistarono Roma (4 giugno 1944) e, in poche settimane, il resto dell'Italia Centrale. Dopo una disperata reazione dell'esercito tedesco nell'Offensiva delle Ardenne del dicembre 1944, gli Alleati entrarono in Germania nel 1944.

Non c'è dubbio che un ruolo importante nel cambiamento dello scenario mondiale lo ebbe il nuovo presidente degli Stati Uniti, Harry S. Truman, portatore di interessi e tendenze sociali che da anni covavano un profondo risentimento per i principi ispiratori del riformismo rooseveltiano del New Deal. E soprattutto per la sua tolleranza verso il "nemico" per antonomasia: l'URSS. In quest'ottica, la storiografia contemporanea, avvantaggiata dalla conoscenza di documenti diplomatici solo recentemente desecretati, tende a leggere tutta la fase finale del conflitto mondiale, e soprattutto gli eventi legati alla Guerra civile in Grecia e alla liberazione dell'Italia del nord, più nell'ottica della politica di contenimento del comunismo che in quella più ideale, e finora indiscussa, di un ristabilimento incondizionato della libertà e della democrazia. I compromessi degli Alleati con la mafia siciliana, l'intolleranza nei confronti dei partigiani greci, le trattative già in atto fin dal '45 con i gerarchi nazisti minori, i bombardamenti indiscriminati operati in Italia e Germania a guerra quasi conclusa come forma di ammonimento nei confronti dell'Armata Rossa: tutto concorre a tracciare un quadro politico già definito nei termini di un confronto tra i "blocchi", per il quale tutto era considerato lecito, da entrambe le parti. Anche l'uso della bomba atomica. Ormai è accertato, infatti, che il Giappone non costituiva più, almeno dall'inizio dell'anno, una seria minaccia per nessuno; che esso era alla disperata ricerca di uno spiraglio attraverso il quale uscire con un minimo di onore dalla guerra, e che questo spiraglio gli fu sistematicamente negato dall'apparato politico-militare statunitense. Lo scopo del presidente Truman era di impadronirsi del

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Giappone prima di Stalin, e a questo fine erano già pronte 10 armi nucleari. Va d'altra parte ricordato che, a causa della resistenza fanatica opposta dai Giapponesi all'avanzata degli Americani, un'occupazione con armi tradizionali di tutti i territori al momento dell'armistizio ancora in mano ai Giapponesi, e dello stesso Arcipelago Giapponese avrebbe comportato da ambo le parti un numero di vittime assai maggiore di quello determinato dalle due conflagrazioni nucleari. Alla conferenza apertasi a luglio nel sobborgo berlinese di Potsdam, Truman e Stalin non avevano più nulla da dirsi: ciascuno dei due perseguiva già piani strategici e politici in netta rotta di collisione. E Churchill, forse il vero grande stratega di tutta l'immensa tragedia appena conclusa, era appena stato "licenziato" dai suoi concittadini, stanchi di guerra e di retorica.

I giapponesi avevano già invaso la Cina nel 1937-38, prima che la seconda guerra mondiale iniziasse in Europa. Con gli Stati Uniti e altre nazioni che bloccavano le esportazioni verso il Giappone, quest'ultimo decise di bombardare Pearl Harbor il 7 dicembre 1941 senza una preventiva dichiarazione di guerra. Il danno per la Flotta Americana del Pacifico fu grave, anche se le portaerei scamparono perché si trovavano al largo. Le forze giapponesi invasero simultaneamente i possedimenti britannici in Malesia e Borneo e le Filippine occupate dagli americani, con l'intenzione di assediare i pozzi petroliferi delle Indie Orientali Olandesi. L'isola fortezza britannica di Singapore venne catturata in quella che Churchill considerò una delle più umilianti sconfitte britanniche di tutti i tempi. All'inizio del 1945, l'Unione Sovietica dichiarò guerra al Giappone, attaccando i suoi possessi in Manciuria ad agosto. Dopo il bombardamento di Tokyo con bombe incendiarie e l'attacco atomico contro Hiroshima e Nagasaki da parte dell'aeronautica statunitense, I giapponesi si arresero.

La guerra in Nordafrica iniziò nel 1940, quando, dopo molte esitazioni, le truppe italiane avanzarono in Egitto,fino a Sidi El Barrani, a circa 90km dal confine libico. Le truppe italiane, sebbene molto superiori di numero, erano mal comandate e scarsamente equipaggiate.

Contrariamente a quanto accadde con la prima guerra mondiale, i vincitori occidentali non chiesero compensazioni alle nazioni sconfitte. Al contrario, un piano creato dal Segretario di Stato statunitense George Marshall, il "Piano di Recupero Economico", meglio noto come piano Marshall , chiese al Congresso degli Stati Uniti di allocare miliardi di dollari per la ricostruzione dell'Europa. Nel 1945 vennero fondate le Nazioni Unite. La porzione di Europa occupata o dominata dall'Unione Sovietica non beneficiò del Piano Marshall. Nel Trattato di Pace di Parigi, ai nemici dell'Unione Sovietica (Ungheria, Finlandia e Romania) venne richiesto di pagare le riparazioni di guerra per 300.000.000 di dollari ciascuna (in dollari del 1938) all'USSR e ai suoi satelliti. All'Italia ne furono chiesti 360.000.000, divisi principalmente tra Grecia, Jugoslavia e Unione Sovietica. Nelle aree occupate dall'Unione Sovietica alla fine della guerra, vennero installati regimi fantoccio comunisti (Ungheria e Cecoslovacchia sono per il momento escluse dal processo), contro le obiezioni degli altri alleati e dei governi in esilio. La Germania venne divisa in due stati, con la parte orientale che divenne uno stato comunista separato. Usando le parole di Churchill, "una Cortina di ferro è calata attraverso l'Europa". Come conseguenza, ciò portò all'impegno americano nell'evitare il propagarsi dell'ideologia comunista nell'Europa occidentale con la formazione della NATO ed il ricorso alla Guerra Fredda.

Il rimpatrio, conformemente ai termini della Conferenza di Yalta, di due milioni di soldati russi che erano stati sotto il controllo delle forze armate britanniche e americane, risultò per molti di loro una condanna a morte. L'imponente ricerca e sviluppo coinvolti nel Progetto Manhattan, allo scopo di ottenere rapidamente un'arma atomica funzionante, ebbe un profondo effetto sulla comunità scientifica, sia dal punto di vista puramente tecnico, che dal punto di vista filosofico e morale. Nella sfera militare, sembrò che la seconda guerra mondiale avesse marcato l'avvento dell'era della potenza aerea, principalmente a spese delle navi da guerra. Mentre il pendolo continua a oscillare in

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questa interminabile competizione, l'aviazione è ora una delle componenti fondamentali di ogni azione militare. La guerra fu, anche, una linea di demarcazione per gli eserciti di massa. Anche se enormi eserciti composti da truppe scadenti si sarebbero visti ancora (durante la Guerra di Corea e in diversi conflitti africani), dopo questa vittoria, tutte le principali potenze si affidarono a piccoli eserciti altamente addestrati. Dopo la guerra, molti alti esponenti della Germania Nazista vennero processati per crimini di guerra, così come per gli omicidi di massa dell'olocausto (commessi principalmente nella zona del Governatorato Generale), al Processo di Norimberga. Similarmente, i capi giapponesi vennero giudicati nel Processo per crimini di guerra di Tokyo. In altre nazioni, ad esempio in Finlandia, gli Alleati chiesero che la leadership politica venisse giudicata in un "processo per le responsabilità di guerra", ovvero non per crimini di guerra. Una delle poche eccezioni è rappresentata dall'Italia, dove non si arriverà mai ad un processo contro i vari criminali di guerra. La sconfitta del Giappone, e la sua occupazione da parte delle forze americane, portò a un'occidentalizzazione del paese che fu molto più estesa di quanto non sarebbe stato altrimenti. Il Giappone si avvicinò di più alla democrazia di stampo occidentale. Questo grande sforzo porto il Giappone del dopoguerra al miracolo economico ed a diventare la seconda economia mondiale. Anche la Germania, pur uscendo sconfitta dalla seconda guerra mondiale, riuscì a risollevarsi nel dopoguerra, diventando una delle principali forze economiche europee.

