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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Ufficio per gli Incontri di Studio Incontro di studio sul tema: “La successione di leggi penali nel tempo tra diritto e processo” Roma,26 – 27 febbraio 2009 Ergife Palace Hotel L’art. 2 del codice penale tra nuova incriminazione, abolitio criminis, depenalizzazione e successione delle leggi nel tempo Relatore Dott. Marco GAMBARDELLA Ricercatore di diritto penale nell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Ufficio per gli Incontri di Studio

Incontro di studio sul tema: “La successione di leggi penali nel tempo tra diritto e processo”

Roma,26 – 27 febbraio 2009

Ergife Palace Hotel

L’art. 2 del codice penale tra nuova incriminazione, abolitio criminis, depenalizzazione e successione delle leggi nel tempo

Relatore Dott. Marco GAMBARDELLA Ricercatore di diritto penale nell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

Incontro di studio sul tema: La successione di leggi penali nel tempo tra diritto e processo

Roma, 26 – 27 febbraio 2009

TESTO PROVVISORIO

L’ART. 2 DEL CODICE PENALE TRA NUOVA INCRIMINAZIONE, ABOLITIO

CRIMINIS, DEPENALIZZAZIONE E SUCCESSIONE DELLE LEGGI NEL TEMPO

Marco Gambardella Ricercatore di diritto penale Sapienza Università di Roma ([email protected])

Sommario: 1. La teoria del fatto concreto posta a fondamento della distinzione contenuta nell’art. 2 c.p. tra legge abolitiva e legge semplicemente modificativa. - 2. Il superamento della teoria del fatto concreto coll’introduzione del principio costituzionale di irretroattività (art. 25 comma 2 Cost.). - 3. Il concetto di abolitio criminis inteso come abrogazione di una norma incriminatrice. - 4. Le regole intertemporali. - 5. La depenalizzazione. - 6. Il rapporto di specialità tra norme incriminatrici. - 7. L’abolitio criminis parziale. - 8. Relazione di specialità e abolitio criminis. - 9. L’abrogatio sine abolitione. - 10. Specialità diacronica e specialità sincronica. - 11. Successione di disposizioni integratrici.

1. La teoria del fatto concreto posta a fondamento della distinzione contenuta nell’art. 2 c.p. tra legge abolitiva e legge semplicemente modificativa.

All’interno dell’istituto della successione di leggi penali nel tempo, “il problema” tra i

problemi è rappresentato dalla distinzione tra il fenomeno abolitivo e quello semplicemente modificativo di una norma incriminatrice. E’ opinione diffusa che il problema si sia oggi acuito a seguito del periodo di grandi mutamenti legislativi che stiamo vivendo. Ma in realtà quest’ultima affermazione è niente più che un topos (luogo comune): già il grande Francesco Carrara nell'ultimo capitolo (XI) della parte generale del suo Programma, affrontando il tema delle "modificazioni legislative", scrive che appaiono frequenti le mutazioni legislative e spesso esse cadono sulla materia penale (§ 744) 1; e più di recente Tullio Padovani nel suo storico articolo del 1983 sostiene che il disinteresse della tradizionale dottrina italiana per il problema si spiega perché esso ha acquistato rilevante significato pratico solo nell’esperienza giuridica più recente caratterizzata da momenti di intenso rivolgimento normativo2.

1 F. CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, parte generale, vol. II, Prato, 1886, p. 275 ss. 2 T. PADOVANI, Tipicità e successione di leggi penali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1982, p. 1355 ss.

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Ora, le cose non stanno esattamente così: il problema di distinguere tra fenomeno abolitivo e mera modificazione normativa nasce in tempi recenti da un cambiamento “epocale” di costruzione giuridica. Fino agli anni ’80 il tema non era preso in considerazione: né dalla giurisprudenza né dalla dottrina. Ad esempio, Manzini nelle numerose pagine dedicate, all’interno del suo Trattato (circa 50 pagine), all'esame dei limiti d'applicabilità della legge penale in relazione al tempo, non spende neanche una parola per individuare un criterio giuridico al fine di distinguere tra incriminazioni abolite e successione tra disposizioni soltanto diverse3. Illuminante in proposito è un’esperienza personale: l’incontro con il prof. Antonio Pagliaro molti anni fa in biblioteca. Mi domandò che cosa stessi studiando: e di fronte alla mia risposta concernente il tema della presente Relazione, mi disse – bonariamente – che l’argomento non presentava alcuna problematicità: muovendo infatti dalla tesi del fatto concreto non sorge alcuna difficoltà per stabilire se ci troviamo in presenza di una abolitio criminis o di una vicenda modificativa. In effetti, se si indaga sulla genesi dell’art. 2 c.p., ci si accorge che alla base della disposizione codicistica c’è la teoria del fatto concreto. Come emerge dai lavori preparatori del codice Rocco (Relazione Appiani e Relazione Rocco), il fatto concreto rappresenta la teoria fatta propria dal legislatore nell'art. 2. E' evidente, infatti, che il test per risolvere l'alternativa: legge abolitiva/legge semplicemente modificativa è costituito dalla possibilità o meno di qualificare ancora come reato il "fatto storico".

La teoria della c.d. valutazione in concreto si fa concordemente risalire all'inizio del novecento, attribuendola al giurista tedesco Friedrich Oppenhoff 4. Essa può enunciarsi secondo lo schema logico: “prima punibile; dopo punibile; dunque ancora punibile”.

In Italia, la teoria del fatto concreto è stata magistralmente illustrata da Marcello Gallo e Antonio Pagliaro5.

Secondo questa teoria nella vicenda normativa delineata nell’art. 2 comma 2 c.p. non si esige che la legge successiva intervenga ad abrogare la fattispecie incriminatrice; bensì che alla stregua di una legge posteriore il fatto da qualificare non risulti più costitutivo di reato. Pertanto, non è necessario che sia eliminata una figura criminosa, ma occorre che non sia più possibile qualificare, secondo regole posteriori, un fatto concreto come reato6.

Per aversi una successione di leggi modificativa, è sufficiente che la fattispecie concreta sia riconducibile sotto la qualificazione giuridica di due regole l’una consecutiva all’altra. Non serve, invece, che le due regole che si susseguono nel tempo siano tra loro in rapporto di specialità in astratto7. Invero, il tema può essere posto correttamente solo con il riferimento al fatto concreto, e non ai rapporti astratti tra fattispecie incriminatrici: il comma 4 dell'art. 2 c.p. si applica allorché il fatto concreto sia rimasto punibile per le diverse leggi che si sono succedute 8.

In conclusione: esaminando le regole contenute nell’art. 2 c.p. e indagando sulle sue radici storiche si può allora affermare che: la logica codicistica della successione di leggi

3 V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. I, Utet, 1950, p. 318 ss. 4A. PAGLIARO, La legge penale tra irretroattività e retroattività, in Giust. pen., II, 1991, p. 1 ss.; E.M. AMBROSETTI, Abolitio criminis e modifica della fattispecie, Cedam, 2004, p. 53; B. ROMANO, Il rapporto tra norme penali, Giuffrè, 1996, p. 82; R. ALAGNA, Tipicità e riformulazione del reato, Bononia University Press, 2007, p. 45 ss. 5 M. GALLO, Appunti di diritto penale, vol. I, La legge penale, Giappichelli, 1999, p. 111 ss.; A. PAGLIARO, La legge penale tra irretroattività e retroattività, in Giust. pen., II, 1991, p. 1 ss.; A. PAGLIARO, Principi di diritto penale, parte generale, Giuffrè, 2003, p. 112 ss. 6 M. GALLO, Appunti di diritto penale, cit., p. 112 ss. 7 M. GALLO, Appunti di diritto penale, cit., p. 124. 8 A. PAGLIARO, La legge penale tra irretroattività e retroattività, cit., p. 4. In tal senso appaiono orientati in dottrina anche S. VINCIGUERRA, Diritto penale italiano, vol. I, Cedam 1999, p. 335 ss.; e G. DE VERO, Corso di diritto penale, I, Giappichelli, 2004, p. 310.

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penali nel tempo è fondata sulla teoria del fatto concreto. Questo spiega perché, dal punto di vista storico, non si rinvengono studi, indagini, pronunce giurisprudenziali specificamente volte ad individuare criteri cui ancorare, con esattezza, la controversa distinzione tra legge abolitiva e legge modificativa: il criterio del fatto concreto risolve agevolmente gli eventuali casi dubbi. Basta stabilire se l'accadimento storico sia riconducibile anche al nuovo testo legislativo: la qualificazione come reato, in base alla nuova disposizione, elimina in radice ogni dilemma riguardo all'esatta delimitazione tra abolizione e modificazione della legge penale.

2. Il superamento della teoria del fatto concreto coll’introduzione del principio

costituzionale di irretroattività (art. 25 comma 2 Cost.). Perché a partire dagli anni ’80 si è cominciato ad introdurre il tema della distinzione

tra l’abrogazione e la modificazione normativa ? Il motivo mi sembra la valorizzazione del principio costituzionale di irretroattività (art.

25 comma 2 Cost.). Come accaduto già per il principio di colpevolezza (art. 27 Cost.), dottrina e

giurisprudenza hanno tardato a dargli la giusta rilevanza nella interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni codicistiche.

Fondamentale articolo di Tullio Padovani del 1982 (Tipicità e successione di leggi penali)9.

Per quest’ultimo autore, il criterio del fatto concreto è inacettabile perché si pone in deciso contrasto con il principio costituzionale di irretroattività della norma incriminatrice. Infatti, alla stregua di tale criterio vi è successione modificatrice se il fatto concreto sia riconducibile a due fattispecie che si avvicendano nel tempo, anche se le due fattispecie sono costituite da elementi eterogenei tra loro: dando così rilevanza penale ad elementi che prima non l’avevano.

In sostanza, si applica qui retroattivamente la norma incriminatrice in contrasto con quanto disposto dall’art. 25 comma 2 Cost. Invece, il confronto deve instaurarsi necessariamente tra norme incriminatrici, tra tipi di reato, tra modelli astratti di reato10.

Il punto di forza del criterio del fatto concreto risiede nella sua semplicità di applicazione, anzi nella sua semplicità si risolve in un non criterio. La teoria del fatto concreto non risolve i cosiddetti “casi difficili”, e rappresenta solo un primo dato per distinguere tra

9 T. PADOVANI, Tipicità e successione di leggi penali, cit., p. 1354 ss. 10 T. PADOVANI, Tipicità e successione di leggi penali, cit., p. 1359. Così anche G. FIANDACA, Questioni di diritto transitorio in seguito alla riforma dei reati di interesse privato e abuso innominato di ufficio, in Foro it., 1990, II, c. 643, per il quale non risulta più accettabile il criterio della mediazione del fatto concreto quale parametro diagnostico della successione di leggi, giacché esso elude, più o meno surrettiziamente, il principio di irretroattività della norma penale. Cfr. altresì P. SEVERINO, voce Successione di leggi penali nel tempo, in Enc. giur. Treccani, vol. XXX, Roma, 1993, p. 5, secondo la quale il criterio del fatto concreto può comportare la violazione del divieto di retroattività: potrebbero <<rifluire su elementi del fatto non costitutivi della originaria configurazione illecita le qualificazioni introdotte dalla norma entrata in vigore successivamente, in palese contrasto con il principio sancito dall'art. 25 Cost.>>. Più di recente anche ad avviso di E.M. AMBROSETTI, Abolitio criminis e modifica della fattispecie, cit., p. 54 ss., seguendo il criterio dell'applicazione in concreto si potrebbe arrivare a violare, nei casi più complessi, il divieto di retroattività della norma incriminatrice sancito dall'art. 25 comma 2 Cost. Per tale prospettiva, v. altresì S. DEL CORSO, voce Successione di leggi penali, in Dig. disc. pen., vol. XIV, Utet, 1999, p. 97 ss.; C. PECORELLA, C'è spazio per criteri valutativi nell'abolitio criminis ?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2003, p. 1519, secondo la quale il criterio del fatto concreto non garantisce dal rischio di una applicazione retroattiva della nuova legge penale; F. MANTOVANI, Diritto penale, parte generale, Cedam, 2007, p. 85 nt. 8, secondo cui il criterio del fatto concreto rinvia per l'individuazione delle ipotesi di successione di leggi modificativa ad un'inafferrabile mediazione del fatto concreto, anziché al sottostante rapporto di specialità tra fattispecie.

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abolitio e modifica: giacché se il fatto storico non è sussumibile sotto entrambe le norme in successione il problema neppure si pone: siamo sicuramente in presenza di un fenomeno abolitivo11.

La teoria del fatto concreto è stata sottoposta a dure critiche dalla fondamentale sentenza “Giordano” delle Sezioni unite del 2003: seguendo questa teoria – secondo la Corte – si potrebbero applicare retroattivamente aspetti che prima erano privi di rilevanza penale 12.

Critiche ribadite nella successiva pronuncia della Cassazione a sezioni unite “Magera” del 2007, in cui si esclude altresì la possibilità di accogliere la teoria della doppia punibilità in concreto: perché, per individuare il campo di applicazione del comma 2 dell’art. 2 c.p., non ci si può limitare a verificare se il fatto storico, punito in base alla legge anteriore, sia punito o meno, anche in base alla legge posteriore 13.

Sulla scorta di tali premesse, si rende necessaria una preliminare affermazione di

ordine generale da cui muovere per la successiva analisi: a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione, occorre rileggere e integrare la disciplina codicistica della successione nel tempo di leggi penali alla luce del canone costituzionale di irretroattività (art. 25 comma 2 Cost.)14.

In realtà, rispetto alla successione di leggi, il principio di irretroattività non è superfluo – come generalmente si ritiene – sotto il profilo della disciplina giuridica; non è servito unicamente ad attribuire rango costituzionale ad una regola già esistente e contenuta nel comma 1 dell’art. 2 c.p. Bensì, come vedremo subito, esso ha una funzione disciplinatoria nel sistema penale, accordando al cittadino – rispetto a quanto previsto nell’art. 2 c.p. – ulteriori e fondamentali garanzie in materia di efficacia della legge nel tempo.

