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COMUNICAZIONE AUMENTATIVA E ALTERNATIVA PER PERSONE CON SINDROME DI ANGELMAN Raccomandazioni per la pratica clinica a cura di Aurelia Rivarola e Alessandro Chiari con la collaborazione dell’équipe di C.A.A. del Centro Benedetta D’ Intino Onlus Questo testo è frutto del lavoro e del confronto in équipe di tutti gli operatori di C.A.A. del Centro Benedetta D’ Intino Onlus Milano, Settembre 2013

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COMUNICAZIONE AUMENTATIVA E ALTERNATIVA PER PERSONE CON SINDROME DI ANGELMAN

Raccomandazioni per la pratica clinica

a cura di Aurelia Rivarola e Alessandro Chiari con la collaborazione dell’équipe di C.A.A. del Centro Benedetta D’ Intino Onlus

Questo testo è frutto del lavoro e del confronto in équipe di tutti gli operatori di C.A.A. del Centro Benedetta D’ Intino Onlus

Milano, Settembre 2013

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Indice

1. Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA)

CAA: definizioni, obiettivi ed elementi chiave Principi della C.A.A. Modello clinico in C.A.A.

- Valutazione - Intervento - Rivalutazioni - L’équipe di CAA

2. Sindrome di Angelman e la CAA

Premessa

L’impianto progettuale dell’intervento di C.A.A. seguito al Centro Benedetta D’Intino

- Obiettivi comunicativi - Il coinvolgimento sistematico dei Facilitatori - L’intervento sistematico rivolto agli Ambienti di Vita - Collaborazione con Servizi Territoriali e le Strutture educative

Strumenti di osservazione per la Valutazione e l’Intervento

- Scheda di Osservazione delle Abilità Funzionali alla Comunicazione - Scheda di Indicatori

I livelli comunicativi

- Livello 1: Non Intenzionale – Non simbolico - Livello 2: Intenzionale – Informale - Livello 3: Simbolico Iniziale - Livello 4: Simbolico Consolidato

Le Abilità Funzionali alla Comunicazione nei tre livelli comunicativi

3. Raccomandazioni

Valutazione

Intervento presso il Centro o dell’operatore di riferimento che conduce il progetto di C.A.A.

Intervento presso gli ambienti di vita

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Famiglia

Facilitatori

Servizi Territoriali

Scuola

Équipe Clinica responsabile di progetti C.A.A.

4. Bibliografia

5. Appendice

- Carta dei Diritti alla Comunicazione

- Scheda di Osservazione delle Abilità Funzionali alla Comunicazione

- Scheda di Indicatori di comportamenti comunicativi intenzionali

- Esemplificazioni Pratiche

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1 Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA)

Per introdurre la Comunicazione Aumentativa e Alternativa riportiamo alcune

riflessioni e una breve introduzione all’insieme delle definizioni e dei principi chiave

considerati a livello di comunità scientifica internazionale come imprescindibili per il

corretto svolgimento di qualsiasi progetto di Comunicazione Aumentativa e Alternativa.

“Se tutte le cose che possiedo mi venissero tolte ad eccezione di una, io

sceglierei di mantenere la forza della comunicazione perché per mezzo suo potrei presto recuperare tutto il resto” (Daniel Webster)

“Ogni persona indipendentemente dal grado di disabilità, ha il diritto fondamentale di influenzare mediante la comunicazione, le condizioni della sua vita. Oltre a questo diritto di base, devono essere garantiti i seguenti diritti specifici (…)” estratto da Carta dei Diritti alla Comunicazione* – National Joint Committee for Communication Needs of Persons with Severe Disabilities, 1992.

*In appendice la Carta dei Diritti alla Comunicazione in forma completa

“Spesso la gente pensa che chi non può parlare non può pensare. La CAA “dà voce” anche a chi non parla.” (Ruth Sienkewicz- Mercer, 1992).

“ La comunicazione è un diritto non un dono” (M. Williams) Non tutte le persone riescono a comunicare in modo efficace. Alcune non riescono a rispondere ai loro bisogni comunicativi attraverso il linguaggio orale. I bambini con Sindrome di Angelman non sviluppano un linguaggio orale sufficiente ai loro bisogni comunicativi. Spesso manifestano un desiderio di comunicare, maggiore dei mezzi a loro disposizione. Per le persone con Sindrome di Angelman l’intervento di Comunicazione Aumentativa Alternativa non è negoziabile.

CAA: definizioni, obiettivi ed elementi chiave

La Comunicazione Aumentativa e Alternativa rappresenta un’area della pratica

clinica, che cerca di ridurre, contenere, compensare la disabilità temporanea e

permanente di persone che presentano un grave disturbo della comunicazione sia sul

versante espressivo sia sul versante ricettivo, attraverso il potenziamento delle abilità

presenti, la valorizzazione delle modalità naturali e l’uso di modalità speciali.

La CAA è l’insieme di conoscenze, strategie, tecniche e tecnologie usate per integrare,

aumentare o sostituire il linguaggio orale di bambini ed adulti con grave disabilità

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comunicativa. L’aggettivo aumentativa indica come le modalità di comunicazione

utilizzate siano tese non a sostituire, ma ad accrescere la comunicazione naturale

esistente.

In pratica la Comunicazione Aumentativa è tutto quello che aiuta chi non può parlare a

comunicare: strumenti, tecniche, ausili ma soprattutto partner comunicativi che

interagiscono realmente con chi non può parlare e ne facilitano la comunicazione.

L’intervento di C.A.A. ha lo scopo di supportare la comunicazione naturale esistente

e di fornire soluzioni che facilitino da subito l’interazione fra il bambino e il suo ambiente

di vita. Le limitazioni gravi alla comunicazione orale ostacolano in modo evidente gli

scambi interpersonali e riducono la possibilità di partecipazione sociale, generando

processi di emarginazione relazionale e frustrazione della persona. Nei bambini

l’intervento precoce può prevenire distorsioni nello sviluppo della personalità, che

spesso frenano la piena espressione delle potenzialità individuali. Purtroppo una

barriera frequentemente rilevata è la mancata presa in carico precoce con uno specifico

progetto di C.A.A.

L’apertura dell’Ambiente di Vita del bambino nei confronti della C.A.A. è elemento

chiave per la riuscita dell’intervento: è essenziale il coinvolgimento dei principali partner

comunicativi del bambino (famiglia, insegnanti, amici), perché l’efficacia della C.A.A.

dipende dall’acquisizione delle strategie da parte di tutti i partner.

Principi della C.A.A.

Verranno di seguito esposti i principi di C.A.A. a cui è bene attenersi.

C.A.A. significa Sistema Multimodale

Tutte le modalità che una persona con disabilità comunicativa usa a livello

intenzionale e non intenzionale per mettersi in contatto con chi li circonda, fanno parte

del proprio personale sistema di comunicazione; in quanto tali vanno valutate e

considerate ancor prima di consigliare simboli e ausili.

L’identificazione del Sistema di Comunicazione esistente deve essere quindi la base

per consigliare strategie, strumenti e ausili di comunicazione e per costruire nuove

competenze. Per raggiungere questo obiettivo è prioritario conoscere i bisogni e le

occasioni di comunicazione della persona con difficoltà comunicative in tutti gli ambienti

di vita.

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C.A.A. significa non richiedere prerequisiti

Il solo vero prerequisito per intraprendere un intervento di C.A.A. è la presenza di

reali opportunità di comunicazione; l’esistenza di alcune abilità non deve quindi essere

considerata prerequisito per l’intervento di C.A.A.

C.A.A. significa lavorare con e sull’Ambiente di Vita

La responsabilità della comunicazione si sposta dalla persona che non parla a

quanti la circondano negli ambienti di vita, perché la comunicazione emerge se si danno

opportunità. La C.A.A. non si fonda sull’esercizio, ma su esperienze di reali opportunità

di comunicazione offerte al bambino, che gli diano la possibilità di influenzare

l’ambiente, di crearsi un’identità e di migliorare l’immagine e la stima di sé. Pertanto,

l’integrazione e la condivisione di intenti tra casa, scuola e luoghi di vita è cruciale per il

buon esito dell’intervento di C.A.A.

Un approccio di tale genere è difficile da trasmettere perché persiste la convinzione

che l’addestramento per la C.A.A. debba essere condotto in situazioni strutturate fino a

che non venga raggiunto un qualche livello comunicativo/cognitivo, stabilito in modo

arbitrario. Si pretende poi che l’utente, inserito in situazioni naturali, sia in grado di

utilizzare con immediatezza gli schemi comunicativi appresi. E’ principio condiviso,

invece, che non si può insegnare a comunicare se non comunicando, e che gli utenti

non sono quasi mai in grado di generalizzare, senza supporto continuo, i

comportamenti appresi in seduta.

C.A.A. significa modalità di insegnamento pragmatica e concreta

La C.A.A. deve essere insegnata in modo interattivo e pragmatico e richiede

necessariamente che qualsiasi abilità specifica, come imparare ad usare i simboli

grafici, utilizzare una tabella o un ausilio con uscita in voce in modo funzionale, venga

appresa in situazioni comunicative naturali e realistiche e venga subito tradotta in

obiettivi funzionali. Purtroppo è abitudine diffusa ritenere che sia sufficiente l’esposizione ai simboli e l’abilità di associare i simboli al loro referente perché questi vengano poi usati in funzione comunicativa. Lo scopo principale nella proposta di simboli grafici è l’uso per una comunicazione funzionale: far capire che il simbolo può stare al posto di persone, cose o attività non presenti è sicuramente un apprendimento che deve avvenire solo all’interno di situazioni naturali e motivanti per la persona.

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Modello clinico in C.A.A.

Valutazione

La Valutazione avvia l’intervento di C.A.A. Deve essere eseguita da professionisti

esperti in C.A.A.

Devono essere osservate le competenze comunicative già presenti nella persona

con Sindrome di Angelman, al fine di identificare obiettivi adatti. Contemporaneamente

deve essere verificato l’allineamento dei genitori e dei principali partner comunicativi

rispetto allo scopo e alle modalità di intervento.

Si stabiliscono le strategie di intervento per il singolo soggetto, approfondendo

l’osservazione delle Abilità Funzionali alla Comunicazione, con adeguati strumenti di

osservazione e dettagliando la programmazione dei modi e degli strumenti attraverso

cui dirigere lo sviluppo del soggetto. Valutazione, osservazione e intervento sono

processi immessi in un sistema di reciproca influenza, in cui la coerenza dell’uno con gli

altri deve essere verificata di continuo.