Dal 3 gennaio del 1943 gli eventi evolvono precipitosamente verso il capovolgimento dei rapporti di forza. L'anno è infatti caratterizzato dalla rapida sconfitta dell'Italia e dall'uscita del regime fascista dal quadro militare internazionale. Proprio gli eventi italiani mettono in luce quale sarebbe stata la posta in gioco sul nuovo scenario mondiale che la sconfitta dell'Asse avrebbe determinato. Lo schema dei fatti appare complesso, ma in realtà il filo conduttore che li lega è di per sé semplice: Churchill ha ormai compreso che la Germania non può sconfiggere la Russia, e che per la controffensiva sovietica è ormai solo questione di tempo. In previsione dell'avanzata dell'Armata Rossa verso la Germania, il premier britannico ha quindi tutto l'interesse a contrapporre una "controinvasione" anglo-americana dal Mediterraneo, per sottrarre a Stalin i territori dell'Europa dell'est. Una tale manovra avrebbe dovuto colpire i tedeschi dai Balcani, per giungere all'occupazione di Romania e Germania orientale. L'alleato comunista sta già diventando il futuro avversario. Roosevelt, al contrario, vede ancora in Stalin un elemento di equilibrio fondamentale, sia perché Hitler è tutt'altro che finito, sia perché l'alleanza USA - URSS contro il Giappone gli sembra un fattore strategico determinante. Ed è quindi intenzionato a "giocare" la partita contro il nazismo sul fronte occidentale francese, quello più conveniente all'Unione Sovietica. Alla conferenza di Casablanca, i due statisti si presentano dunque con idee molto diverse, ma nessuno dei due esce pienamente vincitore dal confronto; anzi: la decisione lì concordata non risulterà di particolare utilità per gli scopi di nessuna delle due grandi potenze, e neppure particolarmente dannosa per Hitler, se non nel lungo periodo. Il piano "Husky" (così fu chiamato il piano di invasione della Sicilia) si rivelò infatti una manovra più tattica che strategica, tesa ad impegnare il più a lungo possibile su un terzo fronte le forze dell'Asse dopo la loro sconfitta in Africa, per dare modo a Stati uniti e Unione Sovietica di organizzare la grande offensiva finale da est e ovest. Il 1943 si chiude con la Conferenza di Teheran. In contraddizione con quanto sta avvenendo in Italia, la politica estera USA conosce alla fine di quell'anno (e fino alla morte di F.D. Roosevelt) l'unico momento di vera coesistenza pacifica e unità di intenti con l'Unione Sovietica. Anche se non è possibile sapere quali fossero le vere intenzioni di Roosevelt nel lungo periodo, non c'è dubbio che le sue scelte politiche avranno come effetto di ridimensionare per sempre la già compromessa potenza inglese, a tutto vantaggio della sorgente potenza sovietica.

Sul teatro bellico il 1944 è l'anno decisivo per le sorti dell'Europa. Mentre Roma viene liberata dai nazi-fascisti, gli anglo-americani sbarcano in Normandia aprendo il secondo decisivo fronte contro Hitler fortemente auspicato da Stalin. L'Armata Rossa può così dilagare incontenibile verso ovest giungendo in pochi mesi ai confini della Jugoslavia. È proprio questo sviluppo che più preoccupa il

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premier inglese W. Churchill, fortemente avverso, fin dagli inizi della sua carriera politica, al regime sovietico. Mentre infatti F.D. Roosevelt vede ancora una possibilità d'intesa con l'alleato orientale, tutto l'apparato di comando inglese intraprende dal mese di luglio una serie di iniziative che porteranno ad alcune drammatiche conseguenze: la prima è l'arrogante sconfessione delle iniziative politico-diplomatiche del governo provvisorio italiano, di nuovo abbassato al rango di Stato aggressore e posto sotto un'umiliante tutela; questo a causa del dialogo apertosi tra Badoglio e Stalin e, soprattutto, per la forte influenza politica che comincia ad assumere nel panorama italiano la figura di Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista.

Il quadro dei rapporti internazionali sorti attorno al secondo anno del conflitto vede nella seconda metà del 1945 il suo definitivo deterioramento. Gli eventi militari cominciano a delineare l'imminente revisione delle alleanze, così che mentre l'armata tedesca subisce il suo definitivo annientamento sui tre fronti europei, già si vengono chiarendo quali sono i veri interessi in gioco da parte di Stati Uniti e Unione Sovietica. Non c'è dubbio che un ruolo importante nel cambiamento dello scenario mondiale lo ebbe il nuovo presidente degli Stati Uniti, Harry S. Truman , portatore di interessi e tendenze sociali che da anni covavano un profondo risentimento per i principi ispiratori del riformismo rooseveltiano del New Deal. E soprattutto per la sua tolleranza verso il "nemico" per antonomasia: l'URSS. In quest'ottica, la storiografia contemporanea, avvantaggiata dalla conoscenza di documenti diplomatici solo recentemente desecretati, tende a leggere tutta la fase finale del conflitto mondiale, e soprattutto gli eventi legati alla Guerra civile in Grecia e alla liberazione dell'Italia del nord, più nell'ottica della politica di contenimento del comunismo che in quella più ideale, e finora indiscussa, di un ristabilimento incondizionato della libertà e della democrazia. I compromessi degli Alleati con la mafia siciliana, l'intolleranza nei confronti dei partigiani greci, le trattative già in atto fin dal '45 con i gerarchi nazisti minori, i bombardamenti indiscriminati operati in Italia e Germania a guerra quasi conclusa come forma di ammonimento nei confronti dell'Armata Rossa: tutto concorre a tracciare un quadro politico già definito nei termini di un confronto tra i "blocchi", per il quale tutto era considerato lecito, da entrambe le parti. Anche l'uso della bomba atomica.

Ormai è accertato, infatti, che il Giappone non costituiva più, almeno dall'inizio dell'anno, una seria minaccia per nessuno; che esso era alla disperata ricerca di uno spiraglio attraverso il quale uscire con un minimo di onore dalla guerra, e che questo spiraglio gli fu sistematicamente negato dall'apparato politico-militare statunitense. Lo scopo del presidente Truman era di impadronirsi del Giappone prima di Stalin, e a questo fine erano già pronte 10 armi nucleari. Alla conferenza apertasi a luglio nel sobborgo berlinese di Potsdam, Truman e Stalin non avevano più nulla da dirsi: ciascuno dei due perseguiva già piani strategici e politici in netta rotta di collisione. E Churchill, forse il vero grande stratega di tutta l'immensa tragedia appena conclusa, era appena stato "licenziato" dai suoi concittadini, stanchi di guerra e di retorica.

U.D. 2 L’ITALIA VERSO LA REPUBBLICA

La Repubblica Italiana nacque il 2 giugno 1946 in seguito ai risultati del referendum istituzionale indetto per determinare la forma dello stato dopo la fine della seconda guerra mondiale. La proclamazione ufficiale avvenne il 18 giugno.

Si trattò di un passaggio di evidente importanza per la storia dell'Italia contemporanea, dopo il ventennio fascista ed il coinvolgimento nella guerra, che si svolse in un clima di esasperata tensione, e rappresenta un controverso momento della storia nazionale assai ricco di eventi, cause,

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effetti e conseguenze, che è stato anche considerato una rivoluzione pacifica dalla quale si produsse una forma di stato poco differente dall'attuale. La nascita della Repubblica fu accompagnata da polemiche di una certa consistenza circa la regolarità del referendum che la sancì. Sospetti di brogli elettorali e di altre azioni "di disturbo" della consultazione popolare tuttora non sono stati completamente fugati dagli storici e costituiscono oggetto di recriminazione da parte dei sostenitori della causa monarchica.

L'Italia era una monarchia, ascritta ai Re di Casa Savoia cui spettava il titolo di Re d'Italia (e, prima, di Re di Sardegna); nel 1946 divenne una repubblica per effetto del detto referendum istituzionale, e fu poco dopo dotata di una Assemblea Costituente al fine di munirla di una Carta avente valore di suprema legge dello stato repubblicano, onde sostituirne lo Statuto Albertino, sino ad allora vigente. Prima del cambiamento vi era infatti una monarchia costituzionale fondata sullo Statuto (anche se durante il fascismo le garanzie sui diritti previste nello Statuto erano state di fatto modificate in senso restrittivo).

