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2 Consulenza filosofica Consulenza filosofica come arte come arte C onsiderazioni di un filosofo artista onsiderazioni di un filosofo artista di Aldo di Aldo Elefante Elefante

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Consulenza filosofica Consulenza filosofica come artecome arte

CConsiderazioni di un filosofo artistaonsiderazioni di un filosofo artista

di Aldodi Aldo ElefanteElefante

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Contro quelli che pensano io sono questo, io sono quello....bisogna pensare in termini incerti, improbabili: io non so cosa sono.

Gilles Deleuze

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0. Un’introduzione

Ho scelto la forma dell’aforisma ma tenderei a dire del frammento,

- che mi sembra termine meno presuntuoso - proprio per garantire

quella libertà d’uso dei materiali raccolti che appare necessaria,

quando il leitmotiv di un testo è proprio la libertà. E’ stato

l’estetologo Mario Perniola a fare recentemente un elogio del

frammento in quanto espressione “più consona alla modernità per la

sua capacità di esprimere la discontinuità, l'incoerenza, la

lacerazione dell'esperienza”1. Nessuna pretesa di elaborare un

sistema2 o un metodo, soltanto qualche spunto per una riflessione,

un tentativo di condivisione di un territorio - il fare/pensare dell'arte

contemporanea - che alla filosofia, ritornata ad essere pratica,

appare confinante, e che, a mio parere, diventerà sempre più

centrale nel processo di costruzione delle consulenze filosofiche.

Il carattere di questo breve testo è quindi eminentemente

sperimentale e attraverso esso l’autore si assume il rischio di

elaborare – in linea con quanto sotenuto nello scritto stesso - un

reale possibile, un filosofare pratico possibile. Il lavoro trae spunto

da una serie di letture d’arte e di estetica e cerca di enucleare

all’interno di poetiche e movimenti - dalla prime avanguardie agli

anni settanta, vale a dire gli anni eroici in cui l’arte ha riflettutto più

su stessa – quelle modalità di azione e di pensiero in grado di

interagire col campo della consulenza filosofica. Quindi una ricerca

non di strumenti ma di visioni del mondo, idee, maturate nella

pratica artistica.

Le riflessioni che accompagnano i materiali presentati hanno come

luogo elettivo quello della consulenza filosofica individuale. 1 Mario Perniola, Disgusti, Genova 1998, p.107

2 “Diffido di tutti i sistematici e li evito. La volontà di sistema è una mancanza di onestà”. (Friedrich Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli, Roma 1989, p.120) o anche "Io sono contro tutti i sistemi, l'unico sistema accettabile è quello di non seguirne, sistematicamente, nessuno" (Tristan Tzara Manifesto dadà 1918 in Tristan Tzara, Manifesti del dadaismo e lampisterie, Torino 1975, p.11)

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Se, a volte, in questo lavoro i campi della filosofia come attività

teoretica e come consulenza filosofica sembrano confondersi, è

perchè non riesco oggi a pensare ad una filosofia che non sia pratica

filosofica.

1. Perchè l’arte

L'arte dall'inizio del secolo scorso ha smesso di rappresentare e ha

cominciato ad essere, ampliando in maniera sempre più decisa gli

spazi della riflessione sul suo modo di prodursi, diventando

consapevolmente essa stessa una filosofia.

L'arte autentica oggi non è più soltanto immagine ma è un insieme

di comportamenti, scelte esistenziali, creazioni ambientali che

coinvolge tutte le facoltà dell'individuo - dalla ragione, ai sensi,

all'immaginazione - ed è costruita con ogni tipo di materiale

possibile. In questo senso esprime la complessità del nostro

esistere.

Praticare l'arte, questa arte filosofica attuale, non consiste nel

dipingere o nello scolpire, ma nell'esistere più autenticamente e nel

vivere la propria esistenza come apertura. La pratica dell'arte aiuta

a riconoscere la contraddizione, la pluralità e le differenze, ed è

divenuta un luogo di produzione e ricerca della libertà.

L’arte riafferma i diritti dell'immaginazione produttiva. E’ la

portatrice sana di una comunicazione simbolica che apre l'apertura3,

assolutamente necessaria in questa sorta di u-tòpos della

consulenza filosofica, perchè consente di impostare la relazione che

si va a costituire non soltanto su una lunghezza d’onda razionale,

ma offrendo spazio alla complessità delle persone in gioco.

2. Arte e filosofia

“La filosofia resta accanto all’arte come espressione sintomatologica

3 Umberto Galimberti, La casa di psiche, Milano 2005, p.259

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della condizione umana” - laddove sin-tomo e da intendersi come

co-incidenza -, dice Galimberti4. Questo è lo sfondo da cui nasce

una filosofia che diventa arte perché si fa pratica. L’arte è sempre

un pensare che contemporaneamente è un fare. La filosofia che si fa

arte incontra la vita, il particolare, l’unico che la costringono a

sollecitare negli uomini che la praticano quella capacità di

adeguamento, di adattamento, quella elasticità del pensiero e

dell’essere, che coglie l’ordine nel caos piuttosto che contrapporre

un ordine al caos.

Secondo Adorno filosofia ed arte dicono lo stesso, “entrambe

convergono nell’intenzionare quel Diverso che nessuna delle due

possiede compiutamente” e convergono nel trascendimento del

dato5. Se quindi “la realtà delle opere d’arte testimonia la possibilità

del possibile”6 una filosofia che si fa pratica egualmente può

mostrare un inesistente che ruba lo spazio all’esistenza del disagio,

e può proporsi come critica all’ineluttabilità del dato che in

consulenza viene portato. Arte e consulenza filosofica vanno oltre.

3. Il coraggio del consulente

L’arte del ‘900, attraverso oggetti-scelte-comportamenti, ci ha

mostrato per la prima volta la sdefinizione di noi stessi e del mondo,

le incongruità dei panorami conosciuti, e poi ci ha indotto a dubitare

concretamente di tutto, a cogliere la struttura caotica dell’universo,

a non fidarci degli schemi, delle certezze, degli assoluti. Si è

costituita quindi come una speciale pratica filosofica.

La filosofia liberata, quella che diventa pratica, analogamente può

incontrare l’arte liberata. Ma al filosofo che scende in campo è

richiesto lo stesso coraggio dell’artista contemporaneo, che sfida in 4 Umberto Galimberti, Idee: il catalogo è questo, Milano 1999, p.93

5 Stefano Petrucciani, Introduzione a Adorno, Bari 2007, pp.136-145

6 Theodor Adorno, Teoria estetica, Torino 1975, p.190

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campo aperto - non nell’ambito protetto dell’Accademia - il

consueto, la tradizione, l’ovvio. L'arte è un rischio che qualcuno

corre per non morire nell'esistente, è un modo di trasformare e

trasformarsi. La pratica filosofica deve rischiare.

4. Creare se stessi

Uno dei contributi più importanti che l’arte contemporanea offre alla

consulenza filosofica mi sembra l’auspicio di creare se stessi. Si

tratta di un’idea che Breton7, il fondatore del surrealismo, trae

dalla tradizione esoterica ed alchemica8 e che attraversa la storia

dell’arte contemporanea fino arrivare ad alcuni recenti esiti della

body art.

La performer francese Orlan bypassa l’imperativo della nostra

tradizione culturale che ci impone di accettarci9 e si propone di

trasformarsi, crearsi o ricrearsi. E’ una linea che va anche oltre il

filosofico conosci te stesso. Certo il creare parte da un conoscere,

ma il creare aggiunge sempre. Dice Rella:” Creazione è portare nel

mondo qualcosa che prima nel mondo non c'era”10 e l’arte

contemporanea ci ha insegnato che i materiali spesso conducono

l’autore dove non avrebbe mai pensato di andare. Per questo

ognuno di noi può essere un materiale che va in direzione

assolutamente sconosciuta. La body art come “estremo tentativo

per conquistare il diritto di metterci al mondo di nuovo”11 ci guida in

7 "Si tratta soltanto di restituire all'uomo tutto il potere che egli è stato capace di attribuire al nome di dio." (Andrè Breton citato in Annie Le Brun Lo humour nero, 1966 in Arturo Schwarz, I surrealisti, Milano 1989, p.208)

8 "Creare se stesso: ecco la sublime vocazione dell’uomo." (Eliphas Levi citato in Arturo Schwarz, op.cit.1989, p.36)

9 "La religione,la psicanalisi e le superstizioni sono d’accordo sul famoso accetta te stesso. Uno psicanalista al quale confidavo la mia intenzione di modificare il mio volto ha reagito come se gli avessi annunciato il mio suicidio."(Francesca Alfano Miglietti, Identità mutanti, Genova 1997, p.184)

10 Intervista a Franco Rella in AA.VV., Appuntamenti con la filosofia 2 , Milano 1996, p. 150

11 Lea Vergine, Il corpo come linguaggio, Milano 1974, p.4

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quest’opera di riedificazione che deve essere continua e costante.

Io vedo la pratica filosofica proprio come una rigenerazione che

renda operativa questa modalità particolare e perduta di essere al

mondo, dell’uomo come creatore di se stesso, quella che per i Greci

era l’arte del vivere12. Ed in questa direzione forse va anche Lahav,

quando dice della consulenza filosofica:

L'obiettivo non è riparare o migliorare ciò che esiste già nella persona, ma superarlo, andare oltre, elevarsi a nuove dimensioni di profondità e di saggezza.13

5. Libertà

L’arte del secolo scorso è sempre ed in ogni luogo una professione

di libertà. E’ la direzione principale di questa pratica che

velocemente rinuncia ai contenuti e forme tradizionali.

"La sola parola libertà è tutto ciò che ancora mi esalta”, dice

Breton.14 In quest'impeto l'arte celebra la frattura che il nuovo

secolo stabilisce con il passato. Marinetti fa esplodere i caratteri

tipografici ed inventa le parole in libertà15; il dadaismo promuove la

liberazione da tutto; il situazionismo più tardi promette una

stagione di nuova libertà16.

