Comunicazione, marketing e pubblicità

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La comunicazione post-moderna - D. Pitteri 1. La comunicazione d’impresa Per “comunicazione d’impresa” si intende l’insieme delle attività che devono essere attuate da un’azienda dal punto di vista comunicativo. La comunicazione d’impresa si suddivide in tre settori differenti: comunicazione interna, considerata poi organizzativa, dato, questo, che è prova del mutamento del segno della comunicazione, non più solo mero canale di trasmissione, ma anche valido strumento di connessione; comunicazione istituzionale; comunicazione commerciale. In particolare, questi ultimi due ambiti della comunicazione d’impresa, riferendosi a pubblici esterni all’azienda, costituiscono a loro volta le due componenti principali della comunicazione esterna all’impresa. Inizialmente, la comunicazione interna riguardava la trasmissione delle informazioni tra i vertici dirigenziali e i dipendenti e tra gli stessi dipendenti dell’azienda. In realtà, il pubblico interno di un’azienda risulta essere estremamente articolato. Infatti, rientrano tra i pubblici interni: azionisti, i consigli d’amministrazione, dipendenti, revisori dei conti, consigli dei sindaci, azionisti, fornitori di materiali per la gestione ordinaria (es. cancelleria), fornitori di servizi (es. pulizia, mensa), aziende fornitrici (indotto), sindacati (in virtù Augusto Cocorullo 1

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La comunicazione post-moderna - D. Pitteri

1. La comunicazione d’impresa

Per “comunicazione d’impresa” si intende l’insieme delle attività che devono

essere attuate da un’azienda dal punto di vista comunicativo. La comunicazione

d’impresa si suddivide in tre settori differenti:

comunicazione interna, considerata poi organizzativa, dato, questo, che è prova

del mutamento del segno della comunicazione, non più solo mero canale di

trasmissione, ma anche valido strumento di connessione;

comunicazione istituzionale;

comunicazione commerciale.

In particolare, questi ultimi due ambiti della comunicazione d’impresa,

riferendosi a pubblici esterni all’azienda, costituiscono a loro volta le due componenti

principali della comunicazione esterna all’impresa.

Inizialmente, la comunicazione interna riguardava la trasmissione delle

informazioni tra i vertici dirigenziali e i dipendenti e tra gli stessi dipendenti

dell’azienda. In realtà, il pubblico interno di un’azienda risulta essere estremamente

articolato. Infatti, rientrano tra i pubblici interni: azionisti, i consigli d’amministrazione,

dipendenti, revisori dei conti, consigli dei sindaci, azionisti, fornitori di materiali per la

gestione ordinaria (es. cancelleria), fornitori di servizi (es. pulizia, mensa), aziende

fornitrici (indotto), sindacati (in virtù del fatto che spesso può essercene una

rappresentanza interna all’impresa stessa), consulenti finanziari, consulenti legali,

commercialisti, progettisti, consulenti della comunicazione. Da questa rassegna, appare

alquanto evidente la molteplicità di pubblici interni cui l’azienda deve rivolgersi

instaurando, pertanto, diverse tipologie di relazioni a seconda del tipo di pubblico di

riferimento. Nello specifico, è possibile distinguere tra:

relazioni informative, attraverso e con pubblici prevalentemente lontani;

relazioni organizzative, finalizzate alla connessione delle parti interne

dell’azienda.

Gli strumenti mediante i quali è possibile attivare flussi di comunicazione

interna possono essere così distinti: per relazioni del primo tipo, House Organ,

newsletter, email, bacheche, atti a favorire un’efficace diramazione delle informazioni;

per relazioni del secondo tipo, reti intranet, social network appositi.

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La comunicazione esterna, come anticipato, si suddivide a sua volta in

comunicazione istituzionale e comunicazione commerciale. La comunicazione

istituzionale si pone l’obiettivo primario di mantenere su livelli elevati la reputazione

dell’azienda presso una serie di soggetti prossimi o non all’impresa. I pubblici di

riferimento possono essere così distinti: aziende vicine, cittadini, istituzioni, stampa,

stakeholders, gruppi di interesse, sindacati. La buona reputazione di un’impresa presso

suddette tipologie di pubblici favorisce una migliore ricezione dei prodotti aziendali, un

maggiore apprezzamento delle qualità dell’impresa, una più efficace gestione dei

momenti di crisi. In particolare, essendo mutati i criteri di valutazione delle imprese

adottati dai consumatori - non più interessati al mero dato industriale (es. qualità della

merce, prezzo), ma sempre più attenti al codice etico e alla responsabilità sociale

d’impresa -, risulta fondamentale per l’azienda godere di una buona reputazione,

soprattutto per il progressivo aumento dei livelli di concorrenza in molti dei settori

produttivi. Gli strumenti di comunicazione possono essere suddivisi in quattro tipologie:

media relations, per mantenere relazioni costanti con giornalisti e rappresentanti

degli organi di stampa;

relazioni pubbliche, prevalentemente rivolte ad enti locali, stakeholders,

associazioni dei consumatori;

comunicazione mediale, da implementare attraverso i sistemi mediali e mass

mediali;

attività ed eventi, realizzabili in diverse forme di promozione o

sponsorizzazione.

Infine, la comunicazione commerciale (o di prodotto), che trova il suo esempio

più emblematico nella pubblicità, ha lo scopo di promuovere i prodotti aziendali. La

comunicazione commerciale deve essere calibrata a seconda del tipo di prodotto, dei

pubblici cui si riferisce, e costituisce una delle quattro leve operative del marketing (4P

- Product, Price, Place, Promotion). La pubblicità, elogiando il prodotto cui si riferisce,

e servendosi di un linguaggio promozionale fondato sul piano economico, mira a far

ricordare al consumatore specifiche caratteristiche o qualità di quella merce, riuscendo,

in tal modo, a far ottenere un buon posizionamento sul mercato. Nello specifico, la

comunicazione commerciale si attua attraverso due tipologie di canali:

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mass media (radio, televisione, ma anche cinema e manifesti), del tipo dunque

“uno-a-molti” e senza feedback;

strumenti below the line, (volantini, cataloghi); ma anche mediante promotion in

store (direttamente sul soggetto al momento dell’acquisto).

