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Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia…” (al momento della consacrazione, ndr). E spiegando ai suoi fedeli l’importanza dei sacramenti diceva: “Tolto il sacramento dell’Ordine, noi non avremmo il Signore. Chi lo ha riposto là in quel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita (cristiana)? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest’anima viene a morire (per il peccato), chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote. Dopo Dio, il sacerdote è tutto!... Lui stesso non si capirà bene che in cielo.” Ed ancora continuava. “Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento ma di amore… Senza il prete la morte e la passione di Nostro Signore non servirebbero a niente. E’ il prete che continua l’opera della Redenzione sulla terra… Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti: è lui che apre la porta; egli è l’economo del buon Dio; l’amministratore dei suoi beni… Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestieIl prete non è prete per sé, lo è per voi”. Conclude il papa la lettera con questa esortazione: Cari sacerdoti, Cristo conta su di voi. Sull’esempio del Santo Curato d’Ars, lasciatevi conquistare da Lui e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace!. Noi della redazione abbiamo pensato di pubblicare questo articolo per far conoscere alla nostra comunità parrocchiale la grandezza teologale del nostro papa Benedetto XVI e l’ immenso valore del sacerdozio. Noi, oggi siamo abituati a vedere nel parroco l’insegnante di religione, il manager parrocchiale, colui che organizza gite, pellegrinaggi, momenti di fraternità, il bancomat della carità, e ci dimentichiamo della sua funzione primaria, cioè il tramite tra noi e Dio. È necessario essere, quindi, consapevoli del grande rilievo che riveste il sacramento del sacerdozio, dal momento che permette, come ha ricordato il Santo Padre nel citare il Santo Curato D’Ars, a Gesù, in quanto Sacerdote del l’Umanità, di realizzare tutti i sacramenti e di essere sempre presente tra di noi. Apprezziamo ed amiamo i nostri sacerdoti P. Vittorio e P. Giovanni, i Padri Bocconisti, perdoniamo le loro fragilità umane; stiamogli vicino e preghiamo la nostra Madre celeste Maria Regina della Pace, affinché crescano in Santità assieme al popolo di Dio a loro affidato. Preghiamo, anche il Buon Dio perché dalla nostra comunità possano nascere vocazioni sacerdotali, perché ci mandi nuovi e santi sacerdoti e nel congedarci da voi porgiamo gli auguri a P. Giovanni nella ricorrenza del suo secondo anniversario di Ordinazione. Auguri di Natale e Buon Anno. La redazione “NATALE: FESTA DELLA LUCE!” OMUNITA’ VITA DI C Diletti figli, ogni anno la Chiesa celebra e rivive un grande Mistero che è il dono di Dio Padre all’umanità intera: l’Incarnazione del suo Figlio Gesù Cristo. Questo Mistero noi lo proclamiamo in ogni celebrazione eucaristica nella professione della nostra fede, quando così ci esprimiamo: «Credo in Gesù Cristo Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre…». Questa verità di fede si fonda certamente sulla rivelazione, sulla Parola di Dio, ed in modo del tutto particolare si concretizza nella celebrazione eucaristica, dove Egli, Gesù, si rende presente, si incarna sui nostri altari per farsi cibo e bevanda della nostra anima. La liturgia non si arresta un solo istante a questa contemplazione e nel professare chi è Gesù per noi. Egli, infatti, è l’Emmanuele, “Dio con noi”, ma anche il “Dio per noi”; un Dio di uomini, ma anche un Dio per gli uomini. Attraverso Gesù di Nazareth, Dio in persona è venuto a consolarci e a salvarci, non più un angelo o un profeta; ecco il vero senso del mistero di Natale! Con la nascita di Gesù, Dio non ci ha dato soltanto la sua Parola ultima e definitiva, ma ci ha dato la sua stessa Vita, cioè ci ha fatto suoi figli: «A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio». (Gv 1,12). In quest’ottica, noi cristiani allora non celebriamo solo la nascita di Gesù, ma anche il nostro Natale, perché la nascita del Signore segna la nostra rinascita. Nessuno è escluso dalla gioia di questo giorno, chi accoglie questo dono, indipendentemente dall’età, dai meriti, egli rinasce a nuova vita, ma dipendentemente dalla fede. Ecco perché il Natale è la “festa della Luce”, cioè deve accendere nel cuore del credente tanta fede, speranza e carità; non a caso San Leone Magno Papa così si esprimeva: «Riconosci cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non volere tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricordati chi è il tuo Capo, di quale corpo sei membro». Il nostro amato pastore, Mons. Pio Vittorio Vigo, nella sua lettera in occasione dell’Avvento, ci ha esortati alla gioia e a compiere in maniera coscienziosa il nostro dovere di cristiani e figli di Dio. (n. 7). Alla luce di questo dono che Dio offre a noi, auguro di vero cuore a tutta la nostra comunità parrocchiale un Santo Natale di luce, di gioia e di pace. Auguri! Sac. Vittorio Sinopoli sdP Parroco Parrocchia “Regina Pacis” - Viale Don Minzoni, 126 - Tel/Fax 095 7794544 - Giarre - 25 dicembre 2009 - Anno XVII n. 4 UN MESSAGGIO PER IL NATALE Dopo la conclusione dell’Anno Paolino, dedicato a San Paolo “l’apostolo delle genti”, il Santo Padre Benedetto XVI ha pensato di dedicarne uno a tutti i sacerdoti. Riportiamo alcuni passaggi della splendida lettera per l’ indizione dell’ Anno Sacerdotale. Cari fratelli nel Sacerdozio, nella prossima solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, venerdì 19 giugno 2009 - giornata tradizionalmente dedicata alla preghiera per la santificazione del clero - , ho pensato di indire ufficialmente un “Anno Sacerdotale” in occasione del 150° anniversario del “dies natalis” di Giovanni Maria Vianney, il Santo Patrono di tutti i parroci del mondo. Tale anno, che vuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel modo di oggi, si concluderà nella stessa solennità del 2010. “Il Sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù”, soleva dire il Santo Curato d’Ars. Questa toccante espressione ci permette di evocare con tenerezza e riconoscenza l’immenso dono che i sacerdoti costituiscono non solo per la Chiesa, ma per la stessa umanità. Penso a tutti quei presbiteri che offrono ai fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo, cercando di aderire a Lui con i pensieri, la volontà, i sentimenti e lo stile di tutta la propria esistenza. Come non sottolineare le loro fatiche apostoliche, il loro servizio infaticabile e nascosto… e che dire della fedeltà coraggiosa di tanti sacerdoti che, pur tra difficoltà e incomprensioni, restano fedeli alla loro vocazione: quella di “amici di Cristo”, da Lui particolarmente chiamati, prescelti e inviati?... Il pensiero va, alle innumerevoli situazioni di sofferenza in cui molti sacerdoti sono coinvolti, sia perché partecipi dell’esperienza umana del dolore nella molteplicità del suo manifestarsi, sia perché incompresi dagli stessi destinatari del loro ministero: come non ricordare i tanti sacerdoti offesi nella loro dignità, impediti nella loro missione, a volte anche perseguitati fino alla suprema testimonianza del sangue? Ci sono, purtroppo, anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà di alcuni suoi ministri. E’ il mondo a trarne allora motivo di scandalo e di rifiuto. La lettera del Santo Padre continua con una breve biografia di San Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d’Ars, riportandone gli insegnamenti e i suoi esempi, nonché la sua visione del sacerdozio. “Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina”. Parlava del sacerdozio come se non riuscisse a capacitarsi della grandezza del dono e del compito affidati ad una creatura umana: “Oh come il prete è grande!... Se egli si comprendesse, morirebbe… Il Sacerdozio: l’amore del cuore di Gesù Il manifesto dell’Anno Sacerdotale Sono pochi i giorni che ci separano da un altro anno e puntualmente si presenta nei nostri ambienti familiari l’immagine tanto tradizionale del presepio, con il suo profondo significato che ognuno di noi credenti siamo chiamati a riscoprire e fare nostro. Il Natale del bambino Gesù, il figlio di Dio, segna nel calendario civile la tappa finale del suo normale susseguirsi di giorni, mentre nel calendario cristiano è posto all’inizio di un nuovo anno liturgico, ossia un nuovo periodo tra le diverse tappe della storia della salvezza, che acquistano il loro reale significato quando sono illuminate dalla luce del Redentore risplendente nella notte di Betlemme. Ci possiamo chiedere, quale fu il vero significato della nascita del ”bambino” in quella culla improvvisata? Il messaggio portato da Gesù in quel primo Natale è lo stesso che ci propone quest’anno e che si può riassumere nel saluto di Cristo Risorto ai suoi discepoli riuniti nel cenacolo: “Pace a Voi”. Lui che è il Principe della Pace, la può realmente annunciare e dispensare a tutta l’umanità. La “Pace cristiana”, quella portata da Gesù , non consiste soltanto nell’assenza di conflitti, guerre o tensioni sociali, bensì si riferisce alla capacità di aprire il nostro cuore per poter accettare e riconoscere il Bambino Gesù come l’inviato dal Padre per “farci Suoi figli”. Questa figliolanza divina fa sì che possiamo ogni giorno rivolgerci a Dio e chiamarlo “Padre nostro” e, nel contempo, ringraziarlo per questo immenso dono. E se Egli è Padre di tutti noi, di conseguenza, ogni essere umano è realmente mio fratello in Cristo ed io ho il dovere di andargli incontro, soprattutto quando lo riconosco bisognoso, debole, abbandonato dagli altri. E allora, la pace che ci regala questo Bambino non è quel sentimento umano che ci rende delle soddisfazioni, ma piuttosto, quel dinamismo capace di muovere tutta la mia persona per mettermi alla ricerca, al servizio amoroso e gratuito del fratello povero, bisognoso o dimenticato. Ogni cristiano è operatore autentico della pace nella misura in cui si lascia illuminare dalla Luce di Cristo, che è capace di trasformare tutta la nostra vita come risposta amorosa verso Dio e, automaticamente, verso gli uomini. Il cuore cristiano non può sentirsi in pace sapendo che ci sono fratelli meno fortunati di noi. E allora questa pace che tanto desideriamo, sia un regalo è un impegno per il nuovo anno: l’impegno di esaminare la nostra vita cristiana e cancellare ogni indifferenza e apatia nascoste in noi e così poter vedere chiaramente Cristo che continua ad essere affamato, assetato, nudo o carcerato. Accostiamoci al presepio, situato in un angolino del nostro salotto e chiediamo al Bambino Gesù, il Principe della Pace, la conversione del nostro cuore affinché, facendo la sua volontà, possiamo divenire operatori ed annunziatori di pace. Sac. Juan Silva sdP (Padre Giovanni) Vice Parroco Il Gruppo Ministranti