La privazione di libertà credo sia la motivazione di fondo del disagio.

Una sorta di fossilizzazione della persona, un modo sclerotizzato di

vedere sé in rapporto agli altri e al mondo, e anche un modo

sempre uguale a se stesso di essere in quella situazione, un agire

standardizzato: questa prigionia dell'essere produce il malessere. La

12 Umberto Galimberti, op.cit., p.405

13 Ran Lahav, Comprendere la vita, Milano 2004, p.162

14 Andrè Breton Manifesto del surrealismo 1924 in Andrè Breton, Manifesti del surrealismo, Torino 2003, p.12

15 “Parole slegate e senza fili conduttori sintattici e senza alcuna punteggiatura.” (Marinetti,Distruzione della sintassi Immaginazione senza fili Parole in libertà 1913 in [a cura di] G.Davico Bonino, Manifesti futuristi, Milano 2009, p. 126)

16 “Sta per nascere una nuova libertà che permetterà agli uomini di soddisfare il bisogno di creare. Questo sviluppo farà perdere all'artista la propria posizione privilegiata”. (Jean-Francois Martos, Rovesciare il mondo, Milano 1991, p.38)

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libertà consente il superamento, il transito ed infine la distanza.

L'arte del ‘900 ci ha mostrato questa direzione invitandoci a non

frequentare più i panorami noti, ma a lasciare il certo per l'incerto.

Scrive Breton:

Piantate tutto. Piantate dada. Piantate la moglie, piantate l'amante. Piantate le speranze e le paure. Sbarazzatevi dei figli in aperta campagna, lasciate la preda per l'ombra. Piantate se occorre una vita agiata, ciò che vi spacciano come una posizione promettente. Partite sulle strade.17 Che la consulenza filosofica sia pratica di libertà è dimostrato

dall’assenza dichiarata di metodologie. Essa è infatti “in primo luogo

libera ricerca senza presupposti, senza schemi precostituiti, senza

modelli”18. Anche se è stato rilevato quanto ancora sia lontana

l’attivazione pratica di queste aperture teoriche19.

6. Il corpo nell’arte e nella pratica filosofica

Il Novecento artistico si può leggere come un movimento per la

riacquisizione del corpo. Penso alle corporali serate futuriste o a

quelle dadaiste al Cabaret Voltaire di Zurigo. Entrambe erano veri e

propri scontri fisici col pubblico. Penso ai travestimenti di

Duchamp. Poi ricordo Pollock che gira attorno alle sue enormi

tele: l’action painting. E ancora Klein che dipinge con i corpi delle

sue modelle e Piero Manzoni che firma i corpi e vende la sua

merda d’artista. Arriva poi negli anni settanta la body art che è il

luogo delle performance che “hanno elevato la miseria della carne a

oggetto di contemplazione estetica e a strumento di provocazione

etica”20. Si tratta di una rivincita della carne: “è una

17 André Breton Piantate tutto, 1922 in Arturo Schwarz, op.cit.1989, p. 151

18 Neri Pollastri, Il pensiero e la vita, Milano 2004, p.216

19 “Se come filosofi accettiamo di buon grado e anzi rivendichiamo le infinite possibilità di ricerca della filosofia e la sua illimitata libertà, come filosofi pratici e come consulenti filosofici, per non dire semplicemente come persone, ce ne difendiamo con forza.”.(Carlo Basili Il filosofo e la consulenza filosofica in AA.VV., Filosofia praticata, Trapani 2008, p.55)

20 Giorgio Fonio, Apollo e la sua ombra, Milano 2007, p.327

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riappropriazione, e la possibilità di far crollare la separazione tra

soggetto e oggetto, tra opera e artista”21. E questo corpo che viene

seviziato, offeso, mutilato ma anche scoperto nella sua gestualità,

nel suo movimento, nella sua animalità è il ritorno di un rimosso

filosofico. Torna il corpo perché c’è un desiderio di rimettersi al

mondo. Si esprime un rifiuto per l’uomo come è e si parte alla

ricerca dell’uomo-umano22.

Ma il corpo proposto dalla body art è anche il luogo di una

metamorfosi23. Secondo Gina Pane - una delle protagoniste del

movimento artistico - “il corpo non è più rappresentazione ma

trasformazione”24. Si traveste la carne: come fanno Cindy

Sherman, che si propone in un primo tempo nelle pose dei grandi

della pittura e poi pian piano fa scomparire il suo corpo dietro

protesi grottesche, e Urs Luthi, nelle sue immagini androgine.

Oppure la carne si trasforma: come procedono a fare Orlan, che dal

1990 ha avviato un progetto di trasformazione chirurgica

progressiva del proprio volto, e Stelarc, che sperimenta

sostituzione di organi biologici con organi artificiali. Lo sfondo è

quello del film Testuo di Tsukamoto, dove un uomo subisce una

metamorfosi, diventando progresssivamente un ammasso di

ferraglia.

Ma body art soprattutto negli anni eroici significa anche un mettersi

in pericolo, giocare con la precarietà del proprio corpo. Chris

Burden si fa sparare in galleria al braccio, da un amico, con una

pistola calibro 22. Marina Abramovic, nella performance Rithm 0

del 1974, invita il pubblico a colpirla con oltre 70 oggetti posati su

21 Francesca Alfano Miglietti, op.cit., p.27

22 Lea Vergine, op.cit.1974, p.4

23 ”Il corpo diviene linguaggio assoluto, medium attraverso il quale l’artista si trasforma, trasforma la propria immagine e la propria identità (Francesca Alfano Miglietti, op.cit., p.29)

24 Francesca Alfano Miglietti, op.cit., p.25

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un tavolo. Dice l’artista: “Mostravo il pericolo, i miei limiti, ma non

davo risposte”25.

“Il pensiero si forma in bocca”26 dice Tzara, ed è indicazione

tangibile di quanta ragione27 vi sia nel corpo.

La filosofia - che con Nietzsche aveva già intuito che al corpo

bisogna guardare quale principio di ogni sapere, perchè da esso si

sprigiona un’enorme molteplicità di significati28 - segue la traccia e

si muove verso il corpo. “E’ il corpo che bisogna ritrovare, non il

discorso intellettivo, la comunicazione, non l'informazione”, sostiene

Formaggio29.

Gerd Achenbach, nei suoi primi interventi sulla consulenza

filosofica, denuncia il tradizionale trattamento filosofico del corpo,

come pericolo di schiavitù per l’uomo dall’eccessiva andatura

eretta30, come possibile invadenza del Sotto per chi si condidera

solo un Sopra31, come cosa di cui sospettare32.

La pratica filosofica deve ritrovare il corpo. E’ infatti il corpo che ci

offre la posibilità di una relazione autentica, un orizzonte concreto di

cui la filosofia ha fatto a meno e che le è necessario per accedere

25 Flash Art, Arte vitale, n.80, febbraio 1978

26 Tristan Tzara dadà manifesto sull'amore debole e l'amore amaro in Tristan Tzara, op.cit., p.25

27 “Dietro ai tuoi pensieri ed ai tuoi sentimenti, o fratello, sta un potente dominatore, un savio ignoto che si chiama Te stesso. Nel tuo corpo egli abita: è il tuo corpo. V’ha maggior ragione nel tuo corpo, che nella tua migliore sapienza.” (Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Milano 1992, p.28)

28 Salvatore Natoli, Vita buona vita felice. Scritti di etica e poitica, Milano 1990, p.129

29 Intervista a Dino Formaggio in AA.VV., op.cit. 1996, p.67

30Commentando il famoso aneddoto di Talete dice: “l’esagerato dell’andatura eretta, proprio nel momento in cui cade nella fossa spalancata, nel pozzo torbido, diviene ancor più schiavo dello sporco della terra, della parte peccaminosa e lurida che conduce verso il basso, il sesso umano.” (Gerd Achenbach, La consulenza filosofica, Milano 2004, p.49)

31 “Essenzialmente, la persona si concepisce come un Sopra…qualsiasi Sopra ha il suo Sotto, e così la persona cade in un rapporto di insozzamento anche rispetto a se stessa…In un primo tempo sono solo parti del corpo a darle fastidio, ma presto è il corpo tutto” (Enzesberger citato in Gerd Achenbach, op.cit., p.53)

32 Ivi, p.137

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alla vita. Questo significa un’attenzione per la presenza delle

persone, ma soprattutto la possibilità di avviare uno scambio di

informazioni, significati, emozioni che non mentano33. D’altronde

nella consulenza è già emerso il peso del corpo.

Scrive Stefano Zampieri:

Siamo qui in carne e ossa. Interamente. Non dobbiamo far finta che il nostro peso sia vuoto, non siamo tenuti a essere solo spirito solo voce senza consistenza. Qui si richiede d'esserci interi, peso vero, autentica sostanza, esperienza.34

7. Un’idea: essere un oggetto, essere indifferenti

L’arte si sostanzia sempre in un oggetto, oggettualizza e quando

non produce oggetti, propone l’artista stesso come oggetto. Questo

proporsi in veste di oggetto è una pratica performativa che

andrebbe rivisitata.

Rendersi oggetto deliberatamente potrebbe trasformarsi in una

esperienza di distacco, in grado di consentire un'osservazione di sé

decentrata, un osservarsi dal di fuori che potrebbe somigliare

all’antico sguardo dall’alto.

Warhol, con il suo desiderio di essere macchina35, arriva a pensare

a questa sorta di estraniazione. E lo stesso processo di

allontanamento da sé propongono i perrformers che mettono la loro

vita in pericolo.

