COMPORTAMENTO MECCANICO DEI MATERIALI - Politecnico di...

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Dipartimento di Meccanica Politecnico di Torino CeTeM Luca Goglio COMPORTAMENTO MECCANICO DEI MATERIALI Dispense per il modulo teledidattico Versione provvisoria – febbraio 2002

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Dipartimento

di Meccanica Politecnico di Torino

CeTeM

Luca Goglio

COMPORTAMENTO MECCANICO DEI MATERIALI

Dispense per il modulo teledidattico

Versione provvisoria – febbraio 2002

1. RICHIAMI DI STATICA

1.1. Grandezze e operazioni fondamentali

La grandezza fondamentale della statica è la forza, che ha natura vettoriale in quanto è definita

assegnandone modulo, direzione e verso. Essa costituisce la causa che altera lo stato di quiete o

moto rettilineo uniforme di un corpo.

Di un sistema di forze è possibile ottenere la risultante Rr

applicando le consuete regole di somma

dei vettori, ad esempio considerando le componenti cartesiane: ∑=

i xiFx FR ∑=i yiFy FR ∑=

i ziFz FR

La risultante è un vettore libero, cioè non applicato.Il momento OM

r rispetto a un punto O di una forza F

r applicata nel punto P è dato dal prodotto

esterno( ) FOPMO

rr∧−=

Anche il momento è un vettore di tipo libero. Per la definizione stessa di prodotto esterno il vettore

OMr

risulta perpendicolare sia a Fr

sia a (P-O); inoltre il momento non cambia se la forza viene

spostata lungo la sua retta d'azione.

F

M

O

P

b

FO

P

b

MO

O

Una rappresentazione grafica del momento non del tutto rigorosa, ma molto comoda e utilizzata

(soprattutto nel caso di problemi piani), è costituita da un arco di cerchio con l'aggiunta di una

freccia per indicare il verso di rotazione (v. figura)

La distanza dal punto O alla retta d'azione della forza rappresenta il braccio b, che fornisce la

relazione tra le intensità della forza e del momento:FbMO =

Si definisce momento risultante rispetto al punto O di un sistema di forze la somma dei singolimomenti di ogni forza iF

r e dei momenti puri iC

r:

( ) ( )∑∑ +∧−=+=i iiii iOiM CFOPCMR

O

rrrrr)(

Si può dimostrare che i momenti risultanti di un sistema di forze rispetto a due diversi punti O e O'

sono legati dalla relazione seguente

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FMM ROORROO

rrr∧−+= )'(

'

Un corpo è in equilibrio se le somme vettoriali sia delle forze (equilibrio alla traslazione) sia dei

momenti rispetto ad un punto qualsiasi (equilibrio alla rotazione) sono nulle:0rr

=∑i iF ( ) 0rrr

=+∑i iOi CM

Nel caso dei sistemi piani le condizioni suddette si riducono alle tre equazioni scalari:0=∑i xiF 0=∑i yiF ( ) 0=++−∑i iyiixii CFxFy

Nell'ultima equazione i due termini relativi ai contributi delle forze hanno segno discorde perché

corrispondono a versi di momento rispettivamente orario e antiorario

Due sistemi di forze sono equivalenti (ai fini dell'equilibrio) quando hanno stessa risultante e stesso

momento risultante. Due conseguenze di tale proprietà di cui faremo uso sono le seguenti:

i) è possibile trasportare una forza perpendicolarmente alla propria direzione aggiungendo un

momento "di trasporto" pari al prodotto della forza stessa per la distanza fra le due rette di

azione

d

F

F

M = Fd

ii) un sistema di forze può essere sostituito con la sua risultante, applicata in un certo punto, e

con un momento pari al momento risultante valutato rispetto allo stesso punto.

Per sistemi di forze piani esiste una retta, detta asse centrale, tale che il momento risultante rispetto

ai punti di essa è nullo. Risulta allora possibile sostituire il sistema di forze con il solo risultante

applicato in corrispondenza dell'asse centrale.

