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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA Nona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale Incontro di studio sul tema: “Tutela dei Consumatori” Roma, 14 - 16 novembre 2005 La responsabilità da prodotto difettoso. Coordinatore dott. Gianluca Grasso Giudice del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto 1

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CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA

Nona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale

Incontro di studio sul tema: “Tutela dei Consumatori”

Roma, 14 - 16 novembre 2005

La responsabilità da prodotto difettoso.

Coordinatore dott. Gianluca Grasso Giudice del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto

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La responsabilità da prodotto difettoso.

Sommario: 1. Sicurezza e qualità. Forme e strumenti della tutela preventiva e successiva. Il ruolo fondamentale della normativa comunitaria per l’affermazione della cultura della sicurezza. La ricomposizione dell’unità concettuale della sicurezza nell’ambito del Codice del consumo. - 2. La responsabilità da prodotto difettoso. - 3. Il sistema della responsabilità extracontrattuale per danno da prodotto difettoso. - 3.1. La giurisprudenza anteriore al d.P.R. 24 maggio 1988 n. 244. Il sistema delle presunzioni in ordine al carattere difettoso del bene. Il criterio della responsabilità solidale di cui all'art. 2055 c.c. nel caso in cui al processo produttivo del bene abbiano partecipato in fasi diverse più soggetti. La condotta colposa del consumatore quale fattore causale dell’evento. - 3.2. La normativa italiana di attuazione della Direttiva 85/374/CEE. Il d.P.R. 24 maggio 1988 n. 244 in materia di responsabilità del produttore. Il recepimento della disciplina nel Codice del consumo. - 3.2.1. Il carattere speciale e residuale della disciplina. Pluralità delle azioni esperibili a tutela del danno. I casi esclusi. Irretroattività delle disposizioni di cui al d.P.R. 24 maggio 1988 n. 244. - 3.2.2. L’oggetto della tutela: il danno da prodotto difettoso messo in circolazione. Nozione di prodotto. - 3.2.2.1. Il concetto di prodotto difettoso. - 3.2.2.1.1. Il difetto di fabbricazione. - 3.2.2.1.2. L'assenza o carenza di istruzioni - 3.2.3. Legittimazione attiva. La nozione di danneggiato. Le associazioni di tutela dei consumatori. - 3.2.4. Legittimazione passiva. - 3.2.4.1. Il produttore. Il concorso di più soggetti nella realizzazione del bene. - 3.2.4.2. Il fornitore: il carattere sussidiario della sua responsabilità. Profili processuali. - 3.2.5. La ripartizione dell’onere della prova. La natura della responsabilità del produttore. - 3.2.6. La prova liberatoria. - 3.2.7. La colpa del danneggiato: il concorso nella causazione del fatto colposo. L'uso del bene non rientrante fra quelli ragionevolmente prevedibili da parte del produttore. La consapevolezza del difetto del prodotto e del pericolo che ne deriva. - 3.2.8. I danni risarcibili. - 3.2.8.1. Il danno cagionato alla persona. - 3.2.8.1.1. Il danno morale. - 3.2.8.2. Il danno alle cose. - 3.2.9. Nullità delle clausole di esonero dalla responsabilità. I termini per l’esercizio della tutela: prescrizione e decadenza. - 4. Il sistema della responsabilità contrattuale per i vizi del “prodotto difettoso”. La Direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo. Il doppio regime delle garanzie: la disciplina speciale sulla vendita dei beni di consumo e le disposizioni del codice civile. - 4.1. Il regime dei vizi nel codice civile del 1942. Il vizio redibitorio, la mancanza di qualità e l’aliud pro alio. - 4.1.1. La garanzia delle qualità promesse del bene compravenduto nell’ordinamento giuridico italiano: annullamento, risoluzione o garanzia per vizi? - 4.1.2. La responsabilità contrattuale per i danni derivanti dai vizi della cosa ai sensi dell’art. 1494 c.c. - 4.1.3. Le vendite “a catena”: quale tutela nei confronti del produttore? - 4.2. La vendita dei beni di consumo. L'attuazione della Direttiva 1999/44/CE attraverso il d.lgs. n. 24/2002. La ricollocazione delle disposizioni nell’ambito del Codice del Consumo. - 4.2.1. Tipologia dei contratti dei consumatori sottoposti alla disciplina: l’ampliamento oltre l’ipotesi tipica della compravendita. Esclusioni. - 4.2.2. I beni di consumo. - 4.2.3. Il principio di conformità: unità di tutti i vizi e dei relativi rimedi? - 4.2.4. I diritti del consumatore: i rimedi offerti. - 4.2.4.1. Ripartizione dell’onere della prova. - 4.2.4.2. Il risarcimento del danno. - 4.2.5. Le vendite “a catena”. Il diritto di regresso del venditore finale. Può il consumatore agire in via diretta nei confronti del produttore? - 4.2.6. Nullità dei patti che limitano la tutela. Il carattere inderogabile delle disposizioni. - 4.2.7. Il sistema integrato delle tutele. - 5. Conclusioni. 1. Sicurezza e qualità. Forme e strumenti della tutela preventiva e successiva. Il ruolo

fondamentale della normativa comunitaria per l’affermazione della cultura della sicurezza. La ricomposizione dell’unità concettuale della sicurezza nell’ambito del Codice del consumo.

L’affermazione della responsabilità da prodotto difettoso si sviluppa nell’ambito della fase

matura dell’industrializzazione e della produzione su scala. In particolar modo, l’esigenza di tutelare i consumatori dall’acquisto e dall’utilizzo di prodotti non sicuri emerge con l’affermarsi di istanze sociali tese a garantire i soggetti più deboli del ciclo economico. Maturata nell’ambito degli ordinamenti di common law, la responsabilità del produttore si afferma nel nostro ordinamento nella seconda metà del XX secolo1.

1 La letteratura sul punto è vastissima. Tra i diversi contributi: C. CASTRONOVO, Problema e sistema del danno da prodotti, Milano 1979; R. PARDOLESI, La responsabilità per danno da prodotti difettosi, in Le nuove leggi civ. comm., 1989, 487 ss.; A. GORASSINI, Contributo per un sistema della responsabilità del produttore, Milano 1990; G. ALPA, Responsabilità civile e danno, Bologna 1991; G. PONZANELLI, Responsabilità del produttore, in Riv. dir. civ.,

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La giurisprudenza, al riguardo, ha costruito un sistema di tutela aquiliana del soggetto danneggiato, richiamando le disposizioni specifiche in tema di attività pericolosa o la stessa clausola generale di cui all’art. 2043 c.c., dando vita a un sistema di presunzioni che agevolano la prova del danno e della sua riconducibilità all’utilizzo del prodotto difettoso. In tale contesto minor rilievo è stato attribuito alla responsabilità contrattuale, in ragione della possibilità circoscritta di agire soltanto nei confronti delle parti del contratto, ovverosia, di regola, del solo venditore e non del soggetto che ha prodotto il bene. Alcuna tutela contrattuale può inoltre essere riconosciuta al terzo danneggiato.

All’articolata elaborazione giurisprudenziale si è affiancata la specifica disciplina di cui al d.P.R. 24 maggio 1988 n. 244, adottata in recepimento della Direttiva 85/374/CEE2 del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi. La disciplina legislativa in oggetto non sostituisce i rimedi già vigenti sulla base delle disposizioni generali del codice civile ma si affianca ad essi, individuando una disciplina settoriale e di carattere residuale, la cui concreta utilizzazione è rimessa alla scelta dell’attore.

Sempre nel contesto della responsabilità civile si colloca un successivo intervento della Comunità Europea diretto ad introdurre, questa volta sotto il profilo contrattuale, una disciplina armonizzata sui vizi presenti nei beni di consumo e sulle relative garanzie. Il provvedimento in questione è la Direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo. La Direttiva si incentra sul principio di conformità dei beni a quanto stabilito nel contratto e fa discendere dalla mancanza di conformità, nel cui ambito vanno concettualmente ricompresi tutti i vizi del bene, il diritto del consumatore al ripristino, senza spese della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, o ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto. La Direttiva 1999/44/CE è stata recepita in Italia dal decreto legislativo 2 febbraio 2002, n. 24 che ha introdotto nel codice civile gli artt. 1519 bis e ss.

Il tema della sicurezza dei prodotti non si esaurisce, peraltro, nella questione relativa alla responsabilità. La responsabilità, infatti, costituisce un rimedio successivo all’emersione del difetto o al verificarsi dell’evento dannoso. Le stesse istanze sociali che hanno condotto all’affermazione della responsabilità del produttore richiedono che si adottino sistemi per prevenire la commercializzazione di prodotti difettosi e potenzialmente dannosi. Strettamente connessa alla responsabilità è la questione della prevenzione, ovverosia dei sistemi di controllo necessari per ridurre al minimo la possibilità di immettere sul mercato un prodotto privo delle condizioni di garanzia e di sicurezza convenzionalmente accettabili.

1995, II, 215; G. ALPA, Il diritto dei consumatori, Roma-Bari 1995; F. CAFAGGI, La nozione di difetto ed il ruolo dell'informazione. Per l'adozione di un modello dinamico-relazionale di difetto in una prospettiva di riforma, in Riv. critica dir. privato, 1995, II, 447; U. CARNEVALI, La responsabilità del produttore, Milano, 1974; C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Milano 1997; A. STOPPA, Responsabilità del produttore, voce del Digesto disc. priv. (sez. civ.), XVII, Torino 1998, 119 ss.; P.G. MONATERI, La responsabilità civile, in Tratt. dir. civ. diretto da R. Sacco, Torino 1998; U. CARNEVALI, Responsabilità del produttore, voce dell’Enc. dir., Agg., II, Milano, 1998, 936 ss.; G. ALPA-M. BESSONE, La responsabilità del produttore, Milano 1999; A. DE BERARDINIS, La responsabilità del produttore, in G. ALPA (a cura di), I precedenti. La formazione giurisprudenziale del diritto civile, II, Torino 2000, 1193 ss.; L. MEZZASOMA, L'importatore all'interno della C.E. di prodotti difettosi fabbricati in altro Stato comunitario, in Rass. giur. umbra, 2001, I, 207; G. PONZANELLI, Responsabilità del produttore, in Riv. dir. civ., 2000, II, 913; S. DELLA BELLA, Cedimento di scala estensibile e responsabilità del produttore - progettista: la nozione di danneggiato nella disciplina sulla responsabilità del produttore, in Resp. civ. e prev., 2003, I, 1153; G. PONZANELLI, Responsabilità oggettiva del produttore e difetto di informazione, in Danno e resp., 2003, I, 1005.

2 Pubblicata in Gazzetta ufficiale L 210 del 07.08.1995. Il provvedimento è stato modificato dalla Direttiva 1999/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 1999 (Gazzetta ufficiale L 141 del 04.06.1999), in seguito alla crisi della "mucca pazza". La direttiva 1999/34/CE estende il campo d'applicazione della direttiva 85/374/CEE alle materie prime agricole (quali la carne, i cereali, la frutta e le verdure) e ai prodotti della caccia, eliminando ogni possibilità di deroga.

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Sul piano della prevenzione un ruolo fondamentale è stato svolto dalle Comunità Europee che hanno obbligatoriamente introdotto nel nostro ordinamento disposizioni tese a garantire gli standard di sicurezza. Ciò al fine, innanzitutto, di ottenere un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza dei consumatori, come specificato dagli artt. 95 e 153, paragrafo 1 e 3, del Trattato CE. Sotto altro profilo, le norme sulla sicurezza dei prodotti favoriscono un corretto esercizio della concorrenza tra imprese, i cui prodotti devono rispettare le condizioni di sicurezza generale per poter essere venduti lecitamente, considerando altresì che la sicurezza e la qualità dei prodotti costituiscono un valore in sé giuridicamente tutelabile3. In tale ambito, accanto a disposizioni specifiche nei differenti settori merceologici, la Comunità Europea ha adottato dapprima la Direttiva 92/59/CEE4, relativa alla sicurezza generale dei prodotti, e poi, sull’esperienza di questa, la Direttiva 2001/95/CEE5 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 dicembre 2001, sulla sicurezza generale dei prodotti.

La Direttiva 2001/95/CEE è intesa a garantire che i prodotti immessi sul mercato siano sicuri (art. 1, co. 1). A tal fine essa introduce a livello comunitario un obbligo generale di sicurezza per tutti i prodotti immessi sul mercato, o altrimenti forniti o resi disponibili ai consumatori, destinati ai consumatori o suscettibili, in condizioni ragionevolmente prevedibili, di essere utilizzati dai consumatori anche se non loro specificamente destinati. Le disposizioni investono direttamente gli Stati membri chiamati a garantire la sicurezza dei prodotti e a determinare le sanzioni irrogabili in caso di infrazioni. La Direttiva assume rilievo di disciplina residuale e di cornice, applicandosi in assenza di specifiche disposizioni sulla sicurezza dei prodotti e quando vi siano lacune in tale legislazione settoriale. La sua applicazione non pregiudica la Direttiva 85/374/CEE relativa alla responsabilità per danno da prodotti difettosi (art. 17). Nel nostro ordinamento la Direttiva 2001/95/CE relativa alla sicurezza generale dei prodotti è stata attuata con il decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 172.

Alla luce di tali considerazioni si comprende bene che la tutela del consumatore non si esaurisce nel momento contrattuale o nell’ambito dei possibili rimedi nel caso in cui il danno si sia già prodotto, poiché una efficace politica di tutela della salute e della sicurezza richiede, innanzitutto, un adeguato sistema di prevenzione volto ad impedire l’immissione sul mercato e la circolazione di prodotti difettosi. Sotto questa prospettiva il sistema della responsabilità sia civile che penale si pone come strumento residuale e complementare rispetto all’intervento ex ante; ma i due profili possono essere letti congiuntamente. Volendo ricondurre ad unità di sistema il tema della sicurezza sotto la denominazione della qualità globale del prodotto, responsabilità e prevenzione costituiscono due facce del concetto unitario di sicurezza. Questo sotto il profilo teorico.

Sul piano più strettamente normativo, l’unità concettuale della teoria della sicurezza dei beni viene ricomposta a seguito dell’approvazione del Codice del consumo, di cui al Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 2066. Tale atto normativo raccoglie in un unico testo le disposizioni vigenti in

3 Secondo Cassazione civile, sez. III, 5 febbraio 1998, n. 1158 nel caso di impresa commerciale avente ad

oggetto la produzione e vendita di un prodotto, la costante rispondenza del prodotto posto in commercio ai canoni di qualità che la clientela ha diritto di esigere costituisce uno degli elementi primari e costitutivi della personalità dell'impresa, tale da legittimare ogni tutela nei confronti di possibili lesioni prodotte dall'illecito comportamento di terzi. I danni risentiti da un'impresa commerciale a causa dell'illecito comportamento di un fornitore rientrano nel concetto di responsabilità extracontrattuale qualora essi incidano, anche se in modo non distruttivo, sul buon nome dell'impresa commerciale stessa e sul suo avviamento commerciale.

4 Gazzetta ufficiale L 228 dell'11.8.1992, 24. In Italia la Direttiva è stata attuata attraverso il d.lgs.17 marzo 1995 n. 115. Cfr. A. CANTÙ, Il D.lg. 17 marzo 1995 n.115 sulla sicurezza generale di prodotti, in Resp. civ., 1996, 799 ss.; A. CARUSO, D.lg. n.115/1995. I nuovi obblighi di sicurezza a carico del produttore, in Danno e Responsabilità, 1997, 428 ss.

5 Gazzetta ufficiale n. L 011 del 15/01/2002, 4-17. 6 Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della legge 29 luglio

2003, n. 229, pubblicato in GU n. 235 del 8-10-2005-Suppl. Ordinario n.162. Il decreto legislativo attua la delega conferita al Governo con la legge 29 luglio 2003, n. 229, recante interventi urgenti in materia di qualità della regolazione, riassetto normativo e semplificazione - legge di semplificazione per il 2001. I termini della delega sono stati prorogati dall'articolo 2 della legge 27 luglio 2004, n. 186 e dall'articolo 7 della legge 27 dicembre 2004, n. 306;

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materia di tutela del consumatore, dando luogo ad una prima codificazione minimale del diritto dei contratti di matrice comunitaria, sia pur limitando l’intervento al settore dei contratti del consumo. In tal senso, il testo in oggetto non introduce disposizioni riguardanti la disciplina di parte generale del contratto o il cospicuo settore dei contratti professionali, nei cui riguardi si annoverano talune disposizioni comunitarie, come in tema di subfornitura. La codificazione del diritto europeo dei contratti7 è peraltro questione che interessa l’ordinamento comunitario in sé considerato e non soltanto l’ordinamento italiano, poiché la creazione di un nucleo comune di regole o di principi in materia di contratto europeo è di competenza non dei singoli Stati membri ma dell’Unione Europea.

Il Codice del consumo si colloca in un consolidato indirizzo volto ad armonizzare e coordinare in modo sistematico le regole concernenti i rapporti con i consumatori8. Il suo ambito normativo si estende al di là del momento più strettamente contrattuale, ricomprendendo tutte le fasi in cui il consumatore è coinvolto in relazioni giuridiche con i soggetti della catena di produzione e distribuzione di prodotti e servizi9.

Con riferimento all’ambito che qui interessa, sotto la medesima denominazione di “Sicurezza e qualità”, il Codice del consumo disciplina, nella Parte IV, la “Sicurezza dei prodotti” (Titolo I), la “Responsabilità per danno da prodotti difettosi” (Titolo II) e la “Garanzia legale di conformità e le garanzie commerciali per i beni di consumo” (Titolo III). Pertanto, nella comune ottica della sicurezza e della qualità, che costituiscono due elementi indissolubili, trovano in sequenza la medesima collocazione le disposizioni (artt. 102-113 Codice del consumo) già contenute nel decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 172, afferenti alla Direttiva 2001/95/CE relativa alla sicurezza generale dei prodotti10, le previsioni (artt. 114-127 Codice del consumo) del d.P.R. 24 maggio 1988 n. 244, come modificato dal decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 25, concernente la Direttiva 85/374/CEE in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, nonchè le norme

cfr. RELAZIONE MINISTERIALE AL DECRETO LEGISLATIVO. Tra i primi commenti apparsi: E. MARIA TRIPODI, Consumatore e diritto dei consumatori: le linee di evoluzione e il codice del consumo. Brevi premesse al D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, in http://www.altalex.com; F. PORTENTO, Sintesi delle novità introdotte dal Codice del Consumo, in http://www.altalex.com/index.php?idstr=9&idnot=10009.

7 Sulla questione in generale: R. SACCO, I problemi dell’unificazione del diritto in Europa, in Contratti, 1995, 73 ss.; L. VALLE, Progetti per la realizzazione di un diritto comune europeo dei contratti, in Contr. e impr./Europa, 2000, 683 ss.; G. BROGGINI, Conflitto di leggi, armonizzazione e unificazione nel diritto europeo delle obbligazioni e delle imprese, in Riv. dir. int. priv. e proc., 1995, 241 ss.; F. MACARIO, I diritti oltre la legge. Principi e regole nel nuovo diritto dei contratti, in Democrazia e diritto, 1997, 149 ss.; L. SAPORITO, L'esperienza israeliana di diritto civile. Dal modello "misto" al nuovo jus commune europeo, in Riv. dir. civ., 1998, I, 449 ss.; U. MATTEI, Il nuovo diritto europeo dei contratti, tra efficienza ed eguaglianza. Regole dispositive, inderogabili e coercitive, in Riv. crit. dir. priv., 1999, 611 ss.

8 Così la RELAZIONE MINISTERIALE AL DECRETO LEGISLATIVO, 3. il testo non si limita a consolidare la legislazione vigente, ma introduce importanti integrazioni, come in tema di “educazione del consumatore”, e risolvendo antinomie interpretative della precedente normativa, come la questione della natura del vizio che colpisce le clausole abusive, esplicitamente definito come nullità. In luogo della previsione di cui all’articolo 1469-quinquies c.c., sull’inefficacia, che considera inefficaci le clausole vessatorie, l’art. 36 del Codice del consumo, rubricato nullità di protezione, considera tali clausole nulle.