Per diventare un oggetto, un ready made, occorre un esercizio di

indifferenza come quello praticato dagli avanguardisti zurighesi che

consideravano Dada, fra l’altro, “il ritorno a una religione

dell'indifferenza”36; o seguire Duchamp il cui obiettivo è quello di

33 “E’ difficile far mentire uno sguardo, è difflcile far mentire un bacio, il bacio di Giuda, è difficile far mentire un abbraccio, un atto d’amore”(Intervista a Dino Formaggio in AA.VV.,op.cit. 1996, p. 67)

34 Stefano Zampieri, L’esercizio della filosofia, Milano 2007, p.80

35 “Penso che tutti dovrebbero essere macchine” (Andy Warhol citato in Andrea Mecacci, Introduzione a Andy Warhol, Bari 2008, p.28)

36 Tristan Tzara Conferenza su Dadà in Tristan Tzara, op.cit.,p.80

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arrivare ad uno stato di indifferenza visiva37.

8. Contro la Ragione

L’arte contemporanea è anche il teatro di uno scontro con la

ragione38. L’obiettivo di questo attacco è la ricomposizione con la

vita. Questa critica parte in epoca romantica39. Leopardi nello

Zibaldone attacca il filosofo razionalista:

Il filosofo non è perfetto, s'egli non è che filosofo, e se impiega la sua vita e se stesso al solo perfezionamento della sua filosofia, della sua ragione, al puro ritrovamento del vero, che è pur l'unico e puro fine del perfetto filosofo. La ragione ha bisogno dell'immaginazione e delle illusioni ch'ella distrugge; il vero del falso; il sostanziale dell'apparente; l'insensibilità la più perfetta della sensibilità la più viva; il ghiaccio del fuoco; la pazienza dell'impazienza; l'impotenza della somma potenza; il piccolissimo del grandissimo; la geometria e l'algebra, della poesia ecc.40

Nel Novecento la critica diventa un rifiuto radicale. "L’acqua del

diavolo piove sulla mia ragione"41 dice Tzara, che con il dadaismo

cerca di far esplodere il pensiero dualistico42. Alla ragione cerca di

sfuggire anche il fare di Marcel Duchamp, "sempre in fuga dalla

costrizione della realtà, dalla ragionevolezza della realtà"43. Nella

definizione di surrealismo Breton specifica che è “dettato del

pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla

37 “Soltanto a partire da uno stato di indifferenza visiva, l'arte finisce li essere copia, rappresentazione, somiglianza per divenire punto di partenza per una domanda sulla sua significazione” (Carla Subrizi, Introduzione a Duchamp, Bari 2008, p.10)

38 Fatta eccezione per il movimento minimal-concettualista degli anni settanta per cui l'arte si risolve in “una macchina logica capace di stabilire a-priori l'artisticità di qualcosa” (Massimo Donà, Arte e filosofia, Milano 2007, p.354)

39 "La ragione strumentale viene percepita assai presto - già da Schiller e Novalis - come il peccato originale dello spirito. Per ambedue gli autori essa è la vera ir-ragione. È forma determinata di idiozia umana ed intellettuale, che si esprime nel fatto che gli uomini si contentano di esaurire la loro vita in funzioni parziali di carattere economico". (Intervista a Peter Sloterdijk in AA.VV., Appuntamenti con la filosofia, Milano 1989, p.130)

40 Franco Rella, Miti e figure del moderno, Milano 1993, p.207

41 citato in Massimo Donà, op.cit., p.306

42 "Esso infatti tentò di buttare all'aria proprio il nostro modo innato di pensare, costretto lungo i binari del SI e del NO".(Hans Richter, Dada. Arte e antiarte, Milano 1966, p.72)

43 Luisa Valeriani, Dentro la Trasfigurazione, Milano 1999, p.153

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ragione”44. Nel secondo dopoguerra Asger Jorn del gruppo

COBRA, che poi confluirà nell’Internazionale Situazionista,

riprende il filo di questo attacco, caricandolo anche di contenuti

politici. Infatti scrive:

La nostra sperimentazione tenta di lasciare il pensiero esprimersi spontaneamente, al di fuori di ogni controllo esercitato dalla ragione. [...] Il nostro scopo è di sfuggire al regno della ragione che non è stato ed è altro tuttora non è che il regno idealizzato della borghesia, per approdare al regno della vita.45

La consulenza filosofica deve sfuggire alla signoria della ragione per

due motivazioni: inanzitutto perchè la filosofia stessa ha messo in

discussione il primato della ragione46, i filosofi non vogliono essere

più mummie47, e secondariamente perché rischierebbe di diventare

il luogo non di una ridefinizione aperta ed insieme di una

sdefinizione consapevole, ma quello di un ritorno alla definizione. E’

proprio un esasperato razionalismo, un pensiero paranoico48 che

porta ad una definizione sociale del disagio come malattia. L’ambito

della pratica filosofica deve essere un luogo di libertà dove le facoltà

degli individui protagonisti entrano liberamente in gioco. Si tratta di

utlizzare semmai una raison sensible49, un pensiero metanoico che

acccompagna e che afferma la vita, come ci suggerisce Maffessoli.

44 Andrè Breton/Manifesto del surrealismo 1924 in Andrè Breton, op.cit. 2003, p.30

45 citato in Jean-Francois Martos, op.cit., p. 36

46 Tra le varie critiche novecentesche al primato della ragione pare interessante quella di Gilbert Durand per cui “la stessa razionalità appare come derivato o duplicato di una logica più profonda, che regola delle immagini oltre che dei concetti; la razionalità identitaria, tanto rivendicata ed utilizzata dalla ragione in ambito scientifico, non sarebbe dunque che una forma regionale e unilaterale di razionalità possibile”. (Jean-Jacques Wunenburger, L’immaginario, Genova 2008, p.76)

47 “Tutto quello che i filosofi hanno avuto tra le mani per millenni, erano mummie di concetti; nulla di reale uscì vivo dalle loro mani. Questi signori idolatri del concetto, quando adorano, uccidono, imbalsamano (..) Essere filosofi, essere mummie…” (Friedrich Nietzsche, op.cit. 1989, p.130)

48 “Il pensiero moderno è stato paranoico in molti sensi: ha cercato di pensare-sopra (parà-noèin) il reale”. (Intervista a Michel Maffessoli in AA.VV., op.cit. 1996, p.125)

49 "Che è il superamento del razionale classico: è la ragione che tien conto del sensibile, del corpo e del sentimento, addirittura fino alla contraddizione in termini".(Ivi, p.124)

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Bisogna insomma ridare spazio a ciò che il lavoro di sistematica

costruzione-distruzione dell'arte contemporanea ha dimostrato

fondamentale e cioè “la capacità della mente, mossa dalla

sensibilità d'istituire sempre e comunque relazioni tra qualsiasi

cosa”50.

9. Elogio della follia

A fronte di quest’attacco alla raison c’è, nell’ambito delle pratiche

artistiche del contemporaneo, la riabilitazione della follia quasi come

stato originario da recuperare. Bisogna ripulirsi dalle scorie del

ragionamento51, recuperare una purezza52 e scoprire "il cuore della

vera e propria grande pazzia che nulla ha a che fare con la

stranezza dello squilibrato".53 E' chiaro che questo invito

paradossale va raccolto dalla pratica filosofica perchè, al contrario di

ciò che appare, è ispirato da grande saggezza. Infatti è il tentativo

di riscattare tutto ciò che non appartiene al senso comune e alla

psicologia. E' la voglia di sconfiggere l'assenza di senso con un

adesione incondizionata alla vita.

A tale proposito Marinetti conia un neologismo, la fisicofollia,

dentro cui mette " l'azione, l'eroismo, la vita all'aria aperta,la

destrezza, l'autorità dell'istinto e dell'intuizione"54 da contrapporre

alla psicologia.

Il surrealismo - esigua passerella sull’abisso - ci apre al

meraviglioso, all’orrendo, a tutto quanto è possibile ed impossibile

50 Stelio Maria Martini, Breve storia dell’avanguardia, Napoli 1988, p.34

51 "La pulizia di un individuo non può nascere che da uno stato di follia, di follia aggressiva, completa" (Tristan Tzara Manifesto dadà 1918 in Tristan Tzara, op.cit.,p.13)

52 "Ci vogliono dei pazzi (...) quei Puri, lavati già da ogni sozzura di logica" (Marinetti, Uccidiamo il chiaro di luna 1909 in [a cura di] G.Davico Bonino, op.cit., pp.51-52)

53 Massimo Donà, op.cit., p.316

54 Marinetti, Il Teatro di Varietà 1913 in (a cura di) Luciano De Maria, Filippo Tommaso Marinetti e il futurismo, Milano 1973, p. 116

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incontrare nell’esistenza. Ci offre una sponda per affrontare

l’assurdo che è la dimensione più celata dell’essere, quella da cui ci

difendiamo.

Ma la filosofia da sempre abita l’abisso.55 La pratica filosofica può -

perché sa - aprirsi al segreto dell’esistenza che incontra, evitando di

definirlo in modo assoluto, anzi accettandolo proprio nella sua

sdefinizione.

Il dialogo filosofico non vuole ricostruire identità o riciclare

l’irrazionale. E’ un porto dove tutto diventa possibile e dove tutto

deve avere dignità, dove ogni stranezza e mostruosità non deve

essere trasformata in linearità, ma valorizzata come differenza.

10. L’immaginazione e l’immaginario

C’è una regione di confine intermedia fra ragione e follia, fra

controllo assoluto e perdita totale di esso: è il non-luogo

dell’immaginazione. E’ ancora Marinetti che la esalta per primo

proponendo una liberazione/estetizzazione della parola. Scrive:” Per

immaginazione senza fili, io intendo la libertà assoluta delle

immagini o analogie”56. Anche il primo manifesto del surrealismo la

nomina: ”L'immaginazione è forse sul punto di riconquistare i propri

diritti.”57

Questa facoltà che ci consente di “svincolarci dall'immediato, dal

reale presente e percepito, senza relegarci nelle astrazioni del

pensiero”58, è una risorsa tradizionale dell’arte e probabilmente lo

potrebbe essere per la consulenza filosofica.