RR

F

F

F

1

2

3

O O'

R

ξ

FF

MO

Per determinare l'asse centrale si riduce il sistema di forze alla risultante FRr

applicata in un punto

arbitrario O e al momento risultante OMR

r, successivamente sfruttando la formula di trasposizione dei

momenti si cerca un altro punto O' tale che 0'

rr=

OMR :

0'

=ξ−= FMM RRROO

(relazione scritta senza notazione vettoriale, superflua in questo caso) da cui si ottiene

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3

FM RRO

/=ξ

1.2. Carichi e vincoli

Carichi

I carichi rappresentano le azioni esterne, forze e momenti, applicate sulla struttura; tradizionalmente

si distingue tra carichi concentrati, cioè applicati puntualmente, e carichi distribuiti, che interessano

una zona significativamente estesa della struttura in esame. I carichi distribuiti vengono ancora

suddivisi in carichi di linea (si pensi ad esempio al peso per unità di lunghezza di un albero di

trasmissione), carichi di superficie (ad esempio la pressione idrostatica) e carichi di volume (ad

esempio il peso specifico del materiale in cui la struttura è realizzata).

La distinzione tra carichi concentrati e distribuiti è in realtà convenzionale, in quanto a rigore

l'applicazione di un qualunque carico interessa una zona più o meno estesa ma comunque finita della

struttura. Ai fini pratici assumiamo che un carico sia concentrato quanto la zona in cui è applicato è

di estensione trascurabile rispetto alle dimensioni caratteristiche della struttura.

Vincoli

I vincoli hanno lo scopo di collegare gli elementi delle strutture tra di loro o al telaio; nel primo caso

si parla di vincoli interni, nel secondo di vincoli esterni. E' possibile descrivere il ruolo dei vincoli in

due modi diversi, a seconda che si consideri l'aspetto cinematico o quello statico del comportamento

delle strutture.

Dal punto di vista cinematico i vincoli riducono le possibilità di movimento degli elementi delle

strutture; nel caso di vincoli interni si obbligano punti diversi (appartenenti a corpi diversi della

struttura) ad assumere componenti di spostamento e/o rotazione uguali; nel caso di vincoli esterni

alcune componenti di spostamento e/o rotazione vengono annullate.

Dal punto di vista statico i vincoli trasmettono reazioni agli elementi delle strutture; i vincoli interni

trasmettono forze e momenti tra un elemento e l'altro; i vincoli esterni forniscono le reazioni che

globalmente equilibrano i carichi applicati.

I più comuni vincoli nel piano sono schematizzati nelle figure seguenti; definiamo i vincoli come

singoli, doppi o tripli, a seconda del numero di componenti di reazione trasmesse (rispettivamente

una, due o tre), o, il che è lo stesso, a seconda del numero di componenti di spostamento o rotazione

obbligate.

appoggio (v. semplice) cerniera (v. doppio) incastro (v. triplo)

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Grado di iperstaticità

Un corpo o un sistema di corpi può essere vincolato in modo insufficiente, sufficiente o

sovrabbondante a fissarne la posizione. Nel caso dei problemi piani definiamo il grado di iperstaticità

h con l'espressione seguente:

mvh 3−=Il termine v rappresenta il numero totale di reazioni vincolari (interne o esterne) calcolabile con

l'espressione:( ) apciv +++= 23

in cui i è il numero di incastri (ognuno dei quali introduce 3 reazioni), c è il numero di cerniere

(ognuna delle quali introduce 2 reazioni), p è il numero di coppie prismatiche (ognuna delle quali

introduce 2 reazioni), a è il numero di appoggi (ognuno dei quali introduce 1 reazione).

Il termine m rappresenta il numero totale di corpi semplici da cui è costituita la struttura, per ognuno

dei quali si possono scrivere 3 equazioni di equilibrio.

Si distinguono 3 situazioni:

• h < 0 sistema labile (meccanismo), la posizione dei corpi non è completamente determinata dai

vincoli;

• h = 0 sistema isostatico (o staticamente determinato), le equazioni di equilibrio sono sufficienti

per determinare tutte le reazioni vincolari;

• h > 0 sistema iperstatico (o staticamente indeterminato), le equazioni di equilibrio non sono

sufficienti per determinare tutte le reazioni vincolari.

