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METODI UFFICIALI, TECNICHE SPERIMENTALI E DI SCREENING PER LA RILEVAZIONE DELLE FRODI NEL SETTORE LATTIERO CASEARIO a cura di *Povolo M., *Contarini G., *Barzaghi S., °Ritota M., °Manzi P. Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria *Centro di ricerca Zootecnia e Acquacoltura sede di Lodi °Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione 2017

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METODI UFFICIALI, TECNICHE SPERIMENTALI E DI SCREENING PER LA RILEVAZIONE DELLE FRODI NEL SETTORE LATTIERO CASEARIO

a cura di *Povolo M., *Contarini G., *Barzaghi S., °Ritota M., °Manzi P.

Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria

*Centro di ricerca Zootecnia e Acquacoltura sede di Lodi

°Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione

2017

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Progetto “Strumenti di supporto per la valutazione del rischio di frodi nel sistema agroali-mentare” concesso con DD.MM. n.24267 del 17/10/2010 e n.13973 del 16/05/2012 del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MiPAAF), Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e della Repressione Frodi dei Prodotti Agroalimentari

Il testo nasce dall’esigenza di mettere a disposizione di chi opera quotidianamente nella repressione delle frodi alimentari una raccolta dei metodi analitici inerenti il settore lattiero caseario. Vengono quindi riportate, con una breve descrizione del principio e funzionamento, sia le tecniche di analisi ufficiali, che quelle non validate ma presenti in bibliografia e impiegate sia a scopo di ricerca che di controllo, in assenza di metodi ufficiali. Si descrivono, inoltre, metodi rapidi, applicati ancora in via sperimentale, e dei quali vi siano disponibili pubblicazioni scientifiche.

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1 Introduzione 4

2 Rispetto della Denominazione d’Origine Protetta (DOP) 6

3 Genuinità dei formaggi di specie diverse 12

4 Riconoscimento dell’impiego di latte o cagliata congelati nella produzione di formaggio 19

5 Presenza di latte in polvere e proteine concentrate del latte (PCL) in prodotti lattiero caseari 20

6 Aggiunta di siero di latte al latte o al latte in polvere 23

7 Aggiunta di melamina 25

8 Genuinità del grasso di latte 31

9 Verifica della percentuale di grasso di latte nei melanges 40

10 Riconoscimento del burro di siero 41

11 Verifica del trattamento termico applicato al latte 41

12 Verifica degli ingredienti 47

13 Irregolarità nella dichiarazione del claim nutrizionale 54

14 Utilizzo di additivi e conservanti 59

Bibliografia 62

SOMMARIO

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La genuinità di un prodotto consiste nella rispondenza alle caratteristiche peculiari, non solo di freschezza e buono stato di conservazione, ma anche di assenza di sostanze estranee alla sua natura. Sinonimo di genuinità è autenticità.

Nel termine “frode alimentare” sono comprese differenti attività illecite messe in pratica con il preciso scopo di ottenere un maggiore guadagno, diminuendo i costi di produzione e peggiorando la qualità del prodotto, spesso senza alcun riguardo per il consumatore.

Le frodi alimentari vengono distinte in due tipi: sanitaria e commerciale.

Il presupposto della frode sanitaria è insito nella probabilità o certezza di procurare un danno alla salute dei cittadini, di rendere potenzialmente o sicuramente nocive le derrate alimentari. Le frodi commerciali, invece, comprendono tutte le azioni fraudolente sugli ali-menti o sulle loro confezioni che, pur non determinando concreto o immediato danno per la salute pubblica, favoriscono illeciti profitti a scapito del consumatore.

La legislazione di riferimento riguarda gli articoli 439, 440, 442, 444, 452, 514, 515, 516, 517, del Codice penale, la Legge n° 283/1962 e le normative specifiche di settore che disci-plinano la composizione e le modalità di conservazione dei prodotti alimentari.

Tracciare un confine netto tra i due tipi di frodi, commerciali e sanitarie, è spesso difficile in quanto nella maggior parte dei casi i due fenomeni sono coesistenti.

Le operazioni che alterano la genuinità e sicurezza di un prodotto alimentare si distinguono in:

ADULTERAZIONE, che comprende tutte le operazioni che alterano la struttura originale di un alimento mediante sostituzione di elementi propri dell’alimento con altri estranei, oppure con la sottrazione o aumento delle quantità proporzionali di uno o più dei suoi componenti, lasciando loro l’apparenza originaria. Le adulterazioni hanno riflessi non solo commerciali ma anche igienico-nutrizionali e, in alcuni casi, di grave pericolo per la salute pubblica. Un esempio è l’annacquamento del latte.

CONTRAFFAZIONE, che consiste nel formare ex novo un alimento con l’apparenza del-la genuinità in quanto prodotto con sostanze diverse, per qualità o quantità, da quelle che normalmente concorrono a formarlo. Si tratta di una vera e propria falsificazione in quanto consiste nel dare fraudolentemente l’apparenza di genuinità ad un alimento che si distingue da quello imitato per caratteristiche qualitative e quantitative. Un esempio è la vendita con la denominazione “burro” di grassi vegetali.

SOFISTICAZIONE, che consiste nell’aggiungere all’alimento sostanze estranee che ne alterano l’essenza, corrompendo o viziando la composizione naturale e simulandone la ge-nuinità con lo scopo di migliorarne l’aspetto o di coprirne difetti (termine assente nel codice di procedura penale). Un esempio è la mozzarella trattata con perossido di benzoile per “sbiancarla”.

ALTERAZIONE, che si verifica quando la composizione di una sostanza alimentare si modifica a causa di fenomeni degenerativi spontanei, determinati da errate modalità tecno-logiche o eccessivo prolungamento dei tempi di conservazione.

Tale suddivisione, nel caso dei prodotti alimentari, non è sempre così definita e, ad eccezio-ne del termine “alterazione”, gli altri vengono spesso usati in maniera indifferenziata.

Con il passare degli anni, lo sviluppo delle tecniche analitiche, la diversificazione dei pro-dotti e le regole più stringenti hanno determinato una evoluzione degli illeciti messi in atto dai produttori disonesti. È opinione comune che, molto spesso, chi opera una frode è “un passo avanti” rispetto a chi deve individuarla, soprattutto perché quest’ultimo, non avendo conoscenza dell’illecito messo in atto, può imbattersi in una non conformità dei risultati

1. INTRODUZIONE

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delle analisi che non corrisponde ai tipi di frode fino ad ora conosciuti. Il caso più recente è senz’altro quello della melamina, frode gravissima che ha provocato anche alcuni decessi.

In aggiunta alle frodi che hanno il chiaro intento di trarre personale vantaggio a scapito della genuinità, si aggiunge la problematica concernente l’etichettatura, con particolare ri-guardo alle indicazioni nutrizionali.

La recente entrata in vigore del Regolamento (UE) 1169/2011 ha apportato miglioramenti alle norme sull’etichettatura dei prodotti alimentari, nell’intento di fornire informazioni es-senziali, leggibili e comprensibili. Inoltre, le nuove norme costituiscono uno strumento più efficace per l’indicazione degli allergeni fornendo una maggior protezione ai consumatori. Il regolamento realizza una fusione della direttiva 2000/13/CE relativa all’etichettatura dei prodotti alimentari e della direttiva 90/496/CEE relativa all’etichettatura nutrizionale.

Ne deriva, dunque, anche un aumento dei controlli da parte degli organismi deputati, al fine di garantire che i consumatori dispongano di informazioni complete e veritiere sul con-tenuto e sulla composizione dei prodotti, in modo da comprendere come i diversi alimenti concorrano ad una dieta corretta ed equilibrata e conoscere l’eventuale presenza di allergeni, nell’ottica della tutela della salute.

Tutto questo si traduce in un maggior carico di lavoro per gli organismi deputati al con-trollo.

I laboratori di controllo, al fine di poter sostenere la validità dei risultati analitici in sede giudiziaria, devono applicare metodi ufficiali di riferimento o validati secondo le indicazio-ni riportate nel Regolamento (CE) 882/2004.

Le metodiche analitiche di riferimento, nel settore lattiero caseario, sono il risultato dell’at-tività svolta essenzialmente dalla FIL-IDF (Fédération International du Lait – International Dairy Federation). Si tratta di un’organizzazione internazionale fondata nel 1903 con lo scopo di favorire lo scambio di esperienze e idee tra gli esperti del settore lattiero caseario in tutte le discipline: tecnologia, chimica, microbiologia, nutrizione, ingegneria, veterinaria ed economia. Dal 1996, per ciò che riguarda lo sviluppo di metodi di analisi e di campio-namento, o norme di prodotto su latte e derivati, la FIL-IDF ha deciso di accordarsi con l’ISO (International Standard Organization) per elaborare e pubblicare testi identici sui medesimi argomenti, pur mantenendo ciascuno il proprio formato editoriale. Dal 2001 invece l’accordo è stato perfezionato giungendo alla pubblicazione di un’unica norma, con il doppio logo ISO/FIL-IDF e la doppia numerazione corrispondente. Queste metodiche sono norme volontarie che assumono valore di ufficialità, a livello europeo, nel momento in cui vengono recepite dalla Comunità Europea e in particolare dal CEN (Comité Européen de Normalisation - European Committee for Standardization). Inoltre, in assenza di metodi IDF/ISO, la Comunità Europea può decidere di recepire metodi IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry) o AOAC (Association of Official Analytical Che-mists). Infine, se non esistono metodi in ambito europeo, possono venire utilizzati metodi nazionali. A livello nazionale, i metodi analitici vengono sviluppati e pubblicati dall’UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione), associazione privata senza scopo di lucro rico-nosciuta dallo Stato e dall’Unione Europea (ai sensi dell’articolo 27 del Regolamento (UE) 1025/2012), che elabora e pubblica norme tecniche volontarie in tutti i settori industriali, commerciali e del terziario.

Le metodiche ufficiali e quelle oggetto di validazione interna sono spesso laboriose e richie-dono lunghi tempi di esecuzione. Queste caratteristiche sono quasi sempre motivate dalla necessità di ottenere un risultato molto preciso ed accurato, ma non v’è dubbio che deter-minino limitazioni nel numero di campioni che possono essere analizzati, sia in termini di tempo che di costi.

Poter disporre di metodi rapidi (se pur con caratteristiche di precisione meno performanti)

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come sistema di screening per selezionare i campioni per i controlli ufficiali, potrebbe essere d’aiuto agli organismi di controllo.

Questa review è stata concepita con l’obiettivo di riunire, in un unico testo, sia le metodi-che analitiche ufficiali, sia le ricerche più recenti, con particolare attenzione alle metodiche rapide, atte a caratterizzare la genuinità e le caratteristiche compositive dei prodotti lattiero caseari, anche in relazione alla loro origine. Gli autori potranno supportare il lettore nella ricerca della bibliografia citata.

I formaggi DOP si contraddistinguono in quanto sono originari di una specifica zona geo-grafica, presentano caratteristiche dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani, e vengono prodotti e trasformati solo in un delimitato territorio. Sono sempre più frequenti sugli scaffali dei supermercati casi di falsi formaggi, ovvero di prodotti caseari stranieri spacciati per formaggi DOP. La frode non interessa solo i prodotti nazionali, ma certamente l’Italia è tra i paesi più colpiti. Per questo motivo alcuni Consorzi hanno studiato e stanno ancora mettendo a punto strategie analiti-che che consentano di individuare l’origine dei prodotti e distinguere i formaggi DOP dalle imitazioni. Si tratta sostanzialmente di parametri che certificano il grado di maturazione, il tipo di alimentazione del bestiame e il legame con il territorio. È importante sottolineare che definire l’autenticità di un prodotto è una problematica ardua, e quindi è indispensabile avere a disposizione più indici che la caratterizzino.

La valutazione classica dell’autenticità di un alimento è generalmente basata sull’analisi di composti marker che sono indicativi di una certa proprietà del prodotto. Il confronto tra il valore misurato e un limite stabilito è il comune approccio del processo di controllo. Ac-canto a questa metodologia si stanno sempre più sviluppando approcci basati sull’impronta caratteristica (fingerprint) che i diversi costituenti producono quando l’alimento è sotto-posto ad analisi fisiche, quali ad esempio analisi spettroscopiche o di risonanza magnetica. Queste metodologie, ancora non accettate a livello legale, si rivelano spesso utili per un primo screening, e, nel caso di campioni numerosi, per decidere su quali campioni applicare le tecniche classiche.

2.1 GRANA PADANO

La tipicità del Grana Padano viene individuata tramite rapporti caratteristici degli ammi-noacidi, rapporti isotopici e contenuto in minerali. Inoltre il D.P.C.M. del 4/11/1991 ha esteso la DOP del Grana Padano anche al prodotto grattugiato, che perde una delle carat-teristiche fondamentali della DOP, la presenza della marchiatura sulla crosta. Il grattugiato, infatti, deve essere ottenuto da formaggio avente maturazione almeno pari a 9 mesi, com-posizione amminoacidica specifica del Grana Padano e non deve contenere una percentuale di crosta superiore al 18 %.

Composizione in amminoacidi

La proteolisi è uno dei processi più importanti che avvengono durante la maturazione del formaggio, in particolare nel caso di lunghe stagionature. Specifici enzimi derivanti dal latte, dal caglio e dalla microflora, determinano la progressiva degradazione delle proteine a peptidi e successiva liberazione di amminoacidi. Sulle caratteristiche della composizione amminoacidica e su specifici rapporti tra di essi, è basato uno dei metodi applicati dal Con-sorzio Grana Padano per riconoscere i formaggi d’imitazione, anche nel prodotto grattugia-to (Resmini e coll., 1993; Cattaneo e coll., 2008).

Viene applicato il metodo riportato nel D.M n. 6890 del 28/04/2014 (G.U. della Repub-blica Italiana serie generale n. 118 del 23/05/2014). Si pesano 1,5 g di formaggio finemente grattugiato ai quali si aggiungono 40 mL di tampone sodio citrato 0,2 N pH 2,20. Si lascia in agitazione per 15 minuti e successivamente si omogeneizza con Ultra-Turrax per 5 minu-

2. RISPETTO DELLA DENOMINAZIONE

D’ORIGINE PROTETTA (DOP)

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ti. Quindi si filtra e a 10 mL di filtrato, trasferiti in matraccio da 25 mL, si aggiungono 10 mL di acido solfosalicilico 7,5 % (p/v), pH 1,7-1,8. Si lascia in agitazione per 5 minuti e si porta a volume con tampone citrato 0,2 N pH 2,20. Quindi si filtra e a 10 mL di filtrato, trasferiti in matraccio da 100 mL, si aggiungono 2 mL di soluzione di norleucina a circa 600 mg/L come standard interno e si porta a volume con tampone litio citrato pH 2,20. In-fine si filtra la soluzione con filtro a siringa su membrana di cellulosa rigenerata e si procede all’analisi strumentale. Gli amminoacidi vengono separati e analizzati per cromatografia a scambio ionico (IEC), seguita da derivatizzazione post-colonna con ninidrina e rivelazio-ne fotometrica a 570 e 440 nm. Il loro contenuto è espresso come mg/kg di campione di formaggio senza cifre decimali. I rapporti caratteristici sono depositati presso il Consorzio Tutela Grana Padano e il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.

Rapporti isotopici e contenuto di minerali in tracce

Nel formaggio è stato osservato come i rapporti isotopici di H, C, N e S siano influenzati dal tipo di dieta dell’animale, in particolare dal contenuto in mais e dalla zona geografica di provenienza degli alimenti zootecnici. Inoltre la composizione in minerali è risultata le-gata a quella del suolo sul quale il foraggio è stato coltivato e alla tecnologia di produzione del formaggio stesso (Camin e coll., 2012 e 2015). Pertanto sia la valutazione dei rapporti isotopici che il contenuto in minerali sono utilizzati per verificare l’autenticità di Grana Pa-dano e Parmigiano Reggiano, sebbene solo il Consorzio Tutela Grana Padano abbia inserito la composizione isotopica specifica come metodo di controllo qualità nel disciplinare di produzione (modifiche approvate dal Regolamento 584/2011).

Un isotopo (letteralmente “stesso posto”) è un atomo di uno stesso elemento chimico, che ha lo stesso numero atomico, ma ha differente numero di massa. Gli isotopi degli elementi chimici occupano lo stesso posto nella tavola periodica, perché hanno stesso numero di elet-troni e protoni, ma diverso numero di neutroni. Se due nuclei hanno lo stesso numero di protoni, ma differente numero di neutroni, avranno lo stesso comportamento chimico, ma diverso comportamento fisico. In natura ogni elemento ha una sua distribuzione isotopica (Tabella 2.1). Questi valori possono variare per fattori biochimici e climatici, risultando così caratterizzanti per una determinata area geografica. Una delle tecniche più utilizzate per l’analisi isotopica è la spettrometria di massa isotopica (IRMS), che si basa sulla determina-zione del rapporto isotopico di elementi stabili quali idrogeno (2H/1H), carbonio (13C/12C), azoto (15N/14N), ossigeno (18O/16O) e zolfo (34S/32S). Il valore del rapporto isotopico di ogni elemento viene espresso in ∂‰ secondo la seguente formula:

ð = [(Rcampione −Rstandard)/Rstandard]×1000dove:

R = rapporto tra l’isotopo più pesante e quello più leggero calcolato rispetto a materiali standardinternazionalicertificati.

Il metodo, in fase di approvazione come norma UNI, prevede la misura dei rapporti isoto-pici di H, N, C e S della frazione caseinica, estratta da un’aliquota di formaggio grattugiato e liofilizzato. 4 g di formaggio vengono estratti 3 volte con 30 mL di una miscela di etere di petrolio:etere etilico (2:1) mediante omogeneizzazione con Ultra-Turrax e successiva centri-fugazione a 4100 rpm per 6 minuti. Il formaggio privato del grasso viene lavato due volte con 20 mL di acqua deionizzata, centrifugando a 4100 rpm per 3 minuti così da separare la fase acquosa. Il residuo, costituito da caseina, viene liofilizzato e conservato a temperatura ambiente fino all’analisi IRMS. L’analisi del contenuto in minerali viene eseguita mediante Spettrometria di Massa al Plasma Accoppiata Induttivamente (ICPMS, Inductively Cou-pled Plasma Mass Spectrometer). Dopo rimozione della crosta, 100 g di formaggio vengono grattugiati e omogeneizzati. Un’aliquota di campione di 0,5 g viene pesata in un contenitore in PTFE e aggiunta di 4 mL di HNO3 e di 2 mL di acqua ultrapura. Il campione viene mi-

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neralizzato nel vial chiuso in forno a microonde e quindi sottoposto ad analisi strumentale per il contenuto in Li, Na, Mn, Fe, Cu, Se, Rb, Sr, Mo, Ba, Re, Bi, U.

Tabella 2.1–Distribuzioneisotopica.

ELEMENTO ISOTOPI STABILI ABBONDANZA (%)

Idrogeno 1H 99,982H (D) 0,02

Carbonio 12C 98,8913C 1,11

Azoto 14N 99,6315N 0,37

Ossigeno 16O 99,7617O 0,0418O 0,20

Zolfo 32S 95,0234S 4,21

Il disciplinare del Grana Padano riporta che “la composizione isotopica specifica del formaggio «Grana Padano D.O.P.» risulta depositata presso il Consorzio per la tutela del formaggio «Gra-na Padano» e presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e determinata con metodiche di spettrometria di massa su rapporti isotopici (IRMS).”

Verificadelcontenutoincrostanelformaggiograttugiato

La qualità del grattugiato deve corrispondere a quella del formaggio tal quale. Una delle frodi più comunemente messa in atto è la presenza di un elevato quantitativo di crosta. Pel-legrino e coll. (2003) hanno osservato che, per la rallentata attività degli enzimi proteolitici sulla zona più superficiale della forma, la crosta è caratterizzata dall’accumulo di peptidi ad elevato peso molecolare e dalla presenza di frazioni caseiniche ancora integre. Il metodo pre-vede un’analisi in elettroforesi capillare per la determinazione del rapporto tra peptidi spe-cifici. 900 mg di formaggio grattugiato vengono sciolti in 10 mL di tampone di estrazione preparato con 7,444 g di EDTA sale disodico, 6,060 g di TRIS, 2,440 g di MOPS e 0,768 g di ditiotreitolo diluiti in 500 mL di una soluzione di urea 10 M e metilidrossietilcellulosa (MHEC) allo 0,09 %, quest’ultima precedentemente deionizzata per 30 minuti con resina a scambio ionico. Il campione viene lasciato nel tampone di estrazione per 4 ore a tempera-tura ambiente, agitandolo ogni 30 minuti. Quindi si aggiungono 200 μL di una soluzione di acido lattico al 18 %. Un’aliquota di 250 μL di campione acidificato viene diluita con 1 mL di tampone di estrazione e filtrata prima dell’analisi elettroforetica (CZE). Il tampone di corsa viene preparato facendo sciogliere 4,384 g di acido citrico monoidrato e 0,595 g di trisodio citrato diidrato in 100 mL di soluzione di urea 6 M e MHEC allo 0,055 %, precedentemente deionizzata. La rilevazione è condotta a 214 nm.

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Viene proposto come indice di caratterizzazione della crosta il seguente rapporto:

Rαs = (αs2’CN / αs1-PL1) x 100

dove:

αs2’-CN = area del picco della frazione di αs2’-caseina

αs1-PL1 = area del picco del peptide αs1-CN

Il valore soglia proposto per il Grana Padano grattugiato è pari a 7.

Verificadell’utilizzodisololattecrudo

La fosfatasi alcalina è un enzima normalmente presente nel latte crudo che viene inattivato a condizioni di trattamento termico leggermente più drastiche di quelle richieste per la distruzione dei batteri patogeni. I formaggi ottenuti da latte pastorizzato, sottoposti a test della fosfatasi alcalina, danno quindi risposta negativa. Il formaggio Grana Padano e Parmi-giano Reggiano, essendo prodotti esclusivamente da latte crudo, dovrebbero dare risposta positiva. Le dimensioni della forma e la particolare tecnologia di produzione danno però origine a risposte differenti a seconda del punto di prelievo: la fosfatasi alcalina è negativa se misurata al centro della crosta, mentre è positiva nella parte più esterna. Questo fenomeno è conseguenza del gradiente di temperatura che si realizza nella fase di raffreddamento in fascera, al quale si aggiunge anche un contemporaneo abbassamento di pH (Pellegrino e coll., 1995).

Come riportato nel disciplinare del Grana Padano, “solo il formaggio che presenta un valore della fosfatasi alcalina nella parte di pasta situata ad un centimetro sotto crosta prelevata a metà altezza dello scalzo, misurato con metodo fluorimetrico, e comunque compatibile con l’impiego di latte crudo e che altresì rispetta tutti i parametri previsti dal presente disciplinare all’articolo 2 viene sottoposto ad espertizzazione, non prima del compimento dell’ottavo mese dalla forma-tura”.

In una circolare MiPAAF del 1998 e nel Piano dei controlli del formaggio Grana Padano (disponibile sul sito del MiPAAF, https://www.politicheagricole.it/) viene riportato il limite di attività residua della fosfatasi di 300 mU/g di formaggio, misurata nella porzione di pasta situata 1 cm sotto la crosta.

La determinazione dell’attività della fosfatasi alcalina può essere eseguita mediante metodo fluorimetrico ISO 11816-2:2016 (Milk and milk products -Determination of alkaline pho-sphatase activity- Part 2: Fluorimetric method for cheese). In presenza di enzima fosfatasi attivo un substrato estere monofosforico non fluorescente (Fluorophos ®) è idrolizzato a 38 °C per 3 minuti a formare un prodotto altamente fluorescente, che viene determinato mediante fluorimetro. È necessario eliminare la crosta o la parte più esterna del formaggio e assicurarsi che l’aliquota di campione da sottoporre ad analisi non sia stata contaminata dalla microflora di superficie.

2.2 PARMIGIANO REGGIANO

Anche il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha inserito nel suo disciplinare di produzio-ne, attualmente all’esame dell’UE, la valutazione della composizione isotopica e minerale: questa è depositata presso il Consorzio del Formaggio Parmigiano-Reggiano, presso l’Or-ganismo di Controllo e il MiPAAF ed è determinata con metodiche di spettrometria di massa su rapporti isotopici (IRMS). Inoltre è stato inserito anche il quantitativo totale di amminoacidi liberi (> 15 % delle proteine totali).

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Verificadell’assenzadiinsilatonellarazionedellebovine

Il parametro più recentemente messo a punto, ma già inserito nel disciplinare all’esame UE, riguarda il dosaggio degli acidi ciclopropanici.

Il metodo, approvato come norma UNI 11650:2016 “Determinazione di acidi grassi ci-clopropanici nel formaggio - Metodo gascromatografico con rivelatore a spettrometria di massa (GC-MS)”, permette di verificare se, nella produzione del Parmigiano Reggiano, sia stato impiegato latte ottenuto da animali alimentati anche con foraggi insilati. Il Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano vieta, infatti, l’utilizzo di insilati nell’alimentazione degli animali che producono latte destinato alla lavorazione a tale formaggio. Studi recenti hanno evidenziato come l’impiego di insilati nell’alimentazione delle vacche determini la presenza nel latte di acidi grassi minori, acidi ciclopropanici (CPFA), che presentano nella catena un anello ciclico a 3 atomi di carbonio (Figura 2.1). Si tratta in particolare di due acidi, cis 9,10-metilenoctadecanoico e cis 11,12-metilenoctadecanoico, di origine microbica che vengono rilasciati nei foraggi durante i processi fermentativi che portano alla produzione di insilati. I CPFA sono stati ritrovati nel latte di animali alimentati con silomais, mentre sono sempre risultati assenti nel latte di vacche alimentate senza insilati (Marseglia e coll., 2013; Caligiani e coll., 2014 e 2016).

Il metodo messo a punto prevede la determinazione degli acidi grassi ciclopropanici (CPFA) mediante gascromatografia capillare e rivelatore a spettrometria di massa (GC-MS). Il me-todo si applica al grasso estratto dal formaggio, procedura per la quale si fa riferimento alla norma ISO 14156:2001. I metilesteri degli acidi grassi vengono preparati mediante transmetilazione in ambiente basico condotta secondo il metodo ISO 15884:2002. Per il dosaggio dei CPFA si utilizza come standard interno una soluzione di tetracosano in esano (50 mg/L), aggiunta in quantità pari a 1 mL per 100 mg di grasso anidro. A questi si aggiungono poi 4 mL di esano e si procede alla transmetilazione come da norma ISO. I CPFA vengono separati con colonna capillare a bassa polarità e analizzati in spettrometria di massa. La quantità totale di CPFA è espressa come mg/100 mg di grasso. Nelle condizio-ni gascromatografiche riportate nel metodo non si verifica coeluizione dei CPFA con altre molecole. Tuttavia, data la bassa concentrazione di tali acidi, la conferma della loro presenza deve essere convalidata dall’analisi in spettrometria di massa.

È in corso l’approvazione della modifica del disciplinare del Parmigiano Reggiano con la quale viene inserito il contenuto massimo ammesso in CPFA.