9 Ibidem. 10 Gli articoli dal 102 al 113 costituiscono puntuale riproposizione delle disposizioni del decreto legislativo 21

maggio 2004, n. 172 con le seguenti modificazioni: «a) all’articolo 106, comma 1, è stata estesa anche alle altre amministrazioni competenti per materia, la partecipazione alle procedure di consultazione e di coordinamento tramite l’utilizzo del Sistema pubblico di connettività. Al comma 4, si è ritenuto necessario operare un raccordo con la legge n. 281 del 1998, costituente la legge cardine in materia di tutela dei consumatori, che stabilisce precisi criteri di rappresentatività delle associazioni dei consumatori operanti a livello nazionale. L’espressione usata dall’articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 172 del 2004 rappresentava, invece, la pedissequa riproduzione della formulazione contenuta nell’articolo 5 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 115, antecedente alle richiamata legge n. 281 del 1998; b) l’articolo 107 disciplina la materia dei controlli sulla sicurezza dei prodotti immessi sul mercato, in particolare le attività di cui al comma 8, sono svolte facendo ricorso alle risorse umane e strumentali disponibili, senza ulteriori oneri a carico del bilancio dello Stato. Al comma 6, le parole “bilancio dello Stato” sono state sostituite dalla locuzione “finanza pubblica», cfr. Ivi, 26.

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(artt. 128-135 Codice del consumo) di cui agli artt. 1519-bis a 1519-octies c.c., in tema di vendita di beni di consumo (decreto legislativo 2 febbraio 2002, n. 24 che ha attuato la Direttiva 1999/44/CE).

La presente analisi si focalizzerà sui principali profili di responsabilità civile extracontrattuale e contrattuale scaturente dal fatto di avere immesso sul mercato un prodotto difettoso.

2. La responsabilità da prodotto difettoso. Alla luce della normativa vigente, il prodotto difettoso può dar luogo sia ad una responsabilità

extracontrattuale che ad una responsabilità contrattuale. Le due forme di tutela non si escludono ma si combinano tra di loro nella prospettiva della maggiore e migliore protezione del consumatore. Non esiste infatti in materia alcuna forma di esclusione dei rimedi residui, una volta scelta la strada di perseguire una certa tutela. Espressamente, infatti, le disposizioni vigenti in tema di responsabilità per danno da prodotti difettosi (art. 127 Codice del consumo) e nell’ambito della garanzia legale di conformità dei beni di consumo (art. 135 Codice del consumo) non escludono o limitano i diritti attribuiti al consumatore da altre disposizioni dell’ordinamento.

La modalità concreta di tutela è quindi rimessa alla scelta della parte e alla valutazione del caso concreto. I profili di responsabilità aquiliana e contrattuale possono incrociarsi e ciò in concreto spesso accade allorquando vengano avanzate conclusioni, tra di loro subordinate, tese comunque ad affermare la responsabilità del soggetto convenuto. Sotto questo profilo il sistema che viene delineato dalle norme del settore appare ispirato al principio di effettività della tutela. Non mancano peraltro aspetti problematici, come la possibilità di delineare una responsabilità contrattuale del produttore non venditore.

3. Il sistema della responsabilità extracontrattuale per danno da prodotto difettoso. Il sistema della responsabilità extracontrattuale per danno da prodotto difettoso si compone di

una normativa di matrice comunitaria specificamente dedicata all’argomento, già recepita attraverso il d.P.R. 24 maggio 1988 n. 224 ed ora confluita nel Codice del consumo, e delle norme contenute nel codice civile nell’ambito della disciplina dei fatti illeciti, con particolare riferimento alla clausola generale di cui all’art. 2043 c.c. La disciplina di matrice comunitaria, pertanto, non esclude l’elaborazione giurisprudenziale precedente ma si colloca accanto ad essa, giovandosi dei risultati raggiunti in materia. Sotto altro profilo va evidenziato che la disciplina settoriale riguardante la responsabilità del produttore non ha effetto retroattivo, così che per i fatti di antecedenti all’entrata in vigore del d.P.R. 24 maggio 1988 n. 224 trovano unicamente applicazione le disposizioni di carattere generale contenute nel codice civile.

3.1. La giurisprudenza anteriore al d.P.R. 24 maggio 1988 n. 244. Il sistema delle

presunzioni in ordine al carattere difettoso del bene. Il criterio della responsabilità solidale di cui all'art. 2055 c.c. nel caso in cui al processo produttivo del bene abbiano partecipato in fasi diverse più soggetti. La condotta colposa del consumatore quale fattore causale dell’evento.

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Anche prima della entrata in vigore del d.P.R. 24 maggio 1988 n. 224 il danno dal prodotto difettoso era risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c. o dell'art. 2050 c.c., nell’ipotesi specifica di attività pericolosa11.

L’applicazione dell'art. 2043 c.c. comporta la necessità, da parte del danneggiato, di dimostrare non solo il danno, ma anche il nesso causale che lega il pregiudizio al comportamento quantomeno colposo dell’agente. L’onere della prova avrebbe potuto costituire un effettivo ostacolo alla formazione della responsabilità del produttore. In realtà la giurisprudenza ha cercato di superare tale limite ricorrendo ai criteri presuntivi di cui agli art. 2727 ss. c.c., facendo derivare la prova della colpa dal verificarsi di un certo fatto. Utilizzando il criterio delle presunzioni semplici è infatti possibile partire da un fatto noto per risalire ad uno ignoto. Ad essere vietata è soltanto la praesumptio de praesumpto, non potendosi valorizzare una presunzione come fatto noto, per derivare un'altra presunzione.

Nel cosiddetto caso Saiwa la Cassazione12, esclusa la colpa del rivenditore per danni provocati dal consumo di generi alimentari avariati, lì dove il prodotto sia uscito sigillato dalla fabbrica, è stato ritenuto legittimo ricondurre la causa dell’alterazione dei biscotti al comportamento negligente del fabbricante. Ciò in assenza della prova della colpa del venditore derivante dalla conservazione del bene senza le dovute cautele o dalla messa in commercio in data successiva alla scadenza.

Secondo la Corte di Cassazione13, in tema di prova per presunzioni ciò che rileva è il rispetto dei principi di diritto che le regolano, tra i quali non rientra la necessità che il fatto ignoto appaia come l'unica conseguenza possibile dei fatti noti, essendo al contrario, sufficiente che esso sia da questi desumibile secondo l'id quod plerumque accidit.

Sempre in base all’applicazione dell'art. 2043 c.c., fondato sul principio del neminem laedere, la Cassazione14 ha ritenuto la ditta produttrice e il distributore di una bottiglietta di bevanda gassata

responsabili dei danni riportati a causa dello scoppio. In concorso con la responsabilità extracontrattuale è stata ritenuta configurabile a carico del distributore la responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. per avere fornito merce difettosa. La Corte ha invece escluso a carico del distributore e della ditta produttrice della merce l'ipotesi di responsabilità di cui all'art. 2050 c.c., attesa la non configurabilità di un'attività pericolosa15 in re ipsa, nè quella di cui all'art. 2051 c.c., data la mancanza dell'effettiva disponibilità della res da parte del distributore.

In altra decisione16, pur riguardante l’esplosione di una bottiglia difettosa, la Corte di appello di Roma ha ritenuto responsabile esclusivamente il produttore. A fondamento della decisione la Corte ha posto gli esiti di una consulenza tecnica merceologica, in base alla quale la causa dell'esplosione del tappo di una bottiglia di succo nel processo di fermentazione a sua volta derivata dalla insufficiente pastorizzazione del succo e nella insufficiente chiusura ermetica della bottiglia.

11 M. CONFORTINI, Posizioni della dottrina e della giurisprudenza italiane sul tema della responsabilità civile del

produttore per la messa in commercio di prodotti (difettosi e) dannosi, in Resp. civ. prev., 1977, 544 ss.; A. DE BERARDINIS, La responsabilità del produttore, cit., 1193 ss.; A. PARMIGIANO-A. ALAIMO, La responsabilità per prodotti difettosi, in http://www.diritto.it/articoli/dir_consumatori/palmig_alaimo.html

12 Cassazione civile, 25 Maggio 1965, n. 1270, in Rep. Foro it., 1964, voce Responsabilità civile, n. 92; in Foro it., 1965, I, 2058 ss.

13 Cassazione civile, sez. III, 21 novembre 1995, n. 12023, in Resp. civ. e prev., 1996, 372 con nota di C. MARTORANA, L'orditoio: una macchina che non offre le sicurezze che si possono legittimamente attendere ... le persone di non alta statura. Nel caso di specie, la prova indiziaria posta a sostegno dell'accertamento, da parte del giudice del merito - sia della identificazione del fabbricante in concreto chiamato a rispondere del danno, che del collegamento dell'evento lesivo (scoppio di batteria a motore) al difetto di produzione del bene -, è risultata al vaglio della Cassazione conforme agli enunciati principi di diritto in ordine a tale tipo di prova.

14 Cassazione civile, sez. III, 27 febbraio 1980, n. 1376, in Arch. civ., 1980, 452; in Giur. it., 1980, I, 1, 1459. 15 Analogamente la Corte appello Roma, 30 luglio 1992, in Resp. civ. e prev. 1996, 672 ha ritenuto che la

commercializzazione di succhi di frutta o di prodotti similari non è qualificabile come "attività pericolosa" a norma dell'art. 2050 c.c. che consente l'esonero da responsabilità da parte dei distributori (importatore e dettagliante) solamente provando di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.

16 Corte appello Roma, 30 luglio 1992, in Resp. civ. e prev., 1996, 672 nota di A. DE BERARDINIS, La responsabilità extracontrattuale per danno da prodotti difettosi.

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Secondo l’apprezzamento dei giudici tale accertamento esclude di per sè ogni responsabilità di chi, successivamente alla preparazione e confezione del succo, in difetto della prova di non averlo convenientemente custodito ed esposto al pubblico, lo abbia semplicemente importato, acquistato e rivenduto. Sotto altro profilo la Corte ha ritenuto non configurabile in capo ai distributori del prodotto l'obbligo di un penetrante controllo circa la reale idoneità del procedimento produttivo, seguito dalla impresa produttrice, quando la stessa goda di un suo consolidato prestigio. In ordine al profilo della mancanza della chiusura sigillata (imputabile al produttore, ma rilevabile dall'importatore e dal dettagliante), infine, i giudici hanno evidenziato che deve essere provata la concreta incidenza causale di tale elemento nella verificazione dell'evento dannoso (lesioni a seguito dello scoppio del tappo) perché possa essere eventualmente affermata la responsabilità in solido dei distributori stessi con il produttore.

Particolarmente importante in tema di fabbricazione di un prodotto difettoso da parte di più soggetti è la sentenza della Cassazione del 9 giugno 1986, n. 381617. Utilizzando il criterio della responsabilità solidale di cui all'art. 2055 c.c., nel caso in cui al processo produttivo di un determinato bene avevano partecipato in fasi diverse più soggetti, la Corte di Cassazione ha affermato la responsabilità solidale di tutti i soggetti che avevano senza diligenza contribuito alla fabbricazione di un prodotto difettoso. La Corte, in particolare, non ha ritenuto esente da responsabilità l'acquirente di un pezzo difettoso che proceda all'assemblaggio del bene per i danni derivati dall'uso del prodotto finale per il solo fatto che il difetto è imputabile ad altri e cioè dal fornitore del pezzo. Secondo la Cassazione, colui che procede ad assemblare il bene ha il dovere di sottoporre il pezzo acquistato a diligente controllo e restando, quindi, la sua responsabilità esclusa soltanto nell'ipotesi in cui il pezzo stesso sia stato destinato, dopo l'assemblaggio, dal produttore finale ad un impiego atipico e da lui non prevedibile.

Il comportamento dell’utilizzatore del bene che ha concorso a determinare l’evento è stato ritenuto fattore idoneo ad escludere la responsabilità del produttore.

In tal senso il Tribunale di Roma18 ha ritenuto che nell'ipotesi dell'incendio del mobilio di un appartamento, determinato dallo scoppio di un televisore, il produttore non è responsabile ove risulti che il televisore era stato mantenuto dall'utente in stato di preaccensione. In altra pronuncia del Tribunale di Roma19, il giudice ha ritenuto non sufficiente per dichiarare la responsabilità del produttore di termometri il solo fatto dell'evento dannoso conseguito alla rottura del termometro, quando non sia stato provato il nesso causale tra un eventuale vizio del prodotto e il danno verificatosi. La mancanza di doverose cautele da parte dell'utente vale ad escludere in radice la responsabilità del produttore.

17 Cassazione civile, sez. III, 13 marzo 1980, n. 1696, in Giust. civ., 1980, I, 1914. Conforme Cassazione civile, sez. II, 9 giugno 1986, n. 3816, in Giur. it., 1987, I, 1, 1252. Secondo la Suprema Corte il fabbricante-venditore di una cosa è responsabile non solo ex empto verso il compratore per i vizi in essa riconosciuti, ma altresì a titolo di illecito, del danno sofferto da terzi in dipendenza di tali vizi, che rendono la cosa pericolosa, anche se tale danno si è verificato quando la cosa stessa sia passata nella sfera di disponibilità di altri e sia stata da costoro utilizzata. Tale responsabilità extracontrattuale del fabbricante - che, svincolata dal termine di prescrizione stabilito dall'art. 1495 c.c., è soggetta al termine prescrizionale previsto dall'art. 2497 c.c. - è configurabile anche nel caso in cui il terzo danneggiato sia un imprenditore che si avvale del prodotto come strumento della sua attività e può ricadere anche a carico di una pluralità di soggetti, ove questi - pur se in fasi diverse (nella specie, chi fondendo la materia prima, chi elaborandola, chi inserendola in una complessa apparecchiatura, chi, infine, sottoponendo quest'ultima ad un ulteriore processo di assemblaggio) - abbiano contribuito alla fabbricazione del prodotto difettoso. Dalla natura extracontrattuale di tale responsabilità e dalla diversità dell'oggetto dei successivi atti traslativi, ne consegue che la responsabilità dei fabbricati, la quale grava su ciascuno di essi con il vincolo di solidarietà ai sensi dell'art. 2055 c.c., va ripartita, nei rapporti interni, in base alla gravità delle rispettive colpe, restando irrilevante - come nel rapporto esterno verso il danneggiato - la circostanza che i corresponsabili del fatto illecito siano stati, a due a due, legati da un rapporto contrattuale di compravendita, ed estraneo, conseguentemente, il problema della garanzia per i vizi della cosa venduta in tema di vendite a catena.

18 Tribunale Roma, 17 settembre 1987, in Nuova giur. civ. commentata, 1988, I, 494. 19 Cassazione civile, sez. III, 27 luglio 1991, n. 8395, in Giur. it., 1992, I, 1, 1332; in Nuova giur. civ.

commentata, 1992, I, 569; Cassazione civile, sez. III, 15 luglio 1987, n. 6241; Tribunale Milano, 19 novembre 1987, in Foro it. 1988, I, 144; in Resp. civ. e prev., 1988, 407; Tribunale Roma, 27 aprile 1988, in Resp. civ. e prev., 1989, 684.

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Accanto al criterio generale di responsabilità aquiliana di cui all'art. 2043 c.c., la giurisprudenza, in presenza di attività ritenute pericolose, ha fatto uso del criterio della colpa presunta di cui all'art. 2050 c.c. per affermare la responsabilità del produttore. Ciò è avvenuto sopratutto in materia di produzione e commercializzazione di farmaci, con particolare riguardo agli emoderivati20.

Secondo quanto chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione21, ai fini della responsabilità sancita dall'art. 2050 c.c., debbono esser ritenute pericolose, oltre alle attività prese in considerazione e per la prevenzione infortuni o la tutela dell'incolumità pubblica, anche tutte quelle altre che, pur non essendo specificate o disciplinate, abbiano tuttavia una pericolosità intrinseca o comunque dipendente dalle modalità di esercizio o dai mezzi di lavoro impiegati. Pertanto la produzione e l'immissione in commercio di farmaci, contenenti gammaglobuline umane e destinati all'inoculazione nell'organismo umano, costituisce attività dotata di potenziale nocività intrinseca, stante il rischio di contagio del virus della epatite di tipo B, non espressamente previsto dalla normativa riguardante gli emoderivati, ma tuttavia compreso nell'ampia prevenzione stabilita da dette disposizioni. Ne consegue che il produttore, come l'importatore, del farmaco, e prima ancora il produttore delle dette gammaglobuline, per liberarsi della presunzione di responsabilità contemplata dall'art. 2050 c.c. devono fornire la prova, particolarmente rigorosa, dell'adozione di tutte le misure idonee ad evitare il danno con la verifica dell'innocuità del prodotto mercè quei metodi, anche sperimentali, di analisi e controllo che la scienza medica fornisce, indipendentemente dal loro costo o perfezionabilità, non bastando la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza, ma occorrendo quella positiva, di aver impiegato ogni cura e misura atta ad impedire l'evento dannoso. Nello specifico la Corte ha escluso che il produttore di farmaci emoderivati difettosi potesse liberarsi della responsabilità con la prova di aver osservato le norme giuridiche e di aver utilizzato i ritrovati tecnici che, essendo entrati nell'uso comune, potevano considerarsi prescritti da una norma tecnica per prevenire il realizzarsi del danno22.

Al di fuori dell'art. 2050 c.c., la Corte appello Trieste, 16 giugno 198723 ha affermato la responsabilità aquiliana dei soggetti coinvolti nell’attività di produzione, importazione e distribuzione di emoderivati. La Corte ha infatti ritenuto che il produttore venditore di un medicinale, che utilizzi, nella composizione di quest'ultimo, un componente acquistato da terzi e da altri prodotto, è tenuto a sottoporre ad un diligente controllo il componente per accertare che non sia difettoso e quindi inidoneo a provocare danno a colui al quale venga somministrato il medicinale stesso. Secondo la Corte tale obbligo deriva dal dovere di diligenza imposto dall'art. 2043 c.c. Il grado di diligenza richiesto al produttore di farmaci, in considerazione della natura dell'attività farmaceutica, di estrema delicatezza per il rischio che la somministrazione di farmaci comporta per la salute del paziente, è massimo, per cui il semplice dubbio o anche una non perfetta compiutezza degli studi scientifici, inidonea quindi a portare a risultati di assoluta certezza, deve indurre il produttore a non porre in commercio il farmaco. Nella fattispecie l'elemento di colpa dell'importatore è stato rinvenuto nella omissione del controllo della gammoglobuline, in violazione delle norme in materia di importazione e produzione di emoderivati, quello del fornitore americano nella insufficienza dei controlli effettuati e documentati o, quanto meno, nella non perfezione tecnica del metodo usato per la produzione dell'emoderivato. La Corte appello Trieste ha ritenuto che la responsabilità ricade anche su tutti i soggetti che, sia pure in fase diversa, abbiano contribuito

20 Tribunale Roma, 27 giugno 1987, in Nuova giur. civ. commentata, 1988, I, 475. 21 Cassazione civile, sez. III, 20 luglio 1993, n. 8069 Giust. civ. 1994, I, 1037 con nota di A. BARENGHI, Brevi

note in tema di responsabilità per danni da emoderivati difettosi tra "obiter dicta" e regole giurisprudenziali; in Resp. civ. e prev. 1994, 61 nota di A. BUSATO, I danni da emoderivati: le diverse forme di tutela; in Foro it., 1994, I, 455.

22 Corte appello Roma, 17 ottobre 1990, in Giur. it., 1991, I, 2, 816 ha invece ritenuto sussistente la prova liberatoria "di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno" da parte dei produttori di un medicinale e di materie prime impiegate nella sua preparazione, i quali abbiano dimostrato non solo di avere osservato le prescrizioni imposte dalla legislazione sanitaria, ma anche di aver eseguito le indagini suggerite dalle conoscenze tecniche e scientifiche all'epoca della lavorazione del prodotto.