Le figure seguenti mostrano alcuni esempi di sistemi labili, isostatici e iperstatici.

m = 1

h = -3v = 0

m = 1

h = -2v = 1

a = 1

m = 1

h = -1v = 2

c = 1

cerniera interna (v. doppio) coppia prismatica (v. doppio)

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m = 1

h = 0v = 3

c = 1a = 1

m = 1

h = 0v = 3

i = 1

m = 1

h = 1v = 4

c = 2

m = 1

h = 1v = 4

i = 1a = 1

m = 1

h = 2v = 5

i = 1c = 1

m = 1

h = 3v = 6

i = 2

m = 2

h = -1v = 5

c = 2a = 1

m = 2

h = 0v = 6

c = 3

m = 2

h = 0v = 6

c = 2a = 2

cerniera doppia

1.3. Scrittura delle equazioni di equilibrio

Il punto di partenza per la scrittura delle equazioni di equilibrio consiste nel liberare un sistema di

massa, costituito da uno o più corpi semplici, dai vincoli che lo collegano ad ulteriori corpi o al

telaio. Nel caso di sistemi piani si immagina di racchiudere il sistema considerato con una linea di

distacco chiusa: dove tale linea interseca i vincoli vengono messe in evidenza le corrispondenti

reazioni (che prima del distacco costituivano delle azioni interne), per le quali si assumono dei versi

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positivi convenzionali. Si possono quindi scrivere le equazioni di equilibrio tra carichi applicati e

reazioni vincolari per il sistema così isolato.

Ad esempio, nel caso di un corpo semplice vincolato da una cerniera e da un appoggio si opera nel

modo indicato nelle figure seguenti. L'interruzione dei vincoli da parte della linea di distacco

(tratteggiata in figura) mette in evidenza le reazioni della cerniera OA e VA e quella dell'appoggio VB.

F

F

1

2

A

B

linea didistacco

F

F

1

2

VA

VBOA

Nel caso di vincoli interni (cioè congiungenti corpi della struttura) le azioni messe in evidenza su un

corpo sono evidentemente uguali in modulo e direzione e opposte in verso a quelle messe in

evidenza su un altro corpo collegato; se ne tiene conto semplicemente cambiando il verso

convenzionale delle reazioni (v. figure).

FF

12

BA

CF

F1

2

VAVB

OA OBVC

O COC

VC

Nel piano si possono scrivere tre equazioni di equilibrio indipendenti per ogni corpo libero; queste

potranno esprimere l'equilibrio alla traslazione lungo direzioni opportune e l'equilibrio alla rotazione

intorno a punti opportuni.

Nella scrittura delle equazioni si deve però evitare di scrivere equazioni non linearmente indipendenti

fra di loro; le scelte possibili si possono classificare in tre gruppi:

a) 2 equazioni di equilibrio alla traslazione lungo direzioni non parallele + 1 equazione di equilibrio

alla rotazione intorno ad un punto arbitrario;

b) 2 equazioni di equilibrio alla rotazione + 1 equazione di equilibrio alla traslazione lungo una

direzione non perpendicolare alla congiungente i punti rispetto ai quali si calcolano i momenti;

c) 3 equazioni di equilibrio alla rotazione intorno a punti non allineati.

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2. STATO DI TENSIONE

2.1. Tensioni

Al fine di determinare la resistenza di un elemento strutturale, ad esempio un organo di macchina,

non è sufficiente la semplice conoscenza dei carichi a cui esso è sottoposto. E' infatti evidente che a

parità di carichi trasmessi l'elemento sarà più o meno sollecitato a seconda della propria forma e

dimensione; si pone quindi la necessità di definire delle grandezze che riferiscano i carichi all'unità di

superficie su cui agiscono.

