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1 SCUOLA SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA STRUTTURA TERRITORIALE DI FORMAZIONE DECENTRATA DEL DISTRETTO DI MILANO INADEMPIMENTO, ILLECITO E RISARCIMENTO DEL DANNO NEL RAPPORTO DI LAVORO T19010 Data: 22-24 maggio 2019 Responsabili del corso: Francesca Ceroni, Andrea Del Re Esperto formatore: Chiara Colosimo 22 maggio 2019 INFORTUNIO SUL LAVORO E MALATTIA PROFESSIONALE: PROFILI DEFINITORI E CRITERI DISTINTIVI Prof. Giuseppe Ludovico, Università degli Studi di Milano

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SCUOLA SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA STRUTTURA TERRITORIALE DI FORMAZIONE DECENTRATA

DEL DISTRETTO DI MILANO INADEMPIMENTO, ILLECITO E RISARCIMENTO DEL DANNO

NEL RAPPORTO DI LAVORO T19010

Data: 22-24 maggio 2019 Responsabili del corso: Francesca Ceroni, Andrea Del Re

Esperto formatore: Chiara Colosimo

22 maggio 2019 INFORTUNIO SUL LAVORO E MALATTIA PROFESSIONALE: PROFILI DEFINITORI E

CRITERI DISTINTIVI

Prof. Giuseppe Ludovico, Università degli Studi di Milano

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INDICE Artt. 2 e 3 D.P.R. n. 1124 del 1965 p. 3 Art. 10 D.lgs. n. 38 del 2000 p. 4 Rassegna di giurisprudenza p. 5 Cap. III – Giubboni, Ludovico, Rossi, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Cedam, Padova, 2014 p. 31

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DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 30 giugno 1965, n. 1124 Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. (GU n.257 del 13-10-1965 - Suppl. Ordinario )

Capo II Oggetto dell'assicurazione

Art. 2

L'assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un'inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un'inabilità temporanea assoluta che importi l'astensione dal lavoro per più di tre giorni. Agli effetti del presente decreto, è considerata infortunio sul lavoro l'infezione carbonchiosa. Non è invece compreso tra i casi di infortunio sul lavoro l'evento dannoso derivante da infezione malarica, il quale è regolato da disposizioni speciali. Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L'interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. L'uso del velocipede, come definito ai sensi dell'articolo 50 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato. Restano in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall'abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall'uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l'assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida (1) (2) [1] Comma aggiunto dall'articolo 12, comma 1, del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38e successivamente modificato dall'articolo 5, comma 4, della Legge 28 dicembre 2015, n. 221. [2] La Corte costituzionale, con sentenza 4 giugno 1987, n. 226, ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui non comprende tra i casi di infortunio sul lavoro l'evento dannoso derivante da infezione malarica, regolato da disposizioni speciali.

Art. 3 L'assicurazione è altresì obbligatoria per le malattie professionali indicate nella tabella allegato n. 4, le quali siano contratte nell'esercizio e a causa delle lavorazioni specificate nella tabella stessa ed in quanto tali lavorazioni rientrino fra quelle previste nell'art. 1. La tabella predetta può essere modificata o integrata con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, di concerto con il Ministro per la sanità, sentite le organizzazioni sindacali nazionali di categoria maggiormente rappresentative (1). Per le malattie professionali, in quanto nel presente titolo non siano stabilite disposizioni speciali, si applicano quelle concernenti gli infortuni. [1] La Corte costituzionale, con sentenza 18 febbraio 1988, n. 179, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma primo, nella parte in cui non prevede che "l'assicurazione contro le malattie professionali nell'industria è obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro".

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Decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (in Gazz. Uff., 1 marzo, n. 50). - Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell'art. 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144

Art. 10 - Malattie professionali. 1. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, è costituita una commissione scientifica per l'elaborazione e la revisione periodica dell'elenco delle malattie di cui all'art. 139 e delle tabelle di cui agli articoli 3 e 211 del testo unico, composta da non più di quindici componenti in rappresentanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, del Ministero della sanità, del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dell'Istituto superiore della sanità, del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), dell'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro (ISPESL), dell'Istituto italiano di medicina sociale, dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), dell'INAIL, dell'Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA), nonchè delle Aziende sanitarie locali (ASL) su designazione dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Con il medesimo decreto vengono stabilite la composizione e le norme di funzionamento della commissione stessa. 2. Per l'espletamento della sua attività la commissione si può avvalere della collaborazione di istituti ed enti di ricerca. 3. Alla modifica e all'integrazione delle tabelle di cui agli articoli 3 e 211 del testo unico, si fa luogo, su proposta della commissione di cui al comma 1, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, sentite le organizzazioni sindacali nazionali di categoria maggiormente rappresentative. 4. Fermo restando che sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l'origine professionale, l'elenco delle malattie di cui all'art. 139 del testo unico conterrà anche liste di malattie di probabile e di possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione delle tabelle delle malattie professionali di cui agli articoli 3 e 211 del testo unico. Gli aggiornamenti dell'elenco sono effettuati con cadenza annuale con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale su proposta della commissione di cui al comma 1. La trasmissione della copia della denuncia di cui all'art. 139, comma 2, del testo unico e successive modificazioni e integrazioni, è effettuata, oltre che alla azienda sanitaria locale, anche alla sede dell'istituto assicuratore competente per territorio. 5. Ai fini del presente articolo, è istituito, presso la banca dati INAIL, il registro nazionale delle malattie causate dal lavoro ovvero ad esso correlate. Al registro possono accedere, in ragione della specificità di ruolo e competenza e nel rispetto delle disposizioni di cui alla legge 31 dicembre 1996, n. 675 e successive modificazioni ed integrazioni, oltre la commissione di cui al comma 1, le strutture del Servizio sanitario nazionale, le direzioni provinciali del lavoro e gli altri soggetti pubblici cui, per legge o regolamento, sono attribuiti compiti in materia di protezione della salute e di sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro.

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Sulla nozione di occasione di lavoro: Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n.12325 del 18 settembre 2000 – Pres. Trezza V.– Rel. Foglia R. - PM (diff.) Palmieri R. – Ric. Mazzero – Res. Inail In tema di occasione di lavoro cio' che e' rilevante, ai sensi dell'art. 2 del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, per la sussistenza del diritto alla tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro e' il nesso di causalita' tra l'attivita' lavorativa ed il sinistro, condizionante l'indennizzabilita' dell'infortunio subito dal lavoratore. Tale nesso presuppone non tanto una mera correlazione cronologica e topografica, o un collegamento marginale, tra prestazione di lavoro ed evento dannoso, ma richiede che questo evento dipenda dal rischio specifico (proprio) insito nello svolgimento delle mansioni tipiche del lavoro affidato, ovvero dal rischio, pur sempre specifico (ma improprio), insito in attivita' accessorie ma immediatamente e necessariamente connesse, o strumentali, allo svolgimento di quelle mansioni. Ove sussista la suddetta obiettiva connessione tra attivita' lavorativa ed infortunio, non rileva l'eventuale comportamento colposo dell'infortunato (che in ipotesi avrebbe potuto evitare, o ridurre nelle conseguenze, il sinistro con un comportamento improntato a maggiore prudenza, diligenza o attenzione), mentre invece un comportamento doloso o la sussistenza di un rischio elettivo escludono la tutela assicurativa. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso che potesse essere considerata inerente all'esecuzione del lavoro la condotta dell'assicurato, titolare di un'impresa artigiana, consistente nell'avere bruciato residui di produzione o rifiuti di cantiere utilizzando liquido infiammabile ed aveva, pertanto ritenuto ascrivibili a rischio elettivo, le ustioni che ne erano derivate e che avevano determinato il decesso dell'assicurato). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n.13447 del 9 ottobre 2000 - Pres. Ianniruberto G. - Rel. De Matteis A. - PM. (Conf.) Gambardella V. – Ric. Mattalia – Res. INAIL Nella nozione di occasione di lavoro, di cui all'art. 2 d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, rientrano tutti i fatti, anche straordinari e imprevedibili, inerenti all'ambiente, alle macchine e alle persone, sia dei colleghi, sia di terzi, ed anche dello stesso infortunato, attinenti alle condizioni oggettive e storiche della prestazione lavorativa presupposto dell'obbligo assicurativo, ivi compresi gli spostamenti spaziali del lavoratore assicurato, funzionali allo svolgimento della prestazione lavorativa, con l'unico limite in quest'ultimo caso del rischio elettivo (nella specie, la sentenza di merito, cassata dalla S.C., aveva escluso l'indennizzabilita' dell'infortunio occorso ad un'impiegata della P.A. addetta al video - terminale che, spostandosi da un ufficio all'altro della sede di lavoro recando con se' un faldone da utilizzare per la sua attivita', era scivolata e caduta in terra riportando una frattura ossea). Cassazione Sezione Lavoro - Sentenza n.14464 del 7 novembre 2000 – Pres.Ianniruberto G. – Rel.Vigolo L. – P.M. (conf.) Gambardella V. – Ric.Soffella – Res.Inail Nella nozione di occasione di lavoro di cui all'art. 2 d.P.R. n. 1124 del 1965 rientrano tutti i fatti, anche straordinari ed imprevedibili, inerenti all'ambiente, alle macchine o alle persone, sia dei colleghi, sia dei terzi ed anche dello stesso infortunato o comunque attinenti alle condizioni oggettive e storiche della prestazione lavorativa presupposto dell'obbligo assicurativo, ivi compresi gli spostamenti spaziali del lavoratore assicurato, funzionali allo svolgimento della prestazione lavorativa, con l'unico limite del rischio elettivo. (Nella specie la S.C. ha cassato la pronuncia di merito che aveva ritenuto che non sussistesse il requisito dell'occasione di lavoro - e quindi l'indennizzabilita' dell'infortunio - in un caso in cui il lavoratore aveva subito un incidente stradale spostandosi tra due sedi diverse del datore di lavoro).

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Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n.253 del 10 gennaio 2001 - Pres. Mileo V. - Rel. Lamorgese A. - PM. (Conf.) Fedeli M. – Ric. Mariotti – Res. INAIL L'occasione di lavoro che, a norma dell'art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, condiziona l'indennizzabilita' dell'infortunio sul lavoro, e' ravvisabile non solo nelle ipotesi di rischio specifico proprio della prestazione di lavoro, ma anche quando si concretizza in un rischio cosiddetto improprio, il quale cioe', seppur non intrinsecamente connesso allo svolgimento tipico del lavoro svolto dal dipendente, sia comunque insito in un'attivita' prodromica o strumentale allo svolgimento delle mansioni. In particolare quindi l'occasione di lavoro e' configurabile in caso di incidente occorso durante la deambulazione all'interno del luogo di lavoro, compreso il percorso compiuto per raggiungere il proprio posto di lavoro all'inizio della giornata lavorativa, come confermato dalla ormai espressamente prevista indennizzabilita' degli infortuni occorsi durante i normali percorsi abitazione - posto di lavoro e, a certe condizioni, posto di lavoro - luogo di consumazione dei pasti (modifica degli artt. 2 e 210 del d.P.R. n. 1124 del 1965, introdotta dall'art. 12 del D.Lgs. n. 38 del 2000). (Nella specie un dipendente di un ospedale era inciampato su una catenella posta all'interno dell'area ospedaliera mentre, dopo avere parcheggiato l'autovettura, si accingeva a raggiungere il suo reparto). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n.2117 del 14 febbraio 2001 - Pres. Santojanni MD. - Rel. Balletti B. - PM. (Parz.diff.) Fedeli M. - Ric. Canu - Res. Inail L'indennizzabilita' dell'infortunio sul lavoro subito dall'assicurato sussiste anche nell'ipotesi di rischio improprio, non intrinsecamente connesso, cioe', allo svolgimento delle mansioni tipiche del lavoro prestato, ma insito in un'attivita' prodromica e strumentale allo svolgimento delle suddette mansioni, a nulla rilevando l'eventuale carattere meramente occasionale di detto rischio, atteso che e' estraneo alla nozione legislativa di occasione di lavoro il carattere di normalita' o tipicita' del rischio protetto (nella specie, la S.C. ha riformato la sentenza di merito, che aveva respinto - per mancanza di nesso causale con l'attivita' lavorativa - la domanda di rendita proposta da un agricoltore, infortunatosi nell'aprire il cancello di accesso al mercato ortofrutticolo ove era posto il sito di vendita dei prodotti da lui coltivati). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 9556 del 13 luglio 2001 - Pres. Ianniruberto G. - Rel. De Renzis A. - PM. (conf.) Buonajuto A. - Ric. Inail - Res. Carniel L'occasione di lavoro che, a norma dell'art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, condiziona l'indennizzabilita' dell'infortunio sul lavoro, e' ravvisabile non solo nelle ipotesi di rischio specifico proprio della prestazione di lavoro, ma anche quando si concretizza un rischio cosiddetto improprio, che cioe', seppur non intrinsecamente connesso allo svolgimento tipico del lavoro svolto dal dipendente, sia comunque insito in un'attivita' prodromica o strumentale allo svolgimento delle mansioni. (Fattispecie relativa a lavoratore scivolato sulle scale mentre si recava nella palestra dell'edificio scolastico presso il quale prestava servizio come bidello per effettuare lavori di pulizia). Cassazione Sezione Lavoro - Sentenza n. 190 del 9 gennaio 2002 – Pres. Spano' A. - Rel. De Matteis A. - PM. Napoletano G (conf.) - Ric. Inail - Res. Andretto Nella nozione di occasione di lavoro, di cui all'art. 2 d.P.R. n. 1124 del 1965, rientrano tutti i fatti, anche straordinari e imprevedibili, inerenti all'ambiente, alle macchine e alle persone, sia dei colleghi, sia di terzi, ed anche dello stesso infortunato, attinenti alle condizioni oggettive e storiche della prestazione lavorativa presupposto dell'obbligo assicurativo, ivi compresi gli spostamenti spaziali del lavoratore assicurato, funzionali allo svolgimento della prestazione lavorativa, con l'unico limite in quest'ultimo caso del rischio elettivo (fattispecie relativa ad artigiana con attivita' di

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produzione e vendita di manufatti scivolata accidentalmente mentre attendeva al proprio lavoro durante un'esposizione dei propri prodotti). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 2942 del 27 febbraio 2002 - Pres. Genghini M. - Rel. D'Agostino G. - PM. Destro C. (diff.) - Ric. Monaco - Res. INAIL Ai fini dell’indennizzabilità dell'infortunio subito dall'assicurato, per <<occasione di lavoro>> devono intendersi tutte le condizioni, comprese quelle ambientali e socio - economiche, in cui l'attivita' lavorativa si svolge e nelle quali e' insito un rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che tale danno provenga dall'apparato produttivo o dipenda da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore, col solo limite, in quest'ultimo caso, del c.d. rischio elettivo, ossia derivante da una scelta volontaria del lavoratore diretta a soddisfare esigenze personali (nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva escluso l'occasione di lavoro nel caso dell'uccisione del custode di un cimitero, mentre si trovava al lavoro, senza valutare, sulla base delle prove acquisite, la sussistenza di un rischio improprio connesso alla particolare situazione socio - ambientale in cui la prestazione lavorativa era svolta). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 15765 del 9 novembre 2002 - Pres. Senese S. - Rel. Filadoro C. - PM. Sorrentino F (Parz. Diff.) - Ric. Fosca - Res. INAIL In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ricorre l'occasione di lavoro - costituente requisito di indennizzabilita' dell'infortunio - solo quando esista uno specifico collegamento tra l'evento lesivo e l'attivita' di lavoro, per cui non e' sufficiente, ai fini dell'indennizzabilita', il rischio comune e generico connesso all'attivita' di spostamento spaziale, ma occorre il rischio specifico insito nello svolgimento delle mansioni tipiche del lavoro affidato, o anche il rischio insito in attivita' accessorie, qualora queste siano immediatamente e necessariamente connesse e strumentali allo svolgimento di quelle mansioni, e quindi funzionalmente collegato all'attivita' lavorativa. Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 6431 del 25 marzo 2005 - Pres. Sciarelli G. - Rel. Filadoro C. - PM. Abbritti P (Conf.) - Ric. Gaddette ed altro - Res. Inail L'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, in attuazione dell'art. 38 Cost., da' rilievo non gia', restrittivamente, al cosiddetto rischio professionale, come tradizionalmente inteso, ma a tutti gli infortuni in stretto rapporto di connessione con l'attivita' protetta. Ne consegue che, con riferimento agli artigiani, tale assicurazione copre anche le operazioni complementari e sussidiarie espletate al di fuori dei locali ove si svolge l' attivita' artigianale, tra le quali non puo' non ricomprendersi quella di approvvigionamento dei pezzi di ricambio dei macchinari utilizzati. Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 1718 del 27 gennaio 2006 – Pres. Mileo V. – Rel. Capitanio N. – Ric. Monte – Res. Inail Ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio subito dall’assicurato, non è sufficiente che l’attività lavorativa abbia determinato in capo al lavoratore un rischio generico ossia un rischio al quale il lavoratore soggiace al pari di tutti gli altri cittadini indipendentemente dall’attività lavorativa svolta, bensì occorre che essa abbia determinato o un rischio specifico ossia un rischio derivante dalle particolari condizioni dell’attività lavorativa svolta e/o dell’apparato produttivo dell’azienda, ovvero da un rischio generico aggravato, ossia da un rischio che, pur essendo comune a tutti i cittadini che non svolgono l’attività lavorativa dell’assicurato, si pone tuttavia in ragione di necessario collegamento eziologico con l’attività lavorativa del medesimo (nella specie, la S.C. ha escluso l’indennizzabilità dell’infortunio occorso al lavoratore intervenuto per sedare un lite insorta nell’ambiente lavorativo, trattandosi di una condotta motivata da una scelta arbitraria del lavoratore

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non giustificata né dai doveri imposti dall’art. 593 cod.pen., riferiti ad un dovere di soccorso e di collaborazione con le forze dell’ordine rispetto a fatti già avvenuti e non in corso di svolgimento, né a doveri di solidarietà costituzionalmente previsti, prospettandosi, anzi, per chi partecipa con le apparenti sembianze di paciere ad una colluttazione tra due soggetti, la possibilità di essere incriminato per rissa ai sensi dell’art. 588 cod.pen.). Cassazione civile sez. lav. 23 luglio 2012, n. 12779 – Pres. Vidiri G. – Rel. Stile P. – P.M. Matera M. (conf.) – P.G.P. c. Inail Ai fini dell'indennizzo dell'infortunio subito dall'assicurato, per "occasione di lavoro" devono intendersi tutte le condizioni – comprese quelle ambientali e socio-economiche – in cui l'attività si svolge e nelle quali è insito un rischio di danno per il lavoratore. Non rileva il fatto che tale danno provenga dall'apparato produttivo, da terzi o situazioni proprie, con il solo limite del c.d. rischio elettivo, ossia derivante da una scelta volontaria del dipendente diretta a soddisfare esigenze personali (nella specie, la Corte ha cassato la decisione dei giudici del merito che avevano escluso l'occasione di lavoro, negando il risarcimento ad un insegnante aggredito da un ex alunno mentre si trovava nel cortile della scuola per sorvegliare un incontro di pallavolo). Cassazione civile sez. lav. 5 gennaio 2015, n. 6 – Pres. Stile P. – Rel. De Marinis N. – P.M. Matera M. (diff.) – M.E. c. AMA, INAIL Nella nozione di occasione di lavoro sono ricomprese tutte le condizioni, comprese quelle ambientali e socio-economiche, in cui si svolge l'attività lavorativa e nelle quali è insito un rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che tale danno provenga dall'apparato produttivo o dipenda da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore. Cassazione civile sez. lav. 7 aprile 2015, n. 6933 – Pres. Vidiri G. – Rel. Venuti P. – P.M. Ceroni F. – L.M.R., C.F. c. Inail In tema di infortuni sul lavoro e malattie professionali, il dipendente che sostenga la dipendenza dell'infermità da una causa di servizio ha l'onere di dedurre e provare i fatti costitutivi del diritto, dimostrando la riconducibilità dell'affezione denunciata alle modalità concrete di svolgimento delle mansioni. In particolare, il nesso causale tra attività lavorativa ed evento, in assenza di un rischio specifico, non può essere oggetto di presunzioni di carattere astratto ed ipotetico, ma deve essere fondato sul criterio di elevata probabilità e non già della mera possibilità (confermata, nella specie, la decisione dei giudici del merito che avevano escluso la responsabilità del datore per la morte di un lavoratore punto da una zecca, atteso che non era stata fornita alcuna prova circa la riconducibilità dell'evento alle condizioni di lavoro, nemmeno in termini di probabilità). Cassazione civile, sez. lav., 3 aprile 2017, n. 8597 – Pres. Mammone G. – Rel. Doronzo A. – P.M. Finocchi Ghersi R. (conf.) – Cantieri stradali Gallo S.p.a. c. INAIL Per la normativa dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro non sono oggetto della speciale tutela solo gli infortuni direttamente derivati dalla lavorazione cui sono addetti i singoli lavoratori, ma tutti gli infortuni comunque verificatisi "in occasione di lavoro" e quindi non solo quelli riconducibili al rischio "tipico" della specifica lavorazione, ma anche quelli derivanti da caso fortuito e, in alcune ipotesi, quelli che discendono da cause estranee al lavoro svolto. Nell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il tasso specifico aziendale deve essere calcolato includendo nel computo tutti gli oneri a carico dell'I.N.A.I.L., anche quelli cosiddetti indiretti, per gli infortuni riguardanti la singola azienda, senza distinzione alcuna tra gli eventi dovuti a colpa del datore di lavoro e quelli ascrivibili a caso fortuito o forza maggiore,

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purché tali eventi siano ricompresi nell'ambito di tutela stabilito dal d.P.R. n. 1124 del 1965. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto sussistente l'occasione di lavoro sul presupposto che la morte del lavoratore, cagionata dalla puntura di un insetto, si era verificata in condizioni spazio-temporali caratterizzate dall'essere in quel momento il soggetto intento all'attività di lavoro e, quindi, occupato nella guida dell'automezzo che gli aveva impedito o comunque reso più difficile difendersi dall'insetto stesso). Sulla nozione di occasione di lavoro in agricoltura: Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 11929 del 26 giugno 2004 - Pres. Prestipino G. - Rel. Cellerino G. - PM. Apice U. (Diff.) – Ric. Giubergia - Res. Inail La tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura apprestata dagli artt. 205 e 208 del d.P.R. n. 1124 del 1965, non consente di ricomprendere ogni attivita' umana che si trovi ad essere anche solo occasionalmente ed indirettamente ricollegabile al multiforme esercizio dell'agricoltura (art.206), ma oltre a richiedere l'esercizio di un'attivita' fisica o di carattere manuale - esecutivo presuppongono che l'intervento operativo, pur potendo inerire all'esercizio dell'impresa agricola, tuttavia non sia svolto a causa e per un diverso titolo, ovvero nell'adempimento di un dovere o per un interesse personale dell'agricoltore, "uti civis", dove l'interconnessione con la professione rurale e' solo occasionale e accidentale. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto escluso dalla copertura legale del rischio infortunistico l'infortunio subito da un agricoltore mentre si recava a consegnare fatture inerenti la contabilita' della propria azienda agricola). Cassazione civile sez. lav. 11 febbraio 2013, n. 3173 – Pres. Miani Canevari F. – Rel. Berrino U. – P.M. Romano G. (conf.) – M.L. c. Inail Per la sussistenza del diritto alla tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro è rilevante il nesso di causalità tra l'attività lavorativa ed il sinistro, che non può essere interrotto da un comportamento colposo dell'infortunato. Il nesso viene meno con un comportamento doloso o l'assunzione di un rischio elettivo (nella specie, relativa alla richiesta di rendita avanzata dagli eredi di un contadino, rimasto ucciso dallo scoppio di un pozzo di rifiuti, causato dalla presenza di materiale altamente combustibile inserito dallo stesso lavoratore, la Corte ha ritenuto che la condotta tenuto dalla vittima fosse stata del tutto abnorme e svincolato dallo svolgimento dell'attività protetta, che integrava, in tal modo, l'ipotesi del rischio elettivo atto ad escludere la copertura assicurativa). Cassazione civile, sez. lav., 17 febbraio 2017, n. 4277 – Pres. D’Antonio E. – Rel. Doronzo A. –P.M. Matera M. (diff.) – P.O., C.F. c. INAIL In tema di tutela assicurativa dell'imprenditore agricolo in caso di infortunio in itinere, sussiste l’occasione di lavoro, con conseguente diritto all’indennizzo, quando un agricoltore diretto svolge la sua attività sul fondo di un altro, gratuitamente ma con l’impegno allo scambio delle prestazioni, posto che l’istituto della cd. reciprocanza di cui all’art. 2139 c.c. comporta delle conseguenze anche sotto l’aspetto previdenziale ed assicurativo, per cui detta attività deve ritenersi collegata al proprio fondo in maniera sostanziale e funzionale, seppure in modo indiretto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva negato la tutela assicurativa al titolare di un'azienda agricola che si recava a pagare una fattura per l'acquisto di gasolio per conto del figlio, titolare di altra azienda agricola, con cui collaborava). Sulla causa violenta:

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Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n.7228 del 30 maggio 2000 – Pres. Trezza V.- Rel. Cellerino G. – PM (conf.) Cinque A – Ric. Soldati – Res. INAIL In tema di infortunio sul lavoro, uno sforzo fisico compiuto durante il lavoro, può configurare l'esistenza di una causa violenta prevista dall'art. 2 D.P.R. 1124/65 atta a determinare, con azione rapida ed intensa, la lesione dell'equilibrio fisico dell'assicurato. In tale contesto, il nesso causale non è escluso da una predisposizione morbosa, trovando applicazione in tema di infortuni sul lavoro e di malattie professionali, il principio di equivalenza delle cause stabilito dall'art. 41 cod.pen., secondo cui il concorso di altre cause non esclude il rapporto di causalità. Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n.7306 dell’1 giugno 2000 – Pres. Trezza V. – Rel. Picone P. - PM (conf.) Matera M. – Ric.Taralla – Res. INAIL Nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce causa violenta anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo - fisiologico, sempreché tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa, anche in difetto di una specifica causa violenta alla base dell'infezione. La relativa dimostrazione può essere fornita in giudizio anche mediante presunzioni semplici. (Fattispecie relativa a infermiere professionale che deduceva di avere contratto un'epatite pungendosi con l'ago di una siringa mentre effettuava un prelievo di sangue ad un ricoverato; la S.C., nell'annullare la sentenza impugnata, che aveva rigettato la domanda per difetto di prova adeguata in ordine a uno specifico episodio di puntura con ago infetto, ha rilevato che non erano state effettuate le necessarie indagini scientifiche e statistiche basate sul tipo di epatite contratta dall'interessato, sul reparto e le mansioni cui lo stesso era addetto, ecc.) Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n.13741 del 16 ottobre 2000 - Pres. De Musis R. - Rel. Figurelli D. - PM. (Conf.) Pivetti M. – Ric. INAIL – Res. Sabatini e altro In materia di infortuni sul lavoro la causa violenta - fatto genetico indispensabile dell'infortunio - puo' consistere anche in uno sforzo che, pur se non straordinario o eccezionale, sia diretto a vincere una resistenza propria della prestazione o dell'ambiente di lavoro. Ancorche' debba trattarsi di un evento lesivo che agisce "ab extrinseco" (ossia dall'esterno verso l'interno dell'organismo del lavoratore), la relativa configurabilita' non e' esclusa da una preesistente condizione patologica del lavoratore la quale, anzi, puo' rilevare in senso contrario, in quanto una predisposizione morbosa puo' far si' che un concentrato dispendio di energie per un atto ricollegabile al lavoro determini una brusca rottura del sia pur precario equilibrio organico esistente e dia luogo a conseguenze invalidanti o letali. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto che la morte dell'assicurato, affetto da cardiopatia ipertensiva e arteriosclerosi preesistenti, verificatasi - per tamponamento cardiaco secondario e disseccazione dell'aorta ascendente - sei giorni dopo che il lavoratore aveva accusato, durante lo svolgimento dell'attivita' lavorativa, un improvviso accesso ipertensivo era stata concausata dall'usura e dallo stress derivato al lavoratore dalle mansioni e dalle condizioni di lavoro, consistenti, in particolare, nella costante esposizione a bruschi sbalzi di temperatura). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 239 del 10 gennaio 2003 - Pres. Mileo V - Rel. De Matteis A - PM. Napoletano G (Conf.) - Ric. Orsato - Res. INAIL In materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, il diritto alla relativa prestazione richiede che l'infortunio sia stato provocato da una "causa violenta" (art. 2, d.P.R. n. 1124 del 1965) che puo' riscontrarsi anche in riferimento allo sforzo messo in atto nel compiere un

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normale atto lavorativo, qualora esso sia caratterizzato dalla intensita' dell'energia spiegata, concentrata in un breve arco temporale, che va identificato nell'unita' cronologica costituita dal turno di lavoro (Nella specie, la S. C. ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto insussistente la "causa violenta" nello sforzo posto in essere da due lavoratrici, le quali, per un intero turno lavorativo, avevano, rispettivamente, provveduto a rifilare con un coltello plastiche di particolare durezza e ad inserire tappi in scarponi da sci mediante una graffettatrice, contraendo entrambe una tendinite acuta). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 20941 del 28 ottobre 2004 – Pres. Mileo V. – Rel. Foglia R. - PM Nardi V. (Diff.) - Durante ed altri c. Inail Nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, costituisce causa violenta anche l'azione di fattori microbici o virali che, penetrando nell'organismo umano, ne determinino l'alterazione dell'equilibrio anatomo - fisiologico, semprechè tale azione, pur se i suoi effetti si manifestino dopo un certo tempo, sia in rapporto con lo svolgimento dell'attività lavorativa, anche in difetto di una specifica causa violenta alla base dell'infezione. La relativa dimostrazione può essere fornita in giudizio anche mediante presunzioni semplici. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva respinto, in quanto non specifica circa l'occasione di lavoro, la domanda proposta da un odontotecnico che aveva assunto di aver contratto il virus di epatite HCV in occasione e a causa della propria attività di lavoro, allorchè si punse nel riparare apparecchi ortodontici). Cassazione Civile, sez. lav., 30 dicembre 2009, n. 27831 – Pres. Sciarelli G. – Rel. Medialò G. – P.M. Gambardella V. – A.F.M., C.F. c. Inail La causa violenta richiesta dall’art. 2, D.P.R. n. 1124/1965 per l’indennizzabilità dell'infortunio, che agisce dall'esterno verso l'interno dell'organismo del lavoratore, è ravvisabile anche in uno sforzo fisico che non esuli dalle condizioni tipiche del lavoro cui l'infortunato sia addetto, purché lo sforzo stesso, ancorché non straordinario o eccezionale, sia diretto a vincere dinamicamente una resistenza, ossia una forza antagonista, peculiare della prestazione di lavoro o del suo ambiente, e abbia determinato, con azione rapida ed intensa, una lesione. Cassazione Civile, sez. lav., 28 luglio 2010, n. 17649 – Pres. Sciarelli G. – Rel. Nobile V. – P.M. Matera M. – L.C. c. Inail Lo sforzo fisico del lavoratore può determinare una patologia riconducibile all’infarto occorso allo stesso qualora si verifichi un’azione rapida e intensa tale da determinare una lesione del lavoratore medesimo. A tal fine è necessario per il risarcimento del danno la dimostrazione del nesso causale tra l’attività lavorativa svolta e l’evento lesivo (Nella specie la Cassazione ha rigettato la richiesta di risarcimento del danno della moglie di un fattorino deceduto per infarto sul rilievo che il semplice stress e affaticamento quotidiano del lavoro svolto dal marito non può essere l’unico elemento per dimostrarne la nocività). Cassazione civile sez. lav. 27 settembre 2013, n. 22257 – Pres. Roselli F. – Rel. Garri F. – P.M. Romano G. (conf.) – C.F. c. Inail La causa violenta, richiesta dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2, per l'indennizzabilità dell'infortunio, può riscontrarsi anche in relazione allo sforzo messo in atto nel compiere un normale atto lavorativo, purché lo sforzo stesso, ancorché non eccezionale ed abnorme, si riveli diretto a vincere una resistenza peculiare del lavoro medesimo e del relativo ambiente, dovendosi avere riguardo alle caratteristiche dell'attività lavorativa svolta e alla loro eventuale connessione con le conseguenze dannose dell'infortunio (respinta la richiesta del lavoratore, il quale non aveva provato di aver

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proceduto ad uno spostamento di pacchi di peso rilevante e che proprio lo sforzo al quale si era sottoposto fosse stata la causa determinante del dolore allo sterno e del malore sopravvenuto). Cassazione civile sez. lav. 19 dicembre 2013, n. 28434 – Pres. Lamorgese A. – Rel. Arienzo R. – P.M. Celentano C. (conf.) – M.S., C.F. c. Inail Ove lo sforzo compiuto nell’esecuzione della prestazione lavorativa non abbia costituito la causa efficiente, né la concausa, né la causa scatenante dello stato morboso, avendo al più rappresentato l’occasione per la manifestazione o "slatentizzazione" di una patologia preesistente che si pone come causa sufficiente dell’invalidità, lo sforzo stesso non è sufficiente a sostenere l'origine post traumatica della patologia, stante l’ascrivibilità della condizione nosologica a malattia comune. Sul rischio elettivo: Cassazione Sezione Lavoro - Sentenza n. 15047 del 4 luglio 2007, - Pres. Ciciretti S. - Est. De Matteis A. - P.M. Fedeli M. – Ric. P.M. – Res. Inail In materia di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro costituisce rischio elettivo la deviazione, puramente arbitraria ed animata da finalità personali, dalle normali modalità lavorative, che comporta rischi diversi da quelli inerenti le usuali modalità di esecuzione della prestazione. Tale genere di rischio - che è in grado di incidere, escludendola, sull'occasione di lavoro - si connota per il simultaneo concorso dei seguenti elementi: a) presenza di un atto volontario ed arbitrario, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive; b) direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali; c) mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa (nella specie la S.C. ha respinto il ricorso contro la sentenza che aveva negato l'indennizzabilità dell'infortunio occorso ad un lavoratore che, frequentando un corso di perfezionamento antincendio, durante la pausa del caffè aveva voluto osservare da vicino il vano nel quale era allocato il discensore per i vigili del fuoco, avvicinandosi tanto da perdere l'equilibrio e così cadere nello stesso). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 26560 del 17 dicembre 2007 - Pres. Mercurio E. - Est. De Matteis A. - P.M. Patrone I. – Ric. Z.V. – Res. Inail Nella nozione di occasione di lavoro, di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2, rientrano tutti i fatti, anche straordinari e imprevedibili, inerenti all'ambiente, alle macchine e alle persone, sia dei colleghi, sia di terzi, ed anche dello stesso infortunato, attinenti alle condizioni oggettive e storiche della prestazione lavorativa presupposto dell'obbligo assicurativo, funzionali allo svolgimento della prestazione lavorativa, con l'unico limite del rischio elettivo. Cassazione civile, sez. lav., 20 luglio 2017, n. 17917 – Pres. D’Antonio E. – Rel. Riverso R. – P.M. Servello G. (diff.) – T. c. I. L'art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965 copre tutti i casi di infortunio avvenuto per causa violenta "in occasione di lavoro" che cagionino un'inabilità al lavoro superiore a tre giorni, rientrando nella nozione di occasione di lavoro tutti i fatti, anche straordinari ed imprevedibili, inerenti all'ambiente, alle macchine, alle persone, al comportamento colposo dello stesso lavoratore, purché attinenti alle condizioni di svolgimento della prestazione, ivi compresi gli spostamenti spaziali funzionali allo svolgimento della prestazione, con l'unico limite del rischio elettivo, inteso come tutto ciò che sia estraneo e non riguardante l’attività lavorativa e dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva reputato non indennizzabile l’infortunio occorso ad un lavoratore agricolo che si era posto alla guida di un trattore, riportando

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gravi lesioni dal ribaltamento del detto mezzo, mentre si trovava in periodo coperto da inabilità per precedente infortunio). Il percorso e il rischio tutelato nell’infortunio i n itinere: Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 9211 del 9 giugno 2003 - Pres. Ianniruberto G - Rel. Vidiri G - PM. Finocchi Ghersi R (Diff.) - Ric. INAIL - Res. Manzocchi L'infortunio "in itinere", come tale indennizzabile nell'ambito della tutela del lavoratore contro il rischio di infortuni sul lavoro, non e' configurabile - oltre che nell'ipotesi di infortunio subito dal lavoratore nella propria abitazione (o nel proprio domicilio o dimora) - anche in quella di infortunio verificatosi nelle scale condominiali od in altri luoghi di comune proprieta' privata, atteso che l'indennizzabilita' (come risulta chiaramente anche dalle nuove disposizioni di cui all'art. 12 del D.Lgs. n. 38 del 2000) presuppone che l'infortunio si verifichi nella pubblica strada o, comunque, non in luoghi identificabili con quelli di esclusiva (o comune) proprieta' del lavoratore assicurato. Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 11950 dell’8 giugno 2005 – Pres. Mercurio E. – Rel. Cellerino G. - PM Finocchi Ghersi R. (Diff.) – Ric. Castiglione ed altro – Res. Inail In tema di infortunio "in itinere", indipendentemente dall'applicazione del terzo comma dell'art. 2 del d.P.R. n.1124 del 1965 (aggiunto dall'art. 12 del d.lgs. n. 38 del 2000), per rischio elettivo si intende una condotta personalissima del lavoratore, avulsa dall'esercizio della prestazione lavorativa o ad essa riconducibile, esercitata ed intrapresa volontariamente in base a ragioni e a motivazioni del tutto personali, al di fuori dell'attività lavorativa e prescindendo da essa, idonea ad interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata. Ne consegue che l'infortunio in cui sia coinvolto il lavoratore in un tragitto non circoscritto allo spostamento casa-lavoro, di stretta limitazione spaziale, qualora non sia giustificato, nel concorso delle altre specifiche circostanze, da esigenze eccezionali ed indifferibili, non beneficia della tutela garantita dal citato decreto e la valutazione dell'esistenza dell'estensione eccezionale del rischio per particolari, giustificate esigenze e situazioni singolari, costituisce un accertamento di fatto la cui valutazione, se immune da vizio logico-giuridico, non è censurabile in cassazione. (Fattispecie in cui un giovane, per raggiungere il luogo di residenza familiare, ove vivevano genitori e fratello, a distanza di circa 1000 km dal cantiere nei cui pressi dimorava, nel corso del viaggio, intrapreso con beneplacito e a spese del datore di lavoro, decedeva in un incidente automobilistico). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 15777 del 16 luglio 2007 - Pres. Sciarelli G. - Est. Vidiri G. - P.M. Matera M. – Ric. Inail – Res. S.G. Alla stregua di un’interpretazione letterale nonché logico-sistematica dell’art. 12 del d.lgs. n. 38 del 2000, la configurabilità di un infortunio “in itinere” comporta il suo verificarsi nella pubblica strada e, comunque, non in luoghi identificabili in quelli di esclusiva proprietà del lavoratore assicurato o in quelli di proprietà comune, quali le scale ed i cortili condominiali, il portone di casa o i viali di complessi residenziali con le relative componenti strutturali (Nella specie la S.C., in applicazione del principio di cui in massima, ha cassato la decisione della corte territoriale che aveva riconosciuto l'occasione di lavoro nell’infortunio occorso al lavoratore scivolando sul portone di casa mentre si recava al lavoro, sul presupposto che nella nozione di luogo di abitazione, quale inizio del normale percorso per raggiungere la sede lavorativa, dovessero ritenersi incluse anche le pertinenze della stessa, che il lavoratore deve necessariamente percorrere per recarsi nel luogo di lavoro). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 13599 dell’11 giugno 2009 - Pres. Ianniruberto G. - Est. Picone P. - P.M. Fuzio R. – Ric. P.A. – Res. Inail