Come evidenziato, la Valutazione avvia l'intervento di C.A.A., nel senso preciso di

porre le basi di conoscenza e di osservazione che permettono la definizione di un

progetto di intervento per quella precisa persona con complessi bisogni comunicativi nel

suo contesto di vita.

La complessità del compito richiede una serie regolare di incontri, i quali configurano

un percorso di osservazione - intervento: in altri termini, le prime sedute di osservazione

permettono di rilevare le abilità funzionali comunicative che il soggetto già utilizza nelle

sue interazioni quotidiane; tali abilità a volte sono possedute ma il soggetto non è in

grado di adoperarle nei diversi contesti.

Intervento

La distribuzione del lavoro lungo un percorso nel contempo di osservazione e di

intervento serve per evocare ed esercitare quelle abilità di cui il soggetto già dispone;

serve per avviare un lavoro che permetta il mantenimento e la generalizzazione delle

stesse; consente di evocare e costruire altre e nuove abilità comunicative di base o

anche di avviare una comunicazione simbolica, quando questo è possibile.

Come già detto, l’intervento si costruisce sulle abilità presenti, ma non prescinde

dalle difficoltà e dai punti critici. Entrambi vengono definiti in C.A.A. “barriere”:

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l’intervento consiste anche nel cercare il modo per superarle. Si definiscono barriere di

accessibilità quelle che si riferiscono al bambino, e possono essere di natura medica,

motoria, fisica, sensoriale, percettiva, cognitiva, di apprendimento, di comprensione del

linguaggio, di comunicazione, emozionali, comportamentali e sociali. Si definiscono

barriere di opportunità quelle che riguardano l’ambiente e riflettono l’insieme di politiche,

leggi, prassi, attitudini (sia esplicite che nascoste della famiglia e dei servizi riabilitativi

ed educativi) e l’assenza di conoscenza e di abilità.

L’intervento si articola in sedute rivolte al bambino in presenza dei genitori e dei

principali partner degli ambienti di vita, in particolare della scuola o dei centri diurni, per

renderli il più possibile competenti ed autonomi nel supportare gli sforzi comunicativi del

bambino attraverso strategie e strumenti di C.A.A. e nell’individuare e progettare

occasioni di partecipazione comunicativa. Gli insegnanti e gli educatori giocano un ruolo

fondamentale in un progetto di C.A.A. E’ importante trovare tra di loro chi si assuma la

responsabilità di supportare il progetto di C.A.A. Queste persone vengono chiamate

facilitatori della comunicazione. E’ indispensabile prevedere per loro tempi, occasioni e

modalità efficaci di formazione sia teorica che in presenza del bambino.

Quando possibile è importante che la persona che conduce il progetto di C.A.A.

intervenga direttamente negli ambienti di vita per individuare o creare opportunità.

Purtroppo per limiti strutturali ciò non è sempre attuabile.

Nella pratica, le sedute creano contesti d’interazione strutturati dall’operatore C.A.A., in

cui bambino, genitori e partner (in genere insegnanti ed educatori) possano vivere

scambi comunicativi significativi. Ciò generalmente avviene in situazioni di gioco e

durante routine. In tali contesti, l’operatore C.A.A. conosce il bambino, cerca di captare i

segnali da lui inviati e le intenzioni comunicative, e costruisce interazioni, perlopiù

attraverso il gioco, rispettando i suoi interessi e preferenze. In altre parole, crea contesti

di partecipazione, all’interno dei quali valorizza gli sforzi comunicativi del bambino e, nel

contempo, propone quei simboli che gli permetteranno da subito di esplicare diverse

funzioni comunicative, anche negli altri ambienti di vita. Cerca, inoltre, di rendere i

genitori sensibili a cogliere e riconoscere i segnali comunicativi del bambino e a

restituire significato favorendo così lo sviluppo di intenzionalità. Potrà mostrare come

non fondare la C.A.A. sull’esercizio, ma su esperienze che offrano opportunità di

comunicazione. Ad esempio, una delle principali opportunità da insegnare e proporre è

quella di fare scelte in situazioni reali. L’abilità di scegliere dà infatti la possibilità di

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influenzare l’ambiente, di crearsi una identità, di migliorare l’immagine e la stima di sé.

Offrire scelte è molto più complicato di quanto possa sembrare; ma ancora più difficile è

offrire scelte senza obbligare a farle.

Durante le sedute si potrà trasmettere una strategia particolarmente cruciale in C.A.A.

chiamata “modellamento”. Il modellamento comporta che chi interagisce col bambino,

che sta imparando l’uso funzionale dei simboli, indichi i simboli corrispondenti alla

parola chiave mentre parla al bambino. In tal modo il bambino sperimenta i simboli in

uso ricettivo, rinforza l’associazione del simbolo al referente, condivide con un’altra

persona la sua modalità di comunicazione, e, se la comunicazione avviene con il

supporto della tabella, consolida la memorizzazione e la collocazione del simbolo. Altro

aspetto importante del modellamento è l’esposizione del bambino ad una costruzione

sintattica via via più evoluta, utile per affrontare le difficoltà sintattiche della

comunicazione con simboli.

Le interazioni naturali tra genitori e bambini offrono spesso spunto e opportunità per

sostenere, ampliare e arricchire gli scambi comunicativi. I genitori, durante le sedute,

possono osservare come sia possibile che i loro bambini vivano, durante il gioco,

merende, uscite al bar, scambi comunicativi efficaci anche con partner comunicativi non

abituali. Questo stile di intervento si applica, adeguatamente adattato, anche a ragazzi

e giovani adulti.

Rivalutazioni

Un progetto di C.A.A. è un processo circolare e dinamico che si articola in momenti

di valutazione e di intervento immessi in un sistema reciproco di influenza, in cui si

prevedono regolari verifiche, consistenti in incontri di Rivalutazione.

L’équipe di CAA

Nella condivisa pratica clinica, si ritiene importante che la valutazione e l’intervento

in C.A.A. siano processi dinamici condotti da una équipe di professionisti, che non solo

conoscono e padroneggiano le strategie proprie della C.A.A., ma anche sappiano

mantenere un’attitudine di lavoro multidisciplinare e di gruppo. Purtroppo l’operatore

formato in C.A.A. sovente si trova a lavorare ‘da solo’ sul versante della

Comunicazione, anche qualora appartenga ad un gruppo di lavoro. Si pone allora

l’istanza di ricercare attivamente altri professionisti, con cui condividere il progetto di

CAA per realizzare una concreta rete di scambio di informazioni e di condivisioni sugli

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obiettivi da perseguire e sulle strategie comunicative individuate come adeguate allo

scopo.

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2 Sindrome di Angelman e la C.A.A.

Premessa

E’ esperienza comune che alcuni soggetti con sindromi genetiche presentano un

importante disturbo della comunicazione perché non acquisiscono un linguaggio orale

sufficiente ai propri bisogni di vita; spesso presentano anche una compromissione di

altre modalità comunicative non verbali.

In particolare, nei soggetti con Sindrome di Angelman (di seguito S.A.) appaiono

compromesse sia la produzione verbale, sia le forme non verbali di comunicazione, per

esempio i gesti e la mimica. I soggetti con S.A. non acquisiscono mai un linguaggio

funzionale sufficiente ai loro bisogni. Solo alcuni riescono ad usare due o tre parole in

modo funzionale. In rarissimi casi, soggetti perlopiù con disomia uniparentale (UPD) o

difetto del Centro dell’ Imprinting (ID), arrivano a pronunciare, anche se con difficoltà,

fino a cinquanta parole. La comprensione del linguaggio verbale risulta quasi sempre

migliore rispetto alle capacità espressive.

Il Prof. Francesco Viani, Neuropediatra e specialista in epilettologia infantile, ha il merito

di aver ipotizzato per primo in Italia l’adeguatezza dell’approccio della C.A.A. per le

persone con S.A. Tale ipotesi è nata da due semplici osservazioni:

1. l’atteggiamento aperto agli altri dei soggetti con S.A. - la cosiddetta happy

disposition, secondo l’espressione del dott. Angelman;

2. l’inefficacia dell’intervento logopedico “classico”, i cui sforzi terapeutici erano

e sono tuttora per lo più rivolti alla sola acquisizione del linguaggio orale.

L’intuizione del prof. Viani ha stimolato i primi interventi di C.A.A. con soggetti con S.A.

presso il servizio di C.A.A. del Centro Benedetta D’Intino, che risalgono dunque agli

anni ‘90. Partiti come attività clinica sperimentale ed empirica, negli anni hanno portato

ad una consistente esperienza clinica e ad una più efficace progettualità.

Nello stesso periodo, l’Organizzazione Sindrome di Angelman (OR.S.A.), all’epoca

ai primi anni di attività, ha fatto propria l’indicazione della C.A.A. come intervento

prioritario e centrale nel progetto di riabilitazione globale di soggetti con S.A. Ciò ha

contribuito in modo determinante all’acquisizione dei principi e delle modalità della

C.A.A. da parte di molte famiglie di bambini con Sindrome di Angelman.

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Oggi si può affermare che la sindrome di Angelman è, tra le sindromi genetiche, una

condizione in cui l’intervento di C.A.A. trova particolare giustificazione, sopratutto

perché:

1. le persone con S.A. non raggiungono mai la possibilità di esprimere in modo

sufficiente i propri bisogni attraverso il linguaggio orale;

2. le persone con S.A. hanno una capacità di comprensione superiore alle

proprie possibilità espressive;

3. l’atteggiamento aperto agli altri e di non chiusura tipico dei soggetti con S.A.

(salvo casi in cui coesistono caratteristiche appartenenti allo Spettro Autistico)

rende maggiormente efficaci gli interventi per aumentare la capacità

comunicativa nell’ambiente di vita del soggetto;

4. rispetto ad altre patologie con difficoltà comunicative, la consapevolezza che il

bambino non potrà mai risolvere le gravi difficoltà espressive con il linguaggio

verbale, motiva i genitori a intraprendere precocemente percorsi alternativi di

espressione attraverso modalità non simboliche e simboliche.

Se è vero che la comunicazione è l’essenza della vita umana, privare un soggetto

con S.A. di reali opportunità di comunicazione e di un modo per esprimere bisogni,

richieste, desideri e stati d’animo significa relegarlo a una vita di isolamento ed

emarginazione.

Bisogna evitare di realizzare tardivamente che il bambino con S.A. avrebbe potuto

sviluppare maggiori e più evolute abilità comunicative se solo fosse stato esposto ad

opportunità nei primi anni di vita.

Pat Mirenda, una delle più grandi esperte di C.A.A. al mondo riassume il concetto

con questa affermazione: “noi non dobbiamo permettere che le mancate decisioni di

oggi compromettano i bisogni di domani”.