Il principio di irretroattività impedisce: (i) sia l’applicazione retroattiva di nuove norme incriminatrici, nel senso che una

nuova norma sia applicata per punire qualcuno che abbia tenuto una certa condotta storica prima della sua entrata in vigore;

(ii) sia l’applicazione di una disciplina successiva più sfavorevole a chi ha commesso il reato sotto il vigore di una norma meno severa, riguardando tutti gli istituti di diritto sostanziale che concorrono a delineare l'area dell'illecito penale e le risposte sanzionatorie. Si tratta di evitare che i singoli cittadini siano puniti per fatti che non erano considerati reato al momento in cui furono commessi, ovvero di escludere che gli stessi siano puniti con pene più gravi di quelle allora previste 15.

11 Così M. DONINI, Abolitio criminis e nuovo falso in bilancio. Struttura e offensività delle false comunicazioni sociali dopo il d.lg. 11 aprile 2002, n. 61, in Cass. pen., 2002, p. 1264 ss. Lo stesso Autore ritornando sul tema nel suo successivo scritto Discontinuità del tipo di illecito e amnistia. Profili costituzionali, in Cass. pen., 2003, p. 2866 ss., ha riaffermato il valore soltanto euristico della tesi dell'applicazione in concreto, sottolineando come essa ci aiuta soltanto a porci correttamente il problema, ma i criteri per risolvere la questione vanno ricercati altrove. 12 Cass., sez. un., 26 marzo 2003, Giordano, in Cass. pen., 2003, p. 3310, con nota di T. PADOVANI, Bancarotta fraudolenta impropria e successione di leggi: il bandolo della legalità nella mani delle Sezioni unite; in Riv. it. dir. e proc. pen., 2003, p. 1503 ss., con nota di C. PECORELLA, C'è spazio per criteri valutativi nell'abolitio criminis ? 13 Cass., sez. un., 27 settembre 2007, Magera, in Cass. pen., 2008, p. 898, con nota di M. GAMBARDELLA, Nuovi cittadini dell’Unione europea e abolitio criminis parziale dei reati in materia di immigrazione. 14 Di recente, per tale prospettiva, cfr. M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma incriminatrice, Jovene, 2008, p. 98 ss.; A. NAPPI, Guida al codice penale, parte generale, Giuffrè, 2008, p. 118 ss. 15 In proposito, cfr. F. BRICOLA, Commentario della Costituzione, sub art. 25, Zanichelli - Foro italiano, 1981, p. 284 ss.; C. ESPOSITO, Irretroattività e "legalità" delle pene nella nuova Costituzione, in La Costituzione italiana. Saggi, Cedam, 1954, p. 87 ss.; A. CADOPPI, Il principio di irretroattività, in AA.VV., in Introduzione al sistema penale, vol. I, Giappichelli, 2006, p. 185 ss.; D. PULITANO', Diritto penale, Giappichelli, 2007, p. 674; G.L. GATTA, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”: teoria e prassi, Giuffrè, 2008, p. 117 ss.. Secondo G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, Zanichelli, 2007, p. 86, nel diritto

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(i) Quanto al divieto di applicazione retroattiva di nuove norme incriminatrici, esso

non è garantito dalle regole contenute nell’art. 2 c.p. (in particolare da quella prevista dal comma 1).

In realtà, l’art. 2 c.p. non vieta in modo assoluto di applicare una nuova norma incriminatrice retroattivamente, ossia a fatti verificatisi prima della sua entrata in vigore.

Ma anzi, le regole codicistiche impongono l’applicazione al passato anche di una nuova norma più favorevole quando il fatto concreto da giudicare sia riconducibile ad entrambe le norme in successione (art. 2 commi 1-4).

Quello che vieta il comma 1 dell’art. 2 c.p. è solo di applicare una nuova norma retroattivamente ad una codotta che quando fu tenuta era penalmente irrilevante.

Quindi, in base all’originario impianto codicistico – fondato sulla teoria del fatto concreto – la norma subentrante potrebbe essere strutturalmente eterogenea rispetto alla previgente, dando luogo così ad una vicenda di discontinuità normativa, ma ciò non potrebbe rilevare: la nuova norma andrebbe pur sempre applicata retroattivamente se più favorevole, allorché il fatto storico sia sussumibile anche sotto di essa.

In pratica, la nuova norma incriminatrice più favorevole sulla base delle regole previste all’art. 2 c.p. andrebbe impiegata al posto di quella vigente al momento di realizzazione del fatto storico quando quest’ultimo fosse sussumibile sotto entrambe le norme in successione, anche se dunque le due norme non fossero tra loro in continuità normativa, presentando fattispecie eterogenee.

Oggi, invece, alla luce del disposto costituzionale dell’art. 25 comma 2, non è più ammissibile la teoria del fatto concreto, una nuova norma incriminatrice non potrebbe mai essere applicata retroattivamente a condotte accadute prima della sua entrata in vigore, anche se il fatto concreto fosse già in precedenza qualificato come illecito penale: in tal caso, prescindendo dalla natura favorevole o sfavorevole della norma subentrante, andrebbe comunque ritenuta, da un lato, l’abolizione della vecchia figura di reato e, dall’altro lato, l’introduzione di una nuova incriminazione16.

L'art. 25 comma 2 Cost. – a differenza del comma 1 art. 2 c.p. – prescinde dalla circostanza che il fatto storico sia in origine (ossia quando è stato realizzato) penalmente lecito. Per l'art. 25 Cost. non conta che il fatto concreto sia già qualificabile come reato in base ad una precedente norma incriminatrice: ciò che qui si vieta è solo che una nuova norma incriminatrice sia applicata retroattivamente.

Con l'espressione "fatto commesso" nell'enunciato dell'art. 25 comma 2 Cost. si designa anche il fatto storico che già integra una diversa ed eterogenea norma incriminatrice. La regola espressa dall'art. 25 comma 2 Cost. vieta comunque di applicare una norma incriminatrice ad un fatto (illecito o lecito penalmente) che non gli preesista.

Nell'ottica del codice penale del 1930, se il legislatore inserisce una nuova incriminazione o rende applicabile una norma generale prima derogata, eterogenea strutturalmente rispetto alla precedente, la quale introduce un trattamento meno favorevole per il reo, e il fatto storico è riconducibile ad entrambe le norme, non viene in questione il divieto del comma 1 dell'art. 2: qui si applica sempre il comma 4 dell'art. 2, che impone l'applicazione della legge più favorevole (qui ultrattivamente).

penale sostanziale, il divieto di retroattività riguarda tutti i requisiti costitutivi del reato, comprese le condizioni di punibilità e le conseguenze penali. Occorre, tuttavia, tenere presente che nella giurisprudenza di legittimità si ritiene che le norme che disciplinano l'esecuzione della pena e le condizioni di applicazione di misure alternative alla detenzione, non essendo leggi penali sostanziali, non sono soggette al principio di irretroattività, bensì a quello del tempus regit actum (cfr. Cass., sez. un., 30 maggio 2006, Aloi, in Cass. pen. 2006, 3963). 16 M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma incriminatrice, cit., p. 103 ss.; A. NAPPI, Guida al codice penale, cit., p. 118 ss.

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Invece, il principio di cui all'art. 25 comma 2 Cost. ha escluso quest'ultimo caso dal novero di quelli compatibili con la regola costituzionale. Oggi, dunque, tale caso violerebbe il sovraordinato principio costituzionale, sicché non si può più ricomprenderlo tra i casi disciplinati dall'art. 2 comma 4 c.p. In base all'art. 25 comma 2 Cost. non si può punire un fatto concreto anche se già penalmente illecito alla stregua di una norma non vigente o non applicabile quando il fatto storico è stato commesso17.

L'impossibilità dell'applicazione di una nuova norma incriminatrice retroattivamente deriva inoltre dalla sua funzione general-preventiva: la norma non può qui svolgere la funzione di orientare il comportamento del cittadino, segnando il confine rispetto a ciò che risulta penalmente illecito né rappresentare l'indispensabile strumento conoscitivo di valori18.

Si pensi alla vicenda affrontata nella sent. Donatelli delle Sezioni unite del 2001 (occupazione di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno → occupazione di lavoratori immigrati extracomunitari sprovvisti dell’autorizzazione al lavoro). Qui il fatto storico da giudicare era sussumibile in entrambe le norme incriminatrici in successione. Ma la norma subentrante presentava però, sul piano della fattispecie astratta, elementi eterogenei rispetto a quelli che costituivano la precedente norma sostituita.

E dunque correttamente le Sezioni unite penali, ponendo fine ad un contrasto giurisprudenziale, hanno ritenuto che l'abrogazione dell'art. 12 comma 2 l. n. 943 del 1986 (disposta dall'art. 46 comma 1 lett. c l. n. 40 del 1998, riprodotto dall'art. 47 comma 2 lett. c d.lgs. n. 286 del 1998), il quale puniva l'assunzione di lavoratori extracomunitari privi dell'autorizzazione al lavoro, comporta anche la perdita di rilevanza penale del fatto da quella norma previsto: perché la relativa incriminazione non continua a sopravvivere nell'art. 22 comma 10 d.lgs. n. 286 del 1998, sanzionante il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno o il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato. La Corte ha precisato infatti che tra le due fattispecie non è ravvisabile un fenomeno di successione modificativa di leggi penali nel tempo, poiché gli elementi che concorrono a disegnarne la tipicità sono del tutto eterogenei: differiscono l’atto amministrativo che si inserisce nell'area della rilevanza penale; i procedimenti autorizzatori e gli organi ai quali spetta il rilascio dei provvedimenti amministrativi; la ratio dell'intervento del legislatore penale19.

In definitiva, per escludere il fenomeno abolitivo, non è sufficiente, ai sensi del canone costituzionale di non retroattività della legge penale (art. 25 comma 2 Cost.), che il fatto concreto sia sussumibile in entrambe le norme che si avvicendano nel tempo. Occorre altresì che la nuova norma non presenti, sul piano strutturale della fattispecie, elementi eterogenei rispetto a quelli della fattispecie previgente tali da doversi reputare espunta dall'ordinamento la precedente incriminazione. Infatti, se le due fattispecie sono incentrate su comportamenti strutturalmente non assimilabili, non si determina una successione di norme incriminatrici, bensì si produce la coppia abolitio criminis/nuova incriminazione.

17 M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma incriminatrice, cit., p. 98 ss. 18 Cfr. F. PALAZZO, Corso di diritto penale, parte generale, Giappichelli, 2006, p. 147. In particolare, si evidenzia come "la prevedibilità della conseguenze penali della propria condotta" sia il contrassegno della garanzia costituzionale della libertà della persona assicurata dal principio costituzionale di irretroattività: così G. MARINUCCI, Irretroattività e retroattività nella materia penale: gli orientamenti della Corte costituzionale, in Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, a cura di G. Vassalli, E.S.I, 2006, p. 77 ss. 19 Così Cass., sez. un., 9 maggio 2001, n. 13, Donatelli, in Cass. pen., 2002, p. 502, nella quale in motivazione si afferma, in modo convincente, che: a) per accertare l'esistenza di una successione tra norme incriminatrici, il raffronto deve imprescindibilmente essere compiuto esaminando le disposizioni considerate in astratto; b) il raffronto deve riguardare gli elementi strutturali delle fattispecie tipiche, al fine di verificare la relazione di omogeneità o di eterogeneità delle stesse: sicché qualora gli elementi delle due fattispecie siano eterogenei si avrà abrogatio; in caso di omogeneità si avrà successione modificativa di norme.

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(ii) Riguardo al divieto di applicare una disciplina successiva in peius a chi ha commesso il reato in presenza di un trattamento sanzionatorio più favorevole, il principio costituzionale di irretroattività impone – a differenza delle regole codicistiche di diritto intertemporale – di far sempre coincidere il tempo del commesso reato con il momento d’integrazione del modello legale della fattispecie incriminatrice.

L’art. 25 comma 2 Cost. esige, infatti, che si venga puniti alla stregua della legge in vigore nel momento in cui è stato commesso il “fatto”, cioè sia stato posto in essere il concreto comportamento che realizzi tutti gli elementi previsti nella fattispecie astratta di reato.

Si pensi alla seguente ipotesi, relativa ad una modifica legislativa sfavorevole che investa un reato permanente:

nel corso del periodo consumativo (dello stato di permanenza) del reato, il legislatore inasprisce la risposta punitiva: ad esempio, inserisce una sanzione più severa quale conseguenza della realizzazione della figura criminosa. Pertanto, si verifica una successione di leggi meramente modificativa: ad una legge vigente nel momento dell'inizio della permanenza, subentra, prima che la condotta illecita cessi, una nuova legge meno favorevole20.

Lo stato di permanenza del reato si protrae, a seguito della volontaria condotta dell'agente, anche sotto il vigore della nuova legge meno favorevole. Nel senso che pure in costanza della legge successiva più sfavorevole il reato è integrato in tutti i suoi elementi costitutivi; ricadendo un segmento della condotta antigiuridica sotto la legge più severa.

Ebbene, l'inasprimento della disciplina penale, pone l'alternativa sulla norma da applicare: quella più mite, sotto la vigenza della quale il reato permanente si è realizzato (la norma in vigore nell'istante in cui si sono realizzati al completo gli elementi della fattispecie); ovvero quella più severa, relativa alla consumazione finale del reato permanente (la norma in vigore nel momento in cui la condotta criminosa è venuta a cessare) 21.

Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, nel caso di successione di una legge penale più severa, qualora la permanenza continui sotto l'imperio della nuova legge, è questa soltanto che deve trovare applicazione, in quanto sotto il suo vigore è commesso il reato con la realizzazione di tutti gli elementi costitutivi 22.

Si è così chiaramente asserito che nell'ipotesi di reato permanente, il cui stato di consumazione si sia protratto sotto il vigore di due leggi diverse, di cui quella nuova preveda una sanzione più grave, va applicata solo l'ultima e cioè quella sotto la cui vigenza la consumazione del reato è cessata23.