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Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia…” (al momento della consacrazione, ndr). E spiegando ai suoi fedeli l’importanza dei sacramenti diceva: “Tolto il sacramento dell’Ordine, noi non avremmo il Signore. Chi lo ha riposto là in quel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita (cristiana)? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest’anima viene a morire (per il peccato), chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote. Dopo Dio, il sacerdote è tutto!... Lui stesso non si capirà bene che in cielo.” Ed ancora continuava. “Se comprendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento ma di amore… Senza il prete la morte e la passione

di Nostro Signore non servirebbero a niente. E’ il prete che continua l’opera della Redenzione sulla terra… Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti: è lui che apre la porta; egli è l’economo del buon Dio; l’amministratore dei suoi beni… Lasciate una p a r r o c c h i a , per vent’anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie… Il prete non è prete per

sé, lo è per voi”. Conclude il papa la lettera con questa esortazione: Cari sacerdoti, Cristo conta su di voi. Sull’esempio del Santo Curato d’Ars, lasciatevi conquistare da Lui e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace!. Noi della redazione abbiamo pensato di pubblicare questo articolo per far conoscere alla nostra comunità parrocchiale la grandezza teologale del nostro papa Benedetto XVI e l’ immenso valore del sacerdozio. Noi, oggi siamo abituati a vedere nel parroco l’insegnante di religione, il manager parrocchiale, colui che organizza gite, pellegrinaggi, momenti di fraternità, il bancomat della carità, e ci dimentichiamo della sua funzione primaria, cioè il tramite tra noi e Dio. È necessario essere, quindi, consapevoli del grande rilievo che riveste il sacramento del sacerdozio, dal momento che permette, come ha ricordato il Santo Padre nel citare il Santo Curato D’Ars, a Gesù, in quanto Sacerdote del l’Umanità, di realizzare tutti i sacramenti e di essere sempre presente tra di noi. Apprezziamo ed amiamo i nostri sacerdoti P. Vittorio e P. Giovanni, i Padri Bocconisti, perdoniamo le loro fragilità umane; stiamogli vicino e preghiamo la nostra Madre celeste Maria Regina della Pace, affinché crescano in Santità assieme al popolo di Dio a loro affidato. Preghiamo, anche il Buon Dio perché dalla nostra comunità possano nascere vocazioni sacerdotali, perché ci mandi nuovi e santi sacerdoti e nel congedarci da voi porgiamo gli auguri a P. Giovanni nella ricorrenza del suo secondo anniversario di Ordinazione. Auguri di Natale e Buon Anno. La redazione

“NATALE: FESTA DELLA LUCE!”

OMUNITA’VITA DIC

Diletti figli,ogni anno la Chiesa celebra e rivive un grande Mistero che è il dono di Dio Padre all’umanità intera: l’Incarnazione del suo Figlio Gesù Cristo. Questo Mistero noi lo proclamiamo in ogni

celebrazione eucaristica nella professione della nostra fede, quando così ci esprimiamo: «Credo in Gesù Cristo Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre…». Questa verità di fede si fonda certamente sulla rivelazione, sulla Parola di Dio, ed in modo del tutto particolare si concretizza nella celebrazione eucaristica, dove Egli, Gesù, si rende presente, si incarna sui nostri altari per farsi cibo e bevanda della nostra anima. La liturgia non si arresta un solo istante a questa contemplazione e nel professare chi è Gesù per noi. Egli, infatti, è l’Emmanuele, “Dio con noi”, ma anche il “Dio per noi”; un Dio di uomini, ma anche un Dio per gli uomini. Attraverso Gesù di Nazareth, Dio in persona è venuto a consolarci e a salvarci, non più un angelo o un profeta; ecco il vero senso del mistero di Natale! Con la nascita di Gesù, Dio non ci ha dato soltanto la sua Parola ultima e definitiva, ma ci ha dato la sua stessa Vita, cioè ci ha fatto suoi figli: «A quanti l’hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio». (Gv 1,12). In quest’ottica, noi cristiani allora non celebriamo solo la nascita di Gesù, ma anche il nostro Natale, perché la nascita del Signore

segna la nostra rinascita. Nessuno è escluso dalla gioia di questo giorno, chi accoglie questo dono, indipendentemente dall’età, dai meriti, egli rinasce a nuova vita, ma dipendentemente dalla fede. Ecco perché il Natale è la “festa della Luce”, cioè deve accendere nel cuore del credente tanta fede, speranza e carità; non a caso San Leone Magno Papa così si esprimeva: «Riconosci cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non volere tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricordati chi è il tuo Capo, di quale corpo sei membro». Il nostro amato pastore, Mons. Pio Vittorio Vigo, nella sua lettera in occasione dell’Avvento, ci ha esortati alla gioia e a compiere in maniera coscienziosa il nostro dovere di cristiani e figli di Dio. (n. 7). Alla luce di questo dono che Dio offre a noi, auguro di vero cuore a tutta la nostra comunità parrocchiale un Santo Natale di luce, di gioia e di pace. Auguri!

Sac. Vittorio Sinopoli sdP Parroco

Parrocchia “Regina Pacis” - Viale Don Minzoni, 126 - Tel/Fax 095 7794544 - Giarre - 25 dicembre 2009 - Anno XVII n. 4

UN MESSAGGIO PER IL NATALE

Dopo la conclusione dell’Anno Paolino, dedicato a San Paolo “l’apostolo delle genti”, il Santo Padre Benedetto XVI ha pensato di dedicarne uno a tutti i sacerdoti. Riportiamo alcuni passaggi della splendida lettera

per l’ indizione dell’ Anno Sacerdotale. Cari fratelli nel Sacerdozio, nella prossima solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, venerdì 19 giugno 2009 - giornata tradizionalmente dedicata alla preghiera per la santificazione del clero - , ho pensato di indire ufficialmente un “Anno Sacerdotale” in occasione del 150° anniversario del “dies natalis” di Giovanni Maria Vianney, il Santo Patrono di tutti i parroci del mondo. Tale anno, che vuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva t e s t i m o n i a n z a evangelica nel modo di oggi, si concluderà nella stessa solennità del 2010. “Il Sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù”, soleva dire il Santo Curato d’Ars. Questa toccante espressione ci permette di evocare con tenerezza e riconoscenza l’immenso dono che i sacerdoti costituiscono non solo per la Chiesa, ma per la stessa umanità. Penso a tutti quei presbiteri che offrono ai fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo, cercando di aderire a Lui con i pensieri, la volontà, i sentimenti e lo stile di tutta la propria esistenza. Come non sottolineare le loro fatiche apostoliche, il loro servizio infaticabile e nascosto… e che dire della fedeltà coraggiosa di tanti sacerdoti che, pur tra difficoltà e incomprensioni, restano fedeli alla loro vocazione: quella di “amici di Cristo”, da Lui particolarmente chiamati, prescelti e inviati?... Il pensiero va, alle innumerevoli situazioni di sofferenza in cui molti sacerdoti sono coinvolti, sia perché partecipi dell’esperienza umana del dolore nella molteplicità del suo manifestarsi, sia perché incompresi dagli stessi destinatari del loro ministero: come non ricordare i tanti sacerdoti offesi nella loro dignità, impediti nella loro missione, a volte anche perseguitati fino alla suprema testimonianza del sangue? Ci sono, purtroppo, anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà di alcuni suoi ministri. E’ il mondo a trarne allora motivo di scandalo e di rifiuto. La lettera del Santo Padre continua con una breve biografia di San Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d’Ars, riportandone gli insegnamenti e i suoi esempi, nonché la sua visione del sacerdozio. “Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina”. Parlava del sacerdozio come se non riuscisse a capacitarsi della grandezza del dono e del compito affidati ad una creatura umana: “Oh come il prete è grande!... Se egli si comprendesse, morirebbe…