Il 2 giugno 1946, insieme alla scelta sulla forma dello stato, i cittadini italiani (comprese le donne che votavano per la prima volta) elessero anche i componenti dell'Assemblea Costituente che doveva redigere la nuova Carta Costituzionale e che fino all'elezione del primo parlamento della Repubblica svolse anche le funzioni di assemblea legislativa. Malgrado la prima metà del Novecento fosse profondamente segnata dall'esperienza fascista, l'Italia moderna si era avviata verso un percorso di democratizzazione da molto tempo. La stessa concessione dello Statuto (e delle altre riforme albertine), insieme all'allargamento della base elettorale (inizialmente élitaria, poi gradualmente ampliata sino alla soppressione del requisito di censo - ma sempre solo maschile, sino al referendum) si univa ad un crescente spessore della ricerca della certezza del diritto, argomento giuridico considerato importante strumento di parificazione dei cittadini nella comune e "certa" sottomissione alla comune e "certa" legge.

Anche il dibattito politico, sul principio del Novecento, era sorprendentemente aperto, consentendo una buona libertà di circolazione delle idee ed una buona provvista di nutrite polemiche parlamentari che, nonostante la selezione d'accesso agli scranni, risultavano ben vivide ed affatto sincere, come testimoniano alcune memorabili pagine del Mazzini, radicalmente inalberatosi sulle sperequazioni sociali regionali e sui malesseri "viziosi" del sistema statale. L'opposizione parlamentare usava una buona libertà di critica, sebbene non abbia mai preteso di "disturbare" gli assetti di sistema e si sia astenuta dal propugnare con intenzione convinta alcuna modificazione eversiva o rivoluzionaria.

Rispetto ad un'evoluzione fisiologicamente "inevitabile", e rispetto anche a quanto accadeva negli altri meno giovani stati nazionali, l'Italia si distingueva per una certa apertura culturale ed ideologica, non troppo compressa da una successione di governi di impronta sicuramente conservatrice. Vi si combatterono, insomma, piccole guerre a fini modestamente coloniali, ma anche grandi polemiche ideali. In relazione ai tempi, ed a quanto riscontrabile all'estero, la condizione democratica pareva incontrare in Italia un terreno non sterile sul quale svilupparsi, non patendo a causa di pregiudiziali né di altre chiusure preventive. La forma dello stato, in sé, non assorbendo se non uno degli aspetti della democraticità, non fu mai discussa nella pratica nemmeno dai politici repubblicani, limitandosi la questione (ma ancora va ricordato che queste erano le possibilità concrete a quei tempi) ad elaborazioni dottrinali più filosofiche che non costituzionalistiche.

La costituzione dell'Italia prima del 1946 era lo Statuto Albertino, promulgato nel 1848 da Carlo Alberto, allora re di Sardegna. A suo tempo, la concessione dello Statuto aveva rappresentato un notevole avvicinamento della (allora) piccola monarchia sabauda verso le istanze pre-

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risorgimentali, e costituiva un passaggio reputato necessario, sebbene poi svolto in forme ben valide, prima di volgersi alla costruzione dello stato nazionale. Nel 1861, quando il Regno di Sardegna fu trasformato nel Regno d'Italia, lo statuto non fu modificato e restò dunque il cardine giuridico al quale si sottometteva anche il nuovo stato nazionale. Prevedeva un sistema bicamerale, con il Parlamento suddiviso nella Camera dei Deputati, elettiva (ma solo nel 1911 si sarebbe giunti, con Giolitti, al suffragio universale maschile), e nel Senato, di sola nomina regia. Fattore fondamentalmente innovativo di questa Carta era la rigida definizione di alcune delle facoltà e di alcuni degli obblighi delle istituzioni (Re compreso), riducendo la discrezionalità delle scelte operate dalle alte cariche dello stato ed introducendo un abbozzo di principio di responsabilità istituzionale. L'equilibrio di potere tra Camera e Senato, inizialmente molto indirizzato a favore del Senato, che raccoglieva la buona nobiltà e qualche grande industriale di buone frequentazioni, nei fatti si spostò via via a favore della Camera, in funzione sia della crescita di importanza della classe borghese e del consenso che questa doveva sempre più necessariamente porgere alla classe politica, sia della necessità di produrre copiosa normativa di dettaglio, cui meglio poteva contribuire un ceto politico proveniente dalle classi la cui quotidianità quelle norme dovevano infine regolare. Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, l'Italia poteva essere annoverata tra le democrazie liberali benché le tensioni interne, dovute alle rivendicazioni delle classi popolari, insieme alla non risolta questione del rapporto con la Chiesa Cattolica, per i fatti del 1870 (presa di Porta Pia e occupazione di Roma), lasciassero ampie zone d'ombra.

Il referendum

Il decreto luogotenenziale n 151 del 25 giugno 1944, emanato durante il governo Bonomi, tradusse in norma l'accordo che al termine della guerra fosse indetta una consultazione fra tutta la popolazione per scegliere la forma dello stato ed eleggere un'assemblea costituente. L'attuazione del decreto dovette attendere che la situazione interna italiana si consolidasse e chiarisse: nell'aprile 1945 (fine della guerra) l'Italia era un paese sconfitto, occupato da truppe straniere, possedeva un governo che aveva ottenuto la definizione di cobelligerante ed una parte del territorio (nord) si era di fatto liberata da sola dall'occupazione tedesca. Solo nella primavera dell'anno successivo fu possibile accelerare l'attuazione del decreto sul referendum. La campagna elettorale fu contrassegnata da incidenti e polemiche, soprattutto al Nord, dove i monarchici ebbero a scontrarsi sia con i repubblicani che con i "repubblichini" appena sconfitti. Allo scopo di garantire l'ordine pubblico venne creato, a cura del Ministero dell'Interno, diretto dal socialista Giuseppe Romita, un accessorio corpo della Polizia Ausiliaria, che ebbe discutibili forme di arruolamento (per lo più discrezionali) e che venne accusato dai monarchici di aver favorito alquanto apertamente la causa repubblicana. Il 31 gennaio del 1945, con l'Italia divisa ed il Nord sottoposto all'occupazione tedesca, il Consiglio dei Ministri, presieduto da Ivanoe Bonomi, emanò un decreto che riconosceva il diritto di voto alle donne (Decreto legislativo luogotenenziale 2 febbraio 1945, n. 23). Venne così riconosciuto il diritto al suffragio universale, dopo i vani tentativi fatti nel lontano 1881 e nel 1907 dal movimento femminista ispirato da Maria Montessori (la prima donna laureata in medicina in Italia). Il 2 giugno del 1946 le donne votarono per il Referendum istituzionale e per le elezioni dell'Assemblea costituente, ma già nelle precedenti elezioni amministrative avevano esercitato il loro diritto all'elettorato attivo e passivo, risultando in numero discreto elette nei consigli comunali. Gli aventi diritto al voto risultavano essere 28.005.449. I votanti furono 24.947.187 corrispondenti al 89,1%. I risultati ufficiali del referendum istituzionale furono: repubblica voti 12.717.923 pari al 54,3%, monarchia voti 10.719.284 pari al 45,7%; voti nulli 1.498.136. Analizzando i dati regione per regione, si nota come l'Italia si fosse praticamente divisa in due: il nord dove la repubblica aveva vinto con il 66,2% ed il sud dove la monarchia aveva vinto con il 63,8%.

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I monarchici attribuirono la loro sconfitta a brogli elettorali ed a scorrettezze nella convocazione dei comizi e nello svolgimento del referendum. Tra le questioni giudicate irregolari, quelle più rilevanti, secondo i monarchici, furono:

• molti prigionieri di guerra si trovavano ancora all'estero e quindi impossibilitati a votare, il referendum sarebbe quindi stato indetto intenzionalmente senza attenderne il rientro;

• parte delle provincie orientali (Trieste, Gorizia e Bolzano) non erano ancora state restituite alla sovranità italiana, e quindi, non potendo prender parte alla votazione un numero di potenziali elettori superiore allo scarto effettivamente registrato, il risultato era da considerarsi parziale;

• il clima di violenza durante la campagna elettorale aveva indebolito la campagna monarchica (la Polizia Ausiliaria fu accusata di aver duramente contribuito a questa situazione);

• i primi risultati pervenuti, indicavano una netta prevalenza di voti pro-monarchia; improvvisamente, dopo che anche al Papa era stato comunicato l'andamento, e dopo che lo stesso De Gasperi aveva telefonato al ministro della Real Casa per anticipare la sconfitta dei repubblicani, la situazione stranamente cambiò di colpo;

