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Focus on line Focus on line anno II Numero 5 giugno 2012 Concorso in magistratura/1: la soluzione del tema di civile L’ipotesi di svolgimento della “traccia”, la normativa di riferimento e la giurisprudenza (Dm 22 settembre 2011 - selezione a 370 posti) di Giulio Veltri www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com

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anno II Numero 5 giugno 2012

Concorso in magistratura/1: la soluzione del tema di civile

L’ipotesi di svolgimento della “traccia”, la normativa di riferimento

e la giurisprudenza (Dm 22 settembre 2011 - selezione a 370 posti)

di Giulio Veltri

www.guidaaldi r i t to. i l so le24ore.com

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SOMMARIO

La traccia

Contratti, il difficile esercizio del giudice tra tutela del “debole” e difesa dell’autonomia

Ipotesi di svolgimento di Giulio Veltri

1. I concetti di proporzionalità ed equità del contratto 2. Il sindacato del giudice sui contratti di diritto comune 3. Il mutamento di prospettiva nei contratti dei consumatori 4 …e nei contratti fra le imprese 5. il dibattito sulle prospettive di sindacato in ordine all’equilibrio nei contratti comuni

A PAGINA 4

La tabella dei riferimenti normativi

Articolo 2, Costituzione Articolo 1372, codice civile (Efficacia del contratto) Articolo 1322, codice civile (Autonomia contrattuale) Articolo 1325, codice civile (Requisiti del contratto) Articoli 1341 e 1342, codice civile (Clausole vessatorie) Articoli 1418-1421, codice civile (Nullità del contratto) Articolo 1447 – 1448, codice civile (rescissione del contratto) Articolo 1467, codice civile (risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta) Articolo 1384, codice civile (Riduzione della penale) Articoli 33 e 37 del Dlgs 6 settembre 2005 n. 206 (Codice del consumo) Dlgs 9 ottobre 2002 n. 231 Legge 18 giugno 1998 n. 192 Legge 10 ottobre 1990 n. 287

A PAGINA 11

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La giurisprudenza

Il giudice può ridurre d’ufficio l’importo della clausola penale

Cassazione, sezioni Unite, 13 settembre 2005 n. 18128

A PAGINA 17

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Contratti, il difficile esercizio del giudice tra tutela del “debole” e difesa dell’autonomia

LA TRACCIA DI CIVILE

Il sindacato del giudice sulla proporzionalità ed equità del contratto con particolare rife-rimento ai contratti dei consumatori ed ai contratti fra le imprese

di Giulio Veltri (Consigliere di Stato)

Ipotesi di svolgimento

1. I concetti di proporzionalità ed equità del contratto Equità e proporzionalità sono attributi che pur evocando assonanze e similitudini, individuano concetti diversi se applicati alle prestazioni contrattuali od in generale all’assetto normativo-economico del contratto.

L’equità richiama parametri sociali precostituiti di equivalenza e giustizia contrattuale che intervengono a colmare lacune contrattuali o pongono un limite all’autonomia contrattuale quando essa si spinga ad individuare meccani-smi sanzionatori o derogatori rispetto all’ordinario sistema di tutela predisposto dal Legislatore.

Essa è dunque sia un criterio di integrazione del contratto (che, a norma dell’articolo 1374 Cc, obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità), sia un criterio di correzione degli effetti del contratto che, predisposti dalle parti, risultino tuttavia concretamente ingiusti (l’articolo 1384 Cc dispone, per es., che la clausola penale può essere diminuita equamente dal giudice se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte, ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento).

La proporzionalità è invece un criterio relazionale fra le prestazioni che si specifica per il tramite di valutazioni di impronta soggettiva dei contraenti che tale relazione instaurano, o di constatazioni oggettive che presuppongono un valore “minimo” di proporzionalità al di là del quale viene meno la stessa relazione.

Un chiaro riferimento al principio di proporzionalità è contenuto nei rimedi conseguenti allo squilibrio del sinal-lagma, genetico o sopravvenuto, nei contratti commutativi[1].

[1] La questione del rapporto di valore che deve sussistere tra le prestazioni cui sono tenute le parti, si pone per i contratti commutativi e non per quelli aleatori.

Sia i contratti commutativi che quelli aleatori appartengono al genus dei contratti a prestazioni corrispettive, intendendosi, con questi ultimi, “tutte le ipotesi in cui il contratto produce a vantaggio di una parte effetti patrimoniali che stanno in posizione

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Segnatamente, nella rescissione, le condizioni “inique” accettate dal contraente a causa dello stato di pericolo o di bisogno sono l’effetto di una violazione del principio di proporzionalità in senso soggettivo (1447 c.c.) od oggettivo (1448 c.c.. cd lesione ultradimidium)[2].

Nella risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (1467 cc), invece, sono gli eventi sopravvenuti a rendere impossibile il rispetto del criterio di proporzione fra le prestazioni, tracciato originariamente dai contraenti sulla ba-se delle proprie valutazioni soggettive di convenienza.

Analoghe considerazioni possono farsi in tema di revisione dei prezzi nell’appalto, o di rettifica del prezzo nella compravendita.

La proporzionalità non è quindi equivalenza, ma relazione fra due prestazioni o fra le complessive posizioni con-trattuali, governata da un criterio fisso individuato dalle parti il cui rispetto si impone ai fini del controllo di validità ed efficacia.

L’ordinamento, com’anzi detto, individua in alcuni casi una relazione minima di oggettiva proporzionalità, ma ciò fa generalmente al fine di controllare la sussistenza, in concreto, della causa del “tipo” contrattuale utilizzato: è il caso del prezzo simbolico nella vendita (cd vendita nummo uno)[3] o del negotium mixtum cum donatione[4].

corrispettiva ad effetti patrimoniali prodotti a vantaggio dell’altra parte”, ossia “attribuzioni patrimoniali corrispettive, indipen-dentemente dal mezzo tecnico con cui vengono realizzate” .

La corrispettività, pertanto, è caratterizzata dal nesso di reciprocità tra le prestazioni o le attribuzioni patrimoniali e coincide con la nozione, elaborata dalla dottrina, di sinallagmaticità o nesso di interdipendenza tra le prestazioni.

Di conseguenza, la causa di tali contratti va individuata proprio nell’esistenza e nell’esecuzione delle reciproche prestazioni, poiché solo in questo modo viene realizzata la funzione economica e sociale del contratto stesso, ossia il soddisfacimento dei diversi interessi dei contraenti.

Nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, si colloca il contratto commutativo, nel quale la valutazione del rispettivo sacrificio, o vantaggio, possa farsi, da ciascuna delle parti, all’atto stesso in cui il contratto si perfeziona, sì che ciascuna sap-pia, in anticipo, quale entità economica il contratto costituisca per essa.

[2] In entrambi i casi sono previsti qualificate condizioni soggettive (pericolo, bisogno, approfittamento) ma mentre nella re-scissione del contratto concluso in stato di pericolo è sufficiente che le pattuizioni si presentino inique, nell’azione generale di rescissione è invece necessario che sperequazione eccede la metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto. Tale soglia quindi costituisce l’iniquità “minima” prevista dal legislatore al di sotto della quale l’azione non è esperibile

[3] La vendita, così come tutti i contratti commutativi, per essere valida ed efficace deve prevedere l’esistenza di “effettive” obbligazioni a carico di entrambi i contraenti; con la conseguenza che, quando viene pattuito per il trasferimento in proprietà del bene un prezzo che sia di entità tale da non poter essere qualificato come corrispettivo, il contratto deve ritenersi nullo per mancanza di uno dei suoi elementi essenziali. Fatto questo che non solo priva la vendita di una delle sue prestazioni determi-nando il venir meno dell’oggetto dell’obbligazione del compratore, ma soprattutto la rende priva di causa in quanto l’accordo negoziale, così come voluto dai paciscenti, non realizza più lo schema del trasferimento in proprietà di un bene a fronte del pa-gamento del suo prezzo. È questa l’ipotesi della cosiddetta vendita “nummo uno”.

Prezzo vile è invece quello che pur discostandosi notevolmente dal valore di mercato conserva comunque il carattere di onero-sità

[4] In ordine all’elevata sproporzione tra le prestazioni si sono contrapposti due indirizzi:

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2. Il sindacato del giudice sui contratti di diritto comune In tali termini intesi proporzionalità ed equità, può dirsi che il giudice nei contratti di diritto comune, ossia non di-sciplinati da norme speciali ispirate a specifiche esigenze di tutela, può operare un sindacato di proporzionalità nei ristretti limiti previsti dalle norme citate (sopravvenienze o stati soggettivi particolarmente qualificati) salva-guardando l’originaria relazione di proporzionalità instaurata dalle parti o dalle stesse instaurabile in condizioni di piena libertà volitiva; può verificare l’equità ossia l’equivalenza alla luce di parametri socialmente giusti solo in funzione integrativa ed interpretativa del carente o equivoco regolamento contrattuale, essendo l’intervento corret-tivo limitato alla sola ipotesi riduzione della clausola penale.

Non è invece predicabile un controllo oggettivo della proporzionalità, né generalizzato dell’equità, poiché ciò con-trasterebbe con l’autonomia negoziale delle parti - libere e sovrane di stabilire le soglie di convenienza o di equili-brio della contrattazione (pacta sunt servanda) - oltre che con i principi di affidamento sulla stabilità dei contratti e di certezza dei traffici giuridici.

Dottrina e giurisprudenza in verità hanno sinergicamente valorizzato la generale clausola di buona fede anche per giustificare un più penetrante controllo delle sproporzioni e delle sperequazioni. Tuttavia, il principio di buona fede è richiamato dal codice nell’ambito delle trattative, in quello dell’interpretazione e dell’esecuzione del contratto, potendosi specificare nei principi di lealtà e salvaguardia contrattuale a presidio da abusi; nessuna norma codicisti-ca, né costituzionale (il riferimento è ovviamente all’articolo 2 Costituzione) sembra autorizzarne la dilatazione si-no a ricomprendervi l’oggettivo equilibrio dell’assetto economico normativo pattuito dalle parti.

Un parallelo e suggestivo tentativo dottrinale è quello di astrarre il controllo di meritevolezza di cui all’articolo 1322 dall’orbita dell’atipicità in cui la norma lo restringe. Anche questa opzione ricostruttiva si scontra tuttavia, oltre che con il dato letterale della norma, soprattutto con l’insuperabile constatazione, alla luce della separazione tra i concetti di tipo e causa, che il giudizio di meritevolezza serve per selezionare i contratti che perseguono interessi degni di pro-tezione giuridica e non per stabilire le modalità attraverso le quali tali interessi sono in concreto realizzati.