Figura2.1-Acidiciclopropanici:A)cis-11,12ottadecanoico(acidolattobacillico);B)cis-9,10ottadecanoico(acidodiidrosterculico).

A

B

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2.3 METODI ALTERNATIVI E RAPIDI

La spettroscopia nell’infrarosso è una tecnica non distruttiva che consente di analizzare più componenti virtualmente di qualsiasi matrice. Il crescente interesse per questa tecnica nel settore agro alimentare è probabilmente un diretto risultato dei suoi vantaggi rispetto alle altre tecniche analitiche, vale a dire, una più facile preparazione del campione senza alcun pretrattamento, la possibilità di ripetere più misure sullo stesso campione e la predizione di parametri chimici e fisici da un singolo spettro. La spettroscopia nell’infrarosso si basa sulle interazioni tra la materia e le radiazioni elettromagnetiche aventi lunghezza d’onda nella regione tra 0,75 e 1000 μm. Uno spettro infrarosso è comunemente ottenuto facen-do passare la radiazione infrarossa attraverso un campione: tale radiazione incidente viene misurata determinando quale frazione è assorbita in corrispondenza delle varie lunghezze d’onda. È possibile così individuare i picchi di assorbimento caratteristici dei legami chi-mici. Le bande di assorbimento vengono caratterizzate dalla posizione, espressa come lun-ghezza d’onda (λ) o numero d’onda (ν), dall’intensità, misurata come altezza o come area, e dalla forma più o meno allargata. La radiazione infrarossa è suddivisa in regioni definite “vicino” (0,75 –2,5 μm), “medio” (2,5 – 50 μm) e “lontano” (50 – 1000 μm) infrarosso. Le prime applicazioni in campo alimentare si sono sviluppate utilizzando la regione del medio infrarosso (MIR), dove vengono eccitate e registrate le vibrazioni fondamentali delle mole-cole che danno origine a picchi di assorbimento ben definiti, che possono a loro volta essere assegnati a specifiche classi chimiche. Negli anni, moltissimi sono stati gli sviluppi anche nella regione del vicino infrarosso (NIR) in cui vengono registrati i sovratoni (overtone) e le bande di combinazione delle vibrazioni molecolari che danno origine a picchi sovrapposti e allargati, i quali necessitano, per la loro interpretazione, dell’applicazione di metodi di analisi statistica multivariata.

Esistono fondamentalmente due modi per utilizzare i risultati provenienti da uno spettro-metro IR:

• analisi specifica di uno o più componenti mediante comparazione dello spettro del cam-pione con gli spettri di un gruppo di campioni di riferimento, di cui è nota la concen-trazione del componente, determinata con metodi classici;

• analisi aspecifica delle caratteristiche del campione mediante comparazione del finger-print del campione con quelli di altri campioni con caratteristiche accertate, ad esempio l’origine.

In entrambe le modalità i risultati derivano dall’applicazione di tecniche statistiche multi-variate.

Originegeografica

La tecnica NIR in riflettanza diffusa in combinazione con tecniche chemiometriche è stata utilizzata da Karoui e coll. (2005a) per discriminare 91 formaggi Emmental di varia origine geografica. Gli spettri NIR sono stati registrati nell‘intervallo di lunghezze d’onda da 1000 a 2500 nm e, mediante Analisi Discriminante Fattoriale (FDA) gli autori sono riusciti a discriminare i formaggi in base alla loro provenienza geografica. Utilizzando le prime 20 componenti principali è stata ottenuta una percentuale di corretta classificazione dell’ori-gine dei formaggi pari a all’89 % in fase di calibrazione e all’87 % in fase di validazione. Risultati similari si sono ottenuti analizzando i campioni nel medio infrarosso.

In un lavoro successivo Karoui e coll. (2005b) hanno cercato sia di discriminare la zona di produzione di formaggi a pasta dura provenienti da 3 diverse zone del Jura (Francia), che di differenziare formaggi DOP provenienti dalla stessa regione (Svizzera) ma da altitudini di-verse (Gruyère prodotto in pianura ed altopiano, ed Etivaz prodotto in montagna). L’FDA applicata ai dati di spettroscopia all’infrarosso ha prodotto risultati soddisfacenti nel caso

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dei formaggi Francesi, mentre per i formaggi Svizzeri è stata osservata una migliore discri-minazione utilizzando per l’FDA i dati di fluorescenza “front-face”.

Controllodellacomposizionedelformaggio

Il laboratorio di controllo del Consorzio Tutela Parmigiano Reggiano ha a disposizione una metodica per la quantificazione dell’umidità, del grasso, delle proteine e del coeffi-ciente di maturazione dei campioni mediante un NIR portatile, operando la misurazione direttamente sulla crosta del formaggio. La calibrazione è stata effettuata analizzando 300 campioni di Parmigiano Reggiano sia con metodica NIR che con tecniche di riferimento (Cabassi e coll., 2015).

Lo strumento ha lo scopo di consentire al Consorzio di tutela di eseguire in modo rapido e affidabile analisi aggiuntive rispetto all’espertizzazione delle forme, coerentemente con l’esigenza dell’ente d’intensificare l’attività di controllo.

Verificadellapercentualedicrostanelformaggiograttugiato

La quantità massima di crosta nel grattugiato è uno dei parametri indicati nel disciplinare di produzione del Parmigiano Reggiano. L’elaborazione dei modelli di regressione multiva-riata (PLS) su un set di 101 campioni di Parmigiano Reggiano grattugiato ha evidenziato la possibilità dell’impiego di uno strumento Vis-NIR per la determinazione del contenuto di crosta (Musi e Filippi, 2015). Da questa prima calibrazione esplorativa, sembrano es-serci i presupposti per proporre l’adozione della spettroscopia NIR direttamente “in linea” per controllare la quantità di crosta nel grattugiato e rispettare così i requisiti riportati nel disciplinare della DOP. La medesima problematica è stata affrontata da Cevoli e coll. (2013) mettendo a confronto la spettroscopia nel medio (MIR) e vicino (NIR) infrarosso accoppiate a diverse tecniche di analisi chemiometrica (PCA, SIMCA, ANN). Gli autori hanno ottenuto, in modo veloce e affidabile, la discriminazione tra i campioni grattugiati di Parmigiano Reggiano che rispettavano le caratteristiche richieste per la DOP e quelli con difetti e con un elevato contenuto di crosta. Considerando la capacità di classificazione dei gruppi di formaggio grattugiato analizzati, la tecnica FT-MIR accoppiata con le reti neurali artificiali (ANN) ha dimostrato di essere l’approccio analitico che fornisce i migliori risultati (96,7 % di corrette classificazioni).

Per la rilevazione dell’aggiunta fraudolenta di latte di specie diversa da quella indicata in etichetta sono stati studiati molti metodi, la maggior parte basati su elettroforesi, focalizza-zione isoelettrica (IEF), elettroforesi capillare (CZE), cromatografia liquida in fase inversa (RP-HPLC), cromatografia liquida a scambio ionico (IE HPLC), immunochimica (ELI-SA), tecniche di PCR e spettrometria di massa.

3.1 METODI UFFICIALI

Metododiriferimentoperlarivelazionedicaseinatoedilattevacciniinformaggiprodotticonlattedipecora,dicapraodibufalaoconmisceledilattidipecora,dicapraedibufala

Alcuni anni fa è stata messa a punto la metodica di “focalizzazione isoelettrica” (IEF) delle caseine, trattate con plasmina su gel di poliacrilammide: il metodo, riportato nel Regola-mento (CE) 273/2008 (Allegato IX) dà reazione positiva in presenza di latte bovino, anche in tracce. Il metodo permette una rivelazione sensibile e specifica di latte vaccino crudo o trattato termicamente e di caseinato in formaggi freschi e stagionati di latte di pecora, di capra o di bufala o di miscele di questi latti. Il principio del metodo prevede isolamento delle caseine dal formaggio e dagli standard di riferimento, solubilizzazione delle caseine isolate e azione della plasmina sulle stesse, focalizzazione isoelettrica delle caseine trattate con plasmina in presenza di urea e colorazione delle proteine, valutazione dei profili γ3- e γ2-caseina.

3. GENUINITÀ DEI FORMAGGI DI

SPECIE DIVERSE

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Gli standard da utilizzare possono essere acquistati o preparati in laboratorio. L’Institu-te for Reference Materials and Measurements (IRMM) della Comunità Europea (https://ec.europa.eu/jrc/en/research-topic/certified-reference-materials) ha prodotto uno standard di riferimento certificato che consiste in un coagulo presamico ottenuto da latte scremato di pecora e capra (con lo 0 % di latte vaccino) ed uno contenente l’1 % di latte vaccino. Qualora si intenda preparare gli standard in laboratorio, la metodica fornisce indicazioni sul procedimento utilizzando latte di bufala.

Il metodo è molto articolato e complesso e pertanto i diversi passaggi verranno di seguito riportati in sintesi, rimandando alla consultazione dell’allegato in Gazzetta Ufficiale per l’applicazione di laboratorio.

Nella prima fase il campione viene separato il più possibile della fase lipidica. Si pesa una quantità equivalente a 5 g di sostanza secca di formaggio o degli standard di riferimento in una provetta da centrifuga da 100 mL, si aggiungono 60 mL di acqua distillata e si omoge-neizza. Attraverso ripetute diluizioni, omogeneizzazioni e lavaggi con diclorometano, si ot-tiene la separazione delle caseine. Un’aliquota pari a 25 mg di caseine viene successivamente dispersa in 0,5 mL di tampone di carbonato di ammonio e omogeneizzata. Quindi si riscal-da a 40 °C, si aggiunge la plasmina e si mette ad incubare per 1 ora a 40 °C, tenendo in agi-tazione. Per inibire l’enzima, dopo il tempo di reazione, si aggiunge acido ε-aminocaproico, 200 mg di urea solida e 2 mg di ditiotreitolo.

La metodica descrive dettagliatamente la preparazione del gel di acrilammide, per la quale indica come, data la pe-ricolosità del reagente, sia preferibile utilizzare la soluzione premiscelata di acrilammide/BIS. L’Allegato IX della Gazzetta Ufficiale riporta le condizio-ni della focalizzazione isoelettrica da applicare in caso di gel di dimensioni 265x125x0,25mm. Sullo stesso gel vie-ne caricato il campione e gli standard di riferimento. Terminata la corsa elettro-foretica si procede al fissaggio ponendo il gel per 15 minuti in una bacinella di colorazione/decolorazione con 200 mL di fissativo (soluzione acquosa di acido tricloroacetico). Quindi si deve elimina-re accuratamente il fissativo e lavare la lastra di gel con 100 mL di soluzione decolorante (metanolo, acido acetico e acqua) due volte per 30’. Eliminata la soluzione decolorante, si procede alla colorazione immergendo per 45 minuti

la lastra di gel nella bacinella contenente 250 mL di soluzione colorante (miscela di Blu bril-lante Coomassie G 250 in metanolo e solfato di rame pentaidrato in acido acetico). Infine si procede al lavaggio con la soluzione di decolorazione e ad un lavaggio finale con acqua distillata. Asciugata la lastra, si effettua la valutazione delle bande che può essere visiva o, se disponibile l’apparecchiatura, mediante densitometro. In Figura 3.1 è riportato un gel IEF di caseine di latte di bufala, di vacca, di miscele dei due latti in percentuali diverse e di un campione di latte di bufala contenente circa il 20 % di latte vaccino. La valutazione consiste nel confronto tra il profilo proteico del campione e quello dello standard di riferimento sullo stesso gel.

Figura3.1-EsempiodigelIEFdicaseinadilattedibufala(B100),divacca(V100),dimisceledeiduelattia diversepercentualiediuncampione.

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MetodoUfficialeItalianoperilriconoscimentoeildosaggiodellattevaccinonellamozzarelladibufalaperelettroforesidellacaseinadelformaggio

Nella G.U. Serie Generale n. 160 dell’11/07/1994 è stato pubblicato il Decreto del 1° lu-glio 1994, in cui si approva il metodo ufficiale per il riconoscimento del latte vaccino nella mozzarella di bufala, applicabile al controllo dei prodotti nazionali. Il metodo si fonda sulla diversa mobilità elettroforetica delle frazioni caseiniche αs1 del latte di vacca e del latte di bufala. Infatti, analogamente a quanto osservato per i latti (Addeo e coll., 1981), sottopo-nendo ad elettroforesi le proteine del formaggio solubilizzate in opportune condizioni, si ottengono profili diversi a seconda che il prodotto sia stato ottenuto da latte di bufala o da latte di vacca. Tali differenze sono ancora evidenziabili anche nel caso di formaggi pro-venienti dalla lavorazione di miscele di latte delle due specie (Addeo e coll., 1982; Beghi e coll., 1986). La separazione elettroforetica può essere condotta utilizzando come supporto sia striscia di acetato di cellulosa, che gel di poliacrilammide-agarosio. Il metodo permette di identificare con entrambi i supporti elettroforetici l’aggiunta di latte bovino al latte di bufala con una minima quantità rilevabile del 5 % e con una precisione di ± 5 unità per-centuali.

MetodoUfficialeItalianoperilriconoscimentoedosaggiodelsierodilattevaccinonellattedibufalaeneiformaggiprodotticonl’impiegototaleoparzialedilattedibufalamedianteRP-HPLCdellesieroproteinespecifiche

Con decreto MiPAAF del 10/04/1996, pubblicato sulla G.U. Serie Generale n. 135 dell’11/06/1996, è stato approvato un metodo ufficiale per il riconoscimento del latte di vacca nei prodotti di bufala, basato non più sulle caseine, ma sulle siero proteine. La tec-nica applicata non è dunque l’elettroforesi, ma la cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC), in fase inversa (RP). Il metodo è basato sui risultati di Pellegrino e coll. (1991) che hanno caratterizzato il profilo sieroproteico dei latti delle due specie, individuando sostan-

ziali differenze (Figura 3.2). Nello specifico il metodo si basa sul calcolo di due rap-porti, a seconda che si ipotiz-zi la presenza di alte o basse percentuali di latte vaccino nel prodotto di bufala. Nel caso di alte percentuali (>15 %), il rapporto deve essere calcolato tra l’area del pic-co della β-Lattoglobulina A (β-LGA) e quella della β-Lattoglobulina B (β-LGB), nel caso di percentuali infe-riori invece, si calcola il rap-porto tra l’altezza di β-LGA e di una frazione sieroproteica bufalina (Bx). I valori otte-nuti vanno confrontati con opportune rette di calibrazio-ne costruite con i sieri delle 2 specie.Figura3.2–EsempioditracciatoRP-HPLCdisierodilattedibufala(B)evacca(V)(daG.U.n.135dell’11/06/1996).

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MetodoUfficialeItalianoperlaricercadellapresenzaqualitativadellattevaccinonellatteeneiformaggidipecoramedianteRP-HPLCdellesieroproteinespecificheemetodoUfficialeItalianoperlaricercadellapresenzaqualitativadellattevaccinonellatteeneiformaggidicapramedianteRP-HPLCdellesieroproteinespecifiche

Anche i metodi ufficiali per la determinazione del latte vaccino in latte di pecora e di capra fanno uso della tecnica RP-HPLC. I metodi, basati sempre sulla determinazione delle siero-proteine, derivano dai risultati di Pellegrino e coll. (1992) e De Noni e coll. (1996) e sono stati pubblicati sulla G.U. Serie Generale n. 90 del 17/04/2003. L’identificazione di latte vaccino nel formaggio di pecora e capra è basata sulla presenza della β-lattoglobulina A, assente nel latte ovino e caprino. La possibile interferenza dovuta a prodotti di degradazio-ne proteolitica, soprattutto in formaggi a lunga maturazione, può determinare problemi di accuratezza nella valutazione quantitativa e di conseguenza sono stati recepiti come metodi qualitativi. Infatti, come indicato nella stessa G.U., questi metodi devono essere considerati come metodi di screening rapido e la validità legale del risultato ottenuto deve essere con-fermata tramite l’applicazione del metodo comunitario di riferimento (vedi 3.1).

La Figura 3.3 riporta esempi dell’applicazione dei due metodi. I due tracciati sono stati tratti da Pellegrino e coll. (1992) e De Noni e coll. (1996) per ciò che riguarda il latte di pecora e capra, rispettivamente.

Figura3.3-EsempioditracciatiRP-HPLCdisierodilattedipecora(P)evacca(V)ecapra(C)evacca(V)(da:Pellegrinoecoll.,1992eda:DeNoniecoll.,1996).

3.2 METODI ALTERNATIVI E RAPIDI

Tra le tecniche innovative per rilevare la presenza di latte diverso da quanto dichiarato in etichetta nei prodotti caseari di bufala, pecora e capra, la letteratura scientifica riporta diver-si approcci, tra i quali la spettrometria di massa, le tecniche basate sull’analisi del DNA, le tecniche immunologiche e la spettroscopia nell’infrarosso.

MALDI-TOF-MS

La tecnica MALDI-TOF-MS (matrix-assisted laser desorption/ionization time-of flight mass spectrometry), pur prevedendo l’uso di una strumentazione complessa, costosa e che richiede personale esperto, sembra essere un approccio efficace nella rilevazione di aggiunte di latte di specie diversa da quella dichiarata. Sassi e coll. (2015) hanno sviluppato una piattaforma per ottenere contemporaneamente il profilo delle proteine e dei peptidi del

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latte in grado di riconoscere sia marker di specie che di trattamento termico applicato. Dopo l’analisi di 25 campioni puri per ogni specie (vacca, pecora, capra e bufala), sono state preparate miscele tra le 4 specie con concentrazioni variabili tra l’1 e il 50 % (v/v). Tutti i campioni sono stati sgrassati per centrifugazione. Una parte del materiale scremato è stato direttamente analizzato mediante MALDI-TOF-MS per la valutazione della frazione proteica. Il materiale rimanente, dopo diluizione, è stato ultrafiltrato e centrifugato al fine di ottenere la frazione peptidica a più basso peso molecolare. Anche questa frazione è stata quindi sottoposta ad analisi mediante MALDI-TOF-MS. I dati ottenuti hanno consentito, tramite l’applicazione di tecniche di regressione multivariata (PLS), di costruire rette di ca-librazione per l’individuazione del contenuto di latte bovino nel latte di ciascuna delle altre specie, nonché di latte in polvere nel latte bovino. L’abilità di predizione di tali rette è stata poi verificata su due campioni di ciascuna specie contenenti il 5 e il 15 % di latte bovino e su due campioni di latte bovino contenenti le medesime quantità di latte in polvere. La Tabella 3.1 riporta i risultati ottenuti da Sassi e coll. (2015). I risultati senza dubbio pro-mettenti, necessitano probabilmente di ulteriori validazioni; sarebbe inoltre auspicabile la verifica della metodologia anche su campioni di formaggio.

Tabella 3.1 - Livellipredettidi adulterazionedel latte,medianteMALDI-TOF-MS (dati estrattida Sassiecoll.,2015).

ANALISI FRAZIONE PROTEICA ANALISI FRAZIONE PEPTIDICA

% latte bovino aggiunto 5 15 5 15% predetta nel latte di bufala

5,36±0,69 14,57±1,47 6,28±0,59 15,42±0,09

% predetta nel latte di capra

5,49±0,60 15,55±0,74 5,65±0,38 14,63±0,69

% predetta nel latte di pecora

5,30±0,35 15,23±0,25 4,92±0,69 15,50±0,46

% latte in polvere aggiunto

5 15 5 15

% predetta nel latte bovino

5,20±0,06 15,36±0,29 5,29±0,40 14,99±0,24

DNA

Le metodiche basate sull’analisi del DNA hanno il vantaggio di avere una elevata specifi-cità e sensibilità. Queste tecniche prevedono l’uso della PCR (Polymerase chain reaction) che consente la moltiplicazione (amplificazione) di frammenti di acidi nucleici dei quali si conoscano le sequenze nucleotidiche iniziali e terminali. L’amplificazione mediante PCR consente di ottenere in vitro molto rapidamente la quantità di materiale genetico necessaria per le successive applicazioni.

L’applicazione della PCR all’identificazione delle specie di latte è spesso seguita da tec-niche complementari come il sequenziamento o l’RFLP (Restriction Fragment Length Polymorphism).

Reale e coll. (2008) hanno applicato con buoni risultati la tecnica PCR sulla sequenza che codifica il gene della k-caseina nel DNA nucleare per la discriminazione delle quattro principali specie lattifere (vacca, bufala, pecora e capra). Lo standard di DNA è stato isolato da campioni di sangue di vacca, bufala, capra e pecora, così come dal latte di massa. Suc-cessivamente sono stati analizzati mozzarelle di bufala campana DOP e formaggi di latte vaccino, di pecora e di capra. La concentrazione di DNA in tutti i campioni è stata valutata

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mediante elettroforesi su gel. Tutti i campioni hanno prodotto specifici frammenti PCR, con la dimensione prevista e l’analisi delle minisequenze ha rivelato l’aplotipo previsto per ogni specie. La sensibilità del metodo è stata testata solo per le miscele di latte di vacca/bufala, dimostrando la possibilità di evidenziare la presenza già dello 0,1 % di latte bovino.

De e coll. (2011) hanno identificato una regione di DNA mitocondriale che è risultata molto variabile tra le specie e che si è rivelata molto sensibile nella rilevazione di latte di vacca in bufala e viceversa. I primers utilizzati si sono dimostrati molto specifici e hanno consentito l’amplificazione del DNA, estratto mediante un protocollo convenzionale, da minime quantità di latte crudo e trattato termicamente e da formaggio. La sensibilità del test ha consentito di individuare la presenza dello 0,1 % di latte vaccino, sia nel latte che nel formaggio di bufala.

Khanzadi e coll. (2013) hanno applicato la tecnica PCR per verificare la purezza di latte e derivati, dichiarati di puro latte di pecora. Allo scopo hanno utilizzato una strategia di progettazione dei primers indirizzata a due diversi geni (12s rRNA e 16S rRNA) di DNA mitocondriale e i siti di legame sono stati selezionati per ogni specie al fine di generare spe-cifici oligonucleotidi di innesco di diversa lunghezza. Mediante la tecnica di PCR multipla, è stato possibile quindi rilevare, in un unico step, miscele complesse poiché gli specifici frammenti di DNA sono stati facilmente risolti mediante elettroforesi su gel di agarosio. Sebbene i primers utilizzati siano stati progettati per razze europee, lo studio ha dimostrato che potevano essere efficacemente applicati anche a razze iraniane bovine, ovine e caprine. Gli autori, considerando che un’addizione di latte di specie non dichiarata inferiore al 5 % avrebbe avuto scarso ritorno economico, hanno posto questo valore come limite di rivelabi-lità ed hanno quindi predisposto miscele di calibrazione per le tre specie, bovina, ovina e ca-prina, utilizzando questa percentuale come adulterante di ciascuna specie nelle altre. Hanno poi analizzato 35 campioni di formaggio, 35 di yogurt e 35 di latte, acquistati al dettaglio ed etichettati come di puro latte di pecora. La tecnica PCR ha consentito di individuare la presenza di latte vaccino in 33 campioni, mentre la frode più comune, cioè la presenza di latte di capra, è stata accertata in 68 dei 105 campioni analizzati.

Zarei e coll. (2016a, 2016b), hanno affrontato, mediante PCR, sia la tematica dell’adulte-razione del latte di pecora, sia quella del latte di bufala, utilizzando primers specie-specifici con una doppia PCR. Il limite di rivelabilità del latte vaccino e del latte di capra nello yogurt e nel formaggio dichiarato di pecora è risultato pari al 2 e 4 %, rispettivamente. I medesimi valori sono stati ottenuti in merito alla presenza di latte vaccino nei medesimi prodotti di bufala.

Molto recentemente, un metodo veloce di PCR real-time è stato sviluppato e validato (in-house) per l’identificazione di specie in prodotti lattiero caseari (Di Domenico e coll., 2017). La tecnica si basa sull’amplificazione dei geni parziali 12S rRNA e cytB di DNA mitocon-driale. La messa a punto ha previsto la preparazione e l’analisi di miscele binarie ottenute combinando appropriate quantità in volume per ottenere l’1 % di ciascuna specie nel 99 % delle altre 3 specie considerate (vacca, bufala, capra e pecora). La ripetibilità, che è stata stimata mediante il coefficiente di variazione dell’analisi di 30 repliche in 3 differenti cicli analitici, utilizzando sia il DNA degli standard al 100 % che di quelli all’1 %, è risultata compresa tra lo 0,9 e il 2,5 % per le 4 specie. La specificità è stata confermata con 4 repliche di DNA appartenenti a ciascuna specie non bersaglio e sul DNA estratto da differenti specie sia animali (uomo, cavallo, asino) che vegetali (soia, mandorle, riso, e avena). Il limite di rivelabilità è risultato inferiore all’ 1 % per le 4 specie. Infine un controllo di amplificazione interno è stato utilizzato per rilevare possibili falsi negativi.

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ELISA

In aggiunta a queste tecniche vi sono poi i metodi immunochimici, basati sulla reazio-ne antigene-anticorpo, disponibili in commercio come kit rapidi di analisi comunemente chiamati ELISA (enzyme-linked immunosorbent assay). Ci sono diverse varianti del test ELISA, che si differenziano a seconda del componente che si vuole rilevare. Nel test diretto viene determinata la presenza dell’antigene, in quello indiretto, la presenza di anticorpi contro l’antigene. Il saggio può essere competitivo o non competitivo. L’ELISA non com-petitivo diretto si effettua secondo diverse metodiche: semplice e a sandwich. Nel metodo semplice l’antigene è assorbito sulla placca e rilevato con un anticorpo marcato da un en-zima. Nel metodo a sandwich, l’anticorpo che è usato per catturare l’antigene è assorbito sulla placca e gli anticorpi assorbiti sono in seguito esposti al fluido che potrebbe contenere l’antigene; un secondo anticorpo, marcato, viene quindi aggiunto per rilevare che l’antigene è stato catturato.

Nel caso del latte e derivati, i saggi immunologici impiegano anticorpi specifici mono- o policlonali che reagiscono con sieroproteine, frazioni singole di caseina o frammenti pep-tidici della caseina. Tale approccio consente uno screening molto veloce dei campioni con una buona sensibilità, che nel caso del latte arriva allo 0,5-1 % (kit basato su principio immunocromatografico) e che può scendere anche allo 0,1 % se si impiegano kit basati su metodo ELISA.

Hurley e coll. (2004) hanno sviluppato un metodo ELISA indiretto per la rapida indivi-duazione del latte vaccino nel latte di capra, pecora e bufala. Il sistema utilizza un anticorpo monoclonale contro la IgG bovina. Questo anticorpo riconosce un epitopo specie-specifico sulla catena sia di IgG1 che IgG2 del latte vaccino. Un anticorpo IgG anti-topo, coniugato con perossidasi, viene poi utilizzato per rilevare l’anticorpo monoclonale legato e la suc-cessiva conversione enzimatica del substrato provoca modifiche evidenti dell’assorbanza, in presenza di latte vaccino. Il test si è dimostrato altamente specifico, in grado di rilevare lo 0,1 % di latte bovino nelle altre tre specie e soddisfacentemente ripetibile (CV<10 %).