20 M. SINISCALCO, Tempus commissi delicti, reato permanente e successione di leggi penali, in Riv. it. dir.e proc. pen., 1960, p, 1110 ss.; S. CAMAIONI, Successione di leggi penali, Cedam, 2003, p. 176 ss. 21 M. GALLO, Appunti di diritto penale, cit., p. 136; R. RAMPIONI, Contributo alla teoria del reato permanente, Cedam, 1988, p. 104 ss.; M. SINISCALCO, Tempus commissi delicti, cit., p. 1103; DE SANTIS, Gli effetti del tempo nel reato, Giuffrè, 2006, p. 266 ss.; ALIBRANDI, voce Reato permanente, in Enc. giur. Treccani, vol. XXVI, 1991, p. 4. 22 Così: Sez. I, 7 ottobre 1987, n. 11669, Liccardo, in Cass. pen., 1989, p. 66; Sez. II, 11 aprile 1987, n. 9501, Calluso, ivi, 1988, p. 1644; Sez. VI, 14 novembre 1985, n. 2296, Dell'Aquila, ivi, 1987, p. 730; Sez. II, 14 marzo 1984, n. 7514, Germani, ivi, 1986, p. 741. 23 Sez. I, 21 marzo 1989, n. 8864, Agostani, in Cass. pen., 1990, I, p. 2131. In particolare, in relazione alla trasformazione dell'inosservanza dell'obbligo di soggiorno (l. 13 settembre 1982, n. 646) da reato contravvenzionale in delitto, ai fini del decorso del termine di prescrizione, la Corte di cassazione ha ritenuto che nel reato permanente, il protrarsi del periodo consumativo ad opera dell'agente comporta, in caso di successione di leggi penali che puniscano più severamente il fatto criminoso, l'applicazione della legge nel cui ambito temporale di vigenza ricada un segmento della condotta antigiuridica (Sez. I, 21 febbraio 1995, n. 3376, Gullo, ivi, 1996, p. 930). Isolatamente, nella giurisprudenza di merito si è sostenuto che, il reato permanente, ove la permanenza si protragga sotto il vigore di una legge successiva più sfavorevole, va scisso in due reati corrispondenti ai due periodi dell'arco temporale in cui si è snodata l'attività illecita e unificati sotto il vincolo della continuazione, non essendovi stata alcuna soluzione di continuità tra i due episodi ed essendo stato unico l'intento dell'agente di violare la normativa edilizia. (Fattispecie di costruzione abusiva iniziata sotto il vigore

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In particolare, si possono esaminare i reati di cui agli artt. 13 e 14 t.u. imm. Rispetto alla fattispecie di reingresso illegale nel territorio nazionale (art. 13 t.u.), la

giurisprudenza ritiene infatti che tra il reato di cui all’art. 13 comma 13 t.u. e l’analogo previsto dal medesimo articolo così come modificato in peius dalla l. n. 189 del 2002 sussiste continuità normativa; cosicché, alla luce della sua natura permanente, una condotta cominciata sotto la previgente normativa e continuata sotto la nuova è punibile secondo le previsioni, meno favorevoli, di quest’ultima24.

Quanto alle fattispecie criminose previste dall'art. 14 commi quinto ter e quinquies t.u. imm., il legislatore (l. n. 271 del 2004) ha trasformato il reato di inosservanza da parte dello straniero del provvedimento del questore di abbandonare entro cinque giorni il territorio dello Stato da contravvenzione in delitto, determinando un forte inasprimento sanzionatorio.

In relazione a questa novella legislativa, una parte della giurisprudenza di legittimità ha sostenuto che, per effetto di tale modifica, si è verificato un fenomeno di successione di norme penali che si pongono in rapporto di continuità tra loro. Ora, poiché il reato di inottemperanza all'ordine di allontanamento emesso dal questore è reato permanente, che dura fino a quando non si pone in essere il comportamento dovuto e cioè l’abbandono del territorio dello Stato da parte dello straniero espulso, si deve ritenere applicabile – secondo questa opinione – la norma incriminatrice sopravvenuta più severa, allorché la condotta, iniziata sotto la vigenza della norma più favorevole, sia proseguita sotto quella meno favorevole 25.

Ebbene, nel caso della modifica in peius di un reato permanente in cui la permanenza

del reato si protragga sotto il vigore di una legge successiva più sfavorevole, il principio costituzionale di irretroattività impone oggi una soluzione diversa da quella adottata dalla prevalente giurisprudenza.

Per rispettare nella sostanza il principio costituzionale, bisogna quindi prendere in considerazione il momento perfezionativo della fattispecie incriminatrice, da cui origina lo stato di permanenza del reato. Diversamente si applicherebbe una legge meno favorevole, con la sostanziale elusione del contenuto del principio costituzionale di irretroattività, nella parte in cui vieta di applicare retroattivamente una legge meno favorevole.

Va condivisa, perciò, quella parte minoritaria della dottrina che individua, nel reato permanente, il tempo del commesso reato con il momento dell'inizio della consumazione. Invero – si aggiunge in modo ineccepibile – se il tempo fosse quello della cessazione della permanenza, un eventuale inasprimento sanzionatorio finirebbe per violare nella sostanza il principio costituzionale di irretroattività della legge più sfavorevole26.

Può ben dirsi, allora, che, per gli illeciti penali nei quali la condotta ha una durata, il momento di realizzazione del reato, ai fini dell'art. 2 c.p., si identifica con quello in cui la

della legge n. 10 del 1977 e protrattasi anche a seguito dell'emanazione della legge n. 47 del 1985) (Pret. Bari, 8 novembre 1990, Putignano, in Foro it., 1991, II, c. 182). 24 Sez. I, 18 giugno 2003, n. 27399, Pricopi, cit.; Sez. I, 18 febbraio 2004, n. 17878, Prenga, cit. 25 Cfr. Sez. I, 18 gennaio 2006, n. 3999, Ben Atmane, in Cass. pen., 2006, p. 2806; Sez. I, 15 febbraio 2006, n. 11101, Codarcea, in Foro it., 2006, II, c. 473 ss., con osservazioni di GIORGIO; Sez. I, 10 novembre 2005, n. 1032, Da Silva, in Cass. pen., 2007, p. 1245. In senso difforme nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Roma, 14 gennaio 2005, Pochopie, in Cass. pen., 2005, p. 2393, con nota di V. PAZIENZA, Brevi note in tema di continuità normativa tra vecchia e nuova formulazione del reato di trattenimento ingiustificato dello straniero nel territorio dello Stato. Predilige quest’ultima soluzione altresì S. MANTOVANI, A proposito della successione di leggi penali in tema di immigrazione, in Giur. it., 2007, p. 735 ss. 26 Così M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, vol. I, cit., p. 55. E già per M. SINISCALCO, Tempus commissi delicti, cit., p. 1110, il riferimento al momento finale di cessazione della permanenza comportando l'applicazione della legge meno favorevole, finisce per contrastare in sostanza, anche se non direttamente, con il principio del favor rei ex art. 2 c.p.

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condotta assume il carattere di tipicità: e quindi nel reato permanente con l'inizio della consumazione27.

In conclusione, se nell'originario sistema codicistico appariva ammissibile l'impiego della legge più sfavorevole allorché l'aggravamento della risposta penale fosse avvenuto quando la permanenza era in atto. A seguito dell'introduzione del principio costituzionale di irretroattività, il tempus commissi delicti deve necessariamente essere individuato – ai fini della applicazione delle regole intertemporali – con l'inizio del periodo consumativo, ossia dello stato di permanenza 28.

3. Il concetto di abolitio criminis inteso come abrogazione di una norma

incriminatrice. Alla luce del principio costituzionale d’irretroattività, si deve pertanto rimeditare la

tematica della successione di leggi penali nel tempo: nel senso di identificare il concetto di abolitio criminis con quello teorico-generale dell’abrogazione di una legge. Secondo l’art. 15 disp. prel. c.c., la legge spiega la sua efficacia nel tempo sino a quando una legge successiva (fonte di pari grado) non la abroghi.

Il meccanismo dell'abrogazione comporta, dunque, la cessazione della vigenza di una norma (valida). Una norma si considera, pertanto, abrogata quando viene rimossa, tolta, eliminata, espunta dall'ordinamento giuridico 29.

Sulla premessa che il nostro sistema penale è costituito dall’insieme delle norme incriminatrici: il fenomeno dell’abolitio criminis si sostanzia, allora, nell’eliminazione di una norma incriminatrice dall’ordinamento giuridico.

Bisogna superare l’ottica strettamente codicistica ed affermare la necessaria equiparazione tra i concetti di abolitio criminis e abrogazione della norma incriminatrice: in virtù del criterio cronologico (temporale), la norma successiva prevale su quella anteriore, eliminandola dall’ordinamento (qualora chiaramente si tratti di norme poste al medesimo livello gerarchico).

A differenza di quanto accade nel diritto civile dove l’abrogazione opera ex nunc, nel diritto penale gli effetti dell’abrogazione di una norma incriminatrice retroagiscono (ex tunc): la norma non può trovare applicazione neanche per le condotte realizzate precedentemente alla sua eliminazione.

Nei casi di abolitio criminis/depenalizzazione (art. 2 comma 2 c.p.) la retroattività della lex mitior è senza limiti (si parla di efficacia “iperretroattiva”: travolgimento del giudicato e dei suoi effetti penali); potendosi così equiparare tali ipotesi, quanto alle

27 In tal senso F. PALAZZO, Corso di diritto penale, cit., p. 166; nello stesso senso R. RAMPIONI, Contributo alla teoria del reato permanente, cit., p. 111 ss.; il quale richiama il principio del favor rei, sotteso alla disciplina dell’art. 2 c.p.; PATALANO, Reato permanente e successione di leggi penali, in Giur. merito, 1975, p. 54 ss.; G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, cit., p. 105; C. PECORELLA, Codice penale commentato, a cura di Dolcini-Marinucci, Ipsoa, 2006, p. 66. Secondo, poi, S. VINCIGUERRA, Diritto penale italiano, vol. I, Cedam, 1999, p. 323, la legge applicabile deve essere individuata guardando al momento dell'inizio della permanenza, perché il reato è già commesso. Invero, la tesi contraria confonde la consumazione del reato permanente (che avviene quando cessa la permanenza), con la sua realizzazione (che sussiste quando la permanenza ha inizio). Inoltre, nel senso che il "tempus" va individuato nel momento della realizzazione della condotta tipica, cfr. E. MUSCO, Coscienza dell'illecito, colpevolezza ed irretroattività, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1982, p. 794 ss.; ALIBRANDI, voce Reato permanente, cit., p. 5. 28 Cfr. M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma incriminatrice, cit., p. 114 ss. 29 Cfr. R. GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, Giuffrè, 1998, p. 188 ss.; S. PUGLIATTI, voce Abrogazione, cit., p. 141 ss.; F. MODUGNO, voce Abrogazione, in Enc. giur. Treccani, vol. I, 1988, p. 1 ss. Per una rassegna delle diverse concezioni del fenomeno della abrogazione delle leggi, cfr. R. QUADRI, Dell'applicazione della legge in generale, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Zanichelli, 1974, p. 314 ss.

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conseguenze, alla dichiarazione di incostituzionalità di una norma penale (art. 136 Cost.; art. 30 l. n. 87 del 1953).

Appare, pertanto, coerente la scelta del legislatore del 1988 di unificare sotto la stessa disposizione, l'art. 673 c.p.p., la disciplina processuale degli effetti sia dell'abrogazione che della dichiarazione d’illegittimità costituzionale delle norme incriminatrici: in entrambi i casi il giudice revoca la sentenza di condanna definitiva dichiarando che il fatto non è più previsto dalla legge come reato 30.

In proposito si deve, inoltre, osservare che nell'enunciato dell'art. 673 comma 1 c.p.p. – corrispettivo, in materia processuale, della disciplina sostanziale della successione di leggi penali nel tempo – è, testualmente, impiegata l'espressione "abrogazione" della norma incriminatrice, quale presupposto della revoca della sentenza di condanna.

Pertanto, il concetto di abolitio criminis all’interno dell’art. 673 c.p.p. – disposizione formulata (a differenza dell’art. 2 c.p.) dopo l’entrata in vigore della Costituzione – corrisponde in modo esplicito col fenomeno dell’abrogazione di una norma incriminatrice: intesa quest’ultima come enunciato sintatticamente condizionale che collega una sanzione penale ad una classe di fattispecie (c.d. fattispecie astratta).

Se, invece, la legge penale più favorevole consiste solo nella modifica in melius del trattamento sanzionatorio (art. 2 comma 4 c.p.) la retroattività trova il suo limite nel giudicato. Con l’eccezione del nuovo 3 comma dell’art. 2 c.p. – introdotto dall'art. 14 l. n. 85 del 2006 – il quale ha inserito, nella ipotesi di trasformazione della pena detentiva in pecuniaria, una disciplina che deroga alla regola generale della non applicabilità retroattiva della legge più favorevole al reo nel caso di successione modificativa, allorché sia presente una sentenza di condanna irrevocabile 31.

Inoltre, se la nuova legge più favorevole appartiene alla classe delle leggi eccezionali o temporanee, ai sensi del comma 5 dell’art. 2 c.p., essa non ha efficacia retroattiva. Pertanto, non si applicheranno al passato gli effetti favorevoli della legge eccezionale o temporanea che direttamente introduca un trattamento più favorevole (sia nel senso di mitigare l’aspetto sanzionatorio, sia nel senso di determinare una abolitio criminis); e neppure quelli provocati dall’eliminazione della stessa legge dal sistema, che qui assume il carattere dell’ultrattività.

La disposizione di cui al comma 5 dell’art. 2 c.p., escludendo l’operatività delle regole in tema di diritto intertemporale contenute ai commi 2-4 del medesimo articolo, taglia fuori di conseguenza l’applicazione del principio di retroattività della legge più favorevole, allorché la norma vigente al momento della realizzazione del fatto abbia una efficacia temporalmente circoscritta. Si applica pur sempre la norma incriminatrice che vigeva al momento in cui il fatto è stato commesso, anche se successivamente essa è stata modificata in melius o abrogata32.

La legge temporanea o eccezionale più favorevole ha efficacia retroattiva qualora subentri al posto di un’altra legge dello stesso genere: ed abbia tanto la medesima ratio, quanto risponda ad una logica di una più organica disciplina della identica peculiare situazione di fatto. In questa ipotesi – si è osservato in dottrina – manca il pericolo di una preventiva svalutazione dell’efficacia intimidatoria della legge temporanea o eccezionale e

30 Cfr. sul punto A. SCALFATI, La pronuncia di abolitio criminis nel vigente assetto dell'esecuzione penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1997, p. 180 ss. 31 A. GAMBERINI - G. INSOLERA, Legislazione penale compulsiva, buone ragioni ed altro. A proposito della riforma dei reati di opinione, in AA.VV., La legislazione penale compulsiva, a cura di G. INSOLERA, Cedam, 2006, p. 142, parlano di soluzione derogatoria rispetto alla regola generale di cui all'originario art. 2 comma 3 c.p. 32 In argomento per un quadro esauriente di dottrina e giurisprudenza, si veda C. PECORELLA, Codice penale commentato, cit., p. 84 ss. Per un inquadramento storico, fondamentale, G. VASSALLI, Successione di più leggi eccezionali, in Riv. it. dir. pen., 1943, p. 207 ss., ora in Scritti giuridici, vol. I, tomo I, Giuffrè, 1997, p. 17 ss.; cfr. inoltre P. ROUBIER, Le droit transitoire (conflits des lois dans le temps), Dalloz, 1960, p. 481 ss.