Con l’avvento di internet e la presenza pervasiva del web 2.0, la comunicazione

d’impresa ha subito profonde e radicali trasformazioni, costringendo le aziende ad

adeguarsi al nuovo contesto socio-economico attraverso una modifica sostanziale delle

modalità comunicative fino a quel momento utilizzate. Tra la fine del Novecento e i

primi decenni del nuovo millennio, sono nate nuove forme di “marketing non

convenzionale” che si aggiungono alle precedenti complicando oltremodo il campo di

studi in analisi.

2. Le cinque fasi del consumo: dal dopoguerra ai giorni nostri

Occorre comprendere i motivi per i quali si è verificata un’inversione di

tendenza in termini di determinazione della produzione per opera del consumatore.

Mentre in passato la produzione determinava il consumo, nel contesto contemporaneo è

il consumo a orientare la produzione. Allo scopo di comprendere i fattori che hanno

favorito il delinearsi di tale percorso, è necessario ripercorrere le tappe principali del

processo evolutivo che ha interessato la sfera dei consumi. Il modello, pur presentando

le medesime caratteristiche e la stessa scansione delle fasi nella considerevole varietà di

contesti socio-culturali differenti, tuttavia risulta situarsi in epoche diverse a seconda

dell’area geografica che si considera, proprio per le notevoli differenze che è possibile

registrare in materia di sviluppo economico e industriale.

Nello specifico, negli Stati Uniti, in Francia e in Gran Bretagna, la nascita e lo

sviluppo della grande industria possono collocarsi dal punto di vista cronologico

nell’Ottocento. In Italia, invece, a causa dei numerosi problemi socio-politici, legati

prevalentemente alle guerre mondiali ed ai numerosi conflitti interni al paese, la crescita

economica fu ritardata alquanto. In particolare, al termine della Prima Guerra Mondiale,

nel contesto italiano prese avvio un periodo di forti turbolenze; l’alleanza con la

Germania e l’adozione delle leggi razziali influirono negativamente sullo sviluppo

industriale, nella misura in cui la Lega ONU escluse da commerci proprio quei paesi

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che condividevano idee razziste. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale anche in Italia

si diede inizio ai lavori per lo sviluppo industriale e la crescita economica del paese.

Tra il 13 ed il 14 aprile del 1945 riunitisi a Yalta Churchill, Stalin e Roosevelt, si

decise che l’Europa e il versante atlantico sarebbero stati assegnati agli Stati Uniti che,

di conseguenza, avrebbero dovuto attivarsi al fine di promuovere una rinascita generale

dopo le tragiche vicende belliche da poco conclusesi. Il piano Marshall, appunto, si

proponeva di rilanciare l’economia europea e non solo. In seguito al referendum per la

scelta tra monarchia e repubblica, con la relativa e storica vittoria della seconda

istituzione, eletta l’assemblea Costituente, questa dopo un anno realizzò la Carta

Costituzionale che entrò in vigore il 1° gennaio del 1948 con il primo governo De

Gasperi. Conquistata la fiducia da parte degli Stati Uniti, ed ottenuti i finanziamenti da

parte di questi ultimi, l’Italia diede ufficialmente inizio ai lavori per l’ascesa economica

e lo sviluppo industriale.

Nel periodo del dopoguerra, molte aziende, non avendo subito danni ingenti dal

conflitto, riuscirono a riprendere una normale attività commerciale. Altre, invece,

furono costrette a ricostruire dalle fondamenta la propria struttura produttiva o a

riprendere, variandole, le linee di produzione adottate anche prima della guerra. A tal

proposito, risulta emblematico il caso della Piaggio. Inizialmente, infatti, l’azienda si

occupava della produzione di motori d’aviazione, per questo motivo, in quanto obiettivo

militare, venne distrutta in seguito ai bombardamenti anglo-statunitensi. Nel

dopoguerra, D’Ascanio, ingegnere dell’azienda, con grande spirito innovativo, decise di

istallare il motore degli aerei, con un diverso orientamento, allo scheletro del Paperino

– prototipo progettato nel 1944 e mai commercializzato –, inventando uno dei mezzi di

trasporto più diffuso in assoluto. La Vespa, infatti, venne lanciata sul mercato nel 1947

ed aveva come rivale la Lambretta della Innocenti. Nel 1949, la Piaggio vende un

milione di esemplari in Sud America ed in generale all’estero.

In questo periodo, in Italia, presero forma numerose innovazioni e, in tal senso,

un esempio emblematico è costituito dall’automobile utilitaria della Fiat. La fabbrica

torinese, prediligendo criteri di progettazione di tipo funzionale, inventò suddetta

tipologia di veicolo, rivoluzionando drasticamente il settore dei trasporti, creando quindi

un prodotto adatto alle famiglie e ad un pubblico massificato, nonché indicato per

percorsi brevi e poco agevoli, come, ad esempio, quelli dei centri storici e dei piccoli

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paesi. Tra la fine degli anni ‘40 e l’inizio degli anni ‘50, grazie ad una maggiore

circolazione di denaro, iniziarono a diffondersi le Vespe anche in Italia. Il primo spot

pubblicitario prodotto dalla Piaggio, sancendo definitivamente l’avvio della

motorizzazione di massa, aveva come protagonista una famiglia composta da quattro

persone che, spostandosi appunto in vespa (senza indossare il casco), intendeva

evidenziare il duplice utilizzo cui la Vespa si sarebbe prestata: veicolo per la famiglia e

il tempo libero, ma anche pratico mezzo di trasporto per il lavoratore che aveva

necessità di spostarsi dalla periferia verso la città al fine di raggiungere la propria sede

lavorativa.

In questo stesso periodo, caratterizzato da un diffuso spirito innovativo, nacque

il fotoromanzo che registrò subito un grande successo sia in Italia che all’estero,

soprattutto in Spagna e Francia. Successivamente, Angelo Rizzoli, volendo rilanciare il

settimanale d’attualità Oggi, ne affidò la direzione a Edilio Rusconi, il quale si dedicò

all’ascolto ed alla relativa diffusione delle opinioni di coloro che, nell’ambito del

referendum del 1946, avevano votato per la monarchia. In poche settimane furono

venduti milioni di copie, e lo stesso Rusconi fondò nel 1956 il settimanale Gente

ampliando i confini del pubblico di riferimento. Seguirono i settimanali d’inchiesta,

quali, ad esempio, Europa e il Tempo.