L’impianto progettuale dell’intervento di C.A.A. seguito al Centro Benedetta D’Intino

Il servizio di C.A.A. del CBDI è attivo dal 1994.

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Circa 80 famiglie con bambini e giovani adulti con Sindrome di Angelman si sono rivolte

per una valutazione. 42 di essi sono stati presi in carico con un progetto di C.A.A.

Dal 1998 l’Or.s.a. (Organizzazione Sindrome di Angelman ) e il CBDI, hanno

collaborato per diffondere la C.A.A. e la irrinunciabilità dell’intervento di C.A.A. per

persone con S.A. in Italia, paese con radicata tradizione oralista, in cui ancora oggi

professionisti e centri di riabilitazione stigmatizzano tutto ciò che non viene fatto per

ripristinare il linguaggio orale.

Dal 2004 al 2007 grazie al finanziamento della Fondazione Umanamente del gruppo

ALLIANZ il CBDI ha condotto un progetto sperimentale di C.A.A. rivolto a 24 bambini e

giovani adulti con S.A. dal titolo “C.A.A. e ambiente di vita”. L’ obiettivo del progetto è

stato quello di sperimentare un modello di intervento in C.A.A., che prevedesse oltre

alle sedute con il bambino, un intervento sistematico diretto e indiretto negli ambienti di

vita. Tale modello era ispirato a evidenze scientifiche internazionali riportate dai

maggiori esperti in C.A.A., che avevano definito come “modello di partecipazione” il

modello di valutazione - intervento a cui attenersi.

Dalle conoscenze derivate dalle ricerche cliniche internazionali e dalla nostra

personale esperienza clinica ne è derivato l’impianto progettuale utilizzato al CBDI di cui

descriveremo i principali aspetti. Tali aspetti vengono trasmessi allievi della Scuola

Annuale in C.A.A. del nostro Centro.

Ciò che segue è quindi il risultato delle conoscenze derivate dalla letteratura

internazionale in C.A.A. e dalla nostra esperienza clinica e di ricerca.

Obiettivi comunicativi

L’impianto progettuale prevede un processo per la definizione degli obiettivi: il

responsabile della conduzione del caso di C.A.A. non si limita a elencare un certo

numero di obiettivi, ma per ciascuno di essi valuta rispetto a quale livello di intervento si

pone il suo lavoro (Acquisizione – Generalizzazione – Mantenimento).

In base alle abilità del soggetto, può infatti proporsi come primo obiettivo comunicativo

che il bambino cominci a esperire una determinata funzione comunicativa nel contesto

della seduta; può successivamente adoperarsi affinché il bambino metta in atto la

medesima funzione comunicativa in contesti diversi; può concentrare il proprio

intervento affinché il bambino mantenga nel tempo quella determinata funzione

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comunicativa. In questo caso, pur coinvolgendo la medesima funzione comunicativa, si

è di fronte a tre obiettivi comunicativi differenti, rispettivamente legati ai concetti di

Acquisizione di nuove abilità, Generalizzazione e Mantenimento.

Volendo fornire una definizione dei tre concetti, si può affermare che:

- per Acquisizione di una abilità o funzione comunicativa si può intendere

l’evoluzione del comportamento manifestato dal soggetto nel corso di una

interazione comunicativa, ossia il fatto di aver posto in essere quella abilità o

esercitato quella funzione non posseduta in precedenza;

- per Generalizzazione di una abilità o funzione comunicativa si può intendere

la capacità di esplicare tale abilità o funzione comunicativa in situazioni (o

condizioni) diverse da quelle di apprendimento (Schlosser & Braun, 1994);

- per Mantenimento di una abilità o funzione comunicativa acquisita si può

intendere il fatto che la persona la esercita regolarmente - nel tempo - ogni

qual volta gli permetta la soddisfazione dei propri bisogni comunicativi.

L’impianto concettuale qui sopra descritto è importante ai fini della rivalutazione dello

intervento.

Il coinvolgimento sistematico dei Facilitatori

All’interno della condivisa pratica clinica in C.A.A., il facilitatore è colui il quale si

assume la responsabilità di supportare gli sforzi comunicativi del bambino; è un tramite,

un promotore della comunicazione e delle relazioni tra il bambino ed altri partner: vicini

di casa, amici di scuola, insegnanti ed amici in genere, in modo che non sia solo la

famiglia il suo interlocutore. La scuola è, per esempio, uno degli ambienti che offre ai

bambini disabili il maggior numero di occasioni di comunicazione e di interazione. Gli

insegnanti di sostegno sono spesso le figure che con maggior successo assumono il

ruolo di facilitatori.

Come tale, il coinvolgimento di tale figura è un elemento importante nella pratica

clinica di C.A.A. del Centro. La figura dei facilitatori è fondamentale per la realizzazione

di ciascuna attività perché in continuo contatto con i contesti di vita ed è quindi in grado

di sperimentare la quotidianità del lavoro insieme al personale scolastico e degli altri

ambienti di vita.

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L’intervento sistematico rivolto agli Ambienti di Vita

L’impianto progettuale prevede il coinvolgimento degli ambienti di vita della persona

con Sindrome di Angelman, effettuando quando possibile osservazioni dirette nei

contesti prevalenti in termini di tempi di frequentazione e importanza. In particolare,

vengono presi in considerazione:

- ambienti scolastici;

- centri diurni;

- ambienti domestici (in particolare per i soggetti più piccoli);

- altri ambienti frequentati generalmente una o due volte durante la settimana

(Cooperativa, Oratorio, ecc….)

L’introduzione sistematica dell’ambiente di vita come scenario di lavoro riveste una

cruciale importanza, evidente in particolare per quanto riguarda la definizione degli

obiettivi comunicativi e l'elaborazione delle concrete proposte di lavoro.

Il consistente percorso di sedute svolte presso il Centro dall’operatore e/o dal

responsabile del progetto certamente permette la messa a fuoco delle competenze di

cui il soggetto già dispone e delle competenze ulteriori su cui concentrare i nostri sforzi.

Permette, altresì, nel corso delle analisi dei vari ambienti condotte assieme ad alcuni

dei partner comunicativi, l'individuazione del contesto o dei contesti che meglio possono

offrire spazi ed occasioni significativi per l'implementazione del progetto in C.A.A., vale

a dire gli Ambienti di Vita rilevanti.

Tuttavia, va sottolineato che soltanto il poter vedere e conoscere direttamente gli

ambienti in oggetto - e soprattutto la possibilità di rilevare i concreti atteggiamenti dei

partner comunicativi - consente la precisa individuazione di obiettivi realisticamente

perseguibili.

Infatti, gli operatori di C.A.A., alla luce delle risorse e delle barriere che non

favoriscono scambi comunicativi, osservate nei vari momenti della giornata (ad

esempio, il momento dell’ingresso, l’appello, la ricreazione, la mensa, il gioco libero, le

attività strutturate) possono suggerire le modalità per sostenere, o proporre nuovi

scambi comunicativi, che tengano in considerazione gli obiettivi individuati nella fase

precedente.

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Osservare come è strutturata una giornata scolastica (dal nido alla scuola materna,

elementare, media) permette, infatti, di valutare le occasioni di partecipazione all’interno

delle singole situazioni, di conoscere quali scambi avvengono tra tutti i componenti del

sistema, in quali occasioni il bambino con complessi bisogni comunicativi può

esprimersi ed anche di valutare come l’ambiente è abituato ad accogliere, sostenere e

rispondere a tali bisogni.

Per ciascun soggetto, perciò, si giunge a definire una programmazione di interventi

concreti, legati al contesto osservato, che ha permesso di:

- rendere sistematico l’intervento del facilitatore, proponendo possibili modelli

d’interazione;

- focalizzare l’attenzione su tematiche e obiettivi specifici per ogni soggetto. Ciò

è stato possibile avendo avuto la possibilità di individuare i bisogni

comunicativi e di cogliere tempestivamente gli spunti comunicativi,

- pensare a supporti adeguati ad esprimere nella maniera più efficace tali

bisogni;

- creare opportunità di scambio più ricche e articolate coinvolgendo tutti gli

attori (educatore, insegnanti, bambini);

- scandire i tempi dell’intervento all’interno della giornata tipo.

La possibilità di confrontarsi già in loco con i partner comunicativi, attorno ai

problemi quotidiani, permette la elaborazione di proposte e, in modo particolare, di

strategie, che facilitino l'emergere di nuove competenze o la generalizzazione di quelle

già acquisite.

Ad esempio, nei casi in cui ci si propone un obiettivo di maggiore integrazione

scolastica (obiettivo legato soprattutto ai ragazzini più grandi), è stato chiesto agli

insegnanti di pensare ad attività finalizzate a coinvolgere scolasticamente il ragazzo/a

con compiti di effettiva utilità per la classe. Una volta individuate tali attività, il facilitatore

può suggerire agli insegnanti indicazioni, strumenti, modalità di intervento per poterle

attuare in modo personalizzato, proponendo, secondo i casi, lavori individuali (rapporto

uno a uno) o in piccoli gruppi. Questo tipo di intervento è importante per far crescere

l’autostima del soggetto e per migliorare l’idea che i compagni hanno del soggetto con

Sindrome di Angelman.

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Nei casi invece di intervento con i bambini più piccoli, la programmazione tende, tra

le altre cose, a organizzare l’ambiente introducendo input aumentativi ed etichette utili a

renderlo più chiaro, a ripulirlo da stimoli disturbanti alla esplicazione efficace degli intenti

e dei bisogni comunicativi del bambino.

In conclusione, possiamo dichiarare che l’intervento di operatori di C.A.A. negli

ambienti di vita produce effetti positivi sia in termini di ampliamento e rafforzamento

delle possibilità di impattare e influenzare l’ambiente, sia in termini di sostenere la

partecipazione ed il coinvolgimento da parte delle famiglie ad un progetto che non si

limiti ad un intervento sul bambino, ma che incida anche sul suo ambiente di vita.

Questa migliore accoglienza poggia sulla percezione dell’intervento degli esperti in

C.A.A., finalmente avvertito come consiglio e suggerimento ben aderente al reale

tessuto della vita quotidiana.

Collaborazione con Servizi Territoriali e le Strutture educative

Nella comune esperienza, tutti i soggetti con Sindrome di Angelman dispongono di

una presa in carico presso un Servizio Territoriale o una struttura educativa -. La

concreta pratica clinica in C.A.A. porta spesso a dover affrontare barriere di prassi,

relative alla difficoltà ad integrare la C.A.A. con l’approccio clinico fino a quel momento

adottato. Infatti l’approccio della C.A.A. porta a rivedere l’insieme delle strategie

‘cliniche’ e delle modalità organizzative con cui operare. Occorre sottolineare che il

processo di valutazione e di intervento in C.A:A. mira anche a cercare le proposte

possibili volte a superare proprio queste barriere di conoscenza e di prassi.