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non c’è perciò alcun motivo per disattendere il principio della retroattività della legge penale favorevole: si applicano dunque qui i commi 2 e 4 dell’art. 2 c.p. 33.

In giurisprudenza, di recente, in tal senso cfr. Cass., sez. I, 27 maggio 2008, n. 26316, Cau, la quale ha affrontato la questione relativa all’applicabilità della disciplina più favorevole del codice penale militare di pace, di cui alla l. 4 agosto 2006, n. 247, al personale militare che partecipa alle missioni all’estero, anche in relazione ai fatti commessi nel vigore della previgente disciplina che rinviava invece al codice penale militare di guerra.

Va infine ricordato che da qualche anno è stata eliminata (dall’art. 24 d.lgs. n. 507 del 1999) la tradizionale deroga al principio di retroattività della lex mitior, costituita dalla ultrattività delle leggi penali finanziarie (art. 20 l. n. 4 del 1929)34.

Come è stato giustamente evidenziato in dottrina, altri limiti alla retroattività in bonam partem di leggi penali si rinvengono nella non applicazione ai cd. “fatti pregressi” e del decreto legge con norme favorevoli non convertito (Corte cost. n. 51 del 1985) e della norma di contenuto favorevole dichiarata incostituzionale: in entrambi i casi non potrà essere applicata la norma favorevole ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore 35.

4. Le regole intertemporali. L’art. 2 c.p. è espressione del c.d. diritto intertemporale. La disposizione in questione

contiene un complesso di regole che hanno la funzione di risolvere i conflitti tra norme nel tempo. Si può parlare in questo contesto di meta-regole: di prescrizioni che dal punto di vista della struttura risultano strumentali all’individuazione della norma concretamente applicabile alla fattispecie concreta, volte cioè a determinare quale delle norme coinvolte nel conflitto temporale sia applicabile al caso storico.

In generale, si profilano due tipologie di conflitto tra leggi: il conflitto nello spazio e il conflitto nel tempo; ma in realtà la locuzione “conflitto tra leggi” è divenuta familiare ai giuristi grazie soprattutto al diritto internazionale, e in particolare allo studio, nell’ambito di tale materia, del conflitto tra leggi nello spazio.

Lo studio del conflitto tra leggi nel tempo si è sviluppato solo successivamente a quello tra leggi nello spazio, diventando in seguito disciplina autonoma; ed è stato chiamato, da alcuni, “diritto transitorio”, e da altri, per fare da pendant all’espressione “diritto internazionale”, con l’espressione “diritto intertemporale”.

33 In dottrina per questa soluzione F. PALAZZO, Corso di diritto penale, cit., 162; contra M. GALLO, Appunti di diritto penale, vol. I, La legge penale, Torino 1999, 146; A. PAGLIARO, Principi di diritto penale, cit., 137; T. PADOVANI, Diritto penale, Milano, 2006, 45; G. FIANDACA - E. MUSCO, Diritto penale, cit., 97; M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, vol. I, Milano 2004, 71 ss., secondo cui il principio della retroattività della legge favorevole non vale neanche <<quando sia la medesima situazione di emergenza a perdurare nel tempo e si palesi opportuno un secondo provvedimento sostitutivo di quello precedente: ciò perché l’applicabilità di una legge eccezionale ai fatti commessi mentre era in vita è un dato naturale che nessuna norma del nostro sistema smentisce. Altra questione è se la nuova legge, eccezionale o no, che succeda ad altra legge, eccezionale o no, possa disporre essa stessa la sua retroattività, in quanto più favorevole al reo: qui la risposta deve essere affermativa, non potendosi opporre alcun ostacolo di carattere costituzionale>>. 34 Cfr. E.M. AMBROSETTI, La legge penale, opera diretta da M. RONCO, cit., 236. L’art. 20 della l. n. 4 del 1929 disponeva che: <<Le disposizioni penali delle leggi finanziarie e quelle che prevedono ogni altra violazione di dette leggi si applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni medesime siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione>>. 35 Cfr. C. PECORELLA, L’efficacia nel tempo della legge penale favorevole, Milano, 2008, p. 7 ss.; per approfondimenti v. pure M. GAMBARDELLA, Specialità sincronica e specialità diacronica nel controllo di costituzionalità delle norme penali di favore, in Cass. pen., 2007, p. 467 ss.

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In realtà, a differenza delle norme di diritto intertemporale che hanno natura, come detto, strumentale, il diritto transitorio è composto da tutte quelle norme dettate per regolare gli accadimenti compresi nel periodo in cui si verifica un mutamento normativo.

Nell’ambito del diritto penale sostanziale l’art. 2 c.p. può essere riletto proprio come una previsione normativa rivolta a comporre o eliminare le antinomie tra norme del medesimo livello, a risolvere i conflitti diacronici tra norme penali.

Nello specifico, la norma contenuta nell'art. 2 comma 2 c.p. appare espressione di quella tecnica per risolvere le antinomie che va sotto il nome di criterio cronologico. Si tratta del principio lex posterior derogat legi priori, che attribuisce preferenza alla legge successiva (art. 15 disp. prel.); dove in realtà la norma posteriore non deroga alla norma anteriore, ma l'abroga. L'eventualità di conflitti derivanti dalla successione di norme nel tempo è dunque eliminata, se la nuova legge si sostituisce meccanicamente alla precedente secondo il rapporto cronologico di priorità-posteriorità.

La situazione appena esaminata è diversa da quella presa in considerazione dal comma 4 dell’art. 2 c.p., che non configura – a stretto rigore – una vera e propria antinomia: perché le norme che si avvicendano nel tempo non sono incompatibili fra loro, non connettono alla stessa fattispecie astratta conseguenze giuridiche inconciliabili.

Pur non determinandosi un’antinomia in senso proprio, la regola contenuta nel comma 4 dell’art. 2 c.p. è comunque destinata ad armonizzare le norme in successione temporale e ad evitare contrasti fra di esse: si può, allora, parlare in senso ampio di un conflitto di norme che va qui risolto non mediante il criterio cronologico, bensì col diverso criterio di preferenza della norma penale più favorevole36.

Tali ultime considerazioni sono oltretutto in pieno accordo con quanto illo tempore chiarito nella Relazione di Rocco al progetto definitivo: secondo cui, mentre il primo e il secondo comma dell'art. 2 c.p. obbediscono a criteri temporali (non retroattività; non ultrattività), nel terzo comma si sostituisce ai criteri temporali un criterio oggettivo: in relazione cioè al contenuto della legge da applicare. Funzionerà retroattivamente quando la legge più favorevole sia quella in vigore al tempo del giudizio; viceversa funzionerà ultra-attivamente quando la legge più favorevole sia quella in vigore al tempo del commesso reato37.

Dal punto di vista comparatistico, una prospettiva in parte analoga a quella appena esposta si rinviene nell’esperienza giuridica francese. Si parla, infatti, ancora oggi in quel contesto di conflitto tra leggi penali che si succedono nel tempo (conflit de lois dans le temps): allorché una nuova disposizione penale interviene per abrogarne una più vecchia, o per modificarla mitigandone oppure aggravandone la pena, nasce un conflitto tra due leggi che bisogna risolvere assegnando a ciascuna delle due disposizioni in successione il suo ambito di applicazione.

5. La depenalizzazione. Al concetto di abolitio criminis, inteso quale abrogazione di una norma incriminatrice,

dobbiamo ricondurre anche il fenomeno della depenalizzazione (in senso stretto): degradazione dell’illecito penale in illecito amministrativo. Anche qui – come nell’abolitio criminis – il legislatore interviene abolendo una incriminazione, soltanto che contestualmente all’abolizione viene inserita una figura di illecito amministrativo.

I due fenomeni – abolitio criminis e depenalizzazione – coincidono sotto il profilo logico-formale: si tratta pur sempre dell’abrogazione di una norma incriminatrice per intervenuta incompatibilità tra la norma previgente e quella successiva che prevale (stessa

36 M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma incriminatrice, cit., p. 127 ss. 37 Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. V, cit., p. 20 ss.

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fattispecie legale; conseguenze antitetiche: sanzione penale/non sanzione penale); si riduce in entrambi i casi l’area del penalmente illecito38.

La regola di chiusura del sistema penale (nullum crimen sine lege: art. 25 comma 2 Cost. e art. 1 c.p.) impone di ricondurre la depenalizzazione al fenomeno della abrogazione di una norma incriminatrice: una norma è espunta dal sistema penale attraverso la sostituzione della sola sanzione (da penale ad amministrativa).

Questa impostazione è sostanzialmente condivisa dalla giurisprudenza. Si afferma, infatti, che la cessazione del carattere penale della violazione a seguito di depenalizzazione integra l'ipotesi del comma 2 art. 2 c.p.39. Per gli illeciti penali oggetto di depenalizzazione l'autorità giudiziaria deve, pertanto, dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato; e ciò ai sensi dell'art. 2 comma 2 c.p. per il quale nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato 40. Ne discende poi l'ulteriore conseguenza che, nell'ipotesi in cui il fatto per cui è intervenuta condanna irrevocabile sia stato depenalizzato, l'interessato può chiedere al giudice dell'esecuzione la revoca della relativa sentenza o decreto di condanna ai sensi dell'art. 673 c.p.p.41.

Per completezza del discorso, va precisato che la disciplina della successione modificativa di leggi penali (art. 2 comma 4 c.p.) non può essere estesa al passaggio di un illecito da penale ad amministrativo (o civile)42.

Nessuna continuità normativa è dato riscontrare nella trasformazione di una fattispecie costituente reato in un mero illecito amministrativo.

Invero, se con la depenalizzazione interviene un'abolizione di una incriminazione (nel senso di abrogazione di una norma incriminatrice, di eliminazione di un illecito penale, di riduzione dell'area del penalmente rilevante), allora l'illecito amministrativo inserito ex novo non può essere una legge modificativa: qui si è verificata una vera e propria frattura ontologica, categoriale, e quindi una abolitio criminis ex art. 2 comma 2 c.p., che impedisce qualunque rapporto di continuità tra l'illecito penale e l'illecito amministrativo.

Appare, dunque, corretta l'affermazione della prevalente giurisprudenza secondo cui l'art. 2 comma 4 c.p. disciplina soltanto l'ipotesi di successione tra norme incriminatrici, e non quella in cui sopravvenga una legge che trasformi il fatto costituente reato in illecito amministrativo43.

Questa soluzione è condivisa dalla fondamentale pronuncia "Mazza" delle Sezioni unite penali, la quale ha ritenuto che il principio della retroattività della norma più favorevole (art. 2 comma 4 c.p.), che assicura al cittadino il trattamento penale più mite tra quello previsto dalla legge penale vigente al momento del fatto e quello previsto dalle leggi successive purché precedenti la sentenza definitiva di condanna, opera solo con riferimento all'ipotesi della successione tra fattispecie incriminatrici, e non è estensibile al caso della successione che degradi un fatto previsto come illecito penale a illecito amministrativo44.

38 M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma incriminatrice, cit., p. 142 ss. 39 Cass., 18 aprile 1985, Piccolo, in Cass. pen., 1986, p. 1547; Cass., 29 aprile 1977, Andreozzi, ivi, 1978, p. 681. 40 Cass., sez. un., 16 marzo 1994, Mazza, in Cass. pen. 1994, p. 2659. Cfr. altresì l'art. 102 comma 3 d.lgs. n. 507 del 1999, secondo cui <<se l'azione penale è stata esercitata, il giudice ... pronuncia, in camera di consiglio, sentenza inappellabile di assoluzione o di non luogo a procedere perché il fatto non è previsto dalla legge come reato>>. 41 Cass., sez. V, 25 febbraio 2000, Stroscia, in Cass. pen., 2001, p. 929. 42 T. PADOVANI, Tipicità e successione di leggi penali, cit., p. 1382 ss.; C.E. PALIERO - A. TRAVI, La sanzione amministrativa, Giuffrè, 1988, p. 175 ss.; GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma incriminatrice, cit., p. 150 ss. 43 Cfr. Cass., sez. V, 5 marzo 2004, De Mattei, in C.E.D. Cass., n. 229236; Cass., sez. III, 3 maggio 1996, Nejrotti, in Cass. pen., 1998, p. 813, con nota di R. GARGIULO, Sulla successione di leggi sanzionatorie nel caso di depenalizzazione. In materia ambientale, v. altresì M. SANTOLOCI - S. PALLOTTA, Manuale dell'illecito amministrativo ambientale, Laurus Robuffo, 2004, p. 49 ss. 44 Cass., sez. un., 16 marzo 1994, Mazza, in Cass. pen., 1994, p. 2659; ivi, 1995, p. 1806, con nota di A. ALBANO, Nuovo codice della strada, depenalizzazione e diritto transitorio.

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Pertanto, risulta inapplicabile l'art. 2 comma 4 c.p. alle sanzioni amministrative: tanto nell'ipotesi in cui ad una legge che prevede una sanzione amministrativa ne succeda un'altra dello stesso tipo, quanto nell'ipotesi in cui ad una legge che puniva determinate violazioni con la sanzione penale se ne avvicendi una che punisce le medesime violazioni con la sanzione amministrativa 45.

Seppure l'illecito amministrativo che sostituisce l’illecito penale non può, come norma favorevole, applicarsi a fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore in base alla regola contenuta nel comma 4 dell'art. 2 c.p., tuttavia il "nuovo" illecito amministrativo può essere applicato retroattivamente se una legge lo preveda espressamente. E' necessaria però una norma ad hoc che imponga retroattivamente l'applicazione dell'illecito depenalizzato, poiché per effetto del principio di irretroattività sancito dall'art. 1 l. n. 689 del 1981, l'illecito amministrativo non si applica retroattivamente, ossia a fatti avvenuti prima dell'entrata in vigore della disposizione che lo ha previsto46.