I quotidiani, invece, non ebbero grande diffusione, almeno fino a quando Enrico

Mattei, eroe della Resistenza entrato a Milano tra i partigiani in quel celebre 25 aprile,

compresa l’importanza ricoperta dalla diffusione delle informazioni, decise di rilanciare

questo strumento per la sua battaglia. Allo stesso tempo, nominato commissario

liquidatore dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI), rilevata l’azienda, sconvolse i

mercati mondiali, implementando politiche di giustizia socio-economica nei riguardi dei

paesi dai quali il petrolio veniva importato, facendo dell’Italia un temibile concorrente

delle altre potenze che, proprio sul commercio del petrolio, fondavano la propria

economia. Per questo motivo, Mattei fu vittima di un attentato nel 1962. Ma prima,

avendo raggiunto livelli di potere estremamente elevati, realizzò di dover disporre di un

canale attraverso il quale diffondere e divulgare il prestigio acquisito, con l’intento di

favorire una circolazione delle informazioni incontaminata e rivolta al vasto pubblico:

nacque così il Giorno. Mattei decise altresì di dedicare una sezione alla cronaca

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sportiva, la cui direzione fu affidata a Brera, costringendo gli altri giornalisti ad

adeguarsi a quel format giornalistico. Nel 1955 il paese era ormai ricostruito.

La sfera del tempo libero subì radicali trasformazioni in termini di tipologie

d’impiego dello stesso e di grado di partecipazione alle attività ricreative da parte della

popolazione. Nello specifico, il cinema ebbe una crescita esponenziale, arrivando a 820

milioni di biglietti venduti, distribuiti su di una popolazione di 40 milioni di individui,

ed all’apertura di 18 mila sale cinematografiche, delle quali molte parrocchiali. Le

pellicole venivano proiettate in prima visione nelle sale di grandi dimensioni e

progressivamente in sale più piccole, restando in circolazione anche per un intero anno.

Negli anni ‘60 si assiste ad un vero e proprio boom economico, favorito dal

continuo ed ininterrotto innalzamento del PIL dal 1947 al 1959 che, a sua volta, fu

determinato dal costituirsi di un forte mercato interno ed un diramato mercato estero.

Altro esempio d’innovazione è collocabile nella Moka, che, ideata da Alfonso

Bialetti nel 1933 prima della Guerra senza riscuotere successo, fu rilanciata nel periodo

del dopoguerra dal figlio Renato, divenendo un oggetto di culto indispensabile per

l’ormai diffuso rito quotidiano del caffè.

Ai fini della comprensione dei mutamenti delle modalità di consumo susseguitisi

nel corso del tempo, risulta fondamentale analizzare le pratiche consumistiche che,

partire dagli anni ‘60, hanno caratterizzato le diverse fasi storiche in termini di tipologie

di prodotti consumati e di motivazioni sottostanti all’assunzione di determinati

comportamenti di consumo.

Nello specifico, nel primo dopoguerra, i consumi erano essenziali, estremamente

moderati e attenti, proprio per l’influenza che le guerre mondiali avevano esercitato

sulla popolazione, a causa della scarsa reperibilità dei beni primari e della povertà

generale derivanti dai conflitti, favorendo l’assunzione da parte dei cittadini di un

atteggiamento moderato e responsabile nei riguardi delle pratiche di consumo. Tuttavia,

una parte consistente del paniere dei consumi tipico di quel periodo riguardava

l’occupazione del tempo libero. Successivamente, i consumi subirono significative e

radicali trasformazioni. L’avvento di alcuni elettrodomestici, infatti, contribuì

notevolmente alla ridefinizione delle abitudini della popolazione, in termini di gestione

familiare e occupazione del tempo libero.

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In particolare, il frigorifero, grazie alla possibilità di conservare i beni deperibili

per archi temporali più lunghi, agevolò in misura considerevole l’approvvigionamento

alimentare, incidendo positivamente sul bilancio delle famiglie e determinando quindi

una maggiore circolazione di denaro da utilizzare per l’acquisto di altri beni

(arredamento, abbigliamento, trasporti, elettrodomestici). Il telefono, invece, non ebbe

stessa pervasiva diffusione: tra il 1936 ed il 1963, il numero di abbonamenti telefonici

restò pressoché invariato. Furono quindi i cosiddetti beni durevoli ad essere interessati

da maggiore diffusione, proprio perché per le famiglie, data l’alta qualità e l’accertata

resistenza, costituivano un valido investimento trasmissibile tra le generazioni, come, ad

esempio, lavatrici e, appunto, frigoriferi, nonché mezzi di trasporto. Il periodo appena

descrittivo viene definito come fase dei consumi obbligati, caratterizzata dalla presenza

di industrie che consentivano alla massa di accedere a determinate tipologie di merci

secondo un percorso, giustappunto, obbligato, comune e legato all’acquisizione

simbolica di un diritto di cittadinanza che avrebbe sancito definitivamente l’uscita

dall’oscuro periodo di crisi. Questa fase di “rinascimento sociale” fu dunque

accompagnato da un comportamento di consumo di tipo collettivo, per il quale tutti i

membri della società avevano accesso agli stessi prodotti secondo il medesimo criterio

di consumo simbolico. Il modello consumistico in analisi evolverà poi in un

comportamento di consumo massificato, con una generale ridefinizione delle abitudini e

delle modalità di esecuzione delle canoniche attività domestiche che determinò una

sempre maggiore differenziazione dei consumi, pertanto, non più obbligati.

A partire dal 1964, però, iniziò un lento declino dell’economia del paese, in

concomitanza con l’istituzionalizzazione della categoria sociale dei giovani, ai quali

venne dedicata una serie di prodotti tra i quali spicca senza dubbio la Vespa 50 della

Piaggio. La fine del periodo di floridità e benessere viene collocata dai sociologi nel

1968, anno di stravolgimenti sociali, moti studenteschi, lotte operaie, movimenti di

liberazione femminile. Il popolo desiderava rivendicare alcuni diritti che, nonostante

l’entrata in vigore della Repubblica, non furono riconosciuti con immediatezza: si parlò

infatti di Costituzione “ritardata”.

In tal senso, esempi emblematici sono costituiti dall’accesso delle donne ai

concorsi pubblici e dalla formazione delle regioni in epoche nettamente successivi

rispetto all’entrata in vigore della Costituzione.