Gli stessi autori hanno successivamente (Hurley e coll., 2006) modificato il test per poterlo applicare ai formaggi. Hanno quindi applicato un metodo sandwich ELISA utilizzando lo stesso anticorpo monoclonale in combinazione con un anticorpo policlonale di capra anti IgG bovina. Il limite di rivelabilità del latte bovino nei latti di pecora e bufala è risultato pari allo 0,001 %, mentre nel latte di capra è risultato superiore (0,01 %). Relativamente al formaggio non stagionato, la sensibilità si è rivelata maggiore nell’individuazione del latte bovino nei formaggi di capra (0,001 %) rispetto ai formaggi di bufala e pecora (0,01 %). La riproducibilità è risultata sempre molto soddisfacente (CV<10 %).

Costa e coll. (2008) hanno testato l’affidabilità di due kit commerciali ELISA (QuantiSpeed Bov Test: QBT® e Quantispeed Goat Test: QGT®) per la determinazione quantitativa delle aggiunte fraudolente di latte di capra e vacca nel latte e formaggio di pecora, con lo speci-fico obiettivo di valutare la genuinità di un formaggio DOP Portoghese. Allo scopo sono state predisposte miscele di latte di pecora con latte di vacca e capra in percentuali dall’1 al 50 % e sono state effettuate caseificazioni modello con tali miscele. I risultati ottenuti con entrambi i kit, hanno mostrato una correlazione di circa 1 tra il valore sperimentale e quello rilevato. Il limite di rivelabilità era pari a circa lo 0,2 % di adulterazione sia per il latte di capra che per quello vaccino. Tuttavia, entrambi i test hanno mostrato una precisione infe-riore di circa il 10-20 %, quando applicati ai formaggi.

Notevole imprecisione nel dosaggio quantitativo, soprattutto nei formaggi, è stata osservata anche da Zeleňáková e coll. (2016), i quali hanno verificato l’applicabilità di un saggio ELI-SA commerciale, basato sulla rilevazione immunologica della IgG bovina. L’obiettivo era sempre la verifica della genuinità dei prodotti a base di latte di pecora. Gli autori, in base alle sperimentazioni effettuate, hanno osservato una notevole influenza negativa sull’affidabilità

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dei risultati ottenuti, derivante da un eventuale trattamento termico applicato al latte prima della caseificazione.

Buoni risultati nell’individuazione di latte vaccino nel latte di capra sono stati ottenuti da Song e coll. (2011). Il metodo ELISA indiretto, sviluppato allo scopo, si avvaleva di anticorpi policlonali contro la beta-caseina bovina, notoriamente meno sensibile ai trattamenti termici rispetto ad altre proteine, soprattutto quelle del siero. I valori di assorbanza del test hanno mostrato una relazione lineare con la concentrazione di latte vaccino nell’intervallo 2-50 %, con un limite di rivelabilità del 2 %. Non si è inoltre osservata differenza tra i latti di capra di razze diverse e soprattutto tra i campioni di latte crudo e quelli trattati termicamente.

La tecnica applicata da Haasnoot e coll. (2014) è basata sulla reazione di anticorpi mono-clonali specifici per riconoscere 5 aminoacidi contenuti in un epitopo sul glicomacropepti-de (GMP) della k-caseina, presente nella specie bovina e bufalina, ma assente nella caseina di capra e pecora. A seconda delle diluizioni applicate, possono essere rivelate aggiunte di latte di vacca o bufala dallo 0,25 al 50 %. Poiché però il test è relativo al GMP che, in fase di caseificazione viene rilasciato nel siero, la tecnica non è applicabile ai formaggi.

Test ELISA sono stati anche applicati per verificare la genuinità di latte di asina (Pizzano e Salimei, 2014) e di yak (Ren e coll., 2014).

La disamina della bibliografia sull’applicazione del test ELISA suggerisce alcune conclusio-ni: il test sembra essere molto efficace soprattutto quando applicato al latte crudo; l’utilizzo su formaggi o latte trattato termicamente presenta alcuni problemi, in particolare nel caso dell’espressione dei risultati in termini quantitativi.

Spettroscopia

L’aggiunta di latti di specie diversa è stata anche verificata mediante spettroscopia all’infra-rosso. Nicolau e coll. (2010) hanno testato l’analisi al medio infrarosso con trasformata di Fourier per la rilevazione di miscele di latte di specie diverse. Usando il range di lunghezze d’onda 4000-600 cm-1 sono state esaminate miscele di latte di vacca, pecora e capra in diverse combinazioni e i dati sono stati elaborati impiegando i metodi di regressione PLS e KPLS. Dai risultati ottenuti gli autori concludono che la tecnica FT-IR sia molto pro-mettente come approccio rapido per la rilevazione e quantificazione delle adulterazioni del latte (errore in predizione, nel caso di miscele binarie, pari a 6,5-8 % con PLS e 4-6 % con KPLS).

La problematica è stata portata all’attenzione in primo luogo per la Mozzarella di Bufala Campana DOP. La stagionalità nella produzione del latte, con la conseguente minor di-sponibilità della materia prima in alcuni periodi dell’anno, ha portato alla diffusione della pratica di congelamento del latte e della cagliata per un loro utilizzo successivo. Tale pratica ovviamente non risponde al rispetto del disciplinare di produzione, dove è chiaramente indicato l’impiego di solo latte fresco di bufala. Arena e coll. (2016), applicando la tecnica MALDI-TOF-MS, hanno individuato alcuni peptidi che sembrano di formazione durante la conservazione a temperature di congelamento e che quindi potrebbero costituire dei marker dell’eventuale impiego di latte o cagliata congelati nella produzione di Mozzarella di Bufala Campana DOP.

La tecnica elettroforetica è stata applicata da Faccia e coll. (2014) per individuare la pre-senza di cagliata congelata nella produzione di mozzarella “Fiordilatte”. Gli autori hanno analizzato 32 campioni di cagliata fresca e 17 di cagliata congelata e hanno poi predisposto caseificazioni di mozzarella miscelando diverse proporzioni (da 15 a 80 %) di cagliata con-gelata con cagliata fresca. I risultati ottenuti hanno indicato che l’uso di cagliata conservata a basse temperature nel processo di caseificazione della mozzarella “Fiordilatte” può essere rivelata per quantificazione del frammento 24-199 di alfa-s1-caseina, il principale prodotto

4. RICONOSCIMENTO DELL’IMPIEGO DI LATTE O

CAGLIATA CONGELATI NEL-LA PRODUZIONE

DI FORMAGGIO

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della proteolisi primaria derivante dall’azione della chimosina. La formazione di questo frammento, nella mozzarella, si svolge in due fasi e a velocità differenti: è rapida nella ca-gliata (prima della filatura) poiché la chimosina è molto attiva, ed è lenta nel formaggio (dalla filatura fino al consumo), dal momento che la chimosina subisce una certa denatura-zione. In condizioni di caseificazione tradizionale, cioè partendo da latte, la formazione del frammento di alfa S1-caseina è trascurabile, poiché la cagliata viene filata in tempi brevi; in caso di uso di cagliata congelata, la formazione diventa tanto più intensa quanto più il tempo di conservazione è prolungato. La determinazione è stata fatta mediante elettroforesi in presenza di urea (urea-PAGE) e la misurazione mediante densitometria ottica. I risultati sono stati espressi in termini percentuali rispetto a tutte le bande identificate. Gli autori propongono quindi un valore di densità percentuale pari a 4 come limite oltre il quale si può supporre l’aggiunta di cagliata congelata. Tuttavia, essendo la densitometria un metodo semiquantitativo e il numero di variabili tecnologiche molto elevato, gli autori stessi intra-vedono la necessità di ulteriori indagini.

In Italia la legge n. 138 del 11/04/74 vieta la detenzione, la commercializzazione e l’utilizzo del latte in polvere e di latte conservato con qualunque trattamento chimico, o comunque concentrato, per la produzione di latte UHT e dei prodotti lattiero caseari. La posizione italiana è stata riconfermata dal decreto legge n. 175 del 08/10/11 con il recepimento della direttiva UE 2007/61/CE relativa ad alcuni tipi di latte conservato parzialmente o total-mente disidratato destinato all’alimentazione umana. La medesima legge è alla base delle diverse interpretazioni circa la possibilità o meno di usare le proteine concentrate del latte (PCL), il cui impiego è entrato nel mercato alla fine degli anni ’90.

In ambito nazionale le opinioni sull’argomento non sono univoche: mentre il MiPAAF ha sostenuto una posizione contraria all’utilizzo di PCL (Regio D.L. 2033/1925 e le circolari MIPAAF del 18/06/2001, 4/03/2003 e 18/07/2006), sollevando anche dubbi sulla qua-lità dei prodotti ottenibili, il Ministero della Salute ha considerato lecito l’uso in quanto ammesso di fatto dal D.P.R. 54/1997, che aveva recepito la direttiva comunitaria 92/46 in materia di sicurezza. Poiché tali ingredienti sono invece consentiti negli altri stati europei, recentemente l’argomento è stato oggetto di una presa di posizione da parte della Comunità Europea, che ritiene la legge n. 138 del 11/04/74 non compatibile con le norme dell’U-nione europea e un ostacolo alla libera circolazione delle merci. Anche il Ministero delle Attività Produttive sostiene la posizione della Comunità Europea, ritenendo che la natura della materia prima, quindi l’utilizzo di latti conservati per fabbricare prodotti caseari, sia irrilevante ai fini della qualità e delle caratteristiche organolettiche del prodotto finito. È opportuno ricordare che da questa problematica sono esclusi i formaggi sottoposti ai regimi di qualità (DOP, IGP, STG), per i quali i disciplinari già definiscono le materie prime e i processi tecnologici utilizzabili.

La produzione del latte in polvere e delle PCL prevede l’uso di tecnologie e parametri tempo/temperatura che determinano nel prodotto reazioni di danno termico a carico di proteine e zuccheri. Pertanto i metodi analitici di controllo dell’eventuale impiego di latte in polvere o PCL sono basati sulla valutazione dei prodotti di tali reazioni. Il fenomeno più noto è la cosiddetta reazione di Maillard, che prende il nome dal chimico francese che nel 1912 osservò l’imbrunimento in soluzioni di zuccheri e amminoacidi/proteine. Il processo è anche noto come imbrunimento non enzimatico e avviene quando sono presenti sia pro-teine che zuccheri riducenti. La descrizione completa dei processi che avvengono nel corso di questa reazione risale agli anni ‘50 e si deve al chimico John Hodge. Nel latte la reazione di Maillard avviene tra il gruppo aldeidico libero dell’unità di glucosio nella molecola di lattosio e il gruppo amminico dei residui di lisina e genera, come primo prodotto stabile, la ε-lattulosil-lisina (Figura 5.1). Tale composto, per essere determinato analiticamente, viene convertito in furosina per idrolisi acida a caldo con un metodo messo a punto da Resmini e coll. (1990) e successivamente pubblicato come norma ISO.

5. PRESENZA DI LATTE IN POLVERE

E PROTEINE CONCENTRATE

DEL LATTE (PCL) IN PRODOTTI

LATTIERO CASEARI

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Figura5.1-PrimafasedellareazionediMaillardcheportaallaformazionedellaε-lattulosil-lisina.

Quando, invece, il trattamento termico è applicato alle sole proteine del latte, come accade nella produzione di PCL, si genera la lisinoalanina (LAL) per condensazione spontanea della lisina con la diidro-alanina, che si origina a sua volta per reazioni di β-eliminazione a carico di residui di fosfoserina o cisteina con liberazione di H2S. La reazione è favorita in un mezzo alcalino, ma riscaldando la caseina αs1 a 120° C per 30 minuti si osserva la for-mazione di LAL anche in ambiente neutro (Singh, 1995). I valori più elevati di LAL sono stati riscontrati in caseinato commerciale, mentre vengono riportate quantità molto basse o non determinabili in formaggio prodotto in modo tradizionale, formaggio fuso e caseina presamica. Valori superiori a 50 ppm di LAL nelle proteine di alcuni formaggi sono stati associati alla presenza di caseinati. Il lavoro di Pellegrino e coll. (1996) ha rilevato come la LAL non sia presente in latte pastorizzato, ma valori tra 0,4 e 4 ppm siano riscontrabili nella mozzarella; inoltre lo studio evidenzia come nei diversi tipi di formaggi fusi e nelle mozza-relle di imitazione il contenuto in LAL sia molto superiore (da 15 a 421 ppm).

Entrambe le reazioni descritte determinano una diminuzione del valore nutrizionale del latte, in quanto avvengono soprattutto a carico della lisina (amminoacido essenziale), ridu-cendone la biodisponibilità. Inoltre, la reazione di Maillard produce anche modificazioni delle caratteristiche organolettiche del prodotto.

5.1 METODI UFFICIALI

Determinazionedellafurosina

Il metodo (Milk and milk products- Determination of furosine content - Ion-pair reverse-phase high-performance liquid chromatography method - ISO 18329:2004) si applica al latte crudo o trattato termicamente e al formaggio. Il principio consiste nella parziale con-versione del primo prodotto stabile della reazione di Maillard, ε-lattulosil-lisina, in furosina, mediante idrolisi acida a caldo. La furosina viene determinata per HPLC in coppia ionica e fase inversa con detector UV a 280 nm. L’aliquota di campione consiste in 2 mL per il latte, mentre per il formaggio si pesa una porzione corrispondente a 40-50 mg di proteine. Al campione trasferito in vial (pyrex dotato di tappo a vite) vengono aggiunti 8 mL della solu-zione di acido cloridrico 8 N. Dentro il vial si insuffla N2, quindi si chiude e si pone in stufa a 110 °C per 23 ore, agitando dopo la prima ora di riscaldamento. Al termine dell’idrolisi si filtra il campione attraverso carta da filtro e sul filtrato si determina il contenuto in proteine mediante metodo Kjeldahl. Un’aliquota di 0,5 mL di campione idrolizzato viene filtrata, mediante siringa in vetro, in cartuccia SPE C18, precedentemente condizionata con 5 mL di metanolo e 10 mL di acqua distillata. Pipettare 3 mL di soluzione di acido cloridrico 3 N nella siringa e far eluire completamente la cartuccia SPE. L’idrolizzato così purificato viene sottoposto ad analisi HPLC impiegando come solventi di eluizione la soluzione A (acido acetico 0,4 % in acqua) e la soluzione B (KCl 0,3 % in soluzione A), insieme alla soluzione standard di furosina. Il contenuto in furosina è espresso come mg per 100 g di proteine.

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Il D.M. 15 dicembre 2000 “Fissazione dei valori massimi di furosina nei formaggi freschi a pasta filata e nel latte (crudo e pastorizzato perossidasi-positivo)”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 31 del 7 febbraio 2001 riporta che:

1. Il valore massimo di furosina nel formaggio mozzarella e negli altri formaggi freschi a pasta filata prodotti da latte vaccino e/o bufalino, è fissato in 12 milligrammi su 100 grammi di sostanza proteica, ferme restando tutte le altre condizioni produttive e le caratteristiche pre-viste dalle vigenti disposizioni per i citati formaggi.

2. Il valore massimo di furosina per la mozzarella con attestazione di specificità resta fissato in 10 milligrammi su 100 grammi di sostanza proteica, come stabilito dal regolamento 2527/98/CE.

3. Il valore massimo di furosina nel latte crudo e nel latte pastorizzato in flusso continuo e che risulta perossidasi-positivo è fissato, indipendentemente dalla sua denominazione ed utilizzo, in 8,6 milligrammi su 100 grammi di sostanza proteica, ferme restando tutte le altre condi-zioni produttive e le caratteristiche previste dalle vigenti disposizioni per i citati tipi di latte.

4. Le disposizioni contenute nel presente bando non si applicano ai prodotti di cui al comma 1 provenienti dagli altri Stati membri e dai Paesi aderenti all’accordo sullo spazio economico europeo.

5.2 METODI ALTERNATIVI E RAPIDI

DeterminazionedellaLisinoalanina(LAL)informaggio,caseinaecaseinati

La LAL è determinata per HPLC con rivelatore a fluorescenza (eccitazione: 266 nm, emis-sione: 310 nm) dopo derivatizzazione con 9-fluorenilmetil-cloroformiato (FMOC) ed è quantificata mediante standard esterno preparato aggiungendo LAL ad un formaggio che ne è privo (Pellegrino e coll. 1996). Il metodo prevede una prima fase di idrolisi mediante aggiunta di 8 mL di HCl 8 M ad un’aliquota di campione corrispondente a 50 mg di pro-teine. Il vial viene chiuso e tenuto in stufa a 110 °C per 23 ore. L’idrolizzato viene quindi filtrato attraverso carta da filtro e utilizzato per la determinazione sia della LAL che del contenuto in proteine mediante Kjeldahl.

Per il proseguimento dell’analisi della LAL l’idrolizzato viene sottoposto a purificazione su cartuccia SPE C18 500mg/3ml precondizionata con metanolo e acqua. Un’aliquota di 100 μL di idrolizzato purificato è trasferita in un contenitore a fondo conico e l’acido cloridrico è rimosso sottovuoto a 40 °C mediante Rotavapor. Quindi si aggiungono al campione 200 μL di soluzione 0,4 M di acido borico, 200 μL di acqua e 400 μL di FMOC. Si chiude, si mescola e si tiene a temperatura ambiente al buio per 60 minuti. Trascorso questo tem-po, si effettua il passaggio su cartuccia SPE amino 500 mg/3 mL, precedentemente fatta eluire con 10 mL di acetonitrile, seguiti da 10 mL di miscela acetonitrile:acido borico 0,1 M 1:4 pH 7,2. Si caricano 100 μL di campione derivatizzato e si fanno eluire, scartando l’eluato. Quindi si fa asciugare la cartuccia con 40 mL di aria. Si caricano poi 6 mL di mi-scela acetonitrile:acqua (1:4, v/v) si fa eluire, si scarta l’eluato e si fa asciugare la cartuccia con 40 mL di aria. Si caricano 5 mL di miscela acetonitrile:acqua (1:1, v/v) si fa eluire, si scarta l’eluato e si fa asciugare la cartuccia con 40 mL di aria. Si caricano 1,5 mL di miscela acetonitrile:acido borico 0,2 M (1:1, v/v) a pH 9,0, si fa eluire fino in fondo e si raccoglie l’eluato, che deve essere incolore, in un contenitore a fondo conico. Si concentra l’eluato sottovuoto a 40 °C per 10-12 minuti e quindi si scioglie il materiale essiccato con 200 μL di miscela acetonitrile:acido borico 0,2 M (1:1, v/v) a pH 9,0. Si mette il tutto in bagnetto ultrasuoni per 30-60 secondi e si inietta in HPLC. Si utilizza una colonna C18 tipo Amino Quant (Agilent) 200 mm x 2,1 mm ID. La corsa impiega tre eluenti ottenuti miscelando le seguenti soluzioni: soluzione 1 (0,5 % tetraidrofurano e 0,1 % etilacetato in acetato di potassio 30 mM) e soluzione 2 (80 % acetonitrile e 20 % sodio acetato 100 mM).

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Spettroscopia

Hsieh e coll. (2011) hanno applicato la spettroscopia NIR/visibile abbinata alla tecnica che-miometrica LS-SVM (Least squares-support vector machine) per determinare la presenza del latte in polvere nel latte liquido. I campioni sono stati preparati aggiungendo, al latte crudo, latte in polvere opportunamente diluito, per riportarlo all‘originale composizione del latte liquido. Sono state utilizzate miscele con latte in polvere pari a: 0, 2, 5, 10, 20, 30, 50, 75 e 100 %. I risultati ottenuti hanno indicato che solo i campioni con un contenuto pari o superiore al 10 % di latte in polvere possono essere discriminati correttamente dal latte crudo genuino.

Una possibile frode sul latte crudo è l’aggiunta di siero allo scopo di aumentarne la quanti-tà, seguita dall’aggiunta di sodio citrato per stabilizzare la caseina e per correggere il punto crioscopico del latte.

6.1 METODI UFFICIALI

DosaggiodeiCMP

L’unico metodo di riferimento è quello riportato in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (G.U. CE Serie L n. 88 del 29/03/2008 – Allegato XII) avente titolo “Ricerca del latto-siero presamico nel latte scremato in polvere destinato all’ammasso pubblico attraverso il dosaggio dei caseinomacropeptidi mediante il metodo per cromatografia liquida ad alta pre-stazione (HPLC)”. Il latte viene ricostituito in acqua calda e separato da grasso e proteine per aggiunta di soluzione di acido tricloroacetico in acqua a concentrazione 240 g/L e suc-cessiva centrifugazione o filtrazione. I caseinomacropeptidi (CMP) vengono determinati e quantificati mediante HPLC utilizzando come fase mobile un tampone preparato da fosfa-to dipotassico, fosfato monopotassico e solfato di sodio. La rivelazione viene effettuata con detector UV a 205 nm. Per la taratura si devono utilizzare, come campioni di riferimento, un idoneo latte scremato in polvere ricostituito e, come prodotto adulterato, lo stesso latte ricostituito con aggiunta del 5 % di siero di latte in polvere.

6.2 METODI ALTERNATIVI E RAPIDI

Spettroscopia

Cassoli e coll. (2011) propongono l’uso della spettroscopia MIR, attraverso strumenti uti-lizzati di routine per il controllo della composizione del latte (MilkoScan), per quantificare l’eventuale aggiunta al latte di siero, sodio citrato e bicarbonato. Scopo del lavoro è stato costruire un modello in grado di identificare le aggiunte di adulteranti, in confronto ad uno spettro di riferimento, ottenuto analizzando 800 campioni di latte provenienti da diverse stalle e raccolti in un arco temporale di 8 mesi. Le aggiunte di bicarbonato vengono iden-tificate al 100 %, quelle di sodio citrato in concentrazione pari allo 0,075 % vengono cor-rettamente identificate al 93,9 %, mentre le aggiunte di siero dolce non sono correttamente identificate, anche quando realizzate in alte concentrazioni (20 %). Gli stessi autori hanno anche calcolato modelli di calibrazione per quantificare gli stessi adulteranti, analizzando, mediante MilkoScan, latte crudo prelevato da 100 stalle. Al latte sono stati aggiunti questi 3 adulteranti a diversi livelli di concentrazione (bicarbonato di sodio: 0,03, 0,06, 0,10 e 0,12 %; sodio citrato: 0,02, 0,04, 0,06 e 0,08 %; siero: 5, 10 e 20 %); la validazione dei modelli è stata fatta misurando 60 campioni provenienti da stalle estranee a quelle da cui provenivano i latti utilizzati per le calibrazioni. Il limite di rivelabilità è risultato essere di 0,015 % per il bicarbonato di sodio, di 0,017 % per il sodio citrato e di 3,9 % per il siero. L’accuratezza in termini di RMSEC è risultata invece pari allo 0,005 %, 0,009 % e 2,26 % rispettivamente per bicarbonato, sodio citrato e siero.

6. AGGIUNTA DI SIERO DI LATTE

AL LATTE O AL LATTE IN POLVERE

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Vieira e coll. (2016) hanno proposto l’utilizzo di spettrometri IR equipaggiati con accesso-rio ATR con cristallo di Zn/Se (ATR-ZnSe), nell’intervallo spettrale 3750–760 cm-1, per identificare aggiunte di siero nel range 6,0–28,0 %. La numerosità dei campioni analizzati è stata inferiore rispetto a quella del lavoro di Cassoli e coll. (2011), 43 campioni di latte cru-do utilizzati come set di calibrazione e 24 campioni utilizzati per la validazione. L’errore in calibrazione RMSEC è risultato pari allo 0,11 % mentre in predizione, RMSEP, è risultato pari allo 0,18 %. È stata calcolata anche la minima differenza di concentrazione rivelabile, intesa come valore inverso della sensibilità strumentale, che si è dimostrata pari allo 0,38 %.

De Carvalho e coll. (2015) hanno invece proposto di identificare l’aggiunta di siero, in latte in polvere, mediante la quantificazione della presenza di GMP (glicomacropeptide) che si viene a formare durante il processo di caseificazione con strumentazione FT-IR. Sono stati utilizzati 48 campioni in calibrazione e 24 campioni, in validazione di latte in polvere miscelato con siero in polvere, in percentuali variabili da 0 a 20 %. Le letture sono state condotte su campioni miscelati con KBr, in rapporto 1:100, pressati per ottenere pastiglie utili per la lettura allo spettrometro FT-IR. Il miglior modello ottenuto con l’utilizzo di 5 variabili latenti presentava errori in cross validazione pari a RMSECV = 0,24 % ed in predizione pari a RMSEP = 1,18 %. Con gli stessi campioni è stata fatta un’analisi discri-minante (DA) separandoli in classi secondo l’aggiunta di siero: campioni non adulterati, poco adulterati (tra 0 e 4 % di siero aggiunto), moderatamente adulterati (da 4 a 10 % di siero aggiunto), con elevato livello di adulterazione (da 10 a 20 % di siero aggiunto). La validazione del modello, calcolato con 60 campioni, fatta considerando i restanti 12 cam-pioni, ha mostrato una percentuale di accuratezza pari al 100 %: tutti i campioni sono stati correttamente classificati come appartenenti alle rispettive categorie.

La tecnica NIR è stata invece impiegata da Borin e coll. (2006) per calcolare modelli di calibrazione con lo scopo di quantificare le aggiunte di adulteranti al latte in polvere, come siero, amido e saccarosio. Gli autori hanno creato miscele di latte in polvere, non solo con i singoli adulteranti, ma anche con combinazioni degli stessi. Gli spettri raccolti con stru-mentazione UV/Vis/NIR sono stati elaborati mediante due tecniche di regressione: una lineare, la PLSR, e una non lineare, la LS-SVM. Per quanto riguarda le aggiunte di siero al latte in polvere, sono stati creati e analizzati 99 campioni, comprendenti aggiunte, anche in combinazione binaria con amido e saccarosio, dall’ 1 % fino al 49,82 %. Utilizzando 150 spettri in calibrazione e 66 spettri in validazione l’errore in cross-validazione, RMSECV, è stato pari a 3,06 % per la PLS con 8 LV e 1,47 % per la LS-SVM, mentre gli errori in pre-dizione, RMSEP, sono risultati pari rispettivamente a 3,17 % e 1,12 %. Gli autori hanno però fatto notare che l’accuratezza nel predire campioni non adulterati è maggiore nel caso si impieghi la LS-SVM, mentre per i modelli PLS si corre il rischio di ottenere falsi positivi.