Consideriamo la sezione di un elemento soggetto a dei carichi; essa può essere pensata come formata

da una somma di areole elementari, di area ∆A normale al versore nr

, ognuna delle quali trasmette un

contributo di forza Fr

∆ e di momento Mr

∆ . Considerando i rapporti tra questi ultimi e l'area e

facendo tendere a zero l'estensione di essa si assume che:

fAF

A

rr

=∆∆

→∆ 0lim 0lim

0

rr

=∆∆

→∆ AM

A

Questa ipotesi ammette che i carichi si trasmettano all'interno del materiale con un meccanismo

analogo al caso delle pressioni nei fluidi, ma in senso generalizzato, con azioni sia normali siatangenti alle superfici. La quantità f

r è detta vettore della tensione, esso in generale non è parallelo

alla normale alla superficie passante per il punto P ma presenta sia una componente normale σ sia

una componente tangenziale τ.n

F

στ

∆ A

f∆

P

L'operazione matematica di passaggio al limite per dimensioni che tendono a zero presuppone che il

materiale costituisca un continuo, ciò implica che dal punto di vista fisico questa trattazione è

applicabile finché le dimensioni in gioco sono sufficientemente grandi da non far intervenire la natura

discreta della materia.

Considerando le facce perpendicolari agli assi di un sistema di riferimento cartesiano xyz, su ognuna

di esse possiamo individuare una componente normale e due tangenziali; le componenti di tensione in

tale riferimento vengono individuate con due pedici (x, y, z): il primo identifica la direzione normale

alla faccia, il secondo indica la direzione lungo la quale la componente agisce.

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Si possono quindi distinguere 9 componenti; le tre componenti σ indicano tensioni normali

rispettivamente di trazione o compressione a seconda che i valori siano positivi o negativi, le 6

componenti τ indicano invece tensioni tangenziali (dette anche di taglio)1.

σxxτxy

τxzσ

yxτ yy

τyz

τ zxτzy

σzz

xy

z

Consideriamo l'equilibrio alla rotazione intorno all'asse z di un elemento infinitesimo di materiale

nell'intorno del punto P. Sulle facce cosiddette positive, cioè quelle da cui gli assi coordinati escono

attraversando l'elementino, le componenti hanno versi positivi se concordi con quelli degli assi stessi;

viceversa sulle facce negative le componenti hanno versi positivi opposti. Ciò permette di soddisfare

il principio di azione e reazione rispetto alle tensioni mutuamente esercitate tra elementi adiacenti.

Poiché le componenti sono in generale funzione della posizione, nell'incremento di coordinata dx o

dy queste subiscono un corrispondente incremento (v. figura).

σyy

τxy

τyx

x

y

z

+dσyyσyy +dτyxτyx

+dσxxσxx

+dτxyτxyσxx

dy

dx

P

Nell'equazione di equilibrio alla rotazione compaiono le forze elementari date dalle tensioni

moltiplicate per le aree infinitesime su cui esse agiscono. Le componenti normali e l'eventuale forza

di volume hanno braccio nullo, l'equazione si riduce quindi a:

( ) ( ) 02222

=τ+τ−τ+τ+τ−τdy

ddzdxdx

ddzdydy

dzdxdx

dzdy yxyxxyxyyxxy

Semplificando e trascurando gli infinitesimi di ordine superiore dτij rispetto ai termini finiti τij (i, j =

x, y) si ottiene

1Si noti che il segno delle τ, contrariamente al caso delle σ, non indica una diversa situazione fisica.

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yxxy τ=τ

Analogamente, ripetendo il medesimo ragionamento per l'equilibrio alla rotazione intorno agli assi x e

y si ottiene:

zxxz τ=τ zyyz τ=τ

Si trova cioè che le componenti tangenziali contraddistinte da pedici omologhi sono uguali; di

conseguenza le componenti di tensione diverse si riducono da 9 a 6.

Si è visto precedentemente che su una faccia elementare generica, passante per il punto P e normaleal versore n

r agisce il vettore della tensione f

r; vogliamo valutare come variano le componenti di

quest'ultimo al variare dell'orientazione della faccia. A questo scopo consideriamo un tetraedro

infinitesimo di volume dV avente tre facce dAx, dAy, dAz perpendicolari agli assi coordinati e la quarta

faccia dA perpendicolare al versore nr

, avente come componenti i coseni direttori nx, ny, nz.

x

y

z

fz

fx

fy

f

P

L'equazione vettoriale di equilibrio alla traslazione assume la forma:0rrrrrr

=Φ++++ Vzzyyxx dVfdAfdAfdAfdA

L'ultimo termine, corrispondente alla forza di volume, è infinitesimo di ordine superiore rispetto ai

primi ed è quindi trascurabile; i vettori tensione che compaiono sono definiti nel modo seguente:

=

nz

ny

nx

f

f

f

fr

τ

τ

σ

=

xz

xy

xx

xfr

τ

σ

τ

=

yz

yy

xy

yfr

σ

σ

τ

=

zz

yz

xz

zfr

Le aree delle facce sono legate dalle relazioni seguenti

xx ndAdA ⋅= yy ndAdA ⋅= zz ndAdA ⋅=

Sostituendo nell'equazione di equilibrio precedente si ottiene0rrrrr

=+++ zzyyxx fnfnfnf

In termini scalari l'equazione corrisponde al sistema seguente

=σ−τ−τ−

=τ−σ−τ−

=τ−τ−σ−

0

0

0

zzzyyzxxznz

zyzyyyxxyny

zxzyxyxxxnx

nnnf

nnnf

nnnf

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dove i segni - sono dovuti al fatto che le facce normali agli assi coordinati sono di tipo negativo (nel

senso precedentemente definito). In termini matriciali il sistema assume la forma:

σττ

τστττσ

=

z

y

x

zzyzxz

yzyyxy

xzxyxx

z

y

x

n

n

n

f

f

f

In notazione compatta possiamo scrivere [ ] nf σ=

La matrice [σ], avente per colonne i vettori di tensione agenti sulle facce perpendicolari agli assi

coordinati, costituisce il tensore delle tensioni agenti nel punto P. Si deve notare che la conoscenza

di essa permette di ottenere le componenti di tensione (cioè il vettore di tensione) su una qualunque

faccia, identificata dalla normale nr

; quindi si può concludere che [σ] definisce completamente lo

stato di tensione nel punto P.

2.2. Tensioni principali

Si è visto che in caso generale i vettori nr

e fr

non sono paralleli a causa della presenza di

componenti di tensione di tipo tangenziale; ci si domanda quindi se esistano orientazioni privilegiate

delle facce tali che i vettori tensione agenti su di esse siano paralleli alle normali e quindi sulle

corrispondenti facce non agiscano tensioni tangenziali. La risposta è affermativa e il problema

corrisponde alla ricerca degli autovalori/autovettori di una matrice; infatti, per definizione, λ e v

sono rispettivamente un autovalore e un autovettore della matrice [A] se[ ] vvA λ=

Nel caso delle tensioni si deve verificare che vf λ= e ciò corrisponde alla ricerca degli

autovalori/autovettori di [σ]:[ ] vv λ=σ

cioè[ ] [ ]( ) 0=λ−σ vI

dove [I] è la matrice identità. Il sistema omogeneo ammette soluzione non banale se

0det =

λ−σττ

τλ−στττλ−σ

zzyzxz

yzyyxy

xzxyxx

L'annullarsi del polinomio caratteristico permette di determinare gli autovalori. Poiché [σ] è reale esimmetrica esistono sempre tre autovalori reali 1σ , σ2 , 3σ detti tensioni principali; i corrispondenti

autovettori individuano le direzioni principali2.

Quindi una direzione è detta principale se sulla faccia perpendicolare ad essa non agiscono tensioni

tangenziali. Adottando come sistema di riferimento una terna principale il tensore [σ] assume la

seguente forma diagonale

2Se non diversamente specificato si denominano le tensioni principali in ordine decrescente: σ3 ≤ σ2 ≤ σ1.

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σσ

σ

3

2

1

00

00

00

Si può osservare che se una certa riga (e colonna, data la simmetria) presenta i termini fuori

diagonale nulli allora la corrispondente direzione è principale.

2.3. Cerchi di Mohr

E' possibile eseguire una rappresentazione grafica di come variano le componenti normale e

tangenziale su una faccia, al variare dell'orientazione della faccia stessa.