Strumenti di osservazione per la Valutazione e l’Intervento

L’operatore C.A.A. del Centro nelle fasi di valutazione e di rivalutazione in itinere ha

a disposizione come strumento di registrazione una scheda di osservazione che elenca

le principali Abilità Funzionali alla Comunicazione.

Il termine-concetto di Abilità Funzionale rimanda alla personale capacità di ciascuno

di noi di conseguire i propri obiettivi di comunicazione: tali obiettivi cambiano ed

evolvono a seconda della tappa evolutiva del ciclo di vita in cui ci si trova e si

configurano in relazione ai differenti contesti di vita in cui si è coinvolti. Tali abilità

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18

dunque vengono messe in atto dalla persona per conseguire una comunicazione

efficace nel proprio contesto di vita.

L’area di significato cui facciamo riferimento è quella della competenza

comunicativa, così come viene definita ed inquadrata da J. Light nell’ambito degli studi

in C.A.A.

Il termine competenza comunicativa corrisponde alla capacità del soggetto di

comunicare funzionalmente nei vari contesti di vita naturali, per far fronte

adeguatamente ai propri bisogni comunicativi della vita quotidiana, attuali e prevedibili,

integrando le proprie conoscenze, abilità e capacità di giudizio.

La costruzione della competenza comunicativa si traduce in un percorso complesso

di acquisizione, di padronanza e di integrazione delle competenze linguistiche, socio -

linguistiche, operazionali e strategiche da parte sia della persona con disabilità

comunicativa che dei suoi partner comunicativi. Qui si intuisce e si coglie appieno la

peculiarità dell’approccio della C.A.A.

La descrizione delle abilità funzionali alla comunicazione rimanda pure alla

comprensione delle principali ragioni per cui comunichiamo. Anche qui il riferimento è

rappresentato dagli studi di J. Light, che individua «quattro obiettivi principali o scopi

della comunicazione: esprimere bisogni e necessità, sviluppare delle relazioni sociali,

scambiare delle informazioni e adempiere alle convenzioni sociali quotidiane».

Scheda di Osservazione delle Abilità funzionali alla Comunicazione

Le differenti abilità considerate vengono riportate in una griglia appositamente

elaborata, in modo che l’operatore C.A.A. possa registrare durante l’osservazione e/o

l’intervento:

- la presenza o assenza di ciascuna di queste abilità;

- la frequenza con cui una specifica abilità viene messa in atto dalla persona;

- la modalità con la quale viene espressa;

- il contesto/setting nel quale viene esercitata tale capacità;

- il contenuto dello scambio comunicativo così realizzato;

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19

- le eventuali barriere - di accessibilità o di opportunità - che si sono riscontrate

nel corso dello svolgimento dell’interazione comunicativa.

In particolare, la scala di frequenze considerata è la seguente:

0 ASSENTE 1 UN EPISODIO 2 QUALCHE VOLTA 3 SPESSO 4 SEMPRE

L’unità di tempo per la quale considerare la frequenza è la durata della seduta

presso il Centro o la situazione di interazione naturale che si osserva nell’ambiente di

vita. L’osservazione, dunque, ha l’obiettivo di registrare l’emergenza delle Abilità

Funzionali alla Comunicazione nell’istante in cui accadono.

Come si vede nella scheda riportate alla fine della tabella, le Abilità Funzionali alla

Comunicazione considerate sono:

Titolo Definizione 1 ATTENZIONE AL PARTNER Interesse dimostrato verso una persona

nell’ambiente con modalità diverse: sguardo, contatto fisico.

2 RICHIESTA DI ATTENZIONE Messa in atto di comportamenti che, in modo non intenzionale o intenzionale, inducono l’attenzione su di sé.

3 PROTESTA Comportamento che manifesta ed esprime la propria opposizione e non gradimento di una particolare situazione/persona/attività.

4 ACCETTAZIONE/RIFIUTO Comportamento che esprime l’adesione/opposizione, in modo non intenzionale o intenzionale, verso una proposta o una situazione.

5 ATTENZIONE CONDIVISA Abilità di condividere con l’interlocutore un fuoco di attenzione esterno alla diade, mantenendo un coinvolgimento sociale reciproco.

6 ALTERNANZA DI TURNO Abilità di alternare lo scambio comunicativo senza interrompere la comunicazione.

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20

7 PRESA DI TURNO OBBLIGATORIA Abilità di produrre un atto comunicativo nel momento opportuno in seguito a una sollecitazione da parte dell’interlocutore.

8 PRESA DI TURNO NON OBBLIGATORIA Abilità di produrre un atto comunicativo di risposta nel momento adeguato senza bisogno della sollecitazione da parte dell’interlocutore.

9 ESPRESSIONE DI “ANCORA” SU RICHIESTA

Abilità di rispondere “ancora” in seguito all’opzione posta dall’interlocutore di ripetere l’attività in corso.

10 ESPRESSIONE DI “ANCORA” SPONTANEA

Abilità di richiedere la ripetizione dell’attività in corso senza bisogno della sollecitazione da parte dell’interlocutore.

11 ESPRESSIONE DI “BASTA” SU RICHIESTA

Abilità di rispondere “basta” in seguito all’opzione posta dall’interlocutore di interrompere l’attività in corso.

12 ESPRESSIONE DI “BASTA” SPONTANEA Abilità di richiedere l’interruzione dell’attività in corso senza bisogno della sollecitazione da parte dell’interlocutore.

13 MANIFESTAZIONE DI PREFERENZE Abilità di un individuo a mostrare spontaneamente la propria preferenza tra due o più possibilità presenti.

14 ATTUAZIONE DI SCELTE Abilità di un individuo a esprimere a un interlocutore la propria preferenza tra due o più opzioni, spontaneamente o su sollecitazione dell’interlocutore.

15 RICHIESTA SPONTANEA DI PERSONE, OGGETTI, AZIONI

Comportamento mirato ad ottenere persone/oggetti/azioni presenti o non presenti nell’ambiente, senza bisogno della sollecitazione da parte dell’interlocutore.

16 ESPRESSIONE DI “SI/NO” Abilità di rispondere a una domanda posta dall’interlocutore che richieda una risposta “Si/No”.

17 ESPRESSIONE DI COMMENTI Abilità di manifestare la propria partecipazione con modalità che vanno da semplici reazioni corporee o gestuali a modalità non simboliche e simboliche.

18 RIFERIRE/RACCONTARE SU RICHIESTA Abilità di percepire, organizzare e comunicare la realtà a seguito di una sollecitazione da parte dell’interlocutore. Il contenuto della comunicazione può essere espresso con un unico simbolo/frase o estendersi a un’espressione più articolata, sia dal punto di vista del contenuto sia della forma.

19 RIFERIRE/RACCONTARE SPONTANEAMENTE

Abilità di percepire, organizzare e comunicare la realtà senza bisogno di una sollecitazione da parte dell’interlocutore. Il contenuto della comunicazione può essere espresso con un unico simbolo/frase o estendersi a un’espressione più articolata, sia dal punto di vista del contenuto sia della forma.

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21

20 FARE DOMANDE Abilità di richiedere notizie, informazioni e chiarimenti su situazioni presenti e/o eventi passato e/o futuri, su persone, su attività.

21 RICHIESTA DI AIUTO Comportamento attraverso la quale si richiede esplicitamente un sostegno/supporto nella risoluzione di un problema.

22 SALUTARE/RINGRAZIARE Comportamenti che attestano la presenza di strategie e competenze sociali.

23 INIZIARE LA CONVERSAZIONE Abilità di attirare l’attenzione dell’interlocutore e di introdurre un argomento.

24 PARTECIPARE/MANTENERE/ CONCLUDERE LA CONVERSAZIONE

Abilità di inserirsi spontaneamente all’interno di una conversazione, di rimanere sull’argomento, possibilmente e di dare una conclusione alla conversazione.

In appendice è possibile trovare la scheda di Osservazione delle Abilità Funzionali alla Comunicazione.

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22

2.6.2 Scheda di Indicatori di comportamenti/atti comunicativi intenzionali

La concreta valutazione di alcune situazioni ha portato ad evidenziare un livello di

sviluppo comunicativo non intenzionale, cui corrispondono comportamenti non

funzionalmente efficaci ma altresì fondamentali per l’emergere dell’intenzionalità

comunicativa.

Ad integrazione della scheda suddetta, per indagare più approfonditamente questi

tipi di situazione ci si è avvalsi di una serie di indicatori di comportamenti comunicativi

intenzionali, specificamente elaborati per osservare i comportamenti comunicativi dei

cosiddetti comunicatori iniziali. Tali indicatori hanno rappresentato una sorta di guida nel

concreto svolgersi dell’osservazione. Questi sono:

1 C’è alternanza di sguardo tra un oggetto (i.e. un obiettivo) e interlocutore?

2 C’è un orientamento del corpo ad indicare che il segnale è stato rivolto all’interlocutore?

3 Quando un segnale viene prodotto, c’è una pausa prima che esso venga ripetuto che possa indicare che il comunicatore sta aspettando una risposta da parte dell’interlocutore?

4 Quando un segnale viene prodotto e l’interlocutore risponde, il segnale si esaurisce?

5 Quando un segnale viene prodotto e l’interlocutore risponde, il comunicatore mostra, nei confronti della risposta, soddisfazione o insoddisfazione?

6 Quando un segnale viene prodotto e l’interlocutore non risponde, il comunicatore persiste ripetendo o cambiando il segnale?

7 Il segnale è ritualizzato (i.e. lo stesso ogni volta) o ha una forma convenzionale (p.e. puntare, scuotere la testa)?

In appendice la scheda “Indicatori di Comportamenti Comunicativi Intenzionali”.

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23

I livelli comunicativi

L’osservazione complessiva del profilo comunicativo di un soggetto parte dunque

dalla rilevazione della presenza/assenza delle Abilità Funzionali alla Comunicazione. La

valutazione dell’insieme delle competenze del soggetto, espresso anche in termini di

frequenza, modalità espressiva e contenuto, permette di definire le persone con S.A.

rispetto a 4 livelli comunicativi, ispirati ai lavori dello Scope – Communication Research

Centre Victoria, Australia.(Jacono, West, Bloomberg, K. E Johnson H. 2009)

Di seguito, si descrivono i 4 livelli comunicativi:

Livello 1: Non Intenzionale – Non simbolico

Il soggetto produce dei comportamenti spontanei (espressioni del viso, vocalizzi,

pianto, tensioni del corpo) in modo non intenzionale; il partner li riconosce come segnali

e dà ad essi una risposta attribuendovi quindi una valenza comunicativa.