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In tema di indennizzabilità dell' infortunio "in itinere", si sottrae a censure la decisione di merito che, a fronte dell'omicidio del lavoratore, ad opera di ignoti, nel tragitto percorso per recarsi al lavoro, ha ravvisato tra prestazione lavorativa ed evento una mera coincidenza cronologica e topografica, un indizio del nesso di occasionalità, peraltro contraddetto da altri indizi (quali alcuni prossimi congiunti del lavoratore rimasti a loro volta vittime di omicidi due anni prima), escludendo qualsiasi collegamento oggettivo tra evento, esecuzione del lavoro e itinerario seguito per raggiungere il luogo di lavoro a bordo della propria autovettura. Cassazione civile, Sez. Lav., 27 aprile 2010, n. 10028 – Pres. Roselli F. – Rel. Curzio P. – P.M. Matera M. – L.G. c. Inail L’infortunio "in itinere" comporta il suo verificarsi nella pubblica strada e, comunque, non in luoghi identificabili in quelli di esclusiva proprietà del lavoratore assicurato o in quelli di proprietà comune, quali le scale ed i cortili condominiali, il portone di casa o i viali di complessi residenziali con le relative componenti strutturali. Cassazione Civile, sez. lav., 21 settembre 2010, n. 19937 – Pres. Vidiri G. – Rel. La Terza M. – P.M. Fuzio R. – Q.D. c. Azienda Sanitaria Locale Caserta Ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio in itinere, occorre procedere in primo luogo alla valutazione dell'elemento topografico e cioè di quello che si presenta come il percorso più breve dalla abitazione alla sede di lavoro, e verificare successivamente se le eventuali deviazioni compiute dall’assicurato abbiano comportato, rispetto al percorso normale, minori intoppi e attraversamenti urbani (la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di rinvio che aveva negato l’indennizzabilità dell’infortunio occorso ad un medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale in quanto il luogo del sinistro si trovava fuori rotta rispetto all'itinerario che il sanitario avrebbe dovuto seguire per raggiungere la sede di lavoro). Cassazione civile, sez. lav., 21 novembre 2011, n. 24485 – Pres. Roselli F. – Rel. Filabozzi A. – P.M. Gaeta P. (diff.) – Inail c. Z.C. Una volta individuato il campo dei soggetti compresi nell'assicurazione, ed appurato che tra questi rientrano anche gli allievi che attendano alle attività indicate dall'art. 4, n. 5 del T.U., non vi è ragione per escludere questi ultimi dalla tutela apprestata dalla normativa antinfortunistica in tema di infortunio in itinere, posto che l'art. 2 del T.U., al comma 3 (aggiunto dal D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 12), ha stabilito espressamente che "l'assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro", precisando che "l'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purchè necessitato", senza operare, dunque, alcuna distinzione tra le varie categorie di "persone assicurate", ed in particolare tra insegnanti e allievi quando costoro attendano ad esperienze tecnico- scientifiche, ad esercitazioni pratiche o ad esercitazioni di lavoro. Cassazione civile sez. lav. 10 luglio 2012, n. 11545 – Pres. Roselli F. – Rel. Napoletano G. – P.M. Corasaniti G. (conf.) – B.E. c. Inail In tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro è indennizzabile l'infortunio occorso al lavoratore "in itinere" ove sia derivato da eventi dannosi, anche imprevedibili ed atipici, indipendenti dalla condotta volontaria dell'assicurato, atteso che il rischio inerente il percorso fatto dal lavoratore per recarsi al lavoro è protetto in quanto ricollegabile, pur in modo indiretto, allo svolgimento dell'attività lavorativa, con il solo limite del rischio elettivo (cassata la sentenza del merito che aveva

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escluso l'indennizzo per l'infortunio occorso alla lavoratrice che aveva riportato lesioni in seguito ad un'aggressione per scippo subita mentre rincasa dal lavoro). Cassazione civile sez. lav. 22 gennaio 2013, n. 1458 – Pres. Lamorgese A. – Rel. Maisano G. – P.M. Matera M. (conf.) – B.S. c. Inail, Cinecittà Luce S.p.a. In tema di "infortunio in itinere", la variazione del percorso o l'utilizzo di un'autovettura anziché del servizio metropolitano, va inquadrato nel rischio elettivo, nell'ambito del percorso che costituisce l'occasione di lavoro, in quanto dovuta a libera scelta del lavoratore, che comporta la permanenza o meno della copertura assicurativa (o, nel caso in esame, la configurabilità di infortunio sul lavoro ai fini del periodo di comporto), a seconda delle caratteristiche della deviazione alla stregua delle due condizioni, indicate dalla giurisprudenza costituzionale, delle dimensioni temporali e dell'aggravamento del rischio (la Corte ha specificato che costituisce rischio elettivo la deviazione, puramente arbitraria ed animata da finalità personali, dalle normali modalità lavorative, che comporta rischi diversi da quelli inerenti le usuali modalità di esecuzione della prestazione). Cassazione civile sez. lav. 7 maggio 2013, n. 10565 – Pres. Roselli F. – Rel. Stile P. – P.M. Corasaniti G. (conf.) – Inail c. M.C.R., V.D., V.G. Nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, trova diretta applicazione la regola contenuta nell'art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. Pertanto, deve essere riconosciuta la riconducibilità all'attività lavorativa per l'infezione da epatite contratta a seguito di emotrasfusioni se queste si sono rese necessarie per affrontare il trattamento chirurgico delle fratture subite dal lavoratore in un infortunio in itinere (respinto il ricorso dell'INAIL, il quale sosteneva che le cause della morte andassero riferite all'imperizia del personale medico e che non fossero in alcun modo riferibili all'attività lavorativa). Cassazione civile sez. lav. 13 gennaio 2014, n. 475 – Pres. Vidiri G. – Rel. Bronzini G. – P.M. Fucci C. (conf.) - D.L. c. Inail Non rientra nella nozione di infortunio in itinere quello occorso al lavoratore al rientro dalla ferie ed in orario notturno, perché non occorso nel normale spostamento tra abitazione e luogo di lavoro e perché accaduto in orari non collegabili necessariamente con l'orario di lavoro (nella specie, il sinistro era occorso poco dopo mezzanotte mentre il ricorrente doveva riprendere il lavoro alle ore 8 del giorno successivo). Cassazione civile Sez. Un. 7 settembre 2015, n. 17685 – Pres. Rovelli L.A. – Rel. Nobile V. – P.M. Apice U. (conf.) – G. c. Inail L'art. 12 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, introducendo l'ipotesi legislativa dell'infortunio "in itinere", non ha derogato alla norma fondamentale di cui all'art. 2 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che prevede, tra i requisiti necessari per l'indennizzabilità dell'infortunio, l'occasione di lavoro. Ne consegue l'estraneità alla tutela assicurativa della fattispecie in cui la causa violenta sia il fatto doloso del terzo riconducibile a rapporti personali tra l'aggressore e la vittima, del tutto estranei all'attività lavorativa, in quanto, in tal caso, il collegamento tra l'evento lesivo e il normale

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percorso di andata e ritorno dal lavoro risulta basato su una mera coincidenza cronologica e topografica, tale da escludere l'occasione di lavoro. La espressa introduzione dell'ipotesi legislativa dell'infortunio in itinere non ha derogato alla norma fondamentale che prevede la necessità non solo della "causa violenta" ma anche della "occasione di lavoro", con la conseguenza che, in caso di fatto doloso del terzo, legittimamente va esclusa dalla tutela la fattispecie nella quale in sostanza venga a mancare la "occasione di lavoro" in quanto il collegamento tra l'evento e il "normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione e quello di lavoro" risulti assolutamente marginai basato esclusivamente su una mera coincidenza cronologica e topografica (come nel caso in cui il fatto criminoso sia riconducibile a rapporti personali tra l'aggressore e la vittima del tutto estranei all'attività lavorativa ed a situazioni di pericolo individuale, alle quali la sola vittima è, di fatto, esposta ovunque si rechi o si trovi, indipendentemente dal percorso seguito per recarsi al lavoro). Cassazione civile, sez. lav., 7 luglio 2016, n. 13882 – Pres. Mammone G. – Rel. Riverso R. – P.M. Sanlorenzo R. (conf.) – Laino Aldo c. Inail Ai fini dell'indennizzabilità dell'infortunio "in itinere" ex art. 12 del d.lgs. n. 38 del 2000, costituisce occasione di lavoro, rilevante ai sensi dell'art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, una riunione promossa dal datore di lavoro presso la propria sede ed avente ad oggetto l'organizzazione dell'attività lavorativa, sicché la presenza del lavoratore lungo il percorso necessario per recarsi a tale riunione deve ritenersi riferibile al lavoro, senza che assuma alcuna rilevanza che lo stesso vi abbia partecipato in qualità di sindacalista, usufruendo di un permesso sindacale retribuito, in quanto i lavoratori che svolgono attività sindacale come RSA, RSU o come dirigenti sindacali non in aspettativa, rimangono pur sempre assicurati ex artt. 4 e 9 del d.P.R. n. 1124 del 1965, dovendosi soltanto verificare in concreto l'ambito di operatività della tutela. Cassazione civile, sez. lav., 17 febbraio 2017, n. 4277 – Pres. D’Antonio E. – Rel. Doronzo A. –P.M. Matera M. (diff.) – P.O., C.F. c. INAIL In tema di tutela assicurativa dell'imprenditore agricolo in caso di infortunio in itinere, sussiste l’occasione di lavoro, con conseguente diritto all’indennizzo, quando un agricoltore diretto svolge la sua attività sul fondo di un altro, gratuitamente ma con l’impegno allo scambio delle prestazioni, posto che l’istituto della cd. reciprocanza di cui all’art. 2139 c.c. comporta delle conseguenze anche sotto l’aspetto previdenziale ed assicurativo, per cui detta attività deve ritenersi collegata al proprio fondo in maniera sostanziale e funzionale, seppure in modo indiretto. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva negato la tutela assicurativa al titolare di un'azienda agricola che si recava a pagare una fattura per l'acquisto di gasolio per conto del figlio, titolare di altra azienda agricola, con cui collaborava). Sull’uso del mezzo privato nell’infortunio in itinere: Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n.12891 del 28 settembre 2000 - Pres. Ianniruberto G. - Rel. Celentano A. - PM. (Conf.) Pivetti M. - Ric. Losacco - Res. INAIL L'indennizzabilita' dell'infortunio in itinere subito dal lavoratore nel percorrere, con un mezzo proprio, la distanza fra la sua abitazione ed il luogo di lavoro - infortunio che ora trova una previsione espressa nel D.Lgs. 23 febbraio 2000 n.38, in attuazione della legge delega 17 maggio 1999 n. 144 - postula la necessita' dell'uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore per il collegamento tra abitazione e luogo di lavoro, in ragione della mancanza di mezzi pubblici o, quando vi siano, allorche' questi non consentano la puntuale presenza sul luogo di lavoro o si dimostrino eccessivamente disagevoli o gravosi in relazione alle esigenze di vita familiare.

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Cassazione Sezione Lavoro - Sentenza n.14681 del 13 novembre 2000 – Pres.Ianniruberto G. – Rel.Mercurio E. – P.M. (conf.) Gambardella V. – Ric.Pardini – Res.Inail In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (nel regime precedente alla riforma di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2000 n. 38), in applicazione del principio secondo cui il generico rischio della strada puo' diventare rischio specifico di lavoro nei casi in cui il lavoratore sia costretto a far uso di un mezzo privato di trasporto, deve escludersi l'indennizzabilita' dell'infortunio occorso al lavoratore che sia rimasto infortunato in conseguenza dell'impiego di una bicicletta per recarsi sul posto di lavoro, se la necessita' di fare ricorso a tale veicolo sia esclusa dalla vicinanza del posto di lavoro all'abitazione dell'interessato e dalla possibilita' di effettuare il suddetto percorso sia interamente a piedi sia utilizzando per una parte un mezzo di trasporto pubblico. (Fattispecie relativa ad infortunio occorso ad un lavoratore mentre impiegava la bicicletta, come mezzo di trasporto, per un percorso agevolmente effettuabile a piedi; la pronuncia di merito che ha escluso l'indennizzabilita' dell'infortunio e' stata confermata dalla S.C.). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 7208 del 26 maggio 2001 – Pres. Trezza V. - Rel. La Terza M. - PM. (diff.) Pivetti M. - Ric. D'Ettole - Res. INAIL Non e' indennizzabile l'infortunio occorso al lavoratore durante il tragitto casa - lavoro percorso con mezzo privato, ove lo stesso lavoratore non dimostri la necessita' dell'utilizzo di tale mezzo in relazione agli orari lavorativi ed a quelli dei mezzi pubblici di trasporto, senza che rilevi, al riguardo, che l'uso del mezzo privato sia stato autorizzato dal datore di lavoro, non potendo tale autorizzazione supplire alla mancanza delle condizioni di fatto prescritte per la configurazione dell'infortunio in itinere e per il conseguente intervento della tutela assicurativa (principio affermato in relazione a fattispecie anteriore alla nuova disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 38 del 2000). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 10750 del 3 agosto 2001 - Pres. De Musis R. - Rel. Guglielmucci C. - PM. (parz.diff.) Martone A. - Ric. Giantesio - Res. Inail In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ai fini dell'indennizzabilita' dell'infortunio "in itinere" anche in caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato deve aversi riguardo a criteri che individuino la legittimita' o meno dell'uso del mezzo in questione secondo gli "standards" comportamentali esistenti nella societa' civile e rispondenti ad esigenze tutelate dall'ordinamento, quali un piu' intenso legame con la comunita' familiare ed un rapporto con l'attivita' lavorativa diretto ad una maggiore efficienza delle prestazioni non in contrasto con una riduzione del conflitto fra lavoro e tempo libero (nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza di merito che, in relazione all'infortunio occorso ad un lavoratore che stava rientrando nella propria abitazione con un mezzo di trasporto privato per consumare il pranzo e poi ritornare sul posto di lavoro, aveva escluso l'indennizzabilita' sul solo presupposto che la scelta del mezzo privato non fosse funzionale alle modalita' della prestazione lavorativa). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 10468 del 18 luglio 2002 - Pres. Mileo V. - Rel. Figurelli D. - PM. (parz.diff.) Fuzio R. - Ric. INAIL - Res. FERGAT SpA Ai fini dell'indennizzabilita' dell'infortunio occorso al lavoratore durante il rientro a casa con automezzo privato, il cui utilizzo sia necessitato, la permanenza dello stesso lavoratore sul luogo di lavoro dopo la fine del proprio turno non e' idonea ad interrompere il nesso di causalita' fra l'attivita' lavorativa e l'evento infortunistico, sempre che la durata di tale protratta permanenza sia tale da non comportare un maggior rischio a carico del medesimo lavoratore per il suo rientro a casa (nella specie, la S.C., nell'annullare la sentenza di merito che aveva escluso l'indennizzabilita'

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dell'infortunio per essersi il lavoratore trattenuto sul posto di lavoro per circa cinquanta minuti dopo la fine del turno, ha anche considerato che la permanenza sul luogo di lavoro era comunque dovuta a ragioni connesse all'attivita' lavorativa, quali la sottoposizione a visita presso il medico di fabbrica e l'incontro con un collega sindacalista in merito a questioni attinenti al lavoro). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 3363 del 6 marzo 2003 - Pres. Senese S - Rel. Curcuruto F - PM. Matera M (Conf.) - Ric Amarù - Res. Inail Nel caso di infortunio "in itinere" accaduto in occasione dell'utilizzo necessitato del mezzo privato, l'Istituto assicuratore assume il rischio connesso all'uso del mezzo di trasporto verso il luogo di lavoro fino al completamento del viaggio, anche quando il conducente del veicolo, abbandonato il sistema pubblico viario, abbia raggiunto l'area privata nella quale la prestazione lavorativa deve svolgersi, diversamente da quando il veicolo, prima di essere lasciato in parcheggio, venga utilizzato per scopi diversi e non collegati ad alcuna esigenza lavorativa, quale mezzo per un piu' comodo spostamento all'interno dell'area stessa. Cio' in quanto devesi ritenere incluso nella copertura assicurativa lo spostamento del veicolo stesso anche all'interno dell'area privata, solo al fine di reperire un luogo di parcheggio. (Fattispecie relativa ad un infortunio occorso, in dipendenza dell'operazione di discesa da una bicicletta, al lavoratore che la utilizzava per spostarsi piu' agevolmente all'interno dell'area del cantiere, dove prestava la propria attivita' lavorativa). Cassazione Sezione Lavoro - Sentenza 1 settembre 2004, n. 17544 – Pres. Sciarelli G. – Rel. Battimiello B- PM Napoletano G (Conf.) - Piticchio c. Inail Costituisce rischio elettivo, frutto di una libera determinazione del lavoratore priva di alcun diretto collegamento con l'attività lavorativa svolta, la scelta di consumare il pasto presso la propria abitazione, raggiungendola con il mezzo proprio durante la pausa pranzo, qualora l'uso del mezzo proprio non sia necessitato dalla durata della pausa pranzo o dall'impossibilità di avvalersi di mezzi pubblici. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non qualificabile come infortunio verificatosi in occasione di lavoro il sinistro stradale subito dal lavoratore, mentre, col proprio ciclomotore, si recava a casa, raggiungibile con i mezzi pubblici in soli quindici minuti, per consumarvi il pasto, pur fruendo, in caso di prolungamento dell'attività lavorativa nelle ore antimeridiane, di un intervallo di due ore). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 6929 del 4 aprile 2005 - Pres. Ciciretti S. - Rel. Lamorgese A. - PM. Nardi V. (Conf.) - Ric. Marchiani - Res. Inail In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ai fini dell'indennizzabilita' dell'infortunio "in itinere" anche in caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato deve aversi riguardo a criteri che individuino la legittimita', o meno, dell'uso del mezzo in questione secondo gli "standards" comportamentali esistenti nella societa' civile e rispondenti ad esigenze tutelate dall'ordinamento, quali un piu' intenso legame con la comunita' familiare ed un rapporto con l'attivita' lavorativa diretto ad una maggiore efficienza delle prestazioni, non in contrasto con una riduzione del conflitto fra lavoro e tempo libero (nella specie, la Corte Cass. ha confermato la sentenza di merito che, in relazione all'infortunio occorso ad un lavoratore che con mezzo proprio si recava sul posto di lavoro, aveva escluso l'indennizzabilita' sul presupposto che, pur tenuto conto delle esigenze prospettate dal lavoratore di assistenza nei confronti della madre ammalata, gli orari delle linee di trasporto pubblico urbano, in considerazione del traffico in coincidenza con gli orari di inizio e termine della giornata lavorativa, fossero compatibili con le esigenze di riposo, di cura dell'anziana madre e di rispetto dell'orario di lavoro, in difetto di prova in ordine a peculiari situazioni contingenti tali da imporre di assolvere, con speditezza, il dovere di assistenza).

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Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 17167 del 27 luglio 2006 - Pres. Sciarelli G. - Est. Vidiri G. - P.M. Gaeta P. – Ric. V.S. – Res. I.N.A.I.L. In materia di indennizzabilità dell'infortunio "in itinere" occorso al lavoratore che utilizzi il mezzo di trasporto privato, non possono farsi rientrare nel rischio coperto dalle garanzie previste dalla normativa sugli infortuni sul lavoro situazioni che senza rivestire carattere di necessità - perché volte a conciliare in un'ottica di bilanciamento di interessi le esigenze del lavoro con quelle familiari proprie del lavoratore - rispondano, invece, ad aspettative che, seppure legittime per accreditare condotte di vita quotidiana improntate a maggiore comodità o a minori disagi, non assumono uno spessore sociale tale da giustificare un intervento a carattere solidaristico a carico della collettività. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, in relazione all'infortunio occorso ad una lavoratrice part-time, aveva evidenziato che la peculiare condizione di lavoro era volta di per sé a conciliare le esigenze lavorative con altre specifiche esigenze comprese quelle familiari e che il mancato risparmio di tempo derivante da una soluzione diversa da quella dell'uso del proprio motociclo non fosse di entità tale da incidere in maniera rilevante sulle sue comuni esigenze di vita familiare, sicché non si configurava una necessità di detto uso capace di giustificare e legittimare le rivendicazioni avanzate in giudizio) Cassazione Sezione Lavoro - Sentenza n. 995 del 17 gennaio 2007 – Pres. Ianniruberto G. – Est. Vidiri G. - P.M. Abbritti P. - Ric. D’a.An.Ma – Res. Inail In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ai fini della indennizzabilità dell'infortunio in itinere, anche in caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, deve aversi riguardo ai criteri che individuano la legittimità o meno dell'uso del mezzo in questione secondo lo standard comportamentale esistente nella società civile e rispondente ad esigenze tutelate dall'ordinamento, quali un più intenso legame con la comunità familiare ed un rapporto con l'attività lavorativa diretto ad una maggiore efficienza delle prestazioni non in contrasto con una riduzione del conflitto fra lavoro e tempo libero. L'indennizzabilità di detti infortuni è condizionata, in caso di uso di mezzo proprio, all'esistenza della necessità, per l'assenza di soluzioni alternative, di detto uso, tenuto conto che il mezzo di trasporto pubblico rappresenta lo strumento normale per la mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio della strada. Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 13376 del 23 maggio 2008 – Pres. De Luca M. – Rel. Bandini G. – P.M. Abbritti P. – Ric. A.F. – Res. Inail In tema di infortunio in itinere, secondo la disciplina previgente alla riforma adottata dal D.Lgs. n. 38 del 2000, l'indennizzabilità dell'infortunio subito dal lavoratore nel percorrere, con mezzo privato, la distanza fra la sua abitazione e il luogo di lavoro, postula: a) la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l'evento, nel senso che tale percorso deve costituire per l'infortunato quello normale per recarsi al lavoro e per tornare alla propria abitazione; b) la sussistenza di un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito ed attività lavorativa, nel senso che il primo non sia dal lavoratore percorso per ragioni personali o in orari non collegabili alla seconda; c) la necessità dell’uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore, per il collegamento tra abitazione e luogo di lavoro, da accertarsi in considerazione della compatibilità degli orari dei pubblici servizi di trasporto rispetto all'orario di lavoro dell'assicurato, ovvero della sicura fruibilità dei pubblici servizi di trasporto qualora risulti impossibile, tenuto conto delle peculiarità dell’attività svolta, la determinazione a priori della durata della sua prestazione lavorativa Cassazione Civile, sez. lav., 11 agosto 2010, n. 17752 – Pres. Sciarelli G. – Rel. Nobile V. – P.M. Matera M. – P.F. c. Inail

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In materia di indennizzabilità dell'infortunio "in itinere" occorso al lavoratore che utilizzi il mezzo di trasporto privato, non possono farsi rientrare nel rischio coperto dalle garanzie previste dalla normativa sugli infortuni sul lavoro situazioni che senza rivestire carattere di necessità - perchè volte a conciliare in un'ottica di bilanciamento di interessi le esigenze del lavoro con quelle familiari proprie del lavoratore - rispondano, invece, ad aspettative che, seppure legittime per accreditare condotte di vita quotidiana improntate a maggiore comodità o a minori disagi, non assumono uno spessore sociale tale da giustificare un intervento a carattere solidaristico a carico della collettività (nel caso di specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso l’indennizzabilità dell’infortunio occorso ad un lavoratore mentre si recava al lavoro alla guida del proprio ciclomotore nonostante la disponibilità di mezzi di trasporto pubblico aventi orari compatibili con le sue esigenze di vita e di lavoro). Cassazione civile, sez. lav., 13 aprile 2016, n. 7313 – Pres. Bronzini G. – Rel. Riverso R. – P.M. Sanlorenzo R. (diff.) – Macera c. Inail In tema di infortunio "in itinere", l'uso della bicicletta privata per il tragitto "luogo di lavoro-abitazione" può essere consentito secondo un canone di necessità relativa, ragionevolmente valutato in relazione al costume sociale, anche per assicurare un più intenso rapporto con la comunità familiare, e per tutelare l'esigenza di raggiungere in modo riposato e disteso i luoghi di lavoro in funzione di una maggiore gratificazione dell'attività ivi svolta, restando invece escluso il cd. rischio elettivo, inteso come quello che, estraneo e non attinente all'attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del dipendente, che crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella ad essa inerente. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di appello che aveva ritenuto costituire aggravamento indebito del rischio l'uso del suddetto mezzo privato, per coprire una distanza pari a 750 metri, senza valutarne l'impiego in relazione agli usi locali, alle normali esigenze familiari del dipendente, alla presenza e modalità di organizzazione dei servizi pubblici, alla tipologia del percorso, alla conformazione dei luoghi ed alle condizioni climatiche, nonché alla tendenza, presente nell'ordinamento, rivolta all'incentivazione dell'uso della bicicletta). Sul rischio elettivo nell’infortunio in itinere: Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 15312 del 4 dicembre 2001 - Pres. Sciarelli G. - Rel. Toffoli S. - PM. (conf.) Fuzio R. - Ric. Aiello - Res. INAIL La colpa esclusiva del lavoratore non osta all'operativita' dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, salvo, anche in ipotesi di infortunio "in itinere", il limite del "rischio elettivo", inteso quale scelta di un comportamento abnorme, volontario e arbitrario da parte lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attivita', secondo l'apprezzamento del fatto al riguardo compiuto dal giudice di merito.(Nella specie, in riferimento ad un infortunio "in itinere" occorso ad un lavoratore che aveva utilizzato la propria autovettura per tornare dal lavoro alla propria abitazione, il giudice di merito aveva escluso l'indennizzabilita' dell'infortunio, sulla base del rilievo che l'incidente era addebitabile alla colpa esclusiva del medesimo lavoratore, che non aveva osservato un segnale di "stop"; la S.C. ha annullato con rinvio tale sentenza, sulla base del riportato principio di diritto e dell'inerente rilievo che neanche l'addebitabilita' dell'incidente alla violazione di una specifica prescrizione delle regole della circolazione stradale e' idonea, di per se', a configurare l'ipotesi del rischio elettivo). Cassazione – Sezione n. 18980 del 11 dicembre 2003 - Pres. Sciarelli G - Rel. Curcuruto F - PM. D'Angelo G (Conf.) - Ric. Bruno - Res. Inail

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In tema di infortunio "in itinere", il requisito della "occasione di lavoro" implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio, indipendentemente dal grado maggiore o minore di questo, assumendo il lavoro il ruolo di fattore occasionale del rischio stesso ed essendo il limite della copertura assicurativa costituito esclusivamente dal "rischio elettivo", intendendosi per tale quello che, estraneo e non attinente alla attivita' lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla attivita' lavorativa, ponendo cosi' in essere una causa interruttiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento. Ne consegue che, allorquando l'utilizzo della pubblica strada sia imposto dalla necessita' di raggiungere il posto di lavoro, si configura un rapporto finalistico o strumentale, tra l'attivita' di locomozione e di spostamento (tra luogo di abitazione e luogo di lavoro, e viceversa) e l'attivita' di stretta esecuzione della prestazione lavorativa, che di per se' e' sufficiente ad integrare quel "quid pluris" richiesto per la indennizzabilita' dell'infortunio "in itinere". (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che non aveva ritenuto rilevanti le prove testimoniali volte a provare che al momento del sinistro stradale in cui era incorsa, prima dell'apertura mattutina dell'agenzia bancaria di cui era dipendente, la lavoratrice stava rientrando in casa per recuperare le chiavi dello sportello bancomat di cui era custode). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 5525 del 18 marzo 2004 - Pres. Ciciretti S - Rel. De Matteis A - PM. Matera M (Conf.) - Ric. Inail - Res. Aquino In tema di infortunio "in itinere", il rischio elettivo che ne esclude la indennizzabilita' deve essere valutato con maggior rigore che nell'attivita' lavorativa diretta, comprendendo comportamenti di per se' non abnormi, secondo il comune sentire, ma semplicemente contrari a norme di legge o di comune prudenza. Ne consegue che la violazione di norme fondamentali del codice della strada puo' integrare il rischio elettivo che esclude il nesso di causalita' tra attivita' protetta ed evento.(Nella specie, anteriore "ratione temporis" alla riforma adottata dal D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva accolto la domanda di corresponsione della rendita INAIL proposta dai superstiti di un bracciante agricolo, deceduto a causa del ribaltamento del trattore per errata manovra in fase di parcheggio, in quanto sprovvisto di patente di guida per il mezzo agricolo). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 11417 del 18 maggio 2009 – Pres. Mattone S. – Rel. Meliadò G. – P.M. Matera M. – Ric. G.P. – Res. Inail Il rischio elettivo, quale limite all'indennizzabilità degli infortuni sul lavoro, è ravvisabile solo in presenza di un comportamento abnorme, volontario ed arbitrario del lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività lavorativa, pur latamente intesa, e tale da determinare una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento secondo l'apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito (in applicazione di tale principio, la Corte ha riconosciuto l'indennizzo per infortunio "in itinere" anche ad un dipendente che si era infortunato entrando dall'ingresso aziendale più pericoloso, atteso che l'infortunio, anche se si era verificato a fronte di un comportamento imprudente del lavoratore, era comunque ricollegabile alle finalità aziendali e non meramente personali del dipendente, essendo avvenuto nell'espletamento dell'attività lavorativa ed in conseguenza di una scelta, quale quella di percorrere, fra i due sentieri di accesso all'azienda, quello più scosceso, che, sebbene non necessitata, ed anzi evitabile, non risultava del tutto estranea alle finalità lavorative e non corrispondeva solo ad esigenze meramente personali). Cassazione civile sez. lav. 29 novembre 2012, n. 21249 – Pres. Miani Canevari F. – Rel. Tricomi I. – P.M. Romano G. (parz. diff.) – C.G. c. Inail Il requisito della "occasione di lavoro" implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio, indipendentemente dal grado maggiore o minore di questo, in relazione al quale il lavoro assuma il

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ruolo di fattore occasionale, mentre il limite della copertura assicurativa è costituito esclusivamente dal "rischio elettivo", intendendosi per tale quello che, estraneo e non attinente alla attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del lavoratore, il quale crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente alla attività lavorativa, ponendo così in essere una causa interruttiva di ogni nesso tra lavoro, rischio ed evento. Cassazione Sezione Lavoro - Sentenza n. 15973 del 18 luglio 2007 - Pres. Mercurio E. - Est. De Matteis A. - P.M. Pivetti M. – Ric. N.L. – Res. Inail In tema di "infortunio in itinere", l'interruzione non necessitata, quale una sosta voluttuaria al bar, va inquadrata nel rischio elettivo, nell'ambito del percorso che costituisce l'occasione di lavoro, in quanto dovuta a libera scelta del lavoratore, che comporta la permanenza o meno della copertura assicurativa a seconda delle caratteristiche della sosta alla stregua delle due condizioni, indicate dalla giurisprudenza costituzionale, delle dimensioni temporali e dell'aggravamento del rischio. La valutazione delle circostanze di fatto dell' interruzione non necessitata è compito del giudice del merito, il quale potrà adottare criteri quali il tempo della sosta in termini assoluti, o in proporzione alla durata del viaggio, purché l'interruzione non sia di durata tale da elidere il carattere finalistico che giustifica la tutela dell'infortunio "in itinere" o delle motivazioni stesse della sosta, avvalendosi delle indicazioni della giurisprudenza nazionale e, ove mancante e quale criterio meramente sussidiario, anche di quella dei Paesi comunitari (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale che aveva escluso la domanda di rendita per l'infortunio occorso al lavoratore in seguito ad incidente stradale verificatosi mentre, alla guida della propria auto, ritornava dal luogo di lavoro alla propria abitazione, sul presupposto che il nesso di causalità fosse stato interrotto da una sosta voluttuaria ad un bar sito lungo il medesimo percorso, distinguendo tra soste necessitate, quali la necessità di un breve riposo durante un lungo percorso o la necessità di soddisfare esigenze fisiologiche, e soste voluttuarie e, tra queste ultime, tra quelle di pochi minuti, insuscettibili di modificare le condizioni di rischio, e quelle di apprezzabile durata e consistenza (come nella specie, di circa un'ora), tale da far ritenere che anche la circolazione stradale avesse avuto una sensibile modifica, sulla base dell’”id quod plerumque accidit”). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 11417 del 18 maggio 2009 – Pres. Mattone S. – Rel. Meliadò G. – P.M. Matera M. – Ric. G.P. – Res. Inail Il rischio elettivo, quale limite all'indennizzabilità degli infortuni sul lavoro, è ravvisabile solo in presenza di un comportamento abnorme, volontario ed arbitrario del lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività lavorativa, pur latamente intesa, e tale da determinare una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento secondo l'apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito (in applicazione di tale principio, la Corte ha riconosciuto l'indennizzo per infortunio "in itinere" anche ad un dipendente che si era infortunato entrando dall'ingresso aziendale più pericoloso, atteso che l'infortunio, anche se si era verificato a fronte di un comportamento imprudente del lavoratore, era comunque ricollegabile alle finalità aziendali e non meramente personali del dipendente, essendo avvenuto nell'espletamento dell'attività lavorativa ed in conseguenza di una scelta, quale quella di percorrere, fra i due sentieri di accesso all'azienda, quello più scosceso, che, sebbene non necessitata, ed anzi evitabile, non risultava del tutto estranea alle finalità lavorative e non corrispondeva solo ad esigenze meramente personali). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 17655 del 29 luglio 2009 – Pres. De Luca M. – Rel. Ianniello A. – P.M. Fuzio R. – Ric. Stamperia Selene s.r.l. – Res. Inail e altro Deve essere indennizzato come infortunio "in itinere" anche l'incidente occorso al dipendente che non ha rispettato uno stop mentre si recava sul posto di lavoro con la propria auto, riportando per

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questo gravi lesioni; il comportamento colposo del dipendente che ha determinato o concorso a determinare l'incidente non è idoneo ad escludere la tutela apprestata con la garanzia dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni. Cassazione civile sez. lav. 22 febbraio 2012, n. 2642 – Pres. Roselli F. – Rel. Arienzo R. – P.M. Fresa M. (conf.) – Z.G. c. Inail Per infortunio in itinere si intende quel particolare evento dannoso che si ponga in stretta relazione causale con il tragitto e/o con l’itinerario intercorrente tra il luogo di lavoro oppure il luogo raggiunto per ragioni di servizio con la propria abitazione, naturalmente inteso in termini di andata e ritorno, il tutto però con il limite del c.d. rischio elettivo radicato in una scelta e/o comportamento volontario del lavoratore idonea ad interrompere la predetta relazione causale e snaturalizzare il concetto giuridico di infortunio in itinere (escluso, nella specie, l'infortunio in itinere per il sinistro occorso ad un lavoratore che, dopo aver sostenuto una visita medica per motivi di lavoro, era ritornato a casa, e non in azienda, fruendo di un permesso, percorrendo, pertanto, una strada completamente diversa da quella che avrebbe percorso se avesse fatto ritorno direttamente in azienda). Cassazione civile sez. lav. 18 marzo 2013, n. 6725 – Pres. De Renzis A. – Rel. Tricomi I. – P.M. Fucci C. (conf.) – A.C. c. Inail Il rischio elettivo, configurato come l'unico limite alla copertura assicurativa di qualsiasi infortunio, in quanto ne esclude l'essenziale requisito della occasione di lavoro, assume, con riferimento all'infortunio in itinere, una nozione più ampia, rispetto all'infortunio che si verifichi nel corso della attività lavorativa vera e propria, in quanto comprende comportamenti del lavoratore infortunato di per sé non abnormi, secondo il comune sentire, ma semplicemente contrari a norme di legge o di comune prudenza (nella specie, la Corte ha negato l'indennizzabilità di un infortunio subito dal lavoratore, coinvolto in un sinistro stradale mentre a bordo della propria moto si recava al lavoro; la Corte ha ritenuto legittima la scelta del dipendente di utilizzare il mezzo privato per compiere il tragitto casa-lavoro, ma, anche alla luce della distanza, di appena due chilometri, percorribile a piedi, ha ritenuto di negare la copertura assicurativa). Cassazione civile sez. VI 18 febbraio 2015, n. 3292 (ord.) – Pres. Curzio P. – Rel. Marotta C. – A.S.Z. c. Inail In tema di infortunio in itinere, il rischio elettivo che ne esclude la indennizzabilità deve essere valutato con maggior rigore che nell'attività lavorativa diretta, comprendendo comportamenti di per sé non abnormi, secondo il comune sentire, ma semplicemente contrari a norme di legge o di comune prudenza. Ne consegue che la violazione di norme fondamentali del codice della strada può integrare il rischio elettivo che esclude il nesso di causalità tra attività protetta ed evento (esclusa, nella specie, l'ipotesi infortunio in itinere, atteso che il lavoratore con la propria condotta imprudente, consistita nell'effettuare un sorpasso su un tratto di strada che tale condotta vietava, in prossimità di una curva e tenendo una velocità non adeguata alle condizioni stradali, generando di conseguenza uno scontro con una vettura proveniente dalla direzione opposta, aveva assunto una condotta tale da ingenerare un rischio elettivo in grado di elidere il nesso di causalità tra evento e attività protetta). Sulla distinzione tra infortunio sul lavoro e malattia professionale: TAR Lazio, sez. Roma, n. 5454 del 4 luglio 2005 (Pres. Corsaro; rel. Russo)