3. Il mutamento di prospettiva nei contratti dei consumatori Lo scenario muta quando a venire in rilievo sono i contratti dei consumatori o fra imprese. Qui l’assioma che l’autonomia contrattuale sia di per sé sola sufficiente a realizzare un’equa composizione degli interessi, cade sotto l’obiezione di matrice comunitaria per la quale essa è sufficiente solo ove sussista un certo equilibrio nei rapporti di forza fra i contraenti, sicché ove invece sussistono strutturali asimmetrie fra le parti, il diritto civile ben può assol-vere il compito di favorire il riequilibrio attraverso la previsione di strumenti di tutela.

l’uno nel senso della qualificazione della fattispecie alla stregua di una liberalità indiretta, cui si applicano le regole dello schema negoziale adottato, e per la quale non sono richiesti i requisiti di forma stabiliti per la donazione e l’altro nel senso della configurazione di un contratto misto, applicandosi le norme del tipo contrattuale prevalente e così, ove ne discendesse una qualificazione donativa, l’imposizione dell’onere formale a pena di nullità.

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Coerentemente con la scelta di non interferire con la esplicazione dell’autonomia privata, il legislatore del 1942 ha ri-servato limitato rilievo allo squilibrio giuridico, come si ricava dagli artt. 1341 e 1342 c.c., volti a tutelare il contraente debole nell’ambito dei rapporti contrattuali di mercato mediante la prescrizione di un semplice onere formale.

È solo sotto l’impulso delle direttive comunitarie che la tutela ed il conseguente sindacato del giudice sull’equilibrio economico normativo ha assunto una valenza marcatamente sostanziale, impuntandosi sulla clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli ob-blighi derivanti dal contratto.

Il concetto di squilibrio è molto più affine a quello di equità che a quello di proporzionalità. In esso è ricompresa una valutazione della disparità delle contrapposte posizione contrattuali (professionista da una parte, consumatore dall’altra) alla luce di quelle che invece sarebbero normalmente derivate da una contrattazione fra “pari”, ossia fra soggetti parimenti informati e socialmente dotati della medesima forza contrattuale. Quest’ultimo costituisce il pa-rametro di raffronto; l’asimmetria informativa e la debolezza sociale, le ragioni del sindacato.

Lo squilibrio rilevante rimane tuttavia confinato a quello giuridico non concernente la mera adeguatezza del corri-spettivo dei beni e dei servizi, sempre che tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile. Le clau-sole che ne determinano l’insorgenza sono sanzionate da un regime di nullità protettiva sostanziantesi nell’espunzione giudiziale delle stesse dal contesto contrattuale se e nella misura in cui ne possa derivare un effetto complessivamente e sostanzialmente riequilibrante per il consumatore, salvo che le stesse siano state oggetto di ne-goziazione individuale.

La rilevanza dirimente della negoziazione disvela una modalità di protezione “individuale” del singolo contraente in cui i suoi interessi rimangono comunque affidati alla spendita della propria autonomia negoziale, sindacabile dal giudice solo ove, a cagione della cennata asimmetria egli non abbia avuto margini di negoziazione.

4. …e nei contratti tra le imprese Riflessioni, solo in parte, di analogo tenore, possono riproporsi, in generale, in relazione ai contratti fra imprese.

In questo ambito più che le asimmetrie vengono in rilievo gli interessi del mercato nel quale le iniziative imprendi-toriali operano, ivi compresi quelli della generalità dei consumatori ad un effettiva concorrenza.

Ciò giustifica un sindacato penetrante del giudice sull’equilibrio del contratto, ma parimenti contribuisce a tracciare due nette peculiarità rispetto al modello dei contratti dei consumatori:

a) il contratto non è considerato un momento dell’autodeterminazione individuale, ma piuttosto lo strumento per attuare il sistema concorrenziale, che si ritiene in quanto tale idoneo ad assicurare il progresso collet-tivo, con conseguente perdita della centralità del paradigma contrattuale della libera autodeterminazione;

b) la negoziazione non è di conseguenza dirimente, essendo lo squilibrio derivante dall’abuso sindacabile per la sua sola oggettiva sussistenza;

c) la nullità rilevabile ex officio dal giudice non è di tipo “protettivo” ma generale ed assoluta.

Una pluralità di previsioni normative autorizzano il giudice a sindacare l’equilibrio normativo ed economico del contratto fra imprese.

Si pensi all’articolo 3, 1° comma, lett. a) e c), legge 10 ottobre 1990, n. 287, nella parte in cui autorizza il giudice ad appurare se sussistano “condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose” o “condizioni oggettivamente di-verse per prestazioni equivalenti”, così da determinare ingiustificati svantaggi nella concorrenza.

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O, ancora, alla disciplina dei “ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”, nel cui ambito al giudice è richie-sto di valutare se e quando l’accordo sia “gravemente iniquo” o “abbia come obiettivo principale quello di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore” (così l’articolo 7, 1° comma, Dlgs 9 ottobre 2002, n. 231).

5. Il dibattito sulle prospettive di sindacato in ordine all’equilibrio nei contratti comuni È, tuttavia la fattispecie dell’abuso di dipendenza economica - ove si richiede di apprezzare quando l’esercizio del potere di mercato abbia determinato “un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi” ovvero l’ “imposizione di condi-zioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie” (articolo 9, 1° e 2° comma, l. 18 giugno 1998, n. 192) - ad avere sollecitato riflessioni gravide di conseguenze in termini di teoria generale dei contratti non foss’altro che per l’assonanza della formula normativa rispetto a quella utilizzata dal codice dei consumatori e le condizioni di debolezza contrattuale che caratterizzano uno dei contraenti.

L’avvicinamento delle due fattispecie, operato da una parte della dottrina, proprio sulla base del comune tratto di debolezza contrattuale, ha indotto la stessa a ritenere che anche in questo caso, come in quello dei contratti con in consumatori, prevalgano gli aspetti della libera determinazione individuale, con conseguente omologazione delle tutele anche a mezzo dell’estensione in via interpretativa del regime delle nullità protettive a manutenzione dell’equilibrio contrattuale, tanto da individuare il più ampio genus dei contratti del “soggetto debole”.

L’approccio è foriero di profonde conseguenze.

È questa, in particolare, la via che potrebbe condurre ad un ampliamento del sindacato del giudice in funzione cor-rettiva anche ai contratti comuni, tutte le volte in cui la ragione dello squilibrio sia da ricercare nella patente debo-lezza di uno dei contraenti, similmente a quanto avvenuto in altri ordinamenti (ad es quello tedesco), poiché, in fondo, il regolamento contrattuale è frutto dell’autonomia privata a sua volta sussumibile nel principio di autode-terminazione della persona tutelato dall’articolo 2 della Costituzione, che deve essere salvaguardato non solo dal giudice ma anche e soprattutto dal contraente “forte” che abusa della sua posizione.

Alcuni sembrano trovare indizi in questa direzione nel recente pronunciamento della Cassazione in tema di rile-vabilità d’ufficio dell’abusività della penale e conseguente sua riduzione nell’interesse del debitore, arresto giu-risprudenziale che risponderebbe all’esigenza di garantire un equilibrio degli assetti in gioco, mitigando gli sconfi-namenti dell’autonomia privata oltre i limiti consentiti dalla legge e che dunque si collocherebbe all’interno di un processo evolutivo teso a modificare il tradizionale rapporto tra autonomia negoziale e sindacato giudiziario[5].

[5] Un significativo passaggio di Cassazione, sezioni Unite 13 settembre 2005 n. 18128:

L’articolo 1322 cod. civ. - la cui rubrica è appunto intitolata all'autonomia contrattuale - attribuisce alle parti:

a) il potere di determinare il contenuto del contratto;

b) il potere di concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare.

Nel primo caso l'autonomia delle parti deve svolgersi «nei limiti imposti dalla legge», nel secondo caso la libertà è limitata per il fatto che il contratto deve essere diretto «a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico».

La legge, quindi, nel riconoscere l'autonomia contrattuale delle parti, afferma che essa ha comunque dei limiti.

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L'osservanza del rispetto di tali limiti è demandato al giudice, che non può riconoscere il diritto fatto valere, se esso si fonda su un contratto il cui contenuto non sia conforme alla legge ovvero sia diretto a realizzare interessi che non appaiono meritevoli secondo l'ordinamento giuridico.

L'intervento del giudice in tale casi è indubbiamente esercizio di un potere officioso attribuito dalla legge.

Se nel nostro ordinamento non fosse stato previsto e disciplinato l'istituto della clausola penale e, tuttavia, le parti avessero in-trodotto in un contratto una clausola con tale funzione, il giudice, chiamato a pronunciarsi in ordine ad una domanda di con-danna del debitore al pagamento della penale pattuita per effetto dell'inadempimento, avrebbe dovuto formulare, d'ufficio, un giudizio sulla validità della clausola; giudizio che avrebbe potuto avere esito negativo, ove fosse stato ravvisato un contrasto dell'accordo con principi fondamentali dell'ordinamento, ad esempio per il fatto che la penale doveva essere pagata anche se il danno non sussisteva.

In questo caso vi sarebbe stato un controllo d'ufficio sulla tutelabilità dell'accordo delle parti e, ove, il controllo si fosse conclu-so negativamente la tutela non sarebbe stata accordata.

Nel nostro diritto positivo questo controllo non è necessario perché l'istituto è riconosciuto e disciplinato dalla legge (artt. 1382 e segg. cod. civ.)

Nel disciplinare l'istituto la legge ha ampliato il campo normalmente riservato all'autonomia delle parti, prevedendo per esse la possibilità di predeterminare, in tutto o in parte, l'ammontare del risarcimento del danno dovuto dal debitore inadempiente (se si vuole privilegiare l'aspetto risarcitorio della clausola), ovvero di esonerare il creditore di fornire la prova del danno subito, di costituire un vincolo sollecitatorio a carico del debitore, di porre a carico di quest'ultimo una sanzione per l'inadempimento (se se ne vuole privilegiare l'aspetto sanzionatorio), e ciò in deroga alla disciplina positiva in materia, ad esempio, di onere della prova, di determinazione del risarcimento del danno, della possibilità di istituire sanzioni private.

Tuttavia, la legge, nel momento in cui ha ampliato l'autonomia delle parti, in un campo normalmente riservato alla disciplina positiva, ha riservato al giudice un potere di controllo sul modo in cui le parti hanno fatto uso di questa autonomia.

Così operando, la legge ha in sostanza spostato l'intervento giudiziale, diretto al controllo della conformità del manifestarsi dell'autonomia contrattuale nei limiti in cui essa è consentita, dalla fase formativa dell'accordo - che ha ritenuto comunque va-lido, quale che fosse l'ammontare della penale - alla sua fase attuativa, mediante l'attribuzione al giudice del potere di control-lare che la penale non fosse originariamente manifestamente eccessiva e non lo fosse successivamente divenuta per effetto del parziale adempimento.