55 “A conoscere questa follia è la filosofia che, nell’edificare il cosmo della ragione, sa da quale fondo l’ha liberato e perciò non chiude l’abisso del caos...perchè sa che è da quel mondo che vengono le parole” (Umberto Galimberti, op.cit.1999, pp.91-92)

56 Marinetti Distruzione della sintassi Immaginazione senza fili Parole in libertà 1913 in [a cura di] G.Davico Bonino, op.cit., p.126

57 Andrè Breton Manifesto del surrealismo 1924 in Andrè Breton op.cit. 2003, p.17

58 Jean-Jacques Wunenberger, op.cit.2008, p.67

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Come sostiene Wunenberger, l’individuo attraverso l’immaginario

può “attivare il proprio pensiero fino a trasformarsi”59. L’uso

dell’immaginazione libera, dà accessso all’inaccessibile, favorisce lo

sconfinamento. E’ l’immaginazione che crea e serve per creare e

ricreare se stessi ed il reale stesso60. All’interno del rapporto

consulenziale dare spazio all’immaginazione significa aggiungere

senso, fluidificare il discorso, portarsi altrove.

11. L’ntuizione

E in questa riscoperta della complessità del nostro essere, che l’arte

ci ha riproposto, ritorna in gioco un’altra facoltà che si pone in una

sintonia perfetta con la vita: l’intuizione. Secondo Bergson è “la

simpatia con cui ci si trasporta all’Interno di un oggetto per

coincidere con quanto ha di unico e, di conseguenza, di

inesprimibile”61. L’arte utilizza questa facoltà per accedere, per

andare oltre62.

Si tratta di un’attività conoscitiva che la consulenza filosofica

dovrebbe valorizzare, a patto di non utilizzarla come strumento di

una cultura del sospetto, e cioè per cercare ciò che io ritengo possa

nascondersi in quello che fai o in quello che dici, ma per sentire

appieno la persona oltre il discorso razionale.

12. Il possibile

Se si riesce quindi a svincolarsi dalla fede nella logica, non si teme

59 Ivi, p.73

60 “Secondo Novalis (l’immaginazione)è il luogo dove ogni esteriorità è abolita e dove si realizza l'autonomia del soggetto, che dà forma al mondo esterno. L’immaginazione produce realtà”. (Elio Franzini-Maddalena Mazzocut-Mis, Estetica, Milano 1996, p.244)

61 Henri Bergson, Introduzione alla metafisica 1903 in Adriano Pessina, Introduzione a Bergson, Bari 1994, p.34

62 “L'arte può servire, intenzionalmente o meno, da percorso filosofico, dove l'aggettivo «filosofico»(..) allude a processi mentali attraverso i quali il soggetto può pervenire all'intuizione di una verità nascosta”. (Jean-Jacques Wunenburger, Filosofia delle immagini, Torino 1999, p.333)

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una fuga verso l'gnoto63 e si percorre lo spazio fra il principio di

non-contraddizione e il principio di indeterminazione, si incontra il

possibile. L’arte è il territorio privilegiato del possibile. Secondo

Dino Formaggio l’arte rende il reale possibile, è una possibilità

progettuale64. Ma l’arte va ancora più avanti, mostrando una

“moltiplicazione degli orizzonti del possibile”65. Duchamp - che

secondo Clair tende a “sostituire un'assiomatica del possibile a

un'assiomatica del reale”66 – sostiene che “il possibile è inframince”,

e cioè lo spazio-tempo che separa o distanzia due cose quando è

impossibile definirne la misura67. E’ il divenire che rende tutto

possibile.

L’opera contemporanea poi si apre, è opera aperta68. Si tratta di

una realizzazione che è modificata e resa possibile da chi vi

interagisce, che assomiglia molto a quella procedura di continua

apertura (open-ended) “che consiste in una ininterrotta

reinterpretazione di se stessi e del mondo”, ritenuta fondamentale

da Achenbach nella Philosophische Praxis69.

Si tratta di un movimento generale delle nostre produzioni di senso,

infatti “tutti i dati della nostra cultura ci inducono a concepire,

sentire e quindi vedere il mondo secondo la categoria della

63 "Diamoci in pasto all'ignoto" scrive il fondatore del Futurismo (Marinetti, Fondazione e Manifesto del Futurismo 1909 in (a cura di) G.Davico Bonino, op.cit., p.41)

64 E cioè “il tipo di possibilità reale che agisce in mezzo al reale come sua fluidificazione o possibilizzazione continua.” (Dino Formaggio, Arte, Milano 1981, p.85)

65 Intervista a Franco Rella in AA.VV., op.cit. 1996, p.142

66 Jean Clair, Marcel Duchamp Il grande illusionista, Milano 2003, p.36

67 “Una cosa inframince porta dunque a interrogarsi su «quale rapporto» s'instaura con il principio di identità (nota 7), muta inoltre la considerazione del tempo poiché, anche alla sola distanza di un secondo, una cosa non è più la stessa: «nel tempo uno stesso oggetto non è lo stesso a un secondo di intervallo» (nota 7).” (Carla Subrizi, op.cit., p.120)

68 “L'apertura e la dinamicità di un'opera consistono invece nel rendersi disponibile a varie integrazioni, concreti complementi produttivi, incanalandoli a priori nel gioco di una vitalità strutturale che l'opera possiede anche se non è finita, e che appare valida anche in vista di esiti diversi e molteplici.”(Umberto Eco, Opera aperta, Milano 1991, p.59)

69 Peter Raabe, Teoria e pratica della consulenza filosofica, Milano 2006, p.57

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possibilità”70. Allora anche il luogo della consulenza filosofica deve

essere fluido, aperto, possibile: insomma non il campo di

concentramento dell’unidimensionalità, ma lo spazio aperto che si

costituisce nel rapporto libero fra due persone.

Secondo Shlomit Schuster, che propone un confronto serrato con

le psicoterapie, la pratica filosofica:

Invece di limitare le possibili soluzioni alle poche opzioni fornite da alcune conoscenze (per esempio quelle freudiane, junghiane, platoniche o l'opzione del Prozac), offre la speranza che è possibile ottenere molto di più, non mettendo confini al pensiero e alla ricerca.71 Bisogna valutare la categoria della possibilità sia in rapporto a ciò

che potrebbe avvenire - e qui si potrebbero ricordare gli eventi

Fluxus dove “tutto diventa possibile”72 e quindi tutto arte -, ma

anche in relazione a quanto suggeritoci da Duchamp con

l’inframince. Se verifichiamo un’impossibilità di misurare cose e

persone – perché ogni metro sarebbe diverso - consentiamo a tutto

di cambiare forma, quindi spazio e tempo.

13. Visibile ed invisibile

L’arte ci introduce ad un vedere differente. Già Nietzsche ci

suggerisce che dobbiamo imparare dagli artisti proprio un

“allontanarsi dalle cose, finchè molto di esse non si veda più e molto

altro si debba vedere in aggiunta, per vederle ancora - o vedere le

cose dietro l'angolo e come in scorcio”73. Merleau-Ponty sostiene

che “la pittura ci riporta alla visione delle cose stesse”74. Il

tradizionale vedere come della filosofia - che prende un fatto e ce lo

rende familiare ascrivendolo ad un territorio concettuale -, è 70 Ivi,p.184

71 Shlomit Schuster, La pratica filosofica, Milano 2006, p.219

72 Lea Vergine, L’arte in trincea, Milano 1999, p.55

73 Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, 107, Milano 2000, p.271

74 Maurice Merleau-Ponty, Conversazioni, Milano 2002, p.67

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rimpiazzato da quel vedere così individuato da Wittgenstein che è

“il balenare improvviso ed immediato di una visione differente”75. La

filosofia si accorta presto di questa singolare capacità di vedere

dell’arte. Attraverso l’immaginazione - dice Franco Rella - “il

visibile diventa, lo spigolo che ci rende percepibile l'invisibile”76.

Questo vedere ulteriore gli artisti del Novecento lo praticano in

maniera molto cosciente.

Franz Marc è forse il primo a rendersi conto di andare oltre

l’apparenza delle cose (“un demone ci concede di vedere tra le

fessure del mondo, e ci conduce in sogno dietro la sua variopinta

scena”77). L’artista non riconosce più ma conosce per la prima volta.

A tale proposito è interessantissima la sensazione descritta dallo

scultore Alberto Giacometti:

La realtà mi sfuggiva. Prima credevo di vedere molto chiaramente le cose, una sorta di intimità con il tutto, con l'universo... .. Poi. tutt'a un tratto, è diventato estraneo... uscendo, sul boulevard, ho avuto l'impressione di essere davanti a qualcosa di mai visto, un cambiamento completo della realtà... Sì, del mai visto, dell'ignoto totale, meraviglioso... Era un inizio.78

Poi è Klee ad affermarlo chiaramente (“l'arte non ripete le cose

visibili, ma rende visibile”79) ed in Italia questa attitudine a svelare

dell’arte si propone con la pittura metafisica, che riesce a vedere

oltre l’aspetto corrente delle cose “l'altro, lo spettrale o metafisico

che non possono vedere che rari individui in momenti di

chiaroveggenza e di astrazione metafisica”80. Sulla stesssa linea

75 vedi Mario Perniola, L’estetica del Novecento, Bologna 1997, p.169

76 “Diceva Ortega y Gasset che noi non vediamo un bosco, ma una cortina di alberi. E la nostra immaginazione che ci consegna l'”invisibile'' del bosco” (Intervista a Franco Rella in AA.VV., op.cit. 1996, p.146)

77 Mario De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Milano 1979, p.103

78 Alberto Giacometti, Conversazione con Pierre Schneider: Il mio lungo cammino in Massimo Donà, op.cit., p.217

79 Paul Klee, Confessione cratrice e altri scritti, Milano 2004, p.13

80 Giorgio De Chirico Sull’arte metafisica in Giorgio De Chirico Il meccanismo del pensiero, Torino 1985, p.85

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sono Mondrian81 e Klein82: la rinuncia alla rappresentazione in

realtà è collegata al progetto di “rivelare la struttura invisibile del

mondo”83. L’arte diventa quindi una rivelazione e ciò è quanto mai

presente nel lavoro dell’artista-alchimista Marcel Duchamp che

nella Scatola Bianca appunta l’idea che l’opera deve rinunciare ad

essere apparenza per diventare apparizione84.