Bilge e coll. (2016) propongono la tecnica Laser Induced Breakdown Spectroscopy (LIBS), metodo di analisi multi-elemento per concentrazioni dell’ordine di ppm, utilizzato per cam-pioni solidi, gassosi e liquidi. Anche la LIBS è una procedura rapida e semplice che non richiede fase di preparazione del campione. Si tratta di una tecnica spettroscopica basata sulla focalizzazione di un fascio laser sul campione in modo da provocare sulla superficie dello stes-so la formazione di un piccolo volume di plasma. La luce emessa dal plasma viene opportu-namente raccolta e analizzata spettralmente; la quantitativa degli elementi è effettuata tramite retta di calibrazione esterna. La determinazione del siero aggiunto al latte in polvere verrebbe quindi fatta in base alla loro diversa composizione minerale. Sono state fatte miscele di latte in polvere con siero, sia dolce che acido, in un intervallo tra 1 e 40 %. La composizione minerale delle varie miscele è stata determinata utilizzando come metodo di riferimento l’ICP-MS. Considerando l’intervallo spettrale da 575 a 756 nm e pretrattando gli spettri con SNV, i modelli PLS calcolati separatamente per campioni adulterati con siero dolce e per campioni adulterati con siero acido, hanno presentato errori in validazione RMSEP pari a 7,3 % e 7,2 % rispettivamente. Il LOD per l’aggiunta di siero acido, pari a 0,55 %, è risultato inferiore rispetto a quello calcolato per l’aggiunta di siero dolce, pari a 1,5 %.

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Un metodo di screening rapido per identificare il latte in polvere adulterato con siero è stato proposto da Almeida e coll. (2011). Campioni di latte in polvere intero, magro e a basso contenuto di grasso sono stati miscelati con siero a diverse concentrazioni nell’intervallo 1-40 % (p/p) e analizzati con strumento FT-Raman con laser a 1064 nm, direttamente in piccole capsule di alluminio. La discriminazione tra latti, adulterati e non, è stata fatta utilizzando la PLS-DA (Partial Least Square Discriminat Analysis): 22 campioni di latte non adulterati e 26 campioni adulterati, appartenenti al training set, sono stati corretta-mente classificati (100 %), mentre di 24 campioni (di cui 13 adulterati e 11 no) utilizzati per validare il modello ne sono stati correttamente classificati il 95,46 %. Gli stessi autori, successivamente, hanno utilizzato la tecnica FT-Raman per quantificare l’aggiunta di siero al latte in polvere (Almeida e coll. 2012). Nel loro lavoro sono stati analizzati 74 campioni di latte in polvere, adulterati con siero in polvere in percentuali comprese tra 0 e 50 %. I latti in polvere sono stati analizzati in piccole capsule di alluminio, irraggiate con laser a 1064 nm. Gli spettri sono stati raccolti nell’intervallo 3500-400 cm-1. Sono stati utilizzati 51 campioni come set di calibrazione mentre i restanti 23 sono stati utilizzati per validare il modello, costruito con 5 LV, dopo normalizzazione degli spettri e pretrattamento con deri-vata seconda. L’RMSEP è risultato pari a 2,32 % (p/p) di siero aggiunto, il LOD è risultato pari allo 0,70 % mentre il LOQ pari a 2,32 %. Un secondo modello, calcolato conside-rando campioni adulterati di latte magro in polvere, ha mostrato performances peggiori: l’RMSEP è stato pari a 4,2 %. Gli autori hanno attribuito questo dato al fatto che il latte magro risulta ricco in carboidrati e quindi piccole aggiunte di siero risultano non rilevanti, causando elevati errori in predizione.

Un’altra tecnica proposta per identificare le aggiunte di adulteranti al latte, tra cui anche il siero, è la microspettroscopia nel medio infrarosso (Santos e coll., 2013). Campioni di latte opportunamente adulterati con siero in un intervallo di concentrazione da 1,87 a 30 g/L, sono stati preventivamente sgrassati con cloroformio, per eliminare il possibile effetto matrice. Dopo centrifugazione, 1 μL di surnatante di ogni latte è stato posto in microarray a 192 pozzetti e lasciato ad asciugare all’aria. Le letture sono state fatte con un microscopio FT-IR nel range 4000-700 cm-1. Il modello PLS per quantificare il siero aggiunto è stato calcolato con 80 campioni divisi in set di calibrazione e di validazione, utilizzando l’inter-vallo spettrale tra 1450 e 1600 cm-1e 6 variabili latenti. Il SEC è risultato pari a 1,78 g/L, il SECV a 1,91 g/L e il SEP a 2,33 g/L.

La prima allerta per uso improprio di melamina scattò nel febbraio 2007 a seguito dell’ag-giunta fraudolenta di melamina in alimenti per animali domestici. Nel settembre 2008, l’elevato contenuto di melamina riscontrato in Cina in latte per neonati e prodotti a base di latte causò alcune morti per insufficienza renale (almeno 6) e diversi problemi di salute per centinaia di migliaia di bambini ed adolescenti. Un’indagine condotta dall’Administration of Quality Supervision, Inspection and Quarantine (AQSIQ) Cinese rivelò che ben 22 brand disponibili in commercio in Cina contenevano melamina nei loro prodotti a base di latte, con un contenuto in alcuni casi superiore ai 2500 mg/kg.

Figura7.1–Strutturadellamelamina.

7. AGGIUNTA DI MELAMINA

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La melamina (2,4,6-triammino-1,3,5-triazina) è un composto eterociclico azotato (Figura 7.1), utilizzato come intermedio chimico nella formulazione di polimeri, plastiche, adesivi e vernici, ma anche di alcuni fertilizzanti utilizzati in agricoltura. È spesso associata a com-posti ad essa strutturalmente affini, quali acido cianurico, ammelina e ammelide, che sono anche i sottoprodotti derivati dalla sua sintesi o dal suo metabolismo batterico.

Essendo un composto ad elevato contenuto di azoto (ca. 66%), la fraudolenta addizione di melamina in un alimento mira ad aumentarne il contenuto di azoto totale e di conseguenza il suo tenore proteico apparente. Hau e coll. (2009) hanno infatti riportato che l’aggiunta di 1 g di melamina ad 1 L di latte può innalzarne il tenore proteico dello 0,4 %.

La melamina di per sé ha una bassa tossicità acuta, ma in presenza di acido cianurico pre-cipita nei reni sotto forma di cristalli di melamina cianurato, i quali, essendo poco solubili in acqua, possono portare ad insufficienza renale e, in alcuni casi, anche alla morte (Hau e coll., 2009).

Lo scandalo del latte alla melamina suscitò allerta e preoccupazione in tutto il mondo, tanto che i diversi Stati adottarono metodi e misure interne per scongiurare il rischio di contami-nazione da melamina. Nell’aprile 2010 anche l’EFSA (European Food Safety Authority), su specifica richiesta della Commissione Europea, emanava il suo parere scientifico in materia (EFSA 2010), proponendo una nuova Tolerable Daily Intake (TDI) per la melamina pari a 0,2 mg/kg di peso corporeo, in linea con quella stabilita in precedenza dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO 2008).

La Commisione Codex Alimentarius riunitasi a Ginevra nel 2010 confermava il valore di 1 mg/kg come quantità massima di melamina consentita negli infant formula in polvere e il limite di 2,5 mg/kg per gli altri alimenti e mangimi per animali (FAO 2010). Nel meeting di Maastricht del 2012 veniva stabilito un limite massimo per la melamina negli infant formula liquidi pari a 0,15 mg/kg (FAO 2012).

Prima del richiamo nel 2007 dei cibi per animali domestici, la melamina non era monitora-ta regolarmente. Da allora numerosi sono stati gli studi in campo analitico, al fine di svilup-pare metodiche in grado di determinare la melamina (in alcuni casi contemporaneamente ai suoi analoghi strutturali) nel rispetto dei limiti di legge stabiliti, o anche al di sotto, fino ad arrivare allo sviluppo di nuovi metodi analitici di screening sempre più rapidi ed economici.

7.1 METODI UFFICIALI

DeterminazionemedianteLC-MS

Il metodo (Milk, milk products and infant formulae -- Guidelines for the quantitative de-termination of melamine and cyanuric acid by LC-MS/MS. ISO/TS 15495:2010) fornisce indicazioni per la determinazione della melamina e dell’acido cianurico in latte, prodotti a base di latte e infant formula, tramite Cromatografia Liquida accoppiata alla Spettrometria di Massa tandem (LC-MS/MS), dove per cromatografia liquida si intende sia l’HPLC (High Performance Liquid Chromatography) che l’UPLC (Ultra Performance Liquid Chromato-graphy); come rivelatore di massa può essere utilizzato sia il triplo quadrupolo (preferibile) che la trappola ionica. La separazione cromatografica si basa su cromatografia liquida ad interazioni idrofiliche (HILIC), al fine di garantire una buona separazione tra melamina e acido cianurico. La ionizzazione del campione avviene tramite sorgente Elettrospray (ESI), mentre la quantificazione utilizza la modalità di Selection Reaction Monitoring (SRM). La metodica specifica che possono essere utilizzate anche altre tecniche di ionizzazione, purché con prestazioni adeguate, così come è possibile l’uso di altri analizzatori di massa, purché rispettino i criteri di performance (punti di identificazione) stabiliti dal Regolamento (CE) 657/2002. La quantificazione per entrambi gli analiti è fatta tramite il metodo della dilui-zione isotopica. Il Limite di Quantificazione richiesto (LOQ) deve essere almeno 10 volte inferiore al Limite Massimo (ML), al fine di garantire una quantificazione affidabile al

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valore di ML.

Utilizzando il triplo quadrupolo come rivelatore, il LOQ riportato per la melamina e l’acido cianurico è pari rispettivamente a 0,050 e 0,100 mg/kg, sia nel latte vaccino che nell’infant formula in polvere, con un recupero per entrambi gli analiti in un range compreso tra il 99 e il 116 %.

Utilizzando la trappola ionica come rivelatore, il LOQ riportato per la melamina è di 0,110 mg/kg nell’infant formula in polvere e 0,100 mg/kg nel latte vaccino, con un recupero del 99 %, mentre per l’acido cianurico il LOQ riportato è di 0,130 mg/kg nell’infant formula in polvere e 0,100 mg/kg nel latte vaccino, con un recupero del 105 %.

7.2 METODI ALTERNATIVI E/O RAPIDI

Metodicromatograficiedelettroforetici

Data la gravità della frode, numerose sono state le ricerche volte alla messa a punto e alla vali-dazione di metodi analitici basati sulle tecniche tradizionali di cromatografia ed elettroforesi. Le performances dei risultati ottenuti dai differenti autori sono riportate nella Tabella 7.1.

Tabella 7.1-CaratteristicheprincipalideiMetodianalitici“Convenzionali”perladeterminazionedi melaminainlatteeprodottiderivati.

Tecnica Analitica

Pretrattamento Campione

Matrice Sensibilità Recupero Riferi-mento

HPLC-UV(coppia ionica) (λ=240 nm)

Dissoluzione in H2O; estrazione con TCA

(2%):ACN; centrifuga a T ambiente;purificazione su SCX SPE

Latte vaccino; Infant Formula in polvere

LOQ = 0,09 mg/kg 0,18 mg/kg (IF con

<15% proteine)0,36 mg/kg (IF con

>15% proteine)

98% ÷ 101% 89% ÷ 92 Lutter e coll.

2011

HPLC-PDA (λ=240 nm)

Estrazione ACN:H2O; centrifuga a T ambiente

Latte in polvereLatte UHTLatte pastorizzatoInfant formulaFormaggio a pasta molle

LOQ = 340 μg/kgLOQ = 320 μg/kgLOQ = 280 μg/kgLOQ = 200 μg/kgLOQ = 105 μg/kg

95% ÷ 110%95% ÷ 116%97% ÷ 122%88% ÷ 106%85% ÷ 112%

Filazi e coll. 2012

HPLC-PDA (λ=220 nm)

Estrazione in Tampone (HCOOH/NaCOOH);

centrifuga a 4°C e tratta-mento con ACN; centri-

fuga a 4°C e trattamento con CHCl2

Latte in polvere LOQ = 0,08 μg/mL 92% ÷ 102% Rezai e coll. 2014

UHPLC –DAD (λ=235.7 nm)

Centrifuga a 4°C x rimozione grassi;

trattamento con ACN e centrifuga a 4°C;

estrazione con SPE a base di MIP

Latte liquido LOQ = 2,59 μg/kg 97,4% ÷ 100% Ge e coll. 2015

UHPLC-DAD

Dissoluzione in MeOH; sonicazione e centrifu-

gazione; miscelazione surnatante

con MeOH:H2O

Latte fresco e pastorizzato LOQ = 0,17 μg/mL 98,5% ÷ 99,1% Ahmad e coll. 2016

MetodiImmunologici

I metodi ELISA (Enzyme Linked Immunosorbent Assay) sono caratterizzati da un’elevata selettività, grazie all’interazione selettiva antigene-anticorpo, ma possono anche dare “falsi positivi”. Sono ormai disponibili in commercio diversi kit per la determinazione della me-

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lamina, ma particolare attenzione deve essere posta in fase di preparativa del campione, al fine di evitare interferenze. Un lavoro di Lutter e coll. (2011) ha rivelato, ad esempio, come composti strutturalmente simili alla melamina, quali ammelina e ciromazina, avessero un’e-levata cross-reattività (100 % e 300 %, rispettivamente) nella determinazione di melamina in latte vaccino tramite kit ELISA commerciale (Abraxis); lo stesso metodo aveva, inoltre, un LOQ di 0,1 mg/kg per il latte vaccino e 1,0 mg/kg per l’infant formula in polvere.

Zhou e coll. (2012) hanno prodotto un apposito anticorpo monoclonale e sviluppato un metodo ELISA per la determinazione della melamina, ottenendo un LOD di 0,01 ng/mL e un recupero rispettivamente del 99 % e 96 % sul latte liquido e in polvere. Li e coll. (2014) hanno invece riportato un LOD di 1 ng/mL utilizzando un metodo ELISA competitivo indiretto in chemiluminescenza (CL-ELISA) nella determinazione di residui di melamina nel latte: nessuna cross-reattività era stata inoltre osservata per i farmaci veterinari più co-munemente usati. Recentemente Xie e coll. (2015) hanno testato l’efficacia del kit ELISA commercializzato dalla compagnia Beijing Kwinbon Biotechnology (Beijing Kwinbon Bio-technology Co., LTD, Beijing, Changping, China) su diverse tipologie di matrici: per il latte liquido e in polvere il LOD riportato era di 19,22 e 46,86 μg/kg con esiti dei risultati confermati tramite HPLC.

Sensori

Negli ultimi anni la tecnologia dei sensori ha trovato largo impiego nella determinazione dei residui in campo alimentare, grazie alla loro sensibilità, rapidità, semplicità ed efficacia dei costi (Rovina e Siddiquee, 2015) e molti ne sono stati sviluppati per la determinazione della melamina in latte e prodotti derivati.

Diverse applicazioni vedono l’utilizzo di:

• Sensori a base di Polimeri a Stampo Molecolare (MIP) (Deng e coll., 2015);

• Sensori a base di Aptameri (Gu e coll., 2015, 2016; Yun e coll., 2014);

• Sensori colorimetrici, che possono far uso di NanoParticelle d’Oro (Xing e coll., 2013; Vasimalai e John, 2013), NanoParticelle d’Argento (Borase e coll., 2015), Quantum Dots (Li e coll., 2013) e NanoParticelle Magnetiche (Ding e coll., 2010);

• Sensori Elettrochimici (Peng e coll., 2016; Rovina e Siddique, 2016);

• Biosensori Ottici, basati sul fenomeno della Risonanza Plasmonica di Superficie (SPR) (Lu e coll., 2014; Wu e coll., 2013).

CromatografiaLiquidaMicellare

In una recente rassegna, Peris-Vicente e coll. (2016) hanno discusso i diversi aspetti critici per la determinazione della melamina in diverse matrici tramite Cromatografia Liquida Micellare (MLC).

Il vantaggio principale di tale tecnica è nella semplicità del pretrattamento del campione, che, per l’analisi della melamina, consiste in una diluizione in soluzione micellare (in genere di sodio dodecilsolfato, a concentrazione tra 50 e 200 mM, in tampone fosfato solitamente a pH 3), successiva filtrazione e iniezione diretta; soltanto i campioni solidi devono essere estratti “in forma liquida” prima della diluizione. Il limitato potere eluente, dovuto alla polarità delle fasi mobili micellari pure, e la scarsa efficienza, a seguito del trasferimento di massa lento tra le micelle e la fase stazionaria, sono inconvenienti che nell’MLC vengono ovviati dall’aggiunta, alla fase mobile micellare, di un solvente organico solubile in acqua, al fine di diminuirne la polarità. Le procedure analitiche riportate risultavano, secondo Peris-Vicente e coll. (2016), relativamente poco costose, facili da eseguire, rapide, ecologiche e

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utili per l’analisi di routine. In particolare, Rambla-Alegre e coll. (2010) riportavano per campioni di latte liquido e in polvere un LOD di 50 ppb, con un recupero compreso tra l’85 e il 109 %.

Risonanza Magnetica Nucleare

La Risonanza Magnetica Nucleare (NMR) è una tecnica ormai ampiamente diffusa in cam-po alimentare e alcune applicazioni sono state sviluppate anche per la determinazione della melamina.

Lachenmeier e coll. (2009) hanno confrontato i risultati ottenuti tramite un NMR ad alta risoluzione (HR-NMR) con spettrometro a 400 MHz e un NMR ad alta risoluzione allo stato semi-solido (HR-MAS NMR) con spettrometro a 700 MHz con quelli ottenuti tra-mite cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa tandem (LC-MS/MS) per la determinazione di melamina in infant formula. Gli autori hanno dimostrato come le tre metodologie hanno sensibilità crescente, con l’NMR che può essere utilizzata come tecnica di screening per valori di melamina nell’ordine dei mg/kg. I metodi NMR sviluppati, inol-tre, avevano precisione e accuratezza paragonabili al metodo LC-MS/MS, con il vantaggio di avere una preparativa molto ridotta per l’HR-NMR e pressoché nulla per l’HR-MAS NMR, oltre ai tempi di analisi notevolmente ridotti.

Chemiluminescenza

L’analisi in Chemiluminescenza (CL) ha il vantaggio di avere un’elevata sensibilità, un am-pio range di linearità e una semplice strumentazione (Sun e coll., 2010). Wang e coll. (2009) hanno proposto un metodo tramite CL basato sul sistema luminol-migolobina per la determinazione della melamina in prodotti lattiero caseari: il complesso che si forma tra mioglobina e soluzioni di melamina inibisce, infatti, l’intensità CL della reazione tra lumi-nol e mioglobina, con una diminuzione proporzionale alla concentrazione di melamina. Il limite di rivelabilità riportato era di 3 pg/mL, con un intero ciclo di analisi, compreso il campionamento e il lavaggio, che si concludeva in 20 secondi; il recupero riportato era compreso tra il 93,4 e il 106,5 %. Successivamente Zhang e coll. (2011) hanno ridot-to il LOD a 0,9 pg/mL, utilizzando un sistema basato su luminol-perossido di idrogeno (aumento dell’intensità CL proporzionale alla concentrazione di melamina): il recupero riportato per latte e yogurt era rispettivamente di 98-105 % e 93-105 %, con un tempo di analisi di 30 secondi.

Spettroscopia

Diversi lavori in letteratura riportano l’uso della spettroscopia nell’infrarosso (IR) accop-piata alla chemiometria per la determinazione della melamina nel latte (Wu e coll., 2016). Balabin e Smirnov (2011) hanno ad esempio utilizzato la spettroscopia nel vicino e me-dio-infrarosso (NIR/MIR) per la determinazione della melamina in infant formula, latte liquido e in polvere (su oltre 600 campioni per tipologia di matrice), dimostrando come si potessero raggiungere LOD bassi (0,76 ppm) applicando le giuste tecniche di pretrat-tamento dei dati spettrali e i metodi di regressione non lineari adeguati, come regressione dei Minimi Quadrati Parziali (PLS), PLS polinomiale (Poly-PLS), Reti Neurali Artificiali (ANN), Regressione dei Vettori di Supporto (SVR), o Minimi Quadrati tramite Macchine a Vettori di Supporto (LS-SVM).

Jawaid e coll. (2013) hanno adottato la spettroscopia MIR accoppiata con accessorio SB-ATR (Single Buonce Attenuated Total Reflectance) per quantificare, in campioni di lat-te liofilizzato e in polvere, aggiunte di melamina nell’intervallo 0,0625−25 %. Sono stati analizzati 14 standard e gli spettri raccolti sono stati modellati mediante PLS. Il miglior modello calcolato è stato ottenuto considerando l’intervallo spettrale 840,78−726,09 cm-1 e 7 LV, ottenendo un LOD e un LOQ pari rispettivamente a 2,5 e 15 ppm. Gli errori sono

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stati rispettivamente: RMSEC= 0,37 %, RMSECV= 5,571 % e RMSEP= 1,55 %. Sempre gli stessi autori (Jawaid e coll., 2014) hanno sviluppato un metodo semplice ed economico tramite l’accoppiamento dell’FT-IR con i metodi di regressione multivariata (PLS): appli-cato a latte liquido ed in polvere, consentiva di ottenere valori di LOD e LOQ pari rispetti-vamente a 1 e 3,5 ppm. Il metodo aveva inoltre buone caratteristiche di performance (R2 = 0,9999, RMSEC = 0,17, RMSEP = 3,49, RMSECV = 2,25, Recupero compreso tra il 98,9 e 100,2 %) e secondo gli autori poteva essere utilizzato nell’industria lattiero casearia con tempi di analisi ridotti e bassi costi (analisi del campione tramite preparazione di pasticca di KBr, quindi preparativa del campione pressoché nulla).

La spettroscopia FT-IR è stata utilizzata anche da Yang e coll. (2013), i quali hanno pro-posto una nuova tecnica di elaborazione degli spettri per l’analisi qualitativa e quantitativa della melamina in campioni di latte, tramite l’utilizzo della spettroscopia di correlazione bidimensionale (2D-COS) combinata alla regressione dei minimi quadrati parziali a N-vie (N-PLS). Nel lavoro proposto, gli spettri di correlazione 2D ottenuti sia per campioni di latte puro che per campioni di latte adulterato con melamina sono stati utilizzati per co-struire la matrice di dati per l’analisi discriminante e per l’analisi di regressione. Nel caso dell’analisi discriminante, utilizzando 60 campioni di latte (di cui 30 adulterati) in fase di calibrazione e 20 (di cui 10 adulterati) in fase di predizione, la percentuale di classificazio-ni corrette è risultata pari a 86,7 % nel set di calibrazione e 95 % nel set di predizione. Il modello di regressione costruito per stimare la concentrazione di melamina ha utilizzato 29 campioni in fase di calibrazione e 11 in validazione, mostrando errori in calibrazione e predizione rispettivamente di 157 e 106 ppm (intervallo di adulterazione da 20 a 2000 ppm). Utilizzando gli spettri 2D-COS nella matrice di dati, entrambe le tecniche di clas-sificazione e regressione hanno mostrato performance migliori rispetto alle stesse tecniche basate sull’utilizzo degli spettri monodimensionali.

La spettroscopia Raman è anch’essa una tecnica abbastanza sensibile, che non richiede una lunga preparativa del campione (Domingo e coll., 2014). Rispetto alla spettroscopia IR, ha il vantaggio di non risentire negli spettri dell’interferenza dovuta all’acqua, pertanto si presta molto bene come tecnica per il controllo della qualità e della produzione in campo agroali-mentare (Domingo e coll., 2014). Metodi per la determinazione della melamina basati sulla semplice spettroscopia Raman hanno LOD dell’ordine delle centinaia di mg/L (Nieuwoudt e coll., 2016); proprio per questo motivo negli ultimi anni ha suscitato largo interesse tra gli scienziati lo sviluppo di nuovi substrati per l’aumento dell’intensità dei segnali, in quella che è definita Spettroscopia Raman Amplificata da Superfici (Surface Enhanced Raman Scat-tering, SERS). Zhuang e coll. (2016) hanno ad esempio sfruttato il trasferimento di carica indotto dai molteplici legami idrogeno che si formano tra la melamina e il substrato di Ag-TNBs (acidi argento-2-nitro-5-mercaptobenzoici) per ottenere nel latte un LOD di 10-12

M. Mecker e coll. (2012) hanno invece realizzato uno spettrometro portatile basato sulla Spettroscopia Raman Amplificata da Superfici con l’utilizzo di nanoparticelle d’oro: con procedure di estrazione non troppo lunghe e senza l’ausilio dell’analisi statistica multivariata gli autori riuscivano a discriminare campioni contaminati da melamina, con un LOD di 100 μg/L per il latte in polvere e 200 μg/L per l’infant formula. Un limite di rivelabilità pari a 3,0 μg/L, con un recupero compreso tra l’89 e il 104 %, è stato infine raggiunto da Ma e coll. (2013) sfruttando nanoparticelle d’argento rivestite di α-ciclodestrine (CD): l’utilizzo di CD-AgNPs portava ad un aumento nell’efficienza di scattering di un fattore fino a 106. Giovannozzi e coll. (2014) hanno ottimizzato un metodo SERS per la determinazione della melamina nel latte nel range 0,3-5,0 ppm, valutando l’influenza della dimensione (10, 40 e 80 nm) delle nanoparticelle d’oro sull’effetto SERS e dimostrando come le AuNPs da 40 nm avessero la massima amplificazione del segnale. I LOD e LOQ riportati erano rispetti-vamente di 0,17 e 0,57 ppm, con un recupero del 99,9 % alla concentrazione di 0,1 ppm. Con lo scopo di ridurre i tempi di preparazione dei campioni, Li e coll. (2016) propongo-no una modifica mediante l’uso di SiO2 shell-isolated gold nanoparticles (Au@SiO2 NPs) al posto delle AuNPs (per amplificare il segnale relativo alla melamina), semplificando la

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preparativa del campione (pretrattamento con HCl e doppia centrifugazione) e riducendo i tempi di analisi (fino a 15’). Gli autori hanno quantificato la melamina aggiunta mediante una regressione lineare tra l’intensità del picco Raman a 676 cm-1 e la concentrazione di melamina: la percentuale di recupero di melamina aggiunta è risultata pari a 94,6 % −102,5 % a seconda della concentrazione, e il CV variabile tra 5,4 % e 9,5 %.

Infine, Xie e coll. (2015) hanno sviluppato uno spettrofotometro UV-Vis portatile a base di nanoparticelle d’oro per lo screening della melamina in campioni di latte: in condizioni ottimali l’intera determinazione analitica aveva una durata di circa 15 minuti per campione, con un LOD riportato pari a 2 ppm.