Il carattere iniziale di queste manifestazioni mette inevitabilmente in gioco la

sensibilità e la capacità del partner abituale (i cosiddetti caregiver) di cogliere,

valorizzare e sostenere questi comportamenti, che possono assumere significato di

segnali comunicativi per il partner, ma che non hanno lo stesso valore per il soggetto.

La risposta degli interlocutori a questi segnali può considerarsi una forma di

comunicazione percepita dal partner (partner-perceived communication). E’

l’attribuzione di significato da parte degli ascoltatori/osservatori che, all’interno di

un’interazione col bambino, dà significato comunicativo a quei comportamenti

“aumentando” il “senso” del loro originario scopo. La persona interagisce solo con

l’interlocutore o solo con l’oggetto che lo interessa; non è ancora in grado di orientare la

propria attenzione verso un oggetto/evento all’interno di uno scambio comunicativo.

L’intervento di C.A.A. rivolto a soggetti a questo livello di comunicazione è definito

intervento di “Comunicazione Iniziale”.

Scopo dell’intervento iniziale è quello di costruire le basi per lo sviluppo di una

comunicazione simbolico/intenzionale. L’intervento si focalizza sulla capacità dei

partner comunicativi di dare significato ai comportamenti (gesti, suoni, azioni) e di farli

evolvere. Non dipende dal controllo di complessi sistemi o ausili. Si focalizza altresì

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24

sull’acquisizione delle abilità di base da parte del “comunicatore iniziale”, poiché questa

facilita il graduale sviluppo di abilità più complesse. Si riferisce in gran parte alle barriere

di opportunità (abilità dei caregivers di rispondere ai segnali del bambino) e alla

comunicazione non simbolica (abilità del bambino di produrre segnali non intenzionali

decifrabili).

Nella pratica l’intervento a questo livello si traduce in un supporto ai genitori e agli

altri partner perché imparino a riconoscere i segnali, a trovare situazioni che favoriscano

l’interazione, a imparare a rispettare i turni comunicativi del “comunicatore iniziale”, ad

attuare pause, ad usare incitamenti e appropriati stimoli linguistici e, molto importante,

ad usare insieme al proprio linguaggio simboli e gesti. I “comunicatori iniziali”, infatti,

sono spesso in grado di comprendere i messaggi solo se vengono espressi anche con

modalità gestuali o visive.

Livello 2: Intenzionale – Informale

Il secondo livello considera e comprende il processo di emersione dell’intenzionalità

comunicativa che viene espressa con modalità unaided, vale a dire modalità naturali

che non richiedono supporti esterni al proprio corpo, ma che si avvalgono della mimica,

dei vocalizzi, della gestualità, dello sguardo e del movimento nel suo complesso.

Con questi comportamenti la persona con disabilità comunicativa non solo cerca e

richiama l’attenzione generica del partner comunicativo, ma tende altresì ad

influenzarne il comportamento. In altri termini, si assiste all’iniziale comparsa di azioni

intenzionali ed abilità attraverso le quali la persona ricerca - dietro sollecitazione del

partner comunicativo ed anche spontaneamente - di controllare il proprio ambiente,

determinando conseguenze precise che corrispondano ai propri bisogni.

Livello 3: Simbolico Iniziale

Si assiste alla comparsa della capacità della persona con disabilità comunicativa di

impiegare oggetti, parti di oggetti, immagini, figure, disegni o gesti come elementi

evocativi di oggetti, persone, situazioni ed attività non presenti nel contesto in cui è al

momento inserita.

L’osservazione di questi comportamenti significativi normalmente avviene all’interno

di situazioni specifiche, ben circoscritte e soprattutto molto motivanti per la persona che

li compie. Il carattere iniziale di questi comportamenti risiede dunque non solo nella non

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25

costanza degli stessi, ma anche nel fatto che compaiano in contesti limitati e ben

caratterizzati. L’evoluzione contempla il graduale espandersi di tali comportamenti a più

contesti, differenti tra loro.

Inoltre ciò che qui importa non è tanto il livello di astrazione in cui si colloca la funzione

simbolica della persona, quanto il semplice - ma fondamentale - fatto che faccia la sua

comparsa l’impiego di simboli all’interno di atti comunicativi, anche solo inizialmente

intenzionali.

Come nei precedenti livelli, il carattere iniziale di queste manifestazioni, e soprattutto

il fatto che appaiono non costanti ma legate a situazioni fortemente motivanti, mettono

ancora in gioco la capacità e la sensibilità del partner abituale nel valorizzare, sostenere

ed espandere questi spunti e questi avvii di comunicazione intenzionale e simbolica.

Risulta importante che il partner sappia attribuire e riconoscere significato anche a

comportamenti che mostrano soltanto il profilarsi di abilità orientate a cambiare i modi di

interazione della persona disabile con il proprio ambiente di vita. Inoltre, occorre che il

partner cerchi di evocare e sostenere tali comportamenti in contesti di volta in volta

diversi e differenziati rispetto a quelli in cui sono comparsi con maggior frequenza ed

evidenza.

Il costante modellamento e l’impiego sistematico di supporti simbolici a sostegno

della comprensione può facilitare e consolidare comportamenti imitativi e iniziative

comunicative da parte della persona disabile: il riconoscimento di questi comportamenti

da parte dei partner stabiliscono nella persona il senso ed il “potere della

comunicazione”.

Livello 4: Simbolico Consolidato

La persona sa di produrre comportamenti che hanno valore di segnale comunicativo e

li produce al fine di soddisfare i propri scopi e raggiungere i propri obiettivi. La modalità

simbolica (uso di parole, immagini, simboli, gesti) si integra con le altre modalità

comunicative già utilizzate

Nel quarto livello emergono nuove funzioni comunicative e si consolidano quelle

emerse nei livelli precedenti. Tra le funzioni comunicative nuove si evidenziano la

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26

“presa di turno non obbligatoria”, “l’espressione di commenti”, il “riferire/raccontare

spontaneamente”, il “partecipare/mantenere/concludere la conversazione”. Quest’ultimo

punto, stimola un’importante riflessione: l’emergere di questa abilità è possibile grazie al

miglioramento della capacità attentiva. Ciò è dovuto all’instaurarsi di un circolo virtuoso

che lega il miglioramento dell’una al rafforzamento dell’altra, confermando la stretta

interrelazione tra sviluppo comunicativo e cognitivo.

Il quarto livello si caratterizza per frequenza, modalità e qualità con cui si esplicano

le abilità comunicative dei soggetti con disabilità comunicativa.

Per quanto riguarda la frequenza si può notare che, riferendosi alla legenda

presentata nella scheda, si passa dall’indice “qualche volta / spesso” segnalato nei

precedenti livelli a quello di “sempre”.

Rispetto alla modalità si osserva – come già detto -, che i soggetti del quarto livello

integrano le modalità simbolica alle altre modalità comunicative già utilizzate.

A questo livello molte persone posseggono un vocabolario personale di immagini

anche molto ricco. Alcuni posseggono tabelle di 500/1000 simboli, immagini, fotografie.

Per quanto riguarda l’aspetto qualitativo, si registra un utilizzo più sofisticato delle

modalità comunicative. Ad esempio, lo sguardo utilizzato per richiedere attenzione nel

primo livello diventa espressione di ulteriori significati: saper aspettare una risposta e/o

una reazione dall’interlocutore, insistere nella richiesta (qualora l’interlocutore non

avesse capito), mostrare assenso o diniego, soddisfazione o insoddisfazione. I soggetti

che appartengono a questa quarta fascia utilizzano anche ausili con uscita in voce

(SGDS) ed ultimamente applicazioni comunicative su tablet (apps per la

comunicazione). Condizione per un uso funzionale degli ausili con uscita in voce o

tablet è che vengano create situazioni ben strutturate, personalizzate, stimolanti per la

persona stessa. Ad esempio, rispondere a interrogazioni in classe come fanno i

compagni, fare richieste a persone autorevoli, utilizzare l’uscita in voce per inviare

messaggi di saluto al telefono. Inoltre, molte persone con S.A. a questo livello

acquisiscono la possibilità di iniziare un percorso di scrittura con simboli (early literacy).

L’abilità di scrivere in simboli è stata utilizzata per lo svolgimento di una prova di esame

di terza media.

In appendice vengono riportate delle esemplificazioni pratiche relative all’intervento

mirato all’acquisizione di alcune abilità comunicative.

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Le Abilità Funzionali alla Comunicazione nei quattro livelli comunicativi

Nel prospetto seguente si individua il livello minimo in cui si dovrebbe osservare una

data Abilità; i passaggi da un livello all’altro sono necessariamente sfumati.

Titolo Livello comunicativo minimo 1 ATTENZIONE AL PARTNER DAL LIVELLO 1 2 RICHIESTA DI ATTENZIONE DAL LIVELLO 1 3 PROTESTA DAL LIVELLO 1 4 ACCETTAZIONE/RIFIUTO DAL LIVELLO 1 5 ATTENZIONE CONDIVISA DAL LIVELLO 2 6 ALTERNANZA DI TURNO DAL LIVELLO 2 7 PRESA DI TURNO OBBLIGATORIA DAL LIVELLO 2 8 PRESA DI TURNO NON

OBBLIGATORIA DAL LIVELLO 3

9 ESPRESSIONE DI “ANCORA” SU RICHIESTA

DAL LIVELLO 2

10 ESPRESSIONE DI “ANCORA” SPONTANEA

DAL LIVELLO 2 (SENZA SIMBOLO) DAL LIVELLO 3 (CON SIMBOLO)

11 ESPRESSIONE DI “BASTA” SU RICHIESTA

DAL LIVELLO 2

12 ESPRESSIONE DI “BASTA” SPONTANEA

DAL LIVELLO 2 (SENZA SIMBOLO) DAL LIVELLO 3 (CON SIMBOLO)

13 MANIFESTAZIONE DI PREFERENZE DAL LIVELLO 2 14 ATTUAZIONE DI SCELTE DAL LIVELLO 2 15 RICHIESTA SPONTANEA DI

PERSONE, OGGETTI, AZIONI DAL LIVELLO 2

16 ESPRESSIONE DI “SI/NO” DAL LIVELLO 3 17 ESPRESSIONE DI COMMENTI DAL LIVELLO 3 18 RIFERIRE/RACCONTARE SU

RICHIESTA DAL LIVELLO 3

19 RIFERIRE/ RACCONTARE SPONTANEAMENTE

DAL LIVELLO 4

20 FARE DOMANDE DAL LIVELLO 4 21 RICHIESTA DI AIUTO DAL LIVELLO 3 22 SALUTARE/RINGRAZIARE DAL LIVELLO 3 23 INIZIARE LA CONVERSAZIONE DAL LIVELLO 4 24 PARTECIPARE/MANTENERE/

CONCLUDERE LA CONVERSAZIONE

DAL LIVELLO 4

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3. Raccomandazioni

Il termine Raccomandazioni sostituisce nella stesura finale del documento quello di

Linee Guida, in quanto quest’ultimo, in campo scientifico, viene usato per descrivere le

raccomandazioni emerse da condotte cliniche che hanno dato buoni risultati, ma che

costituiscono prassi condivise da più Centri che si occupano dell’argomento. Speriamo

che le Raccomandazioni, raccolte in questo documento, possano costituire una valida

guida per chi affronta il problema della comunicazione dei soggetti con Sindrome di

Angelman.