Questo vedere oltre o attraverso o dentro o a lato delle cose (ma

anche nel vedere in superficie di Warhol c’è l’apparizione del nulla

quotidiano) maturato all’interno dell’arte del Novecento potrebbe

essere considerato per la consulenza filosofica quasi un obiettivo se

non avesse rinunciato a darsene. Ad ogni modo la consulenza, nel

suo porsi dialetticamente, può rendere visibile l’esserci e il

non-esserci dei due protagonisti per la prima volta, proprio perchè,

nel suo continuo movimento di chiarificazione, può rivelare

l’impensabile.

14. Reale e reali

Gli psicanalisti hanno avuto immediatamente ben chiaro cosa fosse

la realtà e ci hanno insegnato anche la differenza fra principio di

realtà e principio di piacere. L’arte contemporanea ha messo in

discussione il reale. All’inizio del secolo una nuova visione della

realtà si impone. L’arte frantuma l’armonia di un reale quieto e

definito che, precedentemente, essa stessa aveva contribuito a

creare.

81 “Il pittore non può rappresentare il gioco dei fenomeni così come ci appaiono, poiché non deve farci vedere altro se non ciò che davvero vi è”. (Paolo Spinicci, Simili alle ombre e al sogno, Torino 2008, p.136)

82 “Vedere di più, vedere l'invisibile è la motivazione originaria in Klein” (Luisa Valeriani, Dentro la Trasfigurazione, Milano 1999, p.129)

83 Jean-Jacques Wunenburger, op.cit. 1999, p.330

84 “Ovvero il calco, la deformazione o «riduzione» di un oggetto secondo una prospettiva che non permette più di osservarlo per quello che è usualmente”. (Carla Subrizi, op.cit., p.7)

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“Il reale, per troppo tempo confuso con l'apparente, si apre in tutte

le direzioni del possibile e tende a diventare con esso una cosa

sola”85. Con le avanguardie storiche l’arte ci invita ad evadere da

terre sicure e “a com-patire il volto vero del reale”86. E forse questo

vero volto è un insieme di reali possibili. L’arte ha un destino, quello

“di portare all'essere e all'esperienza realtà irraggiungibili dal

pensiero concettuale”, dice Rella. Oltre la realtà/crosta di

Durenmatt esistono un’infinità di possibili87. E l’arte li insegue. Li

insegue il fare derealizzante di Duchamp che è “sempre in fuga

dalla costrizione della realtà, dalla ragionevolezza della realtà”88. (I

ready-made – lo scolabottiglie o l’orinatoio – sono il reale invisibile).

Li insegue il dadaismo preoccupatissimo di salvaguardare le

tendenze anti-realtà dell’uomo che la psicanalisi tenta di

addormentare89. Il surrealismo “si fonda sull'idea di un grado di

realtà superiore connesso a certe forme d'associazione finora

trascurate” e auspica il futuro ricongiugersi della realtà ragionevole

e del sogno “in una specie di realtà assoluta, di surrealtà”90.

Per De Chirico è come se le realtà fossero schiacciate le une sulle

altre, basta dividerle ed ecco che emergono “nuovi aspetti e nuove

spettralità….di quegli oggetti che l'imbecillità universale rilega tra le

inutilità”91.

Questo progetto viene continuato da Warhol che santifica

ulteriormente il reale condiviso, che nel frattempo si è popolato di

merci. Rendere reale la merce: è questo che lo porta a dire “non

85 Andrè Breton, Crisi dell'oggetto, 1936 in Arturo Schwarz, op.cit. 1989, p.174

86 Massimo Donà, op.cit., p.263

87 Intervista a Franco Rella in AA.VV., op.cit. 1996, p.143

88 Luisa Valeriani, op.cit., p.153

89 Tristan Tzara Manifesto dadà 1918 in Tristan Tzara, op.cit., p.10

90 Andrè Breton Manifesto del surrealismo 1924 in Andrè Breton, op.cit. 2003, p.20

91 Giorgio De Chirico, Noi metafisici... in Giorgio de Chirico, op.cit., pp.67-71

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saprei dire dove l’artificiale finisca e inizi il reale”92. Da questo

momento in avanti l’arte più che cercare un altro reale invade il

reale esistente. E’ quel processo di estetizzazione generale delle

cose che denuncia Baudrillard che determina il grado Xerox della

cultura93. In questa corsa attraverso i reali mossi dal bisogno di

sfuggire alla datità94, oppure semplicemente dall’esigenza di creare

con l’immaginazione un differente universo del discorso,95 ci

rendiamo conto di appartenere reali diversi e di condividerli solo con

alcuni. Si fa strada la consapevolezza che la realtà “è un linguaggio

che si condivide” e che “se non si ha la stessa realtà non si può

comunicare”96.

Questo itinerario di critica al concetto di realtà messo

prepotentemente in campo dall’arte è molto utile alla consulenza

filosofica. Ci può far riflettere sulla realtà della consulenza e sui reali

che noi siamo quando entriamo in un rapporto. L’arte ha confuso i

piani ma lo ha fatto anche l’evoluzione tecnologica. Le vecchie

antinomie sono inservibili. Adesso i reali si sovrappongono, ci

insidiano.

La consulenza dovrà scoprire le dimensioni dei reali con cui ha a che

fare ogni volta e niente di tutto quello che sarà proposto come

motivazione dell’incontro potrà essere, neanche implicitamente,

assegnato al nulla. Se l’arte come ha giustamente notato Cassirer

è “un’intensificazione del reale”, laddove la scienza ne sarebbe

soltanto un’abbreviazione97, la pratica filosofica ha un compito

molto faticoso: intensificare tutti i reali possibili che attraversano il

92 Andy Warhol, I’ll be you mirror in Andrea Mecacci, op.cit, p.76

93 Jean Baudrillard, La sparizione dell’arte, Milano 1998, pp.20-37

94 Edgar Morin citato in Jean-Jacques Wunenberger, op.cit. 2008, p.68

95 Paolo Spinicci, op.cit., p.163

96 Intervista a Paul Virilio in AA.VV., op.cit. 1989, p.152

97 Ernst Cassirer, Saggio sull'uomo, Milano 1948, p.211

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contenitore filosofico che si va a costituire, sapendo bene che sono

diversi da quelli che incontrerà in tutte le situazioni successive.

15. Il meraviglioso

La tradizione filosofica98 individua nella meraviglia l’origine del

filosofare. L’arte contemporanea ripropone questo accesso al

mondo. Il meraviglioso è la dimensione elettiva dell’artista

novecentesco.

Il meraviglioso futurista è il primo passaggio che troviamo a questa

dimensione sconosciuta. E’ nel Teatro di varietà che si produce,

attraverso una serie di espedienti rivoluzionari, compreso l’uso del

cinematografo, tesi a strabiliare lo spettatore99. La difesa di questa

ambito misterioso è tanto più forte nel surrealismo. Nel primo

manifesto Breton stigmatizza il diffuso odio per il meraviglioso e ne

fa il paradigma della bellezza (”Tagliamo corto: il meraviglioso è

sempre bello, qualsiasi neraviglioso è bello, anzi solo il meraviglioso

è bello”100). In nome del meraviglioso il surrealismo combatte

contro l'autorità, la logica, il mondo dell'economia e del lavoro101.

Il fascino che esercita su Duchamp il problema della quarta

dimensione - assai dibattutto all’inizio del secolo, sia negli ambienti

scientifici che in quelle salottieri interessati all’esoterismo - è

appunto il poter accedere a questo meraviglioso che è il luogo

inattingibile del divenire, ma anche quello delle passioni che tutto

modificano.

Il meraviglioso per la pittura metafisica, e successivamente per la

98 “Si addice particolarmente al filosofo questa tua sensazione: il meravigliarti” dice Socrate nel Teeteto (11,155d), e Aristotele, nella Metafisica (I,2,982b,12): “Infatti gli uomini hanno iniziato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia”.

99 Marinetti, Il Teatro di Varietà 1913 in (a cura di) Luciano De Maria, op.cit., p.112-113

100 Andrè Breton Manifesto del surrealismo 1924 in Andrè Breton, op.cit. 2003, p.20

101 Mario Perniola La trasgressione del surrealismo in Filiberto Menna [a cura di], Studi sul surrealismo, Roma 1977, p.338)

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pop art, è il quotidiano. Bisogna scoprire il demone in ogni cosa,

scrive De Chirico102.

Il meraviglioso sta nella vita e la consulenza, come filosofia che

ritorna alla vita, ritrova anche il meraviglioso. Tutti i saperi

sclerotizzati non conoscono meraviglia. La pratica filosofica è il

luogo in cui si deve abbandonare la protezione del sapere che sa,

perchè ogni sapere di fronte al divenire diviene obsoleto. La filosofia

che trova la vita diviene viva e nel suo essere vivente

continuamente ammirata di ciò che incontra.

16. Il caso

La conclusione cui giunse il Dada fu di riconoscere nel caso un nuovo fattore stimolante della creatività artistica: questa esperienza fu talmente sconvolgente da poter essere definita il vero avvenimento centrale del Dada, quello che lo distingue da tutte le precedenti correnti artistiche.(...) Il caso divenne il nostro contrassegno. Seguivamo la direzione che esso ci dava come una bussola103. A partire dalle serate dada il caso entra nel fare arte

contemporaneo. Attraverso l’accoglimento dell’hazard si creano

poesie104, opere come l’ Erratum musicale o I 3 Stoppages etalon di

Duchamp105 o i quadri di Hans Harp. Per Breton l’hasard objectif

è il problema dei problemi106. Che cosa significa questo.