23 Corte appello Trieste, 16 giugno 1987, in Resp. civ. e prev., 1989, 334.

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alla fabbricazione del prodotto difettoso e va ripartita, nei rapporti interni in base alla gravità delle rispettive colpe o, nel dubbio, in parti uguali ai sensi dell'art. 2055 c.c.

3.2. La normativa italiana di attuazione della Direttiva 85/374/CEE. Il d.P.R. 24 maggio

1988 n. 244 in materia di responsabilità del produttore. Il recepimento della disciplina nel Codice del consumo.

Il d.P.R. 24 maggio 1988 n. 244 ha attuato nel nostro ordinamento la Direttiva 85/374/CEE

sulla responsabilità del produttore. Il d.P.R. n. 244/1988 è stato in seguito modificato dal decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 25, che ha recepito le innovazioni alla disciplina comunitaria contenute nella Direttiva 1999/34/CE, estendendo il campo d'applicazione della Direttiva 85/374/CEE alle materie prime agricole (quali la carne, i cereali, la frutta e le verdure) e ai prodotti della caccia, eliminando ogni possibilità di deroga al riguardo.

Le previsioni contenute nel d.P.R. 24 maggio 1988 n. 244 sono state trasposte nel Titolo II “Responsabilità per danno da prodotti difettosi”, artt. 114-127 Codice del consumo.

3.2.1. Il carattere speciale e residuale della disciplina. Pluralità delle azioni esperibili a

tutela del danno. I casi esclusi. Irretroattività delle disposizioni di cui al d.P.R. 24 maggio 1988 n. 244.

La normativa sulla responsabilità del produttore costituisce una disciplina di carattere speciale

che non regolamenta in maniera esclusiva la fattispecie. Ai sensi dell’art. 127 Codice del consumo (Responsabilità secondo altre disposizioni di legge) le disposizioni contenute nel titolo non escludono nè limitano i diritti attribuiti al danneggiato da altre leggi.

Il d.P.R. n. 224/1988, in materia di danno da prodotti difettosi, come evidenziato dal Tribunale di Milano24, prevede una forma di tutela del danneggiato residuale rispetto a quella apprestata dagli art. 2043-2049 c.c., configurando una responsabilità extracontrattuale del produttore fondata non sulla colpa, ma sulla riconducibilità causale del danno preso in considerazione alla presenza di un difetto del prodotto.

È dunque possibile il concorso della responsabilità contrattuale ex art. 1494 c.c. ed extracontrattuale, sia ex art. 2043 c.c. che sulla base della disciplina speciale sul prodotto difettoso, già contenuta nel d.P.R. n. 224/1988. In tal senso, ad esempio, si è espresso il Tribunale di Firenze25, allorché ha riconosciuto la responsabilità contrattuale del venditore del bene difettoso e a carico del produttore e dello stesso venditore sia la responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. e ex art. 9 d.P.R. n. 224/1988, per difetto di informazioni e di avvertenze al momento della vendita e per non aver adottato gli accorgimenti tecnici, pure esistenti e in loro possesso.

La disciplina speciale, inoltre, non contempla ogni ipotesi di danno. Ai sensi dell’art. 123 Codice del consumo è risarcibile in base alle disposizioni del Titolo il danno cagionato dalla morte o da lesioni personali e la distruzione o il deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso.

24 Tribunale Milano, 31 gennaio 2003, in Resp. civ. e prev., 2003, 1151 con nota di S. DELLA BELLA, Cedimento

di scala estensibile e responsabilità del produttore - progettista: la nozione di danneggiato nella disciplina sulla responsabilità del produttore; Nuovo dir. 2003, 829 con nota di V. SANTARSIERE, Lesioni personali da cedimento di scala in alluminio difettosa - Responsabilità del produttore; in Giur. merito, 2003, 1416 (s.m.); in Danno e resp., 2003, 634 con nota di A. BITETTO, Oltre la siepe: la scala del giardiniere e la responsabilità da prodotto difettoso; in Foro it., 2003, I, 1260.

25 Tribunale Firenze, 5 aprile 2000, in Arch. civ., 2001, 208 ss.

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Per ottenere il riconoscimento degli altri danni, e del danno morale in particolare, il consumatore deve necessariamente azionare i rimedi generali a lui riconosciuti dall’ordinamento.

Come chiarito dalla Corte di Giustizia26 il giudice nazionale in forza della Direttiva 85/374/CEE deve esaminare in quale categoria debbano essere ricompresi i fatti di causa, ossia se si tratti di un danno che rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 9, comma 1, lett. a) o dell'art. 9, comma 1, lett. b), di detta Direttiva, oppure di un danno morale eventualmente riconducibile all'ambito normativo nazionale, mentre non è possibile negare qualsiasi risarcimento ai sensi della detta Direttiva in base al fatto che, essendo soddisfatti gli altri presupposti per la responsabilità, il danno subito non sarebbe tale da rientrare in una delle categorie menzionate.

Le disposizioni sulla responsabilità del produttore, per espressa scelta legislativa, non si applicano ai danni cagionati dagli incidenti nucleari previsti dalla legge 31 dicembre 1962, n. 1860, e successive modificazioni.

La disciplina speciale, infine, non si applica ai prodotti messi in circolazione prima del 30 luglio 1988, ovverosia ai fatti verificatisi prima della entrata in vigore del d.P.R. 24 maggio 1988 n. 244. La normativa dettata dal d.P.R. 24 maggio 1988 n. 244, in materia di responsabilità del produttore per prodotti difettosi è pertanto priva di efficacia retroattiva27.

3.2.2. L’oggetto della tutela: il danno da prodotto difettoso messo in circolazione.

Nozione di prodotto. Oggetto della tutela è il danno da prodotto difettoso. In tal senso il produttore è responsabile

del danno cagionato da difetti del suo prodotto (art. 114 Codice del consumo). Non sono ricompresi nella disciplina i danni cagionati dal prestatore di servizi.

Nell’ambito della disciplina (art. 115 Codice del consumo) il prodotto è ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile. Si considera prodotto anche l'elettricità. La nuova formulazione della norma ricomprende implicitamente anche i prodotti agricoli, dell’allevamento, della pesca della caccia che non abbiano subito trasformazioni. Il decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 25 ha infatti abrogato le originarie limitazioni con riguardo a tali ipotesi.

Discusso è se il software possa essere ricondotto alla categoria del bene o se invece debba essere considerato un servizio28. In realtà, secondo la migliore dottrina29, è necessario distinguere tra il software fatto su misura, ovverosia appositamente creato, dal software prodotto in serie e incorporato in un supporto fisico, che viene venduto come qualsiasi bene mobile. Alla nozione ampia di bene mobile formulata dalla Direttiva risulta riconducibile il software prodotto in serie (software standard), mentre il programma creato su committenza rientra, più correttamente, nel campo della prestazione di servizio.

L’affermazione della responsabilità del produttore richiede inoltre la messa in circolazione del prodotto (art. 119 Codice del consumo). Ciò avviene quando il bene sia consegnato all'acquirente, all'utilizzatore, o a un ausiliario di questi, anche in visione o in prova. La messa in circolazione avviene anche mediante la consegna al vettore o allo spedizioniere per l'invio all'acquirente o all'utilizzatore. La responsabilità non è esclusa se la messa in circolazione dipende da vendita

26 Corte giustizia CE, 10 maggio 2001, n. 203, in Ragiusan, 2001, 216. 27 Cassazione civile, sez. I, 10 settembre 2002, n. 13158, in Giust. civ. Mass., 2002, 1654; in D&G, 2002, f. 36,

73 (s.m.). 28 G. DI ROSA, Linee di tendenza e prospettive in tema di responsabilità del prestatore di servizi, in Europa e dir.

priv., 1999, I, 719 ss. F. FEDRIZZI, I prodotti difettosi, in P. Cendon (a cura di), I danni risarcibili nella responsabilità civile. I singoli danni, VII, Torino 2005, 287 s.

29 G. PONZANELLI, Responsabilità per danno da computer: alcune considerazioni comparative, in Resp. civ. e prev., 1991, 653; A. ZACCARIA, La responsabilità del «produttore» di software, in Contr. e impr., 1993, 303 s.; P.G. MONATERI, La responsabilità civile, cit., 709 s.

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forzata, salvo che il debitore abbia segnalato specificamente il difetto con dichiarazione resa all'ufficiale giudiziario all'atto del pignoramento o con atto notificato al creditore procedente e depositato presso la cancelleria del giudice dell'esecuzione entro quindici giorni dal pignoramento stesso.

3.2.2.1. Il concetto di prodotto difettoso. La normativa provvede, inoltre, a fornire dei criteri in base ai quali il prodotto risulta

difettoso. Ai sensi dell’art. 117 Codice del consumo un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze. La valutazione, da compiersi caso per caso, andrà effettuata tenendo conto di alcuni parametri indicati dalla stessa disposizione, tra cui il modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite; l'uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere; il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione. In ausilio dell’interprete il legislatore, inoltre, precisa che il prodotto non può essere considerato difettoso per il solo fatto che un prodotto più perfezionato sia stato in qualunque tempo messo in commercio e che il prodotto è difettoso se non offre la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie.

Il difetto, dunque, è strettamente connesso al concetto di sicurezza. Così come concepito dalla normativa, il difetto implica un’insidia, un pericolo per il soggetto che ne fa un uso e per i terzi che si trovano in contatto con esso. In tale prospettiva il difetto non coincide con la nozione di vizio conosciuta dal nostro ordinamento, poiché il vizio, che si identifica in un’imperfezione del bene, può anche non comportare un’insicurezza del prodotto30. Può pertanto ritenersi che il vizio comprende al suo interno la nozione di difetto ma presenta un rilievo più ampio.

Sul piano interpretativo può costituire un parametro integrativo di riferimento, al fine di valutare la sussistenza del difetto, la nozione di prodotto sicuro contenuta nella disciplina sulla sicurezza generale dei prodotti, già contenuta nel d.lgs. n. 172/2004 e ora riprodotta nell’art. 103 Codice del consumo. In base a tale disposizione è sicuro il prodotto che, in condizioni di uso normali o ragionevolmente prevedibili, compresa la durata e, se del caso, la messa in servizio, l'installazione e la manutenzione, non presenti alcun rischio oppure presenti unicamente rischi minimi, compatibili con l'impiego del prodotto e considerati accettabili nell'osservanza di un livello elevato di tutela della salute e della sicurezza delle persone in funzione. in particolare, dei seguenti elementi: 1) delle caratteristiche del prodotto, in particolare la sua composizione, il suo imballaggio, le modalità del suo assemblaggio e, se del caso, della sua installazione e manutenzione; 2) dell'effetto del prodotto su altri prodotti, qualora sia ragionevolmente prevedibile l'utilizzazione del primo con i secondi; 3) della presentazione del prodotto, della sua etichettatura, delle eventuali avvertenze e istruzioni per il suo uso e la sua eliminazione, nonchè di qualsiasi altra indicazione o informazione relativa al prodotto; 4) delle categorie di consumatori che si trovano in condizione di rischio nell'utilizzazione del prodotto, in particolare dei minori e degli anziani;

La sicurezza, dunque, va apprezzata in relazione agli elementi che concorrono a far ritenere sicuro il prodotto31. La nozione di difetto32, dunque, si basa sul concetto di sicurezza, che è elemento diverso dal vizio contenuto della disciplina della vendita (art. 1490 c.c.) e non coincide con il difetto di conformità introdotto dalla disciplina sulla vendita dei beni di consumo.

30 Sulla distinzione cfr. A. MASTRORILLI, La garanzia per vizi nella vendita. Disciplina codicistica e nuova

normativa europea, Milano 2004, 57 s. 31 In tal senso si parla di concetto relazionale, P.G. MONATERI, La responsabilità civile, cit., 718; F. FEDRIZZI, I

prodotti difettosi, cit., 288. 32 Cfr. F. FEDRIZZI, I prodotti difettosi, cit., 288 s.

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Sul piano casistico le ipotesi di prodotto difettoso sono state prevalentemente ricondotte al difetto di fabbricazione o all'assenza o carenza di istruzioni.

3.2.2.1.1. Il difetto di fabbricazione. Il produttore è responsabile per i danni causati da un difetto di fabbricazione del prodotto.

Come evidenziato dal Tribunale di Monza33 per valutare il difetto, è necessario far riferimento allo standard di sicurezza che ci si può attendere dal bene, tenuto conto dell'uso cui è destinato e dei comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere.

Tra le varie e diverse ipotesi, il difetto di fabbricazione è stato riscontrato nel cedimento della struttura refrigerante di una cella frigorifera di un automezzo34, con la responsabilità del produttore per i danni cagionati da un grave difetto di fabbricazione, nella rottura del sistema sterzante per erroneo fissaggio del manubrio di un motociclo35, nella rottura della forcella anteriore e conseguente distacco della ruota36, nel mancato funzionamento del sistema frenante dell’autovettura37, nello scoppio di una bottiglia d'acqua minerale nella mano di un consumatore che l'aveva presa da un bancone self - service38, nell'esplosione del tappo di una bottiglia di succo verificatosi in conseguenza di procedimenti fermentativi riconducibili ad un'omessa o insufficiente pastorizzazione del prodotto39, nella rottura di una scala in alluminio40 e nel cedimento di un letto a castello41.

3.2.2.1.2. L'assenza o carenza di istruzioni L'assenza o carenza di istruzioni relative all'utilizzo di un prodotto costituisce un'ipotesi di

mancato rispetto delle condizioni di sicurezza, come richiesto dall'art. 5 d.P.R. n. 224 del 1988, ora art. 117 Codice del consumo. In questi casi ne consegue la responsabilità del produttore per difetto

33 Tribunale Monza, 20 luglio 1993, in Giur. it., 1995, I, 2, 323 con nota di B. GARDELLA TEDESCHI, La

responsabilità del produttore e il d.P.R. 24 maggio 1988 n. 224. 34 Tribunale Forlì, 25 novembre 2003, in Foro it., 2004, I, 1631. 35 Tribunale Roma, 14 novembre 2003, in Foro it.,2004, I, 1632. 36 Tribunale Monza, 20 luglio 1993, cit. Nella specie, l'attore era caduto in terra, riportando lesioni - dalle quali

era derivata anche una permanente invalidità -, mentre percorreva un sentiero collinare con una mountain bike acquistata due mesi prima, a causa della rottura della forcella anteriore e conseguente distacco della ruota. Il produttore è stato ritenuto responsabile per i danni causati da un difetto di fabbricazione del prodotto, tenuto conto dell'uso al quale il prodotto è destinato e dei comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere.

37 Tribunale Roma, 4 dicembre 2003, in Arch. giur. circol. e sinistri, 2004, 642. Il Tribunale ha ritenuto che qualora, in normali condizioni stradali e di velocità, nell'azionare il freno dell'autovettura in circolazione, questa inizi a sbandare "in testa - coda" contro i "guard rails", la causa può ascriversi al difettoso funzionamento del sistema frenante, se concorra la circostanza che la società fornitrice abbia effettuato campagna di richiamo a sottoporre ad ispezione il veicolo per la eventuale sostituzione dei tubi freno.

38 Tribunale Roma, 17 marzo 1998, in Disciplina commercio, 1999, 198; in Foro it., 1998, I, 3660 con nota di A. PALMIERI, Dalla "mountain bike" alla bottiglia d'acqua minerale: un nuovo capitolo per un'opera incompiuta.

39 Cassazione civile, sez. III, 20 aprile 1995, n. 4473, in Resp. civ. e prev. 1996, 672 con nota di (DE BERARDINIS).

40 Tribunale Milano, 31 gennaio 2003, in Resp. civ. e prev. 2003, 1151. 41 Tribunale Milano, 13 aprile 1995, in Danno e resp., 1996, 381 con nota di G. PONZANELLI, Crollo di un letto a

castello: responsabilità del produttore - progettista e del montatore. L'insicurezza del prodotto è stata fermata in base all'uso al quale era destinato, perché non offriva le necessarie condizioni di sicurezza, sia in relazione alla tecnica di costruzione, sia in relazione alle istruzioni ed alle avvertenze fornite.

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di informazione. Nella fattispecie decisa dal Tribunale di Vercelli42 il produttore di una caffettiera è stato condannato al risarcimento dei danni, derivati dall'esplosione di quest'ultima, per aver allegato informazioni insufficienti proprio sotto i profili che ne hanno causato lo scoppio.

3.2.3. Legittimazione attiva. La nozione di danneggiato. Le associazioni di tutela dei

consumatori. Legittimati ad agire sulla base delle specifiche disposizioni dettate in tema di prodotto

difettoso non sono soltanto gli acquirenti del bene, avendo tale responsabilità natura extracontrattuale, ma tutti gli utilizzatori dello stesso e anche i soggetti che in qualche modo si sono trovati esposti, anche in occasionale, al rischio derivante dal prodotto43.

In tal senso, una parte della giurisprudenza44 ha esteso la responsabilità anche al di là della categoria del consumatore, sul presupposto che la disciplina di cui al d.P.R. n. 224 del 1988, in materia di danno da prodotti difettosi, prevede una forma di tutela del danneggiato, inteso in senso ampio e, quindi, non limitato alla categoria dell'utilizzatore o consumatore "non professionale". La collocazione della disciplina all’interno del Codice del consumo potrebbe peraltro far propendere per una nozione di danneggiato ristretta alla persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta. Contro questa opzione, e a favore di un’interpretazione la più lata possibile, deve rilevarsi come la disciplina per danno da prodotti difettosi non fa specifico riferimento alla figura del consumatore, richiamando, più genericamente, la figura del danneggiato.

La giurisprudenza45 ha inoltre ritenuto ammissibile, ai sensi dell'art. 3 l. 30 luglio 1998 n. 281, (ora art. 140 Codice del consumo) l'intervento delle associazioni di tutela dei consumatori nei processi relativi alla responsabilità per danni cagionati da un prodotto difettoso disciplinata dal d.P.R. 24 maggio 1988 n. 224. Tali associazioni, inserite nell’elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale istituito presso il Ministero delle attività produttive, sono infatti legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti richiedendo al Tribunale di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti, di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate, di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate.

3.2.4. Legittimazione passiva. Chiamato a rispondere per il danno cagionato da prodotto difettoso è innanzitutto il

produttore. Alla responsabilità di quest’ultimo si affianca, in via sussidiaria, la posizione del fornitore che abbia distribuito il bene.

3.2.4.1. Il produttore. Il concorso di più soggetti nella realizzazione del bene.

42 Tribunale Vercelli, 7 aprile 2003, in Danno e resp., 2003, 1001 con nota di G. PONZANELLI, Responsabilità

oggettiva del produttore e difetto di informazione; in Giur. it., 2004, 546. 43 U. CARNEVALI, Responsabilità del produttore, cit. 942; F. FEDRIZZI, I prodotti difettosi, cit., 286. 44 Tribunale Milano, 31 gennaio 2003, cit. 45 Tribunale Roma, 26 ottobre 2003, in Studium juris, 2004, 1294.

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Ai sensi dell’art. 114 Codice del consumo il produttore è responsabile del danno cagionato da

difetti del suo prodotto. La normativa trasposta nel Codice non riporta peraltro la definizione di produttore, così come espressamente stabilito dall’art. 3 d.P.R. n. 224/198846. A tal fine potrebbe ipotizzarsi il richiamo alle altre nozioni di produttore presenti nel Codice del consumo (artt. 3, comma 1, lett. d); 103, comma 1, lett. d)). Contro un’applicazione diretta di tali disposizioni va considerato che l’art. 103, comma 1, lett. d) ha rilievo esclusivamente nell’ambito del titolo in cui è stato inserito mentre l’art. 3, comma 1, lett. d)47, nel definire in via generale il produttore ai fini del codice, fa espressamente salvo quanto stabilito nell'art. 115, comma 1, che definisce prodotto «ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile». Il produttore, in tal senso, al fine dell’applicazione della disciplina speciale in tema di responsabilità, è colui che ha prodotto un bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile, compresa l’energia.