Un potere di tal fatta appare concesso in funzione correttiva della volontà delle parti per ricondurre l'accordo ad equità.

Vi sono casi in cui la correzione della volontà delle parti avviene automaticamente, per effetto di una disposizione di legge che ne limita l'autonomia e che sostituisce alla volontà delle parti quella della legge (in tali casi l'accordo delle parti, che non ri-specchia il contenuto tipico previsto dalla legge, non viene dichiarato nullo ma viene modificato mediante la sostituzione della parte non conforme); ve ne sono altri, in cui una inserzione automatica della disciplina legislativa, in sostituzione di quella pat-tizia, non è possibile perché non può essere determinata in anticipo la prestazione dovuta da una delle parti, che quindi non può essere automaticamente inserita nel contratto; in tali casi la misura della prestazione è rimessa al giudice, per evitare che le par-ti utilizzino uno strumento legale per ottenere uno scopo che l'ordinamento non consente ovvero non ritiene meritevole di tute-la, come è reso evidente, proprio in tema di clausola penale, dal fatto che il potere di riduzione è concesso al giudice solo con riferimento ad una penale che non solo sia eccessiva, ma che lo sia «manifestamente», ovvero ad una penale non più giustifi-cabile nella sua originaria determinazione, per effetto del parziale adempimento dell'obbligazione

In tale senso inteso, il potere di controllo appare attribuito al giudice non nell'interesse della parte ma nell'interesse dell'ordi-namento, per evitare che l'autonomia contrattuale travalichi i limiti entro i quali la tutela delle posizioni soggettive delle parti appare meritevole di tutela, anche se ciò non toglie che l'interesse della parte venga alla fine tutelato, ma solo come aspetto ri-flesso della funzione primaria cui assolve la norma.

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La riducibilità d’ufficio della penale rappresenterebbe, dunque, una scelta giudiziale ispirata all’intenzione, ormai costantemente declamata, di proteggere il contraente economicamente più debole dagli abusi del più forte, attra-verso un intervento esterno capace di ristabilire l’equilibrio contrattuale, contaminato dall’eccessivo ammontare della clausola accessoria, similmente a quanto normativamente previsto nell’area del contraente debole e dai prin-cipi uniformi del commercio internazionale i quali prevedono tecniche di invalidazione o di perequazione degli scambi nei casi di contegni prevaricatori o semplicemente utilitaristici a danno di quel contraente che non sia stato in grado di determinare, per asimmetria o debolezza, il desiderato equilibrio della privata pattuizione (cd gross di-sparity dei Principi Unidroit e Lando).

In realtà la tesi prova troppo. La riduzione ex officio della penale opera quale meccanismo ordinario dei contratti comuni - a fronte invece di un meccanismo operante nei contratti dei consumatori basato sulla nullità protettiva del-la relativa clausola - e ciò fa a prescindere dalle eventuali ragioni di debolezza che possano avere indotto uno dei contraenti ad accettarne l’imposizione, in guisa che essa, coerentemente sviluppata, dovrebbe addirittura presentarsi quale avanzato baluardo di una prospettiva in cui gli interventi eteronomi giudiziali sugli squilibri contrattuali, svincolati dalla ricorrenza di cause menomative della libertà decisionale, di carenze volitive o di altre condizioni determinanti asimmetrie contrattuali, perdono il loro carattere di eccezionalità per manifestarsi quale semplice a-spetto del normale controllo che l’ordinamento si riserva sugli atti di autonomia privata.

In tali termini la tesi non può essere accettata. Essa non trova agganci nel codice civile e non li trova, a ben vede-re, neanche nella Costituzione, finendo per infliggere un vulnus al principio di libera determinazione ed a quello pacta sunt servanda, in forza di un superiore principio di equità svincolato da ragione di debolezza, strutturale o transitoria, del contraente.

Può essere affermato allora che il potere concesso al giudice di ridurre la penale si pone come un limite all'autonomia delle parti, posto dalla legge a tutela di un interesse generale, limite non prefissato ma individuato dal giudice di volta in volta, e ri-correndo le condizioni previste dalla norma, con riferimento al principio di equità.

Nota dell’autore Ovviamente le conclusioni sono influenzate dai convincimenti personale del redattore, ben potendosi sostenere con argomenti altrettanto plausibili, la sostenibilità giuridica, a legislazione invariata, di un sindacato maggiormente penetrante, alla luce non solo dei citati arresti giurisprudenziali ma an-che del principio di buona fede. L’elaborato non costituisce, cioè, un contributo dottrinale di tipo ri-costruttivo ma, piuttosto, lo svolgimento del tema assegnato, nel contesto e nei limiti di una prova concorsuale.

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La normativa di riferimento

NORMA TESTO

Costituzione, articolo 2

Principi fondamentali La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Cc, articolo 1372

Efficacia del contratto

Il contratto ha forza di legge tra le parti [c.c. 1374, 1415]. Non può essere sciolto che per mutuo consenso [c.c. 1321] o per cause ammesse dalla legge [c.c. 1453, 1671, 2227] (1).

Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge [c.c. 1239, 1300, 1301, 1411, 1445].

(1) Vedi l’art. 72, L. fall. (R.D. 16 marzo 1942, n. 267).

Cc, articolo 1322

Autonomia contrattuale

Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge [e dalle norme corporative] [Cost. 41; preleggi 5; c.c. 1321] (1).

Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una di-sciplina particolare [c.c. 1323], purché siano diretti a realizzare interessi [c.c. 1411] me-ritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico [c.c. 1343, 2035].

(1) Le norme corporative sono state abrogate, quali fonti di diritto, per effetto della soppressione dell’ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 369.

Cc, Art 1325 Indicazione dei requisiti

I requisiti del contratto sono:

1) l’accordo delle parti [c.c. 1326];

2) la causa [c.c. 1343];

3) l’oggetto [c.c. 1346];

4) la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità [c.c. 1350, 1351, 1352].

Cc, articolo 1418

Cause di nullità del contratto

Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative [c.c. 1352, 1422, 1462, 2331, 2332], salvo che la legge disponga diversamente [c.c. 1876].

Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’articolo 1325, l’illiceità della causa [c.c. 1343, 1344], l’illiceità dei motivi nel caso indicato

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dall’articolo 1345 e la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’articolo 1346.

Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge [c.c. 162, 458, 771, 778-781, 785, 786, 788, 794, 1338, 1341, 1349, 1350] [c.c. 1354, 1355, 1471, n. 2, 1472, 1894, 1895, 1904, 1963, 1972] (1).

(1) La disciplina legislativa dei trasferimenti immobiliari effettuati con scritture private non registrate ha formato oggetto di una normativa di carattere eccezionale di cui al D.Lgs.Lgt. 20 marzo 1945, n. 212, e alla L. 26 gennaio 1952, n. 29. Vedi, per l’imposta di registro, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.

Cc, articolo 1419

Nullità parziale

La nullità parziale [c.c. 771] di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità [c.c. 1354, 1363, 1430].

La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative [c.c. 1339, 1500, 1501, 1679, 1815, 1932, 1972, 2066, 2077, 2115].

Cc, articolo 1420

Nullità nel contratto plurilaterale

Nei contratti con più di due parti [c.c. 1321], in cui le prestazioni di ciascuna sono diret-te al conseguimento di uno scopo comune, la nullità che colpisce il vincolo di una sola delle parti non importa nullità del contratto, salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale [c.c. 1446, 1459, 1466].

Cc, articolo 1421

Legittimazione all’azione di nullità

Salvo diverse disposizioni di legge [c.c. 1903], la nullità [c.c. 2379] può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse [c.c. 779, 1174, 1411] e può essere rilevata d’ufficio dal giudice

Cc, articolo 1341

Condizioni generali di contratto

Le condizioni generali di contratto [c.c. 1342, 2211] predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto [c.c. 1326, 1679] questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria di-ligenza [c.c. 1176, 1370, 1932].

In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di re-sponsabilità [c.c. 1229], facoltà di recedere dal contratto [c.c. 1373] o di sospenderne l’esecuzione [c.c. 1461], ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze [c.c. 2965], limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni [c.c. 1462], restrizioni alla li-bertà contrattuale nei rapporti coi terzi [c.c. 1379, 1566, 2596], tacita proroga o rinno-vazione del contratto, clausole compromissorie [c.p.c. 808] o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria [c.c. 1469-bis; c.p.c. 6, 28, 29, 30].

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Cc, articolo 1342

Contratto concluso mediante moduli o formulari

Nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari [c.c. 1370], pre-disposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, le clauso-le aggiunte al modulo o al formulario prevalgono su quelle del modulo o del formulario qualora siano incompatibili con esse, anche se queste ultime non sono state cancellate [c.c. 1469-bis].

Si osserva inoltre la disposizione del secondo comma dell’articolo precedente [c.c. 1341].

Cc, articolo 1347

Possibilità sopravvenuta dell’oggetto

Il contratto sottoposto a condizione sospensiva [c.c. 1353] o a termine [c.c. 1184, 1185] è valido, se la prestazione inizialmente impossibile diviene possibile prima dell’avveramento della condizione o della scadenza del termine [c.c. 1354, 1465].

Cc, articolo 1348

Cose future

La prestazione di cose future può essere dedotta in contratto [c.c. 1472], salvi i partico-lari divieti della legge [c.c. 179, 458, 771, 820, 2823].

Cc, articolo 1467

Contratto con prestazioni corrispettive

Nei contratti a esecuzione continuata o periodica [c.c. 1360, 1373, 1458] ovvero a ese-cuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale pre-stazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458 [c.c. 1879] (1).

La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto.

La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto [c.c. 1450, 1469, 1623, 1664].

(1) Vedi l’art. 168 disp. att. c.c.

Cc, articolo 1384

Riduzione della penale (1)

La penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all’interesse [c.c. 1174, 1255, 1256, 1322, 1379, 1411, 1421, 1457, 1464] che il creditore aveva all’adempimento [c.c. 1181, 1526] .

(1) Vedi l’art. 163 disp. att. c.c.

Dlgs 206/2005, articolo 33

Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore

In vigore dal 14 dicembre 2007

1. Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessato-

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rie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.