Il Sacerdozio:l’amore del cuore di Gesù

Il manifesto dell’Anno Sacerdotale

Sono pochi i giorni che ci separano da un altro anno e puntualmente si presenta nei nostri ambienti familiari l’immagine tanto tradizionale del presepio, con il suo profondo significato che ognuno di noi credenti siamo chiamati a riscoprire e fare nostro. Il Natale del bambino Gesù, il figlio di Dio, segna nel calendario civile la tappa finale del suo normale susseguirsi di giorni, mentre nel calendario cristiano è posto all’inizio di un nuovo anno liturgico, ossia un nuovo periodo tra le diverse tappe della storia della salvezza, che acquistano il loro reale significato quando sono illuminate dalla luce del Redentore risplendente nella notte di Betlemme. Ci possiamo chiedere, quale fu il vero significato della nascita del ”bambino” in quella culla improvvisata? Il messaggio portato da Gesù in quel primo Natale è lo stesso che ci propone quest’anno e che si può riassumere nel saluto di Cristo Risorto ai suoi discepoli riuniti nel cenacolo: “Pace a Voi”. Lui che è il Principe della Pace, la può realmente annunciare e dispensare a tutta l’umanità. La “Pace cristiana”, quella portata da Gesù , non consiste soltanto nell’assenza di conflitti, guerre o tensioni sociali, bensì si riferisce alla capacità

di aprire il nostro cuore per poter accettare e riconoscere il Bambino Gesù come l’inviato dal Padre per “farci Suoi figli”. Questa figliolanza divina fa sì che possiamo ogni giorno rivolgerci a Dio e chiamarlo “Padre nostro” e, nel contempo, ringraziarlo per questo immenso dono. E se Egli

è Padre di tutti noi, di conseguenza, ogni essere umano è realmente mio fratello in Cristo ed io ho il dovere di andargli incontro, soprattutto quando lo riconosco bisognoso, debole, abbandonato dagli altri. E allora, la pace che ci regala questo Bambino non è quel sentimento umano che ci rende delle soddisfazioni, ma piuttosto, quel dinamismo capace di muovere

tutta la mia persona per mettermi alla ricerca, al servizio amoroso e gratuito del fratello povero, bisognoso o dimenticato. Ogni cristiano è operatore autentico della pace nella misura in cui si lascia illuminare dalla Luce di Cristo, che è capace di trasformare tutta la nostra vita

come risposta amorosa verso Dio e, automaticamente, verso gli uomini. Il cuore cristiano non può sentirsi in pace sapendo che ci sono fratelli meno fortunati di noi. E allora questa pace che tanto desideriamo, sia un regalo è un impegno per il nuovo anno: l’impegno di esaminare la nostra vita cristiana e cancellare ogni indifferenza e apatia nascoste in noi e così poter vedere chiaramente Cristo che continua ad essere affamato, assetato, nudo o carcerato. Accostiamoci al presepio, situato in un angolino del nostro salotto e chiediamo al Bambino

Gesù, il Principe della Pace, la conversione del nostro cuore affinché, facendo la sua volontà, possiamo divenire operatori ed annunziatori di pace.

Sac. Juan Silva sdP (Padre Giovanni)

Vice Parroco

Il Gruppo Ministranti

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VITA DI COMUNITA’2

luoghi vennero vietati e portati nelle case contadine per evitare che fossero distrutti, ma ciò fece crescere nei contadini l’interesse per i presepi, tant’è che loro stessi cominciarono ad intagliare le figure, preferendo, come sfondo, per la prima metà dell’800, paesaggi di montagna e, per la seconda metà dell’800, paesaggi orientali. Oggi, dopo l’affievolirsi della tradizione, soprattutto a causa dell’introduzione, a partire dal secondo dopoguerra, dell’albero di Natale, si assiste ad un ritorno del presepe grazie alle attività di promozione svolte dalle associazioni dei cultori del presepe che hanno

fatto tornare nelle case e nelle piazze d’Italia la Natività e i personaggi della simbologia cristiana. Dopo questo excursus storico, tornando al quesito che ci siamo posti all’inizio, possiamo dire che il presepe, come ogni arte, costituisce un modo attraverso il quale l’uomo vuole esprimere dei sentimenti, ma costituisce anche un mezzo per esprimere un messaggio: così è stato per San Francesco nel presepe di Greccio, perché era il suo intento quello di far capire anche anche a chi non sapeva leggere e scrivere le sofferenze patite da Gesù, come anche per la nobiltà del ‘700 che con il presepe voleva far sfoggio

delle proprie ricchezze e della propria potenza, travisando però il significato religioso del presepe. Oggi quello che viene travisato è il significato del Natale, quando senti certe pubblicità che dicono: “Che Natale è senza il panettone ….”, quando si corre all’acquisto del regalo più costoso e alla moda e non si pensa a crescere spiritualmente e ad aprire il proprio cuore al prossimo. Nasce spontaneo il confronto con l’Albero di Natale, che, per quanto bello possa essere, per quanto possa creare un’atmosfera natalizia, non è un simbolo religioso, né appartiene alla cultura mediterranea, ma a quella del Nord Europa, potrà forse piacere,

IL PRESEPE: SIMBOLO DI UNITA’ DELLE FAMIGLIEquanto non sarebbe arrivato un tizzone gettato da un fanciullo, ma il tizzone arrivò ad oltre un miglio di distanza, incendiò un bosco, per poi cadere sulle rocce e fu all’interno di una grotta del Monte Falterone che venne allestito il primo presepe vivente. Per molti secoli la realizzazione dei presepi restò una prerogativa delle chiese e delle comunità religiose finché non fu la Napoli borbonica del ‘700, allora sede di fitti scambi commerciali con la Spagna e il resto d’Europa, a diventare la culla del presepe. Il tradizionale presepe napoletano è costituito da statuine con un’anima in ferro imbottita, la testa in terracotta ed i vestiti in stoffa e suddivide l’ambientazione in tre episodi narrativi evangelici: la Nascita nella grotta-stalla, l’Annuncio, in cui gli Angeli portano la Novella ai pastori addormentati e la Taverna, dove Giuseppe e Maria non avevano trovato alloggio e dove agli avventori che banchettano all’aperto, ai suonatori e ai ballerini si affiancano una serie di personaggi coloriti, tra cui il corteo dei Re Magi, la banda degli orientali, con leoni, scimmie, elefanti e la Fontana, con scene di costume, di venditori e di umanità sofferente. La realizzazione dei presepi implicava l’intervento degli artisti più rinomati dell’epoca e fu in quell’occasione che il presepe uscì dalle chiese per entrare nelle case delle famiglie più ricche, che facevano a gara per chi aveva il presepe più bello e più ricco da mostrare al Re, anche a costo di cadere in disgrazia per le spese che dovevano essere sostenute, per fare sfoggio di cultura, ricchezza e potenza, allontanandosi però dal significato più autentico del presepe. Comunque, non solo a Napoli l’arte del presepe ebbe fulgore, tant’è che ogni regione d’Italia aveva tipologie diverse di presepe: si va dal presepe pugliese, basato sulla cartapesta nel leccese o sulla terracotta in altre zone della Puglia, alla cartapesta e al gesso toscano, al