Sicuramente è un’ulteriore affermazione della dimensione del

possibile, ma manifesta anche una sorta di umiltà nel riconoscere di

non poter controllare tutte le forze in campo nella realizzazione di

qualcosa. Il caso crea indipendentemente dalla volontà e

l’accoglimento del caso è, ancora una volta, una riaffermazione della

102 Giorgio De Chirico, Zeusi l’esploratore in Giorgio De Chirico, op.cit., p.81

103 Hans Richter, op.cit., pp.62-64

104 “Tzara tagliuzzava gli articoli di giornale in minutissimi pezzi, ciascuno non più lungo di una parola, poi li metteva in un sacchetto, li scuoteva ben bene e poi li lasciava ricadere sul tavolo. Nell'ordine, anzi nel disordine, in cui le parole cadevano, formavano una "poesia", una poesia di Tzara, e dovevano esprimere qualcosa della personalità e dello spirito dell'autore”. (Ivi, p.65)

105 Carla Subrizi, op.cit., p.69

106 André Breton, Entretiens, Roma 1989, p. 109

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forza della vita.

Credo che questo possa insegnarci qualcosa in ambito

consulenziale: ci rende disponibile a ciò che può accadere e ci rende

ugualmente disponibili all’indeterminazione di qualsiasi risultato ci

eravamo prefissi. Il caso rende gli eventi meno certi e perciò più

possibili, le vite più interessanti e più misteriose.

17. Identità e differenza: consulenza filosofica come regio

dissimilitudinis

La possibilità è chiaramente una messa in discussione dell’identità.

Tutelare l’identità è un dovere dello Stato come del singolo. Ora il

moderno nasce proprio dalla frantumazione del principio identitario

e produce un’identità nomade, anzi una moltiplicazione dell’identità

individuale. Se il problema viene affrontato in psicoterapia è chiaro

che, quello che a noi sembra un’acquisizione storica oltre che un

dato accetabile, diventa una pura dissociazione della personalità.

L’arte ha invece immediatamente accolto quest’esplosione dell’io.

Partirei proprio dalle dichiarazioni di un artista, Arnulf Reiner -

esponenente dell’azionismo Viennese - che, a proposito della sua

arte, dice che essa tende “verso una ricerca dei numerosi esseri,

possibili e impossibili, che si nascondono in ciascuno di noi”107. Nella

produzione artistica questo processo è iniziato proprio quando è

saltata l’identità dell’opera ed anche la differenza fra opera e

autore. Quindi la moltiplicazione delle possibilità è stata in primo

luogo rottura di quest’ordine stabilito dell’identità burocratica.

A cominciare da Rose Selavy, l’alter ego di Marcel Duchamp e fino

alla serie di ritratti fotografici Altered Images di Warhol in cui

“reinterpreta se stesso vestendo di volta in volta i propri sé

multipli”108, si è fatta avanti l’idea della mutazione come “linguaggio

107 Dichiarazione di Arnulf Reiner in AA.VV., L’arte moderna 14 antologia critica, Milano 1975, p.50

108 Andrea Mecacci, op.cit., p.76

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ribelle che ha dissolto l’identità in una moltitudine di schegge in

accordo o in contrasto dei vari io che possono convivere all’interno

di uno stesso soggetto”109. Adesso è possibile ”cartografare

un'identità nomade e molteplice nella ricostituzione del sé”110. In un

futuro che è già un presente è prevedibile, con l’utilizzo consapevole

delle neo-tecnologie, che la costruzione dell’identità sarà

"rimpiazzata dall'immagine di una migrazione ininterrotta di io

successivi", dalla mappa di un continuo divenire di differenze”111.

L’arte quindi ha dato voce a questa moltiplicazione perchè

fondamentalmente è un “linguaggio che ha cura delle differenze che

abitano sulla terra”112. Contemporaneamente la nozione di

differenza si sviluppa nel Novecento in ambito filosofico 113. Fra

pratica (artistica) e teoria( filosofica) della differenza nasce quindi

un’alleanza contro la “banalità di ciò che è uguale a se stesso”.

Infatti arte e filosofia non sono “riducibili a una totalità compiuta, né

a una tautologia: i conti non sono mai pari”114.

Anche in consulenza filosofica i conti non sono e non possono essere

mai pari. La pratica filosofica è il posto dove la differenza trova

spazio e senso.

18. Passato e futuro

Il Futurismo, come dice il critico Maurizio Calvesi, è una nuova

filosofia dell’essere nel mondo115. Questo impeto rivoluzionario ci

109 Federica Alfano Miglietti, op cit.p.159

110 Teresa Macrì, Il corpo postorganico, Genova 1996, p.10

111 Giacomo Marramao citato in Luisa Valeriani, op.cit., p.159

112 Intervista a Franco Rella in AA.VV., op.cit. 1996, p.150

113 “Tutta questa grande vicenda filosofica, che non esito a considerare come la più originale e la più importante del Novecento, sta sotto la nozione di differenza, intesa come non-identità” (Mario Perniola, op.cit. 1997, p.154)

114 Mario Perniola, op.cit. 2000, p.91

115 Maurio Calvesi citato in (a cura di) G.Davico Bonino, op.cit., p.5

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suggerisce l’idea che è auspicabile azzerare il passato, distruggere il

museo collocato nella propria mente. “Volete dunque sprecare tutte

le vostre forze migliori, in questa eterna ed inutile ammirazione del

passato?”116, chiede Marinetti nel suo manifesto. Il tono è forte ma

il tradizionalismo (loro avrebbero detto il passatismo) della cultura

italiana del primo Novecento era soffocante.

C’è da dire che per noi, diversamente dagli italiani non futuristi

della belle epoque, è impossibile non cogliere la dimensione del

futuro. E’ vero, il presente è l’unico tempo su cui possiamo

intervenire con successo, ma il nostro presente si è espanso, sono

rimanda sempre a sarò. Questa dimensione progettuale che ci

costituisce non può essere demonizzata da una filosofia dell’hic et

nunc.

C’è un forte richiamo all’oblio nel primo Manifesto futurista. Vi si

legge: “impugnate i picconi, le scuri, i martelli e demolite, demolite

senza pietà le città venerate”117. Anche Duchamp sostiene che

“dobbiamo imparare a dimenticare il passato”, non permettendo ai

morti di essere tanto più forti dei vivi118.

Diffuso è l’andare avanti con la testa girata all’indietro. Il peso del

passato blocca tante storie individuali. Credo che la consulenza

filosofica non possa che immergersi in un fluire, un divenire, che è

comunque un andare in avanti. Le psicoterapie invece sono spesso

l’alibi di chi vuol continuare a guardare alle proprie spalle.

19. Gioco ed ironia

Un altro elemento che ritorna nel fare/pensare artistico del secolo

scorso è quello del gioco. Questa libera e disinteressata attività

assume immediatamente con il Futurismo ua sua centralità, per 116 Ivi, p.44

117 Ivi, p.45

118 Marcel Duchamp 1915 in Arturo Schwarz, Duchamp, Milano 1988, p.120

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alcuni è addirittura “l’anima più autentica” del movimento119. Forse

perchè la vita è soltanto un gioco di parole120, i surrealisti inventano

dei giochi che servono ad entrare in contatto con l’altrove121. Anche

Duchamp è un grande produttore di giochi di parole e soprattutto

un giocatore di scacchi professionista.

Più tardi i situazionisti ampliano la definizione di gioco fino ad

intenderla come qualsiasi attività senza scopo ed esaltandola quindi

come assolutamente necessaria alla vita. E’ importante notare che

“La nozione di gioco risulta connessa con la nozione di fallimentarità

del comportamento” e cioè un comportamento non economico ma

“inteso al recupero di tutto il tempo-spazio della vita, del vissuto,

del quotidiano”122. Il gioco quindi in una esistenza liberata non

dovrà più realizzarsi in un finto tempo libero ma “invadere l’intera

vita”123. Nei nostri incontri filosofici non bisogna mai trascurare il

gioco. Dice bene Pollastri:

La stessa tanto rivendicata "gratuità" dell'agire filosofico altro non mostra se non la sua fondamentale ludicità(…) La filosofia, in certo senso, è dunque un gioco, e come un gioco deve esser condotta anche la consulenza filosofica.124 In fondo l’arte ci insegna che qualsiasi fare culturale, e cioè

svincolato in prima istanza dall’economico, è fondamentalmente

gioco, così come le parole che utilizziamo conservano

un’ambivalenza ludica. Nel gioco si fa come se e questo apre il

campo, dispone alla relazione, trasforma la rappresentazione da

tragedia a commedia.

119 “Massima importanza è attribuita al gioco, quale suscitatore di comportamenti spontanei, gli unici in grado di mettere a nudo l'artista che è in ciascuno.” (Anna D'Elia, L'universo futurista, Bari 1988, p.23)

120 Tristan Tzara Conferenza su Dadà in Tristan Tzara op.cit., p.80

121 Per esempio il Cadavre Exquis (vedi qui Fare arte in consulenza)

122 Stelio Maria Martini, op.cit., p.223

123 Jean-Francois Martos, op.cit., p.108

124 Neri Pollastri, Consulente filosofico cercasi, Milano 2007, p.73

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L’arte del ‘900 produce l’humour nero che porta “la realtà ai confini

della sua inesistenza, rompe le catene del pensiero con un tempo

fittizio al fine di un reale capovolgimento del mondo secondo il

piacere” e questo svela all’uomo la possibilità di “crearsi, dal

profondo di se stesso, spontaneamente e per un momento, un

doppio dotato di una libertà prodigiosa”125. L’ironia e la libertà

corrono insieme ed attentano a tutto ciò che pretende di delimitare

e chiudere. La filosofia - quella che entra nella vita - pratica

l’humour perchè non può che essere una critica all’esistente.