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Il mobbing, in assenza non solo di un'esatta definizione normativa e di univoci indirizzi della giurisprudenza, ma soprattutto del doveroso approfondimento scientifico-medico al riguardo, non è configurabile quale pratica morbigena indennizzabile. La malattia professionale è indennizzata, indipendentemente dalla sua inclusione nelle tabelle allegate al d.p.r. 1124/1965, se ne sia accertata la sua derivazione causale dall’esercizio d’una delle lavorazioni di cui all’art. 1 del suddetto decreto. Non v’è, quindi, indennizzo se non per il rischio lavorativo specifico; pertanto, non basta affermare la rilevanza in sé delle malattie non “tabellate”, occorrendo verificare se esse diano luogo all’esposizione del lavoratore ad una specifica lavorazione morbigena, ossia assunta come in sé pericolosa direttamente dal legislatore. Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 marzo 2009, n. 1576 – Barra Caracciolo Est. – Inail c. Confederazione Generale dell'Industria Italiana, Associazione Bancaria Italiana, Nortel Networks s.p.a. Confederazione Generale dell’Agricoltura Italiana, Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali La possibilità di estendere l'ambito del rischio assicurato, e quindi la stessa ascrivibilità alle prestazioni previdenziali delle malattie professionali collegate alla generale "organizzazione aziendale delle attività lavorative", richiede allo stato l'intervento del legislatore, che riformuli in senso ampliativo lo stesso art. 1 del d.p.r. n. 1124 del 1965 e non può essere compiuto mediante una circolare interpretativa dissonante, tra l’altro, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 179 del 1988. Le stesse patologie, in quanto caratterizzate da tale eziologia legata non all'esecuzione della lavorazioni protette ma al fattore "ambientale-organizzativo", non sono legittimamente inseribili, neppure in prospettiva, allo stato della legislazione vigente, tra le malattie di cui alla tabella costantemente aggiornata ai sensi dell'art. 3 del citato d.p.r.. Cassazione civile sez. lav. 9 ottobre 2013, n. 22974 – Pres. Vidiri G. – Rel. De Renzis A. – P.M. Sepe E.A. (diff.) – Inail c. Fu.Gi. Il requisito della inscindibile connessione tra rendita ed attività lavorativa caratterizza anche la differenza tra malattia professionale ed infortunio sul lavoro. Solo in relazione a quest'ultimo la copertura assicurativa va estesa anche agli eventi verificatisi al di fuori dei luoghi di lavoro e non solo nel corso della prestazione lavorativa (cassata, nella specie, la decisione dei giudici di appello che avevano riconosciuto il diritto all'indennità nei confronti di un lavoratore ritenendo sussistente il nesso causale tra la patologia - ernia discale - denunciata dal lavoratore e il prolungato tragitto giornaliero andata e ritorno, protrattosi per diciannove anni attraverso l'utilizzo del proprio autoveicolo). Cassazione civile, sez. lav., 18 novembre 2016, n. 23533 – Pres. D’Antonio E. – Rel. Riverso R. – P.M. Celentano C. (conf.) – R.A. c. Inail Nel rapporto tra infortunio e malattia professionale, la qualificazione dell'infermità del lavoratore, come malattia professionale, anziché come infortunio professionale, non preclude in nessun caso, al giudice, di conoscere e decidere la domanda proposta in giudizio dal lavoratore in relazione all'una o all'altra tipologia di evento assicurato, in conseguenza della visione unitaria del diritto alla prestazione, per come concepita all'interno del TU n. 1124 del 1965. Cassazione civile, sez. lav., 5 marzo 2018, n. 5066 (ord.) – Pres. Mammone G. – Rel. Riverso R. – A.P. c. INAIL

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Nell'ambito del sistema assicurativo contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione, dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica. Cassazione civile, sez. lav., 17 agosto 2018, n. 20774 – Pres. Manna A. – Rel. Riverso R. – P.M. Visonà S. (conf.) – L.A. c. INAIL Ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all'INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellato o tra i rischi tabellati, dovendo in tal caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia (Pronuncia relativa ad una fattispecie di mobbing). Sulla presunzione legale dell’origine professionale della malattia tabellata: Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n.13992 del 24 ottobre 2000 – Pres. De Musis R. – Rel. Guglielmucci C. – PM (Diff.) Pivetti M. – Ric. Serci – Res. Inail La presunzione circa l'origine professionale di una malattia professionale tabellata, nella ricorrenza dei presupposti per l'operativita' della presunzione stessa, puo' essere vinta dall'istituto assicuratore solo con una prova rigorosa ed incontrovertibile della dipendenza della malattia da fattori estranei all'attivita' lavorativa. (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che aveva escluso l'origine professionale della broncopneumopatia denunciata dall'assicurato, che aveva esercitato l'attivita' di stivatore per oltre trenta anni, sulla base di elementi idonei a consentire un giudizio di mera probabilita', quali l'utilizzo di una maschera protettiva, l'abitudine per il fumo e l'incidenza dei postumi di un infortunio). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 8002 del 6 aprile 2006 – Pres. Mattone S. – Est. Curcuruto F. - PM Fedeli M. – Ric. S.G. – Res. INAIL In tema di assicurazione contro le malattie professionali, l'accertamento che la malattia, manifestatasi entro il periodo massimo di indennizzabilità, sia astrattamente compresa fra quelle tabellate - e cioè derivante da una lavorazione tabellata (nella specie, carcinoma mammario, accertato come rientrante nella voce 51 dell'allegato 4 al d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, relativa a malattie causate da radiazioni ionizzanti, laser, onde elettromagnetiche e loro conseguenze) - comporta l'applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall'assicurato, con il conseguente onere dell'I.N.A.I.L. di provare una diversa patogenesi della malattia stessa. Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 19047 del 5 settembre 2006 – Pres. Sciarelli G. – Rel. De Matteis – P.M. Gaeta P. – Ric. A.M. – Res. Inail In tema di tutela delle malattie professionali, in caso di agente patogeno tabellato suscettibile di causare una specifica malattia su un individuato organo bersaglio, e non altre della stessa famiglia, la presunzione legale di origine professionale riguarda solo le patologie delle quali la scienza medica abbia accertato in generale il nesso causale con l’agente patogeno tabellato. Tale nesso può risiedere anche in un giudizio di ragionevole probabilità, desunta dagli studi scientifici e anche da dati epidemiologici.

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Cassazione Civile, sez. lav., 21 dicembre 2009 n. 26893 – Pres. Battimiello B. – Rel. Di Nubila V. – P.M. Matera M. – Ric. c. Res. Inail L'accertamento della inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia comporta l'applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall'assicurato, con la conseguente insorgenza a carico dell'I.N.A.I.L. dell'onere di dare la prova di una diversa eziologia della malattia stessa ed in particolare della dipendenza dell'infermità, nel caso concreto, da una causa extralavorativa oppure del fatto che la lavorazione, cui il lavoratore è stato addetto, non ha avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia, di modo che, per escludere la tutela assicurativa deve risultare rigorosamente ed inequivocabilmente accertato che vi è stato l'intervento di un diverso fattore patogeno, il quale, da solo o in misura prevalente, ha cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia. Tuttavia, questa regola allorquando si tratti di una malattia, come quella tumorale, ad eziologia multifattoriale, dev'essere temperata nel senso che la prova del nesso causale non può consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma deve consistere nella concreta e specifica dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della idoneità della esposizione al rischio a causare l'evento morboso, dovendosi, peraltro, ritenere che, nel caso in cui si tratti di forme tumorali che hanno o possono avere, secondo la scienza medica, un'origine professionale, la presunzione legale quanto a tale origine torni ad operare, con la conseguenza che l'istituto assicuratore è onerato di dare la prova contraria, la quale può consistere solo nella dimostrazione che la patologia tumorale, per la sua rapida evolutività, non è ricollegabile all'esposizione a rischio, in quanto quest'ultima sia cessata da lungo tempo. Cassazione civile sez. lav. 9 gennaio 2013, n. 358 – Pres. Miani Canevari F. – Rel. Mancino R. – P.M. Servello G. (conf.) – L.F. c. Inail L'accertamento dell'inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia comporta l'applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall'assicurato, con la conseguente insorgenza a carico dell'I.N.A.I.L. dell'onere di dare la prova di una diversa eziologia della malattia stessa ed in particolare della dipendenza dell'infermità, nel caso concreto, da una causa extralavorativa oppure del fatto che la lavorazione, cui il lavoratore è stato addetto, non ha avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia, di modo che, per escludere la tutela assicurativa, deve risultare rigorosamente ed inequivocabilmente accertato che vi è stato l'intervento di un diverso fattore patogeno, il quale, da solo o in misura prevalente, ha cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia. Sulla prova dell’origine professionale della malattia non tabellata: Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 2716 del 21 febbraio 2003 - Pres. Sciarelli G - Rel. Cellerino G - PM. Pivetti M (Conf.) - Ric. INAIL - Res. Belardinelli Nell'ipotesi di malattia professionale non tabellata, la prova della causa di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole probabilita', nel senso che, pur dovendosi escludere la rilevanza della mera o remota possibilita' di fattori eziopatogeni di natura professionale, tuttavia tale evenienza puo' essere ravvisata in presenza di un rilevante grado di presumibilita'. All'uopo non e' indispensabile l'espletamento di una consulenza tecnica ambientale allorquando la natura professionale della patologia, essendone difficoltosa o impossibile una puntuale ricostruzione, possa essere desunta, con un elevato grado di probabilita', dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell'ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall'assenza di altri fattori, indipendenti dall'attivita' di lavoro, che possano costituire causa della patologia.

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Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 4292 del 24 marzo 2003 - Pres. Sciarelli G - Rel. Filadoro C - PM. Pivetti M (Conf.) - Ric. Inail - Res. Fabbri In ipotesi di malattia professionale non tabellata, la prova della causa di lavoro che grava sul lavoratore deve essere valutata in termini di ragionevole certezza , ovvero, esclusa la rilevanza della mera possibilita' di eziopatenogenesi professionale, questa puo' essere ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilita', che puo' essere ritenuto sussistente sulla base degli accertamenti operati dal giudice di merito. In particolare, a proposito della ipoacusia derivante da cause di lavoro, trattandosi di malattia che, pur se diagnosticata con certezza, non consente con altrettanta certezza l'individuazione di una causa determinata, puo' ritenersi fornita la prova della causa di lavoro ogni qual volta vi siano , da un lato, l'avvenuta esposizione professionale al rumore con tempi, modalita' ed intensita' tali da poter svolgere un apporto causale, e dall'altro l'insorgenza della ipoacusia in capo all'assicurato. Cassazione Civile, sez. lav., 10 febbraio 2011, n. 3227 – Pres. Miani Canevari F. – Rel. Mancino R. – P.M. Matera M. – Inail c. N.S. Nel caso di malattia professionale non tabellata, come per la malattia ad eziologia multifattoriale, la prova della causa di lavoro, gravante sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità. La natura professionale della malattia può essere desunta, con elevato grado di probabilità, dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell'ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall'assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti, che possano costituire causa della malattia (pronuncia intervenuta su patologia derivante da fumo passivo). Cassazione civile, sez. lav., 17 giugno 2011, n. 13361 – Pres. Vidiri G. – Rel. Nobile V. – P.M. Basile T. (parz.diff.) – Inail c. N.G. Nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, trova diretta applicazione la regola contenuta nell'art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell'anzidetto principio, ha ritenuto la riconducibilità all'attività lavorativa della malattia contratta per complicanze insorte dalla vaccinazione contro l'epatite B atteso che la necessità di questo intervento sanitario - nonché dei successivi richiami - era conseguente ad un infortunio sul lavoro). Cassazione civile sez. lav. 12 giugno 2014, n. 13342 – Pres. Lamorgese A. – Rel. D’Antonio E. – P.M. Matera M. (conf.) – T.D. c. INAIL In tema di malattia professionale derivante da lavorazione non tabellata la prova della derivazione della malattia da causa di lavoro grava sul lavoratore e deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità.

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Sulla prova dell’origine professionale della malattia multifattoriale: Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n.12909 del 29 settembre 2000 – Pres. Trezza V. – Rel. Foglia R. - PM. (Diff.) Frazzini O. - Ric. Mazzucco - Res. INAIL Nel caso di malattia ad eziologia multifattoriale, il nesso di causalita' relativo all'origine professionale della malattia non puo' essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione; e, se questa puo' essere data anche in termini di probabilita' sulla base delle particolarita' della fattispecie (essendo impossibile, nella maggior parte dei casi, ottenere la certezza dell'eziologia), e' necessario pur sempre che si tratti di "probabilita' qualificata", da verificarsi attraverso ulteriori elementi (come ad esempio i dati epidemiologici), idonei a tradurre la conclusione probabilistica in certezza giudiziale. Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 14665 del 21 novembre 2001 - Pres. Saggio A. - Rel. Mileo V. - PM. (diff.) Mele F. - RIC. Micheloni - RES. INAIL Nell'ipotesi di malattia multifattoriale - tale, cioe', da poter essere ricondotta a cause diverse e da non fornire all'interessato la sicurezza propria della tenopatia - perche' si verifichi la piena consapevolezza o conoscibilita' del diritto alla rendita e la possibilita' di esercitare la relativa azione, con decorrenza della conseguente prescrizione ex artt. 112 T.U. n. 1124 del 1965 e 2935 cod. civ., occorre un rigoroso accertamento della ricorrenza di tre elementi consistenti nella conoscenza della malattia, dei suoi profili tecnopatici - e, pertanto, della sua eziologia professionale- e del raggiungimento della misura minima indennizzabile (cosiddetta soglia legale). (Fattispecie in materia di ipoacusia). Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 8108 del 4 giugno 2002 - Pres. Sciarelli G. - Rel. Cataldi G. - PM. (conf.) Napoletano G. - Ric. Bolla - Res. Inail La presunzione legale circa la eziologia professionale delle malattie contratte nell'esercizio delle lavorazioni morbigene investe soltanto il nesso tra la malattia tabellata e le relative specificate cause morbigene (anch'esse tabellate) e non puo' esplicare la sua efficacia nell'ipotesi di malattia ad eziologia multifattoriale (nella specie: carcinoma) in cui il nesso di causalita' non puo' essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di concreta e specifica dimostrazione - quanto meno in via di probabilita' - in relazione alla concreta esposizione al rischio ambientale e alla sua idoneita' causale alla determinazione dell'evento morboso. Cassazione civile sez. lav. 12 ottobre 2012, n. 17438 – Pres. La Terza M. – Rel. Bandini G. – P.M. Servello G. (diff.) – Inail c. M.I. L’insorgenza di patologia tumorale (neurinoma del Ganglio di Gasser) nel lavoratore a causa dell'utilizzo continuativo del telefono cellulare e cordless protratti per svariati anni e per diverse ore al giorno costituisce malattia professionale, con diritto del lavoratore a percepire la relativa rendita. Cassazione civile, sez. lav., 21 novembre 2016, n. 23653 – Pres. D’Antonio E. – Rel. Riverso R. – P.M. Finocchi Ghersi R. (diff.) – La Rosa c. Inail L'accertamento dell'inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia (purchè insorta entro il periodo massimo di indennizzabilità) comporta l'applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall'assicurato, con la conseguente insorgenza a carico dell'I.N.A.I.L. dell'onere di dare la prova di una diversa eziologia della malattia stessa ed in particolare della dipendenza dell'infermità, nel caso concreto, da una causa extralavorativa oppure

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del fatto che la lavorazione, cui il lavoratore è stato addetto, non ha avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia, di modo che, per escludere la tutela assicurativa deve risultare rigorosamente ed inequivocabilmente accertato che vi è stato l'intervento di un diverso fattore patogeno, il quale, da solo o in misura prevalente, ha cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia. Tuttavia, questa regola, allorquando si tratti di una malattia, come quella tumorale, ad eziologia multifattoriale, dev'essere temperata nel senso che la prova del nesso causale non può consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma deve consistere nella concreta e specifica dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della idoneità della esposizione al rischio a causare l'evento morboso, dovendosi, peraltro, ritenere che, nel caso in cui si tratti di forme tumorali che hanno o possono avere, secondo la scienza medica, un'origine professionale, la presunzione legale quanto a tale origine torni ad operare, con la conseguenza che l'istituto assicuratore è onerato di dare la prova contraria, la quale può consistere solo nella dimostrazione che la patologia tumorale, per la sua rapida evolutività, non è ricollegabile all'esposizione a rischio, in quanto quest'ultima sia cessata da lungo tempo Cassazione civile, sez. lav., 27 aprile 2017, n. 10430 – Pres. D’Antonio E. – Rel. Riverso R. – P.M. Celeste A. (conf.) – INAIL c. P.M., C.F., S.B., C.F., P.N., C.F. In materia di malattie professionali, sussiste l'esistenza del nesso di causa anche nelle malattie professionali a eziologia multifattoriale, purché (quando non tabellate) siano rispettati i principi di equivalenza delle condizioni e di alta probabilità logica rispetto al singolo caso concreto. Sulla differenza tra tutela indennitaria della malattia professionale ed equo indennizzo per causa di servizio: Cassazione Sezione Lavoro – Sentenza n. 16392 del 20 agosto 2004 – Pres. Sciarelli G. – Rel. Filadoro C. - PM Velardi M (Conf.) – Ric. Suriano - Res. Inail L'istituto della rendita per malattia professionale e quello dell'indennizzo per causa di servizio si fondano su presupposti diversi: l'indennizzo è un beneficio (qualificabile come prestazione speciale di natura non previdenziale) che la pubblica amministrazione attribuisce al proprio dipendente per compensare menomazioni fisiche comunque connesse col servizio, prescindendo da qualsiasi giudizio sull'incidenza del danno sofferto dal pubblico dipendente sulla sua capacità di lavoro, limitandosi la normativa in materia a richiedere che quest'ultimo sia rimasto leso nella sua integrità fisica; la rendita di cui al d.P.R. n. 1124 del 1965 richiede che la malattia sia contratta nell'esercizio e a causa della lavorazione svolta, e impone perciò un nesso più stretto tra malattia e attività lavorativa, dovendo quest'ultima, in caso di fattori plurimi, costituire per sempre la causa sufficiente, ossia la "conditio sine qua non", della malattia. Ne consegue che il riconoscimento della causa di servizio non ha rilievo decisivo ai fini del riconoscimento della malattia professionale. Cassazione Sezione Lavoro - Sentenza n. 17353 del 26 agosto 2005 – Pres. Sciarelli G. – Rel. Vidiri G. - PM Destro C. (Parz. Diff.) – Ric. Rete Ferroviaria Italiana Spa – Res. Denaro Le differenze tra equo indennizzo e rendita per malattia professionale - esistenti sotto diversi profili - concernono anche il nesso eziologico tra infermità ed attività lavorativa, atteso che, con riferimento all'indennizzo, la riconducibilità delle infermità alle specifiche modalità di svolgimento delle mansioni inerenti alla qualifica rivestita (quali luoghi di lavoro, turni di servizio, ambiente lavorativo, ecc.) rientrano tra i fatti costitutivi del diritto, mentre la rendita - richiedendo che la malattia sia contratta nell'esercizio o a causa della lavorazione svolta - implica uno stretto nesso tra patologia ed attività lavorativa, che in caso di fattori plurimi deve costituire la "conditio sine qua

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non" della malattia. (In applicazione di tale principio la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, in riferimento all'equo indennizzo, non aveva accertato il nesso causale mediante l'analisi - con conseguente motivazione - delle modalità di espletamento del servizio, per di più in presenza di malattie con molteplici fattori genetici). Cassazione Sezione Lavoro – Seentenza n. 15074 del 26 giugno 2009 – Pres. Roselli F. – Rel. Zappia P. – P.M. Riello L. – Ric. Galì e altro – Res. Soc. Rete Ferr. It. Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una infermità o di una lesione non coincide con il presupposto richiesto per l'attribuzione della rendita per malattia professionale, differenziandosi i due istituti - in particolare - per l'ambito e l'intensità del rapporto causale tra attività lavorativa ed evento protetto, nonché per il fatto che il riconoscimento in oggetto non consente di per sé alcun apprezzamento in ordine all'eventuale incidenza, sull'attitudine al lavoro dell'assicurato, di altri fattori di natura extraprofessionale. Pertanto, ai fini del riconoscimento della causa di servizio occorre che l'attività lavorativa possa con certezza ritenersi concausa efficiente e determinante della patologia lamentata, non potendo farsi ricorso a presunzioni di sorta e non trovando applicazione, diversamente dalla materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, la regola contenuta nell'art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni.

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CAPITOLO III

L’OGGETTO DELLA TUTELA

SOMMARIO: 1. Premessa. Il rischio professionale e la nozione di evento protetto. – SEZIONE I - L’ INFORTUNIO SUL LAVORO – 2. L’occasione di lavoro nella lettura tradizionale. – 2.1. Segue: e nella successiva elaborazione giurisprudenziale. – 2.2 Il dolo, la colpa dell’assicurato e la nozione di rischio elettivo. – 3. L’infortunio in itinere. – 4. La causa violenta. – 5. L’inabilità permanente e temporanea nella disciplina del T.U.. – 6. L’«incontro» dell’assicurazione sociale con il danno biologico. – 7. La tutela indennitaria del danno biologico ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38. – 8. Le concause preesistenti e sopravvenute. – SEZIONE II - LA MALATTIA

PROFESSIONALE – 9. La nozione di malattia professionale. – 10. Dal sistema tabellare chiuso al sistema misto. – 11. La revisione periodica delle tabelle ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 38 del 2000. – 12. La tutela indennitaria delle lesioni derivanti da mobbing. – 13. La nozione di silicosi ed asbestosi. 1. Premessa. Il rischio professionale e la nozione di evento protetto. – È ormai da tempo superato

il dibattito che con riferimento alla tutela indennitaria aveva visto nettamente contrapporsi le concezioni più fedeli all’originario schema assicurativo alle opinioni fortemente orientate al suo radicale superamento in favore di una dimensione più coerente con i valori solidaristici espressi dalla Costituzione (1). Quella disputa, che sul piano terminologico si era tradotta nella dogmatica contrapposizione tra i concetti di rischio e bisogno, è stata ricomposta grazie alla mediazione operata da un’attenta dottrina che ha proposto una rilettura in senso costituzionalmente conforme dello stesso concetto di rischio (2). Nel contesto dei valori costituzionali, infatti, quel termine non può più alludere alla c.d. teoria del rischio professionale con la quale la tutela indennitaria era stata originariamente raffigurata come un compromesso tra gli opposti interessi dei lavoratori e dei datori di lavoro. Il superamento di quella costruzione non significa tuttavia che il concetto di rischio abbia perduto qualunque significato nella disciplina assicurativa. Nel linguaggio giuridico, come in quello comune, quel termine allude semplicemente alla mera eventualità del verificarsi di un evento (3), sicché, correttamente inteso come mera possibilità o probabilità (4), il rischio costituisce il motivo che induce il legislatore ad apprestare determinate tutele nei confronti dei soggetti che ne risultano esposti (5).

(1) Sul punto GIUBBONI, voce Infortuni sul lavoro e malattie professionali, in Dig. disc. priv. sez. comm., Agg., Torino, 2000, 385; TULLINI , voce Salute nel diritto della sicurezza sociale, in Dig. disc. priv. sez. comm., Vol. XIII, Torino, 1996, 74. Per una ricostruzione di quel dibattito sia consentito rinviare a LUDOVICO, Tutela previdenziale per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e responsabilità civile del datore di lavoro, Milano, 2012, 67 ss. Per maggiori approfondimenti sul punto vedi supra Cap. I, par. 3. (2) PERSIANI, Il sistema giuridico della previdenza sociale, Padova, 1960, 310 ss.; in seguito: ID., Il rischio professionale, in AA.VV., Il rischio professionale, Atti del V Congresso Nazionale di Diritto del Lavoro, Milano 7-9 novembre 1975, Milano, 1977, 11 ss.; ID., Tendenze dell’evoluzione della tutela per gli infortuni e le malattie professionali: il superamento del principio del rischio professionale, in Riv. giur. lav., 1974, III, 183 ss; ID., La tutela del rischio professionale nel quadro della previdenza sociale, in Riv. inf. mal. prof., 1986, I, 311 ss.. (3) PERSIANI, Il rischio professionale, cit., 13; CHIARELLI , La sicurezza sociale, in RIVA SANSEVERINO, MAZZONI (diretto da), Nuovo Trattato di diritto del lavoro, Padova, 1971, Vol. III, 15 ss.; MAZZONI, La relatività della distinzione tra “rischio” e “bisogno” nelle assicurazioni sociali, in Riv. it. dir. prev. soc., 1958, 217. (4) ALIBRANDI , Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano, 2002, 186, ritiene più corretto parlare di possibilità, riferendosi la probabilità alla gravità e intensità del rischio. Di possibilità e insieme di probabilità parla invece PERSIANI, Il sistema giuridico, cit., 323. (5) PERSIANI, Il sistema giuridico, cit., 323 ss; ID., Relazione, in AA.VV., Rischio e bisogno nella crisi della previdenza sociale, Atti delle Giornate di Studio di Rimini 28-29 aprile 1984, Milano, 1984, 5-6 e 16.

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In questo senso si è espresso anche il giudice costituzionale, il quale, recependo la «nozione» di rischio professionale, ha precisato che «nel precetto dell’art. 38, comma 2, Cost. può dirsi “insito l’elemento del rischio”», nel senso che «la specifica tutela costituzionale dei lavoratori» «è limitata agli stati di bisogno oggettivamente provocati da determinati eventi» (6). Quel concetto esprime, quindi, soltanto «un giudizio di possibilità di lesione fondato su indici tipici» e in questo senso «la professionalità dell’evento» appare addirittura «coessenziale alla specificità della garanzia apprestata ai lavoratori» (7), rappresentando «l’esposizione al rischio» il «presupposto esclusivo per la configurabilità dell’obbligo assicurativo» (8).

Riletto in questi termini il concetto di rischio viene così spogliato di qualunque valenza ideologica, assumendo la sola funzione di delimitare l’area del rischio assicurato in modo da distinguere gli eventi connotati da un’origine professionale, che in quanto tali sono destinatari della più intensa protezione offerta dalla tutela assicurativa, dagli eventi privi di eziologia lavorativa che possono risultare destinatari di altre forme di tutela.

A questa esigenza rispondono le definizioni di evento protetto che, solo per ragioni storiche derivanti dalla tutela inizialmente riservata ai soli infortuni, offrono due distinte nozioni per l’infortunio sul lavoro e la malattia professionale, sicché tale distinzione – rilevante unicamente sul piano assicurativo e non certo su quello clinico (9) – non inficia l’unitarietà della tutela.

SEZIONE I L’INFORTUNIO SUL LAVORO

2. L’occasione di lavoro nella lettura tradizionale. – Ai sensi degli artt. 2, comma 1, e 210,

comma 1, T.U., in materia, rispettivamente, di industria e agricoltura, «l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni».

La voluta indeterminatezza di questa nozione non impedisce di individuare gli elementi essenziali della fattispecie nei requisiti, indicati dalla norma, costituiti in particolare dalla occasione di lavoro, dalla causa violenta e dalla lesione provocata dall’evento.

Seppure con forme e modalità diverse, questi tre elementi hanno subito nel tempo profonde modificazioni del loro significato che può essere così compreso soltanto con una puntuale ricostruzione della sua evoluzione.

L’occasione di lavoro costituisce senza dubbio il primo requisito della nozione giuridica di infortunio sul lavoro, avendo la funzione di definire il carattere professionale dell’evento in modo da condizionarne l’accesso alla tutela. È il rapporto eziologico con l’attività lavorativa, infatti, che consente di qualificare l’evento come infortunio sul lavoro, sicché si può tranquillamente affermare che l’occasione di lavoro si identifica con la funzione stessa della tutela assicurativa, rappresentandone al contempo la garanzia ed il limite (10).

(6) Corte cost. 2 marzo 1991, n. 100, in Giust. civ., 1991, I, 1115. (7) Corte cost. 2 marzo 1991, n. 100, cit.; Corte cost. 27 luglio 1989, n. 462, in Mass. giur. lav., 1989, 435, con nota di ALIBRANDI . (8) Corte cost. 10 maggio 2002, n. 171, in Lav. giur., 2002, 960, con nota di LUDOVICO, La Corte Costituzionale estende l’assicurazione antinfortunistica ai lavoratori collocati in aspettativa sindacale; Corte cost. 15 luglio 1992, n. 332, in Riv. giur. lav., 1992, II, 738; Corte cost. 4 aprile 1990, n. 160, in Giur. it. 1991, I, 1, 260; Corte cost. 2 marzo 1990, n. 98, in Mass. giur. lav., 1990, 139; Corte cost. 10 dicembre 1987, n. 476, in Foro it., 1989, I, 375. (9) Vedi ALIBRANDI , Infortuni sul lavoro, cit., 468, nt. 6. (10) Così ALIBRANDI , Infortuni sul lavoro, cit., 319-320.

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Stante la funzione assolta da questo criterio non è, dunque, difficile comprendere come il suo significato sia andato evolvendosi nel tempo di pari passo con la trasformazione dei rischi presenti nell’ambiente di lavoro.

La lettura più tradizionale, che è stata costantemente seguita in dottrina e giurisprudenza per quasi un secolo, risale alla costruzione elaborata agli inizi del XX secolo da Carnelutti, per il quale con il termine “occasione” il legislatore non aveva inteso riferirsi alla causa efficiente dell’evento ma alla sua causa occasionale che nell’infortunio sarebbe costituita dall’attività lavorativa (11). Il rapporto causale tra lavoro e rischio era così configurato in termini completamente diversi rispetto a quello tra lavoro ed evento, nel senso che il lavoro era inteso come vera e propria causa del rischio all’origine dell’evento, rappresentando invece la semplice occasione del suo verificarsi. Secondo questa lettura, pertanto, l’infortunio poteva dirsi avvenuto in occasione di lavoro ogniqualvolta il lavoro avesse determinato il rischio dal quale l’infortunio stesso era derivato (12).

La supposta necessità di una diretta relazione causale tra lavoro e rischio aveva così condotto ad una precisa classificazione dei rischi che attestavano la natura professionale dell’evento, ammettendosi alla tutela unicamente gli infortuni provocati da un rischio specifico diretto o proprio, ovvero da un rischio intrinseco allo svolgimento della prestazione lavorativa, oppure da un rischio specifico improprio o generico aggravato, cioè da un rischio che, seppur privo di una specifica connotazione professionale, fosse comunque aggravato dall’adempimento degli obblighi lavorativi

(13). In mancanza di un rapporto di derivazione causale con il lavoro, l’applicazione della garanzia assicurativa era così esclusa per gli eventi provocati da un rischio generico, intendendosi come tale il rischio che grava indistintamente su qualunque soggetto (14).

A questa classificazione – come già anticipato – si è uniformata, in modo pressoché unanime, la giurisprudenza, condizionando l’intervento della tutela indennitaria ad una rigorosa verifica della natura del rischio all’origine dell’evento, con la conseguenza che la mera coincidenza spaziale o cronologica con il lavoro non era ritenuta sufficiente a garantire l’indennizzabilità dell’infortunio, ove tale circostanza – di per sé soltanto indicativa della sua origine professionale (15) – non avesse trovato ulteriore conferma nella imputabilità dell’evento ad un rischio specifico o generico aggravato

(11) CARNELUTTI, Occasione del lavoro, in ID., Infortuni sul lavoro (Studi), Roma, 1913, Vol. I, 217. (12) CARNELUTTI, Occasione del lavoro, cit., 222. (13) CARNELUTTI, Occasione del lavoro, cit., 230, il quale definiva come «rischio specifico diretto o proprio quello che, generato dalle condizioni peculiari dell’industria, incombe esclusivamente alle persone, che con la industria medesima vengono in contatto» e come «rischio specifico indiretto o improprio quel rischio che, indipendente dalle condizioni peculiari dell’industria per quanto riguarda la sua esistenza, ne dipende però per quanto riguarda la sua quantità, cioè trova in quelle condizioni ragione di aggravamento o di inasprimento, in guisa che, mentre incombe a tutti e non solo a coloro che si trovano in contratto con l’industria, incombe però a questi in misura maggiore che a quelli» (corsivi dell’A.). (14) Ancora CARNELUTTI, Occasione del lavoro, cit., 229 e 234, per il quale costituiva «rischio generico quel rischio, che, indipendente nella sua esistenza come nella sua quantità dalle condizioni peculiari dell’industria, grava sull’operaio come su ogni altro uomo nell’identico modo», con la conseguenza che «un infortunio corrispondente a un rischio generico non potrà mai riconoscersi avvenuto in occasione di lavoro, anche se esso avvenga nel tempo e nel luogo del lavoro» (corsivi dell’A.). (15) È quanto sostenuto, ancora una volta, da CARNELUTTI, Occasione del lavoro, cit., 227-228, per il quale «è escluso intanto che possa bastare alla determinazione del rischio – cioè, in ultimo, alla sussistenza del rapporto occasionale tra lavoro e infortunio – il fatto che l’operaio si esponga all’evento dannoso nel tempo e nel luogo del lavoro» e ciò in quanto «cotesto fatto potrà costituire un rapporto di contingenza, di coincidenza cronologica o topografica, o anche un rapporto di occasione tra lavoro e rischio, ma non basta a stabilire un rapporto di causa». Questa lettura è stata fedelmente recepita, oltre che dalla giurisprudenza citata alla nota seguente, anche da Corte cost. 27 luglio 1989, n. 462, cit., secondo la quale «la pura e semplice correlazione di tempo e di luogo tra evento e prestazione lavorativa, per un verso non basta – ove manchi – ad escludere il requisito in questione, come nel caso degli infortuni in itinere; per altro verso non é di per sé sola sufficiente ad integrarlo, quando intervengano fattori od attività del tutto indipendenti dall’ambiente, dalle macchine o persone costituenti le condizioni oggettive dell’attività protetta».

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(16). A rimanere così esclusi dalla garanzia indennitaria erano tutti gli infortuni occorsi durante gli spostamenti per raggiungere il luogo di lavoro (17), all’interno di quest’ultimo o nel corso di attività non implicanti l’esposizione a particolari rischi (18), trattandosi di eventi ritenuti non avvenuti in occasione di lavoro in quanto generati da rischi comuni tanto al lavoratore, quanto al semplice cittadino.

Questa rigorosa lettura dell’occasione di lavoro traeva ispirazione dalla originaria impostazione selettiva di questa tutela ed, anzi, in quella logica trovava una precisa giustificazione laddove condizionava l’indennizzabilità dell’evento alla sussistenza del maggior rischio per il quale l’obbligo assicurativo era delimitato ad alcune particolari attività. Quella lettura risultava peraltro pienamente coerente con una realtà lavorativa nella quale l’evento infortunistico era ancora strettamente legato ai tipici rischi del lavoro industriale, identificandosi in modo pressoché esclusivo con la maggiore pericolosità dell’attività svolta.

Finché la disciplina assicurativa ha mantenuto intatta la sua impostazione selettiva e l’evento infortunistico è stato identificato nel maggior rischio dell’attività industriale, la ricostruzione carneluttiana dell’occasione di lavoro ha potuto affermarsi e diffondersi fino a diventare, con poche rare eccezioni (19), la lettura dominante in dottrina e in giurisprudenza.