Nell’iniziare questo articolo pubblicato nell’edizione natalizia del nostro giornalino “Vita di Comunità”, mi sono chiesto: che valore si dà oggi al presepe, o meglio, che valore si dà oggi al Natale? Le origini del presepe sono molto remote, il suo scopo è quello di descrivere, con un‘ambientazione tipicamente mediterranea, un momento di vita, la nascita di un Bambino Speciale, grazie al quale la storia dell’uomo cambia definitivamente. Ma da dove nasce il bisogno di fare il presepe? L’origine del nome “praesepe”, deriva dal latino e significa “mangiatoia”, dove, secondo il Vangelo di San Luca, la Madonna pose il piccolo dopo averlo partorito. Nei Vangeli Apocrifi si parla poi di un bue e di un asinello posti a fianco al piccolo per riscaldarlo con il loro fiato. Le raffigurazioni della Nascita di Gesù trovano le prime testimonianze nelle catacombe paleocristiane già dal II sec. d. C., quando i primi cristiani usavano scolpire o dipingere le scene della Natività nei loro punti d’incontro. Quando poi il cristianesimo uscì dalla clandestinità, le scene della Natività, a partire dall’Alto Medioevo, vennero raffigurate nelle pareti delle prime chiese e divennero più particolareggiate soprattutto grazie all’opera dei monaci cistercensi tra i più grandi fautori del presepe, secondo i quali era importante far conoscere alla gente tutte le fasi della vita di Gesù, ma per avere le prime statue bisogna attendere la fine del 1200. Tuttavia, l’invenzione del presepe, così come da noi conosciuto, la si deve a San Francesco, il quale per far capire alla gente comune, allora per lo più analfabeta, quali fossero stati i disagi sofferti da Gesù al momento della nascita, si accordò con Giovanni Velita, signore di Greccio, dopo un viaggio a Betlemme, per celebrare lì il Natale del 1223. Velita, però, essendo piuttosto grasso e non amando camminare, stabilì che egli sarebbe stato presente all’evento solo se il presepe non fosse stato, rispetto al suo castello, più lontano di

legno del Trentino, fino ai nostri presepi. In Sicilia l’arte del presepe, pur subendo influssi della scuola napoletana, se ne differenzia per varietà di stili e materiali impiegati. In un primo momento, intorno al XV sec., con il passaggio dalla pietra al legno si ebbe il vero e proprio presepe, poi con il XVII sec. i presepi si diffusero anche nelle case dei nobili e soprattutto nel XVIII sec. raggiunsero il massimo livello artistico con l’impiego di materiali come l’avorio, l’oro e il corallo, con Trapani come principale centro di produzione. Nell’800 il presepe comincia ad assumere connotati

popolari e si passa alla terracotta. In quel periodo Caltagirone diventa un centro fondamentale nella lavorazione della ceramica e gli artisti del presepe siciliano, chiamati “figurinai” applicavano, per la realizzazione dei panneggi, non più la stoffa, ma sottilissime strisce d’argilla sul corpo di terracotta già modellato. Il più antico presepe si trova comunque sotto la Cappella Sistina in Santa Maria Maggiore a Roma e risale al 1280 circa. Tra la fine del XVIII sec. e per tutta la metà del XIX sec. la passione per il presepe tramontò, anche a causa dell’affermarsi dell’Illuminismo e della Secolarizzazione, al punto tale che in alcuni

ma l’unica caratteristica che ha è quella che si presta meglio alla visione consumistica del Natale. Il presepe, invece, simboleggia la famiglia, rappresenta l’autentica essenza del Natale, che è l’amore, l’Amore di un Dio che ha voluto condividere con gli uomini le loro sofferenze e che, anzi, si è fatto come gli ultimi fra tutti gli uomini, perché non è nato nel palazzo di un Re, ma in una stalla, dove c’erano dei poveri pastori a rendergli omaggio. La capacità del presepe di essere simbolo la si individua anche nella Sacra Famiglia, che si trova al centro di tutta la rappresentazione: una Famiglia che funge da esempio per le altre famiglie, le quali trovano nel presepe l’occasione migliore per ritrovarsi in quel momento divertente ed emozionante che è la realizzazione del presepe, quando si è tutti affaccendati nel preparare il sentiero, i prati con il muschio, nel mettere gli animali, i pastori, le casette con le luci. Ecco, appunto le luci: il presepe è chiaro che crea indubbiamente più atmosfera con le luci: le casette illuminate, i pastori e gli animali che si dirigono verso Gesù Bambino, rappresentano tutto il creato che anela a Dio e, allo stesso tempo, Gesù stesso illumina con la Sua Luce tutto il creato. Ma il presepe è anche un’occasione per far riunire la famiglia non solo nel momento in cui si collabora nel costruire il presepe, ma anche e soprattutto quando ci si raccoglie in preghiera davanti a Gesù Bambino chiedendogli di portare un po’ di pace nel cuore degli uomini e un po’ di serenità nelle famiglie. Ciò che ci si auspica è che in questo Natale le famiglie, magari unendosi in preghiera davanti al presepe, riescano a riappropriarsi del loro ruolo e dei valori che gli sono propri, mettendo da parte tutto ciò che è superfluo e banale e che le tiene lontane dalla vera gioia: l’essere illuminati da un Bambino che è venuto tra noi per Amore e solo per Amore.

Giuseppe Visconte

A SAN MARTINU, ‘N PANINU E TRI QUATTI ‘I VINU!Qualcuno si chiederà: «Ma un antico detto non recitava “a San Martino, castagne e vino”?!». Eh sì, ma nel caso in cui si organizza una festa alternativa, bisogna trovare un detto altrettanto alternativo! Dico ciò perché a qualcuno potrebbe sembrare strano il fatto che abbiamo festeggiato San Martino con ben 10 giorni di ritardo (il 21 novembre anziché l’11, data in cui solitamente lo si festeggia con castagne e vino novello), ma come siamo soliti fare qui in parrocchia, ogni scusa è buona per far festa. Così, anche se per diverse ragioni non è stato possibile festeggiarlo nella data che gli spetta, ci siamo inventati un “San Martino, 10 giorni dopo” e ci siamo adoperati per organizzare una serata all’insegna della condivisione e dell’allegria. La preparazione della festa ha inizialmente coinvolto i Giovanissimi della parrocchia, che si sono occupati dell’animazione, e il gruppo Giovani, incaricato di fare la spesa; ma per la riuscita dell’arrusti e mangia, fondamentale è stato l’aiuto degli adulti che, con la

supervisione di Padre Vittorio, hanno arrostito salsiccia e castagne per tutti noi. La serata ha avuto inizio proprio con un arrusti e mangia

generale: il classico panino con la salsiccia, bicchiere di vino, caldarroste e dolci; il tutto per la serie: “prima si pensa alla panza!” ed è

un supereroe del west, e il Pelandrino). Con tanto impegno e allegria, sono riusciti a coinvolgere tutti (o quasi), dai più piccoli ai più

grandi, destreggiandosi anche nella messa in scena di alcuni sketch, per poi procedere con i classici balli di gruppo che, come i dolci, ad

una festa non possono mai mancare. Con la collaborazione di tutti, grandi e piccini, è stato possibile creare quel clima di condivisione e allegria che caratterizza i momenti di fraternità vissuti dalla comunità parrocchiale, questo per ricordare a tutti che la parrocchia non è solo un luogo di culto, ma una grande famiglia, un posto in cui ognuno di noi può e dovrebbe sentirsi a casa. A tal proposito, colgo l’occasione per rivolgere un “benvenuto” alle famiglie che per la prima volta hanno partecipato alle iniziative della nostra parrocchia, ed un “bentornato” a chi invece, dopo un breve o lungo allontanamento, si è riavvicinato. Spero che questo Natale, oltre che portare pace e amore nelle nostre famiglie, possa infondere in tutti noi il desiderio di sperimentare la gioia della condivisione, affinchè tutti possiamo percepire la parrocchia come una vera grande famiglia.

Daniela Cavallaro

proseguita con l’animazione dei giovanissimi che, dopo aver diviso tutti i presenti in due squadre (da una parte gli uomini e dall’altra

le donne), hanno dato il via alle danze al suon dell’ormai famoso MASCHERINA (la storia del duello a lieto fine tra il Mascherina,

Momenti di fraternità parrocchiale durante la festa di S. Martino

IL NATALE SPIEGATO AI PICCOLIIl Natale è nei nostri cuori pieni di tanta gioia, ma soprattutto per la grande attesa che spesso ci faceva esclamare “Vieni Signore Gesù!”

e che finalmente si è compiuta. Quest’aria natalizia che abbiamo vissuto guardando le case da cui si intravedeva l’albero di natale illuminato, le luci a intermittenza che abbellivano i balconi, i negozi che mostravano tante cose belle con la gente che, pur essendo preoccupata e confusa per il periodo di crisi che si sta vivendo, si aggirava alla ricerca di qualche pensierino da poter comprare, risparmiando il più possibile. Quest’aria natalizia l’ho voluta portare nella classe che mi è stata affidata come catechista. Sono bambini di nove anni che si preparano a ricevere per la prima volta Gesù nel loro cuore. Mi è venuto facile, parlando di Gesù, inserire nel mio programma di catechesi il meraviglioso evento dell’Incarnazione e della Sua nascita. Così abbiamo parlato tanto del Santo Natale. I bambini erano elettrizzati perché nelle loro

case c’era aria di festa. Parlavano dell’albero, dei fili argentati per abbellirlo e di tutte quelle cose che rendono bella la festa. Io, invece, ho parlato loro del presepe, ho presentato i vari personaggi che lo compongono e ho invitato

tutti a prepararlo nella loro casa. Ho chiesto di riunirsi davanti al presepe per pregare ogni giorno in modo da preparare nel loro cuore una culla calda e accogliente capace di ricevere Gesù Bambino. Li ho invitati anche a fare qualche

piccolo gesto d’amore verso i poveri, perché Gesù vuole che nel nostro cuore regni sempre l’amore anche verso i nostri fratelli. I bambini hanno partecipato con gioia a quello che dicevo e hanno colorato con tanto interesse un

disegno della grotta. Ho invitato tutti a partecipare alla novena che si svolgeva in parrocchia per prepararsi ancora meglio al Santo Natale. L’ultimo giorno del nostro incontro abbiamo vissuto un momento di preghiera e di gioia, ci siamo scambiati gli auguri e abbiamo chiesto al Bambino Gesù di portare pace e serenità per tutto il mondo, come nella notte di 2009 anni fa, quando gli angeli annunciarono al mondo la nascita del nostro Salvatore cantando “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama”. Auguro a tutti un Santo e Buon Natale e felice Nuovo Anno.