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I giovani, divenendo una realtà sociale dai confini precisi e circoscritti,

modificarono la struttura ideal-tipica della famiglia tradizionale, ritardando i tempi

canonici di formazione di nuovi nuclei familiari a causa di una maggiore propensione

allo studio ed alla formazione culturale che, a sua volta, innescò un movimento di

migrazioni interne.

La fase successiva si caratterizzò per una progressiva differenziazione dei

consumi, aspetto, questo, che ha portato a definire il periodo in questione come epoca

della distinzione: determinati prodotti vengono consumati al fine di distinguere

specifiche categorie di soggetti. Lo status symbol si configurerà come strumento

attraverso il quale poter affermare la propria appartenenza ad una peculiare categoria

sociale, distinta dalle altre non necessariamente in relazione alla sfera economica.

Esempi eloquenti in tal senso possono essere collocati nei seguenti oggetti di consumo:

il noto orologio Rolex, simbolo di ricchezza e potere d’acquisto; i blue-jeans, bandiera

dei giovani rivoluzionari; la poltrona sacco, vessillo dei progressisti. Dunque, si diffuse

un modello consumistico finalizzato non alla differenziazione, ma alla distinzione. In

questo periodo, fiorì l’industria del mobile: la Rinascente, il cui nome fu ideato da

Gabriele d’Annunzio per la catena dei fratelli Bocconi, fu il primo grande magazzino

italiano dedicato al settore dell’abbigliamento e dell’arredamento e presentava al suo

interno una sezione dedicata esclusivamente ai mobili di design. Nel 1954 la Rinascente

fondò il premio Compasso d’Oro, per premiare gli oggetti con il migliore disegno

industriale. Nel 1956 nacque l’Associazione per il Disegno Industriale (ADI).

La fase del consumo finalizzato alla distinzione, seppur orientato in termini di un

certo collettivismo delle pratiche consumistiche stesse, perdurò per tutti gli anni ‘70,

provocando però un aumento del tasso di inflazione al 25% con una connessa

svalutazione monetaria.

Le prime fasi dell’epoca successiva furono caratterizzate da una diffusa crisi

economica e sociale, con la trasformazione di alcuni movimenti di protesta in

organizzazioni terroristiche per contrastare le quali fu utilizzato lo strumento della

bomba, dato, questo, che spiega la definizione di anni di piombo. Nonostante ciò,

furono raggiunti importanti e storici traguardi in materia di diritti dell’individuo, come,

ad esempio, lo Statuto dei lavoratori e la legge sul divorzio. Per tutti gli anni ‘60, come

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precedentemente precisato, le attività d’occupazione del tempo libero si svolgevano

prevalentemente al di fuori delle mura domestiche.

A partire dal 1954, in Italia, con l’avvento della televisione, si iniziò ad assistere

ad un progressivo stravolgimento dello scenario. Nel 1957 fu lanciato il noto

programma Carosello, che sancisce l’ingresso ufficiale della pubblicità nella

programmazione televisiva, e, in quello stesso anno, si abbonarono circa 300 mila utenti

su di una popolazione complessiva di 44 milioni di persone: il televisore era presente

prevalentemente in bar, esercizi pubblici e parrocchie, ben poco diffuso nelle abitazioni

private. Nel 1954 si iniziò a mandare in onda il Festival di Sanremo, le cui prime tre

edizioni non furono quindi trasmesse essendo nato nel 1951. Il fenomeno televisivo si

affermò in tutta la sua pervasività solo tra il 1965/66.

A partire dal 1973, quando ormai tutte le famiglie possedevano almeno un

apparecchio televisivo ed il cinema continuava a riscuotere successo, si attestò una

nuova tendenza da parte della popolazione che, al fine di non gravare in maniera

eccessiva sul bilancio familiare, e per il timore di subire furti o rapine in quell’epoca

dilaganti, iniziò a trascorrere sempre più tempo all’interno delle proprie abitazioni,

aumentando progressivamente una nuova tipologia di consumo. In tal senso, la nascita

della televisione commerciale tra il 1986 e il 1987, sancì definitivamente l’affermarsi di

suddetta tendenza, con una drastica riduzione della percentuale di affluenza alle sale

cinematografiche. La politica dell’Austerity che caratterizzò questo periodo, con il

divieto di circolazione dei veicoli di domenica, l’anticipazione della fine delle

trasmissioni televisive alle 23, e la soppressione dello spettacolo di mezzanotte dalla

programmazione cinematografica, determinò un cambiamento nelle abitudini delle

famiglie con un aumento dei consumi all’interno dei contesti abitativi.

La fase successiva fu segnata dalla peculiare impostazione ideologica dei

membri di governo, in Italia come negli Stati Uniti, in Francia e in Gran Bretagna, dove

– rispettivamente Craxi, Reagan, Thatcher e Mitterrand – furono portatori di una visione

del mondo orientata all’ottimismo e alla speranza di un florido futuro, pur nelle

ragionevoli differenze.

Nel caso specifico italiano, Craxi, divenuto segretario del Partito Socialista nella

seconda metà degli anni ‘70, fu fautore di modalità di governo ottimistiche e rivolte al

rilancio dell’economia del paese. In questo periodo si verificarono numerosi mutamenti

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nella sfera dei consumi. Nel settore della moda, emblematico è il passaggio dall’haute

couture al prêt-à-porter, che favorì la diffusione di un senso estetico nella massa grazie

alla maggiore disponibilità di prodotti “alla moda”. Negli anni ‘80, infatti, iniziò a

prevalere il criterio estetico su quello funzionale: l’abito fu connotato in termini di

espressione identitaria, il design fu ridefinito in quanto a linee e materiali, l’estetica, in

definitiva, prevalse sulla funzionalità. Suddetto fenomeno provocò una modifica

sostanziale della percezione della realtà da parte dell’individuo il quale, di conseguenza,

iniziò a circondarsi di oggetti portatori di un senso estetico definito e personale.

Tra il 1975 e il 1976, con l’emanazione di due sentenze da parte della Corte

Costituzionale in materia di pubblicità, venne ridefinito l’assetto della definizione dei

palinsesti in termini di maggiore presenza di spot pubblicitari e di trasmissione

continua, non più circoscritta a determinanti momenti della giornata come invece

accadeva in precedenza. In questo contesto, la pubblicità si arricchisce di una carica

valoriale, costituendo un effettivo linguaggio della realtà, nella misura in cui ad essa era

affidata la narrazione della società, delle sue tradizioni e delle sue abitudini.