Le Raccomandazioni saranno suddivise in sottocapitoli, che si riferiscono alle

diverse fasi di applicazione del modello clinico condiviso a livello di letteratura

internazionale ed adottato al Centro Benedetta D'Intino. Riflessioni preliminari, dove

pertinenti, precederanno la comprensione delle raccomandazioni stesse.

Valutazione

Considerazioni sulla Valutazione

Molti modelli di valutazione si sono susseguiti negli anni. Dal Modello della

Candidatura, secondo il quale soltanto i soggetti con determinate abilità potevano

accedere ai servizi di C.A.A., all’attuale Modello della Partecipazione descritto per la

prima volta da Rosemberg e Beukelman nel 1987 e successivamente sviluppato da

Mirenda e Buekelman nel 1988, secondo il quale chiunque può accedere ad un

intervento di C.A.A. con efficacia, a patto che ci siano reali opportunità comunicative e

di partecipazione nei diversi contesti di vita.

Negli anni successivi, il Modello di Partecipazione è stato arricchito e modificato

grazie al contributo apportato da alcuni autori (Schlosser 2000), arrivando quindi a

definire un diagramma di flusso degli step necessari per eseguire il processo di

valutazione.

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Come già detto, gli obiettivi principali della valutazione in C.A.A. consistono nel

determinare come un soggetto comunica, identificarne i bisogni comunicativi attuali e

futuri e determinare le barriere alla comunicazione e alle opportunità. La valutazione

deve essere necessariamente un processo dinamico e continuo nel tempo e richiede

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perciò continue rivalutazioni poiché le abilità dei soggetti ed i bisogni comunicativi sono

in continua evoluzione. Di conseguenza occorre modificare strategie e strumenti di

C.A.A. per adeguarli alle caratteristiche attuali dei soggetti.

La valutazione cognitiva è situata all’interno della valutazione delle capacità dei

soggetti, così come riportato nel modello di partecipazione di cui sopra (Profilo delle

capacità – Cognitive/Linguistiche).

In particolare, parlare di valutazione cognitiva rivolta a soggetti con bisogni

comunicativi complessi è un aspetto molto delicato. Come chiaramente segnalato dalla

letteratura (Sarika U . Peters 2004), i soggetti con Sindrome di Angelman presentano

un ritardo mentale grave o gravissimo. Alcuni studi sembrano rilevare una

compromissione più lieve nei soggetti che presentano disomia uniparentale (UPD) o

difetto del Centro dell’ Imprinting (ID). Nella prassi clinica condivisa, emerge

chiaramente come le abilità comunicative dei singoli soggetti varino dai livelli di

comunicazione non intenzionale a quella intenzionale e simbolica. L’intenzione

comunicativa di questi soggetti spesso è comprensibile a persone familiari, ma può non

esserlo a interlocutori non familiari. I soggetti con comunicazione non simbolica

possono capire qualcosa di ciò che è detto, a seconda dell’efficacia comunicativa e

della familiarità del partner e del contesto, ma possono capire poco al di fuori dei

contesti di routine. Quindi per valutare le abilità cognitive e comunicative di questi

soggetti, è necessario considerare il sistema di comunicazione usato, intendendo non

soltanto il repertorio e le abilità del soggetto, ma anche le caratteristiche comunicative

dell’interlocutore e le caratteristiche d’ambiente.

Per questi motivi i soggetti con disabilità cognitiva, come i soggetti con Sindrome di

Angelman, richiedono un approccio di valutazione più flessibile e individualizzato

rispetto ai setting standard. Le tradizionali valutazioni statiche nel setting e

standardizzate nelle modalità rischiano di valutare l’incapacità dei soggetti ad eseguire

un compito, piuttosto che le reali competenze del soggetto e la loro capacità di

modificarsi. Perciò, se l’obiettivo della valutazione sono le abilità presenti ma anche

quelle evocabili da un punto di vista comunicativo, è necessario prevedere contesti

familiari di valutazione, evitando di porre il soggetto in situazioni rigide ed

eccessivamente richiestive.

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Raccomandazioni sulla Valutazione

1. La valutazione cognitiva non deve servire per escludere i soggetti con S.A.

dall’intraprendere un intervento di C.A.A., perché la presenza di determinate

abilità cognitiva non è prerequisito per l’intervento.

A prova di questo assunto, esiste l’evidenza che tutti i soggetti coinvolti in

progetti di C.A.A., ognuno al proprio livello, sono riusciti a migliorare la propria

competenza comunicativa arrivando a realizzare interazioni comunicative

funzionali a rispondere alle necessità individuali. Inoltre, l’intervento di C.A.A.

spesso consente l’esplicitazione di potenzialità cognitive che sono inespresse

perché difficili da accertare; in questo senso le difficoltà cognitive possono

anche ridimensionarsi nella misura in cui sono forniti strumenti per la

comunicazione. La rivalutazione continua nel corso del trattamento diventa

quindi doverosa (on going assessment).

2. All’interno della valutazione generale, la valutazione cognitiva deve testare quelle abilità dello sviluppo cognitivo rilevanti per la C.A.A. e deve avvenire all’interno del contesto comunicativo.

Generalmente è difficile somministrare integralmente test standardizzati per la

valutazione cognitiva. Del resto, anche la letteratura conferma (Sarika U.

Peters 2004) che non esiste un unico strumento di valutazione in grado di

sondare i diversi aspetti dello sviluppo cognitivo, importanti per l’intervento di

C.A.A. nella Sindrome di Angelman.

Le abilità dello sviluppo cognitivo rilevanti per la C.A.A. sono alcune abilità

sensomotorie (permanenza dell’oggetto, relazione causa – effetto ecc.), la

consapevolezza di sé e degli altri, l’intenzionalità comunicativa, la memoria, la

rappresentazione simbolica. Le funzioni comunicative e le abilità cognitive dei

singoli soggetti sono intrinsecamente e reciprocamente collegate tra loro al

punto che una difficoltà nell’uso di alcune funzioni può compromettere lo

sviluppo cognitivo e viceversa. La valutazione di tali abilità consente di capire,

per ciascun soggetto, l’effettiva possibilità di usare, in modo efficace, le

strategie e le tecniche di C.A.A.; di acquisire simboli e utilizzarli in modo

appropriato alle svariate situazioni (competenza comunicativa strategica); di

mantenerne l’uso funzionale nel tempo.

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32

3. La valutazione delle abilità comunicative va condotta in modo dinamico con

osservazioni durante interazioni comunicative spontanee o provocate, ma

comunque necessariamente occorrenti in situazioni altamente motivanti.

Le abilità comunicative vengono spesso valutate per mezzo di interviste

rivolte ai partner comunicativi e di osservazioni degli scambi comunicativi e

dei comportamenti nei contesti di vita, talvolta anche attraverso l’elicitazione

diretta delle singole abilità.

Intervento presso il Centro o dell’operatore di riferimento che conduce il progetto di C.A.A.

Considerazioni sull’intervento presso il Centro

La fase iniziale di un progetto di C.A.A. prevede una serie regolare di incontri, la cui

funzione è duplice: proseguire ed approfondire la valutazione dei bisogni delle persone

con Sindrome di Angelman e, nel contempo, proporre e verificare modalità ed attitudini

concrete per favorire la costruzione di reali competenze comunicative. Il fatto di poter

lavorare in presenza sia dei genitori che del facilitatore, permette un reale e consistente

scambio di informazioni utili per l’implementazione del progetto stesso.

Raccomandazioni sull’intervento presso il Centro

1. Appare fondamentale potere fin da subito avviare l’intervento di C.A.A. ed

interagire con la persona con disabilità comunicativa in presenza dei

principali partner comunicativi.

Questa modalità operativa consente una miglior efficacia nel compito - di per

sé non facile – di mostrare e trasmettere ai partner i modi concreti che

favoriscono lo scambio comunicativo, lo sostengono e lo espandono.

2. Appare fondamentale poter continuare ad accompagnare i partner

nell’evoluzione di attitudini e prassi che promuovano la comunicazione e non

la ostacolino.

La frequenza e la costanza degli incontri presso il Centro o comunque con il

referente del progetto, soprattutto nelle fasi di avvio di un progetto di C.A.A.,

permette di osservare e monitorare costantemente i genitori e i principali

Page 33: COMUNICAZIONE AUMENTATIVA E ALTERNATIVA PER ...

33

partner negli atteggiamenti che attuano negli scambi comunicativi con la

persona disabile. In modo particolare, nelle fasi iniziali di un progetto di Early

Communication, appare fondamentale supportare concretamente e passo

dopo passo i principali partner comunicativi: è importante accompagnarli a

consolidare la capacità di cogliere i segnali che la persona disabile comincia

a produrre, in modo che diventino sempre più capaci nel restituire ed

attribuire significato a questi comportamenti messi in atto ancora non

intenzionalmente.

3. E’ buona norma adeguare il numero di interventi a seconda dell’età

anagrafica della persona con Sindrome di Angelman; in particolare, per le

famiglie con i bambini più piccoli (indicativamente fino ai tre anni di vita), è

opportuno prevedere un numero di sedute presso il Centro o l’operatore di

riferimento maggiore rispetto al caso di soggetti più grandi.

Questa modalità operativa consente di ricavare il tempo per focalizzarsi sulle

abilità di base; di ovviare all’ostacolo della minor tenuta dei bambini piccoli

rispetto a quelli più grandi, di offrire ai genitori un più graduale percorso di

condivisione del progetto.

Intervento presso gli ambienti di vita

Raccomandazioni sull’intervento presso gli ambienti di vita

1. Appare fondamentale impostare la micro-analisi delle situazioni e delle

modalità comunicative attuate e delle specifiche occasioni di interazione.