Con affetto.

Laura Leonardi (Catechista)

L’evento più importante del mese di dicembre è ovviamente il Natale: la festa più dolce e tenera, piena di poesia, di ricordi e di buoni propositi. Natale è soprattutto un inno alla vita, che si eleva da tutto il creato rivolgendosi all’Autore della vita che si fa Bambino, compagno di viaggio della nostra vita: una vita calpestata, addirittura distrutta, tenuta in poco o nessun conto. Natale ritorna per ricordare l’aspetto sacro di ogni vita. La vita la considero come la bellezza e quindi la bellezza è vita. La vita è amore e l’amore è vita. Dio Creatore è il bello e l’amore. Una formichina, un fiorellino, un uccellino cantano a questa grande Vita. L’uomo è l’espressione della vita con la sua intelligenza e capacità d’amare, che lo fa simile a Dio. La vita è un valore ad ogni costo, è un valore supremo, superiore ad ogni altra cosa, che ad essa viene subordinata perché vi si trova Dio. Il Natale, appunto, con la sua magica atmosfera di luci, colori e alberi, ma a fare il Natale è soprattutto il presepe con la sua sacralità, che si esprime nel rinnovare il ricordo della nascita di Gesù Bambino ed ogni anno si ripropone il mistero della vita in ogni bambino, che si affaccia al mondo con la sua innocenza. Il

mondo va male, la società fallisce perché la vita è bistrattata. La mia mente inorridisce al pensiero di neonati che vengono buttati e ritrovati in un cassonetto come se fossero rifiuti, senza aver avuto neppure il tempo di capire di trovarsi al

mondo. Né poi si può pensare che l’uomo possa creare la vita con le proprie mani servendosi della scienza, perché la vita è un dono di Dio e anche questo è un modo di bistrattarla.. La nascita di un bimbo non è evento da laboratorio, ma è un atto d’amore, come un atto d’amore è stata la nascita di Gesù. Il presepio si sottrae allo scorrere

del tempo per essere rivissuto come una ritualità. La nascita di Gesù Bambino è un evento che riguarda ogni singola persona. Riguarda me! Il Natale è mio! Il Natale coinvolge tutta la mia vita, una vita pervasa da Dio. L’amore si riveste di tenerezza, di fragilità, di povertà. L’esperienza cristiana della mia vita ha inizio col Natale: il mio Natale è un incontro con una persona che è Dio. Ed ecco che, cari lettori, dobbiamo impegnarci ad essere buoni e socievoli ed accostarci l’uno in compagnia dell’altro verso il presepio, verso l’amore, verso la vita! Giuseppe Parisi

NATALE: L’INNO ALLA VITA!

Page 3: COMUNITA’ VITA DI - reginapacisgiarre.weebly.comreginapacisgiarre.weebly.com/uploads/1/4/1/2/...35x50_natale_2009.pdf · gli uomini. Attraverso Gesù di Nazareth, Dio in persona

VITA DI COMUNITA’ 3

LA SINDONE: “PASSIO CHRISTI, PASSIO HOMINIS”E’ di questi giorni la notizia apparsa sui media che nella primavera del 2010, dopo dieci anni dall’ostensione del Giubileo del 2000 e l’intervento di restauro conservativo del 2002, la Sindone sarà nuovamente esposta dal 10 Aprile al 23 Maggio nel Duomo di Torino, ostensione a cui parteciperà anche il Papa Benedetto XVI il 2 maggio. Ma cos’è la Sindone? La Sindone è un lenzuolo di lino tessuto a spina di pesce dalle misure m. 4,41 x1,13 su cui è impressa, oltre alle due linee scure e ai triangoli bianchi, la doppia immagine - frontale e dorsale - di un cadavere di un uomo morto in seguito ad una serie di torture culminate con la crocifissione. Secondo la Tradizione, si tratta del Lenzuolo citato nei Vangeli nel quale fu avvolto il corpo di Gesù durante il breve periodo di permanenza nel sepolcro e ritrovato dagli apostoli ripiegato in un angolo dopo la resurrezione, ma nonostante i numerosi riscontri dalle indagini scientifiche sul Lenzuolo, la tradizione non può ancora dirsi definitivamente provata. Per i credenti la Sindone, per la sua impronta, rappresenta un rimando diretto che ci aiuta a meditare la drammatica realtà della Passione di Gesù; una “foto” di Gesù martoriato di cui ancora si sconoscono le modalità d’impressione, sicuramente avvenuta

durante la gloriosa resurrezione. Una possibile storia ha visto la Sindone in oriente (Edessa, Costantinopoli, anno 1092) da dove sarebbe stata trasportata in Europa durante le Crociate. Le prime testimonianze documentarie sicure della Sindone risalgono alla metà del XIV secolo, quando il valoroso cavaliere e uomo di profonda fede Geoffroy de Charmy depose il Lenzuolo nella chiesa da lui fondata nel 1353 nel suo feudo di Lirey in Francia, non lontano da Troyes. Nel corso della prima metà del ‘400 a causa della Guerra dei Cento anni, Marguerite de Charmy ritirò la Sindone dalla chiesa di Lirey (1418) e la portò con sé nel suo peregrinare attraverso l’Europa finché trovò accoglienza presso la corte dei duchi di Savoia. Fu in quella occasione che avvenne il trasferimento della Sindone ai Savoia come risulta dagli atti giuridici intercorsi tra il duca Ludovico e Marguerite (1453). A partire del 1471 Amedeo IX il Beato, figlio di Ludovico, incominciò i lavori per ingrandire e abbellire la cappella del castello di Chambéry, capitale del Ducato, in previsione di una futura sistemazione della Sindone. Dopo una iniziale collocazione nella chiesa dei Francescani, la Sindone venne definitivamente riposta nella Sainte-Chapelle du Saint-Suaire. In questo contesto i Savoia

richiesero ed ottennero nel 1506 dal Papa Giulio II il riconoscimento di una festa liturgica

propria, per la quale fu scelto il giorno 4 maggio. Il 4 dicembre del 1532 un incendio devastò la

Sainte–Chapelle del castello di Chambéry e la Sindone fu danneggiata dal metallo fuso della teca in cui era custodita, provocando una serie di fori simmetrici al Lenzuolo ripiegato. Nel 1534 le Clarisse di Chambéry la ripararono sovrapponendo pezze di lino triangolari e cucite su una fodera di lino (Telo d’Olanda) per rendere più robusto l’insieme. Emanuele Filiberto trasferì definitivamente a Torino la Sindone il 14 settembre 1578, e venne conservata nel Duomo di Torino. Successivamente, dal 1694 la Sindone viene custodita nella Cappella della Sindone o Cappella del Guarini , che frate Guarino Guarini, architetto, progettò su commissione dei Savoia tra il Duomo e il Palazzo Reale, dove, nel corso dei secoli, è stata oggetto di numerose ostensioni pubbliche e private. Nel 1898 la Sindone venne fotografata dal fotografo Secondo Pia; il negativo della foto mostrò nei particolari tutti i segni che custodiva più di quanto si era finora visto dal vero “positivo” e da allora iniziarono studi tecnologicamente approfonditi sino alla ”prova datazione” col metodo del test Carbonio 14 del 1988. I risultati assegnarono al tessuto una data tra il 1260 e il 1390 d.c., che, tuttavia, parte della comunità scientifica ha rigettato in quanto la Sindone è stata oggetto di incendi che avranno

sicuramente falsato il test C14 ringiovanendola. Dal 1983 la Sindone è di proprietà della Santa Sede, lasciata in eredità dal Re Umberto II di Savoia a Papa Giovanni Paolo II. Nella notte tra l’11 e il 12 aprile del 1997 la Sindone viene salvata, ancora una volta, dal fuoco dell’incendio sviluppatosi all’interno della Cappella del Guarini dai pompieri, che a fatica tra le fiamme sfondarono la Teca in vetro blindato che custodiva la cassetta in legno e argento. Questa è brevemente la storia della Sindone, concludo questo articolo con la frase del Card. Severino Poletto Arcivescovo di Torino e Custode pontificio della Sindone: “Questa immagine, misteriosa per la scienza, sfida per l’intelligenza come l’ha definita Giovanni Paolo II, è per i credenti un grande segno della passione di Cristo … L’augurio che, come custode, faccio a tutti è che la Sindone possa essere, per chi vuole conoscerla, una grande opportunità per conoscere e amare meglio se stessi, i fratelli e il Signore Gesù Cristo”. Consultate il sito ufficiale www.sindone.org per info e prenotazione visita. L’evento merita un salto a Torino ed io ci sto seriamente pensando. Arrivederci e Auguri.