2.1. Segue: e nella successiva elaborazione giurisprudenziale. – I primi segnali del radicale superamento dell’impostazione tradizionale risalgono ad alcune pronunce con le quali i giudici di

(16) Così in giurisprudenza tra le più recenti: Cass. 9 novembre 2002, n. 15765, in Giust. civ. mass., 2002, 1945; Cass. 7 aprile 2000, n. 4433 e Cass. 1 febbraio 2000, n.1109, entrambe in Lav. prev. oggi, 2000, 1437 con nota di MEUCCI; Cass. 11 giugno 1999, n. 5770, in Giust. civ., 2000, I, 407; Cass. 4 giugno 1999, n. 5517, in Riv. inf. mal. prof., 1999, II, 65; Cass. 15 luglio 1999, n. 7486, in Giust. civ. mass., 1999, 1642; Cass. 29 ottobre 1998, n. 10815, in Lav. giur., 1999, 386; Cass. 28 novembre 1998, n. 12122, in Resp. civ. prev., 1999, 717, con nota di MARANDO; Cass. 11 aprile 1998, n. 3744, in Orient. giur. lav., 1998, I, 771; Cass. 11 aprile 1998, n. 3742, in Riv. giur. lav., 1998, II, 641, con nota di COCUZZA; Cass. 13 settembre 1997, n. 9143, in Giust. civ. mass., 1997, 1712; Cass. 5 settembre 1997, n. 8538, in Giust. civ. mass., 1997, 1622; Cass. 7 dicembre 1996, n. 10910, in Riv. inf. mal. prof., 1996, II, 140, con nota di FACELLO; Cass. 19 ottobre 1995, n. 10869, in Mass. giur. lav., 1996, 261, con nota di ALIBRANDI ; Cass. 30 maggio 1995, n. 6088, in Lav. giur., 1996, 159; Cass. 4 ottobre 1995, n. 10406, in Riv. inf. mal. prof., 1995, II, 147; Cass. 9 giugno 1995, n. 6531, in Orient. giur. lav., 1996, 248; Cass. 6 maggio 1995, n. 4940, in Giust. civ., 1995, I, 2707, con nota di GIUBBONI, Il rischio della circolazione stradale ed i limiti soggettivi dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali; Cass. 7 gennaio 1994, n. 106, in Foro it., 1994, I, 1227; Cass. 29 marzo 1993, n. 3744, in Riv. inf. mal. prof., 1993, II, 58; Cass. 13 ottobre 1992, n. 11172, ibidem, 1993, II, 16; Cass. 2 marzo 1991, n. 2195, in Orient. giur. lav., 1992, I, 201. Nello stesso senso in dottrina: ALIBRANDI , I soggetti e l’oggetto del rapporto di assicurazione sociale, in RIVA SANSEVERINO, MAZZONI (diretto da), Nuovo Trattato di Diritto del Lavoro, Vol. III, Previdenza Sociale, Padova, 1971, spec. 435 ss; MIRALDI , Gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, Padova, 1979, 141 ss; ACCONCIA, L’infortunio sul lavoro e le malattie professionali, in BUSSI, PERSIANI (diretto da), Trattato di Previdenza Sociale, Vol. IV, La tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, Padova, 1981, 58 ss; FERRARI, FERRARI, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Padova, 1998, 142-143; ALIBRANDI , Infortuni sul lavoro, cit., 322 ss. (17) Per una rassegna delle più risalenti posizioni giurisprudenziali, vedi ALIBRANDI , Infortuni sul lavoro, cit., 332, nota 17, e le numerose pronunce ivi citate. Sul punto v. ex plurimis: Cass. 20 marzo 1985 n. 2050, inedita, e Cass. 20 settembre 1982 n. 4917, in Resp. civ. prev., 1983, 446, secondo le quali l’infortunio in itinere può configurarsi solo quando l’infortunato, per accedere al luogo di lavoro, abbia dovuto percorrere a piedi una strada che presenti rischi diversi da quelli delle ordinarie vie di comunicazione; Cass. 12 ottobre 1987 n. 7541, inedita, che aveva escluso l’indennizzabilità dell’infortunio occorso al lavoratore mentre percorreva a piedi l’unica strada che collegava la sua abitazione al luogo di lavoro senza che risultasse alcun ulteriore elemento che connotasse di specificità il rischio generico dell’attività di locomozione; nello stesso senso Cass. 10 dicembre 1983 n. 7312, in Riv. inf. mal. prof., 1984, II, 116; Cass. 19 maggio 1978 n. 2488, in Riv. inf. mal. prof., 1979, II, 33. (18) Cass. 1 febbraio 2000, n. 1109, cit.; Cass. 13 settembre 1997, n. 9143, cit.; Cass. 27 febbraio 1990, n. 1523, in Riv. inf. mal. prof., 1990, II, 130. (19) Cfr. PERSIANI, Diritto della previdenza sociale, Padova, 1997, 130, secondo il quale «la pur autorevole e tradizionale opinione che determina la ricorrenza di un’occasione di lavoro distinguendo a seconda che l’infortunio sia derivato da un rischio generico o da un rischio specifico, da un rischio, cioè, che incombe su tutti i cittadini o da un rischio che incombe soltanto su lavoratori, appare ambigua o, quanto meno, superflua. A ben guardare, infatti, l’occasione di lavoro sussiste anche quando il lavoro espone il soggetto protetto a un rischio generico, come è il caso di attività lavorativa che comporti l’esposizione al rischio della strada».

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legittimità hanno iniziato ad escludere la tipicità del rischio quale elemento necessario dell’occasione di lavoro, così ammettendo alla tutela anche gli eventi occorsi in circostanze eccezionali o imprevedibili ma comunque funzionali all’adempimento della prestazione lavorativa (20). E nella stessa ottica si è posto anche il giudice costituzionale, il quale, dichiarando non fondata la questione sollevata nei confronti dell’art. 2 T.U., ha chiarito, da un lato, che «il rischio assicurato, pur se non sia quello normale o tipico, deve essere non estraneo all’attività lavorativa, o a ciò che ad essa è connesso od accessorio», rilevando, dall’altro, che l’evento «deve essere (non causato ma) "occasionato" dal lavoro, nel senso che deve avere con questo un collegamento non meramente marginale» (21).

Non meno importante in questa direzione è stato il superamento della tassatività del sistema tabellare disposto dal giudice costituzionale che ha riconosciuto l’indennizzabilità di qualunque patologia, seppure non compresa nelle apposite tabelle, della quale il lavoratore sia comunque in grado di provare l’origine professionale (22).

È così emersa in modo sempre più evidente la contraddizione tra l’affermata indennizzabilità di qualunque malattia non tabellata e la denegata tutela degli infortuni non imputabili al rischio specifico del lavoro svolto, benché verificatisi in circostanze di tempo e di luogo chiaramente riconducibili all’attività lavorativa (23).

Sulla scorta di questi presupposti e allorché le trasformazioni della realtà industriale hanno mostrato gli evidenti limiti della lettura tradizionale, la giurisprudenza ha iniziato, con sempre maggiore frequenza, a prediligere, in luogo della risalente configurazione carneluttiana, una più ampia nozione di rischio professionale alla quale ricondurre ogni evento prodottosi in coincidenza con la prestazione di lavoro.

Secondo questa prospettiva, anche gli infortuni imputabili ad un rischio c.d. improprio, non intrinsecamente connesso cioè allo svolgimento delle mansioni tipiche del lavoro svolto, ma insito in un’attività prodromica e strumentale allo svolgimento delle suddette mansioni e, comunque, ricollegabile al soddisfacimento di esigenze lavorative, devono ritenersi avvenuti in occasione di lavoro, ancorché determinati da semplici rischi generici non provocati o aggravati dalle condizioni di lavoro (24).

(20) Cass. 11 febbraio 2002, n. 1944, in Giust. civ. mass. 2002, 221; Cass. 8 marzo 2001, n. 3363, in Giust. civ., 2001, I, 2105; Cass. 14 febbraio 2001, n. 2117, in Dir. giur. agr. 2002, 178, con nota di FONTANA; Cass. 22 maggio 1997, n. 4557, in Riv. inf. mal. prof., 1997, 138; Cass. 2 giugno 1999, n. 5419, in Giust. civ. mass., 1999, 1256; Cass. 7 maggio 1998, n. 4646, in Riv. inf. mal. prof., 1998, 73; Cass. 7 dicembre 1996, n. 10910, cit.; Cass. 13 ottobre 1992, n. 11172, in Riv. inf. mal. prof., 1993, II, 16; Cass. 21 luglio 1988, n. 4716, in Mass. giur. lav., 1989, 77. (21) Così Corte cost. 27 luglio 1989, n. 462, cit.. (22) Sul punto Corte cost. 18 febbraio 1988, n. 179, in Riv. it. dir. lav. 1988, II, 897, con nota di CIAFRÈ. Sul punto v. più diffusamente infra par. 10. (23) Cfr. DE MATTEIS, L’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, Torino, 1996, 93 ss. (24) Tra le tante: Cass. 4 agosto 2005, n. 16417, in Riv. giur. lav., 2006, II, 540, con nota di SACCONI, che ha riconosciuto l’occasione di lavoro nell’incidente occorso durante la deambulazione nel luogo di lavoro; Cass. 28 luglio 2004, n. 14287, la quale ha riscontrato il nesso di derivazione eziologia con l’attività lavorativa in una fattispecie in cui l’operaio, varcando la soglia dell’ufficio, scivolava urtando contro una vetrata; Cass. 21 aprile 2004, n. 7633, in Giust. civ. mass. 2004, 4, che ha ritenuto indennizzabile l’infortunio occorso ad un vice direttore di albergo che aveva urtato violentemente il capo contro una porta; Cass. 13 maggio 2002, n. 6894, in Giust. civ. mass. 2002, 829, con riguardo a due lavoratrici scivolate sulle scale mentre si recavano, dopo aver timbrato il cartellino, negli spogliatoi per indossare la divisa di lavoro; Cass. 7 maggio 2002, n. 6511, in Riv. inf. mal. prof. 2002, II, 71, la quale ha riconosciuto l’occasione di lavoro nell’evento (caduta rovinosa dalle scale) occorso al dipendente di una banca, durante la pausa lavorativa per il consumo del pasto, mentre raggiungeva lo spogliatoio; Cass. 13 aprile 2002, n. 5357, in Giust. civ. mass. 2002, 643, la quale ha riconosciuto l’occasione di lavoro in relazione all’infortunio occorso a un lavoratore che nello scendere una scala, presso lo studio di un notaio, era inciampato riportando la frattura della tibia e del perone; Cass. 13 aprile 2002, n. 5354, in Giust. civ. mass. 2002, 643, relativamente ad lavoratrice scivolata mentre camminava sul pavimento della cucina dello stabilimento nel quale lavorava; Cass. 27 febbraio 2002, n. 2942, in Riv. it. dir. lav., 2002, I, 916, con nota di PERA, con riguardo all’uccisione del custode di un cimitero avvenuta mentre lo stesso si trovava al lavoro; Cass. 11 febbraio 2002, n. 1944,

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La nozione di rischio professionale viene così ad essere direttamente identificata nel rapporto di strumentalità con l’attività lavorativa, nel senso che, diversamente dall’orientamento più risalente, l’indirizzo attualmente maggioritario desume l’origine professionale dell’evento dal semplice legame finalistico con l’attività lavorativa e ciò in ragione della «mancanza di libertà» che discende dall’obbligo del lavoratore di conformare la propria condotta ai tempi della prestazione (25). Ne deriva, con un chiaro rovesciamento dell’impostazione tradizionale, che la mera coincidenza con l’attività lavorativa è di per sé sufficiente a giustificare l’indennizzabilità dell’evento, salvo che la presenza sul luogo di lavoro sia dovuta a circostanze non riconducibili allo svolgimento della prestazione (26).

Si può dire, quindi, che la precedente valutazione incentrata sulla natura specifica o aggravata del rischio e, dunque, sulla relazione causale tra quest’ultimo e l’attività lavorativa sia stata sostituita da un criterio più aderente alla moderna realtà industriale che si fonda sul nesso di strumentalità tra la condotta all’origine dell’evento e l’attività lavorativa. La nozione di rischio assicurato tende così sostanzialmente a coincidere, da un lato, con il comportamento contrattualmente dovuto dal lavoratore e, dall’altro, con gli obblighi di sicurezza che gravano sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 cod. civ. (27).

È anche grazie a questa più ampia lettura della nozione di occasione di lavoro che la tutela indennitaria è stata ritenuta applicabile, solo per citare alcuni esempi, agli infortuni provocati da atti,

cit., che ha riconosciuto l’indennizzabilità dell’infortunio occorso alla dipendente di un’azienda alberghiera, caduta dalle scale del seminterrato dell’albergo, mentre si recava a timbrare il cartellino delle presenze; Cass. 9 gennaio 2002, n. 190, in Dir. lav. 2002, II, 113, con nota di FONTANA; Cass. 13 luglio 2001, n. 9556, in Dir. prat. lav., 2002, 364, con riferimento ad un lavoratore scivolato sulle scale mentre si recava nella palestra dell’edificio scolastico presso il quale prestava servizio come bidello; Cass. 8 marzo 2001, n. 3363, cit., relativamente all’infortunio occorso ad un’impiegata che, spostandosi dal monitor del computer ad un armadio per prelevare un fascicolo, senza alzarsi dalla sedia a rotelle, era caduta in terra ferendosi; Cass. 14 febbraio 2001, n. 2117, cit., con riguardo ad un agricoltore, infortunatosi nell’aprire il cancello di accesso al mercato ortofrutticolo ove era posto il sito di vendita dei prodotti da lui coltivati; Cass. 10 gennaio 2001, n. 253, in Foro it., 2001, I, 1532, con riferimento al dipendente di un ospedale inciampato su una catenella posta all’interno dell’area ospedaliera mentre, dopo avere parcheggiato l’auto, si accingeva a raggiungere il reparto; Cass. 7 novembre 2000, n. 14464; Cass. 9 ottobre 2000, n. 13447, in Lav. giur. 2001, 556, con nota di LUDOVICO, che ha cassato la sentenza che aveva negato l’indennizzabilità dell’infortunio occorso ad una impiegata che, spostandosi da un luogo all’altro della sede lavorativa, era caduta rovinosamente a terra; Cass. 18 settembre 2000, n. 12325, in Giust. civ. mass. 2000, 1948; Cass. 4 agosto 2000, n. 10298, in Giust. civ. mass. 2000, 1720, con riguardo ad un lavoratore scivolato sulle scale mentre si recava a chiudere la porta del magazzino; Cass. 7 aprile 2000, n. 4433, cit., la quale ha ritenuto indennizzabile l’infortunio occorso ad un legale dell’INAIL caduto sul pavimento della sede dell’istituto; per analoghe fattispecie: Cass. 22 novembre 1999, n. 12930, in Giust. civ. mass., 1999, 2320, con riferimento all’infortunio occorso ad un impiegato caduto dalle scale dell’ufficio mentre parlava con un collega; Cass. 24 settembre 1999, n. 10542, in Orient. giur. lav. 1999, I, 1104; Cass. 2 giugno 1999, n. 5419, cit., per il caso di un archivista dattilografo caduto accidentalmente mentre scendeva le scale; Cass. 11 maggio 1999, n. 4676, in Dir. lav., 2000, 323, con nota di GAMBACCIANI ; Cass. 19 aprile 1999, n. 3885, in Lav. giur., 1999, 1084; Cass. 17 dicembre 1998, n. 12652, in Dir. prat. lav., 1999, 1271; Cass. 2 ottobre 1998, n. 9801, in Orient. giur. lav., 1998, I, 1058, che ha riconosciuto l’indennizzabilità dell’infortunio occorso ad un lavoratore italiano operante in Libia, il quale veniva ucciso durante lo svolgimento del proprio lavoro, a seguito di agguato determinato da sentimenti xenofobi; Cass. 7 maggio 1998, n. 4646, cit.; Cass. 22 maggio 1997, n. 4557, cit., con riguardo all’infortunio occorso al dipendente di un’azienda che, a causa del terreno reso scivoloso dalla neve, cadeva rovinosamente a terra mentre si recava alla timbratura dell’orologio all’ingresso dell’azienda; Cass. 7 dicembre 1996, n. 10910, cit.; Cass. 8 maggio 1996, n. 4298, in Giust. civ. mass. 1996, 694; Cass. 9 novembre 1995, n. 11683, in Riv. inf. mal. prof., 1996, II, 17; Cass. 21 maggio 1994, n. 5019, in Lav. giur., 1995, 137, con commento di GIUBBONI. In precedenza si registrano alcune sporadiche decisioni in tale senso: Cass. 15 febbraio 1986, n. 925, in Riv. inf. mal. prof., 1986, II, 48; Cass. 19 novembre 1983, n. 6904, ibidem, 1984, II, 72.. (25) DE MATTEIS, L’assicurazione obbligatoria, cit., 106. (26) Cass. 9 agosto 2003, n. 12035, che ha ritenuto non indennizzabile per mancanza di collegamento con la prestazione lavorativa, l’infortunio occorso ad una lavoratrice che, uscendo dalla banca sita all’interno della fabbrica, era scivolata, riportando una frattura. (27) DE MATTEIS, L’assicurazione obbligatoria, cit., 94.

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anche criminosi, di terzi (28), da condotte colpose dei colleghi (29) o verificatisi durante i litigi con questi ultimi (30), nel corso delle pause, degli spostamenti all’interno dell’ambiente di lavoro (31) o – come si vedrà – lungo il tragitto che collega l’abitazione al luogo di lavoro (32). Alcuni dubbi permangono invece con riguardo agli eventi occorsi durante l’esercizio dell’attività sindacale o nel corso dell’esercizio del diritto di sciopero che la giurisprudenza ha finora escluso dalla nozione di occasione di lavoro in ragione della loro estraneità allo svolgimento della prestazione lavorativa (33). Non è difficile tuttavia rilevare come tale posizione sia influenzata da una concezione risalente e anacronistica dell’attività sindacale che, per evidenti ragioni costituzionali, dovrebbe essere invece considerata come parte integrante dell’attività lavorativa. L’intervento della tutela indennitaria dovrebbe così rimanere escluso soltanto in caso di sciopero e limitatamente alle ipotesi in cui il suo esercizio abbia assunto i connotati della violenza (34).

(28) In questo senso Cass. 14 febbraio 2008, n. 3776; Cass. 22 aprile 2002, n. 5841, in Giust. civ. mass. 2002, 697; Cass. 27 febbraio 2002, n. 2942, cit.; Cass. 13 dicembre 2000, n. 15691, in Riv. inf. mal. prof., 2000, II, 83; Cass. 28 gennaio 1999, n. 774, in Riv. inf. mal. prof., 1999, II, 51; Cass. 2 ottobre 1998, n. 9801, cit.; Cass. 11 aprile 1998, n. 3744, cit.. Nel senso della non indennizzabilità dell’evento per mancanza di un collegamento oggettivo tra l’evento e la prestazione lavorativa: Cass. 11 giugno 2009, n. 13599, in Lav. giur., 2009, 1172; Cass. 3 agosto 2004, n. 14875, in Giust. civ. 2005, I, 2664; Cass. 6 febbraio 1998, n. 1241, in Giur. it., 1999, 29, con nota di MORRONE, la quale, interpretando restrittivamente la nozione di occasione di lavoro, ha ritenuto di origine non professionale l’aggressione subita da un medico dipendente dell’INAIL negli uffici dello stesso istituto da parte di un assicurato. (29) Cass. 27 novembre 1999, n. 13296, in Riv. inf. mal. prof., 2000, II, 37, la quale ha ritenuto indennizzabile l’infortunio occorso al lavoratore (autista di furgone quotidianamente scortato), deceduto a seguito delle ferite d’arma da fuoco procurategli dalla condotta colposa del collega guardia giurata del furgone; Cass. 18 marzo 1987, n. 2740, in Riv. inf. mal. prof., 1988, II, 78, la quale ha riconosciuto l’occasione di lavoro nella condotta di un lavoratore che, utilizzando un compressore, aveva insufflato aria nell’intestino di un collega, provocandone il decesso. (30) Così Cass. 2 aprile 1990, n. 2634, in Riv. inf. mal. prof., 1990, II, 115, la quale ha però escluso nel caso di specie l’indennizzabilità dell’evento in ragione dell’arbitrarietà della condotta dell’infortunato; Cass. 4 maggio 1987, n. 4155, in Orient. giur. lav., 1987, 777; Cass. 27 febbraio 1986, n. 1259, in Mass. giur. lav., 1986, 562; Trib. Bologna, 11 febbraio 1985, in Riv. giur. lav., 1985, III, 170. Contra Cass. 27 gennaio 2006, n. 1718, in Riv. giur. lav., 2006, 540, con nota critica di SACCONI, con riferimento all’infortunio occorso ad un lavoratore che era intervenuto per sedare un lite tra la guardia addetta al servizio di vigilanza ed un terzo. (31) Cass. 4 agosto 2005, n. 16417, cit.; Cass. 28 luglio 2004, n. 14287; Cass. 21 aprile 2004, n. 7633, cit.; Cass. 13 maggio 2002, n. 6894, cit.; Cass. 7 maggio 2002, n. 6511, cit.; Cass. 13 aprile 2002, n. 5357, cit.; Cass. 13 aprile 2002, n. 5354, cit.; Cass. 11 febbraio 2002, n. 1944, cit.; Cass. 9 gennaio 2002, n. 190, cit.; Cass. 13 luglio 2001, n. 9556, cit.; Cass. 8 marzo 2001, n. 3363, cit.; Cass. 10 gennaio 2001, n. 253, cit.; Cass. 9 ottobre 2000, n. 13447, cit.; Cass. 4 agosto 2000, n. 10298, cit.; Cass. 7 aprile 2000, n. 4433, cit.; Cass. 2 giugno 1999, n. 5419, cit.; Cass. 11 maggio 1999, n. 4676, cit.; Cass. 17 dicembre 1998, n. 12652, cit.; Cass. 7 maggio 1998, n. 4646, cit.; Cass. 22 maggio 1997, n. 4557, cit.. (32) Vedi infra par. 3. (33) Con riferimento all’attività sindacale: Cass. 17 febbraio 1996, n. 1220, in Riv. giur. lav., 1997, II, 135, con nota di COCUZZA; Cass. 4 novembre 1993, n. 10895, in Foro it., 1994, I, 717; Cass. 25 agosto 1986, n. 5188, in Mass. giur. lav., 1987, 265, con nota di ALIBRANDI ; Cass. 12 novembre 1984, n. 5711, in Mass. giur. lav., 1985, 30, con nota di MEUCCI; Cass. 8 novembre 1983, n. 6602, in Riv. inf. mal. prof., 1984, II, 130, con nota di ALIBRANDI ; Cass. 19 agosto 1982, n. 4684, in Giust. civ., 1982, I, 2978. In caso di sciopero: Cass. 2 febbraio 1988, n. 956, in Lav. prev. oggi, 1988, 1279. Sul punto v. anche Corte cost. 24 aprile 2003, n. 136, in Dir. lav., 2003, II, 377, con nota di GAMBACCIANI , che ha dichiarato manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3 e 38 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 T.U. nella parte in cui non comprende tra le persone assicurate i lavoratori dipendenti in permesso sindacale. Alle posizioni della giurisprudenza si è uniformato anche l’INAIL, Notiziario n. 48 del 23 agosto 1991, in Dir. prat. lav., 1991, n. 40, 2632. In senso favorevole all’indennizzabilità di tali eventi si è espressa invece la dottrina unanime: DE MATTEIS, L’assicurazione obbligatoria, cit., 131 ss.; CATALDI , Conflitti sindacali e infortuni sul lavoro, in Riv. inf. mal. prof., 1972, I, 467; MIRALDI , Gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, Padova, 1968, 163; RIVA SANSEVERINO, Infortuni sul lavoro e sciopero attivo, in Riv. inf. mal. prof., 1955, I, 193; PERA, Conflitti sindacali e sinistri sul lavoro, in Foro it., 1958, II, 577. Questione diversa è quella che attiene invece alla ricorrenza dell’obbligo assicurativo nei confronti dei lavoratori collocati in aspettativa sindacale che è stata positivamente risolta da Corte cost. 10 maggio 2002, n. 171, cit.. (vedi supra Cap. II, par. 12). (34) Cfr. DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano, 2011, 213 ss.

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2.2. Il dolo, la colpa dell’assicurato e la nozione di rischio elettivo. – Nella nozione di occasione

di lavoro sono unitariamente comprese le diverse componenti causali dell’evento, quali il caso fortuito, la forza maggiore, il fatto del terzo nonché la colpa e il dolo dell’assicurante (35).

Non rientra invece nel rischio protetto il dolo dell’assicurato secondo quanto esplicitamente disposto non solo dall’art. 11, comma 3, T.U., il quale autorizza l’INAIL ad esercitare l’azione di regresso nei confronti dell’infortunato quando l’infortunio sia avvenuto per dolo del medesimo accertato con sentenza penale, ma anche dall’art. 64 T.U., che riconosce la facoltà dello stesso INAIL di richiedere l’accertamento giudiziale d’urgenza quando abbia motivo di ritenere che l’evento sia avvenuto per dolo dell’infortunato o che le relative conseguenze siano state da lui dolosamente aggravate, e, infine, dall’art. 65 T.U., il quale stabilisce che l’assicurato che abbia simulato un infortunio o abbia dolosamente aggravato le conseguenze di esso, perde il diritto ad ogni prestazione, ferma restando l’applicazione delle pene stabilite dalla legge (36).

Si tratta a ben vedere dell’applicazione nell’ambito delle assicurazioni sociali del medesimo principio sancito in via generale per le assicurazioni private dall’art. 1900 cod. civ., il quale esclude l’obbligo dell’assicuratore di rispondere dei sinistri cagionati dal comportamento doloso del contraente, assicurato o beneficiario.

Un discorso parzialmente diverso deve essere invece svolto relativamente alla colpa dell’infortunato, la quale è certamente ricompresa nell’occasione di lavoro senza che ne derivi una corrispondente riduzione dell’indennità, ma ciò a condizione che l’imprudenza, negligenza o imperizia siano riconducibili al rischio connesso all’attività lavorativa. Viceversa, qualora il rischio che ha generato l’evento sia stato volontariamente e arbitrariamente provocato dallo stesso lavoratore, il rapporto, anche solo finalistico, tra il lavoro e l’evento si recide e si configura la fattispecie del rischio c.d. elettivo che esclude l’indennizzabilità dell’evento (37). É bene chiarire che il rischio elettivo costituisce una fattispecie di derivazione giurisprudenziale che, pur non trovando esplicito riscontro nel dato normativo, trova nondimeno un sicuro fondamento nell’indefettibile rapporto causale o strumentale che deve sussistere tra il rischio dell’evento e l’attività lavorativa.

In questo senso la giurisprudenza è solita condizionare la configurazione del rischio elettivo al simultaneo concorso dei seguenti fattori: a) la presenza di un atto volontario ed arbitrario, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive; b) la direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali; c) la mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa (38). Il che

(35) ALIBRANDI , Infortuni sul lavoro, cit., 323. (36) Il riferimento è alla fattispecie criminosa prevista dall’art. 642 cod. pen. il quale punisce con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di conseguire per sé o per altri l’indennizzo di una assicurazione o comunque un vantaggio derivante da un contratto di assicurazione, cagioni a se stesso una lesione personale o aggravi le conseguenze della lesione personale prodotta da un infortunio o denunci un sinistro non accaduto ovvero distrugga, falsifichi, alteri o precostituisca elementi di prova o documentazione relativi al sinistro. Più in generale, secondo la giurisprudenza, il nesso eziologico tra occasione di lavoro ed infortunio viene meno qualora l’attività che ha originato l’evento, sia qualificabile come attività illecita penalmente perseguibile o sia eseguita per compiere un illecito (così Cass. 7 maggio 1997, n. 3994, in Riv. inf. mal. prof., 1997, II, 82). (37) In dottrina sulla distinzione tra condotta colposa e rischio elettivo v. ALIBRANDI , Il rischio elettivo agli effetti previdenziali ed anche agli effetti prevenzionali, in Riv. it. prev. soc., 1978, 452 ss.; NICOLINI, Rischio elettivo ed infortunio indennizzabile, in Riv. dir. lav., 1966, I, 355 ss.; BUSNELLI, In tema di c.d. “rischio elettivo” negli infortuni sul lavoro, in Riv. giur. lav., 1965, II, 406 ss.; CATALDI , Rischio professionale e rischio elettivo, in Riv. dir. lav., 1959, I, 108 ss.. (38) Cass. 11 febbraio 2013, n. 3173, in Lav. giur., 2013, 418, la quale ha ritenuto del tutto abnorme e svincolata dallo svolgimento dell’attività protetta la condotta di un contadino rimasto ucciso dallo scoppio di un pozzo di rifiuti, causato dalla presenza di materiale altamente combustibile inserito dallo stesso lavoratore; Cass. 23 luglio 2012, n. 12779, in Lav. giur., 2012, 1114; Cass. 16 maggio 2011, n. 10734, la quale ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano escluso il risarcimento del danno in favore della guardia giurata che, allontanatasi dalla guardiola per parlare con un collega, era rimasta ferita a un braccio per un colpo partito accidentalmente dalla pistola del collega stesso; Cass. 2 ottobre 2009, n. 21113, in Giust. civ. mass., 2009, 1399; Cass. 4 luglio 2007, n. 15047, in Giust. civ. 2008, I, 1987, la quale ha

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significa che l’imprudente condotta del lavoratore non impedisce l’indennizzabilità dell’evento e non esclude l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per inosservanza dell’obbligo di sorveglianza, salvo che detta condotta non presenti i caratteri dell’abnormità, straordinarietà e imprevedibilità (39).

3. L’infortunio in itinere. – L’indennizzabilità degli eventi occorsi lungo il tragitto che collega

l’abitazione al luogo di lavoro, costituisce un risalente approdo giurisprudenziale che è stato inevitabilmente influenzato dalla evoluzione della sottostante nozione di occasione di lavoro. Finché quest’ultima è stata interpretata secondo la rigorosa prospettiva carneluttiana (40) la tutela degli infortuni verificatisi durante il tragitto compreso tra l’abitazione e il luogo di lavoro è stata condizionata alla necessaria presenza lungo il percorso di particolari condizioni di pericolosità, tali cioè da ingenerare un aggravamento del rischio generico che incombe indistintamente su tutti gli utenti della strada (41).

In mancanza di una esplicita definizione legislativa (42) e nella impossibilità di applicare analogicamente l’art. 6 T.U. (43), la nozione di infortunio in itinere è rimasta così unicamente affidata all’elaborazione giurisprudenziale, la quale, coerentemente al significato attribuito all’occasione di lavoro, ha continuato per lungo tempo a dedurre la professionalità dell’evento dalla gravità del rischio

negato l’indennizzabilità dell’infortunio occorso ad un lavoratore che, frequentando un corso di perfezionamento antincendio, durante la pausa del caffè aveva voluto osservare da vicino il vano nel quale era allocato il discensore per i vigili del fuoco, avvicinandosi tanto da perdere l’equilibrio e cadere nello stesso; Cass. 27 gennaio 2006, n. 1718, cit.; Cass. 4 marzo 2005, n. 4723, in Giust. civ. mass., 2005, 4; Cass. 5 gennaio 2005, n. 180, in Orient. giur. lav., 2005, I, 180; Cass. 7 maggio 2002, n. 6511, cit.; Cass. 8 marzo 2001, n. 3363, cit.; Cass. 18 settembre 2000, n. 12325, cit.; Cass. 16 dicembre 1999, n. 14157, in Giust. civ., Mass., 1999, 2551. (39) Cass. 10 gennaio 2013, n. 536, in Riv. crit. dir. lav., 2012, 1086, con nota di GARLATTI ; Cass. 31 luglio 2012, n. 13701; Cass. 16 maggio 2011, n. 10734; Cass. 10 settembre 2009, n. 19494, in Giust. civ. mass. 2009, 1290; Cass. 4 marzo 2005, n. 4723, cit.; Cass. 30 maggio 2001, n. 7367, in Giust. civ. mass., 2001, 1092; Cass. 9 settembre 1991, n. 9459, in Riv. inf. mal. prof. 1992, II, 9. (40) CARNELUTTI, Occasione del lavoro, cit., 297 ss., il quale riteneva indennizzabile l’infortunio in itinere solo se provocato da un rischio specifico, «il che avviene manifestamente ogni volta in cui, per recarsi al lavoro, l’operaio abbia da percorrere una via, lungo la quale si esponga a pericoli diversi e maggiori, da quelli che si corrono in un cammino normale», sicché è necessario che «i pericoli sieno realmente singolari, non bastando la esistenza di essi in misura anche rilevante, quando siano comuni alla maggior parte delle vie della località». (41) In questo senso tra le tante: Cass. 20 marzo 1985, n. 2050, inedita, e Cass. 20 settembre 1982, n. 4917, in Resp. civ. prev., 1983, 446, secondo le quali l’infortunio in itinere può configurarsi solo quando l’infortunato abbia dovuto percorrere una determinata strada che presenti rischi diversi da quelli delle ordinarie vie di comunicazione; Cass. 12 ottobre 1987, n. 7541, inedita, la quale, in mancanza di un aggravamento del rischio generico della strada, ha escluso l’indennizzabilità dell’infortunio occorso al lavoratore mentre percorreva a piedi l’unica via che collegava la sua abitazione al luogo di lavoro; Cass. 10 dicembre 1983, n. 7312, in Riv. inf. mal. prof., 1984, II, 116, che ha escluso l’indennizzabilità dell’infortunio occorso ad un lavoratore che rincasava in auto con un collega dopo aver subito sul lavoro una ferita alla mano destra, in quanto tale evento non gli avrebbe impedito di fare ritorno alla propria abitazione servendosi dei pubblici mezzi di trasporto; Cass. 19 maggio 1978, n. 2488, in Riv. inf. mal. prof., 1979, II, 33, la quale non ha ritenuto avvenuto in occasione di lavoro l’infortunio occorso ad una coltivatrice diretta che rincasava a piedi dal luogo di lavoro lungo una strada statale in ora notturna e portando una borsa con le pentole servite per il suo pasto. (42) È utile ricordare che già l’art. 31 della l. 19 gennaio 1963, n. 15, aveva delegato il Governo ad emanare entro un anno dalla sua entrata in vigore un’apposita disciplina dell’infortunio in itinere e che i termini della delega furono ripetutamente prorogati dapprima con la legge 11 marzo 1965, n. 158 e, successivamente, con la legge 1 dicembre 1966, n. 1806. Sui contenuti della delega e sulle ragioni del suo mancato esercizio v. ACCONCIA, L’infortunio sul lavoro, cit., 85 ss; DE

MATTEIS, L’assicurazione obbligatoria, cit., 108 ss.; CATALDI , Nel ventennale del Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali approvato con d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124, in Riv. inf. mal. prof., 1985, spec. 200 ss. (43) L’art. 6 T.U. riconosce l’indennizzabilità degli infortuni occorsi ai componenti dell’equipaggio durante il viaggio compiuto per l’imbarco o per il rimpatrio ove la dimissione dal ruolo abbia avuto luogo in località diversa, purché non si siano verificate deviazioni senza motivo dall’itinerario prestabilito. Secondo parte della dottrina la norma disciplinerebbe non già la fattispecie dell’infortunio in itinere quanto piuttosto la figura dell’infortunio avvenuto tra due luoghi di lavoro (così ACCONCIA, L’infortunio sul lavoro, cit., 84). In questo senso anche Cass. 28 ottobre 1997, n. 10621, in Giust. civ. mass. 1997, 2032, la quale, in ragione della diversità di fattispecie, ha riconosciuto l’applicazione in favore del personale marittimo anche dei principi sull’infortunio in itinere elaborati sulla base degli artt. 2 e 4 T.U..

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che lo aveva provocato. È soltanto in tempi più recenti allorché le trasformazioni del lavoro hanno suggerito una diversa lettura dell’occasione di lavoro, che la giurisprudenza ha iniziato gradualmente a rimeditare anche le posizioni assunte in materia di infortunio in itinere, desumendo l’origine professionale dell’evento dal semplice rapporto finalistico tra il percorso e l’attività lavorativa (44).

È nel mezzo di questa evoluzione interpretativa che si colloca l’intervento del legislatore, il quale all’art. 12 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 ha fornito una esplicita definizione di infortunio in itinere

(45), modellata, non senza alcuni evidenti ambiguità e inesattezze, sulla base delle più estensive indicazioni fornite dalla giurisprudenza (46).

La norma delegata introduce nel testo degli artt. 2 e 210 T.U., che contengono la definizione di infortunio sul lavoro per i settori, rispettivamente, dell’industria e dell’agricoltura, un nuovo ultimo comma, il quale dispone che, «salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate», la tutela indennitaria trova applicazione agli «infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale durante il normale percorso di andata e ritorno dai luoghi di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti». La disposizione prosegue precisando che «l’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti» e che la garanzia assicurativa «opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato», restando invece esclusi «gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni» nonché gli eventi occorsi al «conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida».

Dalla formulazione della norma traspare anzitutto la chiara volontà legislativa di recepire l’orientamento giurisprudenziale più estensivo, escludendo che l’indennizzabilità dell’evento sia condizionata alla presenza lungo il tragitto di condizioni di maggiore pericolosità rispetto al comune rischio della strada. Se ne deduce che il semplice rapporto finalistico che collega il percorso all’attività lavorativa, dovrebbe essere di per sé sufficiente a garantire l’intervento della tutela indennitaria.

Sembra così trovare conferma in sede legislativa la tendenza giurisprudenziale alla progressiva dilatazione del rischio assicurato, dinanzi alla quale, tuttavia, non possono non risultare ancora più

(44) Cass. 1 febbraio 2002, n. 1320, in Orient. giur. lav., 2002, 156; Cass. 18 aprile 2000, n. 5063, in Dir. lav., 2000, II, 425, con nota di GAMBACCIANI ; Cass. 2 maggio 1997, n. 3756, in Giust. civ., 1999, I, 2794, con nota di VECCHIO; Cass. 23 settembre 1996, n. 8396, in Riv. inf. mal. prof., 1996, II, 156; Cass. 16 dicembre 1995, n. 12881, in Lav. giur., 1996, 505; Cass. 4 novembre 1994, n. 9099, in Giur. it., 1995, I, I, 1224. Al nuovo corso giurisprudenziale si era uniformato l’INAIL con il documento Criteri per la trattazione dei casi di infortuni sul lavoro con particolare riferimento alla nozione di rischio generico aggravato, in Riv. inf. mal. prof., 1999, I, 1229 ss. Nello stesso periodo, peraltro, non sono mancate le pronunce favorevoli al precedente indirizzo interpretativo: Cass. 4 giugno 1999, n. 5517, cit.; Cass. 11 aprile 1998, n. 3742, cit.; Cass. 11 giugno 1999, n. 5770, cit.; Cass. 9 giugno 1995, n. 6531, cit.; Cass. 11 novembre 1995, n. 11731, in Riv. inf. mal. prof., 1996, II, 12. Sulle oscillazioni della giurisprudenza v. SAFFIOTI, La problematica identità dell’infortunio in itinere fra tradizione e innovazione, in Dir. lav., 1999, I, 423 ss.; COCUZZA, Infortunio in itinere: ancora infruttuosa la ricerca di una qualche stabile certezza, in Riv. giur. lav., 1998, II, 646 ss e ID., Occasione di lavoro e infortunio in itinere: difformità interpretative e cause metagiuridiche alla base di una giurisprudenza disomogenea, in Riv. giur. lav., 1997, II, 276 ss. (45) In generale sull’art. 12 v. CORSALINI, Gli infortuni in itinere, Ipsoa, 2009; LANZO, TROJSI, L’infortunio in itinere, in Dir. lav. merc. 2007, 399 ss.; VICECONTE, L’infortunio in itinere. Evoluzione di un istituto, in Lav. prev. oggi, 2005, 1297 ss.; LUDOVICO, La definizione legislativa dell’infortunio in itinere tra estensione della tutela e selezione dei soggetti, in Riv. inf. mal. prof., 2002, I, 31 ss.; MARINELLI , La cristallizzazione dell’orientamento giurisprudenziale nell’attuazione della delega legislativa in tema di infortunio in itinere, in Arg. dir. lav., 2001, 1043 ss.; CESTER, La nuova disciplina dell’infortunio in itinere: ancora strada da percorrere ?, in Riv. prev. pubbl. priv., 2001, 9 ss; FONTANA, L’infortunio in itinere, in Riv. inf. mal. prof., 2000, I, 631; CORSALINI, Infortunio in itinere. Questioni applicative dell’art. 12 del d.lg. 38/2000, in Riv. inf. mal. prof., 2000, I, 27 ss. (46) È quanto disponeva il criterio di delega previsto dall’art. 55, co. 1, lett. u), l. 17 maggio 1999, n. 144 del 1999, il quale autorizzava il Governo ad emanare una «specifica disposizione per la tutela dell’infortunio in itinere che recepis[se] i principi giurisprudenziali consolidati in materia».