Una causa che portò alla sconfitta della monarchia fu probabilmente la figura di Vittorio Emanuele III, considerato un debole e non in grado di gestire gli avvenimenti cui si trovò di fronte. Le ragioni non erano né poche, né di poco conto. Fra tutte, nel 1922 il comportamento della casa regnante era stato determinante per l'ascesa del fascismo, e nel 1938, Vittorio Emanuele III aveva promulgato senza obiezioni di sorta le leggi razziali. Queste leggi furono molto impopolari fra gli italiani, che non avevano alcuna tradizione di antisemitismo, e provocarono numerosi suicidi di ufficiali ebrei, che si spararono per l'onore di morire nell'uniforme prima di essere degradati o congedati. La classe militare, nella quale questi ufficiali erano spesso molto apprezzati, ebbe a distaccarsi progressivamente dalla corona. Le vicende della seconda guerra mondiale non aumentarono di certo le simpatie verso la monarchia anche a causa degli atteggiamenti discordanti di alcuni membri della casa regnante. La moglie di Umberto, la principessa Maria Josè, cercò nel 1943, attraverso contatti con le forze alleate, di negoziare una pace separata muovendosi al di fuori della diplomazia ufficiale. Queste manovre, anche se apprezzate da una parte del fronte antifascista, furono viste in campo monarchico come un tradimento ed all'esterno, insieme alle prese di distanza ufficiali del Quirinale, come sintomi di profondi contrasti in seno alla casata dei Savoia, della quale evidenziavano l'irresolutezza.

Anche la decisione di Vittorio Emanuele III di abbandonare Roma, e con essa l'esercito italiano che venne lasciato privo di ordini, per rifugiarsi nel sud subito dopo la proclamazione dell'armistizio di Cassibile, atto che fu visto come una vera e propria fuga, non migliorò certo la fiducia degli italiani verso la monarchia. Umberto di Savoia lasciò l'Italia subito dopo il referendum, pur non riconoscendone la validità e rifiutandone i risultati; non rinunciò mai ufficialmente alla corona, sebbene vada crescendo di credito l'ipotesi che la scelta di non avallare la reazione forzosa dei monarchici sia stata effettivamente intesa pro bono pacis. Prima di partire, affidò agli italiani la Patria e li sciolse (ciò che riguardava principalmente i militari) dal giuramento di fedeltà al Re. La nuova costituzione repubblicana, elaborata dall'assemblea eletta in contemporanea al referendum, venne integrata con alcune disposizioni transitorie tra cui la XIII, che prescriveva il divieto di entrare in Italia per i discendenti maschi di Umberto. Questa disposizione fu abolita nell'ottobre 2002, dopo un dibattito in parlamento e nel Paese durato molti anni e Vittorio Emanuele, figlio di Umberto, poté entrare in Italia con la sua famiglia nel dicembre successivo per una breve visita.

U.D. 3 IL MONDO BIPOLARE

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Si definisce Bipolare un sistema politico che veda la contrapposizione di due blocchi distinti, rappresentati, di solito, da due coalizioni che si contendono la conquista del potere. In campo internazionale esempio tipico di sistema "bipolare" è stato quello prodotto, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, dalla c.d. Guerra fredda, cioè la contrapposizione tra gli stati appartenenti al blocco sovietico e quelli appartenenti al blocco atlantico.

Il Patto di Varsavia o Trattato di Varsavia fu un'alleanza militare tra i paesi del Blocco Sovietico intesa a organizzarsi contro la temuta minaccia da parte dell'Alleanza Atlantica NATO, fondata nel 1949. Il trattato fu elaborato da Nikita Khruščёv nel 1955 e sottoscritto a Varsavia il 14 maggio dello stesso anno; i paesi membri erano: Unione Sovietica, Albania, Bulgaria, Romania, Germania Est, Ungheria, Polonia, e Cecoslovacchia, ossia tutti i Paesi a regime socialista dell'Europa Orientale ad eccezione della Jugoslavia. I membri dell'alleanza promettevano di difendersi l'un l'altro in caso di aggressione. Il patto giunse a termine il 31 marzo 1991 e fu ufficialmente sciolto durante un incontro tenutosi a Praga il 1° luglio successivo. Il Patto di Varsavia era dominato dall'Unione Sovietica. Tentativi di abbandonare il Patto da parte di altri membri furono schiacciati con la forza, ad esempio durante la Rivoluzione Ungherese del 1956. L'Ungheria progettò di lasciare il Patto e dichiararsi neutrale durante la Guerra fredda ma, nell'ottobre 1956, l'Armata Rossa invase la nazione e eliminò la resistenza in due settimane. Le forze del Patto di Varsavia furono utilizzate occasionalmente, come durante la Primavera di Praga del 1968, quando invasero la Cecoslovacchia per affossare le riforme democratiche che il governo stava implementando. Questo evento portò alla luce la politica sovietica che governava il patto. La Dottrina Brežnev, che sentenziava "Quando forze ostili al socialismo cercano di deviare lo sviluppo dei paesi socialisti verso il capitalismo, questo diventa un problema, non solo della nazione interessata, ma un problema comune a tutti gli Stati socialisti." Dopo l'invasione della Cecoslovacchia, l'Albania si ritirò formalmente dal Patto, anche se aveva cessato di supportarlo attivamente fin dal 1962, avvicinandosi al contempo alla Cina. Le nazioni appartenenti alla NATO e al Patto di Varsavia non si affrontarono mai in un conflitto armato, ma furono opposte durante la Guerra Fredda per più di 35 anni. Nel dicembre 1988, Mikhail Gorbačëv, capo dell'Unione Sovietica, annunciò la cosiddetta Dottrina Sinatra che sanciva l'abbandono della Dottrina Brežnev e la libertà di scelta per le nazioni est-europee. Quando fu chiaro che l'Unione Sovietica non avrebbe usato la forza per controllare le nazioni del Patto di Varsavia, si avviarono una serie di rapidi cambiamenti politici. I nuovi governi dell'Europa orientale non erano più sostenitori del Patto e nel gennaio 1991, Cecoslovacchia, Ungheria e Polonia annunciarono il loro ritiro entro il primo di luglio. La Bulgaria seguì in febbraio e fu evidente che il patto era ormai in via di dissoluzione. L'Unione Sovietica riconobbe il fatto e il Patto fu ufficialmente dissolto durante un incontro a Praga il 1 luglio 1991. Il 12 marzo 1999 gli ex membri del Patto di Varsavia: Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia aderirono alla NATO. La Romania entrò nella NATO nel 2004.

Il termine NATO è l'acronimo di North Atlantic Treaty Organization , ovvero Organizzazione del Trattato Nord Atlantico. Indica un'organizzazione internazionale per la collaborazione nella difesa, creata nel 1949 in supporto al Patto Atlantico che venne firmato a Washington D.C. il 4 aprile 1949. Il suo altro nome ufficiale è l'equivalente francese, l'Organisation du Traité de l'Atlantique Nord , o OTAN . La misura fondamentale del trattato viene enunciata nell'articolo 5 che stabilisce: “Le parti concordano che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o Nord America, deve essere considerato come un attacco contro tutte e di conseguenza concordano che, se tale attacco armato avviene, ognuna di esse, in esercizio del diritto di autodifesa individuale o collettiva, riconosciuto dall'articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti attaccate prendendo immediatamente, individualemente o in concerto con le altre parti, tutte le azioni che ritiene necessarie, incluso l'uso della forza armata, per ripristinare e mantenere la sicurezza dell'area Nord Atlantica.” Questa misura era concepita in modo tale che se l'Unione Sovietica avesse lanciato un attacco contro uno qualsiasi dei paesi membri, questo sarebbe stato

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trattato da ciascun paese membro come un attacco diretto, ed era rivolta soprattutto a una temuta invasione sovietica dell'Europa occidentale. La temuta invasione sovietica non avvenne mai, ma questa misura venne utilizzata per la prima volta nella storia del trattato il 13 settembre 2001, in risposta all'attacco terroristico dell'11 settembre 2001. Stati membri, dalla fondazione nel 1949 o dall'anno di adesione, sono:

• Belgio • Bulgaria (2004) • Canada • Danimarca • Estonia (2004) • Francia • Germania (1955) • Grecia (20 febbraio 1952) • Islanda • Italia • Lettonia (2004) • Lituania (2004) • Lussemburgo • Norvegia • Paesi Bassi • Polonia (1999) • Portogallo • Regno Unito • Repubblica Ceca (1999) • Romania (2004) • Slovacchia (2004) • Slovenia (2004) • Spagna (1982) • Stati Uniti • Turchia (1952) • Ungheria (1999)

Grecia e Turchia si unirono alla NATO nel 1952. La Germania si unì come Germania Ovest nel 1955 e con l'unificazione tedesca del 1990 estese l'appartenenza alle aree dell'ex-Germania Est. La Spagna venne ammessa il 30 maggio 1982 e le ex-nazioni del Patto di Varsavia: Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca divennero membri il 12 marzo 1999. La Francia è ancora membro della NATO, ma si è ritirata dal comando militare nel 1966. L'Islanda è l'unico membro che non ha una propria forza militare, e aderì con la condizione che non sarebbe stato costretto a partecipare alle eventuali guerre.