A chiarire il concetto di produttore soccorrono le disposizioni presenti nella Direttiva 85/374/CEE, così come modificata dalla Direttiva 1999/34/CE. Ai sensi dell’art. 3, comma primo, della Direttiva 85/374/CEE il termine « produttore » designa il fabbricante di un prodotto finito, il produttore di una materia prima o il fabbricante di una parte componente, nonché ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchi marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso. Alla luce delle correzioni intervenute con la Direttiva 1999/34/CE, eliminando le originarie limitazioni nei confronti dei prodotti agricoli, deve ritenersi produttore anche l'agricoltore, l'allevatore, il pescatore e il cacciatore.

In caso di concorso di più soggetti nella realizzazione del bene deve ritenersi sussistente la responsabilità solidale di tutti coloro che hanno concorso alla realizzazione del bene difettoso. Ai sensi dell’art. 121 Codice del consumo, infatti, se più persone sono responsabili del medesimo danno, tutte sono obbligate in solido al risarcimento. Profilo ulteriore attiene ai rapporti interni fra i responsabili. A tal fine il secondo comma dell’art.121 Codice del consumo prevede, secondo le regole ordinarie della solidarietà passiva, che colui che ha risarcito il danno ha regresso contro gli altri nella misura determinata dalle dimensioni del rischio riferibile a ciascuno, dalla gravità delle eventuali colpe e dalla entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio la ripartizione avviene in parti uguali. Il Tribunale Milano48 ha in tal senso affermato la responsabilità in solido del produttore - progettista e della società venditrice che ha provveduto al montaggio, sulla quale

46 «1. Produttore è il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente, il produttore della materia prima,

nonché, per i prodotti agricoli del suolo e per quelli dell'allevamento, della pesca e della caccia, rispettivamente l'agricoltore, l'allevatore, il pescatore e il cacciatore.

2. (Omissis). 3. Si considera produttore anche chi si presenti come tale apponendo il proprio nome, marchio o altro segno

distintivo sul prodotto o sulla sua confezione. 4. È sottoposto alla stessa responsabilità del produttore chiunque, nell'esercizio di un'attività commerciale,

importi nella Comunità europea un prodotto per la vendita, la locazione, la locazione finanziaria, o qualsiasi altra forma di distribuzione, e chiunque si presenti come importatore nella Comunità europea apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione».

47 «d) produttore: fatto salvo quanto stabilito nell'articolo 103, comma 1, lettera d), e nell'articolo 115, comma 1, il fabbricante del bene o il fornitore del servizio, o un suo intermediario, nonchè l'importatore del bene o del servizio nel territorio dell'Unione europea o qualsiasi altra persona fisica o giuridica che si presenta come produttore identificando il bene o il servizio con il proprio nome, marchio o altro segno distintivo».

48 Tribunale Milano, 13 aprile 1995, in Danno e resp., 1996, 381. Tribunale Milano, 23 marzo 1995, in Contratti, 1996, 374 con nota di B. MUSSO, Tutela del consumatore e responsabilità solidale fra produttore e venditore ha ritenuto che la società venditrice, che aveva effettuato anche il montaggio sulla quale incombeva certamente l'obbligo di effettuarlo a regola d'arte, avrebbe dovuto, - a prescindere dalle istruzioni allegate al mobile della casa produttrice - modulare l'intervento alle condizioni contingenti rilevando che, essendo i mobili in questione componibili, l'assemblaggio di più pezzi può incidere sulla statica globale e richiedere, per il mobile risultante dalla combinazione, accorgimenti tecnici non necessari per i singoli componenti. La società venditrice e la società produttrice sono state quindi ritenute responsabili in via solidale del sinistro e condannate solidalmente al risarcimento dei danni richiesto dagli attori.

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incombe l'obbligo di effettuarlo "a regola d'arte", adattando l'intervento alle condizioni contingenti che si presentano di volta in volta.

3.2.4.2. Il fornitore: il carattere sussidiario della sua responsabilità. Profili processuali. Al fine di rafforzare la posizione del danneggiato da prodotto difettoso, la disciplina in

questione prevede che in luogo della responsabilità del produttore possa essere affermata la responsabilità del fornitore del bene. La responsabilità in oggetto assume carattere sussidiario, essendo basata sul presupposto della mancata individuazione del soggetto. Il comma primo dell’art. 116 Codice del consumo prevede infatti che quando il produttore non sia individuato, è sottoposto alla stessa responsabilità il fornitore che abbia distribuito il prodotto nell'esercizio di un'attività commerciale. In applicazione del principio il Tribunale di Roma ha stabilito che non incorre nella presunzione di responsabilità d.P.R. n. 224 del 1988 chi non sia produttore del farmaco ma semplice distributore dello stesso, confezionato con indicazione precisa del produttore49.

Il carattere sussidiario della responsabilità del produttore, in base alle disposizioni proprie della disciplina comunitaria, è stato ribadito dalla Corte di Giustizia50. La Corte, infatti, ha riscontrato la violazione degli obblighi discendenti dalla Direttiva 85/374/CEE nella disciplina nazionale introdotta dalla Repubblica francese, che ha ritenuto il distributore di un prodotto difettoso responsabile in ogni caso e allo stesso titolo del produttore. Ciò non esclude che il distributore possa essere chiamato a rispondere del danno prodotto in ragione di altre disposizioni di legge, come dell'art. 2050 c.c. 51, che a mente dell’art. 127 del Codice del consumo non vengono né escluse né limitate dalla normativa in oggetto.

La responsabilità del fornitore sorge se questi omette di comunicare al danneggiato, entro il termine di tre mesi dalla richiesta, l'identità e il domicilio del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto. La richiesta deve essere fatta per iscritto e deve indicare il prodotto che ha cagionato il danno, il luogo e, con ragionevole approssimazione, la data dell'acquisto; deve inoltre contenere l'offerta in visione del prodotto, se ancora esistente.

Sul piano processuale, se la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio non è stata preceduta dalla richiesta prevista dal comma secondo, il convenuto può effettuare la comunicazione entro i tre mesi successivi. In ogni caso, su istanza del fornitore presentata alla prima udienza del giudizio di primo grado, il giudice, se le circostanze lo giustificano, può fissare un ulteriore termine non superiore a tre mesi per la comunicazione prevista dal comma primo. Il convenuto può chiedere la condanna dell'attore al rimborso delle spese cagionategli dalla chiamata in giudizio. Il terzo indicato come produttore o precedente fornitore può essere chiamato nel processo a norma dell'art. 106 c.p.c. e il fornitore convenuto può essere estromesso, se la persona indicata comparisce e non contesta l'indicazione. Come chiarito dal Tribunale di Roma52 il fornitore convenuto in giudizio dall'utilizzatore del prodotto può sottrarsi a responsabilità indicando il nome del produttore nell'arco

49 Tribunale Roma, 20 aprile 2002, in Giur. merito, 2002, 1254 (s.m.). Il Tribunale Viterbo, 17 ottobre 2001, in

Rass. giur. umbra, 2001, 206 ha peraltro ritenuto che nel caso di danni cagionati da prodotti difettosi soggiace alla disciplina di cui al d.P.R. n. 224 del 24 maggio 1988 anche l'importatore in un singolo stato membro di un prodotto difettoso fabbricato all'interno di altro Stato della Ce, in virtù della definizione di produttore contenuta del d.lg. n. 115 del 17 marzo 1995.

50 Corte giustizia CE, 25 aprile 2002, n. 52, in Nuova giur. civ. commentata, 2003, I, 119 con nota di V. LENOCI, Luci ed ombre della normativa europea in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi.

51 In tal senso, Tribunale Roma, 20 aprile 2002, cit. ha esentato la società distributrice in Italia di farmaco prodotto da diversa società, con sede in Francia, dalla presunzione di responsabilità di cui al d.P.R. n. 224 del 1988, a ma non è peraltro responsabilità per il danno subito dall'utente del farmaco secondo la generale previsione dell'art. 2050 c.c.

52 Tribunale Roma, 4 dicembre 2003, in Foro it., 2004, I, 1631, in Giur. romana, 2004, 114

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di tre mesi qualora non siano intercorse comunicazioni anteriormente alla notificazione della citazione, ma la chiamata in causa deve avvenire non oltre la prima udienza di trattazione.

In chiusura, l’art. 116 Codice del consumo stabilisce che le disposizioni del presente articolo si applicano al prodotto importato nella Unione Europea, quando non sia individuato l'importatore, anche se sia noto il produttore.

3.2.5. La ripartizione dell’onere della prova. La natura della responsabilità del

produttore. Sotto il profilo probatorio la disciplina prevede una puntuale ripartizione dell’onere della

prova. Il danneggiato deve provare il difetto, il danno, e la connessione causale tra difetto e danno (art. 120, comma primo, Codice del consumo). Egli, pertanto, non deve dimostrare la colpa del produttore né l’esistenza di un specifico vizio del bene. In tal senso, chi agisce in giudizio deve dar prova - in presenza di un danno riconducibile al bene in questione - che quel prodotto non presentava la sicurezza che ci si può legittimamente attendere sulla base dei criteri enucleati dalla stessa disciplina (art. 117 Codice del consumo)53. Sotto il profilo istruttorio, inoltre, la norma prevede che quando è verosimile che il danno sia stato causato da un difetto del prodotto, il giudice può ordinare che le spese della consulenza tecnica siano anticipate dal produttore. Una volta fornita la prova di tali elementi spetta al produttore dimostrare che il bene non era difettoso.

Dal punto di vista teorico ci si può chiedere se la responsabilità del produttore configuri una ipotesi di responsabilità oggettiva ovvero non sia più giusto configurare nel caso di specie una semplice inversione dell’onere della prova54.

A sostegno della tesi della responsabilità oggettiva si evidenzia che la responsabilità extracontrattuale del produttore non è fondata sulla colpa ma sulla riconducibilità causale del danno preso in considerazione alla presenza di un difetto del prodotto.

Al contrario, si sostiene che la responsabilità oggettiva si configura quando la responsabilità del soggetto è affermata senza che questi possa fornire una prova liberatoria. In tal senso, quando è data la possibilità, come nel caso del produttore, di essere esonerati dall’obbligo risarcitorio non si configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva ma un’inversione dell’onere della prova.

Propendendo per la seconda ricostruzione può comunque ritenersi che la responsabilità del prodotto è sostanzialmente obiettiva55.

3.2.6. La prova liberatoria. Una volta fornita da parte del danneggiato la prova del difettoso funzionamento del prodotto

acquistato, spetta al produttore o al fornitore di esso dimostrare l’esistenza di un fatto idoneo ad escludere la responsabilità. In particolare, il secondo comma dell’art. 120 stabilisce che il produttore deve provare i fatti che possono escludere la responsabilità secondo le disposizioni dell'art. 118 Codice del consumo. Tale ultima previsione contiene un elenco di esimenti tipizzate.

In particolare, l'art. 118 prevede che la responsabilità è esclusa: a) se il produttore non ha messo il prodotto in circolazione; b) se il difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando il produttore ha messo il prodotto in circolazione; c) se il produttore non ha fabbricato il prodotto per la vendita o per qualsiasi altra forma di distribuzione a titolo oneroso, nè lo ha fabbricato o distribuito nell'esercizio della sua attività professionale; d) se il difetto è dovuto alla conformità del

53 Cfr. F. FEDRIZZI, I prodotti difettosi, cit., 291. 54 Ivi, 292. 55 Tribunale Roma, 17 marzo 1998, in Foro it., 1998, I, 3660.

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prodotto a una norma giuridica imperativa o a un provvedimento vincolante; e) se lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il produttore ha messo in circolazione il prodotto, non permetteva ancora di considerare il prodotto come difettoso; f) nel caso del produttore o fornitore di una parte componente o di una materia prima, se il difetto è interamente dovuto alla concezione del prodotto in cui è stata incorporata la parte o materia prima o alla conformità di questa alle istruzioni date dal produttore che la ha utilizzata.

In applicazione di tali principi è stato ritenuto che ai fini dell'esclusione da responsabilità è sufficiente dimostrare che, tenuto conto delle circostanze, è probabile che il difetto non esistesse ancora nel momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione56. La prova, in tal senso, deve dimostrare che il difetto non esisteva al momento in cui il bene venne posto in circolazione, ovvero che all'epoca non era riconoscibile come tale a causa dello stato delle conoscenze scientifiche e tecniche.

In ordine alle ipotesi ricadenti nell’ambito della lett. c) dell'art. 118, ovverosia quei prodotti realizzati al di fuori di un contesto professionale, va evidenziato che la Corte di Giustizia57, con riferimento all'art. 7, lett. c) della Direttiva 85/374/CEE, ha stabilito che tale articolo deve essere interpretato nel senso che l'esenzione dalla responsabilità per mancanza di attività a scopo economico o di attività professionale non si applica al caso di un prodotto difettoso fabbricato ed usato nell'ambito di una prestazione medica concreta interamente finanziata con fondi pubblici e per la quale il paziente non deve versare alcun corrispettivo.

La Corte di Giustizia58 è inoltre intervenuta a chiarire il contenuto dell’esimente comunemente qualificata come"rischio dello sviluppo" di cui all'art. 7 lett. e) della Direttiva 85/374/CEE, corrispondente all'art. 118 lett. c) del Codice del consumo. Secondo la Corte le conoscenze scientifiche e tecniche di cui all'art. 7 lett. e) della Direttiva 85/374/CEE non riguardano soltanto la prassi e gli standard di sicurezza in uso nel settore industriale nel quale opera il produttore, ma comprendono, senza alcuna restrizione, lo stato dell'arte inteso nel suo livello più avanzato, purché concretamente accessibile al momento della messa in circolazione del prodotto considerato. In tal senso la Direttiva pone a carico del produttore che voglia esimersi dal c.d. "rischio dello sviluppo", l'onere di dimostrare che - nel momento della messa in circolazione del prodotto - il livello più alto delle conoscenze della scienza e della tecnica, accessibili in qualsiasi settore produttivo, non consentiva di scoprire l'esistenza del difetto del prodotto. In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto che la formulazione dell'art. 4 n. 1 lett. e) del Consumer Protection Act, pur differenziandosi dalla disposizione comunitaria - nel riferirsi alle conoscenze scientifiche e tecniche del settore produttivo cui appartiene il fabbricante - non permette di individuare una responsabilità fondata sulla negligenza e tanto meno impone ai giudici di common law di effettuare una interpretazione contra legem per perseguire gli obiettivi fissati nella Direttiva.

3.2.7. La colpa del danneggiato: il concorso nella causazione del fatto colposo. L'uso del

bene non rientrante fra quelli ragionevolmente prevedibili da parte del produttore. La consapevolezza del difetto del prodotto e del pericolo che ne deriva.

56 Tribunale Roma, 26 ottobre 2003, in Giur. romana 2004, 114. 57 Corte giustizia CE, 10 maggio 2001, n. 203, in Ragiusan, 2001, 216; in Nuova giur. civ. commentata, 2002, I,

181 con nota di L. KLESTA DOSI, Trapianto di rene e responsabilità per danno da prodotti difettosi: un'interpretazione ardita della Corte di Lussemburgo; in Dir. comunitario scambi internaz., 2002, 45 con nota di M. BORRACCETTI, La responsabilità per danno da prodotto difettoso e la prestazione di servizi in campo medico.

58 Corte giustizia CE, 29 maggio 1997, n. 300, in Resp. civ. e prev., 1997, 1040; in Danno e resp., 1997, 569 con nota di S. BASTIANON, La Corte di giustizia Ce e la responsabilità del produttore; in Foro it., 1997, IV, 387.

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Richiamando i comuni principi della responsabilità civile, la disciplina prevede che nelle ipotesi di concorso del fatto colposo del danneggiato il risarcimento si valuta secondo le disposizioni dell'art. 1227 c.c. (art. 122 Codice del consumo). In tal senso il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate, mentre alcun ristoro è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.

L'uso del bene non rientrante fra quelli ragionevolmente prevedibili da parte del produttore è stato ritenuto fattore esimente la responsabilità del produttore. Ai fini della configurazione della responsabilità per difetto del prodotto è necessario che questo sia stato utilizzato secondo la destinazione che il produttore (o il custode) poteva ragionevolmente prevedere. Utilizzando tale principio la Corte di Cassazione59 ha escluso la ragionevole prevedibilità dell'uso dell'altalena da parte di un ragazzo di dodici anni che era montato in piedi sul bracciolo del seggiolino e che, perso l'equilibrio, aveva tentato di aggrapparsi allo snodo della stessa, così procurandosi l'amputazione del pollice della mano sinistra.

L’art. 122, secondo comma, Codice del consumo precisa altresì che il risarcimento non è dovuto quando il danneggiato sia stato consapevole del difetto del prodotto e del pericolo che ne derivava e nondimeno vi si sia volontariamente esposto. La prova della consapevolezza del difetto del prodotto e del pericolo che ne deriva cede a carico del produttore. In tale prospettiva il Tribunale di Monza60 ha affermato la responsabilità solidale dell'acquirente-utilizzatore del bene con il produttore dello stesso, in rispetto del principio del neminem laedere che implica per l’utilizzatore l'onere di vigilare, affinché i beni non presentino difetti di sicurezza tali da arrecare danno alle persone.

3.2.8. I danni risarcibili. Sul piano dei danni suscettibili di risarcimento in base alla normativa sul prodotto difettoso, la

disciplina in oggetto pone delle limitazioni. L’art. 123 del codice del consumo, in conformità all’art. 9 della Direttiva 85/374/CEE, prevede che in base alle disposizioni contenute nel Titolo può essere risarcito soltanto il danno cagionato dalla morte o da lesioni personali e la distruzione o il deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso, purché di tipo normalmente destinato all'uso o consumo privato e così principalmente utilizzata dal danneggiato. Il danno a cose è inoltre risarcibile solo nella misura che ecceda la somma di euro trecentottantasette. Non risulta disciplinata nell’ambito della normativa italiana di recepimento l’ipotesi del massimale per la responsabilità conseguente alla morte o alle lesioni personali, che la Direttiva 85/374/CEE prospettava come ipotesi facoltativa (art. 16).

Tali limitazioni61 risultano operanti soltanto nell’ambito della normativa speciale in oggetto, poiché secondo le disposizioni generali del codice civile risultano risarcibili tutti i danni che siano conseguenza immediata e diretta dell’evento dannoso (artt. 1223 e 2056 c.c.).

Secondo l’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, la disciplina dei danni risarcibili delineata dalla Direttiva 85/374/CEE costituisce un parametro che gli Stati membri devono

59 Cassazione civile, sez. III, 29 settembre 1995, n. 10274, in Foro it., 1996, I, 954 con nota di F. CARINGELLA,

La ragionevolezza dell'uso della "res" quale condizione della responsabilità del produttore: il caso di prodotti destinati a minori; in Resp. civ. e prev., 1996, 372 con nota di C. MARTORANA, L'orditoio: una macchina che non offre le sicurezze che si possono legittimamente attendere ... le persone di non alta statura; in Danno e resp., 1996, 87 con nota di C. COSSU, Sicurezza del prodotto e uso prevedibile. Conforme al principio enunciato Tribunale Monza, 20 luglio 1993, in Rass. dir. civ., 1996, 393 con nota di E. MERIANI, La responsabilità del produttore: prima applicazione del d.P.R. 24 maggio 1988 n. 224.

60 Tribunale Monza, 11 settembre 1995, in Resp. civ. e prev., 1996, 371. 61 F. FEDRIZZI, I prodotti difettosi, cit., 291.

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obbligatoriamente rispettare, sia nel senso che non si possono limitare i tipi di danno previsti62 sia nel senso che non si possono prevedere in attuazione della Direttiva condizioni di maggior favore63.