Occorre, in pratica, una disciplina transitoria contenente una norma la quale, espressamente, dichiari l'applicabilità delle disposizioni che hanno trasformato i reati in illeciti amministrativi anche alle violazioni commesse prima della loro entrata in vigore. In assenza di tale norma, si profila una chiara irrilevanza, anche sotto il profilo amministrativo, dei fatti già costituenti reato commessi prima della depenalizzazione 47.

Disciplina che comunque può essere inserita con una semplice normativa transitoria, stante il valore solo di legge ordinaria del principio di irretroattività delle sanzioni amministrative, derogabile dunque attraverso una legge ordinaria. Né d'altronde osta qui il principio costituzionale di irretroattività ex art. 25 comma 2, riferibile solo alla materia penale48.

Sotto il profili pratico, appare opportuno derogare al canone della irretroattività della sanzione amministrativa in presenza di una depenalizzazione, per evitare che un comportamento prima punito con sanzione penale e successivamente represso soltanto con sanzione amministrativa risulti non sanzionabile in alcun modo: poiché la sanzione penale non è più applicabile non essendo più in vigore nel procedimento penale ancora non irrevocabilmente definito, né a sua volta risulta applicabile la sanzione amministrativa che non era vigente quando venne posto in essere il comportamento illecito49.

In ogni modo, si tratta di una impostazione accolta dalle già citate Sezioni unite penali "Mazza" e, successivamente, consolidatasi in giurisprudenza. La Corte ha osservato che, in mancanza di specifiche norme transitorie, l'autorità giudiziaria deve dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato (art. 2 comma 2 c.p.), senza dover rimettere gli atti all'autorità amministrativa competente, e ciò sia in virtù del principio di legalità dell'illecito amministrativo consacrato nell'art. 1 l. n. 689 del 1981, sia per l'assenza di norme transitorie analoghe a quelle degli artt. 40 e 41 della l. n. 689 del 1981, la cui operatività è limitata agli

45 In tal senso, v. Cass., sez. un., 16 marzo 1994, Mazza, cit. 46 In relazione al principio di irretroattività dell'illecito amministrativo, v. per tutti C.E. PALIERO - A. TRAVI, La sanzione amministrativa, cit., p. 173 ss. 47 Cfr. E. GALLUCCI, in Commento alla Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio (l. n. 205 del 1999), sub art. 102, in Leg. pen., 2001, p. 973 ss. Per ampie considerazioni in tal senso, v. C.E. PALIERO - A. TRAVI, La sanzione amministrativa, cit., p. 177 ss. Da segnalare che il d.lg. 3 agosto 2007, n. 117, conv. con mod. nella l. 2 ottobre 2007, n. 160, in tema di circolazione stradale, all’art. 7 (norme di coordinamento) stabilisce che: <<le disposizioni del presente decreto che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore, purché il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o decreto penale irrevocabili>>. 48 Osserva E. GALLUCCI, in Commento alla Depenalizzazione, cit., p. 974, come d'altronde la disciplina transitoria è contenuta nella maggior parte delle leggi di depenalizzazione. 49 Cfr. E. AGHINA, La disciplina transitoria e le norme finali, in AA.VV., Depenalizzazione e nuova disciplina dell'illecito amministrativo, a cura di G. Lattanzi - E. Lupo, Giuffrè, 2001, p. 319; G. COLLA - G. MANZO, Le sanzioni amministrative, Giuffrè, 2001, p. 265.

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illeciti da essa depenalizzati e non riguarda, pertanto, gli altri casi di trasformazione di reati in illeciti amministrativi 50.

6. Il rapporto di specialità tra norme incriminatrici. Come è possibile, allora, rispettare – in materia successoria – il principio

costituzionale di irretroattività ? Appare necessario che le norme le quali si avvicendano nel tempo siano poste tra loro

in rapporto di specialità. E ciò perché la subentrante norma speciale punisce così una classe di condotte, per definizione, ricompresa anche nella norma generale. I fatti astrattamente sanzionati attraverso la norma speciale rappresentano anche una parte degli astratti fatti già puniti dalla precedente norma generale.

In assenza di una relazione di specialità tra norme manca il presupposto per fondare la continuità normativa: si è in presenza, da un lato, di una abrogazione di una norma incriminatrice (art. 2 comma 2 c.p.) e, dall’altro lato, si è al cospetto di una nuova incriminazione (art. 2 comma 1 c.p.)51.

Sembra allora fondamentale fissare con precisione il concetto di norma speciale, o meglio delineare la nozione di “relazione di specialità tra norme”. Il predicato della specialità consegue invero ad un giudizio di comparazione tra due norme: si tratta di un giudizio relativo di comparazione, perché <<una norma non è generale in sé e per sé, ma in relazione ad altra norma: appunto, la norma speciale>>52.

Quando possiamo dire che si configura una relazione di specialità tra norme, dove la successiva norma speciale si riferisce ad una classe di condotte già punite anche dalla precedente norma generale ?

Per rispondere a tale domanda, bisogna instaurare un raffronto logico-strutturale tra gli elementi costitutivi delle fattispecie che si avvicendano nel tempo.

E’ da escludersi in radice una successione di norme incriminatrici quando le due fattispecie che si avvicendano prevedono condotte tipiche eterogenee, incentrate cioè su comportamenti strutturalmente non assimilabili 53.

Se gli elementi delle due fattispecie risultano eterogenei tra loro, il principio costituzionale di irretroattività impedisce che si possa rilevare un fenomeno di successione modificativa: il fenomeno dell’avvicendamento di norme interferenti dà luogo unicamente al binomio abolitio criminis/nuova incriminazione.

50 Cass., sez. un., 16 marzo 1994, Mazza, cit. In senso conforme Cass., sez. III, 3 maggio 1996, Nejrotti, cit.; Cass., sez. I, 20 novembre 1995, n. 3425, Spataro, in Giust. pen., 1997, II, c. 50. E più di recente, in tema di depenalizzazione dell'illecito di cui all'art. 2623 n. 3 c.c. ad opera dell'art. 2625 c.c., si è precisato che il giudice penale non ha l'obbligo di trasmettere gli atti alla autorità amministrativa competente ad applicare le sanzioni in ordine all'illecito depenalizzato, non sussistendo alcuna disposizione transitoria del d.lgs. n. 61 del 2002 che prevedeva un tale obbligo, mentre il legislatore, laddove ha ritenuto necessaria tale trasmissione, ha dettato un'espressa previsione, posto che detto obbligo si pone in contrasto con il principio di irretroattività della sanzione amministrativa (art. 1 l. n. 689 del 1981), che non può essere derogato se non nelle ipotesi tassativamente previste (Cass., sez. V, 5 marzo 2004, De Mattei, cit.). In argomento, per un quadro esaustivo della dottrina e della giurisprudenza (civile e penale), v. E. AGHINA, Depenalizzazione e nuova disciplina dell'illecito amministrativo, cit., p. 318 ss.; E. GALLUCCI, in Commento alla Depenalizzazione, cit., p. 973 ss.; G. COLLA - G. MANZO, Le sanzioni amministrative, cit., p. 268 ss. 51 In tal senso, cfr. Cass., sez. un., 26 marzo 2003, Giordano, cit., che esclude una (totale) abolizione del reato allorché tra le due norme in successione esista un rapporto di specialità, tanto nel caso in cui sia speciale la norma successiva quanto in quello in cui speciale sia la prima. 52 Così N. IRTI, L’età della decodificazione, Giuffrè, 1999, p. 53 ss. 53 T. PADOVANI, Tipicità e successione di leggi penali, cit., p. 1369. Cfr. anche D. PULITANO', Diritto penale, Giappichelli, 2007, p. 681, secondo cui non può parlarsi di successione di leggi quando le norme che si succedono nel tempo prevedono fattispecie caratterizzate da elementi eterogenei.

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A questo punto occorre, però, precisare quali sono i limiti della relazione di genere a specie tra due incriminazioni, ossia quali sono le forme che la relazione di specialità può assumere.

Sicuramente non siamo in presenza di un rapporto di eterogeneità strutturale: i) nella specialità unilaterale per specificazione (associazione per

delinquere/associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti); ii) nella specialità unilaterale per aggiunta (sequestro di persona/sequestro di persona a

scopo di estorsione). In queste due ipotesi si tratta di una relazione strutturale che garantisce il necessario

rispetto del canone di irretroattività, non presentando le due norme in successione elementi eterogenei tra loro.

Aspetto controverso del tema è se possa ravvisarsi una relazione di specialità normativa in presenza di una ipotesi di cosidetta specialità bilaterale o reciproca tra fattispecie: figura che si realizza quando entrambe le fattispecie presentano, accanto ad un nucleo di elementi comuni, elementi speciali ed elementi generali rispetto ai corrispondenti elementi dell’altra fattispecie.

Non si può parlare di eterogeneità strutturale tra le due fattispecie, nel caso di specialità bilaterale o reciproca in senso stretto (nessuna delle due fattispecie presenta qui elementi aggiuntivi rispetto all’altra; ad esempio: tra gli artt. 610 e 611 c.p.).

Va esclusa, invece, l’esistenza di un rapporto di specialità tra norme incriminatrici che si avvicendano nel tempo, nel caso di specialità reciproca bilateralmente per aggiunta: qui ad una norma incriminatrice ne subentra un’altra che contiene un elemento in aggiunta della precedente, ma a sua volta la previgente presenta un elemento aggiuntivo rispetto alla norma che subentra. Sicché entrambe le norme presentano, sotto il profilo della struttura, elementi eterogenei: le fattispecie sono qui in rapporto di interferenza.

7. L’abolitio criminis parziale. Quindi: se due norme si succedono nel tempo e sono poste in rapporto di specialità tra

loro non si verifica una totale abolizione del reato. In particolare, se l’avvicendamento avviene nel senso che al posto di una norma

generale subentra una norma speciale, si produce il fenomeno della c.d. abolitio criminis parziale54.

Qui la nuova legge circoscrive (o meglio restringe) l’area della previgente incriminazione, sicché una o più sottofattispecie di essa perdono rilevanza penale. In pratica, la norma speciale successiva toglie vigore alla norma generale precedente rispetto a quelle condotte legali che non sono più comprese nel perimetro della norma speciale vigente55.

54 Già ad avviso di T. PADOVANI, Tipicità e successione di leggi penali, cit., p. 1376, <<il passaggio da una norma ad un’altra di contenuto “specializzato” è assimilabile al fenomeno dell’abrogazione parziale: si verifica successione rispetto al fatto che continua ad essere previsto dalla nuova legge, ed abolitio criminis rispetto a quellonon riprodotto nel nuovo tipo>>. 55 Secondo Cass., sez. un, 26 marzo 2003, Giordano, cit., in presenza di una successione tra norme poste in rapporto di genere a specie fra loro, se la norma successiva è speciale <<ci si trova in presenza di un'abolizione parziale, perché l'area della punibilità riferibile alla prima viene ad essere circoscritta, rimanendone espunti tutti quei fatti che pur rientrando nella norma generale venuta meno sono privi degli elementi specializzanti. Si tratta di fatti che per la legge posteriore non costituiscono reato e quindi restano assoggettati alla regola del secondo comma dell'art. 2 c.p., anche se tra la disposizione sostituita e quella sostitutiva può ravvisarsi una parziale continuità. Perciò per questi fatti non opera il limite stabilito dall'ultima parte del terzo comma dell'art. 2 c.p. e quando è stata pronunciata una condanna irrevocabile il giudice dell'esecuzione deve provvedere a revocarla a norma dell'art. 673 c.p.p.>>.

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L’abolitio criminis parziale, in definitiva, altro non è che una abrogazione parziale di una norma incriminatrice: nel senso che la nuova norma speciale riduce rispetto a prima l’area della illiceità penale.

L’abolizione si definisce parziale perché non si determina l’abolizione dell’intera incriminazione con il suo nomen juris, bensì solamente delle sottofattispecie che vengono escluse dal ritaglio compiuto dal legislatore.

Il fenomeno dell’abolizione parziale è regolato, per la porzione d’incriminazione eliminata, dal comma 2 dell’art. 2 c.p. (immediato proscioglimento o se vi è condanna definitiva revoca di essa); invece, per la parte che continua ad essere vigente è disciplinato dal nuovo comma 4 dell’art. 2 c.p. (applicazione della disposizione più favorevole, se non c’è il giudicato; con l’eccezione però del nuovo comma 3).

La parziale abrogazione della norma incriminatrice può allora essere intesa come concetto di relazione: rispetto ad una determinata norma si circoscrive l'area di applicazione. In pratica, si restringe l'ambito denotativo dell'enunciato normativo. I casi disciplinati, ricompresi, da quella norma sono in un numero minore rispetto a prima.

In che modo si produce una abolitio criminis parziale ? Occorre incidere sull'enunciato normativo, sulla struttura della fattispecie. Arricchire

la formulazione linguistica del testo comporta (di regola) un restringimento del campo di applicazione della norma. Maggiore è la connotazione dell'enunciato, minore (di solito) l'ambito denotativo di esso. Si pensi, ad esempio, sotto il profilo dei soggetti attivi, al delitto di corruzione: la figura della corruzione impropria (art. 318 c.p.) è maggiormente connotata e dunque possiede un ambito denotativo più circoscritto rispetto alla c.d. corruzione propria (art. 319 c.p.), di essa risponde la persona incaricata di un pubblico servizio, ma solo se riveste anche la qualifica di impiegato pubblico (art. 320 comma 1 c.p.).

Entrambe le figure (specialità per aggiunta e specialità per specificazione) presentano sul piano della fattispecie un arricchimento, una maggiore connotazione, restringendo così rispetto alla previgente norma generale l'ambito denotativo.

Distinzione tra specialità per specificazione e specialità per aggiunta. A livello di struttura della fattispecie, ossia di descrizione legislativa della condotta

penalmente sanzionata, si può cogliere la distinzione tra specialità per aggiunta e specialità per specificazione56.