La situazione politica italiana

In Italia, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, ha visto una diversificata composizione. Dal 1946 al 1964, vi è stato un bipolarismo tra Centro (DC, PSDI, PRI, PLI) e Sinistra (PSI, PCI). Dal 1964 in poi la partecipazione del PSI ai governi con la DC ha determinato la nascita di un bipolarismo tra Centro-Sinistra e Sinistra. È bene precisare, però, che il sistema proporzionale puro, in uso fino al 1993, ha favorito, soprattutto, dagli anni '80 in poi, la nascita di partiti esterni ai "poli" maggiori, come la Lega Nord o i Verdi. Alle politiche del 1994, con l'introduzione del sistema maggioritario con recupero proporzionale, in Italia si è assistito alla nascita di un sistema ufficialmente "tripolare": Polo del Buon Governo-Polo delle Libertà (centro-destra); Patto per l'Italia (centro);

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Alleanza dei Progressisti (sinistra). Già, però, nel 1996 in Italia si ha il ritorno ad un sistema bipolare, ma più marcato del precedente. Si contrappongono, infatti, due coalizioni: Ulivo, poi Unione, (centro-sinistra) e Polo delle libertà, poi Casa delle Libertà, (centro-destra).

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MODULO 3

U.D. 1 Dal 1950 al 1970

In sintonia con le trasformazioni sociali e lo sviluppo economico successivo al secondo conflitto mondiale, il ventennio in esame è un periodo di profonde modificazioni socio - economiche. Gli anni Cinquanta sono gli anni del grande flusso migratorio verso l'Italia continentale ed i paesi stranieri; negli anni Settanta il flusso si interrompe ed addirittura si inverte, con il rientro degli emigrati, nel frattempo divenuti forza lavoro specializzata, e con l'affermarsi di un consistente flusso immigratorio proveniente dai comuni limitrofi dell'interno. Tra questi fenomeni ricompresi nell'arco del ventennio, avviene la profonda trasformazione economica citata in premessa. Il settore dell'agricoltura perde pian piano il suo ruolo guida, ridimensionandosi fortemente come numero di addetti e subendo contemporaneamente una radicale trasformazione interna, legata sopratutto all'avvento della meccanizzazione. Si sviluppano il settore industriale ed artigianale ed anche il settore terziario (commercio, trasporti, servizi) cresce vistosamente U.D. 2 LA DECOLONIZZAZIONE POSTBELLICA E LE SUE CONSEGUENZE

Tutt'altra questione è il processo di decolonizzazione che si avviò alla fine della seconda guerra mondiale nei territori e da parte dei popoli che Inghilterra, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Olanda, Germania e, buon'ultima, anche l' Italia, avevano colonizzato in Asia e in Africa. In quasi tutte le colonie si erano moltiplicate le richieste di indipendenza, finite talvolta in vere e proprie ribellioni. Molti giovani dei paesi colonizzati avevano avuto la possibilità di compiere studi in Europa, venendo così a contatto con gli ideali di libertà e giustizia. Essi diedero origine a una nuova classe dirigente alternativa che rese intere popolazioni più consapevoli della loro dignità culturale e civile. Il processo di decolonizzazione non fu semplice, in Asia, per esempio, la decolonizzazione si prolungò per molto tempo, giungendo a compimento tra gli anni Settanta e Ottanta. Dopo la fine della seconda guerra mondiale inizia una delle più importanti e profonde trasformazioni della storia mondiale del XX secolo: il tramonto definitivo degli imperi coloniali e la conquista dell’indipendenza da parte dei popoli soggetti alle potenze europee. Le origini di questa trasformazione risalgono agli anni tra le due guerre, ma è solo dopo il secondo conflitto mondiale che la decolonizzazione entra nella sua fase più importante. È allora che i popoli sottoposti a dominio coloniale conquistano per la prima volta “facoltà di parola”. Il processo di decolonizzazione si realizza in fasi successive, nel trentennio dopo la seconda guerra mondiale, con modalità diverse da paese a paese. Si può quindi dire che la decolonizzazione è il processo storico che porta al dissolvimento degli imperi coloniali costituiti dalle grandi potenze europee nel corso del XIX secolo. Nel ventennio che segue la fine della seconda guerra mondiale quasi tutte le colonie ottengono l’indipendenza. Si forma così un gruppo di nuovi paesi che rappresentano una forma originale di presenza politica sulla scena internazionale dominata dalle “grandi potenze”. Le cause vanno ricercate nella prima guerra mondiale (anche se dopo il 1918 i movimenti indipendentisti sono pesantemente repressi); la seconda guerra mondiale acuisce la crisi delle potenze coloniali (in particolare quelle europee: Francia, GB, Belgio e Olanda) e al contempo emerge la potenza degli USA e dell’URSS. Il controllo militare delle colonie (in cui i movimenti indipendentisti si battono con decisione) diventa ben presto un problema economico, ma anche la pubblica opinione è d’accordo nell’abbandono delle colonie. Significativo l’intervento da parte della Chiesa e dell’ONU. Più in particolare, si può affermare che tale processo si verifica per i seguenti fattori:

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(1) La partecipazione dei paesi colonizzati alla seconda guerra mondiale, che si configura come lotta contro la tirannide e per i diritti dei popoli oppressi.

(2) Divisione del mondo in due blocchi egemonizzati da due potenze non coloniali: USA e URSS.

(3) Perdita della legittimità morale e della necessità economica di mantenere dei possedimenti coloniali.

In Medio Oriente il processo di decolonizzazione complesso, anche perché il MO ha grande importanza economica (petrolio). Dopo la prima guerra mondiale alla Francia sono affidati Siria e Libano; alla Gran Bretagna l’Iraq e la Palestina. Alla fine della seconda guerra mondiale la Francia dichiara l’indipendenza di Siria e Libano e la Gran Bretagna dà il via libera al progetto della Lega Araba di costituire uno Stato arabo in Palestina. Nel 1947 l’ONU divide la Palestina in due Stati: uno arabo e uno ebraico, con Gerusalemme zona internazionale; nel 1948 nasce Israele e il Medio Oriente si trasforma in una delle aree più critiche del pianeta (conflitto arabo-israeliano e questione palestinese). Nel contempo il nazionalismo arabo-islamico accelera la fine del colonialismo francese nel Maghreb: il processo è difficile, ma non drammatico in Marocco e Tunisia mentre è sanguinoso nel caso dell’Algeria, che la Francia considerava parte del proprio territorio nazionale. Nel 1962: dopo una guerra sanguinosa De Gaulle, pressato dall’opinione pubblica interna, dichiara l’indipendenza dell’Algeria. Formalmente indipendente dal 1922, l’Egitto esce dalla orbita britannica solo con il colpo di Stato di Nasser nel 1952. In Asia l’India conquista indipendenza dalla GB nel 1947: i problemi principali sono il conflitto religioso tra induisti e musulmani e lo sviluppo economico (è del 1948 l’assassinio di Gandhi). Infine, prevale la divisione: nascono così traumaticamente l’Unione indiana (induista) e il Pakistan (musulmano), da cui nel 1971 si distacca il Bangladesh. Il successore di Gandhi (Nehru) inizia la modernizzazione socioeconomica del paese e l’India diventa una promotrice del movimento dei paesi non allineati. Nel Sud-Est asiatico, dopo il crollo del Giappone nella seconda guerra mondiale, gli USA colmano il “vuoto”. Area critica diventa l’Indocina, già soggetta al militarismo coloniale francese (1945-1954), mentre il Vietnam è considerato un tassello strategico degli equilibri mondiali e diviene il centro di una guerra terribile, che oppone i Vietcong agli USA; solo nel 1973, sconfitta l’USA nascerà la Repubblica Socialista del Vietnam. In Africa la decolonizzazione del continente africano ha limiti strutturali, connaturati alla storia del suo sfruttamento coloniale. A differenza del nazionalismo arabo, l’Africa nera ignora concetti come “patria” e “nazione” e soffre dei guasti dello schiavismo e della distruzione antiche entità statuali mentre la matrice ideologica dei movimenti di indipendenza è il panafricanismo (unità di tutti i popoli africani). La conquista dell’indipendenza dà luogo a una nuova forma di dipendenza economica e politica nei confronti dei vecchi colonizzatori, oppure a regimi ispirati all’ideologia marxista (ingresso sfera influenza URSS). Il Congo Belga è un caso emblematico, che mostra le conseguenze devastanti di una politica coloniale spietata. In Africa Meridionale le classi dirigenti bianche mantengono il potere e favoriscono l’oppressione razziale (Apartheid del Sudafrica) contro la quale lotterà l’ANC e il suo leader Nelson Mandela. Solo all’inizio degli anni ’90 viene superato l’Apartheid, e con la concessione del suffragio universale Mandela diventa presidente della repubblica. In America Latina la seconda guerra mondiale è per l’AL occasione di sviluppo: favorisce esportazioni e dà i capitali per liberarsi dalla dipendenza dell’Occidente. I processi di modernizzazione non riescono però a superare i limiti strutturali dell’AL: l’industria pesante rimane fragile, e l’urbanizzazione ha il carattere di fuga dalla miseria. Eccettuato il Messico, dove la riforma agraria produce una parziale redistribuzione delle terre, le campagne rimangono nelle mani dei grandi latifondisti; i vecchi ceti possidenti, alleati delle nuove borghesie industriali, detengono ancora larga parte della ricchezza e del potere. Dal punto di vista politico, il secondo dopoguerra è segnato dall’affermazione di movimenti populistici, caratterizzati da un leader “forte” (Perón in Argentina), da un governo autoritario, dal nazionalismo, dall’interven-tismo statale in economia e dalla mobilitazione delle