2. Si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di:

a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista (1);

b) escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professioni-sta o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento ine-satto da parte del professionista;

c) escludere o limitare l’opportunità da parte del consumatore della compensazione di un debito nei confronti del professionista con un credito vantato nei confronti di quest’ultimo;

d) prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l’esecuzione della presta-zione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà;

e) consentire al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumato-re se quest’ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest’ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere;

f) imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro tito-lo equivalente d’importo manifestamente eccessivo;

g) riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto, nonché consentire al professionista di trattenere anche solo in parte la somma versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora a-dempiute, quando sia il professionista a recedere dal contratto;

h) consentire al professionista di recedere da contratti a tempo indeterminato senza un ragionevole preavviso, tranne nel caso di giusta causa;

i) stabilire un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione;

l) prevedere l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto;

m) consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato mo-tivo indicato nel contratto stesso;

n) stabilire che il prezzo dei beni o dei servizi sia determinato al momento della conse-gna o della prestazione;

o) consentire al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il

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consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quel-lo originariamente convenuto;

p) riservare al professionista il potere di accertare la conformità del bene venduto o del servizio prestato a quello previsto nel contratto o conferirgli il diritto esclusivo d’interpretare una clausola qualsiasi del contratto;

q) limitare la responsabilità del professionista rispetto alle obbligazioni derivanti dai contratti stipulati in suo nome dai mandatari o subordinare l’adempimento delle suddet-te obbligazioni al rispetto di particolari formalità;

r) limitare o escludere l’opponibilità dell’eccezione d’inadempimento da parte del con-sumatore;

s) consentire al professionista di sostituire a sè un terzo nei rapporti derivanti dal con-tratto, anche nel caso di preventivo consenso del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei diritti di quest’ultimo;

t) sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre ecce-zioni, deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrat-tuale nei rapporti con i terzi;

u) stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore;

v) prevedere l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo come subordinati ad una condizione sospensiva dipendente dalla mera volontà del professionista a fronte di un’obbligazione immediatamente efficace del consumatore. E’ fatto salvo il disposto dell’articolo 1355 del codice civile.

3. Se il contratto ha ad oggetto la prestazione di servizi finanziari a tempo indeterminato il professionista può, in deroga alle lettere h) e m) del comma 2:

a) recedere, qualora vi sia un giustificato motivo, senza preavviso, dandone immediata comunicazione al consumatore;

b) modificare, qualora sussista un giustificato motivo, le condizioni del contratto, pre-avvisando entro un congruo termine il consumatore, che ha diritto di recedere dal con-tratto.

4. Se il contratto ha ad oggetto la prestazione di servizi finanziari il professionista può modificare, senza preavviso, sempreché vi sia un giustificato motivo in deroga alle let-tere n) e o) del comma 2, il tasso di interesse o l’importo di qualunque altro onere rela-tivo alla prestazione finanziaria originariamente convenuti, dandone immediata comu-nicazione al consumatore che ha diritto di recedere dal contratto.

5. Le lettere h), m), n) e o) del comma 2 non si applicano ai contratti aventi ad oggetto valori mobiliari, strumenti finanziari ed altri prodotti o servizi il cui prezzo è collegato alle fluttuazioni di un corso e di un indice di borsa o di un tasso di mercato finanziario

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non controllato dal professionista, nonché la compravendita di valuta estera, di assegni di viaggio o di vaglia postali internazionali emessi in valuta estera.

6. Le lettere n) e o) del comma 2 non si applicano alle clausole di indicizzazione dei prezzi, ove consentite dalla legge, a condizione che le modalità di variazione siano e-spressamente descritte.

(1) Lettera modificata dall’art. 5, comma 1, D.Lgs. 23 ottobre 2007, n. 221.

Dlgs 206/2005, articolo 37

Azione inibitoria

In vigore dal 23 ottobre 2005 1. Le associazioni rappresentative dei consumatori, di cui all’articolo 137, le associa-zioni rappresentative dei professionisti e le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, possono convenire in giudizio il professionista o l’associazione di profes-sionisti che utilizzano, o che raccomandano l’utilizzo di condizioni generali di contratto e richiedere al giudice competente che inibisca l’uso delle condizioni di cui sia accertata l’abusività ai sensi del presente titolo.

2. L’inibitoria può essere concessa, quando ricorrono giusti motivi di urgenza, ai sensi degli articoli 669-bis e seguenti del codice di procedura civile.

3. Il giudice può ordinare che il provvedimento sia pubblicato in uno o più giornali, di cui uno almeno a diffusione nazionale.

4. Per quanto non previsto dal presente articolo, alle azioni inibitorie esercitate dalle as-sociazioni dei consumatori di cui al comma 1, si applicano le disposizioni dell’articolo 140.

Legge 18 giugno 1998, n. 192

Disciplina della subfornitura nelle attività produttive.

(Pubblicata nella Gazz. Uff. 22 giugno 1998, n. 143)

Legge 10 otto-bre 1990, n. 287

Norme per la tutela della concorrenza e del mercato.

(Pubblicata nella Gazz. Uff. 13 ottobre 1990, n. 240)

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Il giudice può ridurre d’ufficiol’importo della clausola penale

LA MASSIMAn Contratti in genere - Potere del giudice di riduzione della clausola penale -

D’ufficio - Ammissibilità. (Cc, articoli 1322, 1382 e 1384)Il potere del giudice di ridurre la penale, previsto dall’articolo 1384 del Cc, puòessere esercitato d’ufficio, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamenteeccessiva, sia con riferimento all’ipotesi in cui la riduzione avvenga perché l’obbli-gazione principale è stata in parte eseguita, giacché in quest’ultimo caso, lamancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione della penale in casodi adempimento di parte dell’obbligazione, si traduce comunque in una eccessivi-tà della penale se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta.

Corte di cassazione - Sezioni Unite civili - Sentenza 23 giugno-13 settembre 2005 n. 18128(Presidente Carbone; Relatore Lo Piano; Pm - conforme - Palmieri; Ricorrente Sidoti;

Intimato Condominio di via Ischia di Castro 25 - Roma)

Svolgimento del processoIl condominio di Via Ischia di Castro, in Roma, convennein giudizio, davanti al Giudice di pace, il condominoGaetano Sidoti e ne chiese la condanna al pagamentodella somma di lire 3.562.355, a titolo di sanzione pecu-niaria, dovuta, in base agli artt. 18 e 23 del regolamentocondominiale, per il mancato pagamento di lire1.045.281, dovute per spese di condominio.

Il Sidoti chiese il rigetto della domanda, sostenendoche le clausole del regolamento comportavano l’obbligodi corrispondere un interesse usurario per il ritardatopagamento dei ratei relativi alle spese condominiali e, invia riconvenzionale, chiese che dette clausole fosserodichiarate nulle.

Il Giudice di pace accolse la domanda, osservandoche le norme del regolamento erano legittime ed eranostate liberamente accettate dal Sidoti.

Questi propose appello insistendo perché fossero di-chiarate nulle le norme del regolamento ai sensi dell’art.1815, secondo comma, cod. civ., applicabile in tutte «leconvenzioni di interessi» e «quindi anche in quelle conte-nute in un regolamento condominiale di natura contrat-tuale». Chiese anche che le suddette clausole fosserodichiarate nulle, perché prevedevano che la sanzionefosse applicata per il mancato pagamento dei ratei entroventi giorni dall’approvazione del bilancio preventivo sen-za una formale messa in mora.

Il condominio non si costituì in giudizio.Il Tribunale di Roma respinse l’appello, osservando:– che alla fattispecie in esame non era applicabile il

disposto del secondo comma dell’art. 1815 cod. civ.perché le somme dovute dal condomino, per il caso diritardo nell’adempimento dell’obbligo di corrispondere iratei condominiali, non erano interessi pattuiti per laritardata restituzione di un prestito di denaro, ma eranooggetto di una penale, contenuta nel regolamento dinatura contrattuale debitamente trascritto, con la qualeera pattiziamente determinato il risarcimento dovuto incaso di inadempimento o ritardo nell’adempimento;

– che la penale sarebbe potuta essere diminuita dalgiudice ove il condomino ne avesse fatto richiesta, nonpotendo il giudice provvedere d’ufficio;

– che non era necessaria, al fine della decorrenzadell’obbligo del pagamento della somme dovute a titolodi penale, la messa in mora del condomino, poiché eralo stesso regolamento di condominio a prevedere lamora ex re e che tale previsione era conforme al dispo-sto dell’art. 1219, secondo comma, cod. civ. GaetanoSidoti ha proposto ricorso per la cassazione della suddet-ta sentenza.

Il condominio intimato non ha svolto attività difen-siva.

La causa è stata assegnata alla seconda sezione civiledi questa Corte, che, con ordinanza del 30 marzo 2004,ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l’eventualeassegnazione alle sezioni unite, avendo ravvisato l’esisten-za di un contrasto, all’interno delle sezioni semplici, inordine al potere del giudice di ridurre d’ufficio la penaleai sensi dell’art. 1384 cod. civ. (questione dedotta con ilprimo motivo del ricorso).

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Il Primo Presidente ha assegnato la causa alle sezioni

unite per la risoluzione del contrasto.

Motivi della decisione1. All’esame dei motivi occorre premettere che il

Tribunale ha qualificato come clausola penale la sanzio-ne prevista, negli artt. 18 e 23 nel regolamento di naturacontrattuale, a carico dei condomini inadempienti nelpagamento dei contributi dovuti.

Tale qualificazione non è posta in discussione dalleparti ed anzi il ricorrente su detta qualificazione poggia ilmotivo di ricorso, con il quale denuncia come erronea ladecisione del giudice di merito nella parte in cui hanegato che il giudice possa ridurre d’ufficio la penale.

Pertanto, il ricorso deve essere esaminato da questaCorte sulla base di tale avvenuta qualificazione.

2. È preliminare l’esame del secondo motivo, perchécon esso si deduce la nullità della clausola penale, cosic-ché se la censura fosse fondata cadrebbe la necessità diesaminare il primo motivo, con il quale la sentenzaimpugnata è censurata, invece, per avere negato il poteredel giudice di ridurre la penale in assenza di una richie-sta di parte.

3. Con il secondo motivo si denuncia: Violazione ederronea applicazione dell’art. 1815, secondo comma,cod. civ. e difetto di motivazione in relazione all’art. 360nn. 3 e 5 cod. proc. civ.

Si deduce che - non contestata l’usurarietà del tassodi interesse previsto nella penale - «da c.d. funzionecalmieratrice prevista dall’art. 1815 cod. civ., come mo-dificato dalla legge 7 marzo 1996 n. 108, trova applica-zione sempre, allorquando ricorra nel contratto un van-taggio usurario, quale che sia il rapporto obbligatoriosottostante, creandosi in caso contrario una indebitasperequazione nel trattamento delle clausole penali edelle clausole fissanti tassi di interessi moratori, chealtro non sono che una sanzione per il mancato paga-mento nei tempi stabiliti della obbligazione pecuniaria».