Dalle pronunce della Corte di Giustizia emerge che l’obiettivo principale che il legislatore comunitario ha inteso realizzare con la disciplina sulla responsabilità da prodotto difettoso è quello dell’armonizzazione delle diverse discipline nazionali64. Tale obiettivo risulta perseguito attraverso la realizzazione di un equilibrio accettabile tra i vari interessi in causa, tra cui la protezione della salute dei consumatori, l'incoraggiamento dell'innovazione e dello sviluppo scientifico e tecnico, la garanzia di una concorrenza non falsata e l'agevolazione degli scambi commerciali in un regime di responsabilità civile armonizzato65. È questa la ragione per cui la tutela del consumatore non può essere la più ampia possibile ma deve comunque contemperarsi con la necessità di garantire la concorrenza e la libera circolazione delle merci, che potrebbero subire un pregiudizio della presenza di tutele non uniformi nei diversi Stati dell’Unione ed eccessivamente sbilanciate a favore dei consumatori.

3.2.8.1. Il danno cagionato alla persona. In base al dettato della disciplina sulla responsabilità prodotto difettoso e risarcibile il danno

cagionato dalla morte o da lesioni personali. In tal senso risulta risarcibile sia il danno patrimoniale derivante dalle spese mediche affrontate, dalle spese di assistenza e di cura, dalla perdita o dalla diminuzione della capacità lavorativa, sia il danno biologico. Tra le varie pronunce, ad esempio, si consideri che il Tribunale di Milano66 ha ritenuto che il produttore può essere condannato al risarcimento del danno patrimoniale per le spese di cure occorse all'infortunato ed al danno per lucro cessante, nonché per il danno biologico da inabilità temporanea e da postumi invalidanti a carattere permanente. Il Giudice di pace di Monza67, ha ritenuto risarcibile il danno patrimoniale, subito dal consumatore durante la masticazione di riso cotto mischiato a condimento in scatola di prodotti del suolo, nel quale ultimo si trovava un frammento di metallo. Tale corpo estraneo aveva cagionato all’attore la frattura di due premolari.

62 Corte giustizia CE, 10 maggio 2001, n. 203, in Ragiusan 2001, 216; in Nuova giur. civ. commentata, 2002, I,

181; in Dir. comunitario scambi internaz. 2002, 45; in Resp. civ. e prev. 2001, 837. Secondo la Corte l'art. 9 della direttiva del consiglio Cee 25 luglio 1985 n. 374, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, deve essere interpretato nel senso che, fatta eccezione per il danno morale il cui risarcimento dipende esclusivamente dalle norme di diritto interno, e per le esclusioni risultanti dalle precisazioni apportate da tale disposizione con riferimento ai danni a cose, uno Stato membro non può limitare i tipi di danno materiale, derivanti da morte o da lesioni personali, o di danno cagionato a una cosa o consistente nella distruzione di una cosa, che saranno risarciti. La Corte ha altresì precisato che spetta al giudice nazionale stabilire, nel singolo caso concreto, se il danno materiale di cui si chiede il risarcimento rientri nell'ambito della nozione di danno alla persona di cui all'art. 9, lett. a) ovvero in quella di danno alle cose cui all'art. 9, lett. b) della direttiva n. 85/374.

63 La Corte giustizia CE, 25 aprile 2002, n. 154, in Nuova giur. civ. commentata, 2003, I, 119 ha stabilito che la Repubblica ellenica è venuta meno agli obblighi che le incombono in virtù dell'art. 9, comma 1, lett. b), Direttiva 85/374/CEE non avendo previsto nella legge nazionale di trasposizione la franchigia di 500 euro in caso di danno ad una cosa diversa dal prodotto difettoso, di tale Direttiva. Analogamente, la Corte ha riscontrato la medesima violazione nella legge francese in base al quale i danni ad una cosa diversa dal prodotto difettoso sono risarcibili anche se di entità inferiore a 500 euro (Corte giustizia CE, 25 aprile 2002, n. 52 .

64 A. MASTRORILLI, La garanzia per vizi nella vendita. Disciplina codicistica e nuova normativa europea, cit., 57.

65 Cfr. il secondo considerando della Direttiva 1999/34/CE che modifica la direttiva 85/374/CEE. 66 Tribunale Milano, 31 gennaio 2003, cit. 67 Giudice di pace Monza, 20 marzo 1997, in Arch. civ. 1997, 876 con nota di V. SANTARSIERE, Responsabilità

del produttore per danno all'apparato masticatorio da mini corpo metallico finito accidentalmente in preparato commestibile.

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3.2.8.1.1. Il danno morale. Secondo l’orientamento a lungo prevalente in giurisprudenza l’affermazione della

responsabilità oggettiva per presunzione escludeva la risarcibilità del danno morale. L'art. 2059 c.c., in tale prospettiva, richiede, per il danno non patrimoniale, la concreta sussistenza di tutti gli estremi dell'illecito penale. Prescindendo la responsabilità del produttore, affermata ex d.P.R. n. 224 del 1988, da profili di colpa e presentando natura sostanzialmente obiettiva, si riteneva non risarcibile il danno morale da parte del produttore che fosse ritenuto responsabile ai sensi di tale normativa68.

Diversa era stata peraltro ritenuta l’ipotesi di responsabilità del produttore allorquando la colpa non fosse stata semplicemente presunta ma in concreto accertata attraverso criteri presuntivi69. Su questa linea argomentativa il Tribunale di Vercelli70 ha sostenuto che la natura obiettiva della responsabilità per danno da prodotto difettoso non impedisce il risarcimento del danno morale qualora le lesioni personali, riportate dal consumatore, siano ascrivibili ad un comportamento colposo del produttore. Nella specie il giudice ha ravvisato un contegno colposo del produttore che ha predisposto e allegato alla caffettiera istruzioni lacunose ed ambigue, in modo particolare quelle relative alla valvola, ossia la componente che garantisce la sicurezza complessiva del prodotto.

La consolidata interpretazione dell'art. 2059 c.c. viene peraltro ribaltata a seguito del revirement della Corte Suprema di Cassazione71 che nel 2003 ha ritenuto ammissibile il risarcimento del danno morale, nell'ipotesi di lesione di un valore inerente alla persona costituzionalmente garantito da cui sia scaturito un pregiudizio di natura non patrimoniale. Attraverso una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., la Cassazione svincola la norma dal limite della riserva di legge correlata all'art. 185 c.p. e ritiene risarcibile il danno morale soggettivo quando vi sia la lesione di un tale tipo di interesse, ancorché il fatto non sia configurabile come reato.

Pertanto, anche nell'ipotesi di responsabilità del produttore deve essere riconosciuto al consumatore, ove vi sia stata lesione dei diritti della persona, il risarcimento del danno non patrimoniale, tale riconoscimento potendo prescindere dalla sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa in capo all'autore dell'illecito72. In materia di responsabilità del produttore, il Tribunale Roma73 ha così affermato che il produttore (o fornitore) responsabile oggettivamente del danno cagionato dal difetto del prodotto deve risarcire l'utilizzatore dei danni non patrimoniali per la

68 Tribunale Milano, 31 gennaio 2003; Tribunale Roma, 17 marzo 1998, in Foro it. 1998, I, 3660 nota

(PALMIERI). 69 Cassazione civile, sez. III, 21 novembre 1995, n. 12023, in Danno e resp. 1996, 363. Nella specie la Corte ha

ritenuto responsabile il produttore di una batteria, esplosa in un'autorimessa, benché la stessa fosse contrassegnata dal marchio del rivenditore, che da tempo intratteneva un rapporto di fornitura esclusiva, avente ad oggetto quel tipo di batteria. Secondo la Cassazione il produttore risponde delle conseguenze giuridiche, compreso il risarcimento del danno non patrimoniale, della condotta (commissiva od omissiva) dei propri dipendenti che configuri un reato e sia stato commesso nell'esercizio delle incombenze cui essi sono adibiti (art. 185 c.p., 2049 e 2059 c.c.), anche nel caso in cui sia rimasta ignota la persona fisica autrice dell'illecito, in difetto di domande anche di rivalsa, nei confronti di questa. Qualora il giudice penale non sia stato investito del fatto - reato, la qualificazione di questo va effettuata "incidenter tantum" dal giudice civile.

70 Tribunale Vercelli, 5 febbraio 2003, in Giur. it., 2004, 546. 71 Cassazione civile, sez. III, 31 maggio 2003, n. 8827 e n. 8828; in Danno e resp., 2003, 819 con note di A.

PROCIDA MIRABELLI DI LAURO, L'art. 2059 c.c. va in paradiso, F. D. BUSNELLI, Chiaroscuri d'estate. La Corte di cassazione e il danno alla persona; G. PONZANELLI, Ricomposizione dell'universo non patrimoniale: le scelte della Corte di cassazione; in Foro amm., 2003, 1542 (s.m.); in Giur. it., 2004, 29. Sul tema amplius: C. CASTRONOVO, Il danno alla persona tra essere e avere, in Danno e resp., 2004, 237 ss.

72 Tribunale Roma, 26 ottobre 2003, in Studium juris, 2004, 1294. 73 Tribunale Roma, 4 dicembre 2003, in Foro it., 2004, I, 1631.

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perdita del congiunto e la lesione definitiva del rapporto parentale, nonché per la sofferenza psichica patita.

3.2.8.2. Il danno alle cose. Il danno alle cose suscettibile di risarcimento in base alle disposizioni comunitarie è soltanto

quello relativo alla distruzione o al deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso. Ciò purché di tipo normalmente destinato all'uso o consumo privato e così principalmente utilizzata dal danneggiato.

Non risulta pertanto risarcibile il danno cagionato allo stesso prodotto difettoso. Cosa accade, peraltro, se il prodotto difettoso risulta inserito o assemblato in un altro bene, come ad esempio nel caso dello scoppio di un pneumatico difettoso che determini un grave incidente all’autovettura74? Sotto tale profilo v’è da rilevare che è la stessa normativa a prevedere la possibilità che il bene mobile sia inserito in un altro bene mobile o immobile (art. 115 Codice del consumo). La risposta che viene data al quesito può essere positiva, considerando, alla luce della normativa comunitaria, il bene incorporante un’entità concettualmente diversa dal bene difettoso incorporato75.

Il danno a cose è inoltre risarcibile solo nella misura che ecceda la somma di euro trecentottantasette. Tale disposizione serve a prevenire cause di natura bagattellaria, che finiscono per arrecare un pregiudizio sia all’amministrazione giustizia che alla gestione delle imprese.

3.2.9. Nullità delle clausole di esonero dalla responsabilità. I termini per l’esercizio della

tutela: prescrizione e decadenza. La parte conclusiva del Titolo II sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi prevede

alcune disposizioni di chiusura riguardanti le clausole di esonero da responsabilità (art. 124), la disciplina della prescrizione (art. 125) e della decadenza (art. 126), oltre alla già richiamata previsione (art. 127) che, nel sancire che i diritti attribuiti al danneggiato da altre leggi non sono né limitati nè esclusi dalla disciplina speciale, afferma il carattere residuale della stessa normativa e il principio della cumulabilità delle tutele.

Riguardo alle clausole di esonero da responsabilità, l’art. 124 sancisce la nullità di qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente, nei confronti del danneggiato, la responsabilità prevista dal presente titolo. Qui il legislatore non ha specificamente introdotto limiti e condizioni all’invalidità del patto o della clausola contraria, come ad esempio nell’ipotesi delle clausole abusive, ove l’inefficacia delle singole clausole, oggi nullità per effetto della nuova formulazione compresa nell’ambito del Codice del consumo (art. 36 Nullità di protezione), lascia impregiudicata l’efficacia del contratto, opera soltanto un vantaggio del consumatore può essere rilevata d’ufficio, o in tema di vendita dei bei di consumo lì dove la nullità può esser fatta valere solo al consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice (art. 134). La nullità delle clausole di esonero da responsabilità assume pertanto il carattere di nullità assoluta e deve essere ricondotta nell’ambito delle previsioni generali del codice, di cui agli artt. 1418 ss. c.c.

L’esercizio del diritto al risarcimento non è peraltro svincolato da qualsiasi limite temporale. Al riguardo la disciplina provvede a regolare sia la decadenza che la prescrizione del diritto.

Il diritto al risarcimento si prescrive in tre anni dal giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del danno, del difetto e dell'identità del responsabile (art. 125). Nel caso di aggravamento del danno, la prescrizione non comincia a decorrere prima del giorno in

74 U. CARNEVALI, Responsabilità del produttore, cit. 949. 75 F. FEDRIZZI, I prodotti difettosi, cit., 291.

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cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza di un danno di gravità sufficiente a giustificare l'esercizio di un'azione giudiziaria. In ordine ai casi di sospensione e interruzione della prescrizione, in assenza di specifiche disposizioni di matrice comunitaria, vanno richiamate le norme generali previste dal codice civile76.

Sul piano della decadenza (art. 126), inoltre, il diritto al risarcimento si estingue alla scadenza di dieci anni dal giorno in cui il produttore o l'importatore nella Unione Europea ha messo in circolazione il prodotto che ha cagionato il danno. La decadenza è impedita solo dalla domanda giudiziale, salvo che il processo si estingua, dalla domanda di ammissione del credito in una procedura concorsuale o dal riconoscimento del diritto da parte del responsabile. L'atto che impedisce la decadenza nei confronti di uno dei responsabili non ha effetto riguardo agli altri.

La prova dell’intervenuta prescrizione o del verificarsi della causa distinzione per decadenza dovrà essere fornita, in base principi generali di riparto dell’onere della prova, dal produttore convenuto77.

4. Il sistema della responsabilità contrattuale per i vizi del “prodotto difettoso”. La

Direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo. Il doppio regime delle garanzie: la disciplina speciale sulla vendita dei beni di consumo e le disposizioni del codice civile.

La disciplina comunitaria sulla responsabilità da prodotto difettoso non esclude nè limita i

diritti attribuiti dal danneggiato da altre leggi. Ciò vuol dire, come analizzato in precedenza, che l’affermazione della responsabilità del produttore può realizzarsi anche attraverso le disposizioni generali del codice civile in tema di responsabilità extracontrattuale che mediante la tutela contrattuale. Nell’ambito la disciplina della vendita stabilita dal codice civile, il secondo comma dell’art. 1494 prevede che il venditore deve risarcire al compratore i danni derivanti dai vizi della cosa. Non sempre, peraltro, il “difetto” o il vizio arrecano un danno all’acquirente o all’utilizzatore del bene. Ciò nondimeno è interesse del soggetto che ha conseguito la disponibilità del bene che il prodotto risulti idoneo all’utilizzo che dal bene ci si può legittimamente aspettare. Il tema, ampio e contrastato, è quello della garanzia per vizi, che nella disciplina della vendita, figura negoziale preminente nella regolamentazione degli scambi, trova una sua specifica disciplina negli artt. 1490 ss. c.c.

La vendita, peraltro, non costituisce una figura unitaria, conoscendo l’ordinamento un insieme complesso e variegato di ipotesi di compravendita, cui è dedicata una disciplina particolare, solo in parte presente nell’ambito del capo I del titolo III del libro IV del codice civile, sulla vendita78. Tra le varie figure negoziali, di particolare interesse è la vendita dei beni mobili di consumo, lì dove il contratto si conclude tra un professionista, persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, e un consumatore, persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Alla disciplina delle garanzie commerciali per i beni di consumo è dedicata la Direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 199979.

76 A. STOPPA, Responsabilità del produttore, cit. 129. 77 Ivi, 130. 78 P. GRECO-G. COTTINO, Della vendita: art. 1470-1547, in Commentario Scialoja-Branca, Roma-Bologna 1962,

1 ss.; L. CABELLA PISU, Garanzia e responsabilità delle vendite commerciali, Milano 1983; A. MASTRORILLI, La garanzia per vizi nella vendita. Disciplina codicistica e nuova normativa europea, cit., 5 ss.

79 D. STAUDENMAYER, The Directive on the Sale of Consumer Goods and Associated Guarantees-A Milestone in the European Consumer and Private Law, in Eur. rev. priv. law, 2000, 547 ss.; P. R. LODOLINI, La Direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo: prime osservazioni, in Europa e dir. priv., 1999, 1275 ss.; A. CIATTI, L'ambito di applicazione ratione materiae della Direttiva comunitaria sulla vendita e le garanzie dei beni di consumo, in Contr. e impr./Europa, 2000,

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Il provvedimento, riguardante taluni aspetti della vendita di beni di consumo e garanzie associate, ha lo scopo di proteggere i consumatori e rafforzare la loro fiducia nelle transazioni commerciali al di fuori dei confini nazionali. La Direttiva fissa un nucleo comune e minimo di tutela, prevedendo norme valide indipendentemente dal luogo in cui il contratto è stato concluso. La Direttiva 1999/44/CE, in particolare, mira ad armonizzare la nozione di difetto di conformità dei prodotti di consumo con il contratto di vendita, i diritti dei consumatori in caso di acquisto di prodotto difettoso e le condizioni del loro esercizio.

La disciplina introdotta dalla Direttiva 1999/44/CE e recepita nel nostro ordinamento attraverso il d.lgs. n. 24/2002, le cui disposizioni sono confluite nel Codice del consumo, concerne soltanto alcuni aspetti delle garanzie inerenti la vendita dei beni di consumo. Le disposizioni adottate in attuazione della normativa comunitaria, infatti, non escludono nè limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell'ordinamento giuridico. Per quanto non previsto dalle disposizioni specificamente dedicate alla vendita di beni di consumo, espressamente il legislatore ha stabilito che si applicano le disposizioni del codice civile in tema di contratto di vendita (art. 135 Codice del consumo). Il legislatore italiano, nel dare attuazione alla Direttiva 1999/44/CE non ha infatti provveduto a fornire una nuova disciplina unitaria dei vizi e delle garanzie della compravendita di beni mobili, come auspicato invece da parte di autorevole dottrina80 e come disposto in altri ordinamenti81, ma ha introdotto una disciplina settoriale all’interno del libro IV del codice civile, con gli artt. 1519 bis-1519 nonies, collocati in una specifica sezione nell’ambito del capo I, dedicato alla vendita, del titolo III dedicato ai singoli contratti. Con l’approvazione del Codice del consumo, tali disposizioni sono confluite nell’ambito della parte IV di tale Codice, subito dopo la disciplina della sicurezza dei prodotti e della responsabilità da prodotto difettoso.

433 ss.; A. PINNA, I termini nella disciplina delle garanzie e la Direttiva 1999/44/CE sulla vendita dei beni di consumo, in Contr. e impr./Europa, 2000, 516 ss.; P. NOCERINO, La nuova disciplina comunitaria della garanzia nella vendita di beni di consumo, in Dir. com. sc. int., 2000, 315 ss.; G. DE NOVA, La recezione della direttiva sulle garanzie nella vendita di beni di consumo: vincoli, ambito di applicazione, difetto di conformità, in Riv. dir. priv., 2001, 759 ss.

Alla Direttiva 1999/44/CE e alla sua attuazione nei diversi ordinamenti europei è dedicato il numero 2/3 del 2001 della European Review of Private Law: E. HONDIUS-C. JELOSCHEK, Towards a European Sales Law — Legal Challenges Posed by the Directive on the Sale of Consumer Goods and Associated Guarantees, in Eur. rev. priv. law, 2001, 157 ss.; C. JELOSCHEK, The Transposition of Directive 99/44/EC into Austrian Law, in Eur. rev. priv. law, 2001, 163 ss.; S. A. KRUISINGA, What do Consumer and Commercial Sales Law Have in Common? A Comparison of the EC Directive on Consumer Sales Law and the UN Convention on Contracts for the International Sale of Goods, in Eur. rev. priv. law, 2001, 177 ss.; S. WATTERSON, Consumer Sales Directive 1999/44/EC-The Impact on English Law, in Eur. rev. priv. law, 2001, 197 ss.; A. PINNA, La Transposition en Droit Français, in Eur. rev. priv. law, 2001, 223 ss.; S. GRUNDMANN, European sales law - Reform and adoption of international models in German sales law, in Eur. rev. priv. law, 2001, 239 ss.; J. LETE, The Impact on Spanish Contract Law of the EC Directive on the Sale of Consumer Goods and Associated Guarantees, in Eur. rev. priv. law, 2001, 351-357.