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masse per ottenere il consenso. La crisi economica causata dal calo dei prezzi delle materie prime sui mercati mondiali determina la crisi del populismo, la nascita di tensioni rivoluzionarie cui corrispondono involuzioni reazionarie (dittature militari). Gli USA hanno un ruolo importante nelle vicende politiche dell’AL negli anni ’60-’70: in Cile, nel 1973, Salvador Allende è rovesciato da un colpo di Stato militare, incoraggiato e sostenuto dagli USA.

LA NASCITA DELLO STATO DI ISRAELE E LA QUESTIONE PALESTINESE

La popolazione ebraica, ridottasi a circa 10.000 unità all'inizio del XIX secolo, ricominciò ad aumentare alla fine dell'Ottocento. Fu in quel periodo che si sviluppò il sionismo, movimento nazionale che auspicava la creazione di un'entità politica ebraica in Palestina e che ebbe da allora in poi in David Ben Gurion (Il suo vero nome era David Grün, Ben Gurion è il nome che scelse dopo il suo arrivo in palestina e significa "Il figlio del Leone") il suo promotore, ritenuto a ragione il Padre della Patria. Alla fine della prima guerra mondiale, la Società delle Nazioni trasferisce la Palestina sotto il controllo dell'Impero britannico, togliendola all'Impero Ottomano. I Britannici, con la Dichiarazione Balfour, si erano fatti promotori della costituzione di una patria ( national home ) ebraica in Palestina. L'avvento del Nazismo e la tragedia della Shoah portarono ad un ulteriore flusso migratorio di ebrei provenienti da diverse nazioni europee incoraggiati anche da Ben Gurion che vedeva nell'immigrazione e nell'aumento della popolazione l'unico mezzo per Israele di affermarsi. A seguito della massiccia immigrazione di popolazioni ebraiche provenienti in gran parte dall'Europa orientale, organizzata per lo più dal movimento sionista, la popolazione ebraica nella regione che poi sarebbe divenuta Israele, passò dalle circa 80.000 unità registrate nel 1918 a 175.000 nel 1931 e a 400.000 nel 1936. A tale movimento migratorio, a partire dal 1935 e sino al 1939, si oppose, anche con la violenza, la maggioranza araba della popolazione locale, dando vita a quella che fu poi definita come Grande rivolta araba (1935-1939), un'esplosione di violenza e terrore tesa sia a rivendicare l'indipendenza dal mandato britannico e la creazione di uno Stato indipendente palestinese, sia la fine dell'immigrazione ebraica e l'espulsione dei nuovi arrivati. Durante la rivolta, diverse centinaia di Ebrei, sia immigrati, sia autoctoni, restarono uccisi (circa 320) o feriti. Per porre fine a tale rivolta, nel 1939 l'amministrazione britannica pose forti limitazioni all'immigrazione e alla vendita di terreni ad ebrei e respinse le navi cariche di immigranti ebrei in arrivo. Vari movimenti sionisti, dotati di bracci militari clandestini, frattanto, e sin dalla metà degli anni '30, passarono ad operare attivamente per la creazione dello Stato d'israele, consumando dozzine di attentati terroristici contro gli Arabi di Palestina e le istituzioni britanniche, provocando a loro volta centinaia di morti e feriti. Nel 1947 l'Assemblea delle Nazioni Unite, stabilì la creazione di uno Stato ebraico e di uno Stato arabo in Palestina, con la città di Gerusalemme sotto l'amministrazione diretta dell'ONU. La dichiarazione venne accolta con favore dagli ebrei, mentre gli Stati arabi proposero la creazione di uno Stato unico federato, con due governi. Tra il dicembre del 1947 e la prima metà di maggio del 1948 vi furono cruente azioni di guerra civile da ambo le parti. Il 14 maggio del 1948 venne dichiarata unilateralmente la nascita dello Stato di Israele, un giorno prima che l'ONU stessa, come previsto, ne sancisse la creazione.

U.D. 3 LA GUERRA FREDDA

Fu definita Guerra Fredda la situazione di conflitto non bellico che venne a crearsi tra due blocchi internazionali, generalmente categorizzati come Ovest (gli Stati Uniti, gli alleati della NATO ed i Paesi amici) ed Est (l'Unione Sovietica, gli alleati del Patto di Varsavia ed i Paesi amici) tra la fine della Seconda guerra mondial e l'ultimo decennio del Novecento (circa 1945-1990).

Tale tensione non si concretizzò mai in un conflitto militare vero e proprio, tale da comportare una contrapposizione bellica su vasta scala tra Est e Ovest: la presenza di armi nucleari nei rispettivi

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arsenali avrebbe reso irreparabile per il Pianeta un'eventuale aggressione e la relativa reazione. Durante tutta la Guerra Fredda gli arsenali nucleari delle due superpotenze vennero costantemente aggiornati e ingranditi fino all'ultimo periodo (1979-1989), nel quale vennero negoziati una serie di accordi (denominati accordi START) che portarono a sostanziali riduzioni del numero di ordigni. Ma durante tutta la Guerra Fredda fu costante la contrapposizione tra una corsa al riarmo apparentemente irrefrenabile e continui tentativi di controllo degli armamenti negoziati tra USA ed URSS o nell'ambito dell'ONU. Per definire l'esteso conflitto di posizioni, interessi contrapposti, propaganda e azioni di disturbo che si era venuto a creare, dato che comunque tale situazione non comportava l'impiego aggressivo degli eserciti regolari, fu coniata la metafora di guerra "fredda". Furono necessarie molte attenzioni e una buona dose di diplomazia per sedare sul nascere alcuni conflitti armati, al fine di prevenire una più ampia guerra "calda" che avrebbe rischiato di estendersi e intensificarsi. Il conflitto aveva principalmente radice nelle rispettive ideologie politiche, economiche, filosofiche, sociali e culturali. Vi furono aggressive guerre di propaganda tra i blocchi USA e URSS: l'Est criticava l'Ovest in quanto promotore del capitalismo borghese e dell'imperialismo, che marginalizzano i lavoratori, mentre l'Ovest criticava l'Est definendolo "impero del male", incarnazione di un totalitarismo anti-democratico sotto forma di dittatura comunista.