4. La censura è infondata.Il ricorrente, sostanzialmente, invoca l’applicazione

dei criteri fissati dalla legge 7 marzo 1996 n. 108 perattribuire carattere usurario alla somma dovuta in forzadella penale pattuita.

Senonché - a prescindere da ogni altro rilievo inordine alla esattezza o meno della tesi prospettata - ilricorrente non considera che i criteri fissati dalla leggen. 108 del 1996, per la determinazione del carattereusurario degli interessi, non trovano applicazione conriguardo alle pattuizioni anteriori all’entrata in vigoredella stessa legge, come emerge dalla norma di interpre-tazione autentica contenuta nell’art. 1, primo comma,d.l. 29 dicembre 2000 n. 394 (convertito, con modifica-zioni, nella L. 28 febbraio 2001 n. 24), norma ricono-sciuta non in contrasto con la Costituzione con sentenza

n. 29 del 2002 Corte cost. (principio ripetutamente affer-mato da questa Corte: v., tra le più recenti, Cass. 25marzo 2003 n. 4380; Cass. 13 dicembre 2002 n. 17813;Cass. 24 settembre 2002 n. 13868).

Ora poiché, come è pacifico, la convenzione allaquale il ricorrente attribuisce natura usuraria, è anterio-re alla entrata in vigore della legge 7 marzo 1996 n. 108,già per questa sola ragione la sua disciplina non le si puòapplicare e pertanto appare superfluo l’esame del proble-ma relativo alla trasponibilità della disciplina dell’art.1815 cod. civ. ad una clausola, come quella oggettodella presente controversia, che trae origine da un rap-porto in cui non è identificabile una causa di finanzia-mento.

5. Con il primo motivo del ricorso si denuncia: Viola-zione ed erronea applicazione degli artt. 1382 e 1384,cod. civ. - Difetto di motivazione. Il tutto in relazioneall’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.

Si deduce l’erroneità dell’assunto del Tribunale inordine alla ritenuta non riducibilità d’ufficio della penalee si richiama a sostegno della censura la sentenza n.10511/99 di questa Corte.

6. La censura pone il problema se il potere di ridur-re la penale, conferito al giudice dall’art. 1384 cod. civ.,possa essere esercitato d’ufficio ovvero se sia necessariala domanda o la eccezione della parte tenuta al paga-mento.

6.1. Il dato normativo, come detto, è costituito dal-l’art. 1384 cod. civ. secondo cui «La penale può esserediminuita equamente dal giudice, se l’obbligazione prin-cipale è stata eseguita in parte ovvero se l’ammontaredella penale e manifestamente eccessivo, avuto sempreriguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempi-mento».

6.2. Fin dall’entrata in vigore del codice civile del1942, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è stataconcorde nell’affermare che il potere del giudice di ri-durre la penale non può essere esercitato d’ufficio, purmanifestando nell’ambito di questo orientamento, notevo-li oscillazioni in ordine al modo ed ai tempi in cui leparti avrebbero dovuto esercitare il loro riconosciutodovere di sollecitare la pronuncia del giudice, giungen-do, in taluni casi, ma con affermazione poi superatadalla successiva prevalente giurisprudenza, a ritenereche la richiesta di riduzione della penale dovesse ritener-si implicita nell’affermazione di nulla dovere a tale titolo.

Tale orientamento è stato, tuttavia, posto in discussio-ne dalla sentenza n. 10511/99 di questa Corte, la qualeha, invece, ritenuto che la penale possa essere ridotta dalgiudice anche d’ufficio.

Questo nuovo orientamento non ha però trovato se-guito nella successiva giurisprudenza della Corte, che(fatta eccezione per la sentenza n. 8188/03 che ad essosi è adeguata) ha ribadito l’orientamento tradizionale,

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con le sentenze n. 5324/03, n. 8813/03, n. 5691/02, n.14172/00.

6.3. Queste sezioni unite, chiamate a risolvere ilrichiamato contrasto, ritengono di dover confermare ilprincipio affermato dalla sentenza n. 10511/99, cui si èadeguata la sentenza n. 8188/03.

6.4 Non vi è dubbio che la svolta operata dalla senten-za n. 10511/99 è stata influenzata da due concorrentielementi.

Il primo relativo al riscontro nella giurisprudenza,che fino ad allora aveva negato il potere del giudice diridurre d’ufficio la penale, di taluni cedimenti, individua-ti nel fatto che, in alcune delle pronunzie, l’ossequio alprincipio tradizionale appariva solo formale, poiché sigiungeva talvolta a ritenere la domanda di riduzioneimplicita nell’assunto della parte di nulla dovere a titolodi penale ovvero l’eccezione relativa proponibile in ap-pello.

Il secondo fondato sull’osservazione che l’esegesi tra-dizionale non appariva più adeguata alla luce di unarilettura degli istituti codicistici in senso confomativo aiprecetti superiori della Costituzione, individuati nel dove-re di solidarietà nei rapporti intersoggettivi (art. 2Cost.), nell’esistenza di un principio di inesigibilità comelimite alle pretese creditorie (C. cost. n. 19/94), davalutare insieme ai canoni generali di buona fede oggetti-va e di correttezza (artt. 1175, 1337, 1359, 1366, 1375cod.civ.).

6.5. Quanto al primo elemento sopra ricordato, nonv’è dubbio che le variegate posizioni assunte dalla giuri-sprudenza, in ordine ai tempi ed ai modi in cui larichiesta di riduzione della penale debba avvenire ed alleragioni per le quali la stessa possa essere richiesta,denotano quanto meno una debolezza dei fondamentigiuridici sui quali si basa la tesi della non riducibilitàd’ufficio della penale, nonché una implicita contradditto-rietà, individuabile specie in quelle pronunce le qualiaffermano che la norma dell’art. 1384 cod. civ. - cheattribuisce al giudice il potere di diminuire equamente lapenale - non ha la funzione di proteggere il contraenteeconomicamente più debole dallo strapotere del piùforte, bensì mira alla tutela e ricostituzione dell’equili-brio contrattuale, evitando che da un inadempimentoparziale o, comunque, di importanza non enorme, possa-no derivare conseguenze troppo gravi per l’inadempien-te (v. Cass. 6 aprile 1978 n. 1574), ovvero ritengono chela riduzione della penale, per effetto di parziale adempi-mento dell’obbligazione, a norma dell’art. 1384 cod.civ., non integra un diritto del debitore, ma è rimessaall’equa valutazione del giudice, in relazione all’interessedel creditore al tempestivo ed integrale adempimento (v.Cass. 7 luglio 1981 n. 4425).

6.6. Quanto al secondo elemento non può che condi-vidersi la necessità di una lettura della norma di cui

all’art. 1384 cod. civ. che meglio rispecchi l’esigenza ditutela di un interesse oggettivo dell’ordinamento alla lucedei principi costituzionali richiamati.

6.7. Naturalmente una lettura di questo tipo, consenti-ta dal fatto che l’art. 1384 cod. civ. non contiene alcunriferimento ad un’iniziativa della parte rivolta a sollecita-re l’esercizio del potere di riduzione da parte del giudi-ce, non può prescindere dalla necessità di sottoporre avaglio le argornentazioni addotte dalla giurisprudenzache ritiene necessaria quella iniziativa e di verificare nelcontempo se sussistano altre ragioni, che consentanoquella lettura della norma adeguata ai principi costituzio-nali posti bene in luce dalla sentenza n. 10511/99.

6.8. Gli argomenti addotti dalla giurisprudenza chenega il potere del giudice di ridurre d’ufficio la penalesono principalmente tre.

6.8.1. Il primo argomento si fonda sul principiogenerale, al quale l’art. 1384 cod. civ. non deroghereb-be, secondo cui il giudice non può pronunciare se nonnei limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalleparti.

Senonché questo argomento non appare decisivo esembra fondarsi sull’assunto della esistenza di un fattoche è, invece, da dimostrare.

Occorre partire dal testo dell’art. 112 cod. proc. civ.,secondo cui «Il giudice deve pronunciare su tutta ladomanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronun-ciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere propostesoltanto dalle parti».

Ora, il giudice che riduca l’ammontare della penale,al cui pagamento il creditore ha chiesto che il debitoresia condannato, non viola in alcun modo la prima propo-sizione del richiamato art. 112 cod. proc. civ., atteso cheil limite postogli dalla norma è, in linea generale, cheegli non può condannare il debitore ad una sommasuperiore a quella richiesta, mentre può condannarlo alpagamento di una somma inferiore.

Ma l’art. 112 cod. proc. civ. dispone anche che ilgiudice non può pronunciare d’ufficio su eccezioni chepossono essere proposte soltanto dalle parti.

La norma lascia intendere che vi sono, oltre alleeccezioni proponibili soltanto dalle parti, anche eccezio-ni che non lo sono e, in quanto tali, rilevabili d’ufficio.

Se così è, allora, il problema della riducibilità dellapenale non è risolto dall’art. 1 12 cod. proc. civ., madalla risposta al quesito se la riduzione della penale siaoggetto di una eccezione che può essere proposta soltan-to dalla parte.

Nel codice civile sono espressamente individuate va-rie ipotesi di eccezioni proponibili soltanto dalla parte;in via esemplificativa: art. 1242, primo comma, cod. civ.- eccezione di compensazione; art. 1442, comma quarto,cod. civ. - eccezione di annullabilità del contratto, quan-do è prescritta l’azione; art. 1449, secondo comma, cod.

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civ. - eccezione di rescindibilità del contratto, quandol’azione è prescritta; art. 1460, primo comma, cod. civ. -eccezione di inadempimento; art. 1495, terzo comma,cod. civ. - eccezione di garanzia, nella vendita, anche seè prescritta l’azione; art. 1667, terzo comma, cod. civ. -eccezione di garanzia, nell’appalto - anche se l’azione èprescritta; art. 1944, secondo comma, cod. civ. - eccezio-ne di escussione da parte del fideiussore; art. 1947,primo comma, cod. civ. - beneficio della divisione nellafideiussione; art. 2938 cod. civ. - eccezione di prescrizio-ne; art. 2969 cod. civ. - eccezione di decadenza, «salvoche, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità del-le parti, il giudice debba rilevare le cause d’improponibi-lità dell’azione».

L’art. 1384 cod. civ., al contrario delle ipotesi sopraindicate, non fa alcuna menzione della necessità dellaeccezione della parte o, quantomeno, della necessità cheil giudice debba essere sollecitato ad esercitare il poteredi riduzione della penale conferitogli dalla legge.

