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  Principi e pratica in Comunicazione Aumentativa e Alternativa  Aurel ia Rivar ola 1  Milano, 2004 1  Neuropsichiatra Infantile e responsabile del settore di Comunicazione Aumentativa e Alternativa del Centro Benedetta D’Intino

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Principi e pratica in

Comunicazione Aumentativa e Alternativa

Aurelia Rivarola 1 

Milano, 2004 

1

Neuropsichiatra Infantile e responsabile del settore di Comunicazione Aumentativa e Alternativa del CentroBenedetta D’Intino

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Indice 

Abstract .......................................................................................................................................... 3

Introduzione ................................................................................................................................... 4

Storia e diffusione .......................................................................................................................... 5C.A.A. e linee guida per la riabilitazione del bambino con Paralisi Cerebrale Infantile ........... 6

Principi e pratica ............................................................................................................................ 8C.A.A. significa sistema multimodale ....................................................................................... 8

Le opportunità di comunicazione............................................................................................... 9Modalità di insegnamento pragmatica e concreta.................................................................... 10Modellamento .......................................................................................................................... 11

La Valutazione : ambiente di vita e barriere............................................................................ 12Conclusioni .................................................................................................................................. 14Bibliografia .................................................................................................................................. 15

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Abstract

Si definisce la Comunicazione Aumentativa e Alternativa (C.A.A.) come un’area della

pratica clinica che cerca di compensare menomazioni e disabilità di individui con grave

disturbo della comunicazione espressiva, attraverso il potenziamento delle abilità, delle

modalità naturali e l’uso di modalità speciali. C.A.A. è quindi il termine usato per descrivere

tutto quello che aiuta chi non può parlare a comunicare.

Intraprendere un programma di C.A.A. richiede uno sforzo notevole da parte della

persona disabile, della sua famiglia, dei suoi principali partner comunicativi e dei

professionisti coinvolti. Momenti importanti di ogni progetto di C.A.A. sono la valutazione

delle abilità, barriere e bisogni del bambino, per la definizione dell’intervento. Tutto ciò si

inserisce in un processo dinamico che richiede frequenti rivalutazioni. La complessità di

questo processo richiede la competenza di più figure professionali che sappiano lavorare

insieme e integrare le loro specifiche competenze.

Gli strumenti, le tecniche, le strategie e le tecnologie sono inutili senza un preciso

progetto di C.A.A. all’interno del quale le singole soluzioni trovino una loro giustificazione.

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Introduzione

La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (C.A.A.) rappresenta un’area della pratica

clinica che cerca di compensare menomazioni e disabilità di individui con grave disturbo

della comunicazione espressiva, attraverso il potenziamento delle abilità, delle modalità

naturali e l’uso di modalità speciali. C.A.A. è quindi il termine usato per descrivere

l’insieme di conoscenze, di strategie e di tecnologie che è possibile attivare per facilitare la

comunicazione delle persone che presentano menomazioni della parola, della funzione

linguistica e della scrittura. L’aggettivo “Aumentativa” (traduzione dal termine inglese

Augmentative ) indica come le modalità di comunicazione utilizzate siano tese non asostituire, ma ad accrescere la comunicazione naturale: l’obiettivo dell’intervento deve

essere infatti l’espansione delle capacità comunicative tramite tutte le modalità e tutti i

canali a disposizione.

La C.A.A. non è quindi sostitutiva del linguaggio orale e neppure ne inibisce lo sviluppo

quando questo è possibile; si traduce invece sempre in sostegno alla relazione, alla

comprensione e al pensiero. Il termine “Alternativa” viene usato sempre meno perchè

presuppone di sostituire le modalità comunicative esistenti.

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Storia e diffusione

La C.A.A., come specifico ambito di studio e di intervento, nasce ufficialmente in Nord

America nel 1983 con la creazione della International Society of Augmentative and

Alternative Communication (I.S.A.A.C.). Nei paesi anglosassoni, in Nord Europa e in Nord

America, tuttavia, la sua storia trova riscontro almeno nel decennio precedente.