La Guerra Fredda si protrasse dalla fine della seconda guerra mondiale, fino al collasso dell'Unione Sovietica, nei primi anni '90. Solo in alcune occasioni la tensione tra i due schieramenti prese la forma di conflitti armati, come la guerra di Corea, la Guerra del Vietnam e l'invasione sovietica dell'Afghanistan. Gran parte della Guerra Fredda si svolse invece attraverso conflitti indiretti, contro "nazioni surrogate"; in tali conflitti, le potenze maggiori operavano in buona parte armando o sovvenzionando i surrogati. Altri conflitti erano ancor più sotterranei, perpetrati attraverso atti di spionaggio, con spie e traditori che lavoravano sotto copertura da entrambe le parti; in molti casi l'attività comportava reiterate uccisioni di individui delle rispettive compagini perpetrate dai vari servizi segreti. Tali aspetti della guerra fredda, debolmente percepiti anche dai media, hanno avuto scarso impatto sull'opinione pubblica delle rispettive potenze.

Nel conflitto strategico tra Stati Uniti e Unione Sovietica uno degli elementi principali fu la supremazia tecnologica (strategia della tecnologia). La Guerra Fredda si concretizzò di fatto nelle preoccupazioni riguardanti le armi nucleari; da entrambe le parti veniva l'auspicio che la loro semplice esistenza fosse un deterrente sufficiente a impedire la guerra vera e propria. In effetti non era da escludere che la guerra nucleare globale potesse scaturire da conflitti su piccola scala, e ognuno di questi aumentava le preoccupazioni che ciò potesse verificarsi. Questa tensione influì significativamente non solo sulle relazioni internazionali, ma anche sulla vita delle persone in tutto il mondo. Punto caldo del conflitto in ambito europeo fu la Germania, ed in particolare Berlino, per la divisione avvenuta dopo la seconda guerra mondiale. Uno dei simboli più vividi della Guerra Fredda fu proprio il Muro di Berlino, che separava Berlino Ovest (controllata dalla Germania Ovest, assieme agli alleati di Francia, Regno Unito e Stati Uniti) dalla Germania Est, che la circondava completamente.

Gli eserciti delle nazioni coinvolte, raramente presero parte alla Guerra Fredda; la guerra venne combattuta principalmente dai servizi segreti come CIA (Stati Uniti), MI6 (Regno Unito), BND (Germania Ovest), Stasi (Germania Est) e KGB (URSS). Le maggiori potenze mondiali non entrarono mai in conflitto armato le une contro le altre. La guerra tra agenti, nello spionaggio mutuo di obiettivi civili e militari potrebbe aver causato la maggior parte delle vittime della Guerra Fredda. Gli agenti venivano inviati sia dall'Est che dall'Ovest, e le spie venivano anche reclutate sul posto o costrette al servizio. Quando scoperte, venivano uccise immediatamente o scambiate con altri agenti. Gli aerei spia e altri apparecchi di ricognizione venivano parimenti abbattuti al momento dell'individuazione.

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Molti osservatori di varie fedi politiche pensano oggi che gli Stati Uniti agirono in modi che né la loro costituzione né il sentimento nazionale potrebbero supportare (come combattere guerre non dichiarate senza l'esplicito supporto del Congresso). I capi degli Stati Uniti, sia politici che militari, citano comunemente la minaccia percepita alla loro sicurezza come giustificazione per le loro azioni. In molte zone del mondo, la popolazione locale sentì di essere manipolata ed abusata da entrambe le potenze. Gran parte dell'anti-americanismo di nazioni come l'Afghanistan viene attribuito ad azioni portate avanti dagli Stati Uniti stessi. Durante il conflitto con l'Unione Sovietica, gli USA sovvenzionarono e armarono i Mujahedeen, nella loro lotta per respingere l'occupazione sovietica, ma si tirarono fuori e li abbandonarono al loro destino una volta che l'URSS si ritirò dalla regione.

U.D. 4 GLI ANNI SESSANTA: LA DIFFICILE COESISTENZA

La Guerra del Vietnam venne combattuta tra il 1964 e il 1975 sul territorio del Vietnam del Sud e delle aree confinanti di Cambogia e Laos e in missioni di bombardamento sul Vietnam del Nord. Una parte delle forze in conflitto era la coalizione di forze composta da Vietnam del Sud, Stati Uniti, Corea del Sud, Thailandia, Australia, Nuova Zelanda, e Filippine. Dall'altra parte c'era la coalizione formata da Vietnam del Nord e Fronte di Liberazione Nazionale del Vietnam (FLN) conosciuto anche come Viet Cong, un movimento di guerriglia Sudvietnamita. L'Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese fornirono aiuti militari a Vietnam del Nord e FLN, ma non presero parte alla guerra con le loro truppe. La guerra fece parte di un più ampio conflitto regionale che coinvolse le nazioni confinanti di Cambogia e Laos, conosciuto come Seconda Guerra Indocinese. In Vietnam, questo conflitto è conosciuto come Guerra Americana.

La guerra del Vietnam è la guerra nella quale i francesi combatterono, con il supporto logistico e finanziario degli Stati Uniti, per riprendere il controllo della loro ex-Colonia in Indocina. In base alla Conferenza di Ginevradel 1954, La penisola indocinese venne divisa in tre Stati indipendenti: Laos, Cambogia e Vietnam. Il Vietnam fu diviso a sua volta in due lungo il 17° parallelo:

• Vietnam del Nord, nel quale viene riconosciuta una repubblica democratica guidata da Ho Chi Minh (con capitale Hanoi);

• Vietnam del Sud, affidato al cattolico Ngo Dinh Diem (capitale Saigon, sotto il controllo americano).

Gli accordi di Ginevra specificavano che si sarebbero dovute programmare delle elezioni per unificare la nazione, da svolgersi nel giugno 1956, ma tali elezioni non si tennero mai. Il governo della Repubblica Sudvietnamita (RVN), del Presidente Diem, con l'appoggio degli USA sotto l'amministrazione Dwight Eisenhower, interpretò il Sud-est Asiatico come un altro campo di battaglia della Guerra Fredda e quindi non aveva interesse a far tenere elezioni democratiche che avrebbero favorito l'influenza comunista sul governo del Sud. Il Presidente Eisenhower annotò nelle sue memorie che se si fosse tenuta un elezione su base nazionale, i comunisti avrebbero vinto. In aggiunta si disse che i comunisti probabilmente non avrebbero permesso elezioni libere nella loro parte di Vietnam. Indipendentemente da ciò, né gli USA né i due Vietnam avevano firmato la clausola elettorale dell'accordo. L'FLN (o comunisti vietnamiti) guidò l'insurrezione popolare contro il governo Sudvietnamita. Per salvare l'RVN, gli Stati Uniti iniziarono ad inviare consiglieri militari. Il Vietnam del Nord, che era appoggiato da Unione Sovietica e Repubblica Popolare Cinese, appoggiò a sua volta l'FLN con armi e rifornimenti, consiglieri, e unità regolari dell'Esercito del Vietnam del Nord.

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Il coinvolgimento degli USA nella guerra fu un processo graduale, con personale militare che arrivò già nel 1950. Il coinvolgimento militare incrementò lungo il corso degli anni 60 e sotto successivi presidenti, sia Democratici che Repubblicani (Eisenhower, Kennedy, Johnson, e Nixon), nonostante gli avvertimenti del comando militare statunitense contro una grossa guerra di terra in Asia. Non ci fu mai una dichiarazione formale di guerra, ma ci furono una serie di decisioni presidenziali che incrementarono il numero di "consiglieri militari" nella regione.

Il 15 gennaio 1973, citando i progressi nei negoziati di pace, Nixon annunciò la sospensione dell'azione offensiva nel Vietnam del Nord, che venne fatta seguire da un ritiro unilaterale delle truppe statunitensi dal Vietnam. Gli accordi di pace di Parigi vennero firmati il 27 gennaio 1973, il che pose ufficialmente fine all'intervento statunitense nel conflitto del Vietnam. Il primo prigioniero di guerra americano venne rilasciato l'11 febbraio e a tutti i soldati statunitensi venne ordinato di andarsene entro il 29 marzo. Contrariamente alle precedenti guerre americane, i soldati di ritorno in genere non vennero trattati come eroi, e i soldati vennero talvolta addirittura condannati per la loro partecipazione alla guerra. Anche se Nixon aveva promesso al Vietnam del Sud che avrebbe fornito supporto militare, nel caso di una situazione militare sgretolata, il Congresso votò contro ogni ulteriore sovvenzionamento dell'azione militare nella regione. Nixon stava anche lottando per la sua carriera politica, nel crescente scandalo Watergate. In questo modo, nessuno degli aiuti promessi ai sudvietnamiti era in arrivo. All'inizio del 1975 il Vietnam del Nord invase il Sud e consolidò rapidamente il suo controllo sulla nazione. Saigon venne catturata il 30 aprile 1975. Il Vietnam del Nord si unì al Vietnam del Sud il 2 luglio 1976, per formare la Repubblica Socialista del Vietnam. Saigon venne ribattezzata Città Ho Chi Minh, in onore dell'ex Presidente nordvietnamita. Centinaia di sostenitori del governo sudvietnamita vennero arrestati e giustiziati, molti di più vennero imprigionati. Il governo comunista resiste tutt'oggi. Il 21 gennaio 1977 il presidente statunitense Jimmy Carter graziò praticamente tutti quelli che si erano sottratti alla coscrizione per la guerra del Vietnam.