La fusione degli elementi finora descritti – rispettivamente collocabili nella

pubblicità, appunto, nella moda, nel design e nella musica – scatenò nei consumatori un

irrefrenabile impulso all’acquisto di qualsiasi tipologia di prodotto, al fine di esprimere

parte della propria identità attraverso l’ostentazione di determinati oggetti dalla forte

valenza simbolica. A differenza di quanto accadeva negli anni ‘70, con il prevalere di un

comportamento di consumo finalizzato alla distinzione ma con evidenti tracce di

collettivismo, negli anni ‘80 si affermò un atteggiamento consumistico orientato

all’immedesimazione del singolo individuo nel modello identitario di riferimento: il

consumatore, attraverso l’acquisto di un determinato prodotto intendeva esprimere non

la sua reale identità, quanto piuttosto l’adesione ad uno specifico status symbol

differenziato e, in alcuni casi, poliprospettico, palesando non la propria effettiva

personalità ma il desiderio di incarnarsi in un altro personaggio.

Nell’epoca in analisi, i sociologi collocano una forma di consumo teatralizzato e

compulsivo di natura non collettiva bensì individuale. Pertanto, la pubblicità forniva

all’individuo la sceneggiatura, il design la scenografia e la moda i costumi, strumenti,

questi, utilizzati dall’individuo per interpretare il personaggio sul palcoscenico della

realtà.

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La segmentazione socio-demografica prevede, appunto, una suddivisione dei

consumatori in categorie socio-demografiche (es. titolo di studio, lavoro, residenza,

reddito) che, pertanto, si configurano come oggettive e standard. Tuttavia, pur

consentendo una lettura anche “qualitativa” della storia del consumo, suddette categorie

subiranno radicali trasformazioni.

A partire dagli anni ‘80, si afferma una modalità di consumo di tipo

individualistico, rispetto al precedente modello collettivo: ogni individuo consuma

secondo spinte proprie, non più secondo grandi flussi collettivi. In questo contesto, le

pratiche di consumo sono finalizzate all’ostentazione, a sua volta diretta al

potenziamento dell’esteriorità del soggetto e della sua immagine.

A tal proposito, risulta utile il contributo di Gianpaolo Fabris, noto sociologo

italiano che, definendo degli stili di vita idealtipici, sviluppa un’analisi della società

individuando dei modelli approssimativamente fissi ed esaminando le modalità di

interazione degli individui rispetto alla realtà sociale in relazione al contesto di

appartenenza: dopo aver suddiviso la popolazione secondo caratteristiche oggettive,

valuta la vicinanza dei soggetti ad uno schema piuttosto che ad un altro.

Il processo di segmentazione, dunque, da un’impostazione socio-demografica

passa all’adozione degli stili di vita. In questo periodo, il criterio di funzionalità

applicato al consumo viene progressivamente sostituito da aspetti di immaterialità e

intangibilità. Nello specifico, gli stili di vita introducono due elementi di novità:

a) collegamento diretto tra stili di vita e comportamenti di consumo;

b) legami tra stile di vita e potere d’acquisto.

Gli stili, pertanto, si caratterizzano per catene di prodotti specifici. Il

consumatore, avendo la possibilità di sperimentare stili di vita differenti nell’arco della

propria esistenza, modifica continuamente il suo comportamento di consumo, non

connotandosi in tal modo per un’individualità stabile e facilmente fotografabile: ciò

porta all’analisi non dei consumatori in quanto tali, ma, appunto, degli stili di vita.

Alla fine degli anni ‘80, però, si assiste ad un progressivo affievolirsi del

sentimento di fiducia che fino a quel momento aveva permeato la realtà socio-

economica di molti paesi del mondo, a causa di alcuni fattori scatenanti:

la strage di Chernobyl che, grazie alla capacità di diffusione propria dei mass

media, ebbe un impatto violento sull’immaginario collettivo;

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la piaga sociale dell’Aids che, come conseguenza della rottura degli schemi

comportamentali tradizionali in termini di atteggiamento dell’individuo nei

riguardi della sessualità, s’insinuò tra la popolazione, pesando notevolmente

anche sul piano psicologico oltre che su quello – direttamente connesso – della

salute;

la progressiva mancanza di denaro, infine, che determinò una trasformazione

radicale del comportamento di consumo nel decennio successivo.

In particolare, negli anni ‘90, periodo nel quale si colloca la quarta fase del

consumo inteso come fenomeno sociale in continua evoluzione, a causa dei fattori

precedentemente elencati, sorge nei consumatori un sentimento di paura nei confronti

della libertà fino a quel momento considerata in maniera positiva che, a sua volta,

spinge la popolazione ad assumere un atteggiamento pacato e misurato nei riguardi delle

merci e dei beni di consumo.

Nello specifico, dal punto di vista della dinamica del consumo, si assiste

all’affermarsi di un approccio personale – quindi improntato sulla cura del sé –, ben

diverso da quello individualistico, tipico del decennio precedente; i tempi del consumo

diventano riflessivi e consapevoli nella misura in cui il soggetto antepone la riflessione

circa l’effettiva utilità dell’acquisto all’acquisto stesso, discostandosi alquanto dalla

spinta impulsiva tipica degli anni ‘80. Alla base di siffatta configurazione, si colloca la

volontà del consumatore di generare valore attraverso l’acquisto, instaurando un

rapporto affettivo con le merci che, per la valenza così assunta, conferiscono al

consumatore elementi per la costruzione della sua specifica identità.

Dal punto di vista della segmentazione, si assiste al passaggio dagli stili di vita

agli stili di pensiero, con il relativo abbandono delle variabili socio-demografiche: le

merci vengono valutate non solo per la loro funzionalità, ma anche in relazione ad

ulteriori capacità d’accrescimento del proprio benessere interiore, nonché per altri valori

di tipo etico-comportamentali. La società, dunque, tende ad assumere comportamenti di

consumo consapevoli ed eticamente fondati, pretendendo dalle aziende responsabilità e

giudizio nei riguardi dell’ambiente e della stessa platea dei consumatori.

Come precedentemente accennato, la dinamica di consumo individuale di tipo

personale spinge il soggetto ad agire in funzione del proprio benessere e della propria

salute, obbligando le imprese ad operare secondo criteri di responsabilità ed in pieno

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rispetto dei codici etici ed ambientali. In questa fase, i consumatori, in quanto categoria

sociale, iniziano ad acquisire coscienza del potere che sono in grado di esercitare nei

riguardi delle imprese, non solo in termini di determinazione delle modalità

comunicative e di azione sul mercato adottate dalle aziende, ma anche in relazione alla

possibilità di decretare l’orientamento della produzione.