Appartengono a quel periodo attività di ricerca e di prassi riabilitative volte a facilitare la

comunicazione a persone con grave disabilità motoria e impossibilitate a esprimersi col

linguaggio orale e/o con la scrittura, tramite l’uso di linguaggi grafici (in particolare il

linguaggio Bliss), di linguaggi gestuali e di ausili a tecnologia elettronica.

In questi paesi la C.A.A., grazie alla lunga esperienza e ad una consolidata tradizione,

rappresenta oggi una componente fondamentale e indiscussa dell’intervento riabilitativo; è

materia di studio e di sperimentazione in molte Università, dove sono in atto numerose

ricerche per approfondire diversi aspetti teorici e metodologici. La C.A.A. fruisce in questi

paesi di un’ampia e documentata letteratura scientifica, che contribuisce, insieme a

numerosi studi sulla valutazione dei risultati e dell’efficacia degli interventi, a garantire che

la pratica clinica rifletta le più qualificate informazioni disponibili.

In Italia la diffusione della C.A.A. registra un notevole ritardo e solo negli ultimi anni ha

iniziato a suscitare un certo interesse presso gli ambienti riabilitativi, le famiglie e le

istituzioni scolastiche ed educative. Sono però ancora radicati numerosi pregiudizi che

costituiscono una barriera alla diffusione di una cultura della C.A.A.. Prevale perlopiù un

approccio oralista ai disturbi della comunicazione, e un approccio funzionale, quale quello

della C.A.A. spesso non viene adottato neppure quando l’intervento logopedico

tradizionale non può realisticamente portare a risultati funzionali. E’, inoltre, ancora diffusa

la convinzione che un intervento di C.A.A. possa inibire o ritardare l’eventuale comparsa

del linguaggio orale, anche se emerge dalla letteratura e dalle esperienze cliniche che la

C.A.A. non interferisce con la naturale abilità del bambino a sviluppare la comunicazione

vocale e verbale. I bambini infatti tendono a usare per comunicare la modalità più rapida,

efficace ed accessibile (Mirenda P., 1998). Anche i bambini con un repertorio di suoni

limitato usano suoni per alcuni scopi, come ottenere l’attenzione, e i loro genitori sono in

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grado in genere di discriminare tra i differenti suoni vocalici. Ricerche indicano al contrario

che la C.A.A. facilita lo sviluppo del linguaggio orale, aumentando le occasioni di

interazione, le abilità linguistiche e fornendo, attraverso ausili con uscita in voce, modelli di

linguaggio (Millar & al., 2000). Infine viene spesso sopravvalutato il ruolo della tecnologia

nella risoluzione dei problemi di comunicazione. La tecnologia è solo un “componente

speciale” della C.A.A. ma viene investita della capacità “magica” di rendere chi la adopera

un abile comunicatore. Probabilmente questi preconcetti continuano a sopravvivere

perché l’insieme delle conoscenze che costituiscono la C.A.A. ha ricevuto scarsa

considerazione e diffusione, anche a causa della quasi assoluta assenza di letteratura

tecnica in lingua italiana.

L’ingresso della C.A.A. nell’intervento riabilitativo è stato certamente favorito dalla

nascita nel 1996 a Milano della prima Scuola di Formazione in C.A.A. presso il Centro

Benedetta D’Intino e dalla creazione nel 2002 del Chapter Italiano dell’I.S.A.A.C..

Entrambe queste realtà costituiscono certamente due tappe importanti per la

sensibilizzazione del tessuto sociale e per l’adattamento della C.A.A. alla realtà italiana. La

scuola di formazione ha permesso la diffusione di una cultura relativa a percorsi di

valutazione e intervento coerenti ai presupposti teorici di questo campo e attenti a

conseguire risultati che possano essere generalizzabili e mantenuti nel tempo.