In presenza di due fattispecie che si succedono nel tempo, si realizza il fenomeno della specialità per specificazione quando un elemento strutturale viene sostituito da un altro elemento che integra una sottoclasse del primo: ad esempio si incriminava chiunque tenesse un certo comportamento, in seguito il legislatore punisce soltanto i pubblici ufficiali che hanno commesso quello stesso fatto. Invero, la classe dei pubblici ufficiali costituisce una sottoclasse della classe di tutti gli uomini, nel senso che la classe dei pubblici ufficiali è inclusa (o contenuta) nella classe di tutti gli uomini. Il quid pluris costituisce, quindi, una species di un corrispondente elemento generico della fattispecie generale.

Per contro, la specialità per aggiunta si verifica quando la fattispecie successiva speciale presenta gli stessi elementi della precedente generale con l’aggiunta di uno o più elementi nuovi, che risultano dare luogo, sul piano normativo, a sottoclassi di fattispecie che erano già incluse nella classe di fattispecie della vecchia norma, ma che oggi sono disciplinate implicitamente in chiave negativa, escludendo la configurabilità dell’incriminazione.

56 Sulla distinzione tra specialità per specificazione e specialità per aggiunta, cfr. F. MANTOVANI, Diritto penale, parte generale, cit., p. 456, nt. 88; GA. DE FRANCESCO, voce Concorso apparente di norme, in Dig. disc. pen., vol. II, Utet, 1988, p. 422; B. ROMANO, Il rapporto tra norme penali, Giuffrè, 1996, p. 211 ss.; A. NAPPI, Specialità per specificazione e specialità per aggiunta nella successione di norme penali, in Dir. pen. proc., 2004, p. 1061 ss.; T. PADOVANI, Bancarotta fraudolenta impropria, cit., p. 3331 ss.; F.M. IACOVIELLO, Bancarotta fraudolenta, cit., p. 617 ss.; R. ALAGNA, Tipicità e riformulazione del reato, cit., p. 120 ss.

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In pratica, a livello della struttura della fattispecie, in presenza di un fenomeno di specialità per aggiunta, si ha una variazione numerica dei suoi elementi; mentre, nella specialità per specificazione, i requisiti strutturali non variano quantitativamente bensì qualitativamente: rappresentando uno di essi una sottoclasse del precedente; il nuovo elemento denota un soggetto, un oggetto, un evento connotato in modo ulteriore rispetto al precedente, mantenendo tuttavia il nucleo originario di connotati comuni57.

Tuttavia, mentre sul piano della struttura, la fattispecie speciale (sia per aggiunta che per specificazione) contiene tutti gli elementi di quella generale più uno o ulteriori; viceversa riguardo alla sua dimensione normativa l'intera classe dei fatti sussumibili nell’ambito della norma speciale sono compresi anche nell’ambito della norma generale, essendosi verificata sul piano precettivo una restrizione del suo campo applicativo. Sicché, alcuni casi generici riconducibili alla norma generale non possono essere inclusi nell’area normativa di quella speciale.

8. Relazione di specialità e abolitio criminis. Si esamina in questo paragrafo la c.d. concezione radicale dell'abolitio criminis nella

sostituzione di una fattispecie speciale ad una più generale. Parte della dottrina ritiene infatti che, quando tra le fattispecie penali che si

avvicendano nel tempo intercorre una relazione di specialità, si verifica necessariamente una abolitio criminis totale, poiché diversamente si applicherebbe retroattivamente un requisito del reato, che al momento del fatto non ne condizionava la tipicità.

In pratica, nella successione cronologica fattispecie generale → fattispecie speciale, il legislatore attribuirebbe rilevanza penale ad elementi dell’illecito penale che prima non l’avevano: con la conseguenza che si finirebbe per applicare retroattivamente una porzione della nuova fattispecie incriminatrice.

Si osserva, così, che nel passaggio dalla fattispecie generale a quella speciale la persistenza dell’illecito è fondata valorizzando retroattivamente un elemento di una fattispecie entrata in vigore successivamente al tempo del commesso reato; elemento che dunque all’epoca era penalmente irrilevante giacché non tipizzato (violazione del divieto di retroattività). Sicché la sequenza fattispecie generale → fattispecie speciale – per questa tesi – comporta sempre un fenomeno di abolizione della incriminazione, ai sensi dell’art. 2 comma 2 c.p., anche se il bene tutelato dalle due fattispecie sia il medesimo58.

In tal senso, già precedentemente, altro autore aveva sostenuto che: <<la sussunzione di un fatto compiuto sotto il vigore della disposizione generale, nella disposizione successiva speciale, qualora esso si sia verificato con le note caratteristiche di quest’ultima, è possibile solo violando il principio di irretroattività [...] tale operazione sarebbe possibile solo facendo retroagire la norma speciale successiva, che andrebbe così a fondare la punibilità su ciò che ora è rilevante (le note specializzanti del fatto) ma che prima non lo era ancora>>59.

Altra parte della dottrina ha risolutamente criticato l'impostazione cosiddetta radicale nel passaggio dalla fattispecie generale a quella speciale. Si è sostenuto che questa tesi – con riguardo ai fatti pregressi – inquadra, nel fenomeno dell'abolizione integrale dell'incriminazione, ipotesi che, alla stregua del paradigma classico o tradizionale dei rapporti

57 Per una diversa ricostruzione della distinzione tra specialità per aggiunta e per specificazione, cfr. però R. ALAGNA, Tipicità e riformulazione del reato, cit., p. 123 ss. 58 M. MUSCO, La riformulazione, cit., p. 81 ss, 102 ss. 59 S. PREZIOSI, La riforma della fattispecie incriminatrice di abuso di ufficio, in AA.VV., Reati contro la pubblica amministrazione, a cura di F. Coppi, Giappichelli, 1993, p. 178.

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strutturali tra fattispecie, dovrebbero essere ritenute di sola abrogazione parziale dell'illecito penale60.

In tal senso si è affermato che dare rilievo ai nuovi elementi specializzanti non viola il principio di irretroattività, giacché essi delimitano l’area del penalmente rilevante. <<La ratio garantista del divieto di retroattività non è d’ostacolo a ritenere la persistente rilevanza penale dei tipi di fatto (sottoinsiemi o sottofattispecie) già rientranti nella fattispecie generale abrogata, il cui disvalore astratto sia confermato dalla legge speciale successiva>>61.

Per questa dottrina, la sola impostazione conforme con il principio di legalità e coerente con il fondamento dell’art. 2 c.p. è, dunque, quella dell’applicazione del criterio formale della specialità: sicché per l’insieme dei fatti riconducibili sia nella fattispecie generale che in quella speciale, il giudizio di disvalore astratto, espresso dalla legge penale, resta confermato62.

In definitiva, quindi, se la l’abolizione del reato è esclusa per il futuro dalla nuova disposizione speciale, occorre escluderla anche per i fatti commessi nella vigenza della precedente ipotesi criminosa generale, perché diversamente si punirebbe un certo comportamento solo se realizzato dopo l’entrata in vigore della nuova disposizione, anche se la medesima condotta era già punibile alla stregua della fattispecie originaria. Tale soluzione è imposta dal principio di legalità e, soprattutto, da quello costituzionale di eguaglianza.

Si conclude così affermando che il principio di legalità non lascia spazio <<ad abolizioni “avventurose”, che introducano amnistie occulte>>; mentre i princìpi in tema di successione di leggi penali devono garantire la continua coerenza dei giudizi espressi dall’ordinamento penale, nella valutazione dei medesimi tipi di fatto63.

Infine, penetranti considerazioni critiche, che sembrano aver travolto definitivamente (almeno a livello di applicazione giurisprudenziale) la concezione radicale, sono state enunciate dalle già citate Sezioni unite "Giordano" del 2003. Ad avviso della Corte l'obiezione secondo cui <<l'applicazione della legge successiva speciale a fatti commessi prima si risolve in ogni caso in un'applicazione retroattiva di questa, in quanto dà rilevanza a elementi specializzanti che in precedenza non l'avevano, non coglie nel segno, non solo perché, come è stato rilevato, condurrebbe a conclusioni assurde e inaccettabili (e nell'interpretazione l'argumentum ab absurdo non è da sottovalutare), ma anche e soprattutto perché in un caso del genere si è puniti per un fatto previsto come reato anche dalla legge precedente, sicché la punibilità non è determinata da un'applicazione retroattiva della legge successiva. Questa, a ben vedere, quando risulta speciale rispetto alla precedente, si limita a ritagliare una porzione della vecchia, ad individuare una sottofattispecie, di cui conserva la punibilità impedendo che rispetto ad essa l'abrogazione abbia un effetto retroattivo abolitivo ... Insomma, mantenere la punibilità di un fatto commesso nel vigore di una norma generale quando essa è stata sostituita con una norma speciale non significa fare un'applicazione retroattiva di questa ma piuttosto escluderne l'efficacia abolitrice per la porzione della

60 D. PULITANO', Legalità discontinua ? Paradigmi e problemi di diritto intertemporale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2002, p. 1275 ss. 61 D. PULITANO', Legalità discontinua?, cit., p. 1279. In sintonia con tali considerazioni, si è asserito che la concezione radicale dell’abolitio criminis è fallace dal punto di vista della logica delle norme: infatti ciò che viene previsto espressamente dalla norma successiva, ossia l’elemento specializzante, proprio in quanto specializzante è implicitamente previsto anche nella norma precedente (così S. CANESTRARI – L. CORNACCHIA – G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, parte generale, il Mulino, 2007, p. 156). 62 D. PULITANO’, La giustizia penale fra vecchio e nuovo, in Le Società, 2002, n. 9, p. 1117; D. PULITANO', Legalità discontinua?, cit., p. 1289. 63 D. PULITANO’, La giustizia penale, cit., p. 1117 ss.; D. PULITANO', Legalità discontinua?, cit., p. 1289 ss. Sembra condividere tali critiche R. ALAGNA, Tipicità e riformulazione del reato, cit., p. 120 ss., e spec. p. 131 ss.

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fattispecie prevista dalla norma generale che viene a coincidere con quella della norma speciale successiva>>64.

In virtù di tali premesse argomentative deve essere respinta anche l’ulteriore concezione che distingue, all'interno della relazione di specialità tra fattispecie che si succedono nel tempo, la specialità per specificazione dalla specialità per aggiunta65.

In sintesi, per questa concezione, soltanto se sussiste una relazione di specialità per specificazione tra fattispecie vi è necessariamente continuità normativa. Invece, in presenza di una relazione di specialità per aggiunta si può anche produrre una abolitio criminis integrale se l'elemento specializzante incide in modo decisivo sul contenuto di disvalore della nuova incriminazione (cfr. il caso della bancarotta fraudolenta societaria).

A tale proposito, in chiave critica, si è scritto che questa teoria – la quale distingue tra le due forme che il rapporto di specialità può assumere (specificazione e aggiunta) – se appare meno dirompente rispetto alle precedenti tesi estreme che postulano sempre un'abolitio criminis integrale in presenza di una nuova fattispecie speciale, è forse più insidiosa per la tenuta della legalità penale66.

Invero, la distinzione tra specialità per specificazione e specialità per aggiunta presenta soltanto un carattere descrittivo, ma <<non individua due forme di specialità logicamente, strutturalmente e funzionalmente diversificabili sul piano giuridico-penale>> 67.

Si aggiunge poi che, pur cogliendosi sul piano fenomenico una differenza tra specialità per aggiunta e specialità per specificazione, il risultato dal punto di vista funzionale non cambia: <<la nuova fattispecie (che sia speciale "per specificazione" o speciale "per aggiunta") postula gli stessi elementi della precedente, oltre al nuovo requisito specializzane, il cui significato è in ogni caso lo stesso: selezionare le modalità di offesa>>68.

Non si può, dunque, asserire che in caso di specialità per aggiunta si verifichi una <<efficacia abrogativa totale in funzione del "peso" riconosciuto all'elemento "aggiunto" rispetto all'asse teleologico della disposizione>>69.

Soltanto eccezionalmente si ammette tuttavia che, pur in presenza dell’inserimento di una disposizione speciale rispetto a quella generale sostituita, comunque la volontà del legislatore sia quella di addivenire ad una vera e propria abolizione integrale dell’incriminazione precedente70.

In questa direzione si è orientata la giurisprudenza delle Sezioni unite penali in materia tributaria. In particolare, in tale settore si è avuta una valorizzazione del nuovo orientamento politico criminale imposto dal legislatore, in relazione al nuovo delitto di omessa dichiarazione previsto all'art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 rispetto alla previgente contravvenzione di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e Iva (art. 1 comma 1 l. n. 516 del 1982) 71.

64 Cass., sez. un, 26 marzo 2003, Giordano, in Cass. pen., 2003, p. 3317. 65 Si allude alla elaborazione dottrinale di A. NAPPI, Specialità per specificazione e specialità per aggiunta, cit., p. 1062 ss. Sembrerebbe orientata in questo senso altresì P. SEVERINO, voce Successione di leggi penali nel tempo, in Enc. giur. Treccani, vol. XXX, Roma, 1993, p. 6, la quale riconduce l'ipotesi della restrizione della fattispecie per aggiunta di elementi nuovi al comma 2 dell'art. 2 c.p., giacché il loro inserimento spezza il rapporto di continuità tra fattispecie che si succedono nel tempo. 66 T. PADOVANI, Bancarotta fraudolenta impropria, cit., p. 3331. 67 T. PADOVANI, Bancarotta fraudolenta impropria, cit., p. 3331. Nel senso che non c’è nessuna differenza ontologica tra specialità per specificazione e per aggiunta, cfr. poi R. ALAGNA, Tipicità e riformulazione del reato, cit., p. 124 ss. 68 T. PADOVANI, Bancarotta fraudolenta impropria, cit., p. 3332. 69 T. PADOVANI, Bancarotta fraudolenta impropria, cit., p. 3332. 70 In proposito, si rinvia agli approfondimenti di M. DONINI, Abolitio criminis e nuovo falso in bilancio, cit., p. 1272 ss.; M. DONINI, Discontinuità del tipo di illecito e amnistia, cit., p. 2859 ss. 71 Cass., sez. un., 13 dicembre 2000, Sagone, in Cass. pen., 2001, p. 2054, con nota di M. MUSCO, L’abolitio criminis dell’omessa presentazione della dichiarazione annuale di cui al previgente art. 1 comma 1 l. n. 516 del 1982: la svolta delle Sezioni unite in tema di successione di leggi penali; in Rass. trib., 2001, p. 550 ss., con nota

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Inoltre, pure secondo le Sezioni unite "Giordano" siffatta evenienza <<non può essere esclusa, ma nell'ambito della disciplina della successione di leggi penali non costituisce certo la regola>>. E' possibile, infatti, che nella legge successiva vi siano elementi indicativi della volontà legislativa di far venir meno la punibilità dei reati commessi in precedenza, benché esistano le condizioni per l'applicabilità della regola dell'art. 2 comma 3 c.p.72.