80 A. ZACCARIA, Riflessioni circa l’attuazione della Direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999 su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo», in Studium iuris, 2000, 262; M. BIN Per un dialogo con il futuro legislatore dell’attuazione: ripensare l’intera disciplina della non conformità dei beni nella vendita alla luce della direttiva comunitaria, in Contr. e impr./Europa, 2000, 403 ss.; A. LUMINOSO, Appunti per l’attuazione della direttiva 1999/44/CE e per la revisione della garanzia per vizi nella vendita, in Contr. e impr./Europa, 2001, 87 ss.

81 Diversamente ha agito il legislatore tedesco, che ha approfittato dell’obbligo di attuare la Direttiva 1999/44/CE per procedere ad una riforma organica della materia. In realtà, è stata proprio la necessità di implementare la Direttiva 1999/44/CE entro il 1 gennaio 2002 a spingere il Ministro della Giustizia tedesco ad accelerare i tempi per varare una riforma organica del diritto delle obbligazioni di cui si parlava già dagli anni settanta, cfr. R. ZIMMERMANN, Breach of Contract and Remedies under the New German Law of Obligationes, in Centro di studi e ricerche di diritto comparato e straniero diretto da M.J. Bonell. Saggi, conferenze e seminari, n. 48, Roma 2002, 1 ss. I principi fondamentali della nuova disciplina, e in particolare quelli relativi ai vizi, sono stati estesi a tutte le ipotesi di compravendita. C.-W. CANARIS, La riforma del diritto tedesco delle obbligazioni. A cura di G. De Cristofaro, Padova 2003, 32 ss. In particolare il legislatore ha esteso a tutti i contratti l’obbligo di prestare cose prive di vizi. Il regime dei vizi materiali e giuridici è stato equiparato. Medesima disciplina è stata prevista sia per il vizio materiale che per l’aliud pro alio, sia per il minus dell’adempimento parziale (§ 434, comma terzo BGB).

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Prima di affrontare la disciplina sulla vendita dei beni da consumo vanno richiamati alcuni principi in tema di garanzia per vizi così come disciplinata originariamente dal codice civile, sia per apprezzare le specificità della normativa comunitaria che per richiamare alcune disposizioni che potrebbero comunque essere applicate stante la non esaustività della nuova disciplina.

4.1. Il regime dei vizi nel codice civile del 1942. Il vizio redibitorio, la mancanza di

qualità e l’aliud pro alio. La disciplina dei vizi della cosa venduta è compresa, in via generale, negli artt. 1490-1497 c.c.

Con riferimento alla vendita di cose mobili tali previsioni sono integrate dall’art. 1511 c.c., riguardo alle cose mobili da trasportare da un luogo all’altro, dall’art. 1512 c.c., sulla garanzia di buon funzionamento, e dall’art. 1513 c.c., sull’accertamento dei difetti.

Secondo l’impostazione tradizionale82, recepita dalla giurisprudenza83, in tema di garanzia per il bene venduto vanno concettualmente distinti il vizio redibitorio, la mancanza di qualità e l’aliud pro alio.

Il vizio redibitorio (art. 1490 c.c.) riguarda le imperfezioni ed i difetti inerenti al processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione della cosa medesima. La mancanza di qualità promesse o essenziali (art. 1497 c.c.) è inerente alla natura della merce e concerne tutti quegli elementi essenziali e sostanziali che, nell'ambito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa in una specie, piuttosto che in un'altra. Sia il vizio che la mancanza di qualità promesse o essenziali presuppongono l'appartenenza della cosa al genere pattuito. Vizi redibitori e mancanza di qualità si distinguono, a loro volta, dall'ipotesi della consegna aliud pro alio, la quale ricorre quando la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso, o presenti difetti che le impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti, facendola degradare in una sottospecie del tutto diversa da quella dedotta in contratto.

Il criterio distintivo fra i vizi redibitori della cosa compravenduta e la consegna di aliud pro alio va quindi individuata nell'appartenenza o non della cosa consegnata allo stesso genus della cosa pattuita, determinato alla stregua di quei criteri merceologici in base ai quali si stabilisce la collocazione di un bene in una categoria o tipologia commerciale del tutto diversa rispetto alle altre84.

Sul piano della tutela i vizi redibitori della cosa compravenduta danno luogo ai rimedi di cui all’art. 1492, secondo i termini dell’art. 1495 c.c. La disciplina legale prevede come azione alternativa alla risoluzione soltanto l'azione di riduzione del prezzo con esclusione, anche in concorso della colpa del venditore, dell'azione di esatto adempimento e della correlativa eccezione di inesatto adempimento85. Sul piano teorico tale assetto dei rimedi trova giustificazione nella circostanza che consistendo l'obbligazione principale del venditore in un dare, costui una volta

82 D. RUBINO, La compravendita, in Tratt. dir. civ. e comm., XXIII, diretto da A. CICU-F. MESSINEO, Milano

1971, 761 ss.; M. LIPARI, La garanzia per i vizi e le difformità dell'opera appaltata: risoluzione del contratto, mancanza di qualità promesse e "aliud pro alio", in Giust. civ., 1986, I, 2942 ss.; A. LUMINOSO, La compravendita. Corso di diritto civile, 3 ed., Torino 2003, A. SCARPA, La vendita di cose mobili: disciplina codicistica. Consegna del bene e garanzie del compratore nel Codice Civile dopo il d. lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, in www.cosmag.it

83 Cassazione civile, sez. II, 25 settembre 2002, n. 13925, in Arch. civ., 2004, 48 ss.; Cassazione civile, sez. II, 12 febbraio 2001, n. 1971, in Dir. e prat. soc., 2002, 91; Cassazione civile, sez. II, 3 agosto 2000, n. 10188, in Contratti, 2001, 262 nota G. ENRIQUEZ, La distinzione tra vizi redibitori ed "aliud pro alio"; Cassazione civile, sez. II, 23 marzo 1999, n. 2712, in Giust. civ. Mass., 1999, 649, in Notariato, 1999, 307; Cassazione civile, sez. II, 15 maggio 1998, n. 4899, in Giust. civ. Mass., 1998, 1043; Cassazione civile, sez. II, 13 gennaio 1997, n. 244, in Giust. civ. Mass., 1997, 41.

84 Cassazione civile, sez. II, 3 febbraio 1998, n. 1038, in Giust. civ. Mass., 1998, 217 85 Tribunale Milano, 14 gennaio 2002, in Giur. milanese, 2002, 406 ss.

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adempiutovi con la consegna della cosa, non può essere costretto ad un facere per eliminare gli eventuali vizi esistenti, ma può soggiacere soltanto alla risoluzione del contratto o, alternativamente, alla riduzione del prezzo, salvo diversa pattuizione.

La mancanza di qualità promesse o essenziali consente la risoluzione del contratto secondo le disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento, purché il difetto di qualità eccede i limiti di tolleranza stabilite dagli usi (art. 1497 c.c.). La relativa azione è peraltro soggetta ai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c.

La consegna di aliud pro alio dà luogo all'azione contrattuale di risoluzione o di adempimento ex art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c.

Il tema dei rapporti tra le diverse figure e i relativi rimedi ha dato luogo in dottrina a non poche incertezze, soprattutto con riferimento all’individuazione dei casi in cui è possibile azionare un rimedio piuttosto un altro. Va inoltre considerato che il tema della promessa di qualità del bene potrebbe astrattamente interessare sia il profilo genetico della formazione del consenso che l’aspetto funzionale riguardante l’esecuzione del contratto. Al riguardo v’è da chiedersi se la promessa di qualità che non sussistono possa avere rilievo sotto il profilo dei vizi del volere, come ipotesi di dolo o di errore il luogo dell’inadempimento.

4.1.1. La garanzia delle qualità promesse del bene compravenduto nell’ordinamento

giuridico italiano: annullamento, risoluzione o garanzia per vizi? La dottrina86 si è interrogata sulla possibilità alternativa di ricorrere ai vizi del volere o ai

rimedi avverso l’inadempimento, specie riguardo alla compravendita. Nell’ambito della disciplina di tale contratto, infatti, accanto alle regole generali stabilite per

tutti i negozi riguardo all’errore e all’inadempimento, si pongono taluni rimedi speciali per i vizi o la mancanza di qualità della cosa. L’ipotesi è quella in cui si promettano delle qualità del bene che in realtà non sussistono. Il caso maggiormente considerato è quello relativo ai rapporti tra errore e inadempimento ma il discorso può essere altresì esteso al dolo87, dato che i raggiri danno spesso luogo ad un errore.

In via generale, l’art. 1429, n. 2) c.c. contempla l’errore che cade sulla qualità dell’oggetto, prevedendo la possibilità di dar luogo all’annullamento del contratto. Per poter rimuovere l’accordo raggiunto, l’errore deve essere essenziale e riconoscibile. A sua volta, la disciplina dell’adempimento delle obbligazioni stabilisce, in base agli artt. 1218 e 1453 c.c., l’obbligo del

86 Sulla questione sono intervenuti, tra gli altri, C. GRASSETTI, Verità, errore, opinione circa la paternità

dell’opera d’arte compravenduta, in Giur. it., 1948, I, 2, 195; G. AMORTH, Mancanza di qualità, «aliud pro alio» e limiti di una distinzione che non esiste, in Temi, 1959, 172 ss.; F. CARNELUTTI, Errore o inadempimento?, in Riv. dir. civ., 1961, I, 259 s.; V. PIETROBON, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, Padova 1963, 40; D. RUBINO, La compravendita, in Trattato Cicu-Messineo, Torino 1952, 757 ss.; P. GRECO-G. COTTINO, Della vendita: art. 1470-1547, in Commentario Scialoja-Branca, Roma-Bologna 1962, 249; L. CABELLA PISU, Garanzia e responsabilità delle vendite commerciali, cit.; A. CACCIA, L’errore e l’inadempimento nella compravendita dei dipinti antichi, in Vita notar., 1985, 993 ss. E. GABRIELLI, La consegna di cosa diversa, Napoli 1987. Sul tema è apparsa l’esauriente monografia di G. AMORTH, Errore e inadempimento del contratto, Milano 1967. I contributi dottrinari, come emerge dall’analisi degli interventi, possono essere ricondotti a tre ambiti principali: quello relativo al contratto o all’errore in genere, l’ambito dedicato alle azioni poste a difesa dell’acquirente e quelli che affrontano direttamente il problema. Per una prima prospettazione delle questioni: R. SACCO-G. DE NOVA, Il contratto, in Trattato Sacco, II, Torino 1993, 416 ss.; R. SACCO - G. DE NOVA, Obbligazioni e contratti, in Trattato Rescigno, 2 ed., rist., X, t. II, Torino 2001, 194-196; V. ROPPO, Il contratto, in Trattato Iudica-Zatti, cit., 798-799; 813; C. ROSSELLO, L’errore nel contratto, in G. ALPA-M. BESSONE, I contratti in generale, Giur. sist. dir. civ. comm., cit., 643 ss.; P. GALLO, I vizi del consenso, in E. GABRIELLI (a cura di), I contratti in generale, in Trattato dei contratti diretto da P. Rescigno, I, Torino 1999, 455 s.

87 Sul tema dei rapporti tra dolo e risoluzione per mancanza di qualità promesse C. M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, 2 ed., cit., 668; P. CENDON-L. GAUDINO, Il dolo nei contratti, in G. ALPA-M. BESSONE, I contratti in generale, Giur. sist. dir. civ. comm., IV, t. 2, cit., 729-730.

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debitore di eseguire esattamente la sua prestazione. La mancanza di qualità dà luogo forse ad un’esecuzione infedele? In tale contesto si inseriscono, altresì, due disposizioni dettate specificamente per la compravendita: l’art. 1490 c.c., che disciplina la garanzia per i vizi della cosa venduta, nel caso in cui il bene non sia idoneo all’uso cui è destinato e il vizio rimanga sconosciuto né facilmente riconoscibile, e l’art. 1497 c.c., dedicato alla mancanza di qualità promesse o essenziali. Resta da chiarirsi come l’erronea dichiarazione circa la sussistenza di talune caratteristiche del bene compravenduto incida sull’individuazione del rimedio invocabile tra quelli indicati88. In estrema sintesi, il dubbio fondamentale riguarda la qualificazione dell’anomalia nell’ambito dei vizi di conclusione (errore o dolo) o di esecuzione del contratto (inadempimento)89.

La questione, particolarmente complessa, aveva già suscitato le riflessioni della dottrina sotto la vigenza del codice del 186590. In particolare, l’attenzione era stata rivolta al rapporto tra l’azione d’invalidità a causa di errore e le azioni edilizie per vizi di cosa venduta e per mancanza di qualità91. Anche sull’esempio degli autori francesi, la dottrina italiana aveva ritenuto che l’errore concernente i vizi della cosa venduta non attenesse ad una qualità sostanziale, determinante del consenso, ma riguardasse un vizio che impedisse l’utilizzo della cosa. Per tale ragione, in presenza di vizi redibitori, si ammetteva il ricorso alle azioni edilizie. In caso di aliud pro alio si riteneva invece esperibile l’azione ordinaria di inadempimento. Nella diversa ipotesi di mancanza delle qualità promesse, la dottrina distingueva tra cosa determinata e cosa generica. Nel primo caso si avrebbe avuto un’azione d’invalidità per errore, attenendo la determinazione del bene alla conclusione del contratto. Nella seconda ipotesi, trattandosi di cosa generica e quindi determinabile, il rimedio sarebbe stato l’azione d’inadempimento, riguardando la determinazione del bene la fase esecutiva.

Il problema dei rapporti tra la disciplina dell’inadempimento e quella dell’invalidità è transitato, in tutta la sua problematicità, nel nuovo codice92. Se la distinzione tra le diverse fattispecie è più o meno agevole in sede teorica, i profili applicativi risultano maggiormente complessi.

Tale dato emerge nell’ambito della giurisprudenza, ove si è cercato di differenziare l’aliud pro alio, ovverosia la presenza di un bene completamente diverso da quello promesso, il difetto di qualità ed il mero vizio93. Nella prassi, il problema può essere in parte risolto provvedendo a distinguere, attraverso l’uso dell’interpretazione, i casi in cui effettivamente il vizio della volontà e l’inadempimento si sovrappongano da quelli in cui manchi tale sovrapposizione, poiché può concretamente individuarsi solo una delle alternative astrattamente possibili94. In quest’ultimo caso non sussistono problemi di effettivo conflitto, poiché il rimedio applicabile sarà soltanto uno. Nella prima ipotesi, in presenza di una fattispecie che si configuri sia come vizio del volere che come inadempimento, permane invece il dubbio della soluzione. La tendenza della giurisprudenza, pur in

88 A. CACCIA, L’errore e l’inadempimento nella compravendita dei dipinti antichi, in Vita notar., cit., 1008

riferendosi alla complessità del problema dei rapporti tra inadempimento ed errore sulla qualità, parla di «ginepraio provocato dalla coesistenza degli artt. 1497 e 1429, n. 2 c.c.».

89 F. CARNELUTTI, Errore o inadempimento?, in Riv. dir. civ., cit., 259. 90 Cfr., ad esempio, G. GIORGI, Teoria delle obbligazioni nel moderno diritto italiano, IV, 7 ed., cit., 88 ss.; L.

TARTUFARI, Della vendita e del riporto, in Il codice di commercio commentato, coordinato da L. Bolaffio e C. Vivante, III, 5 ed., Torino 1925, 381 ss.; C. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, IV, Le obbligazioni, 5 ed., Milano 1929, 150; G. GORLA, La compravendita e la permuta, in Trattato Vassalli, Torino 1937, 142. Una prospettazione esaustiva della dottrina è presente in G. AMORTH, Errore e inadempimento del contratto, cit., nota 1, 1-2.

91 G. AMORTH, Errore e inadempimento del contratto, cit., 1 ss. 92 C. GRASSETTI, Verità, errore, opinione circa la paternità dell’opera d’arte compravenduta, in Giur. it., 1948,

I, 2, 195; F. CARNELUTTI, Errore o inadempimento?, in Riv. dir. civ., cit., 259; V. PIETROBON, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, cit., 40. C. M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, 2 ed., cit., 668; D. RUBINO, La compravendita, in Trattato Cicu-Messineo, cit., 757 ss.; P. GRECO-G. COTTINO, Della vendita: art. 1470-1547, in Commentario Scialoja-Branca, cit., 249; G. AMORTH, Errore e inadempimento del contratto, cit., 1 ss.

93 Per un’ampia prospettazione dei vari orientamenti giudiziari, L. CABELLA PISU, Garanzia e responsabilità delle vendite commerciali, cit., 195 ss.; E. GABRIELLI, La consegna di cosa diversa, cit., 11 ss.; C. ROSSELLO, L’errore nel contratto¸ in G. ALPA-M. BESSONE, I contratti in generale, Giur. sist. dir. civ. comm., cit., 646 ss.

94 V. ROPPO, Il contratto, in Trattato Iudica-Zatti, Milano 2001, 798.

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presenza di orientamenti contrastanti, sembra quella di far prevalere la disciplina dell’inadempimento95.

L’elaborazione dottrinaria si presenta divisa in tre opinioni principali. Il primo orientamento tende a far prevalere l’azione di inadempimento, sulla base di un

rapporto di specialità che sussisterebbe tra la disciplina generale dell’errore, di cui all’art. 1429, e quella speciale contenuta nell’art. 1497, prevista in tema di compravendita96: la mancanza di qualità previste dall’art. 1497 configurerebbe, ope legis, un’ipotesi di inadempimento e non di errore.

Il secondo orientamento è invece caratterizzato da coloro che individuano delle linee di demarcazione tra le diverse fattispecie, a seconda che si tratti di vendita generica o di specie97. Nella vendita di genere l’inadempimento del venditore rileverebbe in fase di esecuzione del contratto, attraverso la consegna di bene avente qualità inferiori alla media. Nella vendita di cosa specifica, viceversa, il vizio si manifesterebbe già nel momento della formazione del contratto, cadendo l’errore su di un bene determinato fin dall’inizio. Non si potrebbe qualificare come inadempimento la consegna di un bene già individuato dalle parti.

Al terzo gruppo va ascritta la posizione, invero minoritaria, che ipotizza il cumulo delle tutele98.

In assenza di una espressa previsione di legge che risolva il nodo della prevalenza di una delle discipline, la posizione preferibile sembrerebbe, astrattamente, proprio quella del cumulo99. Vanno peraltro svolte talune considerazioni100. Si consideri, in primis, che la soluzione basata sulla distinzione tra consegna di cose generiche o specifiche non trova alcun riferimento nell’art. 1497, che tratta indistintamente della mancanza di qualità. Né può semplicemente parlarsi di prevalenza della disciplina stabilita in tema di inadempimento sulla base di un asserito criterio di specialità, dato che non v’è alcuna espressa volontà del legislatore ricavabile in tal senso dalle norme in questione101. La verità è che il legislatore ha previsto due volte la mancanza di qualità essenziali

95 Cass. 14 novembre 1983, n. 2457, in Giur. it., 1985, I, 1, 520 ss.; Cass. 3 dicembre 1983, n. 7233, in Giur. it., 1985, I, 1, 226 ss.; Cass. 20 dicembre 1985, n. 6542, in Rep. Foro it., 1985, voce Vendita, n. 84. Le questioni di maggiore interesse sono emerse riguardo ai casi di compravendita di opere d’arte. Cfr. App. Roma 23 novembre 1948, in Foro it., 1949, I, 987 ss. con nota di P. GUERRA, In tema di errore nella vendita di opere d’arte; in Riv. dir. comm., 1949, II, 192 ss. con nota di R. SACCO, L’errore sulla paternità del quadro; App. Milano 5 giugno 1951, in Nuova riv. dir. comm., 1951, II, 130-132 con nota di U. MIELE; Cass. 21 aprile 1956, n. 1220, in Dir. autore, 1956, 363 ss.; Cass. 30 maggio 1969, n. 1923, in Giur. it., I, 1, 1752 ss.; Cass. 11 marzo 1974, n. 639, in Giust. civ., 1974, I, 866 ss.; Cass. 14 novembre 1983, n. 2457, in Giur. it., 1985, I, 1, 520 ss.