C.A.A. e linee guida per la riabilitazione del bambino con Paralisi Cerebrale Infantile 

Le linee guida per la riabilitazione del bambino affetto da Paralisi Cerebrale Infantile,

formulate nel 2002 da una commissione intersocietaria Società Italiana di Medicina Fisica

e Riabilitazione (S.I.M.F.E.R.) e Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e

dell’Adolescenza (S.I.N.P.I.A.), sottolineano per l’ambito della comunicazione, sebbene in

modo sintetico, contenuti propri dell’approccio della C.A.A. Gli obiettivi individuati non sono

quelli di ripristinare la funzione deficitaria, ma di sfruttare le abilità presenti per favorire il

miglior scambio comunicativo possibile nella vita di ogni giorno. Tali linee guida

rappresentano per la C.A.A. un punto di arrivo e al tempo stesso un punto di partenza. Un

punto di arrivo, in quanto costituiscono un riconoscimento, anche da parte di chi non si è

mai occupato in modo specifico di C.A.A., della funzione di salvaguardia svolto dalla

C.A.A. di un fondamentale diritto umano quale è quello di comunicare; un punto di

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partenza perché tale riconoscimento implica una serie di sfide. L’ingresso della C.A.A.

nell’intervento riabilitativo richiede infatti di moltiplicare gli sforzi per: 1) garantirne

l’accesso a tutti coloro che, attraverso la C.A.A., possono migliorare la qualità della propria

vita; 2) mantenere un’alta qualità dell’intervento clinico e rieducativo, contrastando il

potenziale dilettantismo e l’improvvisazione, che si associa in modo sistematico alle fasi

divulgative di ogni pratica scientificamente ponderata; 3) qualificare i bisogni formativi,

affinché nessuno si improvvisi specialista in C.A.A.; 4) integrare la C.A.A. con altre

pratiche riabilitative e percorsi educativi di apprendimento; 5) sviluppare la ricerca

agganciandola a conoscenze scientifiche quali le neuroscienze e la psicologia della

comunicazione; 6) dimostrare l’efficace degli interventi in C.A.A. perché diventino pratica

basata sull’evidenza.

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Principi e pratica 

C.A.A. significa sistema multimodale 

Tutte le modalità che una persona con disabilità comunicativa usa a livello intenzionale

e non intenzionale per mettersi in contatto con chi li circonda, fanno parte del proprio

personale sistema di comunicazione; in quanto tali vanno valutate e considerate ancor

prima di consigliare ausili “poveri” o tecnologici.

Ruth Sienkewicz-Mercer, una donna affetta da esiti di Paralisi Cerebrale Infantile, che

ha passato 12 anni in un istituto per insufficienti mentali, nel suo libro “I raise my eyes to

say yes”, ha affermato: “Fino a che la gente ha pensato che il mio cervello non servisse a 

niente e che le espressioni del mio viso e i suoni che emetto fossero senza significato, io 

sono stata condannata a rimanere senza voce”.

In un progetto di C.A.A. bisogna innanzitutto identificare, interpretare e valorizzare il

sistema di comunicazione esistente, dove per esso si intende l’insieme della abilità

presenti e delle modalità comunicative utilizzate. E’ importante, ad esempio, comprendere

il modo di esprimere accettazione o rifiuto, dare significato alla mimica del volto, allo

sguardo, alla pantomima, ai gesti usati e capire e codificare il modo di rispondere “Si e

No”. Le strategie di C.A.A. sono indispensabili per questi scopi: ad esempio, quando i gesti

usati non sono comprensibili a tutti, è utile approntare strumenti come il vocabolario dei

gesti personali.

L’identificazione del sistema di comunicazione esistente permette di costruire nuove

competenze a partire dalle abilità presenti e di consigliare strategie, strumenti e ausili dicomunicazione che realmente migliorino le possibilità comunicative. Per raggiungere

questo obiettivo è prioritario conoscere i bisogni e le occasioni di comunicazione del

bambino in tutti gli ambienti di vita.