Anche per una parte della dottrina, non si può scartare l'ipotesi che, in via del tutto eccezionale, nonostante la nuova disposizione sia speciale rispetto a quella abrogata, il legislatore abbia inteso procedere ad una vera e propria abolizione della incriminazione precedente73.

9. L’abrogatio sine abolitione. In presenza della riformulazione di un testo legislativo si determina, comunemente,

una ipotesi di continuità normativa tra le figure di reato in successione temporale, accompagnata di solito da una parziale abolitio criminis: come ad esempio avvenuto in relazione alla riformulazione del reato di bancarotta impropria societaria (art. 223 comma 2 n. l. fall., modif. dal d.lgs. n. 61 del 2002) o dell’abuso d’ufficio (art. 323 c.p., modif. dalla l n. 234 del 2007).

Tuttavia, un fenomeno di continuità normativa sussiste talvolta anche in presenza dell’espressa abrogazione di una “disposizione” legislativa incriminatrice.

Non sempre, invero, la formale abrogazione di una “disposizione” incriminatrice comporta l’integrale abolizione della rilevanza delle condotte in essa tipizzate.

Quando dall’abrogazione espressa di una disposizione non deriva una radicale abolitio criminis si parla di abrogatio sine abolitione.

Facciamo alcuni esempi di abrogazione di una “disposizione” incriminatrice senza abolitio criminis integrale:

(i) Espressa abrogazione di una disposizione, ma simultanea introduzione da parte del legislatore di un'altra disposizione che ricomprende le tipologie di fatti prima punibili attraverso la disposizione eliminata.

Caso riferibile a tale paradigma è quello relativo all’espressa abrogazione degli artt. 519- 521 c.p. (violenza carnale e atti di libidine violenti) e alla coeva introduzione dell’art. 609-bis (violenza sessuale).

ii) Espressa abrogazione legislativa di una disposizione, con contemporanea riformulazione di un'altra disposizione già esistente, in modo che essa accolga gli astratti casi inclusi nel testo di legge abrogato.

Ad esempio, secondo la giurisprudenza, l'espressa abrogazione dell'art. 315 c.p., disposta dall'art. 20 l. n. 86 del 1990, non ha determinato l'abrogazione della norma incriminatrice che puniva la malversazione a danno di privati, ma solo la sua soppressione quale figura autonoma di reato, essendo stata assorbita nel reato di peculato di cui all'art. 314 c.p. a sua volta riformulato dalla stessa legge del 199074.

Altra ipotesi: l’eliminazione dal sistema penale dell’art. 324 c.p. (interesse privato in atti d’ufficio, abrogato dall’art. 20 l. n. 86 del 1990), e la contemporanea riformulazione del delitto di abuso d’ufficio (art. 323 c.p., modificato dall’art. 13 l. n. 86 cit.): una porzione della classe delle condotte punibili attraverso il previgente reato d’interesse privato è diventata

di C. CUPELLI, Il delitto di omessa dichiarazione alla prova delle Sezioni unite: profili intertemporali per il nuovo diritto penale tributario. 72 Cass., sez. un, 26 marzo 2003, Giordano, cit, spec. p. 3317 – 3318. 73 F. PALAZZO, Corso di diritto penale, parte generale, Giappichelli, 2006, p. 159. 74 Cass., sez. V, 10 marzo 1992, Marchetti, in C.E.D. Cass., n. 190073; Cass., sez. VI, 17 ottobre 1991, Campanella, ivi, n. 188922.

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penalmente lecita; mentre, l’altra parte di essa continua a rilevare penalmente ai sensi del novellato abuso d’ufficio75.

iii) Espressa abrogazione di una disposizione speciale quando nel sistema è presente un’altra disposizione generale che riespande la sua portata applicativa, così da comprendere la classe dei fatti prima riconducibili alla lex specialis eliminata.

Si può citare, ad avviso di chi scrive, il caso dell’abrogazione dell’art. 341 c.p. (oltraggio) che (almeno in parte) puniva l’offesa all’onore del pubblico ufficiale, la cui condotta deve essere sussunta oggi sotto il delitto di ingiuria aggravata (art. 594 c.p.). Solo per la classe dei fatti riconducibili all’altra ipotesi che incriminava l’offesa al prestigio del pubblico ufficiale si può parlare di (parziale) abolitio criminis (ad es.: strappo la multa; mi siedo sull’automobile della polizia).

Ma sappiamo che le Sezioni unite Avitabile (27.6.2001) sono state di contrario avviso: abolitio criminis integrale e conseguente revoca ex art. 673 c.p.p. delle condanne passate in giudicato.

Altro esempio che viene portato in dottrina è quello dell’abrogazione dell’art. 554 c.p. (contagio di sifilide e blenoraggia) rifluita nella fattispecie di lesioni volontarie (art. 582 c.p.) (Padovani).

10. Specialità diacronica e specialità sincronica. Abbiamo sino ad ora parlato di due norme incriminatrici che si avvicendano nel

tempo, tra loro in rapporto di genere → specie, per cui la norma speciale successiva toglie vigore alla norma generale precedente rispetto a quelle tipologie di condotte che non sono più ricomprese nella norma speciale vigente.

In presenza di questa relazione di specialità tra norme incriminatrici che si succedono nel tempo, possiamo parlare di “relazione di specialità tra norme incriminatrici di tipo diacronico”: nella visuale diacronica la relazione normativa viene presa in considerazione lungo il suo sviluppo temporale, nella sua evoluzione storica (ad es. la riformulazione dll’art. 223 comma 2 n. 1 l. fall.).

Il rapporto di specialità può essere anche di tipo “sincronico”: si instaura tra due norme che “coesistono” nel sistema penale allo stesso tempo. Nella visuale sincronica, la relazione normativa viene presa in considerazione facendo un taglio sull’asse del tempo, e guardando a come le norme si presentano in un dato momento storico agli occhi dell’osservatore, prescindendo dalla loro evoluzione temporale e dai mutamenti che si sono avuti.

La specialità di tipo sincronico è disciplinata a livello positivo dall’art. 15 c.p.: qui la norma speciale non toglie vigore alla norma generale, ma ne circoscrive solo l’ambito di efficacia e di applicabilità.

Siamo in presenza di due (o più) norme incriminatrici contemporaneamente vigenti, poste tra loro in astratta relazione di genere a specie: e secondo quanto previsto dall’art. 15 c.p “la legge speciale deroga alla legge generale”, nel senso che l’art. 15 c.p. contiene una regola di “prevalenza”, che impone l’applicazione unicamente della norma speciale, escludendo così il concorso effettivo (reale) di reati.

Pertanto: nella c.d. specialità diacronica vi è una relazione di specialità tra norme in successione nel tempo, che si fonda su un rapporto di genere a specie (genus ad speciem) e che dà luogo ad un fenomeno di continuità normativa.

75 Cass., sez. un., 20 giugno 1990, Monaco e altro, in Foro it., 1990, II, c. 637, con nota di G. FIANDACA, Questioni di diritto transitorio in seguito alla riforma dei reati di interesse privato e abuso innominato di ufficio.

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Invece, nella c.d. specialità sincronica sussiste una relazione di specialità tra norme coesistenti nel medesimo tempo, che impone l’applicazione esclusivamente della norma speciale, evitando un concorso effettivo di reati (concorso formale eterogeneo).

La specialità sincronica non presuppone, tuttavia, che le due norme in relazione di genere a specie siano entrate in vigore contemporaneamente.

La specialità sincronica può anche sopravvenire: nel senso che la norma speciale si aggiunge alla norma generale. La norma speciale non si sostituisce qui a quella generale, sicché il testo legislativo da cui si ricava la norma generale non viene espunto dall'ordinamento giuridico vigente.

In questa ipotesi, in cui appunto l'enunciato legislativo non viene eliminato dall'ordinamento, si ha in pratica l'introduzione di una norma incriminatrice speciale senza l'eliminazione della corrispondente norma generale. La norma speciale sottrae la disciplina di alcuni tipi di fatti, prima puniti attraverso la norma generale, che comunque continua a sanzionare quella parte della classe di fatti che oggi non ricade nell'area della norma speciale.

In definitiva, si può affermare che qui la norma speciale successiva non abroga la norma generale antecedente, bensì la deroga: ossia ne restringe il campo di applicazione.

L'area incriminatrice non si riduce, poiché la riduzione dell'area della norma generale è compensata dalla contemporanea apparizione dell'area incriminatrice della norma speciale. La porzione sottratta alla norma generale confluisce così nella nuova norma speciale76.

Pertanto, la specialità sincronica sopravvenuta non attiene al fenomeno della abolitio criminis parziale né tanto meno integrale (si applica qui solo il comma 4 dell'art. 2 c.p.), a differenza della specialità diacronica dove l'avvicendamento nel tempo di due norme in relazione di genere a specie conduce al fenomeno della limitata abrogazione normativa.

Un importante caso di specialità sincronica sopravvenuta può ravvisarsi nell'introduzione del delitto di infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.).

Al riguardo si è posta la questione di stabilire se la nuova figura di reato abbia comportato delle ripercussioni rispetto alla classe dei fatti antecedentemente riconducibili al delitto di appropriazione indebita (art. 646 c.p.). In realtà, si deve ritenere che l'introduzione dell'infedeltà patrimoniale ha soltanto sottratto all'ambito applicativo del delitto di cui all'art. 646 c.p., alcune ipotesi di appropriazione di beni sociali, con abuso di relazioni di ufficio, poste in essere da parte di amministratori di società commerciali. Tali tipologie di comportamenti, erose dall'area punitiva dell'appropriazione indebita, sono però confluite nell'ambito del nuovo delitto di infedeltà patrimoniale, dando luogo così ad un semplice fenomeno di successione di norme penali modificative.

La distinzione tra specialità sincronica (art. 15 c.p.) e specialità diacronica (art. 2 c.p.) è alla base della identificazione della categoria delle c.d. “norme penali di favore”: norme sindacabili dalla Corte costituzionale perché la loro invalidazione non confligge con il principio della riserva di legge in materia penale (art. 25 comma 2 Cost.).

Secondo la Corte costituzionale (sent. 394/2006) possono essere incluse nella classe delle norme penali di favore sindacabili soltanto quelle norme che si trovano in rapporto di specialità di tipo sincronico: rapporto che si instaura fra due norme che coesistono nel sistema penale allo stesso tempo. Come nel caso del c.d. falso elettorale – che nella versione modificata nel 2004 – ha sottratto alcune tipologie di fatti prima puniti dalla norma generale ex art. 479 c.p. (falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici).

76 Osserva al riguardo N. IRTI (L’età della decodificazione, cit., p. 63 ss.) che la deroga designa una relazione tra norme; e in particolare una “relazione sottrattiva” tra due norme che sono ordinate in modo tale che l’efficacia di una norma (norma derogata) si estende fin dove le fattispecie concrete non rientrano nella previsione di un’altra (norma derogante). Se la norma derogante non esistesse, i casi da essa previsti cadrebbero sotto la disciplina della norma derogata. Una norma in tanto deroga ad un’altra, in quanto le sottrae un gruppo o una classe di casi e perciò ne riduce lo spazio di applicazione.

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Diversa è la sorte per i casi di specialità diacronica, come già affermato dalla Corte costituzionale (sent. 161/2004) in materia di (nuove) false comunicazioni sociali: in caso, infatti, di avvicendamento temporale tra una norma incriminatrice generale e una speciale, se interviene la declaratoria di incostituzionalità della norma speciale, si produce la reviviscenza della norma generale abrogata, così incidendo sulle scelte politico-criminali, attribuite dall’art. 25 Cost. in via esclusiva al Legislatore.

Nel caso di specialità sincronica, di compresenza di incriminazioni, l’annullamento da parte della Corte costituzionale della norma speciale di favore non incide sul monopolio del legislatore sulle scelte di criminalizzazione: l’eliminazione della disposizione lesiva dei parametri costituzionali ha come conseguenza l’automatica riespansione della norma generale, non si incide così sull’area del penalmente rilevante, che resta immutata (cfr. sent. 394/2006).

11. Successione di disposizioni integratrici. L’aver ricondotto nei precedenti paragrafi il fenomeno abolitivo al concetto teorico-

generale di abrogazione normativa consente di formulare alcune osservazioni riguardo all’intricata materia delle cosiddette modificazioni mediate o indirette della fattispecie penale77.

Come è noto, in queste ipotesi – in cui la norma incriminatrice non è il prodotto dell’interpretazione di una singola disposizione – l’innovazione legislativa non incide direttamente sulla disposizione incriminatrice principale, bensì modifica un qualsiasi enunciato normativo richiamato dalla disposizione medesima: enunciato che contribuisce così a determinare la vera e propria norma incriminatrice. Qui il dato oggetto di variazione non è, dunque, l’enunciato legislativo principale da cui si ricava, mediante interpretazione, la norma incriminatice, ma un enunciato normativo secondario che apporta un effettivo contributo alla determinazione del tipo di reato78.

Si tratta in pratica di un meccanismo di eterointegrazione della fattispecie astratta mediante apporti derivanti da altri testi normativi. La norma incriminatrice si ricava da più enunciati legislativi (disposizioni) in combinazione tra loro: sicché “norma” in tale contesto è il significato di una combinazione di enunciati legislativi. La norma incriminatrice deve essere, allora, identificata combinando la disposizione principale con ogni disposizione integratrice: la norma è espressa attraverso la congiunzione di una pluralità di enunciati diversi.

Ebbene – come per le modificazioni dirette o immediate – una qualunque novatio legis concernente in senso lato la disposizione integratrice (ossia non solo il profilo della sua struttura linguistica), che restringa l’ambito applicativo della incriminazione, comporta di conseguenza una parziale abrogazione della norma incriminatrice, con efficacia retroattiva ai sensi dell’art. 2 comma 2 c.p., travolgendo anche il giudicato formatosi rispetto alla classe di condotte abolite79.