Alla fine degli anni ‘90, con l’avvento di internet, nascono i new media che

modificano irreversibilmente le pratiche di consumo ed il settore della pubblicità. In un

primo momento, internet, caratterizzandosi per una configurazione non chiaramente

definita, sembrava potesse essere classificato come un normale mass media.

Inizialmente, infatti, svolgeva tre semplici funzioni:

1) consentiva alle imprese di presentarsi in modo innovativo mediante il sito,

considerabile come brochure virtuale che, non dovendo essere stampata e

distribuita manualmente, favoriva la diminuzione dei costi e delle risorse da

impiegare;

2) creava interattività, consentendo il diramarsi di reti autonome di consumatori

mediante la posta elettronica;

3) offriva ai consumatori la possibilità di interagire in spazi virtuali, quali, ad

esempio, chat e forum, potenziando notevolmente la visibilità delle aziende.

Successivamente, con l’introduzione dei motori di ricerca, si assiste ad una

rivoluzione definitiva, nella misura in cui, grazie al World Wide Web (WWW), si

velocizzano in maniera esponenziale i processi di ricerca. Internet diviene quindi uno

strumento di visibilità e rintracciabilità a servizio delle aziende, divenuto ancora più

potente in seguito alla scoperta dell’algoritmo di Google che, come risaputo, inizierà ad

operare una selezione non in base alle fonti ma al contenuto delle pagine web.

In definitiva, i new media, invadendo la realtà sociale di fine anni ‘90,

favoriscoco una maggiore circolazione di informazioni tra i consumatori circa il

comportamento assunto da organizzazioni sociali, commerciali e politiche. I circuiti

informativi determinano una metamorfosi del sistema produttivo, con la proliferazione

di forme di comunicazione di tipo commerciale (già a partire del 1900, Cyrus fonda

Ladies, noto periodico americano, improntato sull’informazione di tipo commerciale).

In questo contesto, il rapporto fiduciario che si instaura tra gli individui in

ambiente virtuale influisce drasticamente sulle configurazioni assunte dalla produzione.

Augusto Cocorullo 13

Page 14: Comunicazione, marketing e pubblicità

Tuttavia, solo con l’affermarsi del Web 2.0 si attesta una vera e propria forma di

interattività tra gli utenti della rete e quindi tra i consumatori, proprio per la possibilità

di sviluppare un dialogo paritario attraverso l’utilizzo di uno stesso canale, e per la

potenzialità propria di ogni singolo utente di produrre contributi e renderli pubblici. Con

il Web 2.0, assume piena valenza ed applicabilità l’articolo 19 della Dichiarazione

Universale dei Diritti Umani – approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite

il 10 dicembre 1948 –, relativo diritto dei consumatori di fare e ricevere informazione.

Attualmente, però, si è affermata una tendenza che si configura come diretta

conseguenza di suddetta configurazione del web: si è ormai accumulata un’enorme

quantità di informazioni che rende complesso l’orientamento da parte dell’utente; tale

fenomeno viene scientificamente definito overload informativo. In particolare, il

consumatore, al fine di selezionare i contenuti utili esclusivamente ai propri fini, adotta

un criterio discriminatorio fondato sull’interesse personale. La presa di coscienza da

parte dei consumatori, sempre più consapevoli del proprio potere sul mercato, obbliga le

imprese a riorganizzare l’assetto produttivo e commerciale, al fine di ottemperare alle

richieste provenienti da una platea di acquirenti sempre più attenti ai valori etici ed alla

responsabilità sociale delle aziende. Di conseguenza, si trasformano anche il modo di

comunicare delle imprese ed il paradigma di marketing da esse seguito: il focus

attentivo si sposta dal prodotto al consumatore.

Si giunge quindi all’ultima fase del consumo – collocabile nel XXI secolo –,

nell’ambito della quale si afferma la necessità di riformulare le modalità relazionali

intercorrenti tra imprese e consumatori, alla luce delle potenzialità offerte dalla rete.

Come anticipato, il criterio di selezione è imperniato sull’interesse dell’individuo: il

gusto personale assume rilevanza sempre maggiore, divenendo il parametro in relazione

al quale ciascun consumatore decide se acquistare oppure no un determinato bene.

In particolare, mentre in precedenza suddetta discriminante veniva applicata solo

ed esclusivamente ai prodotti culturali, in epoca contemporanea, invece, viene adottato

per tutte le merci. Ogni essere umano possiede delle guide che orientano nella scelta,

come, ad esempio, passioni o interessi peculiari, che, però, essendo soggetti a continue

modificazioni, determinano un costante mutamento dei gusti e delle preferenze del

consumatore. È importante osservare che, mentre in epoche passate l’affermazione

sociale dell’individuo era determinata dal ruolo svolto nel proprio contesto di lavoro –

Augusto Cocorullo 14

Page 15: Comunicazione, marketing e pubblicità

tendenza, questa, acuitasi nel periodo della rivoluzione industriale in relazione

all’ulteriore differenziazione delle attività lavorative –, attualmente, invece, si tende a

non associare l’identità alla professione. Il tempo libero, infatti, muta nella sua

scansione: si configura come “tempo di vita” in cui non si ha l’obbligo di svolgere le

proprie mansioni lavorative, ma è possibile, al contrario, impegnarsi in attività

ricreative, ed è ciò a cui l’individuo si dedica in questo arco temporale a definire la sua

identità, non la posizione lavorativa.

In ambito sociologico, la dinamica contemporanea di consumo è definita

identitaria: l’individuo è tale perché consuma tali beni; la necessità di consumo è quindi

rinnovata e continuata. L’assioma secondo cui l’individuo trova la sua identità nel

consumo impone un ampliamento del raggio d’azione di suddetto concetto, in termini di

inglobamento nella sua sfera di significato di altri elementi, quali, ad esempio, la

cultura, i viaggi, il cinema, il cibo e la musica.