L’obiettivo è avere fin da subito la visione globale delle abitudini di interazione

nei consueti contesti di vita.

Questa modalità operativa consente di censire e valutare tutte le relazioni

rilevanti: persona disabile verso i suoi partner adulti e viceversa; persona

disabile verso i suoi pari e viceversa; gruppo dei pari verso partner

comunicativi del soggetto disabile e viceversa. Consente, inoltre, di valutarle

considerando anche le specifiche occasioni di interazioni, quali ad esempio il

grande piccolo gruppo o l’attività con rapporto uno a uno.

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Famiglia

Considerazioni sulla Famiglia

L’esperienza dei progetti di C.A.A. fa emergere e conferma con forza la validità della

prassi di coinvolgere le famiglie in tutti i momenti di sintesi, sia durante l’intervento negli

ambienti di vita, sia durante gli incontri presso il Centro. Ciò ha portato alla

strutturazione di una vera équipe di lavoro, comprendente anche i genitori. Queste

modalità di coinvolgimento hanno sostenuto la motivazione della famiglia, facendola

sentire realmente partecipe nelle decisioni riguardanti anche i contesti di vita differenti

da quello domestico.

Raccomandazioni sulla Famiglia

1. Appare fondamentale il coinvolgimento regolare della famiglia dall'inizio di un

progetto di C.A.A. e lungo tutti i passaggi che lo stesso prevede.

Questo stile permette di mantenere alta la motivazione e consente un regolare

scambio di informazioni proficuo per tutti i partner. Questo stile consente

inoltre alla famiglia di maturare una graduale consapevolezza del loro

impegno nel dover sostenere il progetto di C.A.A. per tutto l’arco della vita del

figlio.

2. Appare fondamentale il coordinamento costante con la famiglia per affrontare

al meglio i passaggi significativi da un ordine di scuola all’altro e/o da un

contesto educativo all’altro, introducendo in modo graduale la riflessione sulle

prospettive future e sul progetto di vita.

Questa modalità operativa permette di garantire una certa continuità nel corso

dei cambiamenti dovuti a variabili indipendenti ed esterne. In particolare, per

le famiglie dei bambini più piccoli, l’impegno concordato per intraprendere un

progetto di C.A.A. rappresenta un'occasione per condividere le prospettive di

sviluppo del proprio figlio che si affaccia alla vita sociale (nido) o procede per

cammini più impegnativi (avvio della scuola elementare).

Per le famiglie di bambini già scolarizzati, il disegno complessivo di un

progetto di C.A.A. rappresenta in maniera evidente uno stimolo all'ambiente

scolastico ed educativo a mantenere una certa tensione progettuale e

prospettica nei confronti del proprio figlio: in altri termini, il progetto è vissuto

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come occasione di riprendere con vigore una prospettiva educativa per il

bambino.

Per le famiglie dei ragazzi più grandi il progetto di C.A.A viene vissuto in modi

differenti. Da un lato c'è il bisogno di trovare validi partner comunicativi al di

fuori della cerchia familiare, partner che sappiano sostenere e sviluppare

anche tutti gli aspetti attinenti l'autonomia personale, oltre ed assieme agli

obiettivi comunicativi condivisi. Dall'altro lato vi sono situazioni oggettive di

transizione e cambiamento in atto nei centri frequentati o all'interno del

percorso del singolo soggetto (necessità di passaggio da una struttura ad

un'altra), situazioni per le quali e nelle quali la presenza di un facilitatore

riveste un ruolo particolare: il ruolo di chi può garantire una certa continuità

nel corso dei cambiamenti dovuti a variabili indipendenti ed esterne.

3. Appare fondamentale individuare lo stile di relazione maggiormente motivante

e rispettoso per ciascuna situazione familiare, al fine di stimolarne la

collaborazione.

Ragionando per fasce d'età dei soggetti coinvolti in un progetto, possiamo

affermare che:

le famiglie dei più piccoli talvolta manifestano un affidamento ed un

investimento, che, in qualche misura, va oltre il reale ambito di

competenza degli operatori del progetto: sollecitano risposte attorno a

temi e problemi non strettamente attinenti alla C.A.A.;

per le famiglie dei più grandi il progetto si conferma essere una

importante occasione per migliorare la conoscenza reciproca tra la

famiglia stessa e la scuola o i centri frequentati dai ragazzi. In questa

direzione gioca un ruolo significativo la presenza del facilitatore, che

svolge il compito di mantenere un canale aperto tra contesti di vita

extrafamiliari e famiglia. Una conseguenza significativa può essere

quella di creare una continuità tra i vari ambienti di vita: si amplia il

ventaglio di occasioni di scambio comunicativo; si può recuperare il

valore degli strumenti e delle strategie; si stimola la partecipazione di

alcune famiglie.

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4. Rispetto alle difficoltà emerse con le famiglie con bambini più piccoli, è

buona norma intensificare la frequenza di momenti di restituzione alle

famiglie stesse, rispetto al progressivo svolgimento dell’intervento.

In questa stessa prospettiva, è significativo rendere regolare e costante il

coinvolgimento della famiglia anche negli incontri di verifica con gli

operatori scolastici e/o dei centri educativi. In molti casi, si è osservato

l’instaurarsi di un circolo virtuoso tra la scelta di condivisione attuata nel

progetto dai genitori e l’adozione di uno stile più aperto al confronto sui

temi relativi al progetto educativo e riabilitativo globale da parte degli

operatori della scuola e della riabilitazione.

Facilitatori

Considerazioni sui Facilitatori

L’evidenza suggerisce che i compiti del facilitatore vengano stabiliti in relazione al

livello di sviluppo comunicativo del soggetto con S.A.

Con riferimento ai soggetti che si collocano ad un livello di comunicazione iniziale, il

facilitatore si pone come mentore, ossia come modello che, mostrando a tutti i partner

comunicativi le modalità di interazione efficaci, stimoli nel bambino l’acquisizione delle

abilità di base. In questa prospettiva, il facilitatore deve impegnarsi nel creare

esperienze ed occasioni di scambio comunicativo, verificando in prima persona e

registrando quali strumenti e quali strategie vadano sostenuti e sviluppati nei contesti di

vita.

Con riferimento, invece, ai soggetti che già hanno acquisito una significativa

competenza comunicativa e sono in grado di usare strumenti di C.A.A., l’obiettivo

principale è la generalizzazione delle funzioni comunicative acquisite. Pertanto, il

facilitatore della comunicazione deve supportare l’emergere di sempre nuove

opportunità comunicative e favorire la comparsa di partner comunicativi nuovi, senza

diventare il partner comunicativo privilegiato.

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Raccomandazioni sui Facilitatori

1. Appare fondamentale curare attentamente la formazione sul campo delle

persone che andranno a ricoprire il ruolo di facilitatore negli ambienti di vita.

Il metodo formativo che risulta più efficace prevede un momento di

introduzione teorica ed un consistente training in situazione di reale intervento

ed interazione comunicativa. La riflessione condivisa con l’operatore esperto

di C.A.A., il compilare insieme la scheda di osservazione, permette al futuro

facilitatore di arricchire la propria autonomia e competenza di osservazione

delle situazioni di intervento di C.A.A., imparando a cogliere e a valorizzare

tutte le modalità e funzioni comunicative dei soggetti in esame. L'osservazione

condotta negli ambienti di vita risulta essere un altro aspetto delicato della

formazione sul campo: occorre accompagnare il facilitatore a maturare

un'attitudine di costante osservazione delle situazioni concrete, affinché riesca

a cogliere e valorizzare le stesse orientandole in senso comunicativo. Ciò si

traduce nell’occorrenza di fornire ai facilitatori spunti e proposte concrete di

interazioni realmente significative e comunicative per le persone con

Sindrome di Angelman inserite in contesti educativi. Soprattutto nelle fasi

iniziali, risulta importante accompagnare i partner comunicativi nel dare rilievo

e consistenza anche alle piccole occasioni che le routine quotidiane offrono.

2. Appare fondamentale il reperimento di facilitatori che siano disponibili a

formarsi in C.A.A e siano stabili per ciascun soggetto con S.A., in modo da

poter seguire l’implementazione del progetto stesso nei reali contesti di vita.

L’evidenza dell’esperienza ha confermato l’efficacia della presenza di un

facilitare formato in C.A.A. e stabile. Il soggetto con S.A. può avvantaggiarsi di

un supporto costante e significativo per migliorare la comunicazione;

l’operatore esperto di C.A.A. può contare su un referente costante all’interno

dei contesti di vita, attraverso il quale verificare puntualmente l’efficacia delle

proposte concordate e delle strategie adottate. In ogni caso, il facilitatore

garantisce la continuità in coincidenza di cambiamenti importanti nei contesti

di vita (ad esempio, nei passaggi di scuola da materna a elementare, nei

cambiamenti di insegnanti, ecc); purtroppo la stabilità e continuità di lavoro

diventa sempre più difficile.

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I soggetti con Sindrome di Angelman godono, nella maggior parte dei casi,

dell’assegnazione di un assistente ad personam da parte dei Servizi Sociali:

sarebbe dunque auspicabile che i Servizi Sociali prevedano di individuare

operatori, che permettano continuità e siano disponibili ad una formazione in

C.A.A.

3. Appare importante stabilire e prevedere una regolarità negli incontri periodici

di verifica tra gli operatori esperti in C.A.A. ed i facilitatori.

Tale modalità operativa permette di gestire, in modi e tempi il più possibile

immediati, eventuali criticità o difficoltà emerse nel contesto di vita e ottenere

un quadro aggiornato della situazione per ri-programmare nuovi interventi

nell’ambiente di vita.

Servizi territoriali

Come già detto nella comune esperienza, tutti i soggetti con Sindrome di Angelman

dispongono di una presa in carico presso un Servizio Territoriale o una struttura

educativa. La concreta pratica clinica porta a dover affrontare la comparsa di barriere di

prassi, relative alla difficoltà a modificare l’approccio clinico fino a quel momento

adottato nei Servizi. Infatti l’approccio della C.A.A. porta a rivedere l’insieme delle

strategie ‘cliniche’ e delle modalità organizzative con cui operare. Occorre sottolineare

che il processo di valutazione ed intervento in C.A:A. mira anche a cercare le proposte

possibili volte a superare proprio queste barriere di conoscenza e di prassi.