20. La risata

“Ridevamo di tutto. Ridevamo di noi stessi, come dell'imperatore,

del re e della patria, delle pance piene di birra e dei poppatoi. Per

noi ridere era una cosa seria”, dice Hans Richter nella sua

ricostruzione del clima dadaista zurighese126. Lo stesso uso dada di

oggetti comuni prelevati dal quotidiano è in grado di provocare il

riso127. Uno dei quadri più belli di Boccioni si intitola proprio La

risata. I futuristi si sono divertiti molto in questo inizio secolo.

Ardengo Soffici annuncia di aver finalmente stabilito la formula:

Arte = Divertimento128. Ed è la stessa equazione che ritroviamo

negli anni sessanta: FLUXUS ART = DIVERTIMENTO129, promossa

dal suo ideatore George Maciunas.

L’arte in questo forse supera la filosofia perchè è disposta a ridere di

se stessa. Ridere e divertirsi significa mettere in discusssione il

125 Annie Le Brun Lo humour nero, 1966 in Arturo Schwarz, op.cit. 1989, pp.205-208

126 Hans Richter, Dada. op.cit., p.78

127 “Naturalmente né l'asciugabottiglie né l'urinoir sono arte. Ma la risata, che c'è dietro questa messa alla berlina « di tutto ciò che ci è sacro », ci scuote così profondamente”(Ivi, p.110)

128 Ardengo Soffici, Fine dell'arte 1920 in (a cura di) Luciano De Maria, op.cit., p.240

129 “L'arte-divertimento deve essere semplice, divertente, senza pretese, interessata all'insignificante, non deve richiedere abilità e innumerevoli prove, non avere valore di bene o istituzionale”.(Lea Vergine, op.cit. 1999, p.60)

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proprio statuto, osare giudicarsi. Ancora una risorsa per la

consulenza filosofica. Oltre l’idea della seriosità, che rappresenta

solitamente la scena in cui si svolge il rapporto con i medici

dell’anima, la complicità del riso e del sorriso, la disposizione a non

prendersi sempre troppo sul serio – laddove l’entità e la persistenza

del dolore e della sofferenza lo permettano - può essere un

vantaggio per il rapporto e per il dialogo. Può creare infatti quella

sintonia amicale che è la scena ideale della pratica filosofica.

21. Patafisica scienza e filosofia

Nel 1894 Alfred Jarry conia il termine Patafisica che

successivamente definisce come “scienza delle soluzioni

immaginarie, che accorda simbolicamente ai lineamenti le proprietà

degli oggetti descritti per la loro virtualità” 130. Questa scienza del

particolare - che si occupa di tutto quanto di grottesco c'è

nell'universo - è il primo attacco ludico che l’arte contemporanea

sferra alle scienze esatte.

L’arte contemporanea riabilita proprio l’inesatto, l’erroneo, il

particolare: è fuori-legge. Tzara detesta “l'obiettività adiposa e

l'armonia, questa scienza che trova sempre tutto in ordine”131. E

Duchamp con la sua fisica divertente e la sua meccanica

dissimilante la deride132. La difesa della natura di Beuys, così come

il suo sciamanesimo, si oppongono all’idea di una razionalizzazione

universale.

L’arte contemporanea, è vero, sperimenta. Ma il suo

sperimentalismo non cerca leggi, piuttosto eccezioni. Questo

discorso non vale naturalmente per tutta la produzione artistica 130 Alfred Jarry, Gesta e opinioni del dottor Faustroll,patafisico, Milano 2002, p.31

131 Tristan Tzara Manifesto dadà 1918 in Tristan Tzara, op.cit., p.11

132 “Mi premeva introdurre l’elemento esatto e preciso della scienza. Non lo facevo per amore della scienza, al contrario, lo facevo piuttosto per screditarla in modo bonario, leggero, privo d'importanza”.(Jean Clair op.cit.,p.53)

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novecentesca, che per una parte ha tentato di far proprio il metodo

scientifico. A noi non interessa, in questa sede, l’arte dell’andatura

eretta. E’ l’irruzione della vita, - in quanto “groviglio degli opposti e

di tutte le contraddizioni, del grottesco, e dell’incongruenza”133, che

sovverte le regole o meglio che rende solo temporanee e transitorie

le regole, sicuramente molto più fedele della scienza al divenire

dell’esistente134 - ciò che interessa l’arte di cui stiamo parlando. Il

paradigma scientifico che è stato adottato da alcuni movimenti -

come il minimalismo o l’arte concettuale - è lo stesso che ha ispirato

le scienze umane. Esso tende ad arginare la libertà e rappresenta

un pericolo per la creazione artistica e per la creazione di se stessi.

Credo che la pratica filosofica debba difendersi da qualsiasi

tentazione scientifica, che, inevitabilmente, tenderebbe a

mortificare quell’idea della filosofia come “cultura delle domande,

non delle soluzioni che possono essere interrogate e delle

conoscenze che vengono richiamate all’occorrenza”135 e soprattutto

quel principio della consulenza filosofica che sancisce che “essa

cresce solo sul terreno di una libertà senza confini”136.

22. Arte e vita/Filosofia e vita

Uno degli obiettivi e dei miti fondativi del contemporaneo in arte -

sia delle avanguardie storiche che successivamente delle

neoavanguardie degli anni sessanta/settanta - è stato quello

dell’estetica diffusa, vale a dire l’idea che vita e arte potessero

coincidere.

L’arte del Novecento ha lasciato i territori dell’Accademia e si è

133 Tristan Tzara Manifesto dadà 1918 in Tristan Tzara, op.cit., p. 14

134 “Se non avessimo sancito la bontà delle arti e inventato questa specie di culto del fittizio, non si potrebbe affatto sopportare la visione dell’universale falsità e menzogna che ci vien oggi offerta dalla scienza”.(Friedrich Nietzsche, op.cit. 2000, pp.186-187)

135 Gerd Achenbach, op.cit., p.80

136 Ivi, p.82

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messa a braccetto con la vita. Infatti per questi artisti l’arte è stata

indissociabile dall’esistenza. Noi vogliamo rientrare nella vita137

gridano i futuristi e, per placare questa fame di vita, propongono di

allenarsi alla simultaneità, per velocizzare e moltiplicare le

possibilità di essa138. Questo vitalismo139 è il motivo dominante del

manifesto dadaista che rappresenta anche un’apologia della vita. E

la vita non si distingue dalla poesia: “la nostra poesia era un modo

di esistere”140.

Nasce quindi l’idea di far della propria vita un’opera d’arte.

Duchamp dice di essersi servito dell'arte “per stabilire un modus

vivendi, una specie di metodo per capire la vita”141. I situazionisti

tentano di estendere questa sorta di privilegio a tutti. L’imperativo

diventa “la liberazione della vita quotidiana”142. Negli stessi anni

Fluxus lavora in questa direzione, sebbene con intenti meno

politici, sostenendo con forza in ogni sua dichiarazione che “nella

necessità espressiva e creativa non ci deve essere differenza fra

arte e vita”143.

Per Beuys l’arte “è un impegno creativo del vivere, è un

comportamento della nostra vita”144. Testimone anch’egli di questo

rapporto simbiotico fra arte e vita, seppure giocato non in

profondità ma in superficie145, è Andy Warhol.

137 Umberto Boccioni, La pittura futurista.manifesto tecnico 1910 in Mario Verdone, Il futurismo, Roma 2003, p.129

138 Fedele Azari, Vita simultanea futurista Direzione del Movimento Futurista, Roma, 1927.

139 Proclama senza pretesa in Tristan Tzara, op.cit., p.15

140 Ivi, pp.90-94

141 Marcel Duchamp citato in Luisa Valeriani, op.cit., p.159

142 Jean-Francois Martos, op.cit., p.89

143 Lorenzo Taiuti, Arte e media, Genova 1996, p.91

144 Lucrezia de Domizio, Il cappello di feltro, Roma 1991, p.119

145 “Se vuoi sapere tutto su Andy Warhol guarda soltanto la superficie dei miei quadri, dei miei film e di me, io sono lì. Dietro non c'è niente” (Andy Warhol, I’ll be you mirror in Andrea Mecacci, op.cit., p.18)

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Ora la filosofia ha bisogno di ricongiungersi con la vita proprio come

l’arte ha tentato di fare.

Avrà la consulenza filosofica la forza di centrare sul fare una filosofia

che è cresciuta lontana dal mondo? Innanzitutto bisogna correre il

rischio di battersi per una filosofia diffusa che è innanzitutto una

perdita di privilegi. Il dialogo tra filosofi - più che tra filosofo e non

filosofo o semmai fra filosofi consapevoli ed inconsapevoli146 - può

essere, come lo è stato per l’arte, una sorta di utopia concreta. Ma

la questione è anche l’abbandono della cattedra ed una sorta di

assunzione della responsabilità che porti ad essere filosofi. Come gli

artisti sono stati quello che creavano, bisognerebbe essere filosofi

seguendo l’esempio di quelli che “sono stati quello che dicevano”,

trasformando al loro parola in carne147. La filosofia diventerebbe

così un modo di vivere:

Filosofare dovrebbe essere un modo di vivere: un modo di interagire, partecipare, essere insieme alle idee che sono intrecciate con la nostra vita.148

23. Funzione filosofica dell’arte e funzione artistica della filosofia

Peter Sloterdijk ha individuato quella che ha definito la funzione

filosofica dell’arte vale a dire “il luogo in cui la vita si mostra come

sarebbe se non fosse mutilata (..) una vita creativa, una vita intesa

come un perpetuo inventarsi e formarsi all'interno di un ambito pre-

strutturato”149.