Salvo Cavallaro

Nella pastorale di comunione e speranza dell’OARI è scaturita la Federazione AVULSS, di cui quest’anno si è celebrato il trentesimo anniversario, nata a Brezzo di Bedero (Varese) su iniziativa ed ispirazione del sacerdote Giacomo Luzzetti (1931-1994). Don Giacomo aveva il carisma dii affascinare e di coinvolgere nella missione cui lo chiamò il Signore sin da giovanissimo: dare conforto e speranza a chi soffre nel corpo e nello spirito. Dopo un periodo trascorso in vari sanatori, iniziò a Brezzo la sua grande opera l’OARI, cui seguì, qualche anno dopo, l’AVULSS, associazione pioniera e profetica nel campo del volontariato. L’opera di Don Giacomo Luzietti è stata ricordata a Giarre nella sala delle conferenze dell’Istituto Sacro Cuore con queste sue parole:

“Se ti guardi attorno c’è sempre qualcuno che soffre per te,

c’è sempre qualcuno che ride o piange accanto a te,c’è sempre qualcuno che desidera parlare di te,

c’è sempre qualcuno che ha bisogno del tuo sorriso,c’è sempre qualcuno che ignora il suo vicino,c’è sempre qualcuno che sfugge il suo destino,

c’è sempre qualcuno che impegna bene il suo tempo,c’è sempre qualcuno che spreca il suo tempo,

se ti guardi attorno troverai ogni giorno qualcuno”.

E’ sotto gli occhi di tutti che il passaggio tra il secolo XX e il secolo XXI, che ha portato l’uomo nell’epoca della globalizzazione, ha causato dei cambiamenti epocali in ogni parte del pianeta. Credo, infatti, sia opportuno definire, innanzitutto, i tratti fondamentali del volontariato per come si sono strutturati nella storia plurisecolare che ha coinvolto tutti coloro

che per scelta hanno deciso di intraprendere questa esperienza. Si tratta di uomini e donne che, da soli o in gruppo, scelgono con motivazioni etiche di carattere religioso o laico di donare la loro solidarietà, la loro capacità di relazione, le proprie capacità e competenze ed una parte del tempo della loro vita a coloro che necessitano, per vari motivi, di aiuto, di

sostegno, di solidarietà, perché la vita li ha posti in condizioni di difficoltà e sofferenza che, se vissuti in solitudine ed in abbandono, possono essere intollerabili nello stillicidio della sofferenza quotidiana. La scelta etica, nata da un sentire religioso o da motivazioni che affondano le radici in ideali legati alla cultura laica, ha caratterizzato la storia di tutte le diverse strutture organizzate di volontariato che, nel corso dei secoli, si sono occupate di

confortare, sostenere, assistere ed aiutare quelli che si definiscono bisognosi. Le persone di cui i volontari si prendono cura sono uomini e donne che sono portatori di bisogni materiali – mangiare e bere, la salute, la possibilità di vivere in ambienti sani e decorosi – necessari alla sopravvivenza, il cui soddisfacimento è stato definito dall’Organizzazione Mondiale

della Sanità come condizione necessaria per garantire a tutta l’umanità uno stato di benessere vitale. Ma un’importanza altrettanto rilevante assumono i bisogni che possiamo ascrivere alla dimensione immateriale dell’uomo: bisogni di valori di riferimento per le scelte esistenziali e religiose, bisogni di relazioni affettive ed amicali, di solidarietà e di prossimità, di sostegno

e di aiuto psicologico per affrontare le difficoltà della vita e della quotidianità. Entrambe queste categorie di bisogni – materiali ed immateriali – sono sempre stati oggetto degli interventi dei volontari a favore delle persone che vivevano le situazioni di disagio conseguenti allo stato di necessità, che si sono realizzati nel corso del tempo, variando, a seconda dei diversi periodi

storici e dei sistemi sociali tipici di quei tempi. Appare evidente che un legame continuativo unisce nei secoli le categorie di bisognosi che defineremo “storici” e di cui i volontari si sono occupati: affamati ed ammalati senza speranza di sopravvivenza in ogni luogo della terra, uomini, donne e bambini poveri a volte oltre la soglia dell’indigenza, anziani poveri ed abbandonati

a sé stessi nelle loro abitazioni o nei ricoveri-contenitori, preda della solitudine più cupa, malati cronici ricoverati negli ospedali, bambini orfani in cerca non solo di chi li mantenesse, ma che fosse per loro una guida capace di orientarli nella vita che li attenderà da adulti. È tuttavia necessario, alla luce delle grandi trasformazioni economiche, sociali, culturali che stanno interessando su scala planetaria l’umanità agli inizi del Terzo Millennio, tracciare il nuovo orizzonte di intervento che si presenta come campo di azione per i volontari, definendo chi sono i nuovi soggetti bisognosi con i quali esplicano la loro attività e le loro caratteristiche sociali. Il tema di riflessione, che si propone in maniera ineludibile per l’umanità, è quello del presente e del futuro dell’uomo, di come può vivere nell’attuale situazione di precarietà e di incertezza, che diventa sovente una condizione di disagio umano e sociale, e di quale futuro lo attende: se un futuro da protagonista della vita economica e sociale del mondo oppure ancora un futuro nel quale egli sarà solo l’interprete di un ruolo che altri hanno pensato e costruito per lui. Auspicando che l’uomo sarà protagonista del mondo, del proprio destino, guidato da forti valori di solidarietà e di reciprocità ai suoi simili, possiamo allora ritenere che dalla attuale incertezza potrà finalmente nascere un’alternativa che veda l’uomo al centro del mondo, in una società che avrà superato il materialismo e la disgregazione dei valori causata dalla corsa verso l’egoismo, perdendo quella comunione che ci rende veri figli di Dio.

Giuseppe Teodoro Daidone Volontario AVULSS Giarre

L’UOMO PROFETA DEL SUO TEMPOnella vocazione cristiana di comunione nel mondo della sofferenza

I volontari dell’Associazione AVULSS di Giarre

“Dio è così grande che può farsi piccolo. Dio è così potente che può farsi inerme e venirci incontro come bimbo indifeso, affinché noi possiamo amarlo” (Benedetto XVI). Il mondo è immerso nel ghiaccio dell’indifferenza e dell’egoismo che blocca ogni slancio e ogni iniziativa di bene . In questo difficile contesto occorrono cristiani che facciano dell’amore il senso della loro vita , come il Cristo : “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse acceso.” (Lc.12,49) Ecco la vocazione di ogni cristiano, in qualsiasi stato o condizione si trovi : lasciarsi invadere da questo fuoco divino e diventarne trasmettitori . L’amore è tutto, certamente,ma per amare occorre tanta buona volontà e perché questa sia capace di vero amore ha bisogno del terreno adatto e dell’atmosfera vitale che è la “piccolezza evangelica”. Quindi non l’amore secondo il pensare umano, ma l’amore stesso che è in Dio. La semplicità può essere concepita come vero e proprio stile di vita, un modo di essere cristiani che ci aiuta ad essere più autentici: semplici come Dio, che si manifesta senza inganni, in purezza e senza nascondersi dietro a nulla. Oggi i cristiani siamo chiamati a rispondere della nostra vocazione missionaria, di riferirci a Cristo e di esserne testimoni: rivelarci missionari

e non “dimissionari”, cioè essere in grado di superare la tentazione di ripiegarci su noi stessi e di “lasciar perdere” e invece rimboccarsi le maniche nell’impegno concreto del cristiano, come l’ottica della semplicità suggerisce. Quindi mi piace pensare che il Natale non sia tanto un appello alla buona volontà degli uomini ad impegnarsi a fare il bene o a costruire la pace, ma piuttosto l’ingresso nella storia della buona volontà di Dio che con questo gesto carico di Mistero insondabile, ci eleva a rango di figli suoi, ci comunica la sua volontà di amarci incondizionatamente. E’ questa gratuità di Dio ad amare che stravolge il cuore degli uomini, che provoca l’irrequietezza del cuore spingendoci a vincere le nostre paure che intrappolano l’amore che Dio ha depositato nel nostro cuore. Questo amore di Dio è il Mistero del Natale ed è questo amore capace di dono e di sofferenza che siamo invitati a vivere nelle relazioni in famiglia e in tutte le realtà in cui operiamo. Quindi il Natale per noi cristiani è la rinnovata capacità di stupirsi davanti a Dio che viene in cerca dell’uomo per condividere in tutto la nostra condizione umana, per insegnare a dare valore, senso e speranza all’esistenza di ogni uomo e donna, ad ogni famiglia sulla terra. Natale è non rinnegare il Salvatore: “Venne tra la sua gente,

ma i suoi non l’hanno accolto.” Ciò avviene quando lo riduciamo a Babbo Natale, ad una festa consumistica,ad un giorno in cui facciamo spazio ai buoni sentimenti che durano soltanto un giorno l’anno. Natale è mettersi in cammino verso Gesù, mamma, papà, figli, superando la pigrizia, l’indifferenza, la paura del giudizio degli altri, pregando insieme. Natale è adorare “Siamo venuti per adorarlo…e prostratisi lo

adorarono”: ciò per ricordare ed accettare la nostra condizione di creature fragili, aprendoci al dono di Dio, adorando il Bambino che oggi si dona a noi attraverso il Boccone Eucaristico. Il Beato Giacomo Cusmano bruciava d’amore per la SS. Eucarestia, perché Essa è il Sacramento dell’Amore e per questo orientò le sue giornate verso Cristo Sacramentato che è il Sole Divino che illuminò ogni istante l’orizzonte della sua