Imagingiperspettrale

Recentemente si è molto diffusa la tecnica dell’imaging iperspettrale, tecnica analitica com-binata di spettroscopia e analisi di immagine che permette di acquisire set di immagini a diverse lunghezza d’onda. In fase di analisi il set di immagini viene combinato fino ad ottenere un’immagine a tre dimensioni, definita ipercubo, in cui ogni pixel di una imma-gine matriciale contiene l’informazione di andamento spettrale, definendo così l’impronta digitale del campione in esame. Gli andamenti spettrali dei singoli pixel vengono poi ana-lizzati mediante l’utilizzo di algoritmi di classificazione. Molti sono i lavori attualmente presenti in letteratura che utilizzano queste tecniche per la determinazione della melamina nel latte o in prodotti da esso derivati (Huang e coll., 2016b). Huang e coll. (2015) hanno ad esempio testato 4 diverse tecniche di imaging iperspettrale per la determinazione della melamina in latte in polvere tramite analisi NIR: la Principal Component Analysis (PCA) imaging e la Correlation Coefficient Imaging (CCI) si sono rivelate strumenti analitici utili per l’individuazione della melamina, mentre la Classical Least Squares Imaging (CLSI) e l’Alternative Least Squares Imaging (ALSI) si sono rivelate più adeguate per una quantifica-zione accurata, con risultati migliori ottenuti tramite ALSI. Successivamente Huang e coll. (2016a) hanno invece utilizzato l’imaging iperspettrale nella regione del vicino infrarosso (NIR) per la determinazione della melamina nel latte in polvere: i modelli di classificazione utilizzati (Partial Least Square-Discriminant Analysis, PLS-DA) hanno dimostrato come l’accuratezza nella classificazione diminuisce all’aumentare della profondità di penetrazione del fascio di luce investigato (937,5-1653,7 nm), suggerendo una maggiore accuratezza (> 95 %) per i modelli a 2mm di spessore.

8.1 METODI UFFICIALI

Determinazionedellapurezzadelgrassodilattemedianteanalisigascromatograficadeitrigliceridi

Il metodo ufficiale deriva dagli studi effettuati da Precht (1991) e prevede un’analisi basata sulla separazione dei trigliceridi solo in base alla somma del numero degli atomi di carbonio dei tre acidi grassi che li costituiscono, indipendentemente quindi dalla eventuale insatura-zione o isomeria di qualsiasi tipo. Questo metodo, diventato metodo ufficiale della UE (Re-golamento CE 273/2008) e anche metodo ISO (ISO 17678:2010), è stato originariamente messo a punto utilizzando colonne di tipo impaccato, ma è applicabile anche con colonne di tipo capillare. Esso permette l’individuazione dei grassi estranei, con limiti di rivelabilità che variano dal 4 al 6 %.

Il grasso estratto è analizzato in gascromatografia per determinare i trigliceridi da 24 a 54 atomi di carbonio. I risultati vengono espressi in percentuale e utilizzando opportune formule vengono calcolati 5 parametri “S”, il valore dei quali, nel caso di grasso di latte genuino, non deve risultare al di fuori di precisi limiti. Il metodo si applica esclusivamente al grasso di latte vaccino sia estratto dal latte che da prodotti derivati. Non è applicabile, pertanto, per la valutazione della genuinità del grasso di latte di pecora, capra o bufala o per

8. GENUINITÀ DEL GRASSO DI LATTE

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identificare la loro presenza nel grasso vaccino. Inoltre, la possibilità di falsi positivi viene indicata nel caso di condizioni estreme di alimentazione del bestiame, per esempio elevata assunzione di oli alimentari puri, elevata somministrazione di saponi di Ca combinati con grasso alimentare etc. o in caso di grasso frazionato. Il metodo prevede una precisa calibra-zione con conseguente calcolo dei fattori di correzione dei trigliceridi. Per la calibrazione è consigliabile utilizzare grasso di latte standardizzato di composizione trigliceridica certi-ficata. Uno standard idoneo è il CRM519 prodotto dall’Institute for Reference Materials and Measurements (IRMM) della Comunità Europea (link https://ec.europa.eu/jrc/en/research-topic/certified-reference-materials). In alternativa si può preparare in laboratorio una miscela a partire dai singoli trigliceridi. Il metodo si applica al grasso anidro che viene estratto dai diversi prodotti secondo le procedure descritte nello standard ISO 14256:2001. Quindi il grasso anidro viene opportunamente diluito in solvente (esano o eptano) e analiz-zato per gascromatografia con colonna apolare. Possono essere impiegate colonne impacca-te, capillari o wide-bore. La Figura 8.1 riporta il profilo di un campione di burro genuino.

Figura8.1-Profilotrigliceridicodiunburrogenuino.

Il tracciato ottenuto viene integrato seguendo precise indicazioni riportate nel metodo. Ogni picco corrisponde ad un gruppo di trigliceridi aventi complessivamente lo stesso nu-mero di atomi di carbonio; dal tracciato si ottengono 17 picchi, dei quali 16 sono i gruppi di trigliceridi da 24 a 54 atomi di carbonio (il numero è calcolato senza considerare i 3 ato-mi di carbonio della glicerina, che sono comuni a tutti) e uno è il colesterolo. I trigliceridi a numero dispari di atomi di carbonio devono essere integrati con il trigliceride a numero pari che lo precede. Dai valori delle aree di questi picchi, moltiplicati per i fattori di correzione, viene calcolata la composizione percentuale in trigliceridi del grasso, che viene inserita in 5 formule ottenute da calcoli di regressione multipla. I risultati delle 5 formule (valori S) per il campione in esame devono rientrare nei limiti riportati nel metodo o nella legislazione (G.U. CE Serie L 88 del 29/03/2008). Le formule sono indicate per comodità con il nome di un grasso, che è quello per il quale la formula è più sensibile. In Tabella 8.1 sono riportate le 5 formule da utilizzare per calcolare i valori di S e i relativi limiti. La legge dichiara che il campione è grasso di latte genuino se tutti i valori S sono all’interno dei limiti riportati in Tabella 8.1.

Se anche solo un valore delle 5 formule cade al di fuori dei corrispondenti limiti, il cam-pione è da ritenersi non genuino. Un risultato positivo ottenuto da una delle equazioni singole non permette di trarre conclusioni circa il tipo di grasso estraneo aggiunto. Tuttavia, qualora si voglia approfondire la ricerca della tipologia di grasso adulterante aggiunto e sul suo quantitativo, il risultato della formula individuale può dare un suggerimento su quali ulteriori analisi effettuare in questo senso e sono applicabili anche altri calcoli.

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Tabella 8.1-Formuleelimitiperlarilevazionedivarigrassiestranei.

Formulapergliolidisoia,girasole,oliva,ravizzone,semidilino,germedigrano, germedigranturco,semidicotoneeoliodipesce

2,0983 · C30 + 0,7288 · C34 + 0,6927 · C36 + 0,6353 · C38 + 3,7452 · C40 – 1,2929 · C42 + 1,3544 · C44 + 1,7013 · C46 + 2,5283 · C50 Limiti: 98,05 – 101,95

Formula per il grasso di cocco e di palmisto

3,7453 · C32 + 1,1134 · C36 + 1,3648 · C38 + 2,1544 · C42 + 0,4273 · C44 + 0,5809 · C46 + 1,2926 · C48 + 1,0306 · C50 + 0,9953 · C52 + 1,2396 · C54 Limiti: 99,42 – 100,58

Formula per l’olio di palma e il sego

3,6644 · C28 + 5,2297 · C30 – 12,5073 · C32 + 4,4285 · C34 – 0,2010 · C36 + 1,2791 · C38 + 6,7433 · C40 – 4,2714 · C42 + 6,3739 · C46 Limiti: 95,90 – 104,10

Formula per il lardo

6,5125 · C26+ 1,2052 · C32 + 1,7336 · C34 + 1,7557 · C36 + 2,2325 · C42 + 2,8006 · C46 + 2,5432 · C52 + 0,9892 · C54 Limiti: 97,96 – 102,04

Formula totale

- 2,7575 · C26 + 6,4077 · C28 + 5,5437 · C30 – 15,3247 · C32 + 6,2600 · C34 + 8,0108 · C40 – 5,0336 · C42 + 0,6356 · C44 + 6,0171 · C46 Limiti: 95,68 – 104,32

Negli anni più recenti sono state individuate alcune problematiche nell’applicazione di que-sto metodo, che possono determinare risultati falsi positivi. In prima istanza i problemi si sono evidenziati quando il metodo è stato applicato a formaggi per i quali la stagionatura e i corrispondenti fenomeni di natura lipolitica avevano determinato un’alterazione della strut-tura originaria dei trigliceridi. Durante la stagionatura di un formaggio, particolarmente se è lunga e se sono presenti enzimi lipolitici, cioè enzimi in grado di idrolizzare i trigliceridi, avviene una modifica della struttura dei trigliceridi stessi che si scompongono nei loro co-stituenti: acidi grassi liberi, digliceridi e monogliceridi. Questo fenomeno, ben noto e ripor-tato in tutti gli studi relativi alla maturazione dei formaggi, ha stimolato un’approfondita riflessione sulla applicabilità del metodo dei trigliceridi ai formaggi. In letteratura (Battelli e Pellegrino, 1994), è stato dimostrato, sulla base di numerose evidenze analitiche, che per utilizzare questo metodo per valutare la genuinità del grasso nei formaggi, era assolutamente necessario applicare alcune cautele e modificare il procedimento originario.

Queste modifiche sono state accettate dalla legislazione nazionale (D.M. MiPAAF del 28/03/2003) e pubblicate nella G.U. Serie Generale n.90 del 17/04/2003. Tali modifiche consistono principalmente nella necessità di determinare l’acidità del grasso estratto dal formaggio ed è stato stabilito che il metodo è applicabile solo a formaggi il cui grasso, dopo l’estrazione, abbia un’acidità inferiore a 15 mmoli/100 g di grasso. Anche in questo caso, però, è necessario applicare una procedura di purificazione del grasso del formaggio, in modo da eliminare i gliceridi parziali che, se pur presenti in ridotta quantità, possono falsare il risultato, poiché nella separazione gas cromatografica non vengono separati dai trigliceridi. A livello internazionale, in base agli studi più recenti di Molkentin (2013), è in corso di pubblicazione sul metodo ISO 17678 una nota che riduce a 8 mmol/100 g di grasso l’acidità del grasso del formaggio, per consentire l’applicabilità del metodo. In questo caso però non sono necessarie modifiche.

Altri problemi sono stati evidenziati, quando, a essere sottoposti ad analisi, sono i prodotti caseari derivanti da latti di animali allevati esclusivamente al pascolo. È noto come l’ali-mentazione al pascolo, soprattutto in montagna dove il foraggio fresco è caratterizzato da un’ampia variabilità botanica, determini un aumento degli acidi grassi insaturi, soprattutto acido vaccenico (C18:1 t-11), omega 3 e CLA (acido linoleico coniugato) e una diminu-zione dei saturi, soprattutto palmitico. Inoltre le condizioni ambientali unite alla minor quota di energia fornita dai pascoli comportano nell’animale una maggiore mobilitazione

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del grasso corporeo che si ripercuote sulle caratteristiche del grasso di latte.

In una ricerca effettuata da Contarini e coll. (2014) è stato evidenziato come tutti i 50 campioni analizzati fornissero risultati oltre i limiti di genuinità per almeno uno dei cinque parametri. È stato così proposto di inserire, nel metodo ISO 17678:2010, una nota che, nel caso dei prodotti di montagna, indica di verificare il contenuto di CLA. Se tale contenuto è ≥1,3 %, il prodotto deve essere considerato genuino, anche se l’analisi dei TG fornisce valori oltre i limiti.

Determinazione della composizione sterolica del grasso di latte anidro

Qualora si abbia il sospetto che al campione di grasso di latte siano stati aggiunti grassi vegetali, è possibile ricorrere all’analisi della frazione sterolica (Anhydrous milk fat -- De-termination of sterol composition by gas liquid chromatography (Reference method) ISO 12078: 2006). Il grasso di latte, e in generale i grassi di origine animale, possiedono prati-camente solo colesterolo. I grassi di origine vegetale, invece, possiedono altri steroli, defi-niti appunto steroli vegetali o fitosteroli, tra i quali i più rappresentati sono: β-sitosterolo, stigmasterolo e campesterolo (Figura 8.2). Il metodo prevede l’aggiunta di uno standard interno e la saponificazione del grasso con KOH metanolica 2 N. Questo procedimento provoca la rottura dei legami estere presenti nella matrice lipidica e la trasformazione degli acidi grassi in sali di potassio. La successiva estrazione con etere etilico determina la separa-zione dei sali dalla frazione insaponificabile, contenente gli steroli. Questa procedura è alla base di entrambi i metodi ISO (di routine e riferimento). Entrambe le analisi permettono, data la presenza dello standard interno, di effettuare un dosaggio quantitativo assoluto e di esprimere il risultato in mg/100 g di grasso. Il metodo si applica al grasso di latte anidro estratto dai prodotti lattiero caseari.

Figura8.2-Strutturadelcolesteroloedeiprincipalisterolivegetali.

Il principio del metodo consiste nella saponificazione del grasso con soluzione di idrossido di potassio in metanolo, previa aggiunta di betulino come standard interno, estrazione della frazione insaponificabile con etere etilico, separazione degli steroli mediante cromatografia su strato sottile, derivatizzazione degli steroli e successiva analisi gascromatografica. Il meto-do si applica al grasso di latte anidro estratto dai prodotti lattiero caseari.

Si pesano 2 g di grasso di latte anidro in un pallone a fondo piatto da 250 mL, ai quali si ag-giungono 10 mL della soluzione di standard interno betulino (60 mg/100 mL di-isopropil etere) e 100 mL della soluzione 2 N di KOH in metanolo. Quindi si pone il pallone su bagnomaria a 80 °C, collegato a un condensatore a ricadere e si fa bollire delicatamente per 1 ora. Al termine si fa raffreddare a temperatura ambiente e si trasferisce il campione saponificato in imbuto separatore. Si aggiungono etere etilico e acqua distillata, si agita e si lasciano separare le due fasi. Si ripete l’estrazione altre due volte, riunendo le fasi eteree.

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Dopo rimozione del solvente si procede alla purificazione mediante TLC. La banda degli steroli viene rimossa successivamente dalla lastra e gli steroli vengono estratti, convertiti in trimetil-silil esteri e analizzati tramite GC/FID. Per poter effettuare il riconoscimento dei picchi degli steroli e per calcolare il fattore di risposta del colesterolo rispetto allo stan-dard betulino, si devono preparare ed iniettare soluzioni standard dei seguenti composti: colesterolo, campesterolo, β-sitosterolo e stigmasterolo. Il contenuto in colesterolo e degli eventuali altri steroli presenti viene espresso come mg/100 g di grasso. La Figura 8.3 riporta un esempio di profili di steroli ottenuti da un grasso di latte genuino e da un olio di semi.

Figura8.3-Tracciatodicampionedigrassodilattegenuinoedioliodisemi.

È disponibile anche un metodo di routine (ISO 18252:2006), che prevede l’aggiunta del 5α-colestano come standard interno, la saponificazione del campione di grasso e l’estrazione dell’insaponificabile con solvente, ma non la purificazione della frazione sterolica mediante lastra TLC. L’insaponificabile viene opportunamente diluito e iniettato in gascromatografo. Data l’assenza della fase di purificazione, nella norma è indicato che deve essere presta-ta particolare attenzione all’utilizzo del metodo qualora si debba verificare la purezza del grasso di latte. In caso di risultato dubbio si deve applicare il metodo di riferimento ISO 12078:2006.

Composizione in acidi grassi

La composizione in acidi grassi è soggetta a variazioni quali-quantitative non trascurabili, dovute soprattutto alle diversificate pratiche zootecniche che, negli ultimi 30 anni, hanno previsto anche l’utilizzo di mangimi grassati protetti, in grado cioè di passare indenni la bar-riera ruminale e quindi incidere profondamente sulla composizione soprattutto degli acidi a più lunga catena, saturi e insaturi. Questa notevole variabilità ha determinato la progres-siva inapplicabilità dei rapporti tra acidi grassi che, a partire dalla diffusione delle tecniche gascromatografiche negli anni ’60, costituivano i parametri su cui valutare la genuinità del burro (MAF, 1964). La determinazione della composizione in acidi grassi rimane però un metodo valido e utile per confermare eventuali anomalie osservate con l’analisi dei trigli-ceridi e degli steroli (Milk fat-- Determination of the fatty acid composition by gas-liquid chromatography. ISO 15885:2002).

L’analisi viene condotta sul grasso anidro, ottenuto secondo le procedure descritte nello standard ISO 14156:2001. Successivamente si deve procedere all‘idrolisi degli acidi grassi dai trigliceridi e alla loro trasformazione in derivati facilmente analizzabili mediante gascro-matografia (GC). I metodi più utilizzati si basano sulla transmetilazione degli acidi grassi da esteri della glicerina ad esteri di un alcool, che può essere metanolo, etanolo, propanolo, butanolo; perciò si parla di metil, etil, propil o butil esteri. I derivati più utilizzati sono i

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metilesteri, per l’ottenimento dei quali vi sono diversi procedimenti.

Il metodo di riferimento per la preparazione dei metilesteri è la norma ISO 15884:2002. Questi vengono preparati mediante metanolisi, catalizzata da una base, dei gliceridi in solu-zione non alcolica. La reazione di transesterificazione è riportata di seguito:

La metodica prevede di pesare 100 mg di grasso in una provetta, scioglierli in 5 mL di solvente (pentano, esano o eptano) e mescolare. Si aggiungono 0,2 mL del reagente di transesterificazione (soluzione circa 2 M di idrossido di potassio o metossido di sodio in metanolo), si chiude la provetta e si mescola vigorosamente, mediante vortex per 1 minuto. Dopo 5 minuti si aggiungono 0,5 g di sodio idrogeno solfato monoidrato, si mescola e si centrifuga per 3 minuti. Il surnatante è pronto per l’analisi gascromatografica.

La separazione dei metilesteri avviene mediante analisi gascromatografica (GC). Il grasso di latte, ancor più della maggior parte degli altri grassi ed oli edibili di origine vegetale ed animale, contiene una grande varietà di acidi grassi saturi, mono, di e triinsaturi e con lunghezza della catena variabile da 4 a 24 atomi di carbonio. La maggior parte degli acidi grassi insaturi presenta il doppio legame in configurazione cis, ma è presente anche una percentuale variabile tra il 2 e il 6 % di acidi grassi trans costituiti per il 98 % dagli isomeri trans dell’acido oleico (C18:1). Lo standard ISO 15885 non consente la separazione degli acidi trans. Verrà in seguito descritto il metodo idoneo a questo scopo.

La fase più comunemente usata è il polietilenglicole (Carbowax 20M®). La Figura 8.4 ri-porta un esempio ottenuto seguendo le indicazioni riportate nel metodo ISO 15885:2002 e utilizzando la colonna di polietilenglicole.

Figura8.4-ProfiloGC/FIDdegliacidigrassidigrassodilatte,addizionatoconomega3,analizzatoconcolonnainpolietilenglicole(Carbowax20M®)dilunghezza30m

Per effettuare la determinazione gascromatografica, oltre alla colonna è possibile scegliere tra diversi sistemi di iniezione (split/splitless, on-column e PTV), mentre come sistema di rivelazione è comunemente usato il detector a ionizzazione di fiamma (FID).

Per ciò che riguarda il sistema di iniezione vengono utilizzati sia lo split sia l’iniezione diret-ta (on-column); quest’ultima elimina i problemi derivanti da una possibile discriminazione degli acidi grassi a più corta catena in fase di splittaggio. Dal punto di vista dell’analisi quan-titativa, è indispensabile tener conto del fatto che gli acidi grassi a corta catena, in particolare quelli a 4, 6 e 8 atomi di carbonio, danno una risposta inferiore al FID e, di conseguenza, è necessario effettuare una calibrazione utilizzando miscele di metilesteri o campioni di grasso di latte a composizione nota. Mediante questi standard di riferimento vengono calcolati i

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fattori di risposta gascromatografici per ciascun acido grasso, da applicarsi alle aree prima di effettuare la normalizzazione interna. Il risultato viene quindi espresso come percentuale.

L’importanza della determinazione degli acidi grassi, a supporto di altre determinazioni analitiche, nella individuazione del tipo di frode, è riportata nell’esempio seguente.

Un campione sospetto di burro è stato sottoposto all’analisi dei trigliceridi e ha dato come risultato la non conformità rispetto ai parametri di genuinità, con un’indicazione di una possibile aggiunta di grassi estranei pari a circa il 13 %. L’analisi degli steroli ha indicato l’assenza di steroli vegetali, ma un contenuto di colesterolo piuttosto basso (100 mg/100 g), considerando che il contenuto normale di un burro varia tra 250 e 300 mg/100 g. La prima conclusione, sulla base di questi risultati, potrebbe essere la possibile aggiunta di grassi animali, tipo sego o strutto. Però, malgrado questo tipo di grassi animali abbia un contenuto in colesterolo più basso del grasso di latte, il valore ottenuto sul campione non può corrispondere ad una sola aggiunta di grassi animali pari al 13 %, indicata dai triglice-ridi. La Figura 8.5 mostra il profilo GC degli acidi grassi del campione di burro sospetto, nella zona di eluizione tra C8 e C14, in confronto al medesimo profilo di un campione di grasso di latte genuino.

Figura8.5-ProfiloGC/FIDdegliacidigrassidigrassodilattegenuinoecampionediburrosospetto.ZonadieluizionedegliaciditraC8eC14.

A fronte di una composizione, relativamente agli acidi grassi presenti in percentuale su-periore all’1 %, non diversa dalla composizione media di un grasso di latte genuino, si è osservata la completa assenza degli acidi grassi cosiddetti “minori” ovvero presenti in ra-gione dello 0,1-0,4 %. Questa evidenza ha permesso di concludere che il campione, molto probabilmente, deriva da grasso animale tipo sego e una miscela di acidi grassi o trigliceridi a corta catena (da 4 a 14 atomi di carbonio) e glicerina, opportunamente transesterificati. In tale campione il grasso di latte è del tutto assente o presente in minime quantità.

8.2 METODI ALTERNATIVI E RAPIDI

Analisichimiche

La determinazione della frazione sterolica (ISO, 12078:2006) rimane certamente una delle più affidabili per l’individuazione della presenza di matrici lipidiche vegetali, considerando che tutti i grassi animali, burro compreso, contengono per il 98 % solo colesterolo. È però opportuno tenere in considerazione il fatto che sono disponibili anche matrici lipidiche desterolizzate, il che rende questo tipo di valutazione del tutto inefficace.

Proprio alla luce dei possibili trattamenti tecnologici cui le matrici lipidiche possono essere sottoposte, non solo a scopo fraudolento, è importante spesso abbinare più valutazioni analitiche, per trovare conferma dell’ipotetica frode (Povolo e coll., 1999). Oltre alle va-lutazioni ufficiali, sono risultate di particolare efficacia anche le determinazioni su alcuni

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costituenti minori.

Ad esempio il 3,5 colestadiene è un derivato che è assente nel burro genuino, ma è presente nei grassi di tipo animale (sego) se sottoposti al processo di decolorazione per passaggio su terre attive (Mariani e coll., 1994). La determinazione di tale costituente ha permesso di individuare aggiunte di sego al burro, in percentuali inferiori rispetto al limite di rivelabilità del metodo ufficiale dei trigliceridi.

Anche la determinazione del rapporto tra colesterolo libero e colesterolo legato, che nei burri genuini è pari circa a 9:1 (Mariani e coll., 1990), ha dimostrato notevole efficacia nella individuazione dell’applicazione fraudolenta di processi di transesterificazione, non ammes-si nella produzione di burro. Parimenti, il profilo della frazione digliceridica del grasso di latte è risultato caratteristico in confronto ad altri grassi animali di deposito (Figura 8.6).

Figura8.6-Profilodigliceridicodigrassodilattegenuinoesego.

Calorimetria

Tomaszewska-Gras (2016) ha testato l’utilizzo della calorimetria differenziale a scansione (DSC) per la rilevazione dell’aggiunta fraudolenta di olio di palma in burro. I campioni delle diverse miscele di burro con olio di palma sono stati analizzati sia in DSC che con il metodo ufficiale ISO 17678:2010. Dai risultati ottenuti l’autore conclude che la tecnica DSC può essere applicata per la quantificazione dell’olio di palma nel grasso di latte nel ran-ge di concentrazione dal 2 % al 35 %, in base ai parametri dell’area e dell’altezza del picco.

Cuibus e coll. (2016) hanno invece applicato la calorimetria fotopiroelettrica (PPE) abbi-nata alla gascromatografia per rilevare l’adulterazione del burro ottenuto da latte vaccino. La diffusività ed effusività termica sono state misurate direttamente usando back and front PPE detection.

Spettroscopia

Per l’individuazione dell’aggiunta di grassi estranei al burro sono state condotte diverse ricerche che utilizzano tecniche spettroscopiche sia con spettrometri NIR che con Spet-trometri IR. Già nel 1990 Sato e coll. (1990) proponevano un semplice test basato sugli assorbimenti di grasso estratto da burro e da miscele dello stesso con margarina, registrati a singole lunghezze d’onda, rispettivamente 1164, 1660, 2144, 2176 e 2124 nm, da cui è possibile ottenere informazioni relative ad acidi grassi cis-insaturi presenti. Dai rapporti dei singoli assorbimenti, in particolare dalla differenza tra i primi assorbimenti e l’assorbimento registrato a 2124 nm, è possibile individuare fino ad un 3 % di grasso estraneo aggiunto.

Successivamente la Spettroscopia NIR è stata proposta per rilevare aggiunte di oli di altra origine, come olio di palma, di semi vari, di girasole, di lino ed anche di pesce, al burro (Heussen e coll., 2007). Le miscele sono state realizzate a partire dal grasso estratto da burri

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provenienti da nazioni e stagioni diverse. I modelli PLS calcolati per predire sia la percen-tuale di grasso di burro presente nei campioni, che la quantità di acido grasso C4:0 presen-te, hanno mostrato buone performance. Pretrattando gli spettri NIR con derivata prima, considerando 5 variabili latenti (LV) e l’intervallo spettrale da 5100 a 6400 cm-1, l’errore in predizione (RMSEP) della percentuale di burro è risultato pari a 6,6 %, mentre l’errore in predizione della percentuale dell’acido grasso C4:0 è risultato pari a 0,34 % (p/p) per un intervallo da 0 a 4,5 %. Gli autori hanno fatto comunque notare come, nel caso dell’analisi degli acidi grassi, la precisione del metodo NIR risulti inferiore alla precisione del metodo di riferimento, in questo caso GC. Il metodo NIR ha fornito una deviazione standard relativa (RDS) mediamente dell’8 %, mentre per il metodo gascromatografico le RDS di ripetibilità e riproducibilità sono risultate rispettivamente pari a 6,7 % e 4,3 %.

Miscele di grasso estratto da burro e da margarina sono state analizzate anche con spettro-scopia nel medio infrarosso, con l’utilizzo di ATR in seleniuro di zinco (Koca e coll., 2010), in un intervallo da 0 a 100 % di grasso di margarina aggiunta. Il modellamento di classe mediante tecnica SIMCA ha permesso di separare nettamente tra loro i gruppi di campioni di burro, margarina e margarina light. Poiché le maggiori differenze tra il burro e la mar-garina potrebbero essere associate sia alle differenze di composizione, dovute alle lunghez-ze della catene, sia al grado di insaturazione, sia ancora alla presenza, in oli parzialmente idrogenati, di acidi grassi trans, le differenze spettrali caratteristiche sono state identificate a 3008 cm-1. In corrispondenza di questo numero d’onda, si ha il contributo della banda relativa alla vibrazione C-H del gruppo etilenico, tipico di strutture insature e quindi della margarina, al contrario del burro che ha una concentrazione piuttosto elevata di grassi saturi e a corta catena. I modelli PLSR preliminari, calcolati per predire le percentuali di adulte-razione, hanno mostrato buone performances. Pretrattando gli spettri con derivata seconda gli errori in cross-validazione (SECV) sono stati pari a 1,17 %, se si considera l’intero in-tervallo da 0 a 100 % di margarina aggiunta, ed errori da 0,19 a 0,58 % se si considerano separatamente i livelli di aggiunte bassi (0-5 %), medi (0-25 %) e relativamente alti (20-60 %). In predizione le performance risultate sono simili, tranne che per i livelli bassi dove, se si applica il modello intero, le aggiunte vengono sovrastimate.