Considerazioni sui Servizi Territoriali

Il lavoro di coordinamento dei soggetti coinvolti in progetti di C.A.A. si rivela

particolarmente critico rispetto alla relazione tra il Centro di riferimento in C.A.A e il

Servizio Territoriale. I Servizi procedono con un proprio background formativo definito e,

soprattutto, inserito in una realtà istituzionale che può fare fatica ad accettare un

approccio diverso. Ad esempio, alcuni Servizi hanno avviato (in adempimento agli

obblighi amministrativi) iniziative istituzionali non rispondenti alla logica dell’approccio

della C.A.A. e non condivise con gli operatori esperti di C.A.A. Ciò è un peccato, perché

nelle situazioni più positive, in cui invece e' stato possibile avviare una proficua

collaborazione, il percorso di coinvolgimento proposto specificamente ai terapisti dei

Servizi ha permesso di disporre di un'ulteriore risorsa sul territorio a favore del bambino

e del suo ambiente di vita.

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Raccomandazioni sui Servizi Territoriali

1. Appare fondamentale richiedere una dichiarazione di reale disponibilità da

parte dei Servizi Territoriali o delle Strutture educative attraverso accordi

istituzionali, vincolanti e specifici nell’assegnazione dei ruoli e delle

responsabilità.

Il rapporto con i Servizi Territoriali e le Strutture educative risulta infatti

problematico per difficoltà a recepire un approccio clinico estraneo, difficoltà

ad uscire da una modalità di intervento limitata alla sola attività ambulatoriale.

Inoltre, risulta vincolato da importanti limitazioni logistiche/burocratiche,

imposte agli stessi terapisti, nella possibilità di recarsi negli ambienti di vita e

confrontarsi con gli operatori scolastici o educativi.

Scuola

Considerazioni sulla Scuola

Queste considerazioni sono riferite ai partner comunicativi degli ambienti scolastici o

educativi. Nel complesso si riscontra negli insegnanti coinvolti una buona disponibilità,

ma anche una notevole difficoltà ad impegnarsi. Per esempio, si rilevano le difficoltà

degli insegnanti delle scuole elementari a trovare significativi momenti di interazione

comunicativa che producano reale integrazione sociale con i coetanei. Più importanti

possono essere le difficoltà che si incontrano nel realizzare momenti di integrazione

negli apprendimenti. In alcuni casi, da parte di insegnanti di classe, vi è una rilevante,

seppure iniziale, difficoltà a portare le indicazioni date dentro il proprio atteggiamento

abituale: tale resistenza può però essere risolta grazie all’intervento ed alla costante

presenza del facilitatore del progetto. Nei casi in cui l’ ambiente scolastico si è dimostra

limitatamente disponibile, i soggetti con Sindrome di Angelman possono essere seguiti,

per quel che riguarda il progetto di C.A.A., in ambienti di vita diversi dalla scuola.

Raccomandazioni sulla Scuola

1. Appare fondamentale approntare modalità di comunicazione efficaci nel

momento di presentazione e spiegazione del progetto di C.A.A. agli operatori

della scuola o dei centri educativi.

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E’ infatti necessario che la struttura educativa e gli insegnanti comprendano

che avviare un progetto di C.A.A. comporta necessari cambiamenti all’interno

della vita scolastica; tali cambiamenti di attitudine e di prassi si collocano e si

integrano all'interno del progetto educativo globale per il bambino e non si

configurano come applicazione di una tecnica. In questo senso non si deve

cedere alle frequenti richieste da parte del corpo docente di un riduttivo

passaggio di competenze attraverso l’organizzazione di incontri a tavola

allargata o lezioni frontali. Sovente vengono avanzate richieste di strumenti,

simboli, supporti tecnologici, che tuttavia non vengono collocati all’interno di

un percorso progettuale ben orientato e soprattutto condiviso L’approccio

della C.A.A. si deve trasmettere in modo pragmatico all’interno di situazioni

reali e condivise, sulle quali poi è certamente possibile ragionare in termini di

strategie e obiettivi.

2. Appare fondamentale chiarire precisamente il ruolo del facilitatore.

Questa risorsa ha il compito specifico di aumentare le opportunità d'interazione

comunicativa e di partecipazione del soggetto con Sindrome di Angelman, e

non deve in nessun modo essere percepita e relegata al ruolo di semplice

assistente personale della persona cui è abbinato.

3. E’ buona norma individuare un unico referente tra gli insegnanti con cui

interfacciarsi, al fine di ottimizzare la gestione delle attività e i rapporti

professionali all’interno della scuola.

4. E’ buona norma dedicare tempo ed ascolto agli insegnanti (e ai facilitatori) per

riuscire a trasmettere il senso dell’interazione comunicativa, attraverso

percorsi di condivisione degli obiettivi, delle proposte e delle strategie per

conseguirle.

5. E’ buona norma dedicare tempo ed ascolto agli insegnanti (e ai facilitatori) al

fine di potersi confrontare, esprimere i propri dubbi e difficoltà.

Tale modalità operativa permette di raccogliere preziose informazioni su come

realmente si svolge la vita delle persone con Sindrome di Angelman nella

scuola o nei centri da loro frequentati

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Équipe Clinica responsabile di progetti C.A.A.

Considerazioni sull’ equipe clinica

Nella condivisa pratica clinica, si ritiene importante che la valutazione e l’intervento in

C.A.A. siano processi dinamici condotti da una équipe di professionisti che non solo

conoscono e padroneggiano le strategie proprie della C.A.A., ma anche sappiano

mantenere un’attitudine di lavoro multidisciplinare e di gruppo.

Gli aspetti da valutare e affrontare nell’ambito di un progetto di C.A.A. richiedono, per

loro natura, complessità e varietà, una molteplicità di competenze tipicamente

rinvenibile in équipe multiprofessionali.

Raccomandazioni sull’Équipe

1. Appare fondamentale che un progetto di C.A.A. sia portato avanti da

un’équipe multiprofessionale e non da un singolo operatore, per quanto

formato in C.A.A.

2. Appare fondamentale strutturare con regolarità momenti di scambio e

riflessione clinica condivisa, attraverso i quali giungere alla elaborazione

compiuta e precisa di buone prassi e di un modello di intervento applicabile in

via più estensiva.

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Esemplificazioni Pratiche

FUNZIONI:

ATTENZIONE CONGIUNTA: in situazioni motivanti ed interessanti per il soggetto si introducono semplici interruzioni dello ‘spettacolo interessante’ (p.e. effetti sonori, visivi e/o di movimento); nel momento in cui la sospensione pare determinare una reazione del soggetto, si cerca di far portare la attenzione dello stesso sull’oggetto/gioco che supportava lo ‘spettacolo’ e motivava l’interesse stesso. Occorre che questi interventi vengano proposti in situazioni adeguate e conosciute dal soggetto, in modo che non vi siano elementi disturbanti nell’ambiente.

RICHIESTA DI ‘ANCORA’ – DIETRO RICHIESTA: nella medesima

situazione precedentemente descritta, non solo si aspetta che il soggetto porti attenzione all’oggetto/gioco interessante, ma si cerca di elicitare e sostenere l’emergere di un inizio di attenzione rivolta anche alla persona che tramite l’azione su quell’oggetto/gioco cerca di interagire con il soggetto disabile e di interessarlo. La attenzione rivolta all’interlocutore può essere interpretata come ‘richiesta di ancora’ e tale significato viene ‘costruito’ dando una adeguata conseguenza allo sforzo della persona disabile di riferirsi ed ingaggiare un’altra persona. All’interno di tale situazione e nelle modalità adeguate alle abilità della persona (aspetti sensoriali e percettivi) è possibile modellare il simbolo ‘ancora’, associandolo al nostro comportamento che riconosce ed attribuisce significato al comportamento della persona disabile.

DOMANDE ‘ANCORA – BASTA’: situazioni analoghe a quelle

precedentemente descritte possono divenite buone occasioni per porre domande a cui il soggetto possa rispondere con ‘ancora’ o ‘basta’. Nel momento in cui si sospende lo spettacolo interessante, appare possibile modellare le due opzioni di proseguimento o interruzione dell’attività in oggetto, esponendo al contempo i correlati simboli, sempre cercando momento di attenzione: la risposta – sia pure incerta – del soggetto deve a questo punto essere riconosciuta e valorizzata, dando adeguata ed evidente conseguenza.

OFFRIRE OPPORTUNITA’ DI SCELTE: Una volta conseguita una

sufficiente attenzione congiunta è possibile offrire alla attenzione della persona una serie di opzioni tra di loro alternative – di norma due opzioni ‘interessanti’-; esposte le opzioni, si suggerisce la possibilità di ottenerne una tra quelle offerte, mettendo in atto alcuni comportamenti, quali lo sguardo prolungato, il cercare di toccare o l’indicare; anche tali modalità operative vengono suggerite, mostrate e talora modellate. Tale operazione può essere compiuta sia utilizzando oggetti concreti sia avvalendosi di supporti visivo-simbolici. Una volta esposte le opzioni si attende una presa di posizione evidente da parte del soggetto disabile, suscettibile di essere interpretata come manifestazione di preferenza tra le

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opzioni date. Occorre sottolineare quanto sia importante che tali esperienze vengano proposte con regolarità e avendo cura di offrire opzioni che motivano la persona a prendere una posizione, evitando perciò di sottoporre a richieste di riconoscimento o di tipo prestazionale. Risulta altresì importante – soprattutto all’inizio di siffatte esperienze – collocarsi all’interno di situazioni note e padroneggiate dalla persona disabile.

DOMANDE CUI POTER RISPONDERE CON SI’/NO: in situazioni

conosciute e motivanti risulta possibile sospendere un’attività o anche sfruttare le naturali discontinuità che offre la vita quotidiana per chiedere alla persona se desidera che qualcosa venga riproposto, fatto, mostrato, procurato o anche se piace o meno: se la reazione ed il segnale prodotto intenzionalmente dalla persona è suscettibile di essere interpretato come un ‘sì’ o un ‘no’, si offre l’occasione non solo di riconoscere tale comunicazione, ma anche di ‘modellare’ una modalità gestuale – movimento del capo – che gradualmente diventi gesto significativo e prodotto con competenza.

AMPLIAMENTO DI VOCABOLARIO, AL FINE DI FARE COMMENTI,

RACCONTARE ECC.: qualora il soggetto si collochi ad un livello intenzionale e simbolico di comunicazione, occorre offrire una pluralità di occasioni in cui sperimentare funzioni comunicative nuove. La ricerca di nuovi interessi, la creazione di occasioni e soprattutto di interazioni comunicative che facciano vivere funzioni comunicative che vanno oltre la richiesta o la risposta a domande, consente a sua volta di suggerire l’introduzione di nuovi significati – e soprattutto di introdurre simboli che rappresentino non solo ‘sostantivi’, ma anche ‘verbi’, simboli relativi alle dimensioni spazio-temporal o che esprimano ‘commenti’, al fine di connotare le proprie esperienze e non solo denotarle.