Ad esempio, un ausilio con uscite in voce (VOCA), anche di semplice uso, utilizzato

all’interno di una classe con un ben preciso obiettivo comunicativo, è in grado di

supportare il coinvolgimento di diversi partner comunicativi e di favorire interazioni

frequenti, motivanti e prolungate anche per bambini con gravi difficoltà motorie e con

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abilità linguistiche e cognitive limitate. Lo stesso VOCA risulta inutile se viene usato a casa

con funzione di richiamo da un bambino che già soddisfa questo bisogno con modalità

naturali come suoni vocalici.

Sarebbe inoltre un grave errore sottoporre un bambino a un lungo training per imparare

ad “attivare” un VOCA sperando che, anche in mancanza di motivazione e di opportunità

comunicative reali, possa imparare abilità pragmatiche come, ad esempio, iniziare o

mantenere la conversazione. Gli ausili, le tabelle di comunicazione con simboli o i VOCAs

non hanno infatti mai trasformato un utente di C.A.A. in un competente comunicatore,

soprattutto quando il loro utilizzo non è stato impostato in funzione dei bisogni e degli

ambienti di vita.

E’ auspicabile che tutti abbandonino l’errata convinzione che sia sufficiente prescrivere

al bambino un ausilio perché questi automaticamente e senza supporto lo adoperi per

comunicare.

Le opportunità di comunicazione 

Il solo vero prerequisito per intraprendere un intervento di C.A.A. è la presenza di reali

opportunità di comunicazione (Mirenda P. at al., 1990); l’esistenza di alcune abilità non

deve quindi essere considerata prerequisito per l’intervento di C.A.A.. Tuttavia, è

notevolmente diffusa la convinzione che un intervento di C.A.A. non possa essere iniziato

fino a quando non vengono raggiunti determinati livelli di funzionamento cognitivo, di

abilità simboliche, di linguaggio ricettivo e di abilità sociali. La convinzione della necessità

di determinati prerequisiti è però basata su ricerche relative allo sviluppo comunicativo

normale e non a quello di bambini disabili che vivono esperienza, occasioni e stimoli

limitati. E’ certamente inutile concentrarsi sull’insegnamento di alcune abilità di base, e

ancor meno di forme simboliche di comunicazione, se l’ambiente è privo di opportunità di

interazione e non è quindi in grado di stimolarne lo sviluppo.

La C.A.A. non si fonda sull’esercizio, ma su esperienze di reali comunicazioni offerte al

bambino. Una delle prime opportunità che dobbiamo proporre ai bambini è, ad esempio,

quella di fare scelte in situazioni reali. L’abilità di scegliere dà infatti al bambino la

possibilità di influenzare l’ambiente, di crearsi una identità, di migliorare l’immagine e la

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stima di sé. Offrire scelte è molto più complicato di quanto possa sembrare: ma ancora più

difficile è offrire scelte senza obbligare a farle.

L’utilizzo del termine opportunità suggerisce un’importante riflessione: poiché lacomunicazione emerge se si danno opportunità, la responsabilità della comunicazione si

sposta dalle persone che non parlano a chi le circonda. Del resto, l’importanza delle

opportunità di interazione è riconosciuta nel normale sviluppo della comunicazione: tutti

noi abbiamo acquisito una competenza comunicativa attraverso stimoli, istruzioni e

correzioni, all’interno di significative esperienze sociali, senza che ci venisse richiesta

subito la prova del nostro apprendimento.

Modalità di insegnamento pragmatica e concreta 

La C.A.A. deve essere insegnata in modo interattivo e pragmatico e richiede

necessariamente che qualsiasi abilità specifica, come imparare i simboli grafici,

apprendere una tecnica di selezione dei simboli dalla tabella e imparare a utilizzare un

VOCA, venga appresa in situazioni comunicative naturali e realistiche e venga subito

tradotta in obiettivi funzionali. Pertanto, il training in C.A.A. non può essere impostato con

modalità simili a quelle utilizzate all’interno di normali sedute riabilitative. Non a caso, gliausili di comunicazione usati esclusivamente in tale contesto, per dimostrare di saperli

usare e per rispondere solo a domande, vengono presto abbandonati.