Nurrulhidayah e coll. (2013) hanno proposto la tecnica ATR-FTIR per individuare aggiun-te di sego al burro. Miscele di sego e di burro sono state analizzate nell’intervallo spettrale da 4000 cm-1 a 650 cm-1. Il sego ha mostrato assorbimenti più alti in corrispondenza delle lunghezze d’onda 1117 cm-1 (vibrazione di deformazione dei CH degli acidi grassi) e 1097 cm-1 (bending dei CH degli acidi grassi): variando la percentuale di sego aggiunta al burro, cambiano i rapporti tra questi picchi. Il modello PLSR calcolato utilizzando 6 LV, ha mo-strato errori in predizione (RMSEP) pari a percentuali di aggiunta di 2,42 % (v/v).

La spettroscopia nel medio infrarosso è stata invece proposta come metodo di analisi per individuare l’aggiunta di olio di palma a formaggio (Cuibus e coll., 2014). A campioni di formaggio grattugiato (Dalia Cheese) sono state aggiunte aliquote di olio di palma fino ad un massimo del 50 %. I campioni sono stati analizzati mediante spettrometro FT-IR equi-paggiato con ATR di diamante. Gli spettri raccolti sono stati poi utilizzati per costruire un modello di calibrazione PLS. Parte dei campioni sono stati utilizzati per validare il modello. Considerando il solo intervallo di numeri d’onda tra 3873 e 652 cm-1 e utilizzando 3 LV, l’errore in predizione RMSEP è risultato pari al 3,1 % di olio aggiunto. Il LOD calcolato è risultato pari a 2,9 % (p/p) prefigurando che sia possibile individuare piccole quantità di olio di palma aggiunto come adulterante, mentre il LOQ è risultato pari a 9,8 % (p/p). La successiva analisi di campioni commerciali ha permesso l’individuazione di aggiunte di olio di palma dal 3 al 20 %.

In commercio si trovano diverse formulazioni di miscele di grassi da spalmare, i melanges, costituiti da margarina e burro. Le denominazioni e le caratteristiche per i grassi da spalma-re, sono definite nel Regolamento UE 1308/2013 del 17/12/2013. Nell’Appendice 2, sono

9. VERIFICA DELLA PERCENTUALE DI GRASSO DI LATTE NEI MELANGES

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riportate tre categorie: alla categoria A appartiene il burro e i prodotti spalmabili sempre a base di solo burro, ma a diverso tenore di umidità; alle categorie B e C appartengono, invece, le miscele e, nello specifico, la categoria B include “I prodotti che si presentano sotto forma di emulsione solida e malleabile, principalmente di grassi in acqua ottenuti da grassi vegetali e/o animali solidi e/o liquidi idonei al consumo umano, con un tenore di grassi di origine lattiera non superiore al 3 % del tenore di grassi” mentre la categoria C descrive “I prodotti che si presentano sotto forma di emulsione solida e malleabile, principalmente di grassi in acqua ottenuti da grassi vegetali e/o animali solidi e/o liquidi idonei al consumo umano, con un tenore di grassi lattieri compreso fra il 10 % e l’80 % del tenore di grassi”. La pre-senza di grassi lattieri in questi prodotti rappresenta l’elemento qualificante che contribuisce in maniera determinante a definirne il prezzo. Pertanto è necessario avere a disposizione un metodo analitico, il più possibile preciso ed affidabile, che consenta di valutare la quantità di grasso di latte nella miscela. La legislazione in vigore è quella indicata nell’art. 2 par. 3 del Regolamento CE 904/2008, che prevede di determinare il contenuto di acido butirrico della frazione lipidica del prodotto, esprimerlo come butirrato di metile e moltiplicarlo per il fattore 25, per ottenere il contenuto di materia grassa lattiera anidra, rispetto alla materia grassa totale del prodotto. Il fattore 25 deriva dall’assunto che il contenuto medio dell’acido butirrico nel grasso di latte anidro, espresso come butirrato di metile, sia pari al 4 %. Nel caso il prodotto analizzato non sia interamente costituito da grassi anidri, il valore ottenuto andrà ulteriormente moltiplicato per la percentuale di grasso totale per esprimere l’effettivo contenuto di materia grassa lattiera rispetto a 100 g di prodotto e non solo quindi rispetto al grasso totale. Il suddetto Regolamento CE 904 non esplicita però chiaramente il metodo da utilizzare, limitandosi a indicare che l’estrazione del grasso va eseguita con etere di petrolio, preceduta da idrolisi acida, e che l’analisi va effettuata tramite GC dei metilesteri. Oltre al fatto che l’idrolisi acida è fortemente sconsigliata nel caso di presenza di acidi a corta catena, data la loro elevata volatilità (Christie, 1993), il riferimento ad un contenuto fisso di acido butirrico del grasso di latte rappresenta una delle problematiche legate al calcolo del conte-nuto di materia grassa lattiera in un prodotto misto.

Malgrado a livello di gruppo di lavoro della Comunità Europea siano stati effettuati nume-rosi ring test per validare il metodo analitico (Molkentin e Precht, 2000), ancora non si è giunti alla pubblicazione di un metodo ufficiale per la quantificazione del burro nei prodotti misti. Le conclusioni del lavoro in ambito europeo hanno indicato che la quantificazione del contenuto di grasso di latte nei prodotti misti tramite la valutazione del contenuto di acido butirrico è certamente un metodo preciso in termini di ripetibilità e riproducibilità del dosaggio di questo acido, ma la variabilità naturale del contenuto di acido butirrico può determinare deviazioni dal reale tenore di materia grassa lattiera nei mélanges fino ad un valore di ± 10 %. Notevolmente più precisa è la valutazione del contenuto di burro nei mélanges, quando è disponibile il grasso lattiero puro e quindi il valore di acido butirrico viene riferito direttamente al valore del medesimo acido nella materia prima di partenza.

Recentemente il problema è stato affrontato, a livello nazionale, ed è stato svolto uno studio sulle caratteristiche compositive dei grassi misti verificando l’efficacia di differenti parametri e metodi (acidi grassi, trigliceridi, steroli) nella quantificazione della percentuale di grasso lattiero (Contarini e coll., 2012).

Dall’analisi dei dati ottenuti, è emerso che il calcolo della percentuale di grasso di latte, secondo le indicazioni del Regolamento CE, porta ad un errore di valutazione superiore al 12 %, anche in prodotti in cui il burro è presente in quantità maggiori del 10 %. Parimenti insoddisfacenti sono risultati i valori ottenuti mediante l’analisi di trigliceridi e steroli. Un errore di quantificazione più contenuto (10 % circa), in miscele con burro maggiore o uguale al 5 %, è stato ottenuto quando, oltre all’acido butirrico, sono stati considerati altri acidi grassi (C10:1, C14:1, C15iso, C15anteiso, C17iso, e C17anteiso) parimenti caratte-ristici della matrice latte e assenti, invece, nei grassi di origine vegetale.

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Non esiste metodo ufficiale per l’individuazione dell’origine della panna utilizzata per pro-durre burro, sia essa di affioramento, di centrifuga o di siero. In merito a quest’ultima materia prima, considerata di qualità inferiore rispetto alle due altre citate, la ricerca si è indirizzata verso l‘identificazione di alcuni costituenti del siero. In particolare, nel caso di siero presamico, il composto marker è il GMP (caseino-glicomacropeptide) composto che si libera, per azione del caglio, dalla k-caseina e rimane solubile nel siero di caseificazione. Di conseguenza, in alcuni casi è stato utilizzato il metodo descritto all’allegato XIII del Regolamento CE 273/2008 che, mediante analisi HPLC in fase inversa, determina questo costituente. Il metodo indicato, messo a punto da Olieman e van Riel (1989) è però relativo alle analisi da effettuarsi sul latte magro in polvere o sul latticello per individuare l’aggiunta fraudolenta di siero presamico in polvere. Le condizioni analitiche applicate consentono di separare la variante genetica A del GMP priva di residui glucidici. Gli autori stessi di questo metodo osservano che la presenza di latticello può dare origine a sostanze che eluiscono molto vicino al picco del GMP A. Gli autori sottolineano, quindi, la grande importanza di condizioni operative molto standardizzate e precise, perché variazioni anche minime del tempo di ritenzione possono essere indicative della presenza di costituenti differenti dal GMP A e non derivanti dalla presenza di siero presamico, ma di latticello o prodotti di degradazione proteolitica dovuti sia alla maturazione delle panne di affioramento che allo sviluppo di batteri contaminanti. A seguito di queste problematiche, il Regolamento CE 273/2008 indica chiaramente che si considera positiva la prova se il risultato è superiore all’1 % (p/p) e il tempo di ritenzione del picco GMP A differisce di meno di 0,2 minuti da quello del campione di riferimento. L’applicazione di questo metodo a campioni di burro appare dunque non esente da problematiche. De Noni e Resmini (2005) hanno cercato di superare i problemi legati alle possibili interferenze, interfacciando il sistema HPLC con uno spettrometro di massa (ESI-MS). In questo modo hanno reso possibile l’identificazione univoca del GMP A, anche in caso di presenza di costituenti con tempo di ritenzione molto simile. Inoltre hanno quantificato l’aggiunta di panna di siero alla panna di latte, dopo il processo di burrificazione e relativi lavaggi, anche in ragione del 2,5 %, mediante calibrazio-ni approntate sullo ione tipico del GMP (m/z = 2263,2). Gli autori concludono però che la tecnica può produrre ancora falsi positivi, nel caso di contaminazione da batteri psicrotrofi che producono GMP. Infine non bisogna dimenticare che la pratica lecita di burrificare a partire da panne ricostituite da burro, può prevedere il lavaggio di queste panne con siero in polvere ricostituito. Questa tecnologia potrebbe portare a rinvenire il GMP nel burro finale, anche se le panne usate come materia prima non originano da siero.

Dal punto di vista legislativo, le diverse categorie di latte con le corrispondenti caratteristi-che sono riportate nella Legge n. 169 del 3/5/89, nel D.P.R. 54 del 14/01/97, nel D.M. del Ministero della Salute del 17/6/02, nel D.M. del 27/05/2004 (MAP-MiPAF) e nella Legge n. 204 del 3/8/2004.

Si definisce “latte fresco pastorizzato” (Legge n. 169 del 1989) il latte che perviene crudo allo stabilimento di confezionamento e che è sottoposto a un solo trattamento termico (al-meno 71,7° C per 15 secondi, o qualsiasi altra combinazione equivalente) entro 48 ore dalla mungitura. Deve inoltre presentare al consumo:

a) prova della fosfatasi alcalina negativa;

b) un contenuto in sieroproteine solubili non denaturate non inferiore al 14 per cento delle proteine totali;

c) prova della perossidasi positiva.

È tuttavia autorizzata la produzione di latte pastorizzato che presenti una reazione negativa della prova di perossidasi, a condizione che sulle confezioni figuri un’indicazione del tipo

10. RICONOSCIMENTO DEL BURRO DI SIERO

11. VERIFICA DEL TRATTAMENTO

TERMICO APPLICATO AL LATTE

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“pastorizzato a temperatura elevata” (D.P.R. 54 del 1997).

Il “latte fresco pastorizzato” può essere definito “latte fresco pastorizzato di alta qualità” (Legge n. 169 del 1989) qualora venga ottenuto da latte crudo proveniente direttamente dalle stalle ovvero da centri di raccolta cooperativi o consortili, avente le caratteristiche igie-niche e di composizione stabilite. Per il latte fresco pastorizzato di alta qualità è ammesso un unico trattamento di pastorizzazione entro le 48 ore dalla mungitura, un contenuto in grasso non inferiore al 3,6 %, un contenuto di proteine non inferiore al 3,2 % e un conte-nuto in sieroproteine non denaturate non inferiore al 15,50 per cento delle proteine totali.

La data di scadenza del “latte fresco pastorizzato” e del “latte fresco pastorizzato di alta qua-lità” non può superare il sesto giorno successivo a quello del trattamento termico (Legge n. 204 del 2004).

Viene anche definita la categoria “latte pastorizzato” (Legge n. 169 del 1989), che deve dare esito negativo alla prova della fosfatasi alcalina e avere un contenuto in sieroproteine solubili non inferiore all’11 % delle proteine totali.

In aggiunta ai parametri di fosfatasi alcalina e sieroproteine solubili, il D.M. del 15/12/2000 stabilisce per il latte crudo e pastorizzato un valore massimo di furosina pari a 8,6 mg per 100 g di proteine (per i dettagli metodologici, si veda paragrafo 5.1 Metodi ufficiali - De-terminazione della furosina).

Il latte sottoposto a trattamento di sterilizzazione viene definito (Legge n. 169 del 1989):

- “latte sterilizzato a lunga conservazione” quando ha subito un trattamento termico finale di sterilizzazione in contenitore sigillato. Deve riportare sul contenitore il termine di con-servazione, indicato con la menzione “da consumarsi preferibilmente entro”, seguito dalla data riferita al giorno, al mese e all’anno, con data di riferimento di 180 giorni dal confe-zionamento;

- “latte UHT a lunga conservazione” quando ha subito un trattamento termico di sterilizza-zione in flusso continuo seguito dal confezionamento asettico che ne consente una conser-vazione prolungata nel tempo. Il termine di conservazione va indicato sul contenitore con la medesima menzione con data di riferimento di 90 giorni dal confezionamento.

Il latte UHT deve essere ottenuto mediante applicazione al latte crudo di un procedimento di riscaldamento continuo ad almeno 135° C per non meno di un secondo in modo da inattivare i microrganismi e le spore, e confezionato in recipienti opachi o resi tali dall’im-ballaggio e asettici in modo tale che le variazioni chimiche, fisiche e organolettiche siano ridotte al minimo.

11.1 METODI UFFICIALI

Verificadell’attivitàdellafosfatasi

L’attività fosfatasica è una misura della quantità di fosfatasi alcalina (ALP, EC 3.1.3.1) attiva presente nel prodotto; è espressa in milliUnità di attività enzimatica per litro (mU/L) ed è considerata il principale indicatore di una corretta pastorizzazione. Un’unità di attività della fosfatasi alcalina corrisponde alla quantità di enzima fosfatasi alcalina che catalizza la trasformazione di 1 micromole di substrato al minuto. Il risultato del test della fosfatasi alcalina è considerato negativo se l’attività misurata nel latte vaccino non è superiore a 350 mU/L (Regolamento CE 1664/2006).

La determinazione dell’attività fosfatasica alcalina applicabile a latte intero crudo e tratta-to termicamente, latte parzialmente scremato, latte scremato e latte aromatizzato avviene tramite una metodica fluorimetrica specifica (ISO 11816-1:2013) ed è anche applicabile

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al latte in polvere ricostituito. Il metodo permette la determinazione dell’attività della fo-sfatasi alcalina fino a 7000 mU/L. L’attività della fosfatasi alcalina nel campione è misurata mediante metodo fluorimetrico. Un substrato estere aromatico monofosforico non fluore-scente, 2’-[2-benzotiazolil]-6’-idrossibenzotiazolo fosfato, in presenza di fosfatasi alcalina va incontro a idrolisi del radicale fosfato, dando origine ad un prodotto altamente fluorescen-te. La misura della fluorescenza è condotta a 38° C per un tempo di 3 minuti, nel caso di utilizzo dell’apparecchio Fluorophos®.

Percentualedisieroproteinesolubilirispettoalleproteinetotali

Le proteine del siero sono tra i costituenti del latte maggiormente sensibili agli effetti della temperatura e tendono a denaturarsi, formando complessi con la caseina, anche a tempera-ture relativamente basse. Per questo motivo la quantità di sieroproteine rimaste solubili è in-versamente proporzionale all’entità del trattamento termico. Il loro dosaggio si effettua, per differenza, tra l’azoto non caseinico (NCN) e l’azoto non proteico (NPN), espressa rispetto all’azoto totale. Le analisi delle due frazioni azotate (NCN e NPN) e dell’azoto totale si ef-fettuano secondo metodo Kjeldahl. I metodi di riferimento sono riportati al paragrafo 12.1.

Verificadell’attivitàdell’enzimaperossidasi

La determinazione dell’attività perossidasica (D.M. 26/03/1992) è un metodo ufficiale per il controllo dell’applicazione dei corretti parametri di pastorizzazione. L’enzima perossi-dasi presente nel latte crudo viene inattivato a 75-80° C: se durante la pastorizzazione il latte è stato esposto ad una temperatura più elevata (>75° C) si determinerà l’inattivazione dell’enzima e, di conseguenza, una prova della perossidasi negativa. Il principio del metodo si basa sull’azione ossidante della perossidasi nei confronti del perossido di idrogeno: l’os-sigeno liberatosi ossida l’1,4-fenilendiammina a indofenolo, provocando un viraggio della soluzione da incolore a rosso porpora (test di Storchs) con un’intensità proporzionale alla concentrazione dell’enzima presente nel latte.

Se il latte è stato pastorizzato in modo corretto, dopo miscelazione, comparirà entro 30 sec una colorazione azzurra (reazione positiva); se nei 30 sec che seguono la miscelazione, non appare alcuna colorazione significa che l’enzima è stato inattivato dal trattamento termico (reazione negativa).

Furosina

La furosina è una molecola utilizzata comunemente come indicatore per valutare gli effetti dei trattamenti termici applicati al latte. Per i dettagli del metodo si rimanda al paragrafo 5.1 Metodi ufficiali - Determinazione della furosina.

Lattulosio

Il lattulosio, molecola assente nel latte crudo, si forma per epimerizzazione del lattosio a seguito di trattamento termico. Il lattosio, disaccaride costituito da galattosio e glucosio, per effetto del riscaldamento va incontro a lenta isomerizzazione a lattulosio, disaccaride formato da galattosio e fruttosio. Il processo di isomerizzazione è strettamente legato al pH, al tempo e alla temperatura del trattamento termico, per cui la sua ricerca ha lo scopo di determinare la severità del trattamento termico subito dal latte. Valori elevati di lattulosio, a parità di contenuto in furosina, possono essere riscontrati nel caso vi sia stato ricircolo di latte nell’impianto di sterilizzazione, recupero di latte scaduto con conseguente nuovo trattamento termico, aggiunta di siero o permeato di ultrafiltrazione. Non esiste un limite di legge nel latte per questo composto, nonostante esista una norma specifica ISO per la sua quantificazione.

Per la sua determinazione nel latte sono disponibili due metodi: uno enzimatico (ISO

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11285:2004 Milk – Determination of lactulose content – Enzymatic method) e uno che prevede l’analisi HPLC (ISO 11868:2007 Heat treated milk – Determination of lactulose content – Method using high-performance liquid chromatography).

Il metodo enzimatico prevede una iniziale precipitazione di grasso e proteine con soluzioni di solfato di zinco e potassio esacianoferrato (II) e filtrazione. Gli zuccheri presenti vengono idrolizzati dall’enzima β-D-galattosidasi (B-gal), quindi si determina la quantità di fruttosio eventualmente liberata. Poiché il lattosio è presente in elevate quantità nel latte rispetto al lattulosio questo determina che il glucosio presente dopo idrolisi possa interferire con la determinazione del fruttosio. Per questo motivo il glucosio viene per la maggior parte ossidato enzimaticamente ad acido gluconico. Il glucosio residuo e il fruttosio sono quindi fosforilati dall’adenosin trifosfato (ATP) in presenza di esochinasi per dare glucosio-6-P e fruttosio-6-P. Il glucosio-6-P viene ossidato mediante NADP+ con formazione di NADPH, che viene misurato a 340 nm. Il fruttosio-6-P viene quindi isomerizzato enzimaticamente a glucosio-6-P e ossidato con NADP+. L’aumento di NADPH viene misurato a 340 nm ed è proporzionale al contenuto in fruttosio e lattulosio. Viene condotta una prova in bianco senza aggiunta dell’enzima β-D-galattosidasi per misurare l’eventuale presenza di fruttosio libero nel campione.

Il metodo per HPLC specifica la determinazione del contenuto in lattulosio nel latte tratta-to termicamente sia intero, che scremato e parzialmente scremato al fine di distinguere latte sterilizzato con metodo UHT da quello sterilizzato in bottiglia. Il metodo è stato testato in un range di contenuto in lattulosio da 200 mg/L a 1500 mg/L ed è applicabile a tutti i latti trattati termicamente. Inoltre, la norma ISO specifica che tale metodica è quella da applicare in caso di controversia.

11.2 METODI ALTERNATIVI E RAPIDI

Fluorescenza

L’osservazione dell’associazione tra imbrunimento non enzimatico e fluorescenza ha sti-molato l’applicazione di tecniche che sfruttano questa caratteristica. Un problema che si incontra quando si analizza il latte con tali metodiche è dovuto alla torbidità del campione, e pertanto alcuni metodi prevedono un trattamento del campione per ottenere un surna-tante limpido. Birlouez-Aragon e coll. (2002) hanno sviluppato un metodo fluorimetrico (FAST- Fluorescenza dei prodotti della Maillard Avanzata e del Triptofano Solubile) per stimare l’intensità del trattamento termico del latte: il metodo si basa sulla quantificazione delle proteine denaturate sulla base della fluorescenza del Triptofano (F Trp) e l’accumulo dei prodotti di Maillard fluorescenti (FAMP) nella frazione solubile a pH 4,6 del latte. Il metodo prevede che il latte venga aggiunto di sodio acetato (0,1M a pH 4,6) e, dopo averlo lasciato a riposo a temperatura ambiente, sul surnatante viene effettuata una misura della fluorescenza. La fluorescenza del triptofano (F Trp) è misurata a 290 nm di eccitazione e a 340 nm di emissione ed i valori di fluorescenza sono espressi come Proteine equivalenti (g/L) tramite una retta di calibrazione esterna con BSA (siero albumina bovina), mentre la fluorescenza dei prodotti della Maillard avanzata (FAMP) è invece misurata a 330 nm di eccitazione e a 420 nm di emissione. Dalle correlazioni ottenute è possibile calcolare l’indice FAST IF, come rapporto percentuale tra FAMP e F Trp. Il metodo FAST è stato validato in campioni di latte ottenuti in maniera industriale utilizzando differenti condi-zioni di tempo e temperatura. Come confronto sono state utilizzate tecniche standardizzate come la determinazione di beta lattoglobulina, furosina e lattulosio. La tecnica FAST si è dimostrata molto rapida (100 campioni al giorno), a basso costo ed efficiente, con risultati paragonabili alle altre tre metodiche; gli autori hanno concluso che il F Trp e l’indice FAST possono sostituire i classici indicatori del trattamento termico come la beta-lattoglobulina, la furosina o il lattulosio.

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Una metodica alternativa è la FFFs (Front-Face Fluorescence Spectroscopy) che per ridurre l’effetto di dispersione utilizza un angolo di incidenza della luce diverso (da 90° a 56°) elimi-nando la necessità di preparazione del campione prima della misurazione della fluorescenza. Già nel 2002 è stata utilizzata la FFFs nel latte UHT sviluppando un metodo rapido e non distruttivo in grado di misurare i valori di furosina e lattulosio nel latte trattato termica-mente (Kulmyrzaev e Dufour, 2002). In particolare il metodo prevede la registrazione degli spettri di fluorescenza direttamente su campioni di latte (UHT parzialmente scremato e overhead; UHT parzialmente scremato e latte pastorizzato) in cuvetta di quarzo: per il trip-tofano si registrano gli spettri di emissione (305 – 450 nm), con una lunghezza d’onda di eccitazione di 290 nm, mentre per i prodotti fluorescenti della reazione di Maillard vengo-no monitorati gli spettri dei emissione (380 – 600 nm) a una lunghezza d’onda di 360 nm di eccitazione e gli spettri di eccitazione (250 – 420 nm) ad una lunghezza d’onda di 440 nm di emissione. Una volta acquisiti, gli spettri di fluorescenza del triptofano e dei prodotti di reazione di Maillard sui campioni di latte sono stati analizzati mediante tecniche chemio-metriche quali l’Analisi delle Componenti Principali (PCA) e l’analisi di Regressione della Componenti Principali (PCR), permettendo di ottenere informazioni preziose sulla qualità del latte trattato termicamente in quanto i risultati ottenuti si sono mostrati ben correlati con quelli dei metodi di riferimento (furosina e lattulosio).

Gli stessi autori nel 2005 hanno utilizzato gli spettri di emissione e di eccitazione di compo-sti fluorescenti presenti nel latte per valutare le eventuali variazioni a seguito dei trattamenti termici (57-72 °C per 0-5-30 min). Infatti, le proteine del latte contengono triptofano, tirosina e fenilalanina (AA aromatici) e coenzimi NADH e FADH che contribuiscono alla fluorescenza (Kulmyrzaev e coll., 2005). In questo stesso lavoro gli autori hanno anche determinato, mediante tecniche enzimatiche ed immunochimiche, la fosfatasi alcalina, la lattoferrina, l’immunoglobulina G, la BSA, la beta-lattoglobulina e l’alfa-lattoalbumina. Analogamente al precedente lavoro, la metodica utilizzata prevede misurazione della fluore-scenza del latte in cuvetta di quarzo: sono stati registrati gli spettri di emissione negli inter-valli da 280-480 nm (eccitazione: 250 nm) e da 380-600 nm (eccitazione: 360 nm). Spettri di eccitazione sono stati ottenuti anche tra 290 e 490 nm ad una lunghezza d’onda di emis-sione di 518 nm. Per il triptofano, i risultati hanno evidenziato uno shift dell’emissione da 342 a 343 nm per effetto del calore (dal latte crudo al latte trattato), mentre nel caso degli aminoacidi aromatici gli spettri si sovrappongano nei vari campioni di latte trattati termi-camente. A differenza degli amminoacidi aromatici, invece, gli spettri di fluorescenza del NADH e FADH mostravano differenze a seconda del trattamento termico utilizzato. Per ridurre l’effetto di dispersione, gli spettri sono stati normalizzati e su questi è stata applicata la PCA che ha discriminato con successo i diversi campioni di latte secondo temperatura e tempo di trattamento termico. Successivamente è stata applicata l’analisi di Regressione delle Componenti Principali per stimare la quantità di proteine native utilizzando dati di fluorescenza e gli autori hanno osservato una forte correlazione tra il dato misurato e il dato predetto per quanto riguarda la fosfatasi alcalina e la beta-lattoglobulina.