77 Da ultimo in proposito, possono consultarsi le corpose opere di D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, Giappichelli, 2006; e G.L. GATTA, Abolitio criminis e successione di norme “integratrici”: teoria e prassi, Giuffrè, 2008. 78 Cfr. Cass., sez. un., 27 settembre 2007, Magera, cit. 79 In tal senso, cfr. M. PETRONE, L’abolitio criminis, Giuffrè, 1985, p. 25 ss. Secondo tale autore quando la vicenda modificativa operi su una disposizione richiamata da un elemento normativo della fattispecie incriminatrice, eliminando dal suo campo di operatività una sottofattispecie, si determina una abolitio criminis parziale.

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Il fenomeno dell’abolitio criminis, deve essere considerato come concetto o nozione unica di natura normativa, che vale cioè sia per le modificazioni immediate sia per quelle mediate80.

Si tratta invariabilmente dell’abrogazione (almeno parziale) di una norma incriminatrice.

Viene in considerazione il medesimo statuto logico dell’abolitio criminis, legato alla restrizione dell’area di applicazione di un determinato illecito penale.

Anche in materia di successione di disposizioni integratrici per verificare l’effetto abolitivo, bisogna stabilire se la fattispecie astratta di quella specifica figura di reato si è ridotta, se l’area incriminatrice di essa si è circoscritta.

In definitiva, per decidere del fenomeno abolitivo occorre riscontrare la presenza (almeno) di una parziale abrogazione della norma incriminatrice. Mentre, non rileva che un concreto fatto verificatosi non sia più riconducibile alla norma incriminatrice a seguito della modifica che ha investito il dato normativo richiamato.

Di conseguenza, va respinto quell’orientamento giurisprudenziale (esposto più avanti) che anche con riferimento alle c.d. modifiche mediate, fa leva sul criterio del fatto concreto per dirimere l’alternativa tra il fenomeno abolitivo e quello semplicemente modificativo.

Occorre stabilire, invece, se l’atto o l’enunciato oggetto di modificazione contribuisca effettivamente a delimitare l’astratta area normativa d’incriminazione: non basta che esso escluda in concreto alcuni fatti storici che si sono verificati. L’abolitio criminis nella prospettiva costituzionale (art. 25 comma 2 Cost.), qui privilegiata, è invariabilmente un concetto logico-formale, riconducibile ad un’abrogazione (almeno parziale) di una norma generale e astratta, sicché è esclusa una verifica legata al caso concreto81.

In tal senso si sono espresse le recenti Sez. unite Magera. Nella pronuncia in questione – in piena sintonia con le precedenti Sezioni unite “Giordano” del 2003 – si è asserito che, non solo per la diretta abolizione parziale di una incriminazione, ma pure rispetto alla successione di leggi extrapenali occorre avere come punto di riferimento la fattispecie astratta e non il fatto concreto: nel senso che bisogna stabilire se l’astratta fattispecie risultante dal collegamento tra la disposizione incriminatrice e la legge extrapenale modificata sia cambiata e in parte non sia più prevista come reato. In tal caso si verifica una parziale abolitio criminis, analoga a quella che si produce allorché è la stessa disposizione incriminatrice ad essere modificata con il ritaglio di una parte della sua fattispecie originaria82.

80 Così anche D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, Giappichelli, 2006, p. 65 ss., il quale precisa che si tratta di fenomeni intertemporali perfettamente identici, da assoggettare perciò alla medesima disciplina. In tale ottica sembra collocarsi D. PULITANO, Diritto penale, 2007, cit., p. 686 ss., che parla di un criterio unico: quello dell’incidenza sul disvalore astratto del tipo di fatto; inoltre, in tal senso, v. S. CANESTRARI – L. CORNACCHIA – G. DE SIMONE, Manuale di diritto penale, cit., p. 161. 81 In tal senso, cfr. D. MICHELETTI, Legge penale e successione di norme integratrici, cit., p. 223 ss., il quale afferma con decisione che l’impostazione della mediazione del fatto concreto è smentita dal diritto positivo, comportando altresì inconvenienti di ordine pratico.

In senso diametralmente opposto alla prospettiva qui privilegiata, si è invece affermato che <<il principio di uguaglianza ed il finalismo rieducativo della pena integrano la base ermeneutica più solida e convincente perché il fenomeno successorio ex art. 2 c.p. venga riportato, in tutte le sue manifestazioni, alla dimensione del fatto concreto e non resti confinato nei ristretti limiti della fattispecie astratta>> (L. RISICATO, Gli elementi normativi della fattispecie penale, Giuffrè, 2004, p. 273 ss., 281 ss.). In questo senso, cfr. G. DE VERO, Corso di diritto penale, cit., p. 310, che valorizzando la portata letterale dell’art. 2 c.p., pone al centro del fenomeno dell’abolitio criminis <<l’attuale irrilevanza penale del fatto concreto, quale che ne sia la genesi sul piano della successione di leggi, penali o extrapenali, integratrici o non integratrici>>. 82 Cass., sez. un., 27 settembre 2007, Magera, cit.: nella specie l’adesione all’Unione europea di Romania e Bulgaria ha reso necessario stabilire se si sia o meno verificata una parziale abolitio criminis per i reati in materia di immigrazione, commessi da cittadini rumeni o bulgari prima del 1° gennaio 2007.

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Ebbene, appaiono pienamente condivisibili le considerazioni delle Sezioni unite Magera tese a respingere i criteri che affondano le loro radici nell’imprescindibile passaggio attraverso il “fatto concreto”, o che valorizzano il permanere, nonostante l’innovazione legislativa, di un disvalore sostanziale. Bisogna, invece, anche in tali ipotesi di modificazioni mediate della fattispecie, accogliere il concetto logico-formale dell’abrogazione di una norma incriminatrice, e dunque va esclusa una verifica legata al caso concreto, non rilevando così che un concreto fatto non sia più riconducibile alla norma incriminatrice a seguito della novatio legis che ha investito il dato normativo richiamato. In particolare, poi, le Sezioni unite confutano la tesi dottrinale riconducibile al pensiero di Tullio Padovani 83, affermando che non è possibile sostenere che il concetto di “fatto” accolto dal primo comma dell’art. 2 c.p. sia comprensivo di tutti gli elementi normativi extrapenali, e non può trarsi l’ulteriore deduzione che questo concetto sia recepito dal secondo comma dello stesso articolo. Per la Corte: << è dubbio che il “fatto” dell’art. 2, comma 1, c.p. sia quello “storicamente determinato in tutti i suoi aspetti rilevanti”, ivi compresi quelli disciplinati dalle norme extrapenali. E’ vero che la modificazione di una norma extrapenale non potrebbe dar luogo a un’applicazione retroattiva, ma non sembra che ciò dipenda dal concetto di “fatto” accolto dall’art. 2, comma 1. c.p., perché è assai difficile ipotizzare che un fatto divenuto reato per la successiva modificazione di una legge extrapenale possa essere integrato da condotte precedenti, posto che in precedenza potevano esistere, e non sempre, gli elementi di fatto, ma non anche le qualificazioni normative presupposte dalla norma penale>>.

Ora, seguendo la pronuncia “Magera”, è opportuno ribadire che pure in quest’ottica non vale la teoria del fatto concreto, nel senso che per apprezzare il fenomeno abolitivo nella successione di leggi integratrici non occorre l’indispensabile mediazione del fatto concreto, la quale può portare talvolta a risultati divergenti rispetto a quelli che si ottengono grazie alla corretta applicazione delle regole che disciplinano il fenomeno intertemporale nel campo penale. Anche se la teoria in questione produce effetti opposti nei differenti contesti: nell’ambito delle ipotesi di modificazione immediata, essa estende i casi di continuità normativa in malam partem; mentre in quelle di modificazione mediata, il collegamento con il fatto concreto, incrementa i casi di abolitio criminis.

La tesi del necessario passaggio per il fatto concreto potrebbe condurre, oltretutto, a soluzioni paradossali: ad esempio non sarebbe più punibile (e la relativa sentenza di condanna definitiva dovrebbe essere revocata ex art. 673 c.p.p.) il reato di inosservanza dell’ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato commesso da Sempronia, cittadina extracomunitaria, che ha acquistato la cittadinanza italiana per effetto di un matrimonio celebrato con un marito italiano (art. 5 l. n. 91 del 1992).

Inoltre, altro esempio paradossale di applicazione della teoria del fatto concreto, che ha portato nel caso di specie all’assoluzione dell’imputato, può trarsi dalla casistica giurisprudenziale. Tizio veniva condannato per il reato di cui agli artt. 21 lett. b) e 30 lett. d), l. n. 157 del 1992, perché aveva esercitato l’attività venatoria all’interno di una riserva naturale in Sicilia. Successivamente, si procedeva ad una nuova perimetrazione della riserva

83 Cfr. T. PADOVANI, Diritto penale, Giuffrè, 2006, p. 43 ss. In tal senso altresì G. FIANDACA – E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, Zanichelli, 2007, p. 96. Per A. NAPPI, Guida al codice penale, cit., p. 135, in relazione all’istituto delle modificazioni mediate, non è possibile distinguere gli eventi normativi idonei ad incidere sulla tipicità della fattispecie astratta da quelli che invece incidono sui connotati del fatto in concreto, perché per definizione qui le vicende normative non incidono sulla fattispecie astratta dell’illecito. Anche secondo P. SEVERINO, voce Successione di leggi penali nel tempo, in Enc. giur. Treccani, vol. XXX, Roma, 1993, p. 4: nel caso di modificazioni mediate, per poter apprezzare il cambiamento è necessario passare attraverso il riferimento alla fattispecie concreta, restando del tutto immutata la norma penale. Cfr. inoltre AMBROSETTI, La legge penale, opera diretta da Ronco, Zanichelli, 2006, p. 244: nelle modifiche mediate il novum legislativo incide non sulla struttura della fattispecie, ma sulla possibilità di applicazione ad un caso concreto. Così anche S. DEL CORSO, voce Successione di leggi penali, in Dig. disc. pen., vol. XIV, Utet, 1999, p. 100 ss.

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che escludeva da quest’ultima il luogo del commesso reato. Alla luce di tale modifica, l’imputato ricorreva per cassazione deducendo che il fatto non era più previsto dalla legge come tale, essendo venuto a mancare uno degli elementi della condotta punibile.

La suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste (!). Si è affermato – sull’accertato presupposto che la porzione di parco dove l'imputato era stato sorpreso all'epoca della vigenza del primo decreto, era compresa nelle aree inibite alla caccia, mentre la stessa ne era stata esclusa in virtù del successivo decreto regionale – che la modifica normativa riguardante l’elemento integrativo dell'ipotesi criminosa <<ha avuto l'effetto di annullare il disvalore penale rispetto al concreto fatto contravvenzionale commesso>>, giacché è venuto a mancare uno degli elementi costitutivi della condotta punibile rappresentato dalla qualifica di parco dell'area84.

In realtà, rispetto a queste ipotesi appena esaminate, non si è verificata alcuna abolitio criminis, non si è ristretta l’astratta area incriminatrice della norma, ma è accaduto soltanto che una concreta condotta non rileva più penalmente.

Allo stesso modo, anche l’ambito originato dal processo di “privatizzazione degli enti pubblici economici” non deve essere ricondotto alla disciplina dell’art. 2 c.p.: non c’è qui una sottoclasse astratta di fattispecie che, successivamente alla novatio legis, viene esclusa dall’area normativa dell’incriminazione.

Va respinto, dunque, quell’indirizzo giurisprudenziale secondo cui la trasformazione dell'Enel da ente pubblico in s.p.a. (ad opera dell'art. 15 d.lg. 11 luglio 1992, n. 333, conv. nella l. 8 agosto 1992, n. 359) non rende più configurabile la fattispecie di contraffazione del sigillo di un ente pubblico, prevista dall'art. 468 c.p., commessa prima di siffatta privatizzazione 85.

Mentre, deve condividersi il prevalente orientamento giurisprudenziale secondo cui la successiva trasformazione di un ente pubblico in società per azioni non può spiegare effetti, ai sensi dell’art. 2 c.p., ai fini dell’esclusione del reato, esulando dall’ambito di applicazione di quest’ultima previsione normativa la successione di fatti o atti amministrativi che, senza modificare la norma incriminatrice o comunque influire su di essa, agiscano, modificandoli, sugli elementi di fatto, così da non renderli più sussumibili sotto l’astratta fattispecie di reato86.

84 Cass., sez. III, 1 febbraio 2005, n. 9482, Pitrella, in Cass. pen., 2006, p. 425. 85 Cfr. Cass., sez. V, 18 marzo 1998, n. 6690, Gambino, in Cass. pen., 1999, p. 3127, In dottrina, così T. PADOVANI, Diritto penale, cit., p. 44. 86 Cfr. Cass., sez. VI, 26 settembre 2006, n. 38698, Moschetti, in C.E.D. Cass., n. 234990 (nella specie l’Acea). In senso conforme Cass., sez. V, 25 febbraio 1997, n. 4114, De Lisi, in Cass. pen., 1998, p. 2356; Cass., sez. V, 11 dicembre 1997, n. 1593, Prestigiacomo, ivi, 1999, p. 858, secondo cui l'intervenuta privatizzazione dell'Enel, ad opera del d.l. 11 luglio 1992 n. 333, conv. con l. 8 agosto 1992 n. 359, non ha affatto modificato il contenuto delle norme incriminatrici e perciò rimane immutata la punibilità della contraffazione dei sigilli, strumentale alla sottrazione di energia elettrica commessa prima della trasformazione dell'Enel in società per azioni; Cass., sez. II, 21 settembre 1993, Cusimano, ivi, 1994, p. 3011, con nota di M. CERASE: il provvedimento legislativo che ha disposto la trasformazione dell'Enel in una società di diritto privato non ha introdotto una regolamentazione nuova e diversa da quella precedentemente esistente in ordine al regime di perseguibilità del reato di truffa aggravata né, trattandosi di tipica legge-provvedimento e quindi di atto sostanzialmente amministrativo, ha modificato la norma incriminatrice di cui all'art. 640 c.p.: la fattispecie penale è rimasta immutata, sia nei suoi elementi sostanziali che in quelli circostanziali (ivi compresa la circostanza aggravante del fatto, commesso in danno di ente pubblico), sia, infine, nella sua condizioni di procedibilità.