I sistemi di C.A.A. sono efficaci se, oltre a essere accompagnati da un training rivolto al

bambino, sono condivisi e supportati dalla maggioranza delle persone per lui significative,

al fine di evitare una “scissione” tra i vari ambiti di vita. E’ molto importante, nell’ambito di

un progetto di C.A.A., individuare uno o più facilitatori che si assumano la responsabilità di

supportare gli sforzi comunicativi del bambino, diventando promotori di relazioni con

diversi partner comunicativi (compagni di classe, amici, insegnanti, vicini di casa), ed

evitando di porsi come unico interlocutore. La scuola è, per esempio, uno degli ambienti

che offre ai bambini disabili il maggior numero di occasioni di comunicazione e di

interazione. Gli insegnanti di sostegno sono spesso le figure che con maggior successo

assumono il ruolo di facilitatori.

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Si può quindi affermare che la formazione dei partner comunicativi è fondamentale per

la buona riuscita di un programma di C.A.A. I partner comunicativi vanno aiutati affinché

imparino a usare strategie comunicative, come il porre attenzione al proprio linguaggio per

favorire la comprensione, il seguire gli interessi del bambino, il rispettare i suoi tempi e i

suoi ritmi, l’aiutarlo a esprimere preferenze e scelte, a raccontare e a commentare

utilizzando tabelle e ausili. La modalità migliore di formazione dovrebbe prevedere corsi

specifici, partecipazione alle sedute di intervento e frequenti momenti di confronto con gli

operatori di riferimento per il progetto C.A.A. circa l’evoluzione del percorso comunicativo

del bambino nella vita quotidiana. Nel caso di bambini con grave disabilità motoria e

comunicativa, i momenti di confronto sono particolarmente importanti; permettono infatti di

monitorare i comportamenti e le attitudini di impotenza appresa  che i bambini spesso

acquisiscono in seguito alla difficoltà sperimentata nel controllare e influenzare i propri

ambienti di vita. La sottovalutazione di questa condizione ha spesso vanificato gli sforzi di

genitori, professionisti ed educatori.

Modellamento 

Durante lo sviluppo del linguaggio in bambini con carenza/assenza del linguaggio

orale, è importante far loro sperimentare i sistemi di C.A.A. in uso ricettivo. Questa tecnica,

chiamata modellamento, comporta che il partner comunicativo indichi i simboli

corrispondenti alle parole chiave mentre parla al bambino. In tal modo il bambino rinforza

l’associazione del simbolo al referente, condivide con un’altra persona la sua modalità di

comunicazione, e, se la comunicazione avviene con il supporto della tabella, consolida la

memorizzare e la collocazione del simbolo. Altro aspetto importante del modellamento è

l’esposizione del bambino a una costruzione sintattica via via più evoluta.

La Valutazione e il programma di C.A.A.: processi interconnessi e dinamici 

La Valutazione e la realizzazione di un programma di C.A.A. sono processi in

progressione e vanno gestiti da operatori formati in C.A.A. La Valutazione in C.A.A.,

soprattutto nei casi di bambini con grave disabilità motoria e della comunicazione, deve

essere dinamica . Ciò vuol dire che bisogna cogliere ciò che può dare l’ambiente e fare

proposte che mettano in gioco da subito le competenze del bambino; è opportuno inoltre

creare, fin dal primo incontro di Valutazione, occasioni comunicative affinché il bambino

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non solo risponda ma anche inizi l’interazione. Avere a disposizione e proporre da subito

strumenti di C.A.A. è indispensabile per permettere al bambino un controllo dell’ambiente

e per valutare la sua modificabilità già nel corso di un primo incontro.

In questo senso la Valutazione è già l’inizio dell’Intervento e non termina con esso. La

Valutazione deve continuare perché cambiano le abilità cognitive, le condizioni fisiche e i

bisogni del bambino; inoltre, spesso occorre modificare strategie e strumenti. Anche la

scelta del sistema grafico, del formato della tabella, la selezione del vocabolario e la

tecnica di indicazione sono processi in progressione. Ad esempio, un ragazzo con grave

P.C.I. di tipo distonico, non poteva più usare la tabella posta sul tavolo della carrozzina,

perché le sue braccia cresciute gli impedivano l’indicazione diretta; il ragazzo noncomunicava questo disagio per un atteggiamento di passività tipico di queste situazioni.