NATALE : SEMPLICITA’ DI ESSERE CRISTIANIvita sacerdotale. Egli non si credeva degno di essere sacerdote; giacchè lo era, bisognava esserlo in tutta l’estensione, imitando Gesù. Per il suo sacerdozio sentiva d’esser ministro e cavaliere di Gesù: se il mondo non credeva a Lui come sacerdote, avrebbe creduto alla Sua carità. “Beato l’uomo che comprende le afflizioni dei Poveri e si adopera per consolarli”. Da qui l’intuizione della fondazione dell’Opera del Boccone del Povero. L’azione dell’apostolo, che vive interiormente della vita Eucaristica ha una grande potenza d’irradiazione, secondo la promessa di Gesù: “Colui che rimane in Me, e nel quale Io rimango, questi porta molto frutto.” (Giov.15.5). Perciò il servo di Dio raccomandava di “crescere attorno alla fonte Eucaristica per essere sempre abbondati dallo Spirito Santo”. Parlando di semplicità, di Eucarestia, un pensiero non può non essere rivolto alla Madonna che Beato G. Cusmano chiamava La Madre Celeste. “Per Maria a Gesù”. Infatti è la Madre Celeste che ci porta dolcemente a Gesù che ci avvicina a Lui quanto più noi di affidiamo a Lei che, proprio per la Sua umiltà, è stata guardata da Dio, come si recita nella preghiera del Magnificat. Il Santo Curato D’Ars di Maria ebbe a dire che: “Il Suo cuore è così tenero per noi che tutti i cuori di tutte le madri,

riuniti in uno solo, sarebbero che un pezzo di ghiaccio davanti al Suo”. Vorrei concludere questo articolo informando che l’Associazione “G. Cusmano” giorno 6 novembre u.s. ha iniziato la propria attività associativa con la seguente programmazione: 1° venerdì di ogni mese, alle ore 16.00, Adorazione Eucaristica, aperta a tutti coloro che desiderano condividere un momento di raccoglimento e di preghiera con Gesù. 3° venerdì di ogni mese attività di catechesi con tema annuale: “S.Paolo e il Beato G. Cusmano. Studio ed accostamento degli scritti e del pensiero”. Si effettuano i seguenti servizi: Ministri straordinari della Comunione, Caritas, visita agli ammalati e agli anziani .Qualora in Parrocchia vi siano persone inferme che desiderano ricevere l’Eucarestia possono contattare il parroco Padre Vittorio Sinopoli che provvederà ad assegnare un addetto/a a tale finalità. Nella speranza che l’anno 2010 che sta per arrivare sia migliore di quest’anno che sta per spegnersi, auguro un Buon Natale all’insegna della conversione del cuore ed un Sereno Anno Nuovo.

Per l’Associazione “G. Cusmano” Anna Maria Gulisano

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VITA DI COMUNITA’4

La comunità parrocchiale si unisce in preghiera nel rendimento di grazie a Dio per tali eventi:

BATTESIMI

19/07/2009 Giunta Clara 01/08/2009 Villari Ilaria Rita 02/08/2009 La Rosa Cristina 23/08/2009 Proietto Entoni 25/08/2009 Giuffrida Riccardo 20/09/2009 Pulvirenti Aurora 27/09/2009 Vasta Sofia Maria Rita 27/09/2009 Privitera Alessio Salvatore 04/10/2009 Papa Alessandro Carmelo Francesco 04/10/2009 Hernandez Alejandro Rodrigo 11/10/2009 Cocciante Vincenzo 18/10/2009 Proietto Russo Asia e Proietto Russo Alessandra

25° ANNIVERSARIO DI MATRIMONIO

15/09/2009 Fichera Giuseppe e Fichera Maria Rita 13/10/2009 Tomarchio Giovanni e Samperi Vera 31/10/2009 Vitale Carmelo e Grasso Rosa

50° ANNIVERSARIO DI MATRIMONIO

19/07/2009 Monterosso Giuseppe e Palermo Rosaria 22/08/2009 Di Prima Antonino e Del Popolo Chiappazzo Maria

AVVISI

MINISTRI STRAORDINARI DELLA S. COMUNIONE“Il servo dei poveri, il tre volte piccolo”

Il Ministero Straordinario della S. Comunione, che supplisce o integra gli altri ministeri istituiti, costituisce un servizio liturgico intimamente connesso con la carità e destinato soprattutto ai malati e alle assemblee numerose. L’istituzione di questo ministero trova la sua ragion d’essere, in primo luogo, nell’attenzione pastorale verso coloro che non possono prendere parte alla celebrazione dell’Eucarestia e che, tuttavia, sono profondamente uniti a Cristo e alla Chiesa mediante la loro sofferenza. In secondo luogo, esso nasce dall’esigenza di aiutare i ministri ordinari nella distribuzione dell’Eucarestia, qualora il numero elevato di fedeli lo richiedesse. Due precisazioni appaiono fondamentali per la comprensione dell’argomento. La prima rimanda alle origini storiche di questo ministero, la seconda al concetto di ministerialità come intesa nella Chiesa post – conciliare. Dal punto

di vista storico e liturgico, pensare che la figura del ministro straordinario dell’Eucarestia sia un portato degli anni recenti è un grave errore. In vero, fin dal II secolo d.C., la storia della Chiesa conosce dei fedeli laici con il compito di conservare presso sé e di distribuire la S. Comunione come viatico per i fratelli in punto di morte. Questa necessità, come si comprende facilmente, era strettamente connessa con i tempi: le comunità cristiane di allora erano di piccole dimensioni, sparse in vasti territori, indifese e soventi vittime di atroci persecuzioni perpetuate dai pagani. Da queste necessità nacque in origine la figura del ministro straordinario della Comunione. La seconda precisazione riguarda invece il concetto stesso di “ministerialità”. “Ministro”, contrariamente al comune linguaggio, non definisce colui che si pone per poteri, importanza o qualità al di sopra

degli altri bensì, facendo proprio il principio proclamato da Gesù, colui il quale si pone al servizio degli altri: “Il servo dei servi, il tre volte piccolo”. Non c’è bisogno di ribadire che il ministero, così inteso, appare indissolubilmente legato alla dimensione di servizio al prossimo. Se con il Concilio di Trento tutto venne incentrato nella figura del presbitero, con il Concilio Vaticano II si avverte un’inversione di tendenza verso una crescente coresponsabilizzazione pastorale del laicato e, come si disse, del suo essere assieme dei propri pastori (un solo popolo di Dio). Portare la S. Comunione al domicilio di anziani, ammalati ed infermi impossibilitati a recarsi in Chiesa è lo scopo principale che ha spinto all’istituzione di questo ministero! Portare Gesù a coloro che hanno più bisogno di Lui in modo particolare nei giorni festivi ed in contiguità con le celebrazioni liturgiche

in modo da creare veramente il senso della “comunità celebrante” con tutti i fedeli anche anziani e ammalati. In questi casi il ministro si fà portatore del duplice dono del pane consacrato e della Parola di Dio secondo le modalità stabilite nel rito della comunione agli infermi data dal ministro straordinario. E’ importante sottolineare, in questo contesto, il contributo tutto particolare che la donna può portare a questo ministero, soprattutto nella misura in cui esso è vissuto nella dimensione della carità nei confronti di anziani, handicappati ed infermi. In questo mondo, infatti, si esplica in modo sublime la sollecitudine femminile verso il dolore e la sofferenza, contribuendo ad un’efficace apostolato d’ambiente sempre coadiuvato dal presbitero. Inoltre si aggiunge: “Il fedele designato come ministro straordinario della S. Comunione deve essere debitamente preparato

e distinguersi per fede, vita cristiana e condotta morale. Si sforzi di essere all’altezza di questo grande ufficio, coltivi la pietà Eucaristica e sia di esempio a tutti i fedeli per il rispetto e la devozione verso il Santissimo Sacramento dell’altare” (cfr. A. Bergamini, pag 17-18). Con queste poche righe, ho voluto, a nome di tutti i ministri straordinari della Parrocchia, mettere in risalto la figura del ministro straordinario e le qualità che deve possedere per essere al servizio del popolo di Dio, come Gesù ci ha insegnato. Noi ministri straordinari auguriamo a tutta la comunità Parrocchiale “Regina Pacis” un sereno Natale e un buon Anno Nuovo.