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anacronistici i limiti di applicazione soggettiva di cui agli artt. 1 e 4 T.U., ai quali lo stesso art. 12 si riferisce allorché circoscrive la tutela alle sole «persone assicurate» (47).

I limiti spaziali del percorso tutelato sono definiti attraverso il riferimento al «luogo di abitazione», «di lavoro» e «di consumazione abituale dei pasti».

Quanto all’abitazione è di tutta evidenza che il termine è qui utilizzato in senso atecnico (48), dovendo intendersi come tale non solo il luogo di residenza, ma anche quello in cui si esprime la personalità dell’individuo nella comunità familiare (49), tenuto altresì conto della possibilità per il lavoratore di soggiornare in un luogo diverso da quello abituale (50).

La giurisprudenza è solita inoltre escludere – fatta eccezione per l’impiego pubblico dove l’inosservanza dell’obbligo non esclude comunque l’operatività della tutela (51) – che il lavoratore sia tenuto a risiedere in un luogo vicino a quello di lavoro (52), mentre è richiesto che la distanza tra i due luoghi non sia irragionevole, sebbene sussistano alcune divergenze circa la esatta definizione del criterio di ragionevolezza (53).

È bene chiarire che gli eventi indennizzabili sono solo quelli che si verificano durante il percorso, sicché devono ritenersi esclusi dalla tutela gli infortuni occorsi all’interno dell’abitazione e delle

(47) Cfr. GIUBBONI, Le “contraddizioni” dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, tra vecchio e nuovo diritto, in Dir. lav., 2001, I, 97. (48) Così CORSALINI, Gli infortuni in itinere, cit., 64. (49) In questo senso Cass. 8 novembre 2000, n. 14508, in Foro it., 2001, I, 1532, ma anche Cass. 5 novembre 1998, n. 11148, cit. e Cass. S. U. 20 aprile 1994, n. 3734. (50) Cass. 23 aprile 2004, n. 7717, in Giust. civ. mass. 2004, 4; Cass. 1 febbraio 2002, n. 1320, cit.; Cass. 18 aprile 2000, n. 5063, cit.. Sul punto v. anche Cass. 9 dicembre 2002, n. 17523, in Giust. civ. mass. 2002, 2152, che ha escluso l’indennizzabilità dell’evento verificatosi all’interno dell’alloggio di servizio, equiparato in questo senso alla comune abitazione. (51) Corte cost. 27 giugno 2012, n. 169, in Giur. cost., 2012, 2319 che ha così ritenuto manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento agli art. 3, 16, 97 e 98 cost., nei confronti dell’art. 12 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3; nello stesso senso Cons. Stato sez. III 27 agosto 2013, n. 4281, in Foro amm. CDS, 2013, 1929. (52) Cass. 19 gennaio 1998, n. 455, in Giust. civ., 1999, I, 2793, con nota di VECCHIO; Cass. 5 novembre 1998, n. 11148, in Giust. civ. mass., 1998, 2277; Cass. 2 maggio 1997, n. 3756, cit.; Cass. 23 settembre 1996, n. 8396, cit.; Cass. 16 dicembre 1995, n. 12881, cit.; Cass. 4 novembre 1994, n. 9099, cit.; Cass. 2 aprile 1992, n. 4062, in Riv. inf. mal. prof., 1992, II, 154. (53) In senso più estensivo v. Cass. 8 novembre 2000, n. 14508, cit.; Cass. 19 dicembre 1997, n. 12903, in Foro it., 1998, I, 433 con nota di FERRARI, la quale ha riconosciuto l’indennizzabilità dell’incidente subito dal lavoratore mentre si recava presso la famiglia a circa mille chilometri di distanza, equiparando il viaggio compiuto con la minore periodicità imposta dalla maggiore distanza al percorso effettuato dal lavoratore che rientra quotidianamente a casa. In senso contrario rispetto ad una identica fattispecie: Cass. 8 giugno 2005, n. 11950, in Foro it., 2006, I, 171, con nota di FERRARI; Cass. 17 aprile 1989, n. 1830, in Riv. inf. mal. prof., 1989, II, 41. Sul punto v. il documento INAIL Linee guida per la trattazione dei casi di infortuni in itinere del 4 maggio 1998, in Riv. inf. mal. prof., 1998, I, 160, secondo il quale può «considerarsi rientrante nei limiti della ragionevolezza una distanza percorribile in un tempo complessivamente (andata e ritorno) non superiore a tre ore» (punto 4.1.2).

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relative pertinenze che, in quanto luoghi privati, non sono compresi nel rischio protetto (54), salvo che si tratti di aree aperte al traffico (55).

Per luogo di lavoro deve invece intendersi non solo l’ambiente nel quale il lavoratore svolge abitualmente la prestazione, ma anche ogni altro luogo in cui lo stesso deve recarsi in esecuzione delle direttive impartite dal datore di lavoro, sicché possono essere qualificati come tali il luogo di pagamento della retribuzione o di svolgimento di una missione, un convegno, un corso di formazione, una cena di lavoro o una visita medica richiesta per ragioni di lavoro (56). Diversamente da quanto si è detto a proposito dell’abitazione, gli eventi occorsi nelle pertinenze del luogo di lavoro sono invece indennizzabili ma come infortuni sul lavoro, mentre solo gli eventi occorsi al di fuori delle pertinenze sono qualificabili come infortuni in itinere senza alcuna conseguenza sull’importo del premio assicurativo (57).

Particolarmente ambiguo si rivela anche il riferimento al luogo di consumazione abituale dei pasti, tenuto conto che l’assenza di abitualità non esclude di certo il rapporto finalistico con l’attività lavorativa. Il legislatore ha voluto così escludere dalla tutela i lavoratori che, in assenza di una

(54) Così Cass. 27 aprile 2010, n. 10028, in Lav. giur., 2010, 731, che ha escluso l’indennizzabilità dell’evento occorso ad una lavoratrice mentre scendeva dalla sua autovettura, dinanzi alla sua abitazione; Cass. 16 luglio 2007, n. 15777, in Lav. giur., 2008, 195, con riguardo ad un lavoratore scivolato sul portone di casa; Cass. 9 giugno 2003, n. 9211, in Riv. it. dir. lav. 2004, II, 191, con nota di BONARDI, relativamente ad un lavoratore scivolato sulle scale condominiali mentre usciva dalla propria abitazione per recarsi al lavoro; Cass. 21 aprile 2001, n. 5937, in Riv. inf. mal. prof., 2001, II, 85, con nota di CORSALINI, L’infortunio in itinere nell’ambito delle pertinenze dell’abitazione, con riguardo ad una caduta avvenuta sui gradini dell’abitazione; Cass. 13 maggio 1998, n. 4841, in Foro it., 1998, I, 1791, con nota di FERRARI, che ha escluso l’indennizzabilità dell’infortunio occorso ad un lavoratore che era scivolato mentre percorreva la rampa di discesa al garage; Cass. 26 febbraio 1996, n. 1494, in Riv. inf. mal. prof., 1996, II, 60; Cass. 8 ottobre 1992, n. 10961, ivi, 1993, II, 26. In senso contrario Cass. 7 maggio 1998, n. 4646, cit., che, invece, ha ritenuto avvenuto in occasione di lavoro l’infortunio occorso al lavoratore mentre scendeva dalle scale della sua abitazione dopo aver recuperato un attrezzo di lavoro affidatogli dal datore di lavoro. L’indirizzo giurisprudenziale prevalente è stato recepito dall’INAIL tramite le istruzioni operative del 12 gennaio 2004 dal titolo Limiti spaziali del percorso tutelato. Sul punto in dottrina V. CORSALINI, Gli infortuni in itinere, cit., 73 ss. (55) Così le istruzioni operative, Limiti spaziali, cit.. (56) Così le Linee guida, cit., 160 (punto 4.1.2), nonché con specifico riguardo agli infortuni avvenuti in missione e in trasferta la circ. INAIL n. 52 del 23 ottobre 2013. In giurisprudenza sul punto: Cass. 13 aprile 2002, n. 5357, cit., che ha ritenuto indennizzabile l’infortunio occorso ad un lavoratore che su richiesta del datore di lavoro si era recato presso un notaio; Cass. 22 febbraio 2012, n. 2642, in Lav. giur., 2012, 508 che non ha ritenuto indennizzabile l’infortunio dopo una visita medica per motivi di lavoro solo perché il lavoratore aveva fatto rientro all’abitazione anziché al luogo di lavoro; Cass. 25 luglio 2001, n. 10162, in Not. giur. lav., 2002, 127, che ha riconosciuto l’indennizzabilità dell’infortunio subito dal lavoratore mentre per motivi di lavoro, si recava con il proprio ciclomotore dalla sede del suo ufficio ad una filiale bancaria; Cass. 4 novembre 1994, n. 9099, cit., che ha riconosciuto come infortunio in itinere l’incidente occorso ad un lavoratore che, per disposizione del datore di lavoro, si trovava su un percorso diverso da quello abituale; Cass. 16 febbraio 1990, n. 1171, in Riv. inf. mal. prof. 1990, II, 23, la quale ha ritenuto avvenuto in occasione di lavoro l’infortunio nel quale era rimasta coinvolta una lavoratrice mentre si recava dal posto di lavoro alla sede dell’amministrazione, dove era stata convocata per motivi di servizio; App. Bari 27 ottobre 2008, n. 2204, con riferimento all’infortunio occorso durante il permesso finalizzato alla riscossione dello stipendio presso la banca di tesoreria dell’amministrazione sanitaria. (57) Cass. 13 maggio 2002, n. 6894, cit. e Cass. 7 maggio 2002, n. 6511, cit., con riguardo agli infortuni occorsi negli spogliatoi del luogo di lavoro; Cass. 11 febbraio 2002, n. 1944, cit., relativamente ad un infortunio verificatosi nel seminterrato di un albergo; Cass. 14 febbraio 2001, n. 2117, cit., che ha ritenuto indennizzabile l’infortunio occorso ad un agricoltore mentre apriva il cancello di accesso al mercato ortofrutticolo; Cass. 10 gennaio 2001, n. 253, cit., con riguardo all’infortunio occorso ad un lavoratore mentre si recava verso il suo reparto dopo aver parcheggiato l’auto; Cass. 22 novembre 1999, n. 12930, cit. e Cass. 2 giugno 1999, n. 5419, cit., relativamente ad eventi occorsi nelle scale del luogo di lavoro; Cass. 11 maggio 1999, n. 4676, cit. e Cass. 22 maggio 1997, n. 4557, cit., con riguardo all’infortunio occorso lungo il tragitto da e per il luogo di timbratura del cartellino; Cass. 17 dicembre 1998, n. 12652, cit., relativamente all’infortunio verificatosi nel bagno dello stabilimento. Così anche le istruzioni operative, Limiti spaziali, cit..

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mensa aziendale (58), abbiano scelto, senza ragionevole motivo (59), di consumare il pasto presso l’abitazione o in un luogo diverso da quello situato nelle immediate vicinanze del lavoro (60), esponendosi in questo modo ad un rischio maggiore rispetto a quello abituale. Non sembrano così trovare alcuna tutela le preferenze alimentari dovute a convinzioni culturali o religiose, sebbene, specialmente per queste ultime, evidenti ragioni costituzionali non potrebbero tollerare l’esclusione dalla tutela ove risulti dimostrato che la scelta del lavoratore è dettata dalla mancanza, nella mensa aziendale o in altro luogo più vicino, di un pasto conforme al suo credo religioso.

Con espressione, ancora una volta, ambigua il legislatore ha circoscritto la tutela in esame ai soli eventi occorsi durante «il normale percorso» da e per i luoghi sopra esaminati, ivi compresi gli infortuni verificatisi durante lo spostamento tra due luoghi di lavoro (61). La giurisprudenza è solita escludere che il percorso normale sia necessariamente quello più breve, dovendosi piuttosto accertare che corrisponda a quello abituale e che il tragitto prescelto non sia dettato da ragioni personali estranee all’attività lavorativa (62). È così possibile che il percorso seguito non sia quello più breve se la scelta di un tragitto diverso è dettata da particolari condizioni della strada o della viabilità (63).

La necessaria ricorrenza lungo l’intero tragitto del legame finalistico con l’attività lavorativa spiega anche l’esclusione dalla tutela degli infortuni occorsi durante le interruzioni e le deviazioni dovute a scelte personali del tutto indipendenti dal lavoro o comunque non necessitate (64). Ciò non

(58) Escludono che, in assenza di una mensa aziendale, il lavoratore sia tenuto a consumare il pasto nel luogo di lavoro: Cass. 5 giugno 2001, n. 7612, in Giust. civ. mass. 2001, 1140; Cass. 5 maggio 1998, n. 4535, in Foro it., 1998, I, 1796; Cass. 23 marzo 1989 n. 1483, in Riv. inf. mal. prof., 1989, II, 42; Cass. 3 giugno 1985, n. 3296, in Riv. inf. mal. prof., 1985, II, 75. Alla mensa aziendale deve essere equiparato il servizio di ristoro esterno convenzionato tramite buoni-pasto: Cass. 24 aprile 2004, n. 7875, in Giust. civ. mass. 2004, 4; Cass. 13 luglio 1996, n. 6374, in Riv. giur. lav., 1997, II, 275, con nota di COCUZZA. (59) Cass. 24 novembre 1997, n. 11746, in Giust. civ. mass. 1997, 2258, che ha ritenuto non meritevole di tutela la scelta del lavoratore di non consumare il pasto alla mensa, in assenza di una comprovate condizioni di salute obiettivamente incompatibili con tale modalità di assunzione; Cass. 21 febbraio 1987 n. 1883, inedita, la quale ha invece ritenuto indennizzabile l’infortunio occorso, durante il percorso di ritorno all’abitazione, ad un soggetto impossibilitato per le sue condizioni di salute alla consumazione del pasto alla mensa aziendale. (60) Equiparano al rischio elettivo la scelta di consumare il pasto presso l’abitazione o luogo diverso da quello abituale: Cass. 22 giugno 2005, n. 13348, in Giust. civ. mass. 2005, 6; Cass. 1 settembre 2004, n. 17544, in Riv. inf. mal. prof., 2004, II, 77; Cass. 10 maggio 2004, n. 8889, in Giust. civ. mass. 2004, 5; Cass. 24 aprile 2004, n. 7875, cit.; Cass. 18 novembre 1998, n. 11636, in Giust. civ. mass., 1998, 2381; Cass. 7 marzo 1998, n. 2572, in Giust. civ. mass. 1998, 542; Cass. 21 febbraio 1997, n. 1582, in Riv. inf. mal. prof., 1997, II, 96; Cass. 6 maggio 1994, n. 4402, in Riv. inf. mal. prof., 1994, II, 75; Cass. 25 gennaio 1993, n. 806, in Mass. giur. lav., 1993, 262, con nota di ALIBRANDI ; Cass. 20 maggio 1997, n. 4492, in Orient. giur. lav., 1998, I, 237, che ha ritenuto non indennizzabile l’evento lesivo occorso ad un lavoratore che durante la pausa mensa era uscito dal cantiere per raggiungere un vicino bar al fine di acquistare le sigarette e sorbire un caffè. Sul punto in generale v. il documento INAIL Linee guida, cit., 162 (punto 4.2.2). In senso diverso Cass. 3 agosto 2001, n. 10750, cit., che ha ritenuto conforme agli standards della società civile la scelta di tornare a casa per consumare il pasto. (61) Il riferimento in questo caso è ai lavoratori impegnati con due rapporti a tempo parziale, ai lavoratori parasubordinati o ai lavoratori somministrati. Sul punto v. Cass. 19 aprile 1999, n. 3885, cit., con riguardo all’infortunio occorso ad un legale dipendente dell’INAIL per la Calabria, avente sede a Catanzaro, mentre alla guida della propria autovettura si recava da Cosenza – ove era stato autorizzato a risiedere – a Crotone per motivi di servizio; Cass. 6 marzo 2003, n. 3363, in Giust. civ. mass. 2003, 475, che ha ritenuto indennizzabile l’infortunio occorso, in dipendenza dell'operazione di discesa da una bicicletta, al lavoratore che la utilizzava per spostarsi più agevolmente all'interno dell'area del cantiere, dove prestava la propria attività lavorativa. (62) Così da ultimo Cass. 13 gennaio 2014, n. 475, che ha ritenuto non indennizzabile l’infortunio occorso al lavoratore al rientro dalla ferie ed in orario notturno, perché non verificatosi nel normale spostamento tra abitazione e luogo di lavoro e perché accaduto in orari non collegabili necessariamente con l’orario di lavoro; Cass. 24 settembre 2010, n. 20221, in Lav. giur., 2010, 1237; Cass. 4 novembre 1994, n. 9099, cit.. Negli stessi termini Cons. Stato sez. VI 25 settembre 2006, n. 5603, in Lav. giur. 2007, 196, con nota di MARINELLI . (63) In questi termini il documento INAIL Linee guida, cit., 160 (punto 4.1.2). (64) Cass. 18 maggio 2009, n. 11417, in Lav. giur., 2009, 838; Cass. 23 maggio 2008, n. 13376, in Lav. giur., 2008, 843; Cass. 18 luglio 2007, n. 15973, in Lav. giur., 2008, 149, con nota di GIRARDI; Cass. 18 marzo 2004, n. 5525, in Lav. giur.,

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significa, tuttavia, che qualunque infortunio verificatosi nel corso delle deviazioni sia escluso dalla tutela, dovendosi piuttosto accertare, in relazione alle circostanze di tempo e di luogo dell’evento, se la scelta di un diverso tragitto abbia esposto il lavoratore a condizioni di rischio maggiori rispetto a quelle del percorso normale (65).

Un discorso parzialmente diverso deve essere invece svolto con riguardo agli infortuni occorsi durante le interruzioni del percorso, tenuto conto che queste ultime, diversamente dalle deviazioni, non comportano l’esposizione ad un maggior rischio, ma soltanto la temporanea sospensione del tragitto. Sulla scorta di questo ragionamento era stato così proposto di limitare l’esclusione della tutela ai soli eventi occorsi durante l’interruzione e non anche a quelli verificatisi dopo la ripresa del normale percorso (66).

Chiamata a pronunciarsi sulla irragionevole esclusione che sarebbe altrimenti derivata da una interpretazione letterale della norma (67), la Corte costituzionale con l’ordinanza n. 1 dell’11 gennaio 2005 (68) ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione, escludendo, sulla scorta dei principi elaborati dalla giurisprudenza, che l’ipotesi dell’”interruzione” possa ritenersi integrata da una breve sosta che non alteri le condizioni di rischio.

A questi principi si è uniformata la successiva giurisprudenza, la quale ha distinto tra soste necessitate, dovute alla necessità di un breve riposo o quella di soddisfare esigenze fisiologiche, e soste voluttuarie, nonché, tra queste ultime, quelle di pochi minuti, insuscettibili di modificare le condizioni di rischio, e quelle di apprezzabile durata e consistenza, tale cioè da far presumere una modificazione delle condizioni di rischio della viabilità stradale (69).

Nonostante l’intervento del giudice costituzionale abbia scongiurato il rischio di una ingiustificata disapplicazione della tutela nei confronti degli eventi occorsi dopo l’interruzione alla ripresa del normale percorso, rimane la difficoltà per il lavoratore di dimostrare che la durata della sosta non ha alterato le condizioni di rischio del percorso (70).

Quanto invece alle interruzioni e deviazioni che non comportano l’esclusione della tutela, è la stessa norma a chiarire che queste si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. Anche da questo versante, coerentemente ai principi di delega, il legislatore ha recepito i risultati dell’elaborazione giurisprudenziale che era già pervenuta al riconoscimento della tutela degli eventi occorsi in presenza di deviazioni o interruzioni dovute a blocchi della viabilità, guasti del

2004, 991; Cass. 11 dicembre 2003, n. 18980, in Dir. lav., 2004, II, 319, con nota di RUSSO; Cass. 6 agosto 2003, n. 11885, in Riv. inf. mal. prof. 2004, II, 7. (65) Cass. 22 gennaio 2013, n. 1458, in Lav. giur., 2013, 417; Cass. 6 luglio 2007, n. 15266, che ha escluso l’indennizzabilità dell’infortunio occorso durante la deviazione effettuata per provvedere alla sostituzione dei pneumatici usurati dell’autovettura, trattandosi di una deviazione non necessitata o giustificata da esigenze essenziali ed improrogabili, non potendo includersi tra queste l’usura delle gomme che ben poteva essere rilevata per tempo. (66) Cass. 19 aprile 1995, n. 4346, in Giust. civ. mass., 1995, 850 che ha giudicato indennizzabile l’infortunio occorso ad un istruttore di scuola guida durante il viaggio di ritorno alla sede, dopo aver accompagnato un allievo, «non avendo rilievo che il [lavoratore] abbia fatto una sosta in banca e una al bar, dato che il rientro si stava effettuando proprio sulla strada che porta [al paese] dove ha sede la scuola guida». Nello stesso senso il documento INAIL Linee guida, cit., 161 (punto 4.1.2), secondo il quale «il nesso causale interrotto dalla deviazione deve intendersi ripristinato non appena l’assicurato riprenda il percorso normale, sempreché la deviazione stessa abbia impegnato un periodo di tempo ragionevolmente breve». Sul punto v. LUDOVICO, La definizione legislativa dell’infortunio in itinere, cit., 47; CORSALINI, Infortunio in itinere, cit., 34 ss. (67) Trib. Trento 29 aprile 2003, in Riv. inf. mal. prof. 2003, II, 54. (68) in Riv. it. dir. lav., 2005, II, 795, con nota di BRUN, L’infortunio in itinere tra gli incerti confini del “rischio elettivo” e i dubbi di legittimità costituzionale: i nodi non risolti della riforma del 2000. (69) Così Cass. 18 luglio 2007 n. 15973, cit.. (70) In questo senso condivisibilmente CORSALINI, Gli infortuni in itinere, cit., 91 ss.

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veicolo, improvvisi malori, bisogni fisiologici (71) oppure ad esigenze familiari (72), ad accordi con il collega per raggiungere insieme il posto di lavoro (73), o all’obbligo di prestare soccorso e assistenza alle vittime di un incidente stradale (74).

Anche nell’infortunio in itinere, dunque, l’applicazione della tutela indennitaria incontra il limite del rischio elettivamente provocato dall’infortunato che si configura ogni qualvolta l’evento si sia verificato in circostanze di tempo e di luogo non riconducibili al percorso finalisticamente collegato all’attività lavorativa. Anzi, secondo un costante orientamento interpretativo, è proprio nell’infortunio in itinere che il rischio elettivo assumerebbe una connotazione più ampia, trattandosi di un evento destinato inevitabilmente a verificarsi al di fuori del luogo di lavoro (75).

Tra i diversi limiti indicati dal legislatore quello che ha destato sicuramente maggiori incertezze è costituito dall’«utilizzo del mezzo di trasporto privato» che comporta l’esclusione dalla tutela ove non «necessitato». Questa condizione è dovuta alla esplicita convinzione che il percorso effettuato a piedi o il mezzo di trasporto pubblico rappresentino lo «strumento normale per la mobilità delle persone» che comporterebbero «il grado minimo di esposizione al rischio della strada» (76). Sennonché, a parte ogni considerazione sulla fondatezza di tale assunto, la principale questione sollevata dalla formula legislativa è rappresentata dal significato del termine “necessitato” sul quale la giurisprudenza ha fornito sinora risposte non sempre univoche (77).

È nondimeno evidente la tendenza giurisprudenziale a considerare necessitato il ricorso al mezzo privato ove lo stesso non risulti irragionevole, tenuto conto della eventuale mancanza di soluzioni alternative (78), della distanza tra il luogo di lavoro e quello di abitazione (79), dell’incompatibilità degli orari del trasporto pubblico con quelli di lavoro (80) o della necessità di conciliare gli orari di lavoro

(71) Così il documento INAIL Linee guida, cit., 161. (72) Cass. 5 novembre 1998, n. 11148, cit.; Cass. 1 febbraio 1992, n. 1043, in Giust. civ. mass., 1992, 127. (73) Cass. 22 maggio 1987, n. 4657, in Mass. giur. lav., 1987, 390, con nota critica di PERSIANI, Occasione di lavoro e necessari limiti all’indennizzabilità dell’infortunio in itinere. Così anche il documento INAIL Linee guida, cit.. (74) Cass. 12 maggio 1990, n. 4076, in Riv. inf. mal. prof., 1990, II, 98, con nota critica di ALIBRANDI , Occasione di lavoro ed opere di soccorso. (75) Cass. 18 marzo 2013, n. 6725, in Lav. giur., 2013, 523; Cass. 10 settembre 2009, n. 19496, in Giust. civ. mass. 2009, 1291; Cass. 4 luglio 2007, n. 15047, cit.; Cass. 18 marzo 2004, n. 5525, cit.; Cass. 6 agosto 2003 n. 11885, cit.; Cass. 3 agosto 2005, n. 16282, in Giust. civ. mass., 2005, 6. (76) Così Cass. 7 settembre 2012, n. 15059; Cass. 3 novembre 2011, n. 22759, in Guida dir. 2011, 47, 78; Cass. 17 gennaio 2007, n. 995, in Riv. inf. mal. prof. 2007, II, 12; Cass. 6 ottobre 2004, n. 19940, in Lav. giur., 2005, n. 3, 285; Cass. 23 aprile 2004 n. 7717, cit.. Sul punto cfr. Cass. 28 aprile 2006, n. 9982, in Orient. giur. lav. 2006, 664, con nota di ALVINO , che ha ritenuto indennizzabile l’infortunio avvenuto nel tratto percorso a piedi tra il punto in cui il lavoratore aveva parcheggiato il veicolo nei pressi del posto di lavoro e quest’ultimo. (77) Secondo Cass. 31 luglio 2007, n. 16950, l’infortunio è invece indennizzabile quando l’uso del mezzo privato sia stato richiesto dal datore di lavoro; in senso diverso Cass. 26 maggio 2001, n. 7208, in Giust. civ. mass. 2001, 1069, secondo la quale l’autorizzazione del datore di lavoro non può supplire alla mancanza delle condizioni di fatto prescritte per la configurazione dell’infortunio in itinere e per il conseguente intervento della tutela assicurativa. (78) Cass. 7 settembre 2012, n. 15059; Cass. 18 maggio 2012, n. 7970, in Resp. civ. prev. 2012, 1922, con nota di CORSALINI; Cass. 3 novembre 2011, n. 22759, cit.. (79) Cass. 7 agosto 2003, n. 11917, in Giust. civ. mass. 2003, 7-8, che ha escluso l’indennizzabilità dell’evento verificatosi nel tragitto percorso col motorino per consumare il pasto presso l’abitazione posta a circa 1.500 metri dal luogo di lavoro; Cass. 26 luglio 2002, n. 11112, in Orient. giur. lav. 2002, I, 891 con riguardo all’infortunio occorso ad un lavoratore mentre impiegava la bicicletta, come mezzo di trasporto, per un percorso di circa 1.300 metri; Cass. 11 dicembre 2001, n. 15617, in Lav. giur. 2002, 860, con nota di MANNACIO, che ha escluso l’indennizzabilità dell’infortunio occorso ad una lavoratrice mentre alla guida del proprio ciclomotore si recava dalla abitazione al luogo di lavoro situato ad una distanza di circa un chilometro, ritenendo tale distanza agevolmente percorribile a piedi anche da una persona sessantenne non affetta da disturbi nella deambulazione; Cass. 28 novembre 2001, n. 15068, in Orient. giur. lav. 2001, I, 875; Cass. 13 novembre 2000, n. 14681, in Giust. civ. mass. 2000, 2308; Cass. 7 giugno 1999, n. 5580, in Giust. civ. mass. 1999, 1290; Cass. 18 novembre 1998, n. 11628, in Giust. civ. mass. 1998, 2379. (80) Cass. 23 maggio 2008, n. 13376, cit.; Cass. 10 dicembre 2007, n. 25742, in Guida dir. 2008, n. 7, 43 che ha ritenuto ragionevole l’uso del mezzo proprio di trasporto quando la distanza non sia coperta da un regolare servizio di mezzi pubblici

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con le esigenze della vita familiare secondo gli standards comportamentali esistenti nella società civile (81).

Ai fini dell’applicazione della tutela non rileva invece la tipologia di mezzo utilizzato che può essere indifferentemente costituito dall’automobile, dal ciclomotore o dalla bicicletta (82), né la sua proprietà, dovendosi considerare privato il mezzo che non è comunque soggetto all’uso collettivo (83).

È tuttora controversa, invece, la rilevanza da attribuire alla condotta di guida del lavoratore, contrapponendosi l’orientamento incline a configurare la violazione del codice della strada come una ipotesi di rischio elettivo che escluderebbe l’applicazione della tutela (84), all’indirizzo che più condivisibilmente riconduce tali condotte ad un’ipotesi di colpa dell’assicurato che, come tale, deve ritenersi pienamente compresa nel rischio protetto (85). Per quanto, infatti, la distinzione tra colpa e

e il lavoratore, nello spazio di un’ora, debba raggiungere la propria abitazione, desinare e tornare al lavoro; su analoga fattispecie Cass. 26 maggio 2001, n. 7209, in Giust. civ. mass. 2001, 1069; Cass. 17 gennaio 2007, n. 995, cit.; Cass. 29 settembre 2005, n. 19047; Cass. 23 aprile 2004, n. 7717, cit.; Cass. 28 settembre 2000, n. 12891, in Arch. Giur. Circ. Sin. 2001, 15. (81) Così Cass. 27 luglio 2006, n. 17167, in Riv. inf. mal. prof. 2006, 2, II, 43, con nota di ALBISINNI; Cass. 4 aprile 2005, n. 6929, in Giust. civ. mass. 2005, 4; Cass. 23 aprile 2004, n. 7717, in Giust. civ. mass. 2004, 4; Cass. 3 agosto 2001, n. 10750, cit.; Cass. 8 novembre 2000, n. 14508, cit.; Cass. 21 giugno 1979, n. 3495, in Riv. inf. mal. prof. 1979, II, 203; Cass. 4 aprile 1978, n. 1536, in Foro it. 1979, I, 771. In questo senso anche il documento INAIL Linee guida, cit., 159 (punto 4.1.1). In termini diametralmente opposti si esprime invece un altro indirizzo interpretativo: Cass. 29 luglio 2010, n. 17752, in Riv. crit. dir. lav., 2010, 872, con nota di GARLATTI ; Cass. 7 marzo 2008, n. 6211, in Mass. giur. lav., 2008, 504, con nota di FONTANA, secondo la quale tali ragioni rispondono ad aspettative che, seppure legittime, non assumono uno spessore sociale tale da giustificare un intervento di carattere solidaristico a carico della collettività; Cass. 26 luglio 2002, n. 11112, cit., la quale ritiene di non poter condividere l’orientamento giurisprudenziale che interpreta i concetti di “normalità e ragionevolezza” in ragione di «una serie di valori costituzionali, quali la libertà di fissazione della residenza, il rapporto con la comunità familiare, una più intensa tutela previdenziale meglio attagliata alle esigenze della società in cui vive il lavoratore» e ciò in quanto tale principio, nella sua astrattezza e genericità, rischia di legittimare qualsiasi comportamento, non tenendo conto del rapporto, strettamente previdenziale, fra premi assicurativi e prestazioni erogabili e, quindi, dei maggiori premi che dovrebbero essere pagati per coprire qualunque condotta che abbia un qualche rapporto con il lavoro, anche se non strettamente necessaria. (82) Con particolare riferimento alla bicicletta, le Istruzioni operative INAIL del 7 novembre 2011, n. 8476, in Guida lav., 2011, n. 45, 38, ritengono che la ratio dell’esclusione dell’indennizzabilità dell’evento lesivo non ricorra «nel caso di tragitto su pista ciclabile, e cioè su percorso protetto ed interdetto al traffico dei veicoli a motore, essendo escluso quel rischio che risulta aggravato dalla scelta del mezzo di trasporto privato». (83) Con rifermento alla bicicletta v. le Istruzioni operative del 7 novembre 2011, n. 8476, cit., secondo le quali il bike-sharing «sebbene promosso e gestito dalle amministrazioni locali ai fini del decongestionamento del traffico e, quindi, dell’inquinamento ambientale, non può, tuttavia, essere assimilato al mezzo pubblico di servizio» e ciò in quanto «non rileva la proprietà del mezzo di trasporto utilizzato, che può appartenere sia al lavoratore che a terzi, quanto, piuttosto, il controllo che il lavoratore può esercitare sulla conduzione dello stesso e sulle condizioni di rischio collegate alle scelte di guida del mezzo». (84) Cass. 18 marzo 2004, n. 5525, cit., che ha rigettato la domanda di corresponsione della rendita proposta dai superstiti di un bracciante agricolo sprovvisto di patente di guida per il mezzo agricolo, deceduto a causa del ribaltamento del trattore per errata manovra in fase di parcheggio; Cass. 6 agosto 2003 n. 11885, cit., la quale ha escluso l’indennizzabilità dell’evento occorso ad un lavoratore deceduto mentre alla guida di un ciclomotore imboccava una strada in violazione del divieto di transito. Sul punto v. anche Cass. 16 ottobre 2007, n. 21617, inedita, che ha escluso l’indennizzabilità del sinistro occorso ad un lavoratore che attraversava a piedi il semaforo con il rosso, ritenendo che la «violazione di una delle norme del codice stradale di più generale conoscenza e di più facile percezione» integri un’ipotesi di «rischio elettivo che esclude il nesso causale tra attività protetta (percorso casa-lavoro) ed evento». Così anche Cons. Stato Sez. IV, 20 gennaio 2006, n. 144, in Danno resp., 2006, 575, che ha negato il riconoscimento della causa di servizio nell’incidente occorso al militare, mentre tornava alla sede di servizio (dopo una licenza), dovuto alla eccessiva velocità dell’auto da lui guidata; Cons. Stato sez. VI 20 marzo 2007, n. 1309, in Danno resp., 2007, 1111, con nota di CORSALINI, che ha escluso il nesso di casualità tra il servizio prestato e l’infortunio in itinere occorso al militare che aveva omesso di fermarsi allo "stop". In questo senso anche la dottrina prevalente DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro, cit., 238 ss; GAMBACCIANI , Infortunio in itinere nel sistema di tutela contro i rischi del lavoro: il punto dopo la riforma del 2000, in Riv. inf. mal. prof. 2002, I, 283; PICCININNO, voce Infortuni sul lavoro, IV) Revisione della disciplina, in Enc. giur. Trecc., Vol. VII, 2000, 5; contra CORSALINI, Gli infortuni in itinere, cit., 100 ss. (85) Cass. 29 luglio 2009, n. 17655, in Lav. giur., 2009, 1279; Cass. 4 dicembre 2001, n. 15312, in Lav. giur., 2002, 468.

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rischio elettivo sia spesso ambigua e poco definita, non paiono sussistere dubbi sul fatto che le violazioni del codice della strada sono generalmente imputabili ad una condotta negligente e non già ad una scelta volontaria e arbitraria che espone il lavoratore ad un rischio ulteriore e diverso rispetto a quello connesso alla circolazione (86).

Alcune perplessità suscitano anche le altre esclusioni previste dall’art. 2 T.U. che si riferiscono agli infortuni «direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni» nonché al «conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida». Al riguardo è sufficiente rilevare come gli eventi causati dall’uso terapeutico di stupefacenti e allucinogeni siano sempre ammessi alla tutela, risultandone invece contraddittoriamente esclusi quelli provocati dall’abuso di psicofarmaci assunti per finalità terapeutiche (87). Per quanto concerne invece il possesso dell’abilitazione alla guida sembra ragionevole limitare l’esclusione alle sole ipotesi di mancato conseguimento o revoca della patente, non sussistendo evidentemente alcuna ragione per disapplicare la tutela in caso di patente semplicemente scaduta o sospesa (88).

4. La causa violenta. – Il secondo requisito che concorre a definire la nozione giuridica di

infortunio sul lavoro è costituito dalla «causa violenta». Si tratta anzitutto di un requisito che non compare nella nozione di malattia professionale che si

connota invece per una eziologia di carattere lento. Quanto al suo significato la dottrina più risalente aveva chiarito che «la causa, cui devesi riconoscere la nota di violenza, è la causa della morte o della lesione, e non la causa dell’infortunio» e che la stessa, oltre ad assumere i connotati della violenza, deve anche possedere i caratteri della «esteriorità rispetto al corpo dell’operaio» (89).

In termini non dissimili continua oggi ad esprimersi l’opinione maggioritaria (90), secondo la quale la causa violenta si identifica nell’azione di qualunque fattore dotato di rapidità e intensità, anche di carattere non straordinario o eccezionale, che, agendo dall’esterno verso l’interno dell’organismo, deve essere idoneo a determinare un’alterazione del suo equilibrio (91).