Appare chiaro quindi come, attraverso le pratiche di consumo, l’individuo

soddisfi le proprie passioni e coltivi i propri interessi, guide insostituibili nel suo

rapportarsi col mondo in cui è immerso. Tuttavia, affinché la soddisfazione sia totale e

duratura, è necessario che il consumatore possa condividere le proprie esperienze di

consumo con coloro che hanno medesimi interessi e simili passioni, mosso com’è da

una logica valoriale e passionale. In linea con tale considerazione, il soggetto si

identifica in personalità differenti a seconda del tipo di “gruppo di consumo” in cui

decide di collocarsi, pur seguendo un percorso individuale.

In epoca contemporanea, il criterio di segmentazione della società trova validità

nelle comunità vocazionali. Queste possono essere intese come insieme di individui

accomunati dalla condivisione di una stessa passione. Ciascun soggetto può situarsi in

una o più comunità vocazionali e, in relazione ad esse, caratterizzarsi per differenti

gradi d’intensità dell’interesse nei riguardi di una data attività.

I sociologi rappresentano simbolicamente la struttura delle comunità vocazionali

secondo uno schema a cerchi concentrici: in corrispondenza del primo cerchio, si

collocano gli identitari, cioè quelli che hanno una passione molto forte per quella data

attività, ed è in relazione ad essa che costoro orientano l’intera filiera dei consumi (90%

- 100%), facendo parte, in genere, di una sola comunità; in posizione intermedia, si

ritrovano gli appassionati, i quali, pur avendo una forte passione per quella data attività,

Augusto Cocorullo 15

Page 16: Comunicazione, marketing e pubblicità

tuttavia, si situano anche in altre comunità, non orientando la propria filiera dei consumi

alla soddisfazione di un’unica passione (40% - 70%); infine, in corrispondenza del terzo

cerchio, trovano collocazione i curiosi, che palesano un interesse solo marginale nei

riguardi di una data attività.

Lo schema appena descritto è prova e conseguenza dell’estrema diversità di

configurazioni vocazionali registrabili tra i consumatori, sempre più differenziati in

termini di filiere di consumo. Di conseguenza, le imprese, al fine di adeguarsi a tale

tendenza, hanno iniziato a rivolgersi proprio alle comunità vocazionali che, pertanto,

diventano i nuovi target cui dedicare i beni di consumo: si inizia quindi a produrre ciò

che serve a soddisfare delle passioni, e la possibilità che un prodotto conquisti un buon

posizionamento sul mercato è direttamente proporzionale al numero di passioni che

riesce a soddisfare.

Il fenomeno globalizzante, come anticipato, avendo interessato anche il settore

dei consumi, impone alcuni cambiamenti che riorganizzano dalle fondamenta le

strutture tradizionali dei modelli produttivi occidentali. La necessità di consumare e il

bisogno di innovazione determinano, e allo stesso tempo ne sono causa, l’affermarsi di

una peculiare tendenza comunemente definita obsolescenza programmata, ossia una

politica volta a definire il ciclo vitale di un prodotto che spinge il consumatore ad

effettuare nuovi acquisti secondo una scansione temporale caratterizzata da intervalli

brevi e continui. Al fine di espandere i mercati, occorre spostare la produzione in

contesti nell’ambito dei quali i costi di produzione sono inferiori, così da diffondere il

consumo di quel determinato bene anche in altri paesi e da favorire una maggiore

circolazione di denaro. Le aziende, inoltre, tendono ad allargare i propri confini

commerciali, esternalizzando i processi produttivi in modo da favorire l’abbassamento

dei costi di produzione, da una parte, e da promuovere la vendita di quella determinata

merce nei paesi nei quali s’insediano, dall’altra. Tale tendenza, pur consentendo alle

aziende di accrescere i profitti, tuttavia riduce la capacità di produzione dei paesi ricchi

e provoca una perdita di sovranità.

Le comunità vocazionali si configurano altresì come risposta al bisogno

d’aggregazione degli individui, aspetto, questo, che trova un esempio emblematico

anche nei social network. L’affermarsi di questa nuova configurazione determina una

trasformazione sostanziale del mercato: economia, politica, marketing, comunicazione e

Augusto Cocorullo 16

Page 17: Comunicazione, marketing e pubblicità

pubblicità non possono essere considerati settori a compartimenti stagni, ma, al

contrario, devono intendersi come vasi osmotici che si influenzano a vicendevolmente.

3. Dal marketing tradizionale ai nuovi marketing

In epoca contemporanea, uno dei comparti industriali più importanti è quello dei

media (giornali, radio, tv, internet, cinema, spettacolo, musica, teatro), dato, questo, che

attesta l’importanza della comunicazione intesa come vera e propria forma d’industria.

Il deterioramento del sistema dei valori, congiuntamente alla presa di coscienza da parte

dei consumatori circa l’importanza assunta rispetto alla determinazione della

produzione, hanno indotto alla ridefinizione delle regole del marketing. La principale

differenza intercorrente tra vecchio e nuovo marketing è collocabile nel fatto che,

mentre prima si focalizzava l’attenzione sul prodotto, successivamente è il consumatore

a divenire il protagonista esclusivo.

Le imprese, avendo compreso la necessità di rivolgersi ad un consumatore

consapevole, pongono quest’ultimo al centro del marketing e dei processi relazionali.

Ciò ha comportato una modifica radicale del marketing tradizionale, anche in termini di

elementi necessari alla costruzione di un rapporto solido e duraturo con il consumatore.

Nello specifico, occorre favorire:

a) meccanismi che consentano alle persone di parlare del prodotto come, ad

esempio, l’antico strumento del passaparola;

b) situazioni in cui ci si possa riunire e prender visione di un dato prodotto, quali,

appunto, gli eventi.

Occorre precisare che è tendenza comune definire “evento” occasioni d’incontro

anche molto diverse tra loro (festival, mostre, ecc.). Generalmente, l’evento si può

considerare come un sistema linguistico comunitario che si ripete ad intervalli più o

meno stabili, assumendo, in tal modo, rilevanza e utilità per la comunità, e

configurandosi altresì come un’interruzione all’interno flusso normale dei processi

commerciali. L’evento svolge anche una funzione di arricchimento per coloro che sono

partecipi di una stessa comunità.