Il Sessantotto

Il 1968 è stato per molti versi un anno particolare, nel quale grandi movimenti di massa socialmente disomogenei (operai, studenti e gruppi etnici minoritari) e formati per aggregazione spesso spontanea, attraversarono quasi tutti i paesi del mondo con la loro carica contestativa e sembrarono far vacillare governi e sistemi politici in nome di una trasformazione radicale della società. La portata della partecipazione popolare e la sua notorietà, oltre allo svolgersi degli eventi in un tempo relativamente concentrato ed intenso, contribuirono ad identificare col nome dell'anno il movimento, il Sessantotto appunto. Il movimento nacque alla fine degli anni '60 negli Stati Uniti e raggiunge la sua apoteosi nel 1968. Ebbe origine presso i giovani e gli operai per protestare contro la allora nuova società dei consumi, che (tuttora) propone il valore del denaro e del mercato nel mondo capitalista, mentre a proposito del blocco orientale denunciava la mancanza di libertà e l'invadenza della burocrazia di partito. Diffuso in buona parte del mondo, dall'occidente all'est comunista, ebbe come nemico comune l'autorità: nelle scuole si contestava l'autorità dei professori, della cultura ufficiale e del sistema scolastico obsoleto. Nelle fabbriche si rifiutava l'autorità del potere economico e dell'organizzazione del lavoro, nella famiglia si contestava l'autorità dei genitori. In entrambi i sistemi venivano messi in discussione il potere politico e le discriminazioni dovute alla razza, alla ricchezza, al sesso, alla religione, all'ideologia. Gli obiettivi in ambo i blocchi erano: riorganizzare la società sulla base del principio di uguaglianza, rinnovare la politica in nome della partecipazione di tutti alle decisioni, eliminare ogni forma di oppressione sociale e di discriminazione razziale, estirpare la guerra come modo di relazione tra gli stati. Il movimento per i diritti civili negli Usa Il movimento americano per i diritti civili aveva costituito, fin dall'inizio degli anni sessanta, il prototipo di questa dinamica. Nato nelle università del Nord, il movimento studentesco si era dato come obiettivo essenziale la piena attuazione di quella democrazia

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americana che la costituzione prometteva ma che la società aveva, almeno in parte, negato in vario modo, cioè con la repressione nei confronti dei comunisti (col noto esempio del maccartismo) e della sinistra, con il militarismo diffuso, con la persistenza della segregazione razziale in particolare nel Sud. Proprio al Sud, negli anni cinquanta era venuto maturando un movimento nero per l'eguaglianza, diretto dalle comunità di colore. In appoggio al movimento nero del Sud, gli studenti di molte università del Nord degli Stati Uniti diedero inizio alle "marce al Sud", massicce campagne d'invio di militanti durante l'estate, con il compito di proteggere il diritto al voto della popolazione di colore. Come risposta vi furono numerosi assassini e linciaggi, mentre i tradizionali leader politici assumevano posizioni di aperto sostegno alla violenza. Nonostante tutto, il movimento ottenne significativi successi politici, contribuendo al superamento della segregazione. A partire dal 1963-1964, le agitazioni dei neri si svilupparono rapidamente anche nelle grandi città del Nord degli Usa. Qui però il problema non era la segregazione istituzionale: la rivendicazione della piena uguaglianza coi bianchi infatti, non si accompagnava (come nel movimento per i diritti civili del Sud) con la volontà di un'integrazione sociale totale nella "comunità dei bianchi", ma al contrario voleva preservare la diversità e la specificità, culturale e sociale. Eguaglianza e diversità, soppressione dei privilegi bianchi ma autogoverno dei neri nella loro comunità.

Il movimento in Italia

La presenza di giovani operai a fianco degli studenti fu la caratteristica anche del Sessantotto italiano, il più intenso e ampio tra tutti quelli dell'Europa occidentale. In Italia la contestazione fu il risultato di un malessere sociale profondo, accumulato negli anni '60, dovuto al fatto che lo sviluppo economico non era stato accompagnato da un adeguato aumento del livello di vita delle classi più disagiate. L'esplosione degli scioperi degli operai in fabbrica si saldò con il movimento degli studenti che contestavano i contenuti arretrati dell’istruzione e rivendicavano l'estensione del diritto allo studio anche ai giovani di condizione economica disagiata. La contestazione fu attuata con forme di protesta fino ad allora sconosciute:vennero occupate scuole e università e vennero organizzate manifestazioni che in molti casi portarono scontri con le forze dell’ordine

Dalla contestazione studentesca che fu inizialmente sottovalutata dai politici a dalla stampa, si passa appunto repentinamente alle lotte dei lavoratori. Prendono origine le agitazioni per il rinnovo di molti contratti di lavoro; per l'aumento dei salari uguale per tutti, per la diminuzione dell'orario, per le pensioni, la casa, la salute, i servizi, ecc. Per la prima volta il mondo dei lavoratori e il mondo studentesco unito fin dalla prime agitazioni su molte questioni del mondo del lavoro, provocano delle tensioni nel Paese sempre più radicali e a carattere rivoluzionario, sfiorando in alcuni casi l’insurrezione, visti i proclami, i giornali e i fatti che accadono in Italia. La Fiat di Torino, dopo alcuni incidenti in settembre, causati da atti di sabotaggio alle catene di montaggio, dove vengono persino distrutte migliaia di auto, reagisce e sospende 25.000 operai, dopo cinque giorni di inutili mediazioni, e si sfiora il dramma. Al grido di "potere operaio" c’è mobilitazione generale e il tentativo di occupazione dell'azienda. Ai primi di novembre si processa il padronato dell’azienda. Tre mesi di agitazione mettono in crisi la città, con tre mesi senza salario vengono paralizzate tutte le attività produttive e commerciali. Nei primi giorni di dicembre la città è vicino al Natale più nero. Nemmeno la guerra aveva angosciato tanto: spente le luci, chiusi i negozi. Il 21 dicembre con una mediazione vengono accolte quasi tutte le richieste dei sindacati e ritorna una calma apparente. Ma inizia un'altra epoca, generando nuovi movimenti che sfociano nelle azioni armate. Ma gli operai otterranno alla fine dell'anno molti risultati: aumenti salariali, interventi nel sociale, pensioni, minori ore lavorative, diritti di assemblea, consigli di fabbrica. E getteranno anche le basi dello Statuto dei lavoratori (siglato poi nel '70).

Nonostante fosse diffusa in tutto il mondo, la protesta giovanile si spense, all’inizio degli anni '70, ovunque senza aver riportato risultati significativi. La principale ragione di questo fallimento va

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ricercata nella loro incapacità di tradurre le aspirazioni in programmi concreti e in strutture organizzative in grado di realizzarli. Il Sessantotto, quindi, si caratterizzò come una rivolta morale dei giovani contro la società, piuttosto che come un insieme di movimenti politici finalizzati alla realizzazione di un qualsiasi programma. Merito del movimento giovanile di quegli anni fu, soprattutto in Occidente, quello di mettere al centro dell'attenzione valori che fino a poco tempo prima erano stati interesse di pochi. Temi come il pacifismo, l'antirazzismo, il rifiuto del potere come forma di dominio, i diritti delle donne e l’interesse per l’ambiente, entrarono a far parte stabilmente del dibattito politico e socio-culturale del mondo intero. È da osservare che dopo il Sessantotto il mondo non è cambiato poi molto, ma anche che non sarebbe stato mai più lo stesso. cessivi. In Italia il movimento non si spense, ma si trasformò aumentando di intensità e continuò per tutto il decennio successivo e con intensità ridotta per altri decenni. In qualche misura dura ancora.