Il silenzio della norma sul punto non depone certa-mente a favore della tesi secondo cui la riduzione dellapenale debba essere chiesta dalla parte, ma fa propende-re, se mai, a favore della tesi contraria, specie se siguardi ad altre previsioni del codice civile nelle qualil’intervento del giudice è visto in funzione correttiva dellavolontà manifestata dalle parti. (v. Cass. sez. un. 17maggio 1996 n. 4570), che espressamente parla di «fun-zione correttiva» del giudice, non solo nell’ipotesi dellariduzione della penale manifestamente eccessiva (art.1384 cod. civ.), ma anche nei casi di riduzione dell’in-dennità dovuta per la risoluzione della vendita con riser-va di proprietà (art. 1526 cod. civ.) e di riduzione dellaposta di giuoco eccessiva (art. 1934 cod. civ.).

6.8.2. Il secondo argomento addotto è che la riduzio-ne della penale fissata dalle parti è prevista dalla leggecome istituto a tutela degli specifici interessi del debito-re, al quale quindi deve essere rimessa, nell’eserciziodella difesa dei propri diritti, ogni iniziativa al riguardoed ogni consequenziale valutazione della eccessività del-la penale ovvero della sua sopravvenuta onerosità, inrelazione alla parte di esecuzione che il contratto haavuto.

Anche questo argomento si fonda su un dato nondimostrato e cioè che l’istituto della riduzione della pena-le sia predisposto nell’interesse della parte debitrice.

Intanto una affermazione di questo tipo appare con-traddetta dall’osservazione che la penale «può» ma non«deve» essere ridotta dal giudice, avuto riguardo all’inte-resse che il creditore aveva all’adempimento; dal che sidesume che non esiste un diritto del debitore alla riduzio-ne della penale e che il criterio che il giudice deveutilizzare per valutare se una penale sia eccessiva hanatura oggettiva, atteso che non è previsto che il giudicedebba tenere conto della posizione soggettiva del debito-

re e del riflesso che sul suo patrimonio la penale puòavere, ma solo dello squilibrio tra le posizioni delle parti,mentre il riferimento all’interesse del creditore ha la solafunzione di indicare lo strumento per mezzo del qualevalutare se la penale sia manifestamente eccessiva omeno.

Ne discende che, pur sostanziandosi la riduzione del-la penale in un provvedimento che rende in concretomeno onerosa la posizione del debitore e che deve esse-re adottato tenuto conto dell’interesse che il creditoreaveva all’adempimento, il potere di riduzione appareattribuito al giudice non per la tutela dell’interesse dellaparte tenuta al pagamento della penale, ma, piuttosto, atutela di un interesse che lo trascende.

Del resto il nostro ordinamento conosce altri casi incui l’intervento equitativo del giudice pur risolvendosi infavore di una delle parti in contesa non è tuttavia predi-sposto specificamente per la tutela di un suo interesse.

Si pensi all’ipotesi in cui una delle parti abbia chiestoil risarcimento del danno in forma specifica; il giudice,in questo caso, anche se l’esecuzione specifica sia possi-bile, ha tuttavia il potere di disporre che il risarcimentoavvenga per equivalente «se la reintegrazione in formaspecifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore»(art. 2058 cod. civ.).

È un potere che il giudice può esercitare pacificamen-te d’ufficio avuta presente l’obiettiva difficoltà che il debi-tore può incontrare nell’eseguire la prestazione risarcito-ria; la difficoltà, appunto perché obiettiva, non riguardaperò la situazione economica del debitore, ma piuttostol’esecuzione stessa della prestazione, ad esempio quan-do venga a mancare una proporzione tra danno, costo edutilità.

L’onerosità per il debitore viene cioè in rilievo comemetro di giudizio perché il giudice possa effettuare la suavalutazione e non come interesse tutelato dalla norma.

Si pensi ancora al potere attribuito al giudice di liqui-dare il danno con valutazione equitativa se lo stesso nonpuò essere provato nel suo preciso ammontare (art.1226 cod. civ.), pacificamente esercitabile indipendente-mente dalla richiesta delle parti.

Già, quindi, dall’esame critico della giurisprudenzamaggioritaria, emergono elementi per affermare che ilpotere di riduzione della penale è concesso dalla legge algiudice per fini che prescindono dalla tutela dell’interes-se della parte, che al pagamento della penale sia tenutaper effetto del suo inadempimento o ritardato adempi-mento.

6.8.3. Il terzo argomento addotto dalla giurispruden-za prevalente è che il giudice, nell’esercizio dei poteriequitativi diretti alla determinazione dell’oggetto dell’ob-bligazione della clausola, non dispone di altri parametridi giudizio che di quelli dati dai contrapposti interessidelle parti al fine esclusivo di verificare se l’equilibrio

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raggiunto dalle parti stesse, nella preventiva determina-zione delle conseguenze dell’inadempimento, sia equo osia rimasto tale.

Ma anche questo argomento non appare decisivo ovesi consideri che la mancata allegazione (o la impossibili-tà di riscontri negli atti acquisiti) della eccessività dellapenale incide sul piano fattuale dell’accertamento dellasussistenza delle condizioni per la riduzione della penalemedesima, ma non sull’esercizio officioso del potere delgiudice.

In proposito è sufficiente ricordare ciò che accade intema di nullità del contratto, che il giudice può dichiara-re d’ufficio purché risultino dagli atti i presupposti dellanullità medesima (Cass. n. 4062/87), senza che perl’accertamento della nullità occorrano indagini di fattoper le quali manchino gli elementi necessari (Cass. n.1768/86, 4955/85, 985/81), e più di recente Cass. n.1552/04, secondo cui «la rilevabilità d’ufficio della nulli-tà di un contratto prevista dall’art. 1421 cod. civ. noncomporta che il giudice sia obbligato ad un accertamen-to d’ufficio in tal senso, dovendo invece detta nullitàrisultare ex actis, ossia dal materiale probatorio legitti-mamente acquisito al processo, essendo i poteri officiosidel giudice limitati al rilievo della nullità e non intesiperciò ad esonerare la parte dall’onere probatorio gra-vante su di essa», nonché da ultimo Cass. sez. un. 4novembre 2004 n. 21095.

6.8.4. Sembra, quindi, che nessuno dei tre argomen-ti prospettati dalla giurisprudenza maggioritaria sia deci-sivo per la soluzione del quesito oggetto del contrasto,mentre, come in parte anticipato, vi sono argomenti cheappaiono sufficientemente probanti a sostegno della tesifin qui minoritaria, i quali assumono una valenza decisi-va alla luce dei principi costituzionali posti in luce dallasentenza n. 10511/99.

6.9. Poiché nella discussione sull’esistenza del pote-re del giudice di ridurre d’ufficio la penale è stato spessointrodotto il tema dell’autonomia contrattuale è beneprendere le mosse proprio da tale punto.

L’art. 1322 cod. civ. - la cui rubrica è appunto intitola-ta all’autonomia contrattuale - attribuisce alle parti:

a) il potere di determinare il contenuto del contratto;b) il potere di concludere contratti che non apparten-

gono ai tipi aventi una disciplina particolare.Nel primo caso l’autonomia delle parti deve svolgersi

«nei limiti imposti dalla legge» nel secondo caso lalibertà è limitata per il fatto che il contratto deve esserediretto «a realizzare interessi meritevoli di tutela secon-do l’ordinamento giuridico».

La legge, quindi, nel riconoscere l’autonomia contrat-tuale delle parti, afferma che essa ha comunque deilimiti.

L’osservanza del rispetto di tali limiti è demandata algiudice, che non può riconoscere il diritto fatto valere, se

esso si fonda su un contratto il cui contenuto non siaconforme alla legge ovvero sia diretto a realizzare interes-si che non appaiono meritevoli secondo l’ordinamentogiuridico.

L’intervento del giudice in tali casi è indubbiamenteesercizio di un potere officioso attribuito dalla legge.

Se nel nostro ordinamento non fosse stato previsto edisciplinato l’istituto della clausola penale e, tuttavia, leparti avessero introdotto in un contratto una clausolacon tale finzione, il giudice, chiamato a pronunciarsi inordine ad una domanda di condanna del debitore alpagamento della penale pattuita per effetto dell’inadempi-mento, avrebbe dovuto formulare, d’ufficio, un giudiziosulla validità della clausola; giudizio che avrebbe potutoavere esito negativo, ove fosse stato ravvisato un contra-sto dell’accordo con principi fondamentali dell’ordina-mento, ad esempio per il fatto che la penale dovevaessere pagata anche se il danno non sussisteva.

In questo caso vi sarebbe stato un controllo d’ufficiosulla tutelabilità dell’accordo delle parti e, ove, il control-lo si fosse concluso negativamente la tutela non sarebbestata accordata.

Nel nostro diritto positivo questo controllo non ènecessario perché l’istituto è riconosciuto e disciplinatodalla legge (artt. 1382 e segg. cod. civ.).

Nel disciplinare l’istituto la legge ha ampliato il cam-po normalmente riservato all’autonomia delle parti, pre-vedendo per esse la possibilità di predeterminare, intutto o in parte, l’ammontare del risarcimento del dannodovuto dal debitore inadempiente (se si vuole privilegia-re l’aspetto risarcitorio della clausola), ovvero di esone-rare il creditore di fornire la prova del danno subito, dicostituire un vincolo sollecitatorio a carico del debitore,di porre a carico di quest’ultimo una sanzione per l’ina-dempimento (se se ne vuole privilegiare l’aspetto sanzio-natorio), e ciò in deroga alla disciplina positiva in mate-ria, ad esempio, di onere della prova, di determinazionedel risarcimento del danno, della possibilità di istituiresanzioni private.

Tuttavia, la legge, nel momento in cui ha ampliatol’autonomia delle parti, in un campo normalmente riser-vato alla disciplina positiva, ha riservato al giudice unpotere di controllo sul modo in cui le parti hanno fattouso di questa autonomia.

Così operando, la legge ha in sostanza spostato l’inter-vento giudiziale, diretto al controllo della conformità delmanifestarsi dell’autonomia contrattuale nei limiti in cuiessa è consentita, dalla fase formativa dell’accordo - cheha ritenuto comunque valido, quale che fosse l’ammonta-re della penale - alla sua fase attuativa, mediante l’attribu-zione al giudice del potere di controllare che la penalenon fosse originariamente manifestamente eccessiva enon lo fosse successivamente divenuta per effetto delparziale adempimento.

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Un potere di tal fatta appare concesso in funzione

correttiva della volontà delle parti per ricondurre l’accor-do ad equità.