Nella varietà di nuove forme di marketing, è possibile isolare due elementi fissi

e standard che sono alla base di qualsiasi modello. Nello specifico, ci si riferisce ai due

momenti principali di strutturazione di un processo di marketing:

Augusto Cocorullo 17

Page 18: Comunicazione, marketing e pubblicità

a) fase strategica, che comprende la preparazione della campagna in termini di

studio, ricerca ed individuazione dei target di riferimento, operazioni, queste,

estremamente complesse in virtù delle continue trasformazioni che interessano

le comunità vocazionali;

b) fase operativa, nell’ambito della quale si procede concretamente con

l’implementazione del cosiddetto modello delle 4P (prodotto, prezzo, placement,

promozione).

4. Gli advertmarketing

La leva della comunicazione ha progressivamente assunto un’importanza

sempre maggiore, fino ad attestarsi come elemento principale della nuova tipologia di

marketing, detto altresì marketing non convenzionale o advertmarketing. È possibile

distinguere quattro principali forme di advertmarketing:

1) marketing virale;

2) guerrilla marketing;

3) marketing esperienziale;

4) marketing tribale.

Suddetti tipi marketing non convenzionale, pur differenziandosi in quanto a

canali di comunicazione utilizzati e fasi di strutturazione, presentano due strumenti

basilari comuni, ossia il passaparola e gli eventi.

Il marketing virale, fondandosi su di un principio analizzato nel ‘900 circa le

modalità attraverso le quali le idee si creano e si impongono nella società, trova in Seth

Godin il suo teorizzatore, il quale, prendendo spunto dalle teorie di Lasswell, elabora un

modello di spiegazione del processo di diffusione delle idee. Queste, nell’ambito della

società contemporanea, una volta sviluppate, si diffondono grazie all’azione primaria di

individui particolarmente influenti – definiti “starnutitori”, ossia opinion leader –, che,

proprio per la loro notorietà, nel momento in cui iniziano a veicolare un’idea, e quindi

un prodotto, ne favoriscono una rapida diffusione.

L’azienda, dunque, dovrà presentare un’idea vincente che possa trasmettersi e

diramarsi attraverso un leader d’opinione in modo rapido ed efficace. Il marketing

virale, però, deve essere abbinato ad altre forme commerciali, quali, ad esempio,

campagne di distribuzione e promozione, non configurandosi come strumento dotato di

Augusto Cocorullo 18

Page 19: Comunicazione, marketing e pubblicità

autonomia – similmente rispetto alle altre tipologie di advertmarketing –, a differenza

del marketing esperienziale, unico a poter essere adottato senza ulteriori supporti.

Il guerrilla marketing nasce negli anni ‘80 come alternativa al marketing

tradizionale e rappresenta la forma più antica, risultando particolarmente adatto per le

piccole imprese. Il suo teorizzatore, J.C. Levinson, sostiene che le aziende di piccole

dimensioni debbano rispondere agli attacchi delle multinazionali non mediante uno

scontro “faccia a faccia”, ma con tecniche di guerrilla marketing che, pertanto,

prevedono due momenti costitutivi principali:

fase dell’attacco;

fase di creazione di una mitologia intorno all’azione.

Perché il processo risulti efficace, è necessario implementare azioni che

stupiscano e che abbiano un riverbero sui media così da aumentare la visibilità. Si

possono quindi attingere elementi e spunti dall’ambito delle avanguardie artistiche (es.

dadaismo, futurismo, culture underground), o, ad esempio, diffondere false notizie

(fake) da smentire solo successivamente.

Il marketing esperienziale risulta essere il più strutturato, prevedendo una

strategia complessa e articolata di accompagnamento del prodotto. Alla base della

tipologia in analisi, si colloca l’assunto secondo il quale il consumo di una merce deve

essere inteso in una più ampia accezione che includa non solo l’atto pratico del

consumo, ma anche le fasi che seguono e precedono il momento dell’acquisto.

Mauro Ferraresi individua sei fasi specifiche:

1) fase iniziale, in cui il consumatore non ha ancora preso visione del prodotto al

quale la campagna è rivolta;

2) fase in cui il prodotto lo si vede;

3) fase in cui il prodotto lo si acquista;

4) fase in cui il prodotto lo si possiede;

5) fase in cui il prodotto lo si consuma;

6) fase in cui il prodotto lo si desidera nuovamente.

Proprio lungo questo processo, che può svilupparsi in un arco temporale più o

meno prolisso, il consumatore vive l’esperienza di consumo. Il marketing esperienziale,

dunque, mira a costruire un percorso d’esperienza di consumo strutturato secondo le sei

Augusto Cocorullo 19

Page 20: Comunicazione, marketing e pubblicità

fasi. Ciò necessita di un lavoro che prevede l’utilizzo di strumenti comunicativi e che si

distribuisce su cinque diversi livelli:

2) sense (sensoriale);

3) feel (emotivo);

4) think (cognitivo);

5) act (azione);

6) relate (relazionale).

Il marketing tribale, infine, può assumere due diverse forme. In un caso, si

rivolge all’interno di tribù già esistenti al fine di creare un prodotto utile ai membri di

quella data comunità di consumo. In tal caso, il meccanismo di penetrazione deve

avvenire tramite individui che fanno parte della tribù cui ci si rivolge, così da avviare un

processo di imitazione tra i membri e favorire una rapida diffusione del prodotto, che,

ovviamente, deve adeguarsi agli usi e costumi di quella data tribù. Nel caso opposto,

qualora la tribù non esista, il marketing tribale mira appunto a crearla attraverso

modalità peculiari di costruzione collettiva (es. Tribù della Fiat 500 e Tim Tribù).

Le cinque fasi del consumo in Italia: tabella riepilogativa

PeriodoLogica di

consumo

Tempi di

consumo

Tipologia

di consumoDinamica di consumo

Segmentazione

target x

Anni 60

(1957-

1968)

Funzionale-

AcquisitivaObbligati

Segnaletico:

integrarsi,

appartenere

CollettivaClassi socio-

demograficheAnni 70

(1968-

1979)

Critico-

TrasversaleAlternati

Segnaletico:

distinguersi,

trasgredire

Anni 80

(1980-

1990)

Teatralizzata-

Ostentativa

Accelerati-

Impulsivi

Mimico:

apparire

Individuale

individualistica Stili di vita

Anni 90

(1991-

2000)

Affettiva-

Identitaria

Riflessivi-

Consapevoli

Maieutico:

valerepersonale Stili di pensiero

XXI

secolo

Valoriale-

Passionale

Continui-

Vitali

Identitario:

essereidentitaria

Comunità

vocazionale

Augusto Cocorullo 20