È altrettanto pacifico che «il subbietto di violenza deve essere la causa della morte o della lesione, e non l’effetto, cioè la morte o la lesione stessa» (92) e che, quindi, il carattere della rapidità deve essere riferito all’azione della causa e non alle sue conseguenze che possono invece manifestarsi

(86) Così Cass. 4 dicembre 2001, n. 15312, cit., secondo la quale non vi è alcuna ragione per escludere l’operatività, anche per gli infortuni in itinere, del principio della inidoneità in sé della colpa del lavoratore, ancorché esclusiva, ai fini della elisione del collegamento tra attività lavorativa e infortunio. Nello stesso senso in dottrina PERSIANI, L’ambito soggettivo di applicazione della tutela per gli infortuni e le malattie professionali, in Riv. inf. mal. prof., 2000, 10, secondo il quale «l’unico limite di sicura applicazione» che incontra la tutela dell’infortunio in itinere, è quello relativo all’abuso di alcolici e di psicofarmaci, all’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni e alla mancanza della patente di guida. (87) Cfr. LUDOVICO, La definizione legislativa dell’infortunio in itinere, cit., 48. (88) Così CORSALINI, Gli infortuni in itinere, cit., 112 ss. (89) CARNELUTTI, Causa violenta, in ID., Infortuni sul lavoro (Studi), cit., 131 e 139 (corsivi dell’A.), il quale precisava che «tutta la teorica dell’infortunio professionale riposa sul concetto della influenza che l’ambiente esterno in determinate condizioni esercita sulla persona dell’operaio», escludendo «che si possa parlare di infortunio professionale, dove non si abbia prima di tutto un agente esterno, che indichi comunque un rapporto tra la persona dell’operaio e le condizioni dell’industria o del lavoro». (90) Per una ricostruzione dell’evoluzione di questo concetto v. FONTANA, La «causa violenta» dal 1898 ad oggi: che cosa è cambiato ?, in Mass. giur. lav., 2008, 50 ss., 804 ss., 2011, 454 ss., 525 ss., 736 ss., 2012, 120 ss.; GAMBACCIANI , Causa violenta ed infortunio sul lavoro, in Riv. inf. mal. prof. 2000, II, 100 ss.; DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro, cit., 243 ss. (91) Cass. 30 dicembre 2009, n. 27831, in Lav. giur., 2010, 306; Cass. 26 maggio 2006, n. 12559, in Riv. inf. mal. prof., 2007, I, 14; Cass. 23 dicembre 2003, n. 19682, in Giust. civ. mass. 2003, 12; Cass. 29 agosto 2003, n. 12685; Cass. 16 ottobre 2000, n. 13741, in Lav. giur., 2001, 276; Cass. 5 ottobre 1998, n. 9888, in Giust. civ. mass. 1998, 2023; Cass. 15 dicembre 1997, n. 12671, in Giust. civ. mass. 1997, 2377; Cass. 27 maggio 1994, n. 5198, in Riv. inf. mal. prof., 1994, II, 136; Cass. 2 aprile 1990, n. 2634, cit.. (92) CARNELUTTI, Causa violenta, cit., 145, il quale esortava quindi a «stare attenti a non confondere la modalità d’azione della causa con la modalità di manifestazione dell’effetto; e in quella, non in questa cercare la violenza, per non fraintendere ciò che vuole la legge e per non cadere nei più gravi equivoci».

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anche a distanza di tempo dall’evento. In questo senso la giurisprudenza è solita riconoscere la causa violenta nell’azione dei fattori microbici o virali, la cui penetrazione nell’organismo avviene in modo violento sebbene i relativi effetti siano destinati a manifestarsi in un momento successivo (93).

Non diversamente si pone l’orientamento dominante con riguardo alla esteriorità che, sulla scorta delle prime elaborazioni dottrinali, è ritenuto un requisito indefettibile della causa violenta nella misura in cui attesta la sua provenienza dall’ambiente di lavoro (94).

Così come per l’occasione di lavoro, anche per la causa violenta si è assistito nel tempo ad una progressiva dilatazione della fattispecie che può consistere indifferentemente nell’azione di fattori, oltre che di natura biologica, anche di origine meccanica, elettrica, termica, fisica o psichica.

Tra le ipotesi più frequenti di causa violenta deve essere annoverato lo sforzo fisico, causa dell’infarto, posto in essere dal lavoratore per vincere una resistenza propria della prestazione o dell’ambiente di lavoro (95). Secondo l’indirizzo nettamente prevalente non è necessario che lo sforzo abbia una intensità maggiore rispetto a quella normalmente richiesta per lo svolgimento della prestazione, potendo lo stesso esaurirsi anche in un’azione ricompresa nelle condizioni abituali delle mansioni alle quali il lavoratore è addetto (96). É invece richiesto che lo sforzo sia concentrato in un

(93) Cass. 12 maggio 2005, n. 9968, in Giust. civ. mass., 2005, 5; Cass. 28 ottobre 2004, n. 20941, in Lav. giur., 2005, 483; Cass. 8 aprile 2004, n. 6899, in Riv. it. med. leg., 2005, 975, con nota di FIORI; Cass. 1 giugno 2000, n. 7306; Cass. 27 giugno 1998, n. 6390 in Riv. it. med. leg., 1999, 343; Cass. 13 marzo 1992, n. 3090, in Mass. giur. lav. 1992, 234, con nota di ALIBRANDI , La causa violenta nell’infortunio sul lavoro; Cass. 19 luglio 1991, n. 8058, in Riv. giur. lav. 1992, II, 294; Cass. 3 novembre 1982 n. 5764, in Riv. inf. mal. prof., 1982, II, 137. Sul punto v. Corte cost. 17 giugno 1987, n. 226, in Foro it., 1989, I, 378, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 T.U. nella parte in cui non comprende tra i casi di infortunio sul lavoro l’evento dannoso derivante da infezione malarica, ritenendo irragionevole continuare ad escludere dalla tutela l’infezione malarica che certamente oggi non costituisce più un rischio generico per l’intera popolazione, ma un rischio specifico circoscritto ad un ambiente infesto. (94) ALIBRANDI , Infortuni sul lavoro, cit., 343 ss. (95) Cass. 27 settembre 2013, n. 22257, in Lav. giur., 2013, 1127; Cass. 28 luglio 2010, n. 17649, in Lav. giur., 2010, 1049; Cass. 30 dicembre 2009, n. 27831, cit.; Cass. 24 luglio 2004, n. 13928, in Giust. civ. mass. 2004, 9; Cass. 23 dicembre 2003, n. 19682, cit.; Cass. 9 settembre 2003, n. 13184; Cass. 16 ottobre 2000, n. 13741, cit.; Cass. 30 maggio 2000, n. 7228, in Lav. giur., 2000, 1180; Cass. 23 ottobre 1997, n. 10450, in Giust. civ. mass, 1997, 2002; Cass. 24 gennaio 1997, n. 731, in Riv. inf. mal. prof., 1997, II, 45; Cass. 27 maggio 1994, n. 5198, cit.. (96) Cass. 27 settembre 2013, n. 22257, cit.; Cass. 30 dicembre 2009, n. 27831, cit.; Cass. 25 agosto 2003, n. 12476, che ha riconosciuto la causa violenta nello sforzo consuetudinario compiuto nel tentativo di recuperare una bobina di peso rilevante; Cass. 21 maggio 2003, n. 8019, in Dir. lav. 2005, II, 181, con nota di GOGLIETTINO, con riguardo allo sforzo compiuto da un lavoratore per trarre fuori da un pantano il pesante autocarro di cui era alla guida in assenza del servosterzo funzionante; Cass. 10 gennaio 2003, n. 239, in Riv. it. dir. lav. 2003, II, 637, con nota di RUGGIERO, con riguardo allo sforzo posto in essere da due lavoratrici, che, per un intero turno lavorativo, avevano, rispettivamente, provveduto a rifilare materiali plastici e ad inserire tappi in scarponi da sci, contraendo entrambe una tendinite acuta; Cass. 24 ottobre 2000, n. 13982, in Riv. inf. mal. prof. 2000, II, 91, relativamente all’infarto occorso ad un lavoratore nell’atto di sollevare il fieno con un forcone; Cass. 27 settembre 2000, n. 12798, in Giust. civ. mass. 2000, 2009, con riferimento all’autista di un autobus in servizio di linea extraurbano che, dopo un primo malore, aveva ripreso la guida per condurre a termine il servizio, incorrendo in un secondo malore, con infarto e conseguente decesso; Cass. 19 dicembre 1997, n. 12904, in Giust. civ. mass., 1997, 2414; Cass. 23 ottobre 1997, n. 10450, cit.; Cass. 24 gennaio 1997, n. 731, cit.; Cass. 14 maggio 1994, n. 4736, in Lav. prev. oggi 1995, 139, relativamente ad un guardiano antincendio deceduto per infarto in un ambiente particolarmente esposto al sole; Cass. 2 aprile 1990, n. 2639, in Riv. inf. mal. prof., 1990, II, 177; Cass. 7 febbraio 1989, n. 754; Cass. 4 novembre 1988, n. 5966; Cass. 16 novembre 1987, n. 8388. Richiedono invece che lo sforzo sia legato a condizioni eccezionali e non abituali della prestazione lavorativa: Cass. 28 luglio 2010, n. 17649, che ha rigettato la richiesta di risarcimento del danno della moglie di un fattorino deceduto per infarto sul rilievo che il semplice stress e affaticamento quotidiano del lavoro svolto dal marito non potevano essere l’unico elemento per dimostrarne la nocività; Cass. 20 giugno 2006 n. 14119, secondo la quale non possono ritenersi indennizzabili tutte le patologie che trovino concausa nell’affaticamento che costituisce normale conseguenza del lavoro, posto che la lettera della norma costituisce il limite che l’interprete non può superare per non sostituirsi al legislatore in una materia rimessa alla sua discrezionalità, tenendo conto del necessario bilanciamento tra la tutela degli interessi dei lavoratori e l’equilibrio finanziario degli enti assicuratori; Cass. 29 agosto 2003, n. 12685, la quale ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso l’infortunio sul lavoro in relazione al decesso del conducente di un autotreno, in precedenza colpito da altro infarto, che nella giornata aveva svolto semplicemente la prestazione di lavoro; Cass. 14 dicembre 1985, n. 6355, in Riv. inf. mal. prof., 1986, II, 61, la quale ha escluso la configurabilità dell’infortunio sul lavoro in un’ipotesi in cui l’attività lavorativa, per lo sforzo

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breve arco temporale (97) che gli stessi giudici hanno individuato nell’unità cronologica costituita dal turno di lavoro (98).

Nella stessa prospettiva la causa violenta è stata riconosciuta anche ove l’infarto sia stato causato dallo stress emotivo provocato da particolari circostanze (99) oppure da una vivace discussione avuta, per ragioni di ufficio, con i colleghi di lavoro (100) o con i superiori gerarchici (101).

In alcune pronunce, infine, i giudici sono giunti a ritenere che lo stesso infarto, rappresentando una rottura dell’equilibrio nell’organismo concentrata nel tempo, integri di per sé gli estremi della causa violenta purché la lesione sia riconducibile alle condizioni dell’ambiente di lavoro o al normale affaticamento derivante dallo svolgimento della prestazione (102).

La particolare ampiezza assunta dalla causa violenta si evince altresì dal costante orientamento che riconosce la piena applicabilità nella disciplina assicurativa del principio di equivalenza causale dell’art. 41 cod. pen., secondo il quale, in caso di concorso di più cause, deve riconoscersi efficacia causale a ciascuna causa, anche se di minore spessore quantitativo o qualitativo rispetto alle altre, salvo che la causa sopravvenuta sia stata da sola sufficiente a determinare l’evento (103). Sulla scorta di tale principio è così ricorrente in giurisprudenza l’affermazione secondo la quale le predisposizioni morbose dell’assicurato non escludono il rapporto causale tra l’evento e l’attività lavorativa, potendo anzi rilevare in senso esattamente contrario nella misura in cui rendono più gravose e rischiose attività solitamente non pericolose (104). Anche una minima accelerazione di una pregressa malattia provocata, con azione rapida e intensa, dall’attività lavorativa è dunque sufficiente alla configurabilità della causa violenta, salvo che tale accelerazione sia sopravvenuta in modo del tutto indipendente dallo sforzo compiuto o dallo stress subito nella esecuzione della prestazione (105).

continuo e reiterato che comportava, aveva aggravato lentamente e progressivamente le condizioni fisiche del lavoratore affetto da discopatia. (97) Cass. 20 giugno 2006 n. 14119; Cass. 25 agosto 2003, n. 12476; Cass. 10 gennaio 2003, n. 239, cit.; Cass. 26 ottobre 2000, n. 14085, in Giust. civ. 2000, I, 2813; Cass. 24 ottobre 2000, n. 13982, cit. (98) Cass. 10 gennaio 2003, n. 239, cit. (99) Cass. 23 dicembre 2003, n. 19682, cit., che ha riconosciuto la causa violenta nell’infarto causato da stress emotivo, conseguente all’attivazione dell’allarme antincendio dello stabilimento e alla necessità di un intervento, e da stress ambientale, riconducibile alla rigida temperatura esistente all’esterno. (100) Cass. 27 febbraio 1986, n. 1259, in Mass. giur. lav., 1986, 562. (101) Cass. 2 aprile 1990, n. 2634, in Riv. inf. mal. prof., 1990, II, 115, che, però, nel caso di specie ha negato l’indennizzabilità dell’evento; Cass. 4 maggio 1987, n. 4155, in Orient. giur. lav., 1987, 777; Trib. Bologna, 11 febbraio 1985, in Riv. giur. lav., 1985, III, 170. (102) Cass. 26 ottobre 2000, n. 14085, cit.; Cass. 24 ottobre 2000, n. 13982, cit.; Cass. 16 ottobre 2000, n. 13741, cit.; Cass. 27 settembre 2000, n. 12798, cit.; Cass. 8 giugno 2000, n. 7822, in Giust. civ. mass. 2000, 1251. (103) Così Cass. 7 maggio 2013, n. 10565, in Lav. giur., 2013, 743; Cass. 12 ottobre 2012 n. 17286; Cass. 17 giugno 2011, n. 13361, in Lav. giur., 2011, 957; Cass. 19 gennaio 2011 n. 1135, in Giust. civ. mass. 2011, 77; Cass. 4 novembre 2010 n. 22441; Cass. 4 giugno 2008, n. 14770; Cass. 29 agosto 2007 n. 18254, in Riv. inf. mal. prof., 2007, II, 35; Cass. 1 giugno 2007 n. 12875, in Guida dir. 2007, 27, 52; Cass. 9 settembre 2005 n. 17959, in Riv. giur. lav. 2006, II, 359, con nota di ASSENNATO; Cass. 18 luglio 2005 n. 15107, in Orient. giur. lav. 2005, I, 714; Cass. 24 gennaio 2005, n. 1370, in Riv. inf. mal. prof. 2005, II, 31; Cass. 10 gennaio 2005, n. 279, in Dir. sic. soc. 2005, 603, con nota di DI GIORGIO; Cass. 29 maggio 2004, n. 10448, in Riv. crit. dir. lav. 2004, 698, con nota di GARLATTI ; Cass. 12 marzo 2004, n. 5152, in Riv. inf. mal. prof., 2004, II, 48. (104) In questo senso Cass. 10 gennaio 2005, n. 279, cit.; Cass. 24 luglio 2004, n. 13928, cit.; Cass. 29 maggio 2004, n. 10448, cit.; Cass. 23 dicembre 2003, n. 19682, cit.; Cass. 21 maggio 2003, n. 8019, cit.; Cass. 16 ottobre 2000, n. 13741, cit.; Cass. 30 maggio 2000, n. 7228, cit.; Cass. 19 dicembre 1997, n. 12904, cit.. (105) Da ultimo Cass. 19 dicembre 2013, n. 28434 secondo la quale «ove lo sforzo compiuto nell’esecuzione della prestazione lavorativa non abbia costituito la causa efficiente, né la concausa, né la causa scatenante dello stato morboso, avendo al più rappresentato l’occasione per la manifestazione o "slatentizzazione" di una patologia preesistente che si pone come causa sufficiente dell’invalidità, lo sforzo stesso non è sufficiente a sostenere l’origine post traumatica della patologia»; Cass. 29 agosto 2007 n. 18254, cit.; Cass. 10 gennaio 2005, n. 279, cit.; Cass. 24 luglio 2004, n. 13928, cit.; Cass. 23 dicembre 2003, n. 19682, cit.; Cass. 21 maggio 2003, n. 8019, cit.; Cass. 21 gennaio 1998, n. 535, in Giust. civ. mass. 1998, 120; Cass. 6 novembre 1995, n. 11559, in Riv. inf. mal. prof. 1996, II, 20.

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5. L’inabilità permanente e temporanea nella disciplina del T.U. – Oltre ai requisiti

dell’occasione di lavoro e della causa violenta, la nozione di infortunio sul lavoro di cui all’art. 2 T.U. richiede altresì che dall’evento sia derivata «la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni».

Ad accedere alla tutela, dunque, non è l’infortunio in quanto tale, ma soltanto gli eventi connotati da un’origine professionale che abbiano avuto come conseguenza la morte o la lesione personale dell’assicurato.

Sebbene l’attuale formulazione dell’art. 2 T.U. continui tuttora a fare riferimento al concetto di inabilità lavorativa, l’oggetto della tutela indennitaria ha subito una profonda evoluzione che è culminata con la radicale riforma introdotta dall’art. 13 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, il quale, sulla scorta delle indicazioni provenienti dal giudice costituzionale, ha provveduto alla inclusione del danno biologico nella copertura assicurativa e al contestuale superamento del criterio esclusivo della capacità lavorativa.

Tenuto conto che i due regimi sono destinati ad una temporanea coesistenza dovuta all’applicabilità della nuova disciplina ai soli eventi verificatisi a decorrere dalla sua entrata in vigore, occorre procedere preliminarmente all’analisi dell’originario sistema per poi proseguire con l’approfondimento del nuovo regime.

Nel sistema antecedente alla entrata in vigore del d.lgs. n. 38 del 2000, l’erogazione delle prestazioni indennitarie era condizionata alla sussistenza di una riduzione dell’attitudine lavorativa che in questo senso costituiva l’oggetto stesso della garanzia assicurativa. L’identificazione della inabilità con la riduzione dell’attitudine lavorativa scaturiva dagli artt. 74, comma 1, T.U. per l’industria e 210, commi 1 e 2, T.U. per il settore agricolo, i quali, recependo quanto già disposto dall’art. 24 del r.d. n. 1765 del 1935, definivano l’inabilità permanente assoluta o parziale, rispettivamente, come la conseguenza dell’infortunio o della malattia professionale «che tolga completamente e per tutta la vita l’attitudine al lavoro» o che «diminuisca in parte, ma essenzialmente e per tutta la vita, l’attitudine al lavoro».

Relativamente all’inabilità permanente – come giustamente rimarcato in dottrina (106) – l’attitudine al lavoro diventava così una nozione cardine del sistema assicurativo, il cui significato, in mancanza di esplicite definizioni, può essere compreso soltanto risalendo alle origini dell’assicurazione obbligatoria. Una volta scartata la possibilità di demandare al giudice la quantificazione delle indennità, la soluzione prevalsa nel dibattito parlamentare fu quella infatti di stabilire, attraverso apposite tabelle, la misura delle prestazioni dovute all’assicurato in caso di inabilità permanente. A fondamento delle prime previsioni tabellari fu così posto il concetto di «attitudine al lavoro», la cui riduzione, rapportata in percentuale al livello reddituale dell’assicurato, determinava l’importo dell’indennità a questi dovuta.

Dopo alcuni risalenti contrasti di opinione (107), il significato di quel criterio fu oggetto di ulteriori precisazioni da parte delle Sezioni Unite (108), le quali, respingendo le tesi favorevoli ad una valutazione incentrata sull’attività concretamente svolta, stabilirono che la residuale attitudine lavorativa dell’assicurato doveva essere valutata in rapporto ad un’attività lavorativa genericamente intesa, senza cioè alcuna attinenza alle mansioni specificamente svolte.

Con riguardo all’inabilità permanente, l’attitudine lavorativa è stata così da allora intesa come capacità lavorativa generica ovvero come capacità di svolgere un qualunque lavoro o di conseguire un

(106) ALIBRANDI , Infortuni sul lavoro, cit., 362. (107) Per una ricostruzione di quel dibattito v. CARNELUTTI, Criteri di valutazione della inabilità dipendente da infortunio sul lavoro, in ID., Infortuni sul lavoro, cit., vol. II, 1 ss. Sul dibattito dell’epoca v. anche POLETTI, Nuovo invito della Consulta per la riforma dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le tecnopatie, in Danno resp., 1998, 143 ss. (108) Cass. S.U. 10 giugno 1920, in Foro it., 1920, I, 577.

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mero guadagno e a questa lettura si è uniformata, senza particolari variazioni, la giurisprudenza successivamente intervenuta sull’identico criterio riproposto nell’art. 74 T.U. (109). Non altrettanto invece poteva dirsi relativamente all’inabilità temporanea, per la quale gli artt. 68, comma 1, T.U. per l’industria e 210, comma 4, T.U. per l’agricoltura si riferiscono tuttora ad una totale impossibilità di attendere al lavoro, lasciando così intendere che il relativo criterio deve essere necessariamente rapportato al lavoro specificamente svolto (110).

Sennonché, il significato comunemente attribuito al concetto di attitudine al lavoro nell’inabilità permanente assumeva un ben altro valore sul piano sistematico: il riferimento alla capacità lavorativa generica, alludendo ad un’attitudine lavorativa media, esprimeva non soltanto una prospettiva patrimoniale, ma anche la tipica funzione previdenziale di questa tutela, il cui obiettivo non era quello di risarcire il danno, ma di alleviare un bisogno socialmente rilevante da valutarsi secondo criteri generali ed astratti (111).

Nello stesso senso deponeva la prevista applicabilità della garanzia assicurativa alle sole lesioni permanenti di grado superiore all’11 %, così confermando l’esclusione dalla tutela delle inabilità che, per la loro modesta gravità, non erano ritenute meritevoli di protezione sociale.

Era comunque indubbio – come confermato dalla giurisprudenza successiva – che le prestazioni erogate in forza di detto regime assumevano un contenuto meramente patrimoniale, risultando così irrimediabilmente estranee all’oggetto della tutela le lesioni dell’integrità psicofisica non incidenti sulla capacità reddituale, seppure genericamente intesa, del danneggiato.

Al di là di altre considerazioni sul punto, a deporre nel senso appena indicato erano soprattutto i criteri generali di valutazione dell’inabilità permanente indicati dall’art. 78 T.U., il quale, dopo aver stabilito che, ai fini della liquidazione della rendita, l’attitudine al lavoro doveva intendersi ridotta nella misura percentuale indicata nell’apposita tabella, dettava ulteriori regole destinate ad operare nei casi non espressamente considerati dalle voci tabellari. Al comma secondo la norma chiariva che l’abolizione assoluta della funzionalità di arti o di organi o di parti di essi doveva essere equiparata alla loro perdita anatomica, mentre al comma successivo stabiliva che, in caso di perdita parziale della loro funzionalità, il grado di riduzione dell’attitudine al lavoro doveva essere determinato in base alla percentuale stabilita per la loro perdita totale, ed in proporzione del valore lavorativo della funzione perduta. L’ultima ipotesi contemplata dall’art. 78 T.U. si riferiva, invece, alla perdita a causa del medesimo evento di più arti, organi o parti di essi, per la quale si prevedeva esplicitamente che, in mancanza di una percentuale unitaria indicata in tabella, il grado di riduzione della capacità lavorativa doveva essere rapportato alla complessiva diminuzione dell’attitudine al lavoro risultante dalla coesistenza delle singole lesioni (112).

(109) In questo senso tra le decisioni più recenti: Cass. 19 dicembre 2005, n. 27937, in Giust. civ. mass. 2005, 12; Cass. 30 luglio 2003, n. 11704, in Not. giur. lav. 2004, 170; Cass. 27 luglio 2001, n. 10289, in Giust. civ. mass. 2001, 1487; Cass. 18 maggio 2001, n. 6808, in Giust. civ. mass. 2001, 999; Cass. 14 febbraio 2000, n. 1669; Cass. 14 febbraio 2000, n. 1640; Cass. 8 novembre 1999, n. 12426, in Riv. inf. mal. prof., 2000, II, 50; Cass. 27 agosto 1999, n. 8998, in Giust. civ. mass. 1999, 1844; Cass. 3 dicembre 1998, n. 12268, in Orient. giur. lav. 1999, I, 272; Cass. 4 marzo 1998, n. 2373, in Giust. civ. mass., 1998, 499; Cass. 19 dicembre 1997, n. 12906, in Giust. civ. mass., 1997, 2415; Cass. 11 ottobre 1997, n. 9914, in Riv. inf. mal. prof. 1998, II, 16. (110) CATALDI , Il sistema giuridico dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, II, Gli elementi del rapporto, Roma, 1962, 583, secondo il quale a deporre per l’inabilità permanente nel senso della capacità lavorativa generica sarebbe stato lo stesso testo dell’art. 24 del r.d. n. 1765 del 1935 (ora art. 74 T.U.), il quale richiamava l’attitudine al lavoro «senza riferirla ad alcuna particolare specie di prestazione, e dunque evidentemente riferendola ad una lavoro qualsiasi (bene inteso: moralmente e socialmente accettabile) che possa dare un apprezzabile utile economico. In questo senso anche ALIBRANDI , Infortuni sul lavoro, cit., 362. (111) Cfr. LUDOVICO, Tutela previdenziale, cit., 176. (112) Cfr. DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro, cit. 67-68, il quale condivisibilmente rileva come, a seguito della copertura assicurativa del danno biologico (vedi infra par. 7), la previsione contenuta nell’art. 78 T.U. possa ritenersi tuttora vigente soltanto per la parte in cui stabilisce che, in caso di invalidità plurime monocrone, deve essere applicata, ove esistente, la percentuale di riduzione unitaria prevista in tabella e ciò in quanto anche nella «tabella delle menomazioni» di cui al d.m.

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Dai criteri dettati dall’art. 78 T.U. e dalle apposite voci tabellari emergeva così un sistema di valutazione dell’inabilità permanente incentrato non già sulla lesione dell’integrità psicofisica, ma, in via pressoché esclusiva, sulle menomazioni anatomiche se e in quanto incidenti sulla capacità lavorativa.

Quel sistema era così destinato ad entrare inevitabilmente in crisi con la prepotente affermazione, nel campo generale della responsabilità civile, di una nuova concezione della persona, considerata non più soltanto per la sua capacità reddituale, ma nella sua complessiva dimensione e in tutti i suoi valori.

6. L’«incontro» dell’assicurazione sociale con il danno biologico. – I fattori che hanno portato ad

una radicale revisione, nell’ambito della responsabilità civile, dei tradizionali criteri di valutazione del danno alla persona risiedono nella fondamentale riscoperta in dottrina e giurisprudenza del valore immediatamente precettivo e non solo meramente programmatico del diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost. (113). Senza qui ripercorrere una vicenda ormai ampiamente esplorata, preme soltanto segnalare come la rilettura di quella norma abbia costituito il necessario presupposto per l’affermazione di una concezione costituzionalmente più coerente del danno alla persona.

Alla definitiva consacrazione del danno biologico, inteso come lesione dell’integrità psicofisica in sé considerata, indipendentemente dalle capacità reddituali del soggetto, si è giunti – come noto – soltanto con la sentenza 14 luglio 1986, n. 184 (114), con la quale la Corte costituzionale ha ritenuto che l’ingiustizia del danno doveva ritenersi implicita nella lesione di un bene di rilevanza costituzionale, trovando fondamento la sua autonoma risarcibilità direttamente nel combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 cod. civ..

L’ingresso impetuoso nel sistema della responsabilità civile del bene fondamentale della salute costituiva un cambiamento, rispetto al quale evidentemente l’assicurazione sociale non poteva rimanere estranea.

L’«incontro annunciato» (115) tra il danno biologico e la tutela indennitaria si consumerà nel volgere di pochi anni a seguito, ancora una volta, degli interventi del giudice costituzionale, il quale, con la sentenza 15 febbraio 1991, n. 87, invitò il legislatore ad includere le lesioni dell’integrità psicofisica nell’oggetto della tutela indennitaria (116). Nel ragionamento della Consulta le stesse ragioni che avevano originariamente indotto all’introduzione della tutela indennitaria per le lesioni alla capacità lavorativa si imponevano a maggior ragione per le menomazioni dell’integrità psicofisica, per le quali, di conseguenza, veniva sollecitata l’applicazione della «garanzia differenziata e più intensa» offerta dall’assicurazione sociale così da permettere «quella effettiva, tempestiva ed automatica riparazione del danno che la disciplina comune non è in grado di apprestare» (117).

A distanza di pochi mesi da quel monito la Consulta fu nuovamente chiamata ad intervenire, relativamente al danno biologico, sui rapporti tra responsabilità civile e tutela previdenziale. Senza attendere l’auspicato intervento del legislatore, il giudice costituzionale, con la sentenza n. 356 del

12 luglio 2000, ove sia previsto un valore massimo, le lesioni plurime devono essere rapportate a tale valore, escludendosi la possibilità di una valutazione superiore a quella massima tabellare. (113) Cfr. CASTRONOVO, Danno biologico. Un itinerario di diritto giurisprudenziale, Milano, 1998, 5-6. (114) in Foro it., 1986, I, 2053, con nota di PONZANELLI. Le ordinanze di rimessione erano del Trib. Padova 22 marzo 1973, in Giur. mer., 1974, I, 347 e del Trib. Camerino 12 novembre 1976, in Resp. civ. prev., 1977, 615. (115) POLETTI, Cronaca di un incontro annunciato: il danno alla salute e l’assicurazione contro gli infortuni, in Foro it., 1991, I, 1664 ss. (116) in Foro it., 1991, I, 1664 ss, con nota di POLETTI D., Cronaca, cit.; nonché in Resp. civ. prev., 1991, II, 247 ss, con commento di NAVARRETTA, La riforma ideologica del danno alla salute: vecchio e nuovo nei rapporti tra responsabilità civile e assicurazione sociale, e in Riv. it. dir. lav., 1992, II, 6 ss, con nota critica di AVIO, Danno biologico e malattie professionali: un ritorno alla teoria del rischio professionale ? ((117) Corte cost. 15 febbraio 1991, n. 87, cit., par. 2 della motivazione.

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18 luglio 1991 (118), dichiarò l’illegittimità dell’art. 1916 cod. civ. nella parte in cui, secondo l’indirizzo prevalente, consentiva all’INAIL di avvalersi in sede di surroga delle somme dovute dal responsabile civile a titolo di risarcimento del danno biologico, e con la successiva sentenza n. 485 del 27 dicembre 1991, n. 485 (119), dichiarò l’illegittimità dell’art. 10, commi 6 e 7, del T.U., nella parte in cui ammetteva il risarcimento del danno biologico solo se e nella misura in cui fosse risultato di ammontare superiore alle indennità previdenziali, e dell’art. 11, commi 1 e 2, del T.U., nella parte in cui consentiva all’INAIL di rivalersi in sede di regresso sul risarcimento dovuto al lavoratore per il medesimo titolo di danno.

Con il triplice intervento della Consulta l’«equilibrio di fondo» (120), che per quasi un secolo aveva regolato i rapporti tra tutela indennitaria e responsabilità civile, risultava ormai compromesso a tutto vantaggio dell’assicurato, il quale, da un lato, si vedeva garantito il diritto di cumulare l’indennizzo con l’integrale risarcimento del danno biologico, senza subire, dall’altro, l’azione di rivalsa dell’INAIL sulle somme dovute dal responsabile civile per questo titolo di danno.

A distanza di qualche anno da quelle sentenze, anche per il risarcimento del danno morale fu riconosciuto, in quanto parimenti estraneo alla copertura assicurativa, il diritto dell’infortunato di agire secondo le regole di diritto comune nei confronti del responsabile civile, escludendosi al contempo l’esercizio della rivalsa dell’INAIL sulle relative somme (121).

Non occorre in questa sede approfondire le diverse posizioni che hanno animato il dibattito suscitato dagli interventi della Consulta e spesso provocato da talune ambiguità presenti nelle relative motivazioni (122). Preme invece segnalare come le molte incertezze sollevate dalla interpretazione di quelle pronunce abbiano profondamente condizionato il confronto in merito ai contenuti del futuro intervento del legislatore: alle tesi principalmente sostenute dai civilisti che pretendevano di demandare al rimedio previdenziale la funzione tipicamente risarcitoria dell’integrale ristoro del danno biologico (123) si contrapponevano, infatti, le opinioni di quanti, viceversa, criticavano apertamente le decisioni della Consulta proprio per aver operato una inopportuna commistione tra lo strumento risarcitorio civilistico e quello previdenziale pubblicistico (124).

(118) in Resp. civ. prev., 1991, II, 689 ss, con nota di GIANNINI , Riflessioni sulla sentenza della Corte costituzionale n. 356 del 18 luglio 1991 in tema di esonero del datore di lavoro da responsabilità civile per gli infortuni e di surrogazione dell’assicuratore ex art. 1916 c.c.; nonché in Foro it., 1991, I, 2967 ss, con nota di DE MARZO, Pregiudizio della capacità lavorativa generica: danno da lucro cessante o danno alla salute ?; e in Riv. giur. lav., 1991, III, 144 ss, con nota di

ANDREONI, Il danno biologico nel sistema INAIL e nella responsabilità civile; ma vedi anche il commento di POLETTI, Il danno “biologico” del lavoratore tra tutela previdenziale e responsabilità civile, in Foro It., 1991, I, 3292 ss. (119) in Riv. it. dir. lav., 1992, II, 756 ss, con nota di GIUBBONI, Danno “biologico” e assicurazione infortuni: attualità e prospettive; nonché in Resp. civ. prev., 1992, 58 ss, con nota di NAVARRETTA, Capacità lavorativa generica, danno alla salute e nuovi rapporti tra responsabilità civile ed assicurazione sociale. (In margine a Corte Costituzionale n. 485/1991). (120) Così CASTRONOVO, Danno alla salute e infortuni. La Corte Costituzionale e i diritti secondi, in Foro it., 1995, I, 91. (121) Corte cost. 17 febbraio 1994, n. 37, in Foro it., 1994, I, 1326, con nota di POLETTI, L’azione di regresso previdenziale, il danno morale e il nuovo diritto “vivente” e ivi, 1995, I, 84, con nota di CASTRONOVO, Danno alla salute, cit., nonché in Resp. civ. prev., 1994, II, 216, con nota di SCALFI, Azione surrogatoria o di regresso e principio di destinazione del risarcimento al ristoro del danneggiato. (122) Sul punto si rinvia a LUDOVICO, Tutela previdenziale, cit., 208 ss. Per un’accurata ricostruzione di quel dibattito v. anche TULLINI , voce Salute nel diritto della sicurezza sociale, in Dig. disc. priv., sez. comm., Vol. XIII, Torino, 1996, 84. (123) In questo senso, seppure con diverse argomentazioni e sfumature, CASTRONOVO, L’assicurazione contro gli infortuni tra diritto privato generale e diritti secondi, in ID., La nuova responsabilità civile, Milano, 1997, 447 ss.; BUSNELLI, Il danno alla salute tra risarcimento e indennizzo, in Riv. inf. mal. prof., 1999, 320; POLETTI, Cronaca, cit., 1670; NAVARRETTA, Capacità lavorativa generica, cit., 68. (124) PERSIANI, Tutela previdenziale e danno biologico, in Dir. lav., 1992, I, 233 ss.; DE SIMONE, voce Malattia professionale e infortuni sul lavoro, in Dig. disc. priv. sez. comm., Vol. IX , Utet, Torino, 1993, 241; TULLINI , voce Salute, cit., 86.

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L’intero dibattito può così essere sommariamente descritto come la dogmatica contrapposizione tra quanti collocavano la futura riforma all’interno del sistema previdenziale (125) e quanti, invece, inquadravano la tutela assicurativa del danno biologico in un’ottica civilistica (126).

Alle molte incertezze di quel dibattito si era aggiunta inoltre una nuova decisione del giudice costituzionale (127), il quale, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della nozione di «attitudine al lavoro» di cui agli artt. 74 e 78 T.U., così come interpretata dal diritto vivente nell’accezione di «capacità di lavoro generica», aveva concluso per l’infondatezza della questione, senza tuttavia rinunciare, da un lato, ad esprimere alcune perplessità sull’adeguatezza di tale criterio e a sollecitare, dall’altro, una «rivisitazione della vecchia disciplina» «nell’ottica di una progressiva personalizzazione dell’indennizzo».

7. La tutela indennitaria del danno biologico ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n.

38. – Le premesse della inclusione del danno biologico nella tutela indennitaria sono state poste con l’art. 55, comma 1, lett. s), della legge 17 maggio 1999, n. 144 (128), il quale ha autorizzato l’esecutivo ad introdurre «nell’oggetto dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e nell’ambito del relativo sistema di indennizzo e di sostegno sociale, (...) un’idonea copertura e valutazione indennitaria del danno biologico, con conseguente adeguamento della tariffa dei premi».

La delega è stata successivamente esercitata con l’art. 13 del d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, il quale costituisce la risposta legislativa ai ripetuti moniti con cui la Consulta ha sollecitato l’ampliamento dei confini della copertura assicurativa (129).