96 D. RUBINO, La compravendita, in Trattato Cicu-Messineo, cit., 757 ss.; P. GRECO-G. COTTINO, Della vendita: art. 1470-1547, in Commentario Scialoja-Branca, cit., 249; G. AMORTH, Errore e inadempimento del contratto, cit., 85 ss.

97 C. GRASSETTI, Verità, errore, opinione circa la paternità dell’opera d’arte compravenduta, in Giur. it., cit., 195; F. CARNELUTTI, Errore o inadempimento?, in Riv. dir. civ., cit., 259 s.

98 V. PIETROBON, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, cit., 40; 415-420. C. M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, 2 ed., cit., 668 ammette la concorrenza dell’azione di dolo e di quella di inadempimento riguardo all’ipotesi dell’autore del dolo che ha assunto «un impegno contrattuale giuridicamente e materialmente possibile». Essendo il contratto produttivo di effetti, chi ha subito il dolo potrà agire per inadempimento o mediante il rimedio dell’annullabilità. Il cumulo è ritenuto possibile in mancanza di una norma che espressamene vieti tale situazione.

99 V. PIETROBON, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, cit., 40; 415-420; R. SACCO - G. DE NOVA, Il contratto, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, II, cit., 419; V. ROPPO, Il contratto, in Trattato Iudica-Zatti, cit., 799.

100 Il filo del ragionamento è tratto da G. AMORTH, Errore e inadempimento del contratto, cit., 21 ss.; 85 ss. Esso è riproposto, nei suoi tratti salienti, da C. ROSSELLO, L’errore nel contratto¸ in G. ALPA-M. BESSONE, I contratti in generale, Giur. sist. dir. civ. comm., cit., 645 s. Riguardo alla compravendita di opera d’arte, A. CACCIA, L’errore e l’inadempimento nella compravendita dei dipinti antichi, in Vita notar., cit., 1017 ss.

101 G. AMORTH, Errore e inadempimento del contratto, cit., 104 specifica come «i compilatori non ebbero presente affatto la relazione esistente tra i due artt. 1429 e 1497; se ne ha la controprova leggendo le considerazioni che fecero nel formulare tale ultima norma». L’art. 1497 non venne introdotto per dar luogo ad un’azione nuova ma per «disciplinare i termini dell’azione che si riteneva tutelasse la situazione della mancanza di qualità, azione derivata dalle disposizioni generali regolanti l’inadempimento». Le due ipotesi, pur nella loro parziale coincidenza, appaiono senz’altro indipendenti, riguardando l’art. 1429 n. 2 c.c. il profilo dei vizi del consenso mentre l’art. 1497 c.c. attiene al profilo oggettivo della difformità del bene venduto rispetto a quello promesso o comunque dovuto. G. AMORTH, Errore

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nella vendita di cosa determinata, qualificandola come errore in un caso e come inadempimento nell’altro102. La preferenza per il rimedio dell’inadempimento va quindi motivata sulla base di diverse argomentazioni103. La prima è che allorquando la volontà delle parti viene recepita nell’accordo, si produce un’incompatibilità con la disciplina dell’errore104. La determinazione del venditore costituisce un’ipotesi di inadempimento nel momento in cui egli promette ciò che non può mantenere105. La promessa del venditore relativa alle qualità del bene assicura la controparte avverso il rischio di possibili errori106. Il compratore, pertanto, viene sollevato dalla preoccupazione di dover verificare l’effettiva sussistenza delle qualità del bene che ha acquistato107. Sulla base di questa prospettazione l’area della rilevanza dell’annullamento riguarderebbe casi marginali, quali l’errore su qualità non ritenuta essenziale o su qualità che non sia stata promessa108.

4.1.2. La responsabilità contrattuale per i danni derivanti dai vizi della cosa ai sensi

dell’art. 1494 c.c. Nell’ambito della disciplina della garanzia per vizi della compravendita, il legislatore ha

introdotto una specifica disposizione sul risarcimento del danno. L’art. 1494 c.c. prevede che il venditore è tenuto a risarcimento del danno se non prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa. Il secondo comma alla disposizione aggiunge che il debitore deve altresì risarcire al compratore i danni derivanti dai vizi della cosa.

L'azione di risarcimento danni di cui all'art. 1494 c.c. può essere proposta in ogni caso di vizi della cosa venduta e, quindi, è cumulabile sia con la domanda di risoluzione del contratto che con quella di riduzione del prezzo e può essere esercitata anche da sola, essendo autonoma rispetto alle azioni di cui all'art. 1492 c.c. in ragione della diversità di presupposti e di finalità109. Il carattere autonomo dell’azione risarcitoria fa sì che questa possa essere esercitata anche da sola, purché ricorrano i presupposti - comuni alle azioni redibitoria e "quanti minoris" - della tempestiva denunzia e dell'esistenza dei vizi, e la colpa del venditore, requisito richiesto per l'azione risarcitoria110.

Si discute della natura della responsabilità risarcitoria del venditore per vizi della cosa venduta ma l’orientamento prevalente ritiene che si tratti di un'ipotesi di responsabilità contrattuale del

e inadempimento del contratto, cit., 67 ss. ritiene «arbitrario escludere sic et sempliciter l’una disciplina a favore dell’altra posto che la legge ha previsto entrambe le discipline; è del pari arbitrario consentire sic et sempliciter entrambe le discipline posto che la legge ha prevista ognuna di esse in un modo completo, in sede diversa, e non si capisce il perché di questa duplicità». La «chiave» del problema è analizzare distintamente i due istituti e poi esaminarne i reciproci rapporti. Cfr. altresì A. CACCIA, L’errore e l’inadempimento nella compravendita dei dipinti antichi, in Vita notar., cit., 1018.

102 G. AMORTH, Errore e inadempimento del contratto, cit., 85. 103 G. AMORTH, Errore e inadempimento del contratto, cit., 85 ss. 104 Secondo G. AMORTH, Errore e inadempimento del contratto, cit., 87 tra errore ed inadempimento si pone una

«incompatibilità radicale, che non lascia alcun margine di sussistenza per l’errore». Quando un contraente promette all’atro determinare qualità del bene, «l’errore viene posto fuori gioco».

105 G. AMORTH, Errore e inadempimento del contratto, cit., 47; A. CACCIA, L’errore e l’inadempimento nella compravendita dei dipinti antichi, in Vita notar., cit., 1018.

106 In tale evenienza «la volontà reale trova la sua esatta corrispondenza nella promessa sicché perde valore che non sia stata altrettanto esatta la formazione della volontà trasfusa nella dichiarazione. Una volta che la qualità voluta entra nell’obbligo cui è tenuto il venditore, non ha più alcun senso logico ritenere che il compratore possa dolersi perché erroneamente credeva che la qualità ci fosse. La qualità deve esserci». G. AMORTH, Errore e inadempimento del contratto, cit., 88.

107 G. AMORTH, Errore e inadempimento del contratto, cit., 90-91. 108 Così D. RUBINO, La compravendita, in Trattato Cicu-Messineo, cit., 906 s.; G. AMORTH, Errore e

inadempimento del contratto, cit., 113 ss. «il campo dell’errore esclusivo è limitato; non è però scomparso». 109 Cassazione civile, sez. III, 26 marzo 2004, n. 6044, in D&G, 2004, f. 35, 98. 110 Cassazione civile, sez. II, 22 novembre 2000, n. 15104, in Giust. civ. Mass., 2000, 2420.

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venditore per inosservanza dell'obbligo di diligenza relativo allo stato della merce oggetto del trasferimento111. Secondo la giurisprudenza l'art. 1494 c.c. è norma di carattere speciale rispetto alla disposizione generale di cui all'art. 1218 c.c. ed in quanto tale pone a carico del venditore una presunzione di colpa, la quale viene meno solo se lo stesso provi di aver ignorato senza sua colpa i vizi112.

Dalla natura contrattuale della responsabilità discende che l'azione risarcitoria proposta dal compratore ex contractu non può estendersi anche al produttore, in quanto l'autonomia delle due successive vendite non consente di indirizzare detta azione nei confronti di quest'ultimo113. Ciò non esclude che l’acquirente possa agire sul piano extracontrattuale nei confronti del produttore in base alle disposizioni speciali stabilite in tema di responsabilità da prodotto difettoso o ricorrendo alla clausola generale di cui all’art. 2043 c.c. Come specificato dalla Corte di Cassazione114 il principio del concorso della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale in relazione ad un evento dannoso che, unico nella sua genesi soggettiva e risalente allo stesso comportamento del suo autore, leda, oltre ai diritti nascenti in base al contratto, anche i diritti assoluti della medesima, è operante pure in tema di responsabilità per i vizi della cosa venduta, giacché il comma secondo dell'art. 1494 c.c. non riguarda qualsiasi danno giuridicamente rilevante causato dai vizi della cosa, ma si riferisce alla sola lesione degli interessi connessi con il vincolo negoziale e con esclusione, quindi, del pregiudizio arrecato agli interessi del compratore che, essendo sorti al di fuori del contratto, hanno la consistenza di diritti assoluti.

4.1.3. Le vendite “a catena”: quale tutela nei confronti del produttore? Le vendite “a catena” si caratterizzano per la stretta connessione e sequenzialità tra i contratti

di vendita che consentono il “passaggio” del bene dal produttore iniziale al consumatore finale attraverso una serie di passaggi intermedi tra venditori. I singoli contratti non solo tra i loro collegati ma si presentano del tutto autonomi. Ci si chiede, in tali casi, se l’acquirente finale possa, in ragione del contratto stipulato un ultimo venditore, agire direttamente nei confronti del produttore utilizzando gli strumenti della responsabilità contrattuale.

La risposta della giurisprudenza prevalente è negativa sulla base di principio della relatività del contratto115. Nulla osta, peraltro, secondo la medesima giurisprudenza, all’esercizio dell’azione extracontrattuale contro il produttore.

Nelle vendite a catena spettano dunque all'acquirente due azioni: quella contrattuale, che sorge solo nei confronti del diretto venditore, in quanto l'autonomia di ciascun trasferimento non gli consente di rivolgersi contro i precedenti venditori; quella extracontrattuale, che è esperibile dal compratore contro il produttore, per il danno sofferto in dipendenza dei vizi che rendono la cosa pericolosa, anche quando tale danno si sia verificato dopo il passaggio della cosa nell'altrui sfera giuridica.

111 Cassazione civile, sez. II, 21 gennaio 2000, n. 639, in Giust. civ. Mass., 2000, 102; in Contratti, 2000, 903. 112 Come specificato dal Tribunale Monza, 16 maggio 2003, in Giur. merito, 2003, 1932 ss. nella valutazione

degli elementi di prova contrari alla presunzione suddetta il giudice del merito deve avere riguardo alla diligenza impiegata dal venditore nella verifica dei vizi, con riferimento alla specifica attività esercitata (art. 1176, co. 3, c.c.) e quindi alla stregua di un criterio di commisurazione più qualificato ed intenso rispetto a quello comune richiesto in riferimento alla figura media del buon padre di famiglia.

113 Cassazione civile, sez. II, 21 gennaio 2000, n. 639, cit. 114 Cassazione civile, sez. II, 28 luglio 1986, n. 4833, in Vita not., 1986, 1253 ss.; in Dir. e giur. agr., 1987, 221. 115 Cassazione civile, sez. III, 31 maggio 2005, n. 11612; Cassazione civile, sez. II, 15 aprile 2002, n. 5428, in

Giust. civ. Mass., 2002, 652; in Contratti, 2003, 1117; in Giur. it., 2003, 1148; in Nuova giur. civ. commentata, 2003, I, 350; Cassazione civile, sez. II, 6 settembre 2000, n. 11756, in Giust. civ. Mass., 2000, 1900; Cassazione civile, sez. II, 6 dicembre 1995, n. 12577, in Danno e resp., 1996, 524 ss.

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L’autonomia delle parti potrebbe peraltro prevedere l’assunzione di una garanzia per i vizi della cosa venduta ex art. 1490 c.c. da parte di un soggetto diverso al venditore in ragione dei suoi particolari rapporti con quest'ultimo (di commissione, di preposizione istitutoria ecc.)116. In tale ipotesi vi deve essere una specifica assunzione dell’odio parte del terzo. In sua assenza, il paradigma legale esclude un’azione diretta ex contractu.

Il rivenditore chiamato a risarcire contrattualmente l’acquirente, a sua volta, potrà agire nei confronti del venditore intermedio esercitando l'azione di rivalsa. Il principio dell'autonomia di ciascuna vendita, pur non consentendo di trasferire automaticamente nei confronti del primo venditore l'azione risarcitoria esercitata da taluno dei successivi compratori, che si ritenga danneggiato a causa dell'omessa o ritardata consegna dei documenti che consentono la circolazione dell'autoveicolo, non impedisce al rivenditore di proporre nei confronti del proprio venditore domanda di risarcimento del danno, ravvisabile anche in quello da lui risarcito al suo avente causa, quando tra l'inadempimento del venditore a monte e tale danno sussista il necessario rapporto di causalità117.

4.2. La vendita dei beni di consumo. L'attuazione della Direttiva 1999/44/CE attraverso

il d.lgs. n. 24/2002. La ricollocazione delle disposizioni nell’ambito del Codice del Consumo. La Direttiva 1999/44/CE ha inteso perseguire il ravvicinamento delle disposizioni legislative,

regolamentari e amministrative degli Stati membri relative a taluni aspetti della vendita e delle garanzie concernenti i beni di consumo, al fine di garantire un livello minimo uniforme di tutela dei consumatori nel quadro del mercato interno. L’intervento comunitario si basa sulla considerazione che le principali difficoltà incontrate dai consumatori e la principale fonte di conflitti con i venditori riguardano la non conformità dei beni a quanto stabilito nel contratto. A tal fine, il principio di conformità al contratto è stato considerato come la base comune alle varie tradizioni giuridiche nazionali.

Come già evidenziato, l'attuazione della Direttiva 1999/44/CE del nostro ordinamento è avvenuta attraverso il d.lgs. n. 24/2002 che ha novellato il codice civile con gli artt. 1519 bis ss. 118 Tali disposizioni sono state ora inserite nel titolo III del Codice del consumo, agli artt. 128-135.

Sul piano contenutistico la disciplina non ricomprende tutti i profili della vendita dei beni di consumo ma riguarda esclusivamente i profili di garanzia puntualmente disciplinati. Per quanto non espressamente previsto vanno applicate le disposizioni generali sulla compravendita.

116 Cassazione civile, sez. II, 23 dicembre 1991, n. 13869, in Nuova giur. civ. commentata, 1993, I, 133; in Vita

not., 1992, 658. Come evidenziato dai Giudici di legittimità, per la riconducibilità della garanzia assunta dal terzo al paradigma normativo degli art. 1490 ss. c.c., ovvero ad altra forma di garanzia specifica assunta in modo autonomo ed indipendentemente da quella dovuta per legge dal venditore (ad es. quella di buon funzionamento di cui all'art. 1512 c.c.), il giudice del merito deve procedere, alla stregua dei canoni ermeneutici legali all'interpretazione della dichiarazione del terzo, quale fonte primaria regolatrice del contenuto e delle condizioni di operatività della garanzia, salvo il ricorso per gli aspetti non regolati alla disciplina dell'istituto più affine per natura e funzione economico-sociale.

117 Secondo Cassazione civile, sez. II, 6 settembre 2000, n. 11756, in Giust. civ. Mass. 2000, 1900; in Contratti, 2001, 169; in Danno e resp., 2001, 268 tale rapporto di causalità non è escluso dalla consapevolezza da parte del primo acquirente dell'indisponibilità in tempi ragionevoli dei documenti, potendo ciò configurare soltanto un suo eventuale concorso di colpa.

118 Decreto legislativo 2 febbraio 2002, n. 24, recante attuazione della direttiva 1999/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie di consumo. Sul tema: E. CORSO, La tutela del consumatore dopo il decreto legislativo di attuazione della direttiva 99/44/Ce, in Contratto e impresa, 2002, II, 1317; G. DE CRISTOFARO, La nuova disciplina codicistica dei contratti per la fornitura di beni mobili conclusi da consumatori con professionisti. (Prima parte), in Studium juris, 2002, II, 1174 ss.; (Seconda parte) in Studium juris, 2002, II, 1314.; M. HAZAN, Attuata la direttiva 99/44/CE: si rafforza la tutela del consumatore, in Contratti, 2002, 394 ss.; A. LUMINOSO, La compravendita. Corso di diritto civile, cit., 297 ss.

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4.2.1. Tipologia dei contratti dei consumatori sottoposti alla disciplina: l’ampliamento

oltre l’ipotesi tipica della compravendita. Esclusioni. La disciplina delle garanzie commerciali per i beni di consumo riguarda i contratti conclusi tra

un professionista, qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, e un consumatore, persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.

I contratti sottoposti alla disciplina delle garanzie di derivazione comunitaria non si identificano esclusivamente con il tipo negoziale della compravendita. L’art. 128 Codice del consumo, nel delineare l’ambito di applicazione, stabilisce infatti che, ai fini della disciplina, ai contratti di vendita sono equiparati i contratti di permuta e di somministrazione nonchè quelli di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre. L’istituto della vendita di beni di consumo si estende quindi anche ad altre figure negoziali basate sul trasferimento della proprietà di beni di consumo a titolo oneroso, nonché all’ipotesi di appalto e di contratto d’opera.

Deve ritenersi che la formulazione non sia tassativa, chiudendosi con l’ampio richiamo a «tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre». Riconducibili alla disciplina potrebbero essere il leasing finanziario, lì dove l’acquirente non venga considerato un compratore professionale, o il contratto estimatorio, utilizzato al di fuori dei rapporti tra operatori commerciali119.

Non sono ricompresi nella disciplina le vendite di beni mobili intervenute tra imprenditori, a prescindere dai rapporti di forza tra i contraenti, e le vendite di beni usati tra consumatori120.

4.2.2. I beni di consumo. I beni di consumo interessati dalla disciplina sono i beni mobili (art. 128, comma secondo,

Codice del consumo). Al riguardo il legislatore non ha recepito la nozione di bene mobile materiale, che avrebbe potuto dar luogo a difficoltà interpretative, avendo specificato che ai fini la disciplina per beni di consumo si intende qualsiasi bene mobile anche da assemblare. Tale ampia formulazione consente di estendere la disciplina anche a beni che supportano beni immateriali, come il software, oltre alle prestazioni di appalto e d’opera121.

Sulla falsariga della disciplina comunitaria sono invece esclusi: i beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie, anche mediante delega ai notai; l'acqua e il gas, quando non confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantità determinata; l'energia elettrica.

Le disposizioni si applicano anche alla vendita di beni di consumo usati, tenuto conto del tempo del pregresso utilizzo, limitatamente ai difetti non derivanti dall'uso normale della cosa.

4.2.3. Il principio di conformità: unità di tutti i vizi e dei relativi rimedi? L’elemento di maggiore rilevanza contenuto nella disciplina è il principio di conformità al

contratto. In base all’art. 129, comma primo, Codice del consumo, il venditore ha l'obbligo di

119 M. HAZAN, Attuata la direttiva 99/44/CE: si rafforza la tutela del consumatore, cit., 395. 120 Ivi, 396. 121 Ivi, 397 s.