Una volta compresa la barriera di accesso, è bastato studiare una nuova tabella e un

sistema di indicazione di sguardo e di scansione assistita perché riprendesse a usare la

tabella che gli permetteva una comunicazione più ricca e non legata al solo contesto.

In linea di principio, è importante attuare frequenti rivalutazioni per riconoscere i risultati

perseguiti e ridefinire gli obiettivi dell’intervento.

La Valutazione : ambiente di vita e barriere 

La Valutazione riguarda l’ambiente di vita. In pratica, si devono valutare gli ambienti

significativi per il bambino e la loro influenza sul suo funzionamento comunicativo,

cognitivo e sociale. L’integrazione tra casa, scuola e luoghi di vita è cruciale per il buon

esito dell’intervento di C.A.A.. Il progetto deve essere per prima cosa condiviso da tutti, in

primo luogo dai genitori. A volte questi ultimi sono in grado di cogliere anche minimi

segnali comunicativi da parte del loro figlio e hanno sviluppato specifiche strategie

comunicative. Non è sempre detto, però, che queste siano condivise negli altri contesti di

vita in cui il bambino passa molte ore della giornata. Il risultato è che i bambini devono

rinunciare a molte potenziali occasioni comunicative, riservandosi di comunicare

unicamente all’interno delle mura domestiche. Se, infatti, non esiste condivisione tra i

partner comunicativi, il bambino non può sperimentare coerenza, continuità e integrazione

tra le varie esperienze comunicative.

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Il progetto di C.A.A. si costruisce sulle abilità presenti, ma non prescinde dalle difficoltà

e dai punti critici. Entrambi vengono definite in C.A.A. come barriere: l’intervento consiste

anche nel cercare il modo per superarle.

Sono denominate barriere di accessibilità  quelle che si riferiscono al bambino e

riguardano l’aspetto comunicativo, cognitivo/apprenditivo,

emotivo/sociale/comportamentale, sensoriale e motorio. La valutazione dell’aspetto

motorio richiede una riflessione e una competenza specifica da parte del team di C.A.A..

Le barriere di opportunità  riguardano l’ambiente e riflettono l’insieme di politiche, leggi ,

prassi, attitudini e l’assenza di conoscenza e di abilità. Queste barriere, limitando la piena

partecipazione alla vita sociale delle persone disabili, impediscono la reale

implementazione di un progetto di C.A.A. In un processo circolare, una scarsa

partecipazione significa scarse esperienze di comunicazione, scarsa pratica di

comunicazione e una scarsa acquisizione di competenze sociali.

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Conclusioni

Intraprendere un programma di C.A.A. richiede uno sforzo importante sia da parte dei

professionisti sia da parte della famiglia e dei principali partner comunicativi. Da una lato, i

professionisti sono chiamati a valutare abilità, barriere e bisogni, associarli alle

caratteristiche del sistema di comunicazione esistente e a dare raccomandazioni per

l’intervento. La complessità di questo processo richiede la competenza di più figure

professionali, che sappiano lavorare insieme e integrare le loro specifiche competenze.

Dall’altro lato, le famiglie e i partner comunicativi sono chiamati a non delegare il compito

di portare avanti l’intervento ai professionisti; al contrario, la condivisione, il supporto e lacollaborazione di tutte le persone che appartengono agli ambiti di vita del bambino sono

processi indispensabili per l’efficacia di qualsiasi programma di C.A.A.

La difficoltà principale di un percorso di C.A.A. risiede proprio in questa ottica

sistemica, che costringe tutti gli elementi ad attivarsi in coerenza l’uno con altro. Tuttavia,

l’evidenza ha dimostrato che, quando il sistema funziona, la qualità di vita del soggetto

migliora sensibilmente in termini di partecipazione alla vita sociale e di gratificazione

personale.

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