(125) GIUBBONI, Danno “biologico”, cit., 58 ss.; CINELLI , GIUBBONI, Osservazioni sui principi ispiratori della recente giurisprudenza costituzionale in tema di danno biologico, in Ass. soc., 1993, 296. (126) CASTRONOVO, L’assicurazione, cit., spec. 450; ID., Danno alla salute, cit., 84 ss. (127) Corte cost. 21 novembre 1997, n. 350, in Danno resp., 1998, 141 ss, con nota di POLETTI, Nuovo invito, cit.. (128) Per una generale disamina dei contenuti della delega v. GAROFALO, Le novità sul d.p.r. n. 1124/1965, in Dir. prat. lav., 1999, 2901 ss. Con particolare riguardo alla tutela del danno biologico v. POLETTI, Quale riforma per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali ?, in Danno resp., 1999, 833 ss. (129) In generale sulla nuova disciplina e senza pretesa di esaustività v. LUDOVICO, Tutela previdenziale, cit., 227 ss.; DE

MATTEIS, Infortuni sul lavoro, cit., 33 ss.; FILÌ , Danno biologico e assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, in DELLE MONACHE (a cura di), Responsabilità civile. Danno non patrimoniale, in Trattato diretto da PATTI, Torino, 2010, 225 ss.; POLETTI, Il danno non patrimoniale e il sistema previdenziale, in NAVARRETTA (a cura di), Il danno non patrimoniale. Principi, regole e tabelle per la liquidazione, Milano, 2010, 177 ss.; FEDERICI, Il danno biologico nel sistema previdenziale, Milano, 2009; LA PECCERELLA, Il danno alla persona nell’infortunistica del lavoro tra indennizzo e risarcimento, in Riv. inf. mal. prof., 2008, I, 47 ss.; PASQUINELLI, Nuova disciplina previdenziale del danno biologico, in CENDON (a cura di), Persona e danno, Milano, 2004, vol. II, 1227 ss.; CINELLI , Il danno non patrimoniale alla persona del lavoratore: un excursus su responsabilità e tutele, in AA.VV., Il danno alla persona del lavoratore, Atti del convegno nazionale Aidlass di Napoli, 31 marzo - 1° aprile 2006, Milano, 2007, 115 ss.; POLETTI, Danni alla persona e infortuni sul lavoro (con osservazioni sul funzionamento della riforma INAIL), in Resp. civ. prev., 2004, 935 ss.; ROSSI, La compromissione dell’integrità psico-fisica del lavoratore subordinato: livelli di protezione e profili evolutivi delle forme di tutela, in Riv. inf. mal. prof., 2004, I, 295 ss.; MARANDO, Responsabilità, danno e rivalsa per gli infortuni sul lavoro, Milano, 2003, 483 ss.; DE MATTEIS, voce Infortuni sul lavoro e malattie professionali (assicurazione contro), in Dig. disc. priv., sez. comm., Agg., Vol. II, 2003, 514 ss; MAUTONE, Danno biologico: riflessioni sulla riforma dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, in Dir. rel. ind., 2003, 682; ALIBRANDI , Infortuni sul lavoro, cit., 391 ss.; CALDERALE, Il danno biologico, in CURZIO (a cura di), Il danno biologico dopo il decreto legislativo 38/2000, Bari, 2002, 17 ss.; CORSALINI, La tutela del danno biologico da parte dell’INAIL tra novità e continuità, in Riv. inf. mal. prof., 2002, I, 11 ss.; ROSSI, La protezione sociale del danno biologico e la valorizzazione della persona umana: possibili ripercussioni sulla tutela previdenziale del lavoratore in materia di invalidità e infortunio, in Inf. prev., 2002, 315 ss.; AVIO, Ad un anno dal D.Lgs. n. 38/2000: alcune osservazioni sulla nuova disciplina del danno biologico, in Riv. prev. pubbl. priv., 2001, n. 4, 30 ss.; POLETTI, Danno alla salute e infortuni sul lavoro: dall’evoluzione giurisprudenziale alla riforma legislativa, in BARGAGNA, BUSNELLI (a cura di), La valutazione del danno alla salute, Padova, 2001, 215 ss.; PETTI, Il risarcimento dei danni: biologico, genetico, esistenziale, Torino, 2001, Vol. II, 1210 ss; POLETTI, Il danno da infortunio sul lavoro alla luce del d.lgs. n. 38/2000, in Resp. civ. prev., 2001, 276 ss.; ROSSETTI, Il danno da lesione della salute tra sistema indennitario e sistema risarcitorio: punti di contatto e questioni irrisolte, in Riv. inf. mal. prof., 2001, I, 1035 ss.; ROSSI, La tutela

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La norma, rubricata «Danno biologico», si apre con l’avvertenza che la definizione in essa contenuta rileva unicamente «ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria conto gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali», assumendo così un valore «sperimentale» «in attesa della definizione di carattere generale e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento». Ai soli fini indennitari, quindi, il danno biologico è definito come «la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona», per il cui ristoro le prestazioni «sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato».

Si tratta della prima definizione legislativa di danno biologico (130) che sarà successivamente ripresa in altri settori dell’ordinamento (131).

Nonostante le perplessità avanzate da una parte della dottrina (132), la definizione sembra riflettere in modo abbastanza coerente la nozione di danno biologico elaborata dalla giurisprudenza costituzionale. Ciò che maggiormente interessa della disposizione dell’art. 13 non è tuttavia la nozione di danno biologico, ma il significato che questa lesione riveste all’interno del sistema previdenziale.

L’unitarietà concettuale del danno biologico non impedisce, infatti, che la relativa nozione possa assumere nell’ordinamento significati diversi in relazione ai differenti strumenti di tutela della persona. È in questo senso – come già segnalato nel primo capitolo – che deve essere correttamente interpretata l’operazione compiuta dal giudice costituzionale, le cui pronunce non avevano inteso di certo realizzare una inopportuna commistione tra tutela previdenziale e responsabilità civile (133), affidando alla prima la funzione tipicamente risarcitoria della seconda, quanto piuttosto operare un diretto collegamento tra l’art. 32 e l’art. 38 Cost. (134). Non era pensabile, infatti, che proprio la tutela previdenziale, intesa come massima espressione del senso di solidarietà sociale che permea l’intero ordinamento, potesse rimanere estranea a quel processo di riscoperta dei valori fondamentali della persona che aveva già portato in ambito civilistico alla definitiva affermazione di una rinnovata concezione dell’individuo.

previdenziale del danno biologico ed i suoi riflessi sulla protezione sociale del lavoratore in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, sulla responsabilità civile del datore di lavoro e sulle azioni di rivalsa dell’INAIL, ivi, 1107 ss.; LA PECCERELLA, Principi generali del nuovo sistema di indennizzo, ivi , 1047 ss.; CINELLI , La tutela del danno biologico nel d.lgs. 38/2000: luci ed ombre, ivi, 2000, I, 351 ss.; GAMBACCIANI , Danno biologico, danno esistenziale e tutela INAIL, ivi , 451 ss.; GIUBBONI, voce Infortuni, cit., 377 ss.; LA PECCERELLA, La tutela della persona nel nuovo sistema indennitario del danno di origine lavorativa, in Riv. inf. mal. prof., 2000, I, 367 ss.; SANDULLI , Linee giuridiche ed istituzionali del d.lgs. 38/2000, ivi, 577 ss.; PICCININNO, voce Infortuni, cit., 1 ss.; POLETTI, Gli infortuni sul lavoro dopo la riforma, tra regole risarcitorie e nuovi indennizzi, in Resp. civ. prev., 2000, 1150 ss. (130) Cfr. ROSSETTI, Il danno da lesione, cit., il quale parla di svolta «epocale». (131) Si allude alla definizione di cui all’art. 5, comma 3, della legge 5 marzo 2001, n. 57, ora abrogato e sostituito dall’art. 138, comma 2, lett. a) del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209. (132) Relativamente alla supposta equazione tra danno ed evento operata dall’art. 13 v. POLETTI, Danno alla salute, cit., 231-232. (133) È in ragione della profonda differenza esistente tra rimedio previdenziale e civilistico che la giurisprudenza esclude la possibilità di ricorrere all’applicazione delle tabelle INAIL in sede risarcitoria (così Trib. Monza 12 maggio 2009, n. 241; Trib. Milano 9 giugno 2009 n. 7515; contra Trib. Salerno 5 febbraio 2001, in Lav. prev. oggi, 2001, 406; Trib. Salerno 9 marzo 2012, n. 1110, in in Boll. Adapt, 2012, n. 13) e all’applicazione delle tabelle risarcitorie in ambito indennitario (Cass. 23 aprile 2010, n. 9699; Cass. 7 febbraio 2008, n. 2894, in Dir. prat. lav., 2008, 37, 2154; Cass. 7 gennaio 2003, n. 33, in Mass. giur. lav., 2004, 160; Cass. S.U. 7 novembre 1997 n. 10930, in Riv. inf. mal. prof., 1997, II, 120; Cass. 2 ottobre 1996 n. 8610; Cass. 20 gennaio 1996 n. 448). Per l’inapplicabilità in sede risarcitoria delle tabelle INAIL, attesa «la specificità del settore indennitario»: POLETTI, Danni alla persona, cit., 961-962. (134) In questo senso LUDOVICO, Tutela previdenziale, cit., 222, ma già in precedenza GIUBBONI, voce Infortuni, cit., 389; ID., Il danno biologico del lavoratore tra responsabilità civile e tutela previdenziale, in Quad. dir. lav. rel. ind., L’obbligazione di sicurezza, 1994, n. 14, 199 ss.; FRANCO, Diritto alla salute e responsabilità civile del datore di lavoro, Milano, 1995, 25 ss.; MARIANI , Il risarcimento del danno biologico in seguito ad infortunio sul lavoro e l’assicurazione INAIL, in Lav. dir., 1994, 431; CINELLI , GIUBBONI, Osservazioni, cit., 294 ss.; ROSSI, La protezione sociale, cit., 327.

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La riforma introdotta dal legislatore delegato risulta pienamente coerente con l’intento espresso dal giudice costituzionale (135) nella misura in cui ha operato una radicale trasformazione dell’oggetto dell’assicurazione sociale. Superando l’originaria impostazione fondata sul criterio della capacità lavorativa generica, infatti, l’attuale sistema riconosce valore centrale e preminente alla lesione dell’integrità psicofisica, mentre le conseguenze patrimoniali dell’evento trovano tutela soltanto come eventuale riflesso della lesione della salute (136).

Rinviando per gli opportuni approfondimenti al capitolo dedicato alle prestazioni economiche

(137), preme soltanto rilevare come nel nuovo sistema indennitario la rendita per inabilità permanente di cui all’art. 66, comma 1, n. 2, T.U. sia stata eliminata e sostituita, ai sensi dell’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 38/2000, da una diversa prestazione i cui contenuti e modalità di erogazione variano in ragione della gravità della lesione: per le menomazioni dell’integrità psicofisica comprese tra il 6 % e il 15 % l’indennità previdenziale viene erogata tramite una somma capitale; per quelle, invece, di entità pari o superiore al 16 % la prestazione viene corrisposta sotto forma di rendita, comprensiva di una ulteriore quota per le conseguenze patrimoniali dell’evento, calcolata in ragione della gravità della menomazione, della retribuzione e dei relativi coefficienti (138).

Come si vedrà meglio più avanti (139), il sistema si completa attraverso tre tabelle emanate con il d.m. 12 luglio 2000 che hanno la funzione di definire il bisogno ritenuto socialmente meritevole di tutela. Più in particolare, mentre la «tabella delle menomazioni» individua le lesioni dell’integrità psicofisica e definisce i relativi valori percentuali, sostituendo la precedente tabella sulla invalidità permanente che privilegiava soprattutto le lesioni dell’apparato motorio, la «tabella indennizzo danno biologico» e la «tabella dei coefficienti» provvedono, rispettivamente, a tradurre i valori percentuali della menomazioni negli importi dell’indennizzo in capitale e rendita e a definire l’ulteriore quota di prestazione destinata a ristorare il pregiudizio patrimoniale.

Dal complesso di queste disposizioni emerge chiaramente come, diversamente dal passato, il principale oggetto della garanzia indennitaria sia ora costituito dal diritto fondamentale all’integrità psicofisica, il cui pregiudizio, generando un bisogno meritevole di protezione sociale, determina in proporzione alla sua gravità le misure di tutela predisposte dall’ordinamento.

Il riferimento ai soli postumi permanenti (140) rende tuttavia palese la volontà legislativa di escludere dalla copertura assicurativa il bisogno derivante da lesioni temporanee dell’integrità psicofisica che sembra ricevere parziale tutela solo in caso di decesso (141). L’esclusione invero non pone problemi di legittimità, tenuto conto che, in un sistema ispirato all’adeguatezza dell’art. 38, comma 2, Cost., spetta al legislatore la «determinazione dei tempi, dei modi e della misura delle

(135) Cfr. Corte cost. 19 dicembre 2006, n. 426, in Arg. dir. lav., 2007, II, 1343 ss, con nota di GAMBACCIANI , LA

PECCERELLA, La tutela infortunistica del danno biologico supera il vaglio di costituzionalità. (136) LUDOVICO, Tutela previdenziale, cit., 244; GIUBBONI, Il danno patrimoniale da inabilità permanente al lavoro fra indennizzo e risarcimento, in Riv. crit. dir. lav., 2005, 669; LA PECCERELLA, Principi generali, cit., 1047. (137) Vedi infra Cap. V, Sez. II. (138) Sull’applicazione del nuovo sistema indennitario v. circ. INAIL del 4 agosto 2000, n. 57. (139) Vedi infra Cap. V, par. 6. (140) L’art. 13, comma 8, stabilisce che, qualora le condizioni dell’assicurato non siano ancora suscettibili di valutazione definitiva, ma sia comunque presumibile il raggiungimento dell’indennizzabilità in capitale, l’INAIL potrà procedere alla liquidazione provvisoria dell’indennizzo entro trenta giorni dal ricevimento del certificato medico che attesta la cessazione dell’inabilità temporanea assoluta, con riserva di procedere alla liquidazione definitiva non prima di sei mesi e non oltre un anno dalla data di ricevimento del predetto certificato medico, fermo restando che l’indennizzo definitivo non potrà essere inferiore a quello provvisoriamente liquidato. Su questi aspetti v. in generale PETTI, Il risarcimento, cit., 1219 ss. (141) L’art. 13, comma 9, dispone che «In caso di morte dell’assicurato, avvenuta prima che l’istituto assicuratore abbia corrisposto l’indennizzo in capitale, è dovuto un indennizzo proporzionale al tempo trascorso tra la data della guarigione clinica e la morte».

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prestazioni sociali sulla base di un razionale contemperamento con la soddisfazione di altri diritti, anch’essi costituzionalmente garantiti, e nei limiti delle compatibilità finanziarie» (142).

È in questa logica di contemperamento che deve essere letto il controverso riferimento dell’art. 13, comma 2, lett. a), agli «aspetti dinamico-relazionali» della menomazione, che è stato da alcuni ritenuto un «errore concettuale» (143) nella misura in cui sembrerebbe introdurre nel sistema indennitario i tipici criteri valutativi di quello risarcitorio, mentre in realtà si tratterebbe soltanto del tentativo di introdurre elementi di flessibilità all’interno di una garanzia destinata necessariamente ad operare secondo parametri oggettivi ed egualitari.

E non diversamente si pone la questione con riguardo al danno patrimoniale, per il quale il giudice costituzionale aveva auspicato una maggiore personalizzazione dell’indennizzo (144), ed in questa prospettiva, l’art. 13, comma 2, lett. b), richiede che la valutazione della lesione sia effettuata tenendo conto della «categoria di attività lavorativa di appartenenza dell’assicurato» e della «ricollocabilità dello stesso».

Le critiche rivolte alla relativa tabella, accusata per la sua genericità di aver surrettiziamente riproposto la categoria della capacità lavorativa generica (145), trascurano infatti di considerare che gli auspici della Consulta si riferivano ad un sistema di protezione sociale che, per sua stessa natura, non può rinunciare nella valutazione del bisogno ad un certo margine di astrattezza.

8. Le concause preesistenti e sopravvenute. – Analizzando il concetto di causa violenta si è detto

che, per opinione pressoché unanime in giurisprudenza, nella materia in esame trova applicazione il principio di equivalenza causale di cui all’art. 41 cod. pen., secondo il quale, in presenza di una pluralità di cause, deve essere riconosciuta l’efficienza causale di ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, salvo che uno di essi abbia assunto il carattere di causa efficiente esclusiva (146).

Occorre ora esaminare quale valore debba essere attribuito alle concause nel procedimento di valutazione dell’inabilità.

Prima di procedere oltre nell’analisi delle disposizioni del T.U. occorre preliminarmente distinguere le concause preesistenti da quelle sopravvenute, nonché, tra esse, le concause di natura professionale da quelle che hanno origine extralavorativa.

Quanto alle concause preesistenti la scienza medico-legale alla quale – come vedremo – si uniformano le previsioni del T.U., è solita distinguere le «concause di lesioni» dalle «concause di invalidità»: mentre le prime ricorrono quando, a causa di preesistenti condizioni patologiche, l’infortunio provoca conseguenze più gravi rispetto a quelle che sarebbe stato in grado di produrre, le seconde sussistono quando l’invalidità provocata dall’infortunio si aggiunge o si sovrappone ad una invalidità preesistente che, pur non assumendo efficacia causale nella produzione dell’evento, è in grado però di aggravarne le conseguenze (147).

Con riguardo alle prime, per opinione unanime in giurisprudenza, il principio di causalità dell’art. 2 T.U. impone che l’efficienza causale dell’evento sia valutata non in astratto in relazione ad un ipotetico lavoratore medio, ma in concreto con riferimento cioè alle specifiche condizioni

(142) Corte cost. 19 dicembre 2006, n. 426, cit., par. 3.3. della motivazione. (143) NAVARRETTA, Il futuro del danno alla persona tra progetti di legge e diritto vivente, in Danno resp., 2000, 1143. In termini critici anche CINELLI , Il danno non patrimoniale, cit., 119, in nota, secondo il quale si tratterebbe di una «sostanziale incongruenza concettuale e pratica». (144) Il riferimento è alla sentenza della Corte cost. 21 novembre 1997, n. 350, cit.. (145) Così POLETTI, Danno alla salute, cit., 244. (146) Vedi supra par. 4. (147) Per queste definizioni v. ALIBRANDI , Infortuni sul lavoro, cit., 368 ss ove più ampie citazioni di dottrina.

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dell’infortunato, con la conseguenza che l’inabilità deve essere interamente attribuita all’evento infortunistico, mentre la concausa di lesione rimane priva di valore giuridico sottrattivo (148).

Relativamente alle concause di invalidità, invece, la scienza medico-legale ha ulteriormente distinto le ipotesi di «concorso di invalidità» da quelle di «coesistenza di invalidità»: mentre le prime si verificherebbero in caso di pluralità di lesioni che intervengono sullo stesso organo o sistema organico-funzionale o su sistemi diversi ma tra loro funzionalmente collegati, le seconde si riferirebbero invece a lesioni diverse che intervengono su organi o sistemi tra loro distinti e non funzionalmente collegati.

Recependo i risultati dell’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale, gli artt. 79 e ss. T.U. provvedono a disciplinare le suddette fattispecie, distinguendo le preesistenze di origine professionale da quelle di natura extraprofessionale (149).

Con riguardo alle prime, tralasciando alcune fattispecie di valore meramente storico (150), occorre anzitutto esaminare l’ipotesi in cui l’assicurato abbia già percepito per il precedente infortunio una somma capitale ai sensi dell’art. 75 T.U. (151). In questi casi, ove l’invalidità successiva intervenga su organi o sistemi tra loro distinti e non funzionalmente collegati, gli artt. 79 e 80 T.U. dispongono che deve procederci alla valutazione della sola invalidità provocata dall’ultimo evento (152).

Diversamente, ove l’invalidità successiva configuri un’ipotesi di concorso con quella precedente, si procederà alla sua valutazione secondo la formula cd. Gabrielli prevista dall’art. 79 T.U., rapportando cioè l’incidenza dell’ultimo evento non alla normale attitudine al lavoro, ma a quella ridotta per effetto della preesistente inabilità.

Nel caso in cui invece il titolare di una rendita liquidata per un precedente infortunio o malattia professionale (153) sia colpito da un nuovo infortunio di grado indennizzabile, l’art. 80 T.U. dispone che si debba procedere alla costituzione di una rendita unica in base al grado di riduzione complessiva dell’attitudine al lavoro (154) calcolata secondo la formula cd. Balthazard di cui all’art. 78 T.U. ovvero

(148) In questi termini Cass. 21 febbraio 2005, n. 3467, in Giust. civ. mass. 2005, 2, la quale precisa tuttavia che l’eventuale peggioramento di una preesistente patologia extraprofessionale deve essere inquadrato tra le concause sopravvenute di cui all’art. 83 T.U., con la conseguenza che non può essere riconosciuta alcuna sua incidenza sul grado d’inabilità ove il medico legale abbia escluso qualsiasi interferenza dell’aggravamento con il precedente infortunio; con riguardo alle predisposizione morbosa provocata da dermatosi allergica: Cass. 18 marzo 1992, n. 3373, in Riv. inf. mal. prof., 1992, II, 88; Cass. 22 agosto 1991 n. 9036, in Riv. inf. mal. prof., 1992, II, 29; Cass. 1 febbraio 1990 n. n. 684; Cass. 17 ottobre 1988 n. 5647, in Dir. lav. 1989, II, 187. (149) Per maggiori approfondimenti sul punto v. infra Cap. V, par. 7.2. (150) Gli artt. 81 e 82 T.U. disciplinano, rispettivamente, i casi in cui la preesistente invalidità sia stata già indennizzata tramite somma capitale sotto il vigore del r.d. 31 gennaio 1904, n. 51 o con riscatto della precedente rendita ai sensi dell’art. 3 della l. 3 aprile 1958, n. 499, disponendo in caso di concorso con un nuovo evento invalidante la costituzione di una rendita unificata in base al grado di riduzione complessiva dell’attitudine al lavoro. (151) La norma stabilisce, in particolare, che, dopo dieci anni dalla costituzione della rendita, ove il grado di inabilità permanente residuato risulti compreso tra il 10 e 16 %, all’infortunato deve essere corrisposta «ad estinzione di ogni diritto» una somma pari al valore capitalizzato della rendita. (152) Sul punto v. Corte cost. 8 giugno 1981, n. 93, in Giur. cost. 1981, I, 772, la quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 75 T.U., nella parte in cui impone la capitalizzazione della rendita, e del combinato disposto dagli art. 75, 79 e 80 T.U. nella parte in cui, per essere intervenuta la capitalizzazione relativamente al primo infortunio, esclude il diritto ad una rendita corrispondente al grado di invalidità derivata dai due infortuni e ciò in quanto non è dimostrato, né dimostrabile, che l’indennizzo in capitale si riveli per il lavoratore di minore utilità rispetto al godimento della rendita. (153) Cfr. DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro, cit., 89-90, il quale dal generico riferimento della norma alle rendite corrisposte «a norma del presente titolo» ne desume l’applicazione tanto alle rendite per infortunio, quanto a quelle per malattia professionale. (154) Corte cost. 6 giugno 1989, n. 318, in Riv. inf. mal. prof. 1989, II, 89, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 80, primo comma, T.U., nella parte in cui non prevede che, qualora sopravvenga un ulteriore infortunio dopo il decorso di dieci anni dalla costituzione della rendita per un precedente infortunio, al lavoratore spetti una rendita non inferiore a quella già erogatagli. In merito all’applicazione di tale principio nella giurisprudenza successiva: Cass. 27 settembre 2013, n. 22262; Cass. 25 marzo 2004, n. 6008, in Giust. civ. mass. 2004, 3; Cass. 14 novembre 2003, n.

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sommando il valore delle diverse lesioni in rapporto alla capacità residua (155). La norma invero non distingue le ipotesi di concorso da quelle di coesistenza che devono quindi ritenersi parimenti rilevanti, mentre richiede che la rendita precedente sia afferente alla stessa gestione, industriale o agricola, di quella successiva (156). E analoga condizione è posta dall’art. 80, commi 2 e 3, T.U. per i casi in cui il nuovo infortunio non raggiunga la soglia minima di indennizzabilità, ma l’inabilità complessiva risulti comunque superiore a quella precedente, ovvero nelle ipotesi in cui l’inabilità precedente raggiunga detta soglia solo a seguito del nuovo infortunio (157).

L’art. 79 T.U. disciplina, invece, l’ipotesi del concorso tra eventi professionali ed extraprofessionali o tra infortuni afferenti a gestioni diverse, disponendo che in tali casi l’incidenza inabilitante del secondo evento debba essere calcolata in base alla ricordata formula cd. Gabrielli

ovvero valutandone gli effetti in rapporto alla ridotta attitudine lavorativa risultante dalla preesistente inabilità (158). Diversamente, in caso di mera coesistenza di invalidità, l’incidenza dell’ultimo evento deve essere valutata in rapporto ad una normale attitudine al lavoro (159).

Alle preesistenze finora considerate che ricadono tutte sotto l’applicazione del T.U. si aggiungono le ulteriori ipotesi disciplinate dall’art. 13 del d.lgs. n. 38/2000, il quale al quinto comma dispone che, ove l’assicurato, già colpito da uno o più eventi tutti rientranti nel nuovo regime, subisca un nuovo evento lesivo, si procederà alla valutazione complessiva dei postumi anche se rientranti in gestioni diverse e all’erogazione dell’indennizzo in rendita o capitale, detraendo eventualmente l’importo dell’indennizzo in capitale già corrisposto.

Decisamente più articolata risulta invece la previsione contenuta nel successivo comma sesto, il quale, operando una netta distinzione tra i due regimi (160), disciplina due ipotesi diverse:

a) in caso di preesistenti menomazioni di carattere extraprofessionale o provocate da eventi sottoposti al regime del T.U. e non indennizzati in rendita, il grado di menomazione dell’integrità psicofisica causato dall’evento verificatosi successivamente dovrà essere valutato in rapporto all’integrità psicofisica ridotta per effetto delle preesistenti menomazioni secondo la formula cd. Gabrielli;

17266, in Riv. inf. mal. prof. 2004, II, 5; Cass. 10 gennaio 2003, n. 235, ivi, 2003, II, 40, con nota di PIERGROSSI; Cass. 6 luglio 2002, n. 9832, in Giust. civ. mass. 2002, 1173; Cass. 19 dicembre 2001, n. 16017, ivi, 2001, 2181; Cass. 13 gennaio 2001, n. 417, in Foro it. 2001, I, 1582; Cass. 26 agosto 2000, n. 11193, in Giust. civ. mass. 2000, 1837; Cass. 7 luglio 2000, n. 9133, ivi, 1520. (155) Cass. 12 giugno 2001, n. 7956, in Giust. civ. mass. 2001, 1182; Cass. 14 novembre 2000, n. 14715, ivi, 2000, 2316; Cass. 1 dicembre 1997, n. 12154, ivi, 1997, 2306; Cass. 22 gennaio 1997, n. 637, in Riv. inf. mal. prof. 1997, II, 47; Cass. 4 novembre 1995, n. 11505, ivi, 1996, II, 26; Cass. 11 gennaio 1995, n. 264, ivi, 1995, II, 17; Cass. 14 ottobre 1992, n. 11228; Cass. 9 agosto 1991, n. 8703; Cass. 1 settembre 1990, n. 9066. (156) La stessa disciplina trova ovviamente applicazione per il rinvio operato dall’art. 212 T.U. agli infortuni in agricoltura. (157) V. Corte cost. 22 febbraio 1990, n. 71, in Riv. inf. mal. prof. 1990, II, 11, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità degli artt. 80, ultimo comma, e 212 T.U. nella parte in cui prevedono che gli infortuni, comportanti inabilità permanente in misura non indennizzabile, diano luogo ad indennizzo, ove l’inabilità, complessivamente valutata, superi la soglia dell’indennizzabilità, solo nel caso in cui gli stessi si siano verificati nel medesimo settore lavorativo, ritenendo che tale disciplina rifletta coerentemente la distinta organizzazione delle due gestioni. Sul punto v. anche Cass. 21 ottobre 2000, n. 13921, in Riv. inf. mal. prof. 2000, II, 97, secondo la quale la costituzione della rendita unica in caso di eventi afferenti a gestioni diverse è impedita dal diverso regime finanziario delle stesse, dovuto alla sostanziale diversità di regolamentazione della contribuzione assicurativa relativa a ciascuna di esse. (158) Sul punto v. Cass. 15 gennaio 2014, n. 684; Cass. 30 luglio 2003, n. 11703, in Giust. civ. mass. 2003, 7-8; Cass. 21 gennaio 1999, n. 534, ivi, 1999, 125. (159) Cass. 8 ottobre 2007, n. 21021, in Giust. civ. mass. 2007, 10; Cass. 17 aprile 2003, n. 6195, ivi, 2003, 4; Cass. 3 aprile 1998, n. 3435, ivi, 1998, 718. (160) Sul punto v. Corte cost. 19 dicembre 2006, n. 426, cit., che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 6, del d.lgs. n. 38/2000, nella parte in cui non consente di procedere ad una valutazione complessiva dei postumi conseguenti ad eventi professionali verificatisi prima e dopo l’entrata in vigore del nuovo regime, trattandosi della logica conseguenza di una razionale scelta discrezionale del legislatore, fondata sull’obiettiva differenza dei parametri valutativi e delle conseguenze indennizzabili ed articolata in modo tale da non lasciare, nell’ambito di ciascuno dei diversi regimi, alcun vuoto di tutela.

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b) ove invece per l’evento rientrante nel precedente regime l’assicurato percepisca una rendita o sia stato liquidato l’indennizzo in capitale, il grado di menomazione conseguente al successivo evento professionale dovrà essere valutato «senza tenere conto delle preesistenze», con la conseguenza che l’assicurato continuerà a percepire la rendita erogata per l’evento precedente (161).

Per quanto concerne, infine, le concause sopravvenute, queste non sono espressamente disciplinate dal T.U., il quale, agli artt. 83 e 137 si limita a riconoscere il diritto dell’assicurato alla revisione della rendita in caso di ulteriore successiva riduzione dell’attitudine al lavoro, a condizione che il peggioramento sia «derivato» dall’infortunio o dalla malattia professionale che ha dato luogo alla liquidazione della rendita (162). Ne deriva che, diversamente dalle concause preesistenti extraprofessionali che sono esplicitamente considerate – come si è visto – dall’art. 79 T.U. e dall’art. 13, comma 6 del d.lgs. n. 38/2000, gli effetti delle concause sopravvenute extralavorative restano irrimediabilmente esclusi dalla garanzia indennitaria in quanto privi di un rapporto di derivazione eziologica con l’evento precedente (163).

SEZIONE II

LA MALATTIA PROFESSIONALE 9. La nozione di malattia professionale. – Con formula identica per l’industria e l’agricoltura, gli

artt. 3 e 211 T.U. prevedono l’applicazione della tutela assicurativa nei confronti delle malattie professionali che «siano contratte nell’esercizio e a causa delle lavorazioni» indicate nelle tabelle in quanto tali lavorazioni rientrino tra quelle per le quali ricorre l’obbligo assicurativo. Ciò significa che l’operatività della tutela contro le tecnopatie è condizionata alla ricorrenza dei presupposti richiesti per l’applicazione della tutela contro gli infortuni dagli artt. 1, 4 e 9 T.U. (164).

Differenti sono invece le rispettive nozioni di evento protetto, la cui distinzione – come già precisato – ha rilievo soltanto sul piano giuridico-assicurativo, mentre su quello medico-clinico gli infortuni e le malattie rappresentano soltanto la causa di analoghi processi patologici.

La nozione contenuta dell’art. 3 T.U. risente della finalità originariamente avvertita di operare una netta distinzione tra le malattie professionali e quelle comuni al fine di escludere dalla tutela le patologie prive di un rapporto causale diretto con l’attività lavorativa (165).

La distinzione rispetto alla figura dell’infortunio rileva, dunque, tanto sul piano eziologico, quanto su quello cronologico.

Dal primo versante e fatto salvo quanto si dirà più oltre, la nozione dettata dall’art. 3 T.U., diversamente da quella dell’art. 2 T.U., non si limita a richiedere un mero rapporto di occasionalità con il lavoro, esigendo che la malattia in quanto contratta «nell’esercizio e a causa delle lavorazioni» si ponga in rapporto di stretta derivazione causale con l’attività lavorativa. Ciò significa – come acutamente osservato in dottrina (166) – che la malattia professionale si distingue dall’infortunio per

(161) Cass. 13 aprile 2010, n. 8761; Cass. 19 maggio 2008, n. 12613, in Giust. civ. mass. 2008, 5, 754; Cass. 12 ottobre 2007, n. 21452, ivi, 2007, 10. (162) Sulla disciplina della revisione della rendita vedi infra Cap. V, par. 7.1. (163) Con questa motivazione Corte cost. 19 gennaio 1995, n. 17, in Riv. giur. lav. 1995, II, 763, con nota di SANTORO, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale degli art. 79 e 83 T.U. per omessa disciplina della revisione della rendita da inabilità permanente in caso di aggravamento delle dovuto a cause sopravvenute di origine extralavorativa. Nella giurisprudenza di legittimità: Cass. 21 febbraio 2005, n. 3467, in Giust. civ. mass. 2005, 2; Cass. 15 gennaio 1990, n. 129, in Riv. inf. mal. prof. 1990, II, 58; Cass. 11 novembre 1988, n. 6103; Cass. 10 novembre 1983, n. 6679, in Riv. inf. mal. prof. 1984, II, 78; Cass. 12 marzo 1981, n. 1414, in Foro it. 1981, I, 2766. (164) La prevalente identità della loro disciplina, oltre a quanto si dirà più oltre relativamente al superamento del sistema tabellare chiuso, consente di ritenere ormai completamente superate le opinioni che specialmente in passati riconoscevano alla tutela contro le tecnopatie una distinta configurazione rispetto all’assicurazione contro gli infortuni (sul punto v. ALIBRANDI , Infortuni sul lavoro, cit., spec. 464). (165) Sulle origini di questa tutela vedi retro Cap. I, par. 2. (166) ALIBRANDI , Infortuni sul lavoro, cit., 468.

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una ben più tipica eziologia che finirebbe per identificarsi con lo stesso rischio intrinseco all’attività svolta.

Decisamente più evidente appare comunque la differenza sul piano delle modalità dell’azione lesiva che nell’infortunio deve assumere i connotati della rapidità e della concentrazione richiesti dalla causa violenta, mentre nelle malattie professionali, sebbene non espressamente richiesto dall’art. 3 T.U., la lesione costituisce l’effetto di una lenta ma prolungata esposizione all’azione del fattore morbigeno. Questa caratteristica che – come già detto – è quella che distingue maggiormente la malattia professionale dall’infortunio, può essere determinata facendo riferimento a contrario alla unità di misura della causa violenta, con il risultato che la malattia professionale può essere configurata in presenza di una eziologia di durata almeno superiore al turno lavorativo (167).

Non è invece richiesto un periodo minimo di adibizione alla lavorazione morbigena, potendo così configurarsi la malattia professionale anche in assenza di una esposizione prolungata all’azione della causa lesiva. Né si richiede, analogamente a quanto previsto per gli infortuni, che il lavoratore sia direttamente adibito alla lavorazione morbigena, essendo sufficiente che sia tenuto per ragioni di lavoro a frequentare gli ambienti in cui la stessa viene svolta.

A tale riguardo è stato chiarito in giurisprudenza che per la configurabilità del rischio c.d. ambientale e la conseguente indennizzabilità della malattia l’aspetto di maggiore rilievo non è dato dal rapporto di complementarietà o sussidiarietà tra la lavorazione morbigena e quella alla quale è addetto il lavoratore, né tantomeno rileva che le due lavorazioni siano organizzate dallo stesso imprenditore, ma la circostanza oggettiva che l’esecuzione dell’attività lavorativa debba svolgersi in connessione ambientale con la lavorazione rischiosa, risultando così esposto il lavoratore alla medesima fonte di rischio (168).

Per le stesse ragioni non può evidentemente assumere alcun rilievo la qualifica professionale posseduta dal lavoratore che può essere indifferentemente anche impiegatizia o dirigenziale.

Si può dire in altri termini che la progressiva estensione per via interpretativa dei confini operativi della tutela per gli infortuni abbia comportato, stante l’identità dei presupposti applicativi, una corrispondente estensione della tutela contro le malattie professionali.

10. Dal sistema tabellare chiuso al sistema misto. – Nella impostazione originaria del T.U. la

garanzia indennitaria per le tecnopatie era riservata, coerentemente alla sua iniziale logica selettiva, ad alcune specifiche malattie indicate nell’apposita tabella purché contratte «nell’esercizio e a causa» delle lavorazioni morbigene tassativamente individuate nella tabella stessa e a condizione che la loro manifestazione in caso di cessazione dell’attività si fosse verificata entro un determinato termine sempre indicato nella tabella.

È inutile sottolineare che la finalità del sistema tabellare c.d. chiuso era quella di limitare l’intervento della tutela indennitaria ad alcune patologie tipiche di comprovata origine professionale, restando così esclusa la possibilità per il lavoratore di accedere alla garanzia indennitaria dimostrando l’eziologia lavorativa della patologia non tabellata. Ciò nondimeno quel sistema garantiva al lavoratore un certo vantaggio nella misura in cui lo esonerava dall’onere di provare l’eziologia lavorativa della malattia tabellata che, in quanto tale, era assistita da una presunzione legale di origine professionale.

Sennonché, il vantaggio costituito dalla indicazione tabellare e dalla relativa presunzione legale avrebbe potuto garantire al lavoratore un’adeguata tutela soltanto a condizione che le tabelle fossero

(167) Vedi supra par. 4. (168) In questi termini Cass. 18 settembre 2013, n. 21360; Cass. 5 marzo 2013, n. 5375; Cass. 13 luglio 2011, n. 15400, in Giust. civ. mass. 2011, 1060; Cass. 4 giugno 2002, n. 8108, in Lav. giur., 2002, 995; Cass. 2 settembre 1995, n. 9277, in Giust. civ. mass. 1995, 1596; Cass. 13 aprile 1995, n. 4223, in Riv. inf. mal. prof., 1995, II, 55; Cass. 6 novembre 1993, n. 10970, ivi 1993, II, 153; Cass. 4 novembre 1993, n. 10896, ivi, 157; Cass. 17 gennaio 1990, n. 202; Cass. 14 aprile 1987, n. 3700, in Riv. inf. mal. prof., 1988, II, 56; Cass. 16 dicembre 1986, n. 7578; Cass. 21 novembre 1984, n. 5972, in Riv. inf. mal. prof., 1985, II, 46; Cass. 19 agosto 1982, n. 4668, in Giust. civ. 1983, I, 1272.

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periodicamente aggiornate alla evoluzione dei fattori morbigeni, giacché diversamente la tassatività del sistema tabellare si sarebbe risolta in una irragionevole limitazione della garanzia indennitaria.

Ed è proprio quanto avvenuto durante la vigenza del sistema tabellare chiuso allorché il mancato periodico aggiornamento della tabelle ha gradualmente ridimensionato il beneficio offerto dalla presunzione legale di origine professionale (169).

Chiamata a giudicare sulla legittimità del sistema tabellare, il giudice costituzionale ha in un primo momento dichiarato la questione infondata, non senza rinunciare, tuttavia, a segnalare le disparità di trattamento derivanti dalla mancata previsione legislativa di talune malattie e lavorazioni e a sottolineare l’opportunità e l’urgenza di una soluzione legislativa mista, tale cioè da affiancare al sistema della lista anche la possibilità per il lavoratore di provare l’eziologia professionale delle malattie non tabellate (170).