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consegnare al consumatore beni conformi al contratto di vendita. Il legislatore provvede poi a delineare alcuni criteri che consentono di ritenere il bene conforme al contratto (art. 129, comma secondo, Codice del consumo). Il difetto di conformità che deriva dall'imperfetta installazione del bene di consumo è equiparato al difetto di conformità del bene quando l'installazione è compresa nel contratto di vendita ed è stata effettuata dal venditore o sotto la sua responsabilità (art. 129, comma quinto, Codice del consumo). Tale equiparazione si applica anche nel caso in cui il prodotto, concepito per essere installato dal consumatore, sia da questo installato in modo non corretto a causa di una carenza delle istruzioni di installazione. Per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene il venditore è responsabile nei confronti del consumatore (art. 130, comma primo, Codice del consumo).

La nozione di difetto di conformità era già stata adottata dalla Convenzione di Vienna dell’11 aprile 1980, resa esecutiva in Italia con la l.n. 765/1981, sulla vendita internazionale di beni mobili122. La disciplina di recepimento della Direttiva 1999/44/CE, peraltro, diversamente dalla Convenzione di Vienna, non sembra estendersi ai vizi giuridici, anche se ne è stata auspicata dell’interpretazione estensiva123.

Si discute, innanzitutto, se la disciplina di attuazione abbia introdotto nel nostro sistema una obbligazione, quella di conformità del bene al contratto, prevalente sulle obbligazioni di consegna e assorbente di ogni altra forma di garanzia per vizi e difetti della cosa124. In caso di risposta positiva la deduzione in contratto dell’obbligazione di conformità consentirebbe di porre ad oggetto dell’obbligazione il “modo di essere una cosa”125.

Autorevole dottrina, peraltro, esclude che possa essere ammessa un’obbligazione di conformità, non avendo essa ad oggetto una prestazione126. In tal senso la questione della conformità rientrerebbe nell’ambito della disciplina dell’obbligazione di garanzia.

Di là dalla questione teorica della natura e dell’ammissibilità di un’autonoma obbligazione di conformità, bisogna chiedersi se nel concetto di conformità debbano essere ricompresi tutti i vizi del bene e, in particolare, il vizio redibitorio, la mancanza di qualità e l’aliud pro alio e si possa pertanto ritenersi che nell’ambito della disciplina comunitaria sulla vendita di beni di consumo tutti i vizi del bene ricevono lo stesso trattamento.

Secondo parte della dottrina127 si tratta di una linea di tendenza piuttosto che di un risultato pienamente raggiunto. Dubbi possono infatti presentarsi sia riguardo all’aliud pro alio che ai vizi giuridici. Riguardo all’aliud pro alio si pone una questione di tutela del consumatore, essendo l’ordinaria azione di risoluzione o di adempimento ex art. 1453 c.c. svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall'art. 132 Codice del consumo. Riguardo ai vizi giuridici questi non sarebbero ricompresi nella nozione di fette conformità.

Sotto altro profilo, diversa dottrina sostiene un’interpretazione estensiva delle disposizioni al fine di utilizzare anche nei confronti dei vizi giuridici i rimedi della riparazione e della sostituzione della cosa difettosa128.

A favore del superamento della distinzione tra vizi e aliud pro alio, si pronuncia una parte della dottrina, argomentando che l’acquirente dispone di un termine più lungo (almeno due mesi

122 A. MASTRORILLI, La garanzia per vizi nella vendita. Disciplina codicistica e nuova normativa europea, cit.,

108. 123 Ibidem. 124 I termini della questione sono riportati in A. SCARPA, La vendita di cose mobili: disciplina codicistica.

Consegna del bene e garanzie del compratore nel Codice Civile dopo il d. lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, cit., 51. 125 G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità, Padova 2000, 53 ss. 126 A. LUMINOSO, Appunti per l’attuazione della direttiva 1999/44/CE e per la revisione della garanzia per vizi

nella vendita, cit., 100 ss. 127 A. LUMINOSO, La compravendita. Corso di diritto civile, 3 ed., cit., 306 ss. 128 G. DE CRISTOFARO, Difetto di conformità, cit., 140.

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dall’accertamento) di quello stabilito dal legislatore nazionale per denunciare il difetto di conformità129.

Contro questa interpretazione si evidenzia come la normativa di attuazione non abbia abrogato la disciplina generale sulla vendita e che al consumatore non può essere negato quel che spetta all’acquirente ordinario130.

Utili chiarimenti potranno al riguardo provenire dall’interpretazione giudiziaria. Tra le varie opzioni sembra comunque preferibile quella che, pur a discapito di una maggiore semplificazione e sistematicità, esclude che le disposizioni comunitarie consentano di superare la distinzione tra vizi e aliud pro alio, o che possano ricomprendere nell’ambito del concetto di conformità anche i vizi giuridici. Non va infatti dimenticato che la disciplina in oggetto non mira a disciplinare ogni profilo del regime della garanzia per i beni di consumo ma soltanto «taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo». Essa, inoltre, fa espressamente salvi i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell’ordinamento e che in particolare, per quanto non previsto, si applicano le disposizioni del codice civile in tema di contratto di vendita.

4.2.4. I diritti del consumatore: i rimedi offerti. L’art. 130 Codice del consumo definisce i diritti del consumatore. La disposizione enuclea i

rimedi concessi all’acquirente in presenza di un difetto di conformità. Premesso infatti che il venditore è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene, il secondo comma dell’art. 130 prevede che in caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto sulla base delle disposizioni successive.

Il momento determinante per la valutazione di conformità è quindi la consegna del bene, momento che determina il passaggio del rischio. Risulta pertanto superata la distinzione tra i vizi e i difetti preesistenti alla vendita e quelli sorti successivamente alla consegna131. La difformità del bene ricomprende, infatti, anche i difetti presenti al momento della consegna e che si manifestino entro il termine di due anni dalla consegna del bene (art. 132, comma primo, Codice del consumo). Deve inoltre considerarsi che, salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità (art. 132, comma terzo, Codice del consumo).

Sul piano dei rimedi offerti, innanzitutto, il consumatore, a sua scelta, può chiedere al venditore di riparare il bene o di sostituirlo, senza spese132 in entrambi i casi, salvo che il rimedio richiesto sia oggettivamente impossibile o eccessivamente oneroso rispetto all'altro. Secondo una parte della dottrina133 la disposizione prevede un’azione di esatto adempimento, analogamente

129 S. PATTI, Sul superamento della distinzione tra vizi e aliud pro alio nella direttiva 1999/44/CE, in Riv. dir.

civ., 2002, II, 623 ss. 130 C. M. BIANCA, Consegna, aliud pro alio e decadenza dai rimedi per omessa denuncia nella Direttiva

1999/44/CE, in Contr. e impr./Europa, 2001, 16 ss.; ID., postilla, in Riv. dir. civ., 2002, II, 629 ss. 131 A. SCARPA, La vendita di cose mobili: disciplina codicistica. Consegna del bene e garanzie del compratore

nel Codice Civile dopo il d. lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, cit., 54. 132 Le spese si riferiscono ai costi indispensabili per rendere conformi i beni, in particolare modo con riferimento

alle spese effettuate per la spedizione, per la mano d'opera e per i materiali. 133 R. FADDA, Il contenuto della Direttiva 1999/44/CE: una panoramica, in Contr. e impr./Europa, 2000, 426; A.

SCARPA, La vendita di cose mobili: disciplina codicistica. Consegna del bene e garanzie del compratore nel Codice Civile dopo il d. lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, cit., 54.

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all’art. 1453 c.c., ma la posizione non è accettata da chi134 esclude che in presenza di un difetto di conformità possa esservi un’obbligazione inadempiuta. In tal senso, la riparazione e la sostituzione avrebbero contenuto restitutorio in presenza di una violazione dell’obbligo traslativo assunto dal venditore.

A fine della valutazione dell’onerosità eccessiva, secondo quanto stabilito dalla stessa norma, è da considerare eccessivamente oneroso uno dei due rimedi se impone al venditore spese irragionevoli in confronto all'altro, tenendo conto: a) del valore che il bene avrebbe se non vi fosse difetto di conformità; b) dell'entità del difetto di conformità; c) dell'eventualità che il rimedio alternativo possa essere esperito senza notevoli inconvenienti per il consumatore. Le riparazioni o le sostituzioni devono essere effettuate entro un congruo termine dalla richiesta e non devono arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale il consumatore ha acquistato il bene.

In alternativa alla riparazione e alla sostituzione il consumatore può richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto. Per esercitare tali azioni è peraltro necessario che ricorra una delle situazioni specificamente indicate nel comma settimo dell’art. 130 Codice del consumo. In particolare, ciò sarà possibile quando: a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al comma sesto; c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore. Nel determinare l'importo della riduzione o la somma da restituire si tiene conto dell'uso del bene. Va inoltre considerato che la stessa disposizione prevede che un difetto di conformità di lieve entità per il quale non è stato possibile o è eccessivamente oneroso esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione, non dà diritto alla risoluzione del contratto.

Riguardo al rapporto tra i diversi rimedi, la disciplina sembra prospettare una preminenza dei rimedi di adeguamento (riparazione e sostituzione del bene) sulla riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto. Tuttavia, il legislatore non chiarisce del tutto i criteri di scelta dell’acquirente tra le diverse azioni e in che i limiti la scelta effettuata possa essere in seguito sottoposta a modifica135.

Contemperando il principio dell’effettività della tutela con l’esigenza di contenere il contenzioso, nell’ottica della collaborazione e della buona fede contrattuale, l’art. 130, comma nono, Codice del consumo prevede che dopo la denuncia del difetto di conformità, il venditore può offrire al consumatore qualsiasi altro rimedio disponibile. Sul piano degli effetti dell’offerta la disposizioni specifiche che: a) qualora il consumatore abbia già richiesto uno specifico rimedio, il venditore resta obbligato ad attuarlo, con le necessarie conseguenze in ordine alla decorrenza del termine congruo di cui al comma 6, salvo accettazione da parte del consumatore del rimedio alternativo proposto; b) qualora il consumatore non abbia già richiesto uno specifico rimedio, il consumatore deve accettare la proposta o respingerla scegliendo un altro rimedio ai sensi dell’art. 130.

Il consumatore decade dai rimedi previsti dall'art. 130 Codice del consumo se non denuncia al venditore il difetto di conformità entro il termine di due mesi dalla data in cui ha scoperto il difetto. La denuncia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l'esistenza del difetto o lo ha occultato.

L'azione diretta a far valere i difetti non dolosamente occultati dal venditore si prescrive, in ogni caso, nel termine di ventisei mesi dalla consegna del bene; il consumatore, che sia convenuto per l'esecuzione del contratto, può tuttavia far valere sempre i diritti di cui all'art. 130, comma secondo, Codice del consumo purchè il difetto di conformità sia stato denunciato entro due mesi dalla scoperta e prima della scadenza del termine di cui al periodo precedente.

134 A. LUMINOSO, Appunti per l’attuazione della direttiva 1999/44/CE e per la revisione della garanzia per vizi

nella vendita, cit., 108 s. 135 A. SCARPA, La vendita di cose mobili: disciplina codicistica. Consegna del bene e garanzie del compratore

nel Codice Civile dopo il d. lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, cit., 60.

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4.2.4.1. Ripartizione dell’onere della prova. In base ai principi stabiliti dal nostro ordinamento in tema di prova (art. 2697 c.c.),

l’acquirente che vuole far valere la garanzia deve dimostrare che il bene ricevuto non è conforme a quello oggetto del contratto. A favore del consumatore opera altresì l’art. 132, comma terzo, Codice del consumo, che in via presuntiva ritiene che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura del bene o con la natura del difetto di conformità. Al fine di provare l’esistenza del difetto di conformità, l’attore può prospettare la mancanza di una delle circostanze di cui all’art. 129, secondo comma, Codice del consumo, la cui coesistenza consente di presumere che il bene consegnato sia conforme a quello dedotto in contratto136.

In base alla disposizione di cui all’art. 129, secondo comma, Codice del consumo, infatti, si presume che i beni di consumo siano conformi al contratto se, ove pertinenti, coesistono le seguenti circostanze: a) sono idonei all'uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo; b) sono conformi alla descrizione fatta dal venditore e possiedono le qualità del bene che il venditore ha presentato al consumatore come campione o modello; c) presentano la qualità e le prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi, tenuto conto della natura del bene e, se del caso, delle dichiarazioni pubbliche sulle caratteristiche specifiche dei beni fatte al riguardo dal venditore, dal produttore o dal suo agente o rappresentante, in particolare nella pubblicità o sull'etichettatura; d) sono altresì idonei all'uso particolare voluto dal consumatore e che sia stato da questi portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto e che il venditore abbia accettato anche per fatti concludenti.

Riguardo alle dichiarazioni pubbliche di cui alla lettera c), va specificato che il venditore non è vincolato dalle stesse quando, in via anche alternativa, dimostra che: a) non era a conoscenza della dichiarazione e non poteva conoscerla con l'ordinaria diligenza; b) la dichiarazione è stata adeguatamente corretta entro il momento della conclusione del contratto in modo da essere conoscibile al consumatore; c) la decisione di acquistare il bene di consumo non è stata influenzata dalla dichiarazione.

Affinché possa operare la presunzione di conformità è necessario che tutti i criteri richiamati siano presenti nella singola fattispecie. Gli elementi menzionati nella presunzione sono infatti cumulativi. Sul piano interpretativo va peraltro evidenziato che il legislatore, nell’affermare la coesistenza delle circostanze, ha aggiunto l’inciso «ove pertinenti». In tal senso, conformemente all’ottavo considerando della Direttiva, se le circostanze del caso rendono un particolare elemento palesemente inappropriato restano tuttavia applicabili i restanti elementi della presunzione.

La presunzione di conformità, alla presenza congiunta dei criteri sopra enucleati, costituisce una presunzione relativa che può essere vinta sia dal consumatore, che potrà dimostrare il difetto di conformità del bene pur in presenza di tutti i criteri, sia dal venditore, che potrà fornire la prova della conformità del bene al contratto nonostante l’assenza di alcuni degli elementi indicati dal legislatore137.

Prova liberatoria può infine essere fornita dal venditore il quale dimostri che al momento della conclusione del contratto, il consumatore era a conoscenza del difetto, non poteva ignorarlo con l'ordinaria diligenza o se il difetto di conformità deriva da istruzioni o materiali forniti dal consumatore. In tale ipotesi, secondo l’art. 129 comma terzo, Codice del consumo, non vi è difetto di conformità.

136 Ivi, 50 s. 137 M. HAZAN, Attuata la direttiva 99/44/CE: si rafforza la tutela del consumatore, cit., 401.

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4.2.4.2. Il risarcimento del danno. Riguardo al profilo specifico del risarcimento del danno, la disciplina comunitaria non

prevede una norma ad hoc. Deve ritenersi che nel silenzio del legislatore, in virtù della disposizione di chiusura di cui all’art. 135 Codice del consumo debbano applicarsi le disposizioni previste dal codice civile, tra cui quelle sulla responsabilità del venditore (art. 1494, comma primo, c.c.).

4.2.5. Le vendite “a catena”. Il diritto di regresso del venditore finale. Può il

consumatore agire in via diretta nei confronti del produttore? In ordine al fenomeno delle vendite a catena, l’art. 131 Codice del consumo attribuisce al

venditore finale, quando è responsabile nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità imputabile ad un'azione o ad un'omissione del produttore, di un precedente venditore della medesima catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario, il diritto di regresso nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili facenti parte della suddetta catena distributiva. Il venditore finale che abbia ottemperato ai rimedi esperiti dal consumatore, può agire, entro un anno dall'esecuzione della prestazione, in regresso nei confronti del soggetto o dei soggetti responsabili per ottenere la reintegrazione di quanto prestato.

La disposizione fa salvi gli eventuali patti contrari o la rinuncia. Il venditore può quindi rinunciare o escludere sin dall’inizio il diritto di regresso nei confronti dei venditori precedenti della medesima catena distributiva per la responsabilità nei confronti del consumatore138.

Sul piano processuale, l’esigenza di economia di giudizi potrebbe giustificare la presenza nel medesimo processo sia la domanda di garanzia del consumatore che l’azione di regresso del venditore finale139.

L’art. 131 Codice del consumo non introduce, pertanto, la legittimazione dell’acquirente finale ad agire all’azione diretta nei confronti del produttore o di altro venditore intermedio, riferendosi esclusivamente alla posizione del venditore finale, ossia del dante causa del consumatore. Ad escludere tale rimedio in favore dell’acquirente finale concorre, inoltre, il contenuto dell’art. 12 della Direttiva 99/44/CE che, nel prevedere il termine del 7 luglio 2006 per il riesame dell'applicazione della Direttiva e per la presentazione di una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio, espressamente specifica che la relazione dovrà esaminare tra l'altro l'opportunità di prevedere la responsabilità diretta del produttore.

4.2.6. Nullità dei patti che limitano la tutela. Il carattere inderogabile delle disposizioni. Riguardo ai patti, anteriori alla comunicazione al venditore del difetto di conformità, volti ad

escludere o limitare, anche in modo indiretto, i diritti riconosciuti al consumatore, l’art. 134, comma primo, Codice del consumo sancisce la nullità. Si tratta di una nullità relativa che può essere fatta valere solo dal consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice. Nulla è altresì ogni clausola contrattuale che, prevedendo l'applicabilità al contratto di una legislazione di un Paese extracomunitario, abbia l'effetto di privare il consumatore della protezione assicurata dal presente

138 F. PORTENTO, Sintesi delle novità introdotte dal Codice del Consumo, cit. ha evidenziato che, contrariamente

alle attese di una parte della dottrina, non è stata modificata la natura disponibile del diritto di regresso del venditore finale, che sia stato ritenuto responsabile nei confronti del consumatore. La posizione di debolezza dei piccoli rivenditori nei confronti delle grandi aziende avrebbe forse suggerito una soluzione diversa.

139 A. SCARPA, La vendita di cose mobili: disciplina codicistica. Consegna del bene e garanzie del compratore nel Codice Civile dopo il d. lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, cit., 63.

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paragrafo, laddove il contratto presenti uno stretto collegamento con il territorio di uno Stato membro dell'Unione europea (art. 134, comma terzo, Codice del consumo). Eccezionalmente, nel caso di beni usati, il secondo comma della disposizione prevede che le parti possono limitare la durata della responsabilità ad un periodo di tempo in ogni caso non inferiore ad un anno.

4.2.7. Il sistema integrato delle tutele. Come già sottolineato nel corso della trattazione, la normativa introdotta in tema di vendita di

beni di consumo non esaurisce ogni profilo della disciplina dell’istituto, essendosi il legislatore comunitario prefissato di introdurre una tutela minimale armonizzata sui principali profili della garanzia. Pertanto, coerentemente, ai sensi dell’art. 135 Codice del consumo le disposizioni non escludono nè limitano i diritti che sono attribuiti al consumatore da altre norme dell'ordinamento giuridico. In via residuale, inoltre, per quanto non previsto dal titolo, si applicano le disposizioni del codice civile in tema di contratto di vendita.

5. Conclusioni. La normativa delineata, nonostante i limiti in essa presenti, costituisce un’importante risultato

per una protezione effettiva del consumatore. Se manca ancora un rapporto che faccia luce sugli esiti della normativa sulla garanzia dei beni di consumo, i documenti140 a nostra disposizione sui profili di responsabilità extracontrattuale per danno da prodotto difettoso e l’analisi della giurisprudenza mostrano che la disciplina armonizzata funziona, che sono incrementati i ricorsi in materia a livello europeo e che questi hanno in genere un esito positivo. Nonostante questo il sistema non può dirsi perfetto e richiede senz’altro degli aggiustamenti ma questi non possono che partire dall’analisi dell’esperienza acquisita sul campo.

140 Cfr. LOVELLS, Responsabilità per danno da prodotti difettosi nell'Unione Europea Un rapporto per la

Commissione Europea, Febbraio 2003, MARKT/2001/11/D che analizza in chiave comparata l’applicazione della relativa e il contenzioso giudiziario sviluppatosi in materia.

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