Sempre utilizzando la Front-Face Fluorescence Spectroscopy (FFFs) alcuni autori (Scham-berger e Labuza, 2006) hanno proposto di monitorare lo sviluppo di composti che si for-mano durante la reazione di Maillard nel latte durante il trattamento termico utilizzando un impianto pilota rappresentativo dei processi industriali. Gli autori hanno sottoposto latte crudo scremato ad un trattamento termico in diverse condizioni di tempo e tempera-tura (da 70 °C a 140 °C e da 3 sec a 30 sec). Le analisi effettuate sui diversi campioni di latte hanno riguardato in particolare la determinazione degli spettri FFFs, del colore (coordinate di Hunter L*, a*, b*), dell’idrossimetilfurfurale (HMF), del triptofano e della densità ottica a 420 nm.

Tra le metodiche applicate l’HMF è stato determinato mediante digestione dei campioni di latte con acido ossalico (0,3 N) a 100 °C per 60 min. I campioni raffreddati sono stati aggiunti di acido tricloroacetico all’80 % e il filtrato aggiunto di acido tiobarbiturico 0,05

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M. Dopo incubazione a 40 °C per 30 min, è stata effettuata una lettura a 443 nm per estra-polare le concentrazioni di HMF da una retta di taratura con standard di HMF.

La FFFs è stata utilizzata per monitorare il triptofano (290 nm di eccitazione e 340 nm di emissione) e i composti fluorescenti della reazione di Maillard (360 nm di eccitazione e spettro di emissione da 380 a 600 nm) in campioni di latte, posti direttamente in cuvetta.

In questo lavoro si possono evidenziare alcuni risultati rilevanti: i valori di HMF aumenta-no con l’aumentare del binomio tempo/temperatura e un andamento analogo si nota nei valori di fluorescenza dei composti bruni; una tendenza opposta si nota invece nei valori di fluorescenza del triptofano, indice di denaturazione delle proteine. In particolare, i risultati hanno mostrato una buona correlazione tra i dati della FFFs dei composti bruni e l’HMF dove l’R2 è risultato maggiore di 0,95 nella regione dello spettro di emissione compreso tra 394 e 447nm. Gli autori hanno concluso in questo lavoro che la Front-Face Fluorescence Spectroscopy (FFFs), che ha il vantaggio di non prevedere pretrattamenti del campione, ha la potenzialità per essere utilizzata come uno strumento in linea per il monitoraggio e il controllo di trattamento termico del latte.

Ancora l’uso della fluorescenza è alla base di un recente lavoro (Mungkarndee e coll., 2016) in cui è stata valutata la capacità della fluorescenza indotta da interazioni fluorocromo/pro-teina di discriminare tra campioni di latte trattato termicamente (latte crudo, pastorizzato, UHT, ricostituito) ed anche tra altre tipologie di latte quali latte fermentato, latte di soia e di mais. Il metodo prevede la preparazione di soluzioni di fluorofori (5 μM) e di soluzioni di proteine pure (BSA, alfa-caseina, beta-caseina, lattoalbumina e beta-lattoglobulina) in tam-pone sodio fosfato (10 mM pH 7,4). Al fine di acquisire gli spettri in fluorescenza tra 400 e 600 nm, ad una lunghezza d’onda di eccitazione di 375 nm, prima dell’analisi sono state aggiunte aliquote di fluorofori sia alle soluzioni di proteine pure (direttamente in cuvetta), sia ai campioni di latte opportunamente diluiti (sia in cuvetta che in micropiastra). Per esaminare la capacità discriminante dei fluorofori, sui dati di fluorescenza è stata applicata una analisi statistica multivariata (PCA) ottenendo buone separazioni, sia nel caso di pro-teine pure che dei campioni di latte. Sugli stessi dati è stata effettuata un’Analisi Discrimi-nante Lineare (LDA), che dopo aver selezionato i fluorofori maggiormente discriminanti, ha mostrato ottimi risultati (precisione del 100% in una cross-validation con la tecnica di leave-one-out) nella discriminazione dei campioni di latte sulla base del trattamento termi-co subito. Questo studio ha dimostrato come i composti fluorescenti possano essere usati in modo efficace per discriminare proteine provenienti da miscele complesse e permettere anche l’identificazione dei trattamenti termici subiti dal latte.

SpettroscopiaUV/Vis

Le miscele di zucchero e amminoacidi, se sottoposte a riscaldamento, provocano un imme-diato assorbimento in UV e l’assorbanza a 294 nm è stata spesso utilizzata per determinare i composti intermedi della reazione avanzata di Maillard (Ajandouz e coll., 2001). Di conse-guenza, la determinazione dell’assorbimento in UV di sistemi modello (miscele di zucchero e amminoacidi sottoposte a riscaldamento), potrebbe essere un metodo alternativo e veloce per stimare l’intensità del trattamento termico. Sun e Wang (2009) propongono un metodo basato sugli spettri di assorbimento UV-Vis per valutare il trattamento termico del latte e di sistemi modello. Il metodo è stato messo a punto su miscele di zucchero e amminoacidi trattati a diverse temperature ed è stato validato anche su campioni di latte pastorizzato e UHT. I risultati ottenuti sono stati confrontati con il contenuto di furosina determina-to mediante l’analisi classica in HPLC. Dal lavoro è emerso come l’assorbanza massima, identificata intorno a 294 nm, aumenti con l’intensità del trattamento termico nei sistemi modello e in modo proporzionale rispetto al tempo di trattamento (mantenendo invariata la temperatura). Gli autori riportano che, con tempi di analisi molto più rapidi rispetto alla determinazione della furosina, nei sistemi modello la determinazione dell’assorbimento in

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UV è ben correlata con i valori di furosina nelle condizioni di 100 °C per 0-30 min (R2 = 0,9569) e in quelle di 120 °C per 0–20 min (R2 = 0,9594). Nelle condizioni di riscaldamen-to più drastico, mentre i valori di furosina non risultano più attendibili perché tendono a diminuire, il metodo UV risulta invece più efficace. Applicato al latte pastorizzato e UHT del commercio, il metodo ha mostrato delle correlazioni tra assorbimento UV e furosina di R2 = 0,8196 e R2 = 0,4586 rispettivamente. Pertanto la metodica risulta molto efficace soprattutto nel caso di trattamenti mild come la pastorizzazione.

Durante il trattamento termico le variazioni della solubilità delle sieroproteine e la reazione di Maillard possono essere monitorati utilizzando metodi spettrofotometrici: questo tipo di approccio è stato seguito recentemente da alcuni autori (Neves e coll., 2016) che hanno valutato il trattamento termico nel latte UHT commerciale attraverso la determinazione dell’azoto proteico del siero (WPNI) e dell’HMF con metodi spettrofotometrici nella re-gione del Visibile. I dati ottenuti sono stati elaborati chemiometricamente e i modelli di regressione proposti per gli indicatori WPNI e HMF sono risultati utili in quanto hanno permesso di fornire informazioni sul trattamento termico UHT applicato, grazie alla valu-tazione dell’influenza delle variabili studiate, e sulla qualità del prodotto finale.

SpettroscopiaIR

Pappas e coll. (2015) hanno studiato l’applicabilità della spettroscopia IR a riflettanza dif-fusa con trasformata di Fourier (DRIFTS) per la determinazione diretta del contenuto in lattulosio in latte trattato termicamente. Gli autori hanno correlato gli spettri della regione spettrale tra 1286 e 754 cm-1, utilizzando i valori della derivata seconda, con i valori di lattulosio ottenuti mediante cromatografia HPLC, stabilendo una relazione lineare tra la concentrazione ‘reale’ e quella ottenuta mediante spettrofotometria. Dai risultati ottenuti gli autori concludono che la tecnica all’infrarosso DRIFTS, semplice, rapida e a basso costo, si propone come metodo valido per la quantificazione del lattulosio nel latte.

L’etichettatura dei prodotti alimentari è normata dal Regolamento UE 1169/2011, che ha lo scopo di garantire i consumatori in materia di informazioni sugli alimenti. Pertanto defi-nisce i principi, i requisiti e le responsabilità che disciplinano le informazioni sugli alimenti e in particolare la loro etichettatura.

Il presente regolamento si applica a partire dal 13 dicembre 2014, salvo le disposizioni ri-guardanti la dichiarazione nutrizionale, che sono obbligatorie dal 13 dicembre 2016.

Il regolamento definisce “etichetta: qualunque marchio commerciale o di fabbrica, segno, im-magine o altra rappresentazione grafica scritto, stampato, stampigliato, marchiato, impresso in rilievo o a impronta sull’imballaggio o sul contenitore di un alimento o che accompagna detto imballaggio o contenitore”.

L’elenco degli ingredienti non è richiesto per alcune tipologie di alimenti e tra questi vi sono “i formaggi, il burro, il latte e le creme di latte fermentati, purché non siano stati aggiunti ingredienti diversi dai prodotti derivati dal latte, gli enzimi alimentari e le colture di microrga-nismi necessari alla fabbricazione o ingredienti diversi dal sale necessario alla fabbricazione di formaggi che non siano freschi o fusi” (art. 9 del Reg. UE 1169)

Il regolamento riporta inoltre le indicazioni obbligatorie della dichiarazione nutrizionale. Si tratta di: valore energetico, quantità di grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, proteine, zuccheri, sale. La dichiarazione nutrizionale obbligatoria può essere integrata con l’indi-cazione delle quantità di uno o più dei seguenti elementi: acidi grassi monoinsaturi; acidi grassi polinsaturi; polioli; amido; fibre; i sali minerali o le vitamine (se presenti in quantità significativa) elencati e specificati nell’allegato XIII del Regolamento.

12. VERIFICA DEGLI INGREDIENTI

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Per quanto riguarda, invece, i claims nutrizionali, si fa riferimento al Regolamento CE 1924/2006 che “…armonizza le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative degli Stati membri concernenti le indicazioni nutrizionali e sulla salute, al fine di garantire l’efficace funzionamento del mercato interno e al tempo stesso un elevato livello di tutela dei consuma-tori.” Per poter dichiarare in etichetta che un prodotto è “fonte di...” o “ricco di…” acidi grassi omega 3, monoinsaturi, polinsaturi e insaturi, l’allegato di tale regolamento è stato modificato, relativamente alle percentuali minime, dal Regolamento UE 116/2010.

Nella guida destinata alle autorità competenti per il controllo e il rispetto del Regolamento UE 1169/2011 (http://ec.europa.eu/food/safety/labelling_nutrition/labelling_legislation_en) vengono riportate le tolleranze applicabili alla dichiarazione nutrizionale tenendo conto dell’incertezza di misura (Tabella 12.1), così come le regole di arrotondamento dei valori per gli alimenti (Tabella 12.2). Queste ultime devono essere prese in considerazione nel valutare se il valore che è stato determinato nel corso dell’analisi dall’autorità di controllo rientra nei limiti di tolleranza.

Tabella 12.1 -Tolleranzeammissibiliperalimentidiversidagliintegratorialimentari.

Tolleranze ammissibili per gli alimenti (inclusa l’incertezza di misura)

Vitamine +50% ** -35%

Minerali +45% -35%

Carboidrati

Zuccheri

Proteine

Fibre

<10 g per 100 g:

10-40 g per 100 g:

>40 g per 100 g:

±2 g

±20%

±8 g

Grassi

<10 g per 100 g:

10-40 g per 100 g:

>40 g per 100 g:

±1,5 g

±20%

±8 g

Acidi grassi saturi

Acidi grassi monoinsaturi

Acidi grassi polinsaturi

<4 g per 100 g:

≥4 g per 100 g:

±0,8 g

±20%

Sodio<0,5 g per 100 g:

≥0,5 g per 100 g:

±0,15 g

±20%

Sale<1,25 g per 100 g: ±0,375 g

≥1,25 g per 100 g: ±20%

**perlavitaminaCpresenteneiliquidipotràesserefissatounoscostamentosuperiorepiùelevato

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Tabella 12.2 -Regolediarrotondamentoapplicabilialladichiarazionenutrizionalenell’etichettatu-ranutrizionaledeglialimenti.

Elemento nutritivo Quantità Arrotondamento

Energia all’unità di kJ/kcal più vicina (senza decimali)

Grassi*, carboidrati*, zuccheri*, proteine*, fibre*, polioli*, amido*

≥10 g per 100 g o ml al grammo più vicino (senza decimali)

< 10 g e > 0,5 g per 100 g o ml al decigrammo più vicino

quantità irrilevabili o concentrazione ≤0,5 g

per 100 g o ml“ 0 g” o “<0,5 g”

Acidi grassi saturi*, monoinsaturi*, polinsaturi*

≥10 g per 100 g o ml al grammo più vicino (senza decimali)

< 10 g e > 0,1 g per 100 g o ml al decigrammo più vicino

quantità irrilevabili o concentrazione ≤0,1 g per 100 g o ml “ 0 g” o “<0,1 g”

Sodio ≥1 g per 100 g o ml al decigrammo più vicino

< 1 g e > 0,005 g per 100 g o ml al centigrammo più vicino

quantità irrilevabili o concentrazione ≤0,005 g per 100 g o ml “ 0 g” o “<0,005 g”

Sale ≥1 g per 100 g o ml al decigrammo più vicino

< 1 g e > 0,0125 g per 100 g o ml al centigrammo più vicino

quantità irrilevabili o concentrazione ≤0,0125 g per 100 g o ml “ 0 g” o “<0,01 g”

Vitamine e minerali Vitamina A, acido folico, cloruro, cal-cio, fosforo, magnesio, iodio, potassio 3 cifre significative

Tutte le altre vitamine e minerali 2 cifre significative

* non applicabile alle sottocategorie

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12.1 METODI UFFICIALI

Si riportano nelle Tabelle 12.3, 12.4, 12.5, 12.6, 12.7 e 12.8 i metodi ufficiali disponibili per la determinazione del contenuto in grasso, proteine, zuccheri, sostanza secca e vitamine in diverse matrici lattiero casearie.

Tabella 12.3 -MetodiISOperladeterminazionedellamateriagrassa.

Matrice Titolo Riferimento ISO / IDF

LatteMilk -- Determination of fat content

-- Gravimetric method (Reference method)

ISO 1211:2010 | IDF 1:2010

Latte e prodotti a base di latte

Milk products and milk-based foods -- Determination of fat content by the Weibull-Berntrop gravimetric method

(Reference method) -- Part 1: Infant foods

ISO 8262-1:2005 | IDF 124-1:2005

Milk products and milk-based foods -- Determination of fat content by the Weibull-Berntrop gravimetric method (Reference method) -- Part 2: Edible

ices and ice-mixes

ISO 8262-2:2005 | IDF 124-2:2005

Milk products and milk-based foods -- Determination of fat content by the Weibull-Berntrop gravimetric method (Reference method) -- Part 3: Special

cases

ISO 8262-3:2005 | IDF 124-3:2005

Latte in polvere e prodotti da latte in polvere

Dried milk and dried milk products -- Determination of fat content -- Gra-vimetric method (Reference method)

ISO 1736:2008 | IDF 9:2008

Latte evaporato e latte condensato zuccherato

Evaporated milk and sweetened condensed milk -- Determination of

fat content -- Gravimetric method (Reference method)

ISO 1737:2008 | IDF 13:2008

Latte scremato, siero e latticelloSkimmed milk, whey and buttermilk -- Determination of fat content -- Gra-vimetric method (Reference method)

ISO 7208:2008 | IDF 22:2008

Gelati a base di latte e misceleMilk-based edible ices and ice mixes -- Determination of fat content -- Gra-vimetric method (Reference method)

ISO 7328:2008 | IDF 116:2008

Alimenti per l’infanzia a base latteMilk-based infant foods -- Determi-nation of fat content -- Gravimetric

method (Reference method)ISO 8381:2008 | IDF 123:2008

Burro

Butter -- Determination of moisture, non-fat solids and fat contents -- Part

3: Calculation of fat content1ISO 3727-3:2003 | IDF 80-3:2003

Butter -- Determination of moisture, non-fat solids and fat contents (Rou-

tine methods) -- Part 3: Calculation of fat content2

ISO 8851-3:2004 | IDF 191-3:2004

1questadeterminazionerichiedechevenganoeseguiteleanalisidelcontenutoinacquaesolidinongrassi(ISO3727-1:2001|IDF80-1:2001eISO3727-2:2001|IDF80-2:2001)

2questadeterminazionerichiedechevenganoeseguiteleanalisidelcontenutoinacquaesolidinongrassi(ISO8851-1:2004|IDF191-1:2004eISO8851-2:2004|IDF191-2:2004)

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Tabella 12.4 -MetodiISOperladeterminazionedelleproteine.

Matrice Titolo Riferimento ISO / IDF

Latte e prodotti a base di latte

Milk and milk products -- Determi-nation of nitrogen content -- Part 1: Kjeldahl principle and crude protein

calculationISO 8968-1:2014 | IDF 20-1:2014

Milk and milk products -- Determi-nation of nitrogen content -- Part 4: Determination of protein and non-protein nitrogen content and true

protein content calculation (Reference method)

ISO 8968-4:2016 | IDF 20-4

Food products - Determination of the total nitrogen content by combustion

according to the Dumas principle and calculation of the crude protein

content -- Part 1: Oilseeds and animal feeding stuffs

ISO 16637:2008

Latte Milk -- Determination of nitrogen con-tent -- Part 3: Block-digestion method

(Semi-micro rapid routine method)ISO 8968-3:2004 | IDF 20-3:2004

Tabella 12.5 -MetodiISOperladeterminazionedelcontenutoinlattosio.

Matrice Titolo Riferimento ISO / IDF

LatteMilk -- Determination of lactose

content -- Enzymatic method using difference in pH

ISO 26462:2010 | IDF 214:2010

Latte e prodotti a base di latteMilk and milk products -- Determi-nation of lactose content by high-

performance liquid chromatography (Reference method)

ISO 22662:2007 | IDF 198:2007

Latte in polvere, miscele per gelato in polvere e formaggio fuso

Dried milk, dried ice-mixes and processed cheese -- Determination of

lactose content -- Part 1: Enzymatic method utilizing the glucose moiety

of the lactose

ISO 5765-1:2002 | IDF 79-1:2002

Dried milk, dried ice-mixes and processed cheese -- Determination of

lactose content -- Part 2: Enzymatic method utilizing the galactose moiety

of the lactose

ISO 5765-2:2002 | IDF 79-2:2002

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Tabella 12.6 -MetodiISOperladeterminazionedellasostanzasecca.

Matrice Titolo Riferimento ISO / IDF

Burro

Butter -- Determination of moisture, non-fat solids and fat contents -- Part

1: Determination of moisture content (Reference method)

ISO 3727-1:2001 | IDF 80-1:2001

Butter -- Determination of moisture, non-fat solids and fat contents (Routi-ne methods) -- Part 1: Determination

of moisture contentISO 8851-1:2004 | IDF 191-1:2004

Latte in polvere Dried milk - Determination of moistu-re content (Reference method) ISO 5537:2004 | IDF 026:2004

Formaggio, formaggio fuso e ricotta Approvazione dei “metodi ufficiali di analisi per i formaggi”

D.M. 21/04/1986 pubblicato nella G.U. n. 88 del 02/10/1986

Tabella 12.7 -MetodiISOperladeterminazionedellevitamine.

Matrice Titolo Riferimento ISO / IDF

Latte scremato in polvere

Dried skimmed milk -- Determination of vitamin A content -- Part 1: Colori-

metric methodISO 12080-1:2009 | IDF 142-1:2009

Dried skimmed milk -- Determination of vitamin A content -- Part 2: Method using high-performance liquid chro-

matographyISO 12080-2:2009 | IDF 142-2:2009

Dried skimmed milk -- Determination of vitamin D content using high-

performance liquid chromatographyISO 14892:2002 | IDF 177:2002

Tabella 12.8 - MetodiISOperladeterminazionedelcontenutoinsale.

Matrice Titolo Riferimento ISO / IDF

Formaggio e formaggio fusoCheese and processed cheese pro-ducts - Determination of chloride con-tent - Potentiometric titration method

ISO 5943:2006 | IDF 88:2006

Latte e prodotti a base di latteMilk and milk products -- Determina-tion of calcium, sodium, potassium and magnesium contents -- Atomic absorption spectrometric method

ISO 8070:2007 | IDF 119:2007

BurroButter -- Determination of salt content ISO 1738:2004 | IDF 12:2004

Butter -- Determination of salt content -- Potentiometric method ISO 15648:2004 | IDF 179:2004

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Colesterolo

Per la determinazione del contenuto in colesterolo si può utilizzare sia il metodo di riferi-mento (ISO 12078:2006), come riportato nel paragrafo 8.1 Metodi ufficiali - Determina-zione della composizione sterolica del grasso di latte anidro, sia il metodo di routine (ISO 18252:2006). Quest’ultimo prevede l’aggiunta del 5α-colestano come standard interno, la saponificazione del campione di grasso e l’estrazione dell’insaponificabile con solvente. Non è prevista la purificazione della frazione sterolica mediante lastra TLC, ma l’insaponificabile viene opportunamente diluito e iniettato in gascromatografo. Per l’assenza del passaggio di separazione in TLC, nella metodica è chiaramente indicato che, qualora si debba cercare la presenza di tracce di steroli di origine vegetale, è necessaria la conferma mediante applica-zione del metodo di riferimento.

12.2 METODI ALTERNATIVI E RAPIDI

La regione del medio infrarosso (4000-400 cm-1) è una zona molto stabile e riproducibi-le dello spettro elettromagnetico dove piccole differenze di composizione possono essere misurate in modo affidabile. Il metodo basato sulla lettura nella zona del medio infrarosso con trasformata di Fourier per la determinazione della composizione centesimale di latte e derivati nasce per l’analisi rapida e simultanea del contenuto in grasso, proteine e lattosio nel latte. In ambito ISO-IDF è stata prodotta una norma (ISO 9622:2013) che riporta le indicazioni per l’utilizzo dello strumento. Le recenti apparecchiature consentono anche una stima di caseine, urea e residuo secco magro. Inoltre, previa opportuna taratura della stru-mentazione, con alcune apparecchiature è possibile analizzare anche i formaggi.

Sono numerosi in letteratura i lavori che riportano l’applicazione del medio e vicino infra-rosso per l’analisi della composizione in acidi grassi dei prodotti caseari, determinazione molto richiesta ultimamente per la necessità di compilazione delle etichette nutrizionali. La tecnica di riferimento è una procedura che richiede tempi lunghi e la dotazione di ap-parecchiature (GC) che necessitano per la loro gestione di personale esperto. Pertanto la possibilità di impiegare la strumentazione al medio IR con trasformata di Fourier (FTIR) non solo per il dosaggio dei macrocostituenti del latte, tecnica ormai ampiamente diffusa, ma anche per la determinazione della composizione in acidi grassi è sicuramente un‘appli-cazione interessante. Recentemente, sia in lavori scientifici che in applicazioni commerciali, sono state messe a punto curve di calibrazione dello strumento per le principali classi di acidi grassi (Soyeurt e coll., 2011; Foss Analytical, 2011). Nella regione del medio IR è pos-sibile distinguere le bande di stretching (stiramento) dei carbonili C=O, del gruppo C–O, dei gruppi CH2 e CH3, così come il bending (piegamento) dei CH. È stato inoltre dimo-strato che è possibile, in qualche misura, determinare la lunghezza della catena e il grado di insaturazione degli acidi grassi dalla proporzione delle bande CH3, CH2 e C=O (Kaylegian e coll., 2009a, 2009b). Tuttavia, quando i modelli di predizione sono costruiti sugli spettri del latte crudo e la concentrazione delle classi di acidi grassi è basata ed espressa su 100 g di latte, la principale variazione è prevalentemente dovuta al contenuto totale di grasso. Ciò determina risultati in predizione non affidabili.

Un’alternativa è l’applicazione della tecnica del vicino IR (NIR), sebbene il suo impiego direttamente sul latte liquido sia problematico per l’elevata presenza di acqua, che origina nello spettro ampie bande di assorbimento che coprono quelle degli analiti. Risultati inte-ressanti sono stati ottenuti analizzando il latte disidratato, anche se i tempi si allungano per la fase di rimozione dell’acqua (Coppa e coll., 2010 e 2014; Andueza e coll., 2013). L’analisi diretta della frazione lipidica estratta dalla matrice casearia ha fornito buoni risultati nella quantificazione anche del contenuto in acidi grassi trans (Azizian e coll., 2005; Heussen e coll., 2007). In un lavoro recente svolto presso CREA Centro di Ricerca Zootecnia e Ac-quacoltura di Lodi tale tecnica è stata applicata a grasso di latte estratto con metodi fisici e senza uso di solventi ottenendo valori di r2 molto soddisfacenti per i gruppi degli acidi saturi, monoinsaturi, polinsaturi e trans (Cabassi e coll., 2013).

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13.1 METODI UFFICIALI

Contenutoinomega3inprodottiarricchiti

Gli acidi grassi omega 3 (ω3) sono ormai ampiamente riconosciuti come benefici per la salute umana per la loro attività antitrombotica, antiaterogena e antinfiammatoria. Alla famiglia degli acidi ω3 appartengono gli acidi grassi insaturi che hanno un doppio legame sull’atomo di carbonio in posizione 3 rispetto al gruppo CH3 terminale della catena. Gli acidi grassi ω-3 più comuni sono: l’acido α-linolenico (18:3 ω3), l’acido stearidonico (18:4 ω3), l’acido eicosatetraenoico (20:4 ω3) l’acido eicosapentaenoico o EPA (20:5 ω3), l’acido docosapentaenoico (22:5 ω3), l’acido docosaesaenoico o DHA (22:6 ω3). EPA e DHA, presenti nel fitoplancton, in alcune specie di pesci e nelle alghe marine coltivate, svolgo-no un ruolo importante nella crescita e nello sviluppo del cervello, nella regolazione della pressione sanguigna, nella funzione renale, nella coagulazione del sangue e nelle reazioni infiammatorie e immunologiche. Per questi motivi da tempo si trovano in commercio pro-dotti arricchiti in tali acidi grassi.

Il metodo di riferimento per la determinazione degli acidi grassi sia ω3 che ω6 è la norma ISO 23065:2009 (Milk fat from enriched dairy products -- Determination of omega-3 and omega-6 fatty acid content by gas-liquid chromatography). Scopo del metodo è la determi-nazione del contenuto in acidi grassi ω3 e ω6 in grasso di latte anidro estratto da prodotti lattiero caseari addizionati o arricchiti naturalmente in questi composti. Il contenuto di ω3 si riferisce agli acidi: C18:3 ω3 (acido cis-9,12,15-ottadecatrienoico o acido α-linolenico, α-LNA), C18:4 ω3 (acido cis-6,9,12,15-ottadecatetraenoico o acido stearidonico), C20:5 ω3 (acido cis-5,8,11,14,17-eicosapentaenoico, EPA), C22:5 ω3 (acido cis-7,10,13,16,19-docosapentaenoico, DPA), C22:6 ω3 (acido cis-4,7,10,13,16,19-docosaesaenoico, DHA). Il contenuto di ω6 si riferisce all’acido C18:2 ω6 (acido cis-9,12-ottadecadienoico o acido linoleico, LA).