Successivamente, senza attendere oltre l’intervento del legislatore, la Consulta con la sentenza 18 gennaio 1988, n. 179 (171) ha invece completamente ridisegnato la tutela contro le tecnopatie nell’industria e nell’agricoltura, dichiarando l’illegittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, e art. 211, comma 1, T.U., nella parte in cui non prevedono che l’assicurazione è obbligatoria anche per malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle e causate da lavorazioni o agenti patogeni non tabellati «delle quali sia comunque provata la causa di lavoro», nonché degli artt. 134, comma 1, e 254 T.U. nella parte in cui, per l’ipotesi di abbandono della lavorazione morbigena, stabiliscono che le prestazioni previste per le malattie professionali sono dovute «sempreché» le manifestazioni morbose si verifichino entro un determinato termine.

A questa pronuncia ha fatto poi seguito la sentenza n. 206 del 25 febbraio 1988 (172) che ha dichiarato l’illegittimità degli artt. 135, comma 2, T.U., nella parte in cui escludevano dalla tutela indennitaria le patologie manifestatesi oltre il termine indicato nelle tabelle, con la conseguenza che, per effetto di tale pronuncia, il momento di manifestazione della malattia professionale continua ad assumere rilievo unicamente ai fini della decorrenza della prescrizione del diritto alle prestazioni di cui all’art. 112 T.U. (173).

(169) L’art. 3 del T.U. contemplava il periodico aggiornamento delle tabelle, rinviando all’emanazione di un d.P.R., su proposta del Ministro per il lavoro, di concerto con il Ministro per la sanità, sentite le organizzazioni sindacali nazionali di categoria maggiormente rappresentative. Successivamente all’emanazione del T.U. e prima dell’intervento della Consulta le tabelle furono aggiornate soltanto con il d.P.R. 9 giugno 1975, n. 482. (170) In questi termini Corte cost. 4 luglio 1974, n. 206, in Mass. giur. lav., 1975, 301, con nota di ALIBRANDI , Sulla legittimità costituzionale del sistema della lista delle tecnopatie assicurate. Nello stesso senso le successive ordinanze: Corte cost. 16 aprile 1975, n. 88, in Giur. cost., 1975, 813; Corte cost. 11 giugno 1975, n. 141, in Arch. civ., 1975, 1302; Corte cost. 10 luglio 1975, n. 205, in Riv. inf. mal. prof., 1975, II, 135; Corte cost. 19 febbraio 1976, n. 41, in Riv. inf. mal. prof., 1976, II, 51; Corte cost. 21 luglio 1981, n. 144, in Riv. inf. mal. prof., 1981, II, 154; Corte cost. 4 febbraio 1982, n. 240, in Giur. cost., 1982, 220. Successivamente, nel senso della manifesta infondatezza delle questioni sollevate nei confronti dell’art. 3 T.U.: Corte cost. Corte Cost. 21 luglio 1981, n. 140, in Mass. giur. lav., 1981, 697, con nota di ALIBRANDI , Ribadita la legittimità costituzionale del sistema della lista delle tecnopatie assicurate; Corte cost. 10 luglio 1981, n. 127, in Riv. inf. mal. prof., 1981, II, 191. (171) in Mass. giur. lav., 1988, 16, con nota di ALIBRANDI , Sistema misto per le tecnopatie dopo la sentenza n. 179 del 1988 della Corte costituzionale. Su questa pronuncia v. anche PICCININNO, Spunti di riflessione sulle prospettive della disciplina delle malattie professionali, in Riv. giur. lav., 1988, III, 82; CIAFRÈ, Malattie professionali: la Corte Costituzionale adotta il sistema misto, in Riv. it. dir. lav., 1988, II, 901; ROSSI, I nuovi rischi per la salute dei lavoratori. Tutela previdenziale e tutela preventiva nella più recente giurisprudenza, in Giur. it., 1988, I, 1035; BALANDI , Le malattie professionali: un quadro normativo in evoluzione, in Riv. it. dir. lav., 1989, I, 235; SILVESTRO, La tutela delle tecnopatie nell’orientamento della giurisprudenza costituzionale, in Riv. giur. lav., 1989, III, 49; PANDOLFO, Considerazioni sul sistema misto dopo la sentenza n. 179/88 della Corte Costituzionale, in Riv. giur. lav., 1989, III, 87; ALIBRANDI , La malattia professionale quale fattispecie normativa previdenziale (dopo la sentenza n. 179/1988 della Corte Costituzionale, in Lav. prev. oggi, 1990, 7; PONTRANDOLFI, Le malattie professionali dopo le sentenze n. 179 e n. 206 della Corte Costituzionale, in Riv. inf. mal. prof., 1992, I, 315; CATANIA , Piove ... sul bagnato (Ancora in margine alla sentenza n. 179/1988 della Corte Costituzionale, in Dir. lav., 1992, I, 371. (172) in Foro it., 1990, I, 2464. (173) Vedi più diffusamente infra Cap. V, par. 3.

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Superando le proprie decisioni la Consulta ha così ritenuto che il vantaggio costituito dalla presunzione legale di origine professionale offerto dal sistema tabellare non fosse più in grado di compensare – tenuto conto dell’intervenuto progresso delle tecnologie diagnostiche e dell’incremento dei fattori di rischio derivante dallo sviluppo delle tecnologie produttive – lo svantaggio costituito dalla esclusione delle malattie non tabellate (174).

Dal sistema tabellare chiuso si è così passati all’attuale sistema misto che, oltre alle patologie tabellate, estende la tutela anche alle malattie professionali non tabellata. In merito ai rapporti tra queste due fattispecie è opinione comune in giurisprudenza che l’intervento della Consulta non abbia modificato la nozione di malattia professionale che rimane sostanzialmente unitaria (175), con l’unica differenza, apprezzabile sul piano probatorio, che per quelle tabellate vale la presunzione legale di origine professionale (176), gravando sull’INAIL l’onere di dimostrare l’inesistenza del nesso causale (177), mentre per quelle non tabellate la prova dell’origine professionale incombe sullo stesso lavoratore che ne rivendica la tutela (178).

Se ne dovrebbe dedurre che, stante l’unicità della nozione di malattia professionale, anche per le patologie non tabellate deve sussistere uno stretto rapporto di derivazione causale con la lavorazione svolta (179), mentre non rileva la circostanza che la malattia sia provocata da un rischio generico purché contratta nell’esercizio e a causa della lavorazione svolta (180).

Occorre peraltro rilevare come la linea di demarcazione tra malattie tabellate e non tabellate sia in concreto molto meno netta di quanto a prima vista potrebbe apparire, posto che il carattere tassativo delle indicazioni tabellari, se vieta un’applicazione analogica delle relative previsioni, non

(174) Corte cost. 18 gennaio 1988, n. 179, cit., al punto 6 della motivazione. (175) In questo senso anche la relazione della commissione di esperti istituita dall’INAIL dopo l’intervento della Consulta: AA.VV., La nozione di malattia professionale (dopo la sentenza n. 179/1988 della Corte Costituzionale, in Riv. inf. mal. prof., 1990, I, 507. In dottrina nel senso della unitarietà della nozione di malattia professionale: ALIBRANDI , Infortuni sul lavoro, cit., 473; FONTANA, Malattie professionali: la risposta della giurisprudenza ordinaria all’introduzione del sistema “misto”, in Dir. lav., 1994, I, 235; CATANIA , Piove ... sul bagnato, cit., 372; PANDOLFO, Considerazioni sul sistema misto, cit., 87; ALIBRANDI , La malattia professionale, cit., spec. 8 ss.. (176) La giurisprudenza è solita individuare la tabella applicabile in quella vigente al momento dell’esercizio della lavorazione tabellata: Cass. 1 febbraio 2002, n. 1318, in Arch. civ. 2002, 693; Cass. 10 giugno 1999, n. 5716, in Giust. civ. mass. 1999, 1317; Cass. 24 aprile 1999, n. 4107, in Giust. civ. mass. 1999, 929; Cass. 28 novembre 1992, n. 12740, in Riv. inf. mal. prof. 1993, II, 77; Cass. 14 ottobre 1983, n. 6016, in Riv. inf. mal. prof. 1984, II, 81, che ha escluso l’indennizzabilità della malattia professionale manifestatasi prima dell’entrata in vigore della legge che la classifica tra le tecnopatie comprese nell’assicurazione obbligatoria. (177) Cass. 10 dicembre 2013, n. 27520; Cass. 9 gennaio 2013, n. 358, in Lav. giur., 2013, 311; Cass. 21 dicembre 2009, n. 26893, in Lav. giur., 2010, 307; Cass. 3 aprile 2008, n. 8638, in Giust. civ. mass. 2008, 510; Cass. 6 aprile 2006, n. 8002, in Giust. civ. mass. 2006, 4; Cass. 25 settembre 2004, n. 19312, in Giust. civ. mass. 2004, 9; Cass. 26 luglio 2004, n. 14023, in Foro it. 2005, I, 422; Cass. 4 novembre 2002, n. 15410, in Riv. Inf. Mal. Prof., 2002, II, 101; Cass. 10 dicembre 2001, n. 15591, in Riv. Inf. Mal. Prof., 2001, II, 142; Cass. 10 novembre 2000, n. 14607, in Giust. civ. mass. 2000, 2296; Cass. 24 ottobre 2000 n. 13992, in Riv. inf. mal. prof. 2000, II, 90. (178) Cass. 21 giugno 2006, n. 14308, in Giust. civ. mass. 2006, 6; Cass. 25 settembre 2004, n. 19312, cit.; Cass. 7 giugno 2003, n. 9171, in Giust. civ. mass. 2003, 6; Cass. 28 maggio 2003, n. 8468, in Giust. civ. mass. 2003, 5; Cass. 4 luglio 2001, n. 9048, in Giust. civ. mass. 2001, 1329; Cass. 13 dicembre 1999, n. 13986, in Foro it. 2000, I, 1210. (179) Cfr. Cass. 20 agosto 2004, n. 16392; Cass. 5 febbraio 1998, n. 1196, in Giust. civ. mass. 1998, 250; Cass. 18 marzo 1997, n. 2372, in Giust. civ. mass. 1997, 411; Cass. 14 febbraio 1997, n. 1356, in Riv. inf. mal. prof., 1997, II, 26, con nota di SCIOTTI, secondo la quale «ove la malattia lamentata non sia riconducibile ad una specifica previsione tabellare, grava sull’assicurato l’onere di dimostrare che questa sia stata contratta “nell’esercizio e a causa” della lavorazione svolta (art. 3, primo comma, D.P.R. n. 1124 del 1965) – e non semplicemente “in occasione” di essa (come stabilisce il precedente art. 2 in relazione agli infortuni) – offrendo cioè la prova di un rapporto causale efficiente tra la malattia sofferta e l’esposizione al rischio – diretto o ambientale – indotta dalle modalità di svolgimento di una determinata prestazione lavorativa». (180) Così Cass. 10 dicembre 2001, n. 15591, cit.; Cass. 23 maggio 2001, n. 7050, in Giust. civ. mass. 2001, 1042; Cass. 24 aprile 1998, n. 4254, in Giust. civ. mass. 1998, 882; Cass. 5 febbraio 1998, n. 1196, cit.; Cass. 18 ottobre 1991, n. 10980, in Riv. inf. mal. prof., 1992, II, 57.

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è invece di ostacolo ad una loro interpretazione estensiva, con la conseguenza che la suddetta presunzione è invocabile anche per le lavorazioni non espressamente previste nelle tabelle, ma da ritenersi in esse implicitamente incluse (181). È invece richiesto che la lavorazione tabellata sia svolta in modo continuativo, sicché ove esercitata in maniera soltanto episodica ed occasionale non può trovare applicazione la presunzione legale di origine professionale, gravando sul lavoratore l’onere di provare la riconducibilità della malattia all’attività professionale svolta (182).

Quanto invece ai contenuti della prova richiesta in caso di malattia non tabellata, se in linea generale incombe sul lavoratore la dimostrazione dell’esistenza della malattia, delle caratteristiche morbigene della lavorazione svolta e del rapporto eziologico fra quest’ultima e la malattia, con riguardo alle patologie c.d. multifattoriali – derivanti cioè dalla combinazione di fattori, ad un tempo, professionali ed extraprofessionali – la gravità di tale onere è giustamente mitigato in giurisprudenza. Trattandosi, infatti, di patologie, la cui origine professionale è insuscettibile di dimostrazione in termini di certezza scientifica, i giudici sono soliti richiedere in questi casi che l’eziologia lavorativa sia provata almeno in termini di «ragionevole certezza», nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’origine professionale, questa può essere dedotta «con elevato grado di probabilità, dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall’assenza di altri fattori extralavorativi, alternativi o concorrenti, che possano costituire causa della malattia» o ancora dalla produzione di dati statistici ed epidemiologici, tali cioè da tradurre in certezza giuridica le conclusioni fornite in termini meramente probabilistici dal consulente tecnico (183).

Anche nelle malattie professionali, infine, trova applicazione il principio sopra ricordato di equivalenza causale di cui all’art. 41 cod. pen. (184), con il risultato che la predisposizione morbosa del lavoratore non recide il rapporto causale con la lavorazione svolta ove da sola non sufficiente a provocare la malattia (185).

11. La revisione periodica delle tabelle ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 38 del 2000. – Il

passaggio al sistema misto di tutela contro le malattie professionali è stato ribadito, in conformità ai

(181) Questo principio è stato affermato da Cass. 9 marzo 1990, n. 1919, in Dir. lav. 1991, II, 84. Negli stessi termini in seguito Cass. 15 maggio 2007, n. 11087, in Riv. crit. dir. lav. 2007, 931, con nota di GARLATTI , ESPOSTI, la quale ha ulteriormente precisato che l’interpretazione estensiva delle previsioni tabellari concernente esclusivamente le lavorazioni e non le malattie; Cass. 3 ottobre 1991, n. 10304, in Riv. inf. mal. prof., 1992, II,61. (182) Cass. 10 marzo 2004, n. 4927, in Giust. civ. mass. 2004, 3. (183) Così Cass. 8 maggio 2013, n. 10818; Cass. 12 ottobre 2012, n. 17438, in Riv. it. dir. lav. 2013, II, 746, con nota di ROTA, con riguardo ad un tumore dei nervi cranici sviluppatosi a causa dell’uso lavorativo protratto di telefoni cellulari e cordless (così anche la precedente decisione di merito App. Brescia 22 dicembre 2009, n. 514, in Resp. civ. prev. 2010, 1368); Cass. 11 ottobre 2012, n. 17349, in Foro it. 2013, I, 165; Cass. 10 novembre 2011, n. 23415, in Giust. civ. mass. 2011, 1582, relativamente al contagio da Hiv; Cass. 10 febbraio 2011, n. 3227, in Giust. civ. mass. 2011, 213, con riguardo alle malattie derivanti dall’esposizione al fumo passivo; Cass. 26 marzo 2010, n. 7352, in Giust. civ. mass., 2010, 446; Cass. 21 dicembre 2009 n. 26893, cit.; Cass. 26 giugno 2009, n. 15080; Cass. 27 novembre 2007, n. 24637; Cass. 8 ottobre 2007, n. 21021, cit., con riguardo ad una broncopneumopatia cronico-ostruttiva sviluppata da un intonacatore abituale fumatore; Cass. 21 giugno 2006, n. 14308, cit.; Cass. 26 maggio 2006, n. 12559, cit.; Cass. 1 marzo 2006, n. 4520, in Giust. civ. mass. 2006, 3; Cass. 26 luglio 2004, n. 14023, cit.; Cass. 11 giugno 2004, n. 11128, in Giust. civ. mass. 2004, 6; Cass. 25 maggio 2004, n. 10042, in Giust. civ. mass. 2004, 5; Cass. 20 maggio 2004, n. 9634; Cass. 12 maggio 2004, n. 9057 e Cass. 27 aprile 2004, n. 8073, in Riv. giur. lav., 2005, II, 204, con nota di SACCONI; Cass. 1 settembre 2003, n. 12734, in Giust. civ. mass. 2003, 9; Cass. 24 marzo 2003, n. 4292, in Lav. giur., 2003, 777; Cass. 8 gennaio 2003, n. 87, in Giust. civ. mass. 2003, 26; Cass. 4 giugno 2002, n. 8108, cit.; Cass. 13 aprile 2002, n. 5352, in Giust. civ. mass. 2002, 642; Cass. 29 settembre 2000, n. 12909, in Lav. giur., 2001, 279. (184) Vedi supra par. 8. (185) tra le più recenti Cass. 11 dicembre 2013, n. 27649; Cass. 28 novembre 2013, n. 26663; Cass. 30 luglio 2013, n. 18267; Cass. 10 aprile 2013, n. 8839.

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criteri di delega (186), dall’art. 10, comma 4, del già citato d.lgs. n. 38 del 2000, il quale, formalizzando quanto già sancito dal giudice costituzionale, ha stabilito che «sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l’origine professionale».

L’aspetto certamente più innovativo della disciplina introdotta dal decreto delegato riguarda, tuttavia, la definizione delle procedure volte a garantire un costante aggiornamento non solo delle tabelle delle malattie professionali di cui agli artt. 3 e 211 T.U. ma anche dell’elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia da parte del medico ai sensi dell’art. 139 T.U..

Rispondendo alle sollecitazioni del giudice costituzionale, l’art. 10, comma 1, del decreto delegato ha provveduto infatti all’istituzione di un’apposita commissione scientifica incaricata di provvedere alla elaborazione e revisione periodica di tali elenchi e tabelle (187). Onde garantire il loro costante aggiornamento, l’art. 10, comma 4, ha altresì stabilito che alla revisione dell’elenco di cui all’art. 139 T.U. si provvederà annualmente su proposta della suddetta commissione, con la precisazione che tale elenco dovrà contenere anche liste di «malattie di probabile o possibile origine lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione delle tabelle delle malattie professionali di cui agli artt. 3 e 211 del T.U.».

Il legislatore ha così inteso non solo confermare la lista “di attesa” dell’art. 139 T.U., ma anche rivalutarne la funzione quale strumento tecnico-scientifico per l’aggiornamento delle tabelle delle malattie professionali (188), disponendo altresì all’art. 10, comma 5, l’istituzione, presso la banca dati INAIL, del «registro nazionale delle malattie causate dal lavoro o ad esso correlate».

In attuazione di tale previsione si è così provveduto, dapprima con il d.m. 27 aprile 2004 e, successivamente, con i dd.mm. 14 gennaio 2008 e 11 dicembre 2009, all’aggiornamento del suddetto elenco che è ora suddiviso in tre sezioni contenenti, rispettivamente, la lista delle malattie la cui origine lavorativa è di «elevata probabilità», quella delle malattie la cui origine lavorativa è di «limitata probabilità» e, infine, quella delle malattie la cui origine lavorativa è soltanto «possibile».

In conformità alla procedura prevista dall’art. 10 del d.lgs. n. 38 del 2000, alla revisione di tale elenco ha fatto seguito, con il d.m. 9 aprile 2008, l’aggiornamento delle tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura di cui agli artt. 3 e 211 T.U., le cui previsioni risalivano al d.P.R. 13 aprile 1994, n. 336 (189).

12. La tutela indennitaria delle lesioni derivanti da mobbing. – La nozione di malattia

professionale e il relativo nesso causale sono da qualche tempo al centro di una delicata questione interpretativa che coinvolge direttamente gli stessi confini applicativi della tutela assicurativa. La vicenda nasce dalla circolare n. 71 del 17 dicembre 2003 (190), con la quale l’INAIL ha impartito alle

(186) L’art. 55, lett. m), della legge n. 144 del 1999, aveva delegato il governo ad emanare uno o più decreti legislativi al fine, tra l’altro, di prevedere «criteri per l’aggiornamento e la revisione periodica dell'elenco delle malattie professionali, fermo restando che sono considerate malattie professionali anche quelle, non comprese nell’elenco, delle quali il lavoratore dimostri l’origine lavorativa». (187) La Commissione è nominata con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale ed è composta da quindici membri in rappresentanza del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, della sanità, del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, dell’Istituto superiore della sanità, del CNR, dell’ISPESL, dell’Istituto italiano di medicina sociale, dell’INPS, INAIL, IPSEMA, nonché delle ASL su designazione dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. (188) Cfr. PONTRANDOLFI, Stato attuale della tutela assicurativa delle malattie professionali tra giurisprudenza, dottrina e modifiche normative, in Riv. inf. mal. prof., 2000, 953; SMURAGLIA , Sicurezza e igiene del lavoro. Quadro normativo. Esperienze attuative e prospettive, in Riv. giur. lav., 2001, n. 4, spec. 473 ss. (189) Per un’analisi delle nuove tabelle v. DE MATTEIS, La nuova tabella delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura, in Riv. inf. mal. prof., 2008, 443 ss. (190) La circolare, intitolata «Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro. Rischio tutelato e diagnosi di malattia professionale. Modalità di trattazione delle pratiche», recepiva le conclusioni elaborate dal comitato scientifico nominato dall’INAIL.

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proprie sedi le istruzioni necessarie alla tutela indennitaria di alcune patologie psichiche derivanti da «costrittività organizzativa».

Scorrendo l’elenco delle fattispecie descritte dalla circolare non era in realtà difficile accorgersi che la stessa intendeva semplicemente alludere alle condotte tipicamente vessatorie e persecutorie altrimenti definite come mobbing (191).

Senza indugiare oltre su questa fattispecie per la quale si rinvia alla copiosa letteratura in materia

(192), preme invece rilevare come la tutela indennitaria delle patologie derivanti da mobbing sia stata affermata dalla circolare grazie ad una particolare lettura della sentenza n. 179 del 1988, con la quale il giudice costituzionale, superando la tassatività del sistema tabellare chiuso, ha ammesso l’indennizzabilità di qualunque malattia non tabellata della quale, con onere a carico del lavoratore, «sia comunque provata la causa di lavoro». La circolare muoveva, infatti, dall’implicito presupposto che il passaggio al sistema tabellare misto avesse comportato la definizione per malattie non tabellate di un diverso requisito causale, tale cioè da consentire l’applicazione della tutela indennitaria anche alle patologie che non si pongono in rapporto di stretta causalità con la lavorazione svolta, ma in rapporto di semplice occasionalità con il lavoro.

È proprio grazie a questa diversa lettura della pronuncia del giudice costituzionale che la circolare ha potuto affermare l’indennizzabilità delle malattie derivanti da mobbing, trattandosi evidentemente di patologie che rinvengono la propria causa nelle vessazioni inflitte dai colleghi o dal datore di lavoro e che nel lavoro trovano soltanto l’occasione per manifestarsi.

Sennonché, questa lettura, che pure in passato ha riscosso alcuni consensi in dottrina (193), non sembra finora aver trovato alcuna conferma nella giurisprudenza, la quale ha sempre ribadito – come già visto – l’unitarietà della nozione di malattia professionale, confermando la necessità di uno stretto rapporto di derivazione causale con la lavorazione svolta tanto per le malattie tabellate, quanto per quelle non tabellate.

Per queste ragioni la circolare è stata oggetto di una pronuncia di annullamento da parte del TAR del Lazio (194) che è stata successivamente confermata dal Consiglio di Stato (195), il quale ha ritenuto

(191) La circolare conteneva un elenco delle più ricorrenti situazioni di costrittività organizzativa al quale era attribuito un «imprescindibile valore orientativo» per eventuali situazioni assimilabili. Erano così ritenute indennizzabili le patologie psichiche provocate da: marginalizzazione dall’attività lavorativa; svuotamento di mansioni; mancata assegnazione dei compiti lavorativi o degli strumenti di lavoro; ripetuti trasferimenti ingiustificati; prolungata dequalificazione o attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi; impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie; inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni; esclusione reiterata rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale; esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo. La circolare precisava altresì che soltanto il mobbing c.d. strategico – quello cioè finalizzato all’allontanamento del lavoratore – poteva ritenersi compreso nel rischio tutelato, purché realizzato con modalità analoghe alle costrittività organizzative. (192) Sul punto, senza pretesa di esaustività, v.: PEDRAZZOLI, Tutela della persona e aggressioni alla sfera psichica del lavoratore, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 1119 ss.; ID. (a cura di), Vessazioni e angherie sul lavoro: tutele, responsabilità e danni nel mobbing, Bologna, 2007; CARINCI, Il bossing fra inadempimento dell'obbligo di sicurezza, divieti di discriminazione e abuso del diritto, in Riv. it. dir. lav., 2007, I, 133 ss.; EAD., Il mobbing: alla ricerca della fattispecie, in Quad. dir. lav. rel. ind., 2006, n. 29, 39 ss.; BONORA, IMBERTI, LUDOVICO, MARINELLI , Il mobbing nella giurisprudenza, in Quad. dir. lav. rel. ind., 2006, n. 29, 109 ss.; MAZZAMUTO , Ancora sul mobbing, in Europa dir. priv., 2006, 1353 ss.; PROIA, Alcune considerazioni sul cosiddetto mobbing, in Arg. dir. lav., 2005, 827 ss.; MAZZAMUTO , Il mobbing, Milano, 2004; TOSI (a cura di), Il mobbing, Torino, 2004; SCOGNAMIGLIO, A proposito del mobbing, in Riv. it. dir. lav., I, 2004, 489 ss.; DEL PUNTA, Il mobbing: l’illecito e il danno, in Lav. dir., 2003, 539; GRAGNOLI, voce Mobbing, in Dig. disc. priv., sez. comm., Agg., Vol. IV, Torino, 2003, 693 ss.; PIZZOFERRATO, Mobbing e danno esistenziale: verso una revisione della struttura dell’illecito civile, in Contr. Imp., 2002, 304 ss.; VISCOMI, Il mobbing: alcune questioni su fattispecie ed effetti, in Lav. dir., 2002, 44 ss.; TULLINI , Mobbing e rapporto di lavoro. Una fattispecie emergente di danno alla persona, in Riv. it. dir. lav., I, 2000, 251 ss.; MONATERI, BONA, OLIVA , Mobbing. Vessazioni sul lavoro, Milano, 2000. (193) BALANDI , Le malattie professionali, cit., 238-239. (194) TAR Lazio, Sez. Roma, 4 luglio 2005, n. 5454, in Lav. giur., 2005, 1119, con nota di SORGI. (195) Cons. Stato, Sez. VI, 17 marzo 2009, n. 1576, in Riv. it. dir. lav., 2009, II, 1032, con nota di LUDOVICO, L’INAIL e il mobbing: per il Consiglio di Stato la parola spetta al legislatore, nonché in Riv. dir. sic. soc., 2009, 729 ss., con nota di

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che la lettura operata dall’INAIL avesse comportato una illegittima estensione della tutela indennitaria nei confronti di patologie oggettivamente incompatibili con la causalità richiesta dall’art. 3 T.U.. Per questi motivi il collegio ha disposto anche l’annullamento del d.m. 27 aprile 2004, nella parte in cui aveva incluso le patologie psichiche da costrittività organizzativa nell’elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi artt. 139 T.U. (196).

In definitiva, secondo il giudice amministrativo, l’interpretazione sostenuta dalla circolare implicava una radicale modifica della nozione di malattia professionale che, in quanto tale, non può non ritenersi riservata alla sfera della discrezionalità legislativa.

L’annullamento della circolare ha suscitato in dottrina reazioni molto diverse, contrapponendosi l’orientamento favorevole ad una lettura evolutiva della nozione di malattia professionale (197) alle opinioni di quanti, avendo contestato la soluzione accolta dalla circolare, hanno giudicato positivamente gli interventi del giudice amministrativo (198).

Nessuno invece dubita della necessità di colmare il grave vuoto di tutela derivante della più rigorosa eziologia richiesta dalla nozione di malattia professionale rispetto a quella di infortunio sul lavoro. Anche quanti hanno contestato l’intervento dell’INAIL non hanno mancato, infatti, di sottolineare che i principali motivi di critica nei confronti della circolare non si riferivano di certo all’obiettivo in sé apprezzabile di estendere i confini della tutela indennitaria, quanto piuttosto al tentativo di operare un’arbitraria selezione degli eventi tutelati.

In poche parole, la circolare ha volutamente ignorato che questa tutela si caratterizza per una configurazione necessariamente unitaria dell’evento protetto che viene definito esclusivamente attraverso il suo rapporto causale con l’attività lavorativa. È quest’ultimo in definitiva che attesta la professionalità dell’evento, condizionandone l’accesso alla tutela, mentre la sua imputabilità al datore di lavoro rileva in via soltanto eventuale sul piano della responsabilità civile.

In palese contraddizione con questa impostazione si è posta invece la soluzione avanzata dall’INAIL, la quale, dopo aver esteso alle malattie professionali la tipica occasionalità degli infortuni, non ha poi dedotto l’applicazione della tutela a tutte le patologie connotate dalla stessa eziologia, ma soltanto alle malattie provocate da alcuni eventi accuratamente selezionati ed imputabili al datore di lavoro (199).

Qualunque tentativo in futuro di ampliare, per via interpretativa o legislativa, la causalità delle malattie non tabellate non potrà dunque prescindere da un’attenta considerazione della rilevanza unitaria del nesso causale, con la conseguenza che, una volta assimilata la loro eziologia alla tipica occasionalità degli infortuni, si dovrà necessariamente ammettere alla tutela qualunque malattia occasionata dall’attività lavorativa, quali, ad esempio, le patologie provocate da un generico disadattamento al lavoro, quelle generate da singoli episodi di demansionamento o da condizioni di

GIUBBONI, L'INAIL e il "mobbing" una critica al Consiglio di Stato, e in Foro It., 2009, III, 433, con nota di GIUBBONI, L'INAIL, il "mobbing" e il Consiglio di Stato. (196) Tenuto conto delle ragioni che hanno portato all’annullamento del d.m. 27 aprile 2004 non sembrano sussistere ragioni per non desumere l’illegittimità delle analoghe previsioni contenute nel successivo d.m. 14 gennaio 2008. (197) GIUBBONI, L’INAIL e il mobbing, in Riv. dir. sic. soc., 2005, 561 ss; ID., Mobbing e tutela previdenziale, in Quad. dir. lav. rel. ind., 2006, n. 29, 172 ss; DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro, cit., 547 ss.; CORSALINI, Il mobbing: tutela giuridica e protezione previdenziale, in Dir. giust., 2004, n. 33, 89 ss; GIUBBONI, Salute mentale del lavoratore e tutela previdenziale delle malattie professionali, in Riv. inf. mal. prof., 2010, I, 611 ss.; CORSALINI, L’INAIL e la tutela previdenziale del danno da mobbing, in Danno resp., 2006, 1153 ss.; GAMBACCIANI , Mobbing e tutela previdenziale contro gli infortuni e le malattie professionali, in Lav. giur., 2003, 323 ss.; GAMBACCIANI , Il lavoro che cambia: l'INAIL e le nuove malattie professionali, in Riv. inf. mal. prof., 2001, I, 405 ss.. (198) In questo senso LUDOVICO, L’INAIL e il mobbing, cit.; ID., Mobbing, stress e malattia professionale: l’assicurazione INAIL dinanzi ai “nuovi” rischi da lavoro, in Riv. dir. sic. soc., 2006, 381 ss.; ID., La tutela indennitaria delle lesioni derivanti da mobbing”, in PEDRAZZOLI (diretto da), Vessazioni e angherie sul lavoro. Tutele, responsabilità e danni nel mobbing, Bologna, 2007, 187 ss. (199) Così LUDOVICO, L’INAIL e il mobbing, cit., 1049-1050; ID., Mobbing, stress e malattia professionale, cit., 410 ss.

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semplice insoddisfazione o quelle insorte in occasione dei quotidiani spostamenti dal luogo di abitazione a quello di lavoro (200).

13. La nozione di silicosi ed asbestosi. – Alcune particolari disposizioni riguardano la silicosi e

l’asbestosi ove contratte ovviamente per ragioni di carattere professionale. Questa disciplina è stata radicalmente modificata dalla legge 27 dicembre 1975, n. 780 che ha provveduto, da un lato, alla sostituzione degli artt. 140, 144, 145 e 146 T.U. e, dall’altro, all’abrogazione degli artt. 142 e 143 T.U..

Tra le novità di maggiore rilievo introdotte dalla novella legislativa deve essere anzitutto annoverato il superamento di ogni definizione legale di silicosi e asbestosi, limitandosi il testo vigente degli artt. 140 e 144 T.U. a disporre semplicemente che tali patologie sono comprese nell’assicurazione obbligatoria di cui all’art. 3 T.U.. Ciò significa che il diritto del lavoratore alla relativa tutela assicurativa non è più condizionato, come in passato, alla sussistenza di una determinata sintomatologia o all’osservanza di criteri valutativi predeterminati, ma unicamente subordinato, al pari di qualunque altra patologia professionale, ad un giudizio diagnostico di carattere medico-clinico (201).

L’altra novità degna di rilievo riguarda la soppressione del riferimento che richiedeva un diretto rapporto di derivazione causale tra la malattia e le lavorazioni tabellate (202), disponendo l’attuale formulazione degli artt. 140 e 144 T.U. che tali malattie sono tutelate purché contratte «nell’esercizio» – e non più «nell’esercizio e a causa» – dei lavori indicati in tabella che risultino tra quelli di cui all’art. 1 T.U.. Ne deriva che, ai fini della tutela indennitaria, può assumere rilievo anche la malattia insorta in conseguenza di un’attività lavorativa svolta in connessione o concomitanza con le lavorazioni morbigene (203).

Resta invece confermata la necessità dell’esposizione del lavoratore allo specifico rischio silicotigeno, in mancanza della quale viene meno anche il diritto alla relativa prestazione (204).

Occorre peraltro rilevare che, secondo la dottrina, l’esplicito rinvio all’art. 3 T.U. comporterebbe una indiretta applicazione dei principi sanciti dalla sentenza della Consulta n. 179 del 1988, dovendo così ammettersi la possibilità per il lavoratore di provare l’origine professionale della silicosi o asbestosi derivante da lavorazioni e agenti patogeni non tabellati (205), trovando invece applicazione la presunzione di origine professionale per le malattie e lavorazioni tabellate (206).

Il legislatore si è preoccupato inoltre di garantire il diritto alle prestazioni assicurative non solo in ipotesi di morte o invalidità direttamente causate da silicosi o asbestosi, ma anche ove tali conseguenze siano derivate da queste patologie «associate» ad altre forme morbose dell’apparato respiratorio e cardiocircolatorio. Il che non significa – come precisato in giurisprudenza – che il

(200) Con riguardo a quest’ultima ipotesi v. da ultimo Cass. 9 ottobre 2013, n. 22974, la quale sul presupposto del diverso nesso causale tra malattie e infortuni e della copertura soltanto per questi ultimi degli eventi occorsi al di fuori di dei luoghi di lavoro, ha escluso l’indennizzabilità della ernia discale provocata dal prolungato tragitto giornaliero di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di abitazione, protrattosi per diciannove anni attraverso l’utilizzo del proprio autoveicolo. (201) Cass. 8 luglio 1987, n. 5967; Cass. 22 aprile 1987, n. 3907; Cass. 9 dicembre 1986, n. 7302; Cass. 7 gennaio 1986, n. 58; Cass. 16 gennaio 1984, n. 355; Cass. 25 novembre 1983, n. 7087; Cass. 13 luglio 1983, n. 4797, in Riv. inf. mal. prof. 1984, II, 29; Cass. 4 luglio 1983, n. 4498; Cass. 6 novembre 1982, n. 5827. (202) Ai sensi degli artt. 140 e 144 T.U. le tabelle contenenti l’indicazione delle lavorazioni morbigene è sottoposta a revisione ogni due anni qualora sussistano altri lavori che espongono al rischio della silicosi e dell’asbestosi. (203) Cass. 29 marzo 1983, n. 2262. (204) Così Cass. 26 novembre 1984, n. 6138; Cass. 12 aprile 1980, n. 2351, in Riv. inf. mal. prof., 1980, II, 186. (205) DE COMPADRI, GUALTIEROTTI, L’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, Milano, 2002, 263; DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro, cit., 523-524. In questo senso in giurisprudenza: Cass. 19 giugno 1999, n. 6175, in Giust. civ. mass. 1999, 1440. (206) Cfr. Cass. 17 novembre 1995, n. 11897; Cass. 9 marzo 1990, n. 1891, in Riv. inf. mal. prof. 1990, II, 126.

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legislatore abbia voluto introdurre una presunzione di causalità in caso di silicosi e asbestosi associate ad altre patologie, essendo comunque necessario accertare in concreto se l’evento sia derivato da silicosi o asbestosi seppur in concorso con altre forme morbose, posto che sul piano medico-legale può parlarsi di “associazione” non in presenza di una semplice coesistenza, ma solo ove sussista una interferenza anatomo-clinica tra la tecnopatia e le altre forme morbose (207).

Al fine di garantire una più completa tutela assicurativa, l’art. 150 T.U. dispone, infine, che al lavoratore che abbia dovuto abbandonare, per ragioni profilattiche, la lavorazione morbigena in quanto affetto da conseguenze dirette della silicosi o asbestosi, sia corrisposta per il periodo successivo una speciale rendita per la durata di un anno, prevedendosi altresì che tale prestazione possa essere nuovamente concessa entro il termine massimo d dieci anni ove la successiva lavorazione, ancorché non compresa tra quelle tabellate, si riveli comunque dannosa per il decorso della malattia (208).

(207) Cass. 28 agosto 2008, n. 21802; Cass. 9 luglio 2008, n. 18820, in Giust. civ. mass. 2008, 1112; Cass. 24 aprile 2004, n. 7880, in Riv. it. med. leg. 2005, 1282; Cass. 2 aprile 2004, n. 6549, in Giust. civ. mass. 2004, 4; Cass. 15 dicembre 2003, n. 19145, in Giust. civ. mass. 2003, 12; Cass. 7 giugno 2001, n. 7718, in Giust. civ. mass. 2001, 1149; Cass. 18 giugno 1998, n. 6107, in Giust. civ. mass. 1998, 1354; Cass. 14 marzo 1995, n. 2939, in Riv. inf. mal. prof. 1995, II, 83; Cass. 6 novembre 1993, n. 10972, in Riv. inf. mal. prof. 1993, II, 151; Cass. 5 dicembre 1988, n. 6596; Cass. 21 febbraio 1987, n. 1887; Cass. 13 dicembre 1986, n. 7491; Cass. 22 aprile 1986, n. 2850; Cass. 19 aprile 1984, n. 2582. (208) Sulla c.d. rendita di passaggio vedi infra Cap. V, par. 10.