Vi sono casi in cui la correzione della volontà delleparti avviene automaticamente, per effetto di una disposi-zione di legge che ne limita l’autonomia e che sostituiscealla volontà delle parti quella della legge (in tali casil’accordo delle parti, che non rispecchia il contenutotipico previsto dalla legge, non viene dichiarato nullo maviene modificato mediante la sostituzione della parte nonconforme); ve ne sono altri, in cui una inserzione auto-matica della disciplina legislativa, in sostituzione di quel-la pattizia, non è possibile perché non può essere deter-minata in anticipo la prestazione dovuta da una delleparti, che quindi non può essere automaticamente inseri-ta nel contratto; in tali casi la misura della prestazione èrimessa al giudice, per evitare che le parti utilizzino unostrumento legale per ottenere uno scopo che l’ordina-mento non consente ovvero non ritiene meritevole ditutela, come è reso evidente, proprio in tema di clausolapenale, dal fatto che il potere di riduzione è concesso algiudice solo con riferimento ad una penale che non solosia eccessiva, ma che lo sia «manifestamente», ovvero aduna penale non più giustificabile nella sua originariadeterminazione, per effetto del parziale adempimentodell’obbligazione.

In tale senso inteso, il potere di controllo appareattribuito al giudice non nell’interesse della parte manell’interesse dell’ordinamento, per evitare che l’autono-mia contrattuale travalichi i limiti entro i quali la tuteladelle posizioni soggettive delle parti appare meritevole ditutela, anche se ciò non toglie che l’interesse della partevenga alla fine tutelato, ma solo come aspetto riflessodella funzione primaria cui assolve la norma.

Può essere affermato allora che il potere concesso algiudice di ridurre la penale si pone come un limiteall’autonomia delle parti, posto dalla legge a tutela di uninteresse generale, limite non prefissato ma individuatodal giudice di volta in volta, e ricorrendo le condizionipreviste dalla norma, con riferimento al principio diequità.

Se così non fosse, apparirebbe quanto meno singola-re ritenere, sicuramente con riferimento all’ipotesi dipenale manifestamente eccessiva, in presenza di unaclausola valida (si ricordi che è valida la clausola ancor-ché manifestamente eccessiva), che l’esercizio del pote-re del giudice di riduzione della penale debba esserecondizionato alla richiesta della parte, quasi che, a que-sta, fosse riconosciuto uno ius poenitendi, e, quindi lafacoltà di sottrarsi all’adempimento di un’obbligazioneliberamente assunta (quella appunto del pagamento diuna penale che fin dall’origine si manifestava come ecces-siva).

Se si considera che il potere di riduzione della penale

può essere esercitato solo in presenza di una clausolache sia valida (e quindi esente da vizi che ne determininola nullità o l’annullabilità) più coerente appare alloraqualificare detto potere come officioso nel senso sopraspecificato, di riconduzione dell’accordo, frutto dellavolontà liberamente manifestata dalle parti, nei limiti incui esso appare meritevole di ricevere tutela dall’ordina-mento.

Non è privo di significato il fatto che la giurispruden-za, pur affermando la tesi della necessità della domandao eccezione della parte al fine di sollecitare il potere diriduzione affidato al giudice, non ha potuto tuttavia nonriconoscere (come del resto la quasi unanime dottrina)la natura inderogabile della disposizione di cui all’art.1384 cod. civ., attributiva al giudice del potere di ridurrela penale, riconoscendo che essa è posta principalmentea salvaguardia dell’interesse generale, per impedire scon-finamenti oltre determinati limiti di equilibrio contrattua-le (v. in tal senso Cass. 4 febbraio 1960 n. 163 e successi-vamente, in modo conforme circa la natura inderogabiledella norma, Cass. sez. un. 5 dicembre 1977 n. 5261;Cass. 7 agosto 1992 n. 9366; Cass. 29 marzo 1996 n.2909; Cass. 5 novembre 2002 n. 15497 - queste ultimetre in motivazione), in tale modo riconoscendo l’esisten-za dei presupposti per un intervento officioso del giudi-ce, non tanto per la tutela di interessi individuali, mapiuttosto per una finzione correttiva di riequilibrio con-trattuale (se si vuole privilegiare la tesi della naturarisarcitoria della penale) ovvero di adeguatezza dellasanzione (se si vuole privilegiare la tesi della funzionesanzionatoria).

Aspetto quest’ultimo particolarmente sottolineato daCass., 24 aprile 1980 n. 2749, secondo cui il potereconferito al giudice dall’art. 1384 cod. civ. di ridurre lapenale manifestamente eccessiva è fondato sulla necessi-tà di correggere il potere di autonomia privata riducendo-lo nei limiti in cui opera il riconoscimento di essa,mediante l’esercizio di un potere equitativo che ristabili-sca un congruo contemperamento degli interessi con-trapposti, valutando l’interesse del creditore all’adempi-mento, cui ha diritto, tenendosi conto dell’effettiva inci-denza di esso sull’equilibrio delle prestazioni e sullaconcreta situazione contrattuale.

Pare, quindi, a queste sezioni unite, che la letturadella norma interessata, svolta nel quadro dei principigenerali dell’ordinamento e dei principi costituzionaliposti in luce dalla sentenza n. 10511/99, consenta digiungere alla conclusione che il potere del giudice diridurre la penale possa essere esercitato d’ufficio, e ciòsia con riferimento alla penale manifestamente eccessi-va, sia con riferimento all’ipotesi in cui la riduzioneavvenga perché l’obbligazione principale è stata in parteeseguita, giacché in quest’ultimo caso, la mancata previ-sione da parte dei contraenti di una riduzione della

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penale in caso di adempimento di parte dell’obbligazio-ne, si traduce comunque in una eccessività della penalese rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta.

7. È questa lettura della norma che porta ad afferma-re il principio che «il potere di diminuire equamente lapenale, attribuito dall’art. 1384 cod. civ. al giudice, puòessere esercitato anche d’ufficio».

8. In questi termini deve essere accolto il secondomotivo del ricorso con rinvio della causa ad altra sezionedel Tribunale di Roma che si atterrà al principio sopraenunciato.

9. È di conseguenza assorbito il terzo motivo, con ilquale, denunciandosi: Violazione ed erronea applicazio-ne degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e difetto di motivazio-

ne in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., sideduce che in conseguenza della fondatezza delle tesiesposte dal ricorrente le spese del giudizio di merito(primo e secondo grado) sarebbero dovute essere postea carico del condominio.

P.Q.M.La Corte di Cassazione, a sezioni unite, rigetta il

secondo motivo del ricorso, accoglie il primo motivo edichiara assorbito il terzo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione alla cen-sura accolta e rinvia la causa, anche per la regolamen-tazione delle spese di questo giudizio di cassazione,ad altra sezione del Tribunale di Roma.

LA GIURISPRUDENZA RICHIAMATA

Contratti in genere - Clausola penale - In gene-re - Decorrenza - Costituzione in mora - Neces-sità - Esclusione. (Cc, articoli 1219 e 1382)La costituzione in mora ai sensi dell’articolo 1219del Cc non è richiesta in presenza di una clausolapenale per l’adempimento o per il ritardo ai sensidell’articolo 1382 del Cc, per effetto della quale lapenale è automaticamente dovuta a seguito delconcreto verificarsi di detti eventi.n Sezione I, sentenza 24 settembre 1999 n.

10511 - Pres. Grieco; Rel. Morelli; Pm (parz.diff.) Velardi; Ric. E.P. Costruzioni di Ercoli;Res. Patalacci

Contratti in genere - Clausola penale - Riduzio-ne - Istanza di parte - Necessità - Esclusione -Potere d’ufficio - Sussistenza. (Cc, articoli1382 e 1384)Il potere di riduzione a equità della penale, previ-sto dall’articolo 1384 del Cc deve essere esercita-to anche d’ufficio, indipendentemente da un attod’iniziativa del debitore, configurandosi come po-tere-dovere, attribuito al giudice per la realizzazio-ne di un interesse oggettivo dell’ordinamento.n Sezione I, sentenza 24 settembre 1999 n.

10511 - Pres. Grieco; Rel. Morelli; Pm (parz.diff.) Velardi; Ric. E.P. Costruzioni di Ercoli;Res. Patalacci

Contratti in genere - Clausola penale - Riduzio-ne - Istanza della parte interessata - Proposi-zione per la prima volta in appello - Ammissibi-lità - Riducibilità d’ufficio - Esclusione. (Cc,articolo 1384)La domanda di riduzione dell’ammontare della pe-nale può proporsi per la prima volta in appello, maessa deve essere specificamente formulata, nonpotendo ritenersi la stessa compresa in una gene-rica contestazione della penale stessa; ne conse-gue che, in difetto di questo requisito, il giudiced’appello non può operare la riduzione, trattando-si di un potere non esercitabile d’ufficio.n Sezione III, sentenza 4 aprile 2003 n. 5324 -

Pres. Nicastro; Rel. Varrone; Pm (conf.) Uccel-la; Ric. Auto Pippi Srl; Res. Compass Spa

Contratti in genere - Clausola penale - Divietodi cumulo - Configurabilità - Limiti - Penale perinadempimento e penale per ritardo - Cumulo- Ammissibilità - Poteri conseguenti del giudi-ce. (Cc, articoli 1382 e 1383)In tema di contratti, l’articolo 1383 del Cc vieta ilcumulo tra la domanda della prestazione principa-le e quella diretta a ottenere la penale per l’ina-dempimento, ma non esclude che le parti possa-no, nell’ambito della loro autonomia contrattuale,convenire, secondo la previsione dell’articolo1382 del Cc, una penale sia per l’ipotesi di ina-dempimento sia per l’ipotesi di ritardo nell’adempi-mento, e quindi contemplare per lo stesso rappor-to due diverse penali, anche cumulativamente traloro per tali due ipotesi. In tal caso, in presenzacioè di richiesta di risarcimento per il ritardo e perl’inadempimento, il giudice ha il potere, esercitabi-le solo su istanza della parte interessata, di ridur-re a equità la penale, per manifesta eccessività osopravvenuta onerosità.n Sezione II, sentenza 30 maggio 2003 n. 8813 -

Pres. Corona; Rel. Elefante; Pm (conf.) Apice;Ric. Giovangrossi; Res. Incam Srl

Contratti in genere - Clausola penale - Riduzio-ne - Istanza di parte - Necessità - Esclusione -Potere d’ufficio del giudice - Sussistenza. (Cc,articoli 1382 e 1384)Il potere di riduzione a equità della penale di cuiall’articolo 1384 del Cc deve essere esercitato,attesi i valori costituzionali che presiedono all’au-tonomia privata, anche d’ufficio da parte del giudi-ce, indipendentemente da un atto di iniziativa deldebitore, configurandosi esso come potere dove-re riconosciuto al giudicante per la realizzazionedi un interesse oggettivo dell’ordinamento.n Sezione I, sentenza 23 maggio 2003 n. 8188 -

Pres. Losavio; Rel. Berruti; Pm (diff.) De Augu-stinis; Ric. Isra Impianti Srl; Res. Coop. Nuovosviluppo cave Srl

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GUIDA AL DIRITTO ILSOLE 24 ORE N° 5 GIUGNO 2012

Èpossibile per il giudice, in relazione ai potericoncessigli dall’articolo 1384 del Cc, ridurre,d’ufficio, la clausola penale convenzionalmente

stabilita dalle parti, anche in assenza di una specificadomanda da parte del soggetto che sarebbe tenuto alpagamento.