Auguri!!!! da Piera Cardillo Fedel

LA NOSTRA FEDE, IL CROCIFISSO E DINTORNI…

Le recenti polemiche sul collocamento dei crocifissi nelle aule scolastiche e più in generale negli edifici pubblici, scaturite da una sentenza-monito enunciata dall’Alta Corte di Giustizia Europea qualche mese addietro, hanno messo in rilievo un aspetto decisivo della società italiana e più in generale europea: la costante scristianizzazione del vecchio continente.Cioè quel processo sociale e collettivo che vede sempre più l’uomo distante da Dio, da Nostro Signore Gesù Cristo e dall’insegnamento dottrinale della Chiesa e che, sull’onda del relativismo e del materialismo contemporaneo conformati su esempi spesso negativi, lo colloca in un contesto posto al di fuori della Grazia e dell’Amore divino. Per rendersi conto di quanto sta avvenendo non è necessario che lo ricordi ogni domenica, durante il consueto Angelus, il nostro beneamato sommo pontefice Benedetto XVI: basta solo guardare la percentuale di coloro che si accostano ai sacramenti, alla preghiera o alla liturgia della Parola domenicale. In una recente indagine demoscopica pubblicata sei mesi or sono dal Censis su un campione di circa seimila intervistati, è emerso che sull’87,97% di italiani (percentuale in calo rispetto a dieci anni or sono di circa due punti percentuale!) che ad oggi si proclamano cattolici o cristiani molto vicini al cattolicesimo, solo il 5,4% degli intervistati si accosta regolarmente alla liturgia ed ai sacramenti, mentre solo il 17,6% si accosta regolarmente alla Messa domenicale e un ridotto 19,5% dichiara di pregare almeno una volta al giorno Nostro Signore! La restante parte invece

si accosta alla comunità ecclesiale o in occasione degli eventi liturgici annuali forti (Natale e Pasqua) o in occasione di eventi particolari quali le feste patronali. Quindi meno di un quinto degli intervistati partecipa regolarmente o vive continuamente il messaggio salvifico di Nostro Signore o vive quantomeno una dinamica comunitaria come quella parrocchiale! Come mai quindi il messaggio cristiano, che per secoli ha infuso Fede e Speranza a milioni di persone in tutto il mondo, non riesce più ad attecchire in una società occidentale sempre più annichilita dalla crisi e dal pessimismo crescente? Per quale causa le nostre comunità non sono più quei luoghi accoglienti e sicuri, quali erano sino ad un trentennio fa? Quale ragione spinge le persone, nei nostri contesti sociali, a non affidarsi più allo spirito comunitario delle parrocchie? Sebbene nel passato la Chiesa abbia rappresentato un solido argine contro invasioni, guerre, eresie, pestilenze, abbandono e gravi misfatti, oggi sembra che ciò non sia più reale da affermare. Fino a non molto tempo fa si diceva che l’idea del consumismo e dell’edonismo, alterando i principi base del vivere cristiano, era stata la causa principale dell’allontanamento dell’uomo da Dio. Ma in tempi di crisi come questi che stiamo vivendo, dove centinaia di individui lottano ogni giorno per il vivere quotidiano spesso senza riuscirci, può ancora essere valida questa regola? E se ciò non è più valido, come mai la Chiesa non sta rappresentando un faro di Speranza, come nel passato, per l’intera collettività? Chi scrive, pur non avendo intenzione di dare

responsabilità dirette a nessuno, in quanto come dice lo scritto evangelico «quelli di voi che è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei» (Giov.8,24–7) e comunque, appartenendo ad una comunità, anch’egli è chiamato responsabilmente a rispondere di tutto, tuttavia alcune considerazioni intende farle, per il bene della nostra comunità e di

tutte le comunità ecclesiali. In primo luogo, al fine di rispondere alle domande su esposte, è indispensabile fare un rilievo triste ma, al tempo stesso, utile per meglio comprendere le dinamiche che oggi stiamo vivendo: la Chiesa, vuoi per lo scarso comunitarismo che si vive sia dentro che fuori, cioè nei quartieri o nei centri in cui sorge, o vuoi per l’assoluto anonimato con cui si vive attualmente il messaggio cristiano,

sembra non essere più il fulcro sociale di un territorio. Ciò principalmente per due ordini di motivi: il primo riguarda lo scarso apostolato che tutti noi svolgiamo al di fuori delle mura ecclesiastiche, quindi dai sacerdoti all’ultimo dei fedeli; il secondo invece riguarda la scarsa propensione che spesso si ha, a svolgere servizi o mansioni senza alcun fine o lucro personale. Forse perché il raggiungimento di determinati obbiettivi, dal punto di vista sociale fornisce una maggiore gratificazione? Niente affatto!Anzi. Se si guarda al vasto mondo del cosiddetto Terzo settore, si vede che sempre più persone ed in particolare giovani vi aderiscono e che sempre più spesso questo non ha alcunché di cristiano. Non volendone assolutamente sminuire l’opera di costoro, se fatta a fin di bene, o quantomeno non volendone fare una questione di bandiera, questo fenomeno deve porre degli interrogativi profondi. Difatti, se la nostra Fede in Dio si compone di due aspetti, quello privato o interiore rappresentato dalla preghiera e quello pubblico o sociale rappresentato dall’apostolato, in cui l’uno non può prescindere dalla presenza dell’altro, allora rischiamo di vivere una gioia a metà! Tornando quindi alla questione del crocifisso, esso per tutti noi cristiani deve rappresentare uno stimolo in più nel ribadire la necessità sociale della dottrina cristiana e dell’agire apostolico all’interno della società, da associare e sublimare con un operoso cammino cristiano fatto di preghiera e di morigerata condotta di vita. Soprattutto in tempi cupi e di crisi economica e spirituale come questi, in cui

l’uomo brancola tra le tenebre dello sconforto e della disperazione senza meta, il ribadire questo aspetto, più con le opere che con le parole, da un canto aiuta la gente a patire meno la solitudine e dall’altro aiuta la chiesa ad uscire da un immobilismo senza costrutto per sé e per i fedeli. Quindi non si può essere d’accordo con chi, ahimè a volte anche con il nostro stesso e amato papa, dice che il crocifisso nelle scuole è un simbolo culturale: poiché in tale guisa si rischia di ammettere che il cristianesimo è quasi un movimento di opinione, invece di essere, perché è necessario che lo sia, uno dei capisaldi della nostra società! Perché se Cristo crocifisso è Amore incommensurabile di Dio verso l’uomo e, come ha scritto lo stesso sommo pontefice nell’enciclica Deus Caritas est, «l’amore – caritas – è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace» (Cit. Pag.1), noi non possiamo, non dobbiamo rimanere insensibili a questo messaggio! Chiediamo quindi, tutti noi, al Bambino Gesù che questa notte verrà di nuovo a portare la Speranza nel mondo, di farci riappropriare del nostro coraggio di essere cristiani e di farci essere nuovamente tutti, sacerdoti e laici, al servizio autentico della sua opera. Buon Natale ed un sereno, felice e fecondo anno nuovo a tutta la comunità parrocchiale “Regina Pacis”!

Andrea Camarda

Hanno contribuito alla realizzazione di questo

numero di “Vita di Comunità”:

1. Padre Vittorio Sinopoli SdP;

2. Padre Juan Silva SdP (Padre Giovanni);

3. Giuseppe Visconte;

4. Salvo Cavallaro;

5. Daniela Cavallaro;

6. Giuseppe Parisi;

7. Laura Leonardi;

8. Giuseppe Teodoro Daidone;

9. Anna Maria Gulisano;

10. Andrea Camarda;

11. Piera Cardillo;

12. Giovanna Calì.

NATALE !!! E’ mezzanotte!

Ti vedo, piccolo Gesù, nella Tua grotta dove,

su fredda e dura paglia, giaci per me.

Io sono qui ai Tuoi piedi,

Ti contemplo ed estasiata Ti dico che Ti amo.

Sì, mio Gesù, Ti amo!.

Ma poi il labbro tace, non Ti sa dire altro.

Sono qui stordita e un po’ confusa,

Ti guardo e … mi perdo nel mistero.

Ma, ad un tratto, all’improvviso,

esplode dal mio cuore,

nel silenzio della notte santa,

rotto dal suono delle campane,

pieno di profumo d’incenso,

di palpiti d’amore, di preghiera,

di lacrime e richieste,

di sospiri e speranze,

un “Grazie” grande, grande assai.

Poi gli occhi si posano su Te, che sull’altare,

con le braccia aperte, mi dici:

“Spera in Me, dammi il tuo cuore”

Il mio sguardo, Signore, s’alza ancora;

Si ferma un po’ sul Tuo tabernacolo,

dove sei vivo e vero,

dove aspetti con ansia di donarTi a me.

Poi si alza ancora un po’,

per fermarsi lassù sulla Tua croce.

Che mistero d’amore!

Io non respiro più, non vedo nulla,

non sento nulla, solo il cuore batte…

Torno a posare gli occhi sull’altare,

mentre il coro canta il “Gloria”.

Li alzo ancora lentamente, più su, più su,

fino al Tuo cuore,

e in quel momento mi trovo a sussurrare:

“Ti adoro, o Gesù mio, mio Salvatore”.

Giovanna Calì