Il grasso di latte, aggiunto di una soluzione di metilestere dell’acido tricosanoico (C23:0) all’1 % in esano come standard interno, viene sottoposto a transmetilazione secondo la metodica ISO 15884:2002 (cfr. punto 8.1 Metodi ufficiali - Composizione in acidi grassi) e analizzato in gascromatografia con colonna polare adottando condizioni strumentali idonee a separare correttamente gli acidi C18:4ω3 e C18:2 coniugato (CLA) e gli acidi C22:5 ω3 (acido cis-7,10,13,16,19-docosapentaenoico, DPA) e C22:6 ω3 (acido cis-4,7,10,13,16,19-docosaesaenoico, DHA).

Per le determinazioni sia qualitativa che quantitativa degli acidi è necessario preparare e iniettare soluzioni standard degli acidi indicati precedentemente, incluso il metilestere del C23, in modo da effettuare sia il riconoscimento del picco in base al tempo di eluizione, sia il calcolo dei fattori di correzione.

Composizioneinacidigrassiriportatiinetichetta

Oltre ai metodi riportati ai punti 8.1 Metodi ufficiali - Composizione in acidi grassi (ISO 15884:2002 e ISO 15885:2002) e 13.1 Metodi ufficiali - Contenuto in ω3 in prodotti ar-ricchiti (ISO 23065:2009) è disponibile un’altra norma ISO 16958:2015, dal titolo “Milk, milk products, infant formula and adult nutritionals -- Determination of fatty acids com-position -- Capillary gas chromatographic method”, messa a punto per quantificare in latte, prodotti a base di latte, latte artificiale e formulati per adulti e bambini, contenenti grasso di latte e/o grassi vegetali, arricchiti o meno con oli ricchi in acidi grassi a lunga catena po-linsaturi, i seguenti composti:

- tutti gli acidi grassi, inclusi i gruppi degli acidi grassi da porre in etichetta (es. acidi grassi trans, saturi, monoinsaturi, polinsaturi, omega-3, omega-6, omega-9);

13. IRREGOLARITÀ NELLA DICHIARAZIONE DEL

CLAIM NUTRIZIONALE

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- i singoli acidi grassi inclusi nell’etichetta nutrizionale (es. acido linoleico, acido linoleni-co, acido arachidonico, eicosapentaenoico, docosapentaenoico).

Il metodo prevede la transmetilazione con soluzione di metossido di sodio in metanolo direttamente nel campione tal quale nel caso di prodotti liquidi e latte in polvere ricosti-tuito. La stessa procedura di transmetilazione si applica al grasso estratto da altre matrici. Al campione vengono aggiunti gli standard interni metil C11 per la quantificazione degli acidi grassi e lo standard trigliceride del C13 per la verifica che la reazione di transmetila-zione si sia realizzata completamente. Complessa e articolata è la preparazione delle miscele standard di acidi grassi, qualora si voglia partire dai singoli acidi, necessarie sia per il ricono-scimento dei composti di interesse sia per il calcolo dei fattori di correzione. In alternativa, viene indicata anche una miscela commerciale di acidi grassi preparata appositamente per tale metodica. Per l’analisi gascromatografica deve essere impiegata una colonna di lun-ghezza 100 m, 0,25 mm di diametro interno e 0,2 μm di spessore del film. L’iniezione può essere condotta sia in modalità split che on-column e nella metodica vengono riportati due esempi di condizioni gascromatografiche applicabili per i due sistemi di introduzione del campione. Inoltre vengono date indicazioni sulla qualità della separazione (risoluzione) che si deve ottenere tra alcuni picchi.

13.2 METODI ALTERNATIVI

Contenuto di lattosio in prodotti delattosati o naturalmente privi di lattosio

Non esiste una definizione giuridica per i termini “senza lattosio” o “ridotto contenuto di lattosio”, sia negli USA, sia nella legislazione europea, fatta eccezione per le formulazioni di latti per l’infanzia in cui l’indicazione “lactose free” è riservata ai prodotti contenenti valori ≤10 mg/100 kcal (Direttiva 2006/141/CE). Alcuni Stati membri dell’UE hanno fissato le soglie a livello nazionale per l’uso dei termini “lactose free”, “very low lactose” e “low lactose” per i prodotti alimentari diversi dai prodotti destinati ai lattanti. Questi livelli di soglia variano da 0,01 a 0,1 g/100 g di prodotto finale (EFSA, 2010). A livello nazionale, il Mi-nistero della Salute in una nota del luglio 2015 ha dichiarato le soglie con cui un alimento può essere definito “senza lattosio” (≤ 0,1 g/100 g o 100 ml di prodotto) o, nel caso di latti e latti fermentati, a “ridotto contenuto di lattosio” (≤ 0,5 g/100 g o 100 ml di prodotto). Successivamente, con la circolare del 16/06/2016, il medesimo Ministero ha precisato che è possibile utilizzare la dicitura “naturalmente privo di lattosio” o “naturalmente a ridotto contenuto di lattosio” per quei prodotti in cui il procedimento di produzione implica la na-turale idrolisi del lattosio, spesso accompagnata dalla successiva fermentazione di glucosio e galattosio, senza la necessità di aggiungere alcun enzima, come avviene invece nei prodotti delattosati. Per le due tipologie valgono i medesimi limiti citati in precedenza.

Non sono attualmente disponibili metodi ufficiali per la determinazione di basse concen-trazioni di lattosio in prodotti lattiero caseari. Infatti, il metodo ISO 22662:2007 riporta il metodo HPLC di riferimento per la determinazione del contenuto di lattosio del latte crudo, latte trattato termicamente, latte in polvere e panna cruda e pastorizzata, con i para-metri di precisione riferiti ad un contenuto di lattosio variabile da 1,5 a 50 g/100 g di pro-dotto. Inoltre, sia il metodo ISO 26462:2010 che l’ISO 9622:2013, basati rispettivamente sulla misurazione differenziale del pH e sulla spettroscopia infrarossa, sono applicabili solo al latte e ai prodotti a base di latte liquidi a naturale contenuto di lattosio. Il campo di ap-plicazione dei metodi enzimatici ISO per la determinazione del lattosio (ISO 5765-1:2002 e ISO 5765-2:2002 ) è altresì limitato a latte in polvere e gelati aventi una concentrazione di lattosio da 10 a 50 g/100 g. Parimenti, il metodo fotometrico ISO 5548:2004 è applicabile solo a caseine e caseinati.

L’approccio strumentale tradizionale per l’analisi e la rilevazione degli zuccheri si basa sul sistema HPLC accoppiato con il rivelatore ad indice di rifrazione (IR) (Pirisino, 1983;

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Chavez Servin e coll., 2004; Manzi e Pizzoferrato, 2011). Tuttavia, l’IR ha alcuni svantaggi: non è specifico per gli zuccheri, è molto sensibile alle variazioni di temperatura, pressione e composizione del solvente e non permette l’utilizzo di gradienti di eluizione. Inoltre, questo rivelatore ha una bassa sensibilità rispetto ad altri sistemi di rilevazione. Al fine di superare alcuni degli svantaggi sopra citati, la cromatografia a scambio anionico accoppiata con il rivelatore amperometrico pulsato (HPAEC-PAD) è stata applicata con successo alla determinazione degli zuccheri, anche nel settore del latte e prodotti lattiero caseari (Cataldi e coll., 2003; Van Calcar e coll., 2014).

È opportuno fare una prima distinzione, in relazione ai possibili metodi da applicare, tra prodotti delattosati, per aggiunta di enzima lattasi, e prodotti, in particolare formaggi, con contenuto in lattosio “naturalmente” ridotto o assente. Nel primo caso, infatti, il lattosio è presente in quantità molto basse, ma glucosio e galattosio sono presenti in quantità pari a quella derivante dalla scissione dell’intero contenuto di lattosio (ad esempio nel latte circa il 2,5 % ciascuno). Nel secondo caso tutti e tre gli zuccheri sono molto bassi e il lattosio può essere addirittura assente, a seguito delle fermentazioni operate dai microrganismi dell’in-nesto e dagli enzimi che hanno agito durante il periodo di maturazione.

Considerati i due limiti proposti dalla legislazione italiana (0,5 % per la dicitura “a ridotto contenuto di lattosio” e 0,1 % per la dicitura “senza lattosio”), il metodo applicabile per i prodotti delattosati, nel caso di latte, latte in polvere e panna, potrebbe essere il metodo ufficiale ISO 22662:2007, a patto di verificare che la sensibilità sia sufficiente, soprattutto per il limite di 0,1 g/100 g, e che il metodo sia idoneo a dosare anche glucosio e galattosio.

Il metodo si basa sul dosaggio del solo lattosio mediante confronto con l’area di uno stan-dard interno (melezitosio). Il campione di latte viene addizionato di standard interno, de-proteinizzato e sgrassato per aggiunta di zinco acetato diidrato, acido fosfotungstico e acido acetico, in opportune concentrazioni (soluzione di Biggs Szijarto), filtrato e iniettato in HPLC con rivelazione IR. Il fattore di risposta tra lattosio e melezitosio viene calcolato con l’analisi di opportune soluzioni standard. La Figura 13.1 riporta, a sinistra, un esempio di cromatogramma di un latte ad intero contenuto di lattosio (4,71 %), in rosso, sovrapposto al tracciato di una soluzione standard (blu). A destra, invece, è visibile il profilo HPLC di un latte delattosato per aggiunta di beta-galattosidasi, analizzato con il metodo ufficiale ISO 22662:2007. È possibile osservare la presenza di glucosio e galattosio (2,42 e 2,37 %), men-tre non si individuano picchi in corrispondenza del lattosio. È opportuno sottolineare che l’etichetta del campione indicava un contenuto in lattosio inferiore a 0,01 %, quindi 10 volte inferiore al limite.

Figura13.1–ProfiliHPLC/IRdiunlatteedilattedelattosato.

L’osservazione del tracciato del latte delattosato suggerisce, in prima istanza, che il metodo possa essere applicabile anche al dosaggio di glucosio e galattosio. Rimane la problematica

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relativa alla verifica della sensibilità del metodo sul lattosio, nel caso in cui il campione ne contenga un quantitativo vicino al limite dello 0,1%.

Figura13.2-ProfiloHPLC/IRdiunlattedelattosatoaggiuntodilattosioinquantitàpariacirca0.1%.

È stata quindi aggiunta al latte delattosato una quantità di lattosio pari allo 0,08 %, di poco inferiore al valore limite dello 0,1%. L’analisi è stata quindi effettuata mantenendo inalterate tutte le altre condizioni operative (Figura 13.2). Dal profilo ottenuto e dai calcoli effettuati sulle aree dei differenti picchi si possono trarre le seguenti considerazioni:

• la presenza del lattosio è visibile nel tracciato, ma, come era lecito aspettarsi, l’integra-zione dell’area può presentare problemi a causa della presenza di una elevata quantità di glucosio che determina una non completa risoluzione del picco del lattosio;

• la quantificazione del contenuto di lattosio, in confronto allo standard interno (melezi-tosio), è certamente affetta da un errore maggiore, rispetto a glucosio e galattosio, data la grande disproporzione tra le due quantità. Il melezitosio è infatti presente in concen-trazione 30 volte maggiore rispetto al lattosio.

A conclusione di quanto verificato, si ritiene che il metodo ufficiale ISO 22662:2007 possa essere applicato per il dosaggio di glucosio e galattosio, mentre è certamente necessaria una procedura di validazione per il dosaggio del lattosio a concentrazioni molto basse. Una strategia percorribile per i campioni di latte delattosato con enzima potrebbe essere l’effet-tuazione di due distinte analisi per ogni campione. La prima, seguendo la procedura de-scritta nel metodo, consentirebbe il dosaggio di glucosio e galattosio, la seconda, riducendo drasticamente il quantitativo di standard interno, potrebbe permettere di dosare il lattosio, previa attenta verifica dei parametri di integrazione e della sensibilità del metodo.

L’alternativa è l’applicazione di un metodo che utilizza un sistema di cromatografia liquida a scambio anionico con detector più sensibile.

La cromatografia a scambio anionico (HPAEC) viene utilizzata per separare gli analiti che sono o anioni nella loro forma comune (es. amminoacidi) o che possono essere ionizzati (ad esempio i carboidrati a pH>12 si trovano nella forma anionica). Pertanto, la HPAEC utiliz-za come eluenti idrossidi a valori di pH elevato, in modo da produrre anioni di analiti che altrimenti non sarebbero rivelabili poiché presenti in forma non anionica a pH neutro. La cromatografia con questi eluenti è possibile in virtù dello sviluppo di resine non porose che minimizzano la banda di allargamento e determinano una separazione altamente efficace di una grande varietà di carboidrati, compresi gli oligosaccaridi ramificati. Tale cromatografia, nel caso degli zuccheri, viene accoppiata con un detector amperometrico pulsato (PAD) che si basa sull’applicazione di vari potenziali tra un elettrodo di lavoro ed un elettrodo di riferi-mento, in un periodo di tempo specifico. Le variazioni di potenziale determinano condizio-

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ni ossidanti e riducenti sulla superficie dell’elettrodo, con conseguente ossidazione di analiti legati alla superficie dell’elettrodo stesso. L’ossidazione di un carboidrato viene eseguita ad un potenziale specifico che determina la perdita di un protone, il che si traduce in un flus-so di corrente che può essere quindi misurato a quello specifico potenziale, garantendo il rilevamento selettivo e sensibile. Dopo l’ossidazione, una fase di riduzione e ri-ossidazione viene applicata per rimuovere l’analita legato e rinnovare la superficie dell’elettrodo. La va-riazione dei potenziali viene realizzata come sequenza pulsata e richiede in genere meno di 1 secondo, consentendo quindi una frequenza di registrazione del segnale come minimo pari a un 1 secondo. L’accoppiamento di HPAEC e PAD rappresenta quindi una tecnica molto sensibile e altamente specifica per la determinazione dei carboidrati.

Tale tecnica è stata applicata con successo per la determinazione di lattosio, glucosio e galattosio in formaggi duri a lunga maturazione (Monti e coll., 2017), in cui la concentra-zione di zuccheri è dell’ordine di poche ppm. In tali formaggi, infatti, la microflora lattica naturale determina una naturale riduzione del lattosio presente nel latte e una successiva metabolizzazione, sia di galattosio che di glucosio, già nei primi periodi di maturazione.

Il metodo, in fase di approvazione UNI, come Specifica Tecnica, prevede un’estrazione degli zuccheri con acqua, dopo riscaldamento e sonicazione, per prevenire la degradazione micro-bica ed enzimatica. L’estratto ottenuto è deproteinizzato e sgrassato con soluzioni di Carrez e successivamente purificato mediante passaggio su colonna a scambio cationico. L’estratto limpido è analizzato con HPLC a scambio anionico con detector amperometrico pulsato (HPAEC-PAD). Lattosio, galattosio e glucosio presenti vengono quantificati con il metodo dello standard esterno. Il metodo ha un limite di rivelabilità (LOD) che varia da un minimo di 0,14 mg/100 g di formaggio per il galattosio, ad un massimo di 0,25 mg/100 g per il lattosio. Il limite di quantificazione (LOQ) varia invece da 0,26 mg/100 g per il glucosio a 0,41 mg/100 g per il lattosio. Il metodo consente quindi di effettuare misurazioni che sono quasi mille volte inferiori al limite indicato dal Ministero della Salute (0,1 g/100 g).

La Figura 13.3 riporta un esempio di cromatogramma di un formaggio a lunga maturazio-ne, ottenuto mediante HPAEC-PAD. Rispetto al sistema cromatografico utilizzato con IR, la cromatografia ionica determina un differente ordine di eluizione dei tre zuccheri, ma una maggiore risoluzione del lattosio e soprattutto una sensibilità decisamente superiore. Le concentrazioni di lattosio, galattosio e glucosio riscontrate nei campioni sono infatti, rispet-tivamente di 0.5, 1,2 e 0,5 mg/100 g.

Figura13.3-ProfiloHPAEC-PADdiunostandard(inblu)ediunformaggioduroalungamaturazione(inrosso).

Questa metodica si è dimostrata altamente precisa ed efficace per i prodotti in cui la ridu-zione degli zuccheri è di origine microbica e quindi agisce non solo sul lattosio, ma anche su glucosio e galattosio. La sua applicazione sui prodotti delattosati con lattasi, la cui azione

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ha quindi ridotto solo il lattosio, trasformandolo in glucosio e galattosio, ha evidenziato qualche problema, proprio per l’elevata concentrazione di questi due zuccheri, che rischia di saturare il detector. In questo caso una semplice diluizione del campione porterebbe al dosaggio dei soli glucosio e galattosio.

L’utilizzo di additivi e conservanti nei prodotti alimentari è regolamentato dai Reg. CE 1333/2008 e Reg. UE 1129/2011. Di seguito vengono riportati alcuni metodi disponibili per la loro rilevazione e quantificazione nei prodotti caseari.

14.1 METODI UFFICIALI

Contenuto in acido benzoico e sorbico

Gli acidi sorbico e benzoico sono utilizzati come conservanti, date le loro proprietà antimi-crobiche.

L’acido sorbico è un acido grasso con sei atomi di carbonio e con due doppi legami (CH3-CH=CH-CH=CH-COOH) e ha attività micostatica e antibatterica. È un prodotto natu-rale contenuto nelle sorbe e in alcune bacche e frutti di bosco.

L’acido benzoico è un acido carbossilico aromatico, con proprietà antifungine e antibatteri-che, che si trova naturalmente nelle resine, nelle bacche e in alcuni animali.

L’“EFSA Panel on Food Additives and Nutrient Sources added to Food” ha stabilito per aci-do sorbico e sorbato di potassio e per acido benzoico e suoi sali (di sodio, potassio e calcio) le DGA (Dose Giornaliera Ammissibile) di 3 mg/kg massa corporea/die (espressa come aci-do sorbico) e 5 mg/kg massa corporea/die (espressa come acido benzoico), rispettivamente (EFSA Journal, 2015 e 2016).

L’acido sorbico e i sorbati e l’acido benzoico e i benzoati sono ammessi nei dessert a base di latte e derivati non trattati termicamente (livello massimo 300 mg/kg come somma dei due acidi). L’acido sorbico e i sorbati sono ammessi nei formaggi non stagionati, nel formaggio stagionato preconfezionato affettato e tagliato (livello massimo 1000 mg/kg), nel formag-gio stagionato come trattamento della superficie (quanto basta), nel formaggio fuso (livello massimo 2000 mg/kg). L’acido benzoico non è ammesso nei formaggi, ma è consentito nel caglio. Inoltre, può essere un prodotto naturale del metabolismo microbico.

Per la loro determinazione nei prodotti caseari il metodo di riferimento è la ISO 9231:2008 “Milk and milk products -- Determination of the benzoic and sorbic acid contents”. Tale metodica si applica a latte, latte in polvere, yogurt e altri latti fermentati, formaggio e formaggio fuso. È adatto alla valutazione del contenuto degli acidi sorbico e benzoico in quantità superiori a 5 mg/kg. Le frazioni lipidica e proteica sono rimosse dal campione me-diante precipitazione con Carrez. Dopo successiva diluizione della soluzione risultante con metanolo, il surnatante è filtrato. Gli acidi benzoico e sorbico sono dosati per HPLC in fase inversa, misurando l’assorbanza a 227 e 250 nm.

Per la preparazione del campione si procede diversamente a seconda della matrice. Si deve poi aggiustare il pH portandolo a valore di 8 con acido solforico. Successivamente si pro-cede alla precipitazione di grasso e proteine, mediante aggiunta di 2 mL di soluzione di Carrez I e Carrez II. Successivamente si aggiunge metanolo e si filtra utilizzando il kit di chiarificazione, dotato di filtri con pori da 0,45 μm. Si procede all’analisi HPLC a tempera-tura ambiente. Insieme al campione si deve iniettare anche un‘uguale quantità di soluzione standard, che consiste in una miscela in acqua e metanolo contenente gli acidi sorbico e benzoico in pari quantità (10 μg/mL). Il contenuto in acido sorbico o benzoico è espresso in mg/kg.

14. UTILIZZO DI ADDITIVI E CONSERVANTI

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Lisozimaneiformaggi

Il lisozima è un enzima di origine naturale, presente nel corpo umano in lacrime e saliva e molto abbondante nell’albume d’uovo. Il suo interesse tecnologico nella produzione del formaggio risiede nel fatto che è un enzima che provoca l’idrolisi dei polisaccaridi che co-stituiscono la parete di numerosi batteri, tra i quali vi sono quelli responsabili del gonfiore tardivo dei formaggi a pasta cotta e dura. Tali microrganismi sono batteri sporigeni che derivano dagli insilati e che contaminano il latte in modo quasi inevitabile. Il disciplinare del Grana Padano permette l’impiego di insilati nell’alimentazione delle bovine e consente anche l’utilizzo di lisozima per limitare l’incidenza del difetto nelle forme. È riportato che “Il contenuto di lisozima nel prodotto finito – ove impiegato in caseificazione – misurato con cromatografia liquida in fase inversa e rilevazione in fluorescenza, deve essere corrispondente alla quantità dichiarata e verificata nel processo di caseificazione” e che è “ ammesso l’uso di lisozi-ma, tranne che per il Trentingrana, fino ad un massimo di 2,5 g per 100 chilogrammi di latte”.

Il metodo per la determinazione del contenuto in lisozima nel formaggio è la ISO 27105:2016 (Milk and cheese -- Determination of hen’s egg white lysozyme content by high performance liquid chromatography). Il metodo è adatto al dosaggio di bassi livelli di lisozima da albume di uovo con un limite di quantificazione pari a 10 mg/kg. Il principio del metodo si basa su una precipitazione isoelettrica a pH 4,3, nel caso del formaggio, e pH 2,2, nel caso del latte, della caseina e delle sieroproteine denaturate. Il lisozima è determina-to in HPLC in fase inversa con rivelatore a fluorescenza, mantenendo la colonna a 50° C.

Pimaricina(natamicina)

La natamicina o pimaricina (E235) è un conservante che viene utilizzato per il trattamen-to superficiale del formaggio per impedire la proliferazione di muffe indesiderate. La sua presenza non dovrebbe essere riscontrata a partire da 5 mm sotto la crosta. L’uso della natamicina nell’Unione Europea è regolamentato dalle seguenti norme: Regolamento CE 1333/2008 e Regolamento UE 1129/2011. Per il controllo del suo contenuto nel for-maggio sono disponibili due metodi ISO-IDF, che differiscono sostanzialmente per il tipo di rivelazione impiegata, lettura spettrometrica (ISO 9233-1:2007) e analisi HPLC (ISO 9233-2:2007).

La preparazione del campione è uguale per entrambi i metodi. Per quanto riguarda la cro-sta, se necessario il campione deve essere tagliato in sezioni o porzioni minori, in modo che la larghezza della crosta non sia superiore a 30 mm. Con apposito strumento si rimuove l’intera parte della crosta da tutte le porzioni in spessore massimo di 5 mm. Dalla crosta rimossa si deve quindi ricavare una porzione rettangolare avente area compresa tra 2 e 4 dm2 sulla quale si deve determinare sia l’area che la massa in kg. L’intera parte di crosta, incluso il pezzo rettangolare ottenuto, deve essere grattugiata. Per la preparazione del campione di formaggio si procede rimuovendo, con apposito strumento, 1 mm di pasta dalla zona più esterna della forma. La parte rimanente viene tagliata in piccoli pezzi di dimensione pari a circa 50 mm2 e successivamente viene accuratamente miscelata.

Ciascun laboratorio deve stabilire i propri limiti di rivelabilità e di quantificazione per veri-ficare che la natamicina possa essere determinata fino a livelli di 0,5 mg/kg e 0,03 mg/dm2.

Nel caso dell’analisi spettrometrica, si misura l’assorbanza nel range 300–340 nm usando come bianco una miscela acqua e metanolo. La determinazione per HPLC impiega una colonna C8 e una fase mobile costituita da metanolo, acqua e acido acetico. Il detector UV è impostato a 303 nm. La quantificazione è effettuata mediante utilizzo di una retta di calibrazione costruita sottoponendo ad analisi soluzioni standard di natamicina a concen-trazione crescente.

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Esametilentetrammina(E239)

In base al Regolamento UE 1129/2011 l’utilizzo di esametilentetrammina è consentito solo nel formaggio Provolone ed è ammessa una dose residua massima di 25 mg/kg, espressa come formaldeide. L’esametilentetrammina in ambiente acido si idrolizza originando aldei-de formica. La metodica, riportata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 184 del 17/7/1972, consiste nella separazione della formaldeide per distillazione in corrente di vapore del campione precedentemente acidificato, successiva reazione con soluzione di aci-do cromotropico in acido solforico e lettura spettrofotometrica a 575 nm. Nel caso si debba esprimere il risultato come esametilentetrammina, si moltiplica il contenuto in formaldeide ottenuto per il fattore 0,778.

Nisina

La nisina è un peptide prodotto da alcuni batteri, come il Lactococcus lactis subsp. lactis. Può essere presente in due forme, A e Z, diverse nella struttura per un amminoacido, e ha un’attività inibente o distruttiva verso altri microrganismi. Pertanto è ampiamente utilizzato come naturale conservante alimentare, ad es. in vegetali, formaggi, carne e cacao. In base al Regolamento UE 1129/2011 i prodotti caseari per cui è consentito l’impiego di nisina sono i formaggi stagionati, i formaggi fusi e, tra quelli freschi, il mascarpone. Il livello massimo ammesso è di 12,5 mg/kg, per i formaggi stagionati e fusi, e 10 mg/kg per il mascarpone. Il metodo di riferimento per la determinazione della sola forma A della nisina è una speci-fica tecnica ISO/TS 27106:2009, dal titolo: Cheese -- Determination of nisin A content by LC-MS and LC-MS-MS. Il metodo ha un limite di quantificazione pari a 1 mg/kg ed è adatto a dosare contenuti bassi di nisina A. Il principio del metodo prevede l’estrazione di un’aliquota di campione di formaggio grattugiato con acido formico a 80° C. Dopo ultracentrifugazione le proteine sono separate mediante passaggio su membrana di ultrafil-trazione. Sull’estratto purificato viene determinata la nisina A attraverso separazione su fase stazionaria polimerica e rivelazione in spettrometria di massa.

14.2 METODI ALTERNATIVI E RAPIDI

La possibilità di analizzare contemporaneamente più molecole applicando una singola me-todica è certamente un grande vantaggio per un laboratorio che svolge attività di controllo. Guarino e coll. (2011) hanno messo a punto un metodo di estrazione e quantificazione di acido sorbico, acido benzoico, natamicina e lisozima mediante HPLC e rivelatore DAD (Diode Array Detector) con un’unica procedura di estrazione e corsa cromatografica. Fuselli e coll. (2012) successivamente hanno realizzato un metodo in LC-MS/MS con interfac-cia ESI per la determinazione contemporanea degli acidi sorbico, benzoico e citrico, nisi-na, esametilentetrammina, lisozima e natamicina in formaggio. Anche Molognoni e coll. (2016) hanno applicato la tecnica LC-MS/MS con interfaccia ESI a crema e formaggio per quantificare natamicina, nisina e acido sorbico.

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