Il principio è stato affermato dalle sezioni Unite dellaCassazione nella sentenza 18128/2005 con la quale que-ste ultime, decidendo una controversia sorta in ordinealla mancata corresponsione di oneri condominiali e allaconseguente applicazione da parte del con-dominio della penale, stabilita nel regola-mento a carico del moroso, hanno supera-to il contrasto formatosi nella giurispru-denza, in sede di legittimità, in ordine allaquestione della possibilità per il giudice diridurre la penale d’ufficio.

La questione - Nella controversia, insede di merito, i giudici avevano rigettatola domanda del soggetto inadempienteche aveva soltanto contestato la nullità del-le clausole del regolamento condominialeche prevedevano la penale, sotto il profiloche queste, a seguito del suo ritardatopagamento, gli imponevano la correspon-sione di un interesse usurario.

Poiché il suddetto condomino non ave-va chiesto che il giudice diminuisse la pe-nale, la questione non veniva affrontata in quella sede;soltanto in occasione del giudizio di legittimità il condo-mino moroso ha lamentato il mancato esercizio da partedel giudice del potere di ridurre d’ufficio la penale exarticolo 1384 del codice civile.

Essendo presente, sul punto, un contrasto di giuri-sprudenza, la questione è approdata alle sezioni Unite.

Queste ultime, pur consapevoli che l’indirizzo larga-mente maggioritario della propria giurisprudenza era diopinione sfavorevole a che il potere di riduzione potesseessere esercitato d’ufficio dal giudice, hanno ritenuto didover seguire l’indirizzo contrario, recentemente forma-tosi (Cassazione 10511/99 e 8188/2003), soprattuttoperché in alcune delle precedenti pronunce l’ossequio alprincipio tradizionale sembrava essere del tutto formale,come quando, ad esempio, si era ritenuto che la doman-da di riduzione fosse implicita nel caso in cui la parteabbia sostenuto di non dovere nulla a titolo di penale, e

poi perché l’indirizzo tradizionale è sembrato non esserepiù adeguato rispetto ai precetti costituzionali individuatinel dovere di solidarietà nei rapporti intersoggettivi, rap-portati ai canoni generali di buona fede e correttezza.

Così il giudice di legittimità, accogliendo la domandadel condomino moroso, ha criticato il primo rilievo cheviene mosso da parte dei fautori dell’indirizzo contrarioa quello ora accolto e cioè che l’interpretazione estensi-va finisce per violare il principio contenuto nell’articolo112 del Cpc secondo il quale il giudice non può pronun-

ciare se non nei limiti della domanda edelle eccezioni sollevate dalle parti.

La motivazione delle sezioni Unite- Secondo la Corte, detta violazione nonsussiste sia perché, mentre non è consenti-to al giudice di condannare il debitore alpagamento di una somma superiore aquella richiesta, il problema non sussistese lo condanna a una somma inferiore, esia perché mentre da un lato il dispostonormativo dell’articolo 112 del Cpc nonfornisce risposta al quesito se debba neces-sariamente provenire dalla parte l’eccezio-ne di riduzione della penale, dall’altro l’ar-ticolo 1384 del Cc non richiede espressa-mente che il giudice debba essere sollecita-to dalla parte a esercitare il potere di ridu-zione conferitogli dalla legge stessa. Il si-

lenzio in argomento deve interpretato, pertanto, a favoredella tesi dell’ammissibilità dell’intervento del giudice infunzione correttiva della volontà manifestata dalle parti,già previsto dall’ordinamento in altri casi, come quelli dicui agli articoli 1526 e 1934 del codice civile.

Le sezioni Unite hanno, quindi, contestato anche l’ar-gomento secondo cui l’istituto della riduzione della pena-le sarebbe stato predisposto a tutela e nell’interesse dellaparte debitrice. Ha ritenuto, infatti, la Corte che se da unlato non esiste un diritto del debitore alla riduzione dellapenale, in quanto il giudice non deve tener conto dell’ef-fetto che la penale può avere sul suo patrimonio, ma solodello squilibrio delle prestazioni delle parti, dall’altro,pur essendo innegabile che detto provvedimento finisceper rendere meno onerosa la posizione del debitore, isupremi giudici hanno ribadito che il potere di riduzionenon è attribuito al giudice per la tutela della parte tenutaal pagamento della penale, bensì dettato per la tutela di

Con l’estensione del favor debitoriscompromessa la finalità dell’istituto

| il commento di Mario Piselli

La clausola penalepuò risultaresvuotata

di contenutoqualora il contraente

inadempienteabbia la ragionevole

certezzache la somma

indicataverrà ridottadal giudice

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un interesse che prescinde da quello della parte. A soste-gno delle proprie argomentazioni la Corte ha ricordatoche, nel caso di risarcimento del danno in forma specifi-ca, il giudice, anche se l’esecuzione specifica è possibile,può disporre che esso avvenga per equivalente quandoquello in forma specifica risulti essere troppo onerosoper il debitore. Altro esempio è previsto dall’articolo1226 del Cc in tema di risarcimento del danno che puòessere liquidato con valutazione equitativa qualora lostesso non venga provato nel suo preciso ammontare, eciò indipendentemente dalla richiesta delle parti.

I limiti dell’autonomia contrattuale - Le sezioniUnite hanno, quindi, affrontato, in conclusione, la que-stione della rilevanza in argomento dell’autonomia con-trattuale, affermando che quest’ultima viene riconosciutadalla legge ma con dei limiti e l’osservanza del rispetto diquesti ultimi viene affidata al giudice il quale ha il poteredi non riconoscere il diritto fatto valere, se questo sifonda su un contratto il cui contenuto nonè conforme alla legge o sia diretto a realiz-zare interessi che non siano meritevoli se-condo l’ordinamento.

Così nel disciplinare l’istituto della clau-sola penale la legge ha previsto la possibili-tà per le parti di predeterminare in tutto oin parte l’ammontare del risarcimento deldanno dovuto dal debitore inadempienteoppure di esonerare il creditore dal forni-re la prova del danno subito, ponendo acarico del debitore una sanzione per l’ina-dempimento, ma ha riservato al giudice ilpotere di controllo del modo con il qualele parti hanno fatto uso dell’autonomia,controllando che la penale non sia origina-riamente manifestamente eccessiva oppu-re che non lo sia a seguito di un parzialeadempimento.

L’intervento del giudice - La correzione della vo-lontà delle parti, pertanto, può avvenire o automatica-mente per effetto di una disposizione di legge che sostitui-sce alla volontà dei contraenti quella della legge, oppure,quando l’inserzione automatica della norma non è possi-bile perché non può essere determinata in anticipo laprestazione dovuta da una delle parti, la misura dellaprestazione viene rimessa al giudice.

In sostanza, secondo la Corte, poiché il potere dicontrollo viene attribuito al giudice non nell’interessedella parte ma nell’interesse dell’ordinamento, al fine dievitare che l’autonomia contrattuale travalichi i limitientro i quali le posizioni soggettive delle parti appaionomeritevoli di tutela, ne consegue che il potere concessoal giudice di ridurre la penale rappresenta un limiteall’autonomia delle parti, posto dalla legge a tutela di uninteresse generale, limite non prefissato ma individuato

dal giudice volta per volta in relazione ai presupposti dilegge e con riferimento al principio di equità. Il sillogi-smo della Corte si chiude, quindi, osservando che, essen-do l’intervento del giudice posto a tutela di un interessegenerale, si deve conseguentemente riconoscere l’esisten-za dei presupposti per il suo intervento d’ufficio.

Le osservazioni - L’indirizzo ora espresso dallesezioni Unite ci induce a effettuare alcune considerazio-ni. La portata di tale interpretazione sembra svuotare dicontenuto l’istituto della clausola penale in quantoespressione tipica dell’autonomia privata.

Se è vero, infatti, che la clausola costituisce un accor-do in forza del quale uno dei contraenti, per il caso diinadempimento o di ritardo nell’adempimento, è tenutoa una prestazione determinata in favore dell’altro, e,quindi, ha uno scopo rafforzativo dell’obbligazione as-sunta, sia essa contrattuale che extracontrattuale, talefinalità potrebbe essere compromessa qualora il contra-

ente inadempiente abbia la ragionevolecertezza che la somma indicata come pena-le verrà poi, indipendentemente dalla suarichiesta, ridotta dal giudice in via equitati-va. La clausola stessa, poi, o è nulla per-ché contra legem, oppure se è valida nonè ben chiaro perché il giudice ne dovreb-be ridurre la portata e con quale criterio.

L’interpretazione dell’articolo 1384 delCc, ora data dalla Corte, poi, sembra rap-presentare un’estensione del favor debito-ris, giacché, se è innegabile che beneficia-rio della riduzione della penale non puòche essere il debitore, seguendo l’interpre-tazione ora abbandonata dalla Corte, egliavrebbe avuto l’onere, ai fini dell’ammissi-bilità della domanda, di specificare le ra-gioni della dedotta eccessività, sia in via di

azione che di eccezione, mentre con l’interpretazioneora data può persino permettersi di essere contumacenel giudizio promosso nei suoi confronti per il pagamen-to della penale.

Non va sottaciuto, quindi, che il potere del giudice didisporre il risarcimento per equivalente in luogo di quel-lo in forma specifica, richiamato a sostegno della tesi oraaccolta, lascia di fatto quantitativamente inalterato il dirit-to del creditore, mentre con la riduzione d’ufficio dellapenale le ragioni del creditore vengono sicuramente aessere penalizzate.

Da ultimo, ci sembra che la riduzione d’ufficio dellapenale non superi il divieto di cui all’articolo 112 del Cpc,giacché se è vero che il giudice può condannare il debito-re al pagamento di una somma inferiore rispetto a quellarichiesta, ciò accade solo in presenza di una prova fornitadal debitore o di un mancato assolvimento dell’onere daparte del creditore, ma non certamente d’ufficio. n

Se è veroche il giudice

può condannareil debitore

al pagamentodi una somma

inferiorea quella richiestaciò dovrebbeaccadere

solo in presenzadi una prova fornita

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