Ammesso che esista questa funzione, ve ne è una analoga che

possa emergere in consulenza filosofica? Io credo di sì. La filosofia

che si fa pratica è capace di sollecitare gli uomini che la frequentano

146 “Forse siamo già tutti nella filosofia, dobbiamo solo riuscire a strappare questa condizione dallo stato di latenza e di occasionalità e portarla così a uno stato determinato, a una condizione esistenziale”.(Stefano Zampieri, op.cit, p.46)

147 Gerd Achenbach, Saper vivere, Milano 2006, pp.58-59

148 Ran Lahav, op.cit., pp.166-167

149 Intervista a Peter Sloterdijk in AA.VV., op.cit. 1989, p.131

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ad inventarsi, perchè è una creazione a quattro mani continua in cui

nulla resta definito e tutto possibile. Ed inoltre può aprire degli

scenari inconsueti.

24. L’arte e la consulenza filosofica come soglie

La storica dell’arte Luisa Valeriani ha sottolineato come l’arte

contemporanea si ponga sul limitare di un confine:

Sempre di più è emerso nell’arte contemporanea il suo caratttere di soglia, il suo appartenere simultaneamente alla realtà e alla possibilità, il suo essere una lontananza prossima, contesto di plausibilità dell’implausibile, contemporaneamente allegorica ed autoegorica: parlante cioè, nello stesso tempo e indissolubilmente, sia di altro che di sé.150 Questo suo statuto così diveniente e contraddittorio, questa sua

transitorietà è la sua forza, è quasi il marchio della sua libertà.

Questa postazione permette all’artista di “usare un Rembrandt

come tavolo da stiro”151. Gli consente quella pratica di fluidificazione

del reale che ne fa un modello insuperato di vitalismo e vitalità.

La consulenza filosofica dovrebbe trovarsi nella stessa posizione,

perchè qualsiasi altra posizione assuma - non suscettibile di

trasformarsi - ne farebbe un luogo chiuso di consolazione. La soglia

è proprio il punto dell’impossibilità di una consolazione e di

attivazione di uno sguardo che rivela.

25. Il filosofo artista

Molti hanno notato che si va creando una complicità, che spesso

diventa una comunione tra filosofo ed artista. Nota Lyotard che “a

partire da Duchamp (..) sembra difficile non essere un artista se

non si è anche un filosofo”152. Il filosofo artista è un’aspirazione che

corre lungo tutto lo sviluppo del pensiero di Nietzsche, fin dai suoi

150 Luisa Valeriani, op.cit., p.51

151 Marcel Duchamp 1919 in Arturo Schwarz, op.cit. 1988, p.120

152 Intervista a Jean-Francois Lyotard in AA.VV., op.cit. 1989, p.86

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primi scritti. Qui il filosofo artista è descritto come chi “inventa, per

sé e per gli altri, nuove possibilità di vita”, vale a dire “nuove

metafore o nuove metonimie, nuove immagini e rapporti

d'immagini, perfino nuovi miti o sogni - bei simulacri - affinché noi

possiamo non morire di verità “153. E‘ insomma chi “conosce

inventando, inventa conoscendo”154. Non morire di verità e

riconoscersi in un ruolo eroico-ironico155: ecco il compito.

La sfida per il consulente filosofico è questa: divenire un

filosofo artista capace di inventare continuamente se stesso e di

inserire la propria azione ed il proprio pensiero nel flusso di vita che

condivide con l’altro.

26. Fare arte nella pratica filosofica

Sul piano di ciò che si può provare direi che bisognerebbe verificare

la portata filosofica di alcune pratiche nate in ambito artistico:

l'ostranenje (spaesamento) teorizzato da Sklovskij o il

verfremdungseffekt (effetto d’estraniazione) di Brecht156 o ancora il

detournement157 lettrista-situazionista. Si tratta di strategie di

decontestualizzazione che tendono a mutare il reale considerato.

Dice Dorfles:” l'estraneamento d'un termine, d'un oggetto, d'un

concetto dal suo normale contesto è in grado di rendere più

153 Jean-Noel Vuarnet, Il filosofo-artista, Catania 1979, p.114

154 Friedrich Nietzsche citato in Jean-Noel Vuarnet, op.cit, p.110

155 Mario Perniola, L’arte e la sua ombra, Torino 2000, p.73

156 “Tocca all’effetto d’estraniazione (Verfremdungseffekt) produrre questa dissociazione in cui il mondo può essere riconosciuto per ciò che è.(..) Le cose della vita quotidiana sono tolte dal regno dell' evidenza ovvia” (Bertolt Brecht, Scritti teatrali, Torino 1963, p.76).

157 “L'lnternationale lettriste, sin dal n. 3 dell'agosto 1953, accenna ad un procedimento decisivo per l'avvenire della comunicazione: il détournement delle frasi (......) Tutti gli elementi, presi ovunque, possono essere oggetto di nuovi accostamenti(....)Va da sé che si può non solo correggere un'opera o integrare vari frammenti di opere superate in un'opera nuova, ma anche cambiare il senso di tali frammenti e truccare in qualsiasi modo ritenuto opportuno quelle che gli imbecilli si ostinano a chiamare citazioni”. (Jean-Francois Martos, op.cit., p. 21)

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pregnante ed esteticamente attivo tale oggetto o concetto”158. E’ il

modo usato da Duchamp per i suoi ready made e anche il nome

per il riuso rivoluzionario dei materiali culturali operato da Debord.

Che cosa potrebbe significare in ambito consulenziale:

sostanzialmente significa provare a considerare il proprio parlare un

elemento convenzionale passibile di venir risignificato, riutilizzato,

ricreato. Si tratta di un modo pericoloso di procedere che, una volta

realizzatosi, consente una visione meno partecipata perchè più

ironica della situazione vitale.

Ugualmente si potrebbe utilizzare un gioco - senza nessuna pretesa

di far manifestare ciò che viene definito inconscio - che può servire,

per esempio, quando il dialogo si arresta. Si tratta di un gioco

surrealista descritto come segue:

CADAVRE EXQUlS: gioco di carta piegata che consiste nel far comporre una frase o un disegno a parecchie persone, senza che nessuna di esse possa tener conto della collaborazione o delle collaborazioni precedenti. L'esempio, ormai classico, che ha dato nome al gioco, è nella prima frase ottenuta con questo metodo: il cadavere-squisito-berrà-il-vino-nuovo159. Riadattato al dialogo a due, questo divertissement, capace come è

di demistificare l’autorità delle parole, può suscitare capacità

associative che rilanciano il pensiero nella vita.

27. La consulenza filosofica come arte

“Nell’opera d’arte la verità dell’ente si è posta in opera”160 e questo

significa che nell’opera “l'ente appare in modo nuovo, oltre

l'abitudine o la sua funzione d'uso”161. La consulenza filosofica può

innanzitutto essere il luogo dove le esistenze in gioco appaiono nella

loro reciproca ed irrepetibile novità ed autenticità. In questo senso

158 Gillo Dorfles, Il divenire della critica, Torino 1976, p.236

159 Andrè Breton, Le cadavre exquis, la sua esaltazione, 1948 in Arturo Schwarz, op.cit. 1989, p.193

160 Martin Heidegger, L’origine dell’opera d’arte in Sentieri Interrotti, Firenze, 1968

161 Elio Franzini-Maddalena Mazzocut-Mis, op.cit., p.139

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diventerebbe opera, opera a quattro mani.

E’ stato rilevato poi che la consulenza filosofica è apparentata alla

pratica artistica (il riferimento è alle jam sessions jazzistiche),

perchè ambito dove si improvvisa162, giocando sul continuo

utilizzo/superamento dei saperi. E’ sicuramente questa un’altra delle

sue attitudini artistiche.

Le sollecitazioni provenienti dal fare artistico ci offrono la possibilità

di sottrarci alla funzione di meccanici o ingegneri del pensiero,

invitandoci ad aprirci insieme ai nostri interlocutori.

La filosofia praticata, la filosofia del nostro tempo, ha ragione di

essere solo se riesce a sopportare l’impatto con la vita senza

pretendere di arginarla e senza pensare di tradire se stessa, e se

pensa all'uomo come unità differente, identità fluttuante in

condizione di perenne apertura. Progetto che potrà realizzare solo

se diventa arte.

162 “Ogni attività artistica è improvvisazione: solo la libertà dalla costrizione tecnica, la possibilità di scegliere autonomamente il metodo migliore e perfino di trasformarlo, può favorire la creatività. Anche la filosofia nella sua accezione tradizionale ha a che fare con questo universo di attività artistiche”. (Neri Pollastri, op.cit. 2007, p.74)

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Indice

0. Un’introduzione .............................................................. 4

1. Perchè l’arte ................................................................... 5

2. Arte e filosofia ................................................................ 5

3. Il coraggio del consulente ............................................... 6

4. Creare se stessi............................................................... 7

5. Libertà ............................................................................ 8

6. Il corpo nell’arte e nella pratica filosofica ....................... 9

7. Un’idea: essere un oggetto, essere indifferenti ............. 12

8. Contro la Ragione.......................................................... 13

9. Elogio della follia........................................................... 15

10. L’immaginazione e l’immaginario ................................ 16

11. L’ntuizione .................................................................. 17

12. Il possibile .................................................................. 17

13. Visibile ed invisibile ..................................................... 19

14. Reale e reali ................................................................ 21

15. Il meraviglioso ............................................................ 24

16. Il caso ......................................................................... 25

17. Identità e differenza: consulenza filosofica come regio dissimilitudinis................................................................... 26

18. Passato e futuro .......................................................... 27

19. Gioco ed ironia ............................................................ 28

20. La risata ...................................................................... 30

21. Patafisica scienza e filosofia ........................................ 31

22. Arte e vita/Filosofia e vita ........................................... 32

23. Funzione filosofica dell’arte e funzione artistica della filosofia.............................................................................. 34

24. L’arte e la consulenza filosofica come soglie................ 35

25. Il filosofo artista.......................................................... 35

26. Fare arte nella pratica filosofica .................................. 36

27. La consulenza filosofica come arte .............................. 37

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