σ

α τσ1

dl

2

2

dl 1

σ

dl

n

p1

p2

p3

Assumiamo come sistema di riferimento la terna principale p1p2p3 e consideriamo la direzione nr

contenuta nel piano p1p2; poiché la direzione p3 è principale il vettore della tensione fr

agente sulla

faccia normale a nr

è pure contenuto nel piano p1p2 e può essere descritto dalle due componenti σ eτ. Queste ultime possono essere espresse utilizzando la relazione [ ] nf σ= in cui:

[ ]

σσ

σ=σ

3

2

1

00

00

00

αα

=0

sen

cos

n

La componente σ è data dalla proiezione di fr

lungo nr

:

[ ]

ασ+ασ=

αα

σσ

σαα=σ==⋅=σ

22

21

3

2

1

sencos

0

sen

cos

00

00

00

0sencosnnfnfn TTrr

La componente τ può essere espressa usando la relazione pitagorica:

( ) αασ−σ=

αασσ−ασ−ασ−ασ+ασ=σ−=τ222

21

2221

422

421

222

221

222

sencos

sencos2sencossencosf

Ponendo sotto radice quadrata entrambi i membri si ottiene( ) αασ−σ=τ sencos21

Si verifica agevolmente che σ e τ stanno tra di loro come le coordinate dei punti di una

circonferenza. Infatti, ricordando le trasformazioni trigonometriche

22cos1

sen 2 α−=α

22cos1

cos2 α+=α

22sen

cossenα

=αα

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le relazioni trovate per σ e τ assumono la forma seguente:

ασ−σ

ασ−σ

=σ+σ

−σ

2sen2

2cos22

21

2121

Quadrando e sommando si ottiene2

2122

21

22

σ−σ=τ+

σ+σ−σ

che rappresenta l'equazione di una circonferenza (cerchio di Mohr), in un piano di coordinate στ,

avente centro C e raggio r pari a:

σ+σ= 0,

221C

221 σ−σ

=r

Quindi, considerando il fascio di piani aventi in comune l'asse principale p3 nel punto P, le

componenti di tensione messe in evidenza dalla sezione eseguita con un piano di tale fascio sono date

dalle coordinate σ e τ della circonferenza; inoltre l'angolo descritto dal raggio sul cerchio è il doppio

dell'angolo tra nr

e l'asse p1.

Si osserva che per α=0 ( nr

parallelo all'asse principale p1) si ha σ=σ1 e τ=0, mentre per α=π/2 ( nr

parallelo all'asse p2) si ha σ=σ2 e τ=0; quindi le intersezioni della circonferenza con l'asse delle

ascisse corrispondono alle facce normali alle direzioni principali.

α

σ

σ

1

2

σ

τ

(σ +σ )/21 2

(σ −σ )/21 2

Il procedimento seguito per ottenere il cerchio relativo al fascio di piani aventi in comune l'asse p3

può essere ripetuto, in modo analogo, considerando gli assi p1 e p2. Si ottengono così altri due

cerchi, che intersecano l'asse delle ascisse rispettivamente rispettivamente nei punti (σ2 ,0), (σ3 ,0) e

(σ1 ,0), (σ3 ,0).

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σ3 σ

τ

1σσ2

1

2

3

α

p

p

p

σ3 σ

τ

1σσ2

α

1

2

3

p

p

p

σ3 σ

τ

1σσ2

α1

2

3

p

p

p

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I valori di σ e τ su una sezione qualunque, non contenente uno degli assi principali, sono contenuti

all'interno del cerchio maggiore e all'esterno dei due cerchi minori, come indicato in figura.

σ3 σ

τ

1σσ2

Dall'osservazione dei cerchi di Mohr si ricavano alcune proprietà significative dello stato di tensione

agente in un punto P e caratterizzato dalle tensioni principali σ1, σ 2, σ 3:

• a seconda del piano considerato la tensione normale σ varia tra σ1 e σ3 e non può assumere valori

all'esterno di tale intervallo;

• a seconda del piano considerato la tensione tangenziale τ varia in modulo tra 0 (piani normali alle

direzioni principali) e (σ1- σ3)/2.

In caso generale il tracciamento dei cerchi di Mohr richiede la conoscenza delle tensioni principali (e

quindi di aver risolto l'autoproblema relativo a [σ]), è possibile però un tracciamento immediato

quando si verificano contemporaneamente le due condizioni seguenti:

1) una direzione principale e la corrispondente tensione principale sono note;

2) si conoscono le componenti di tensione su due facce perpendicolari tra di loro e appartenenti

al fascio di piani aventi in comune l'asse principale noto.

Per illustrare il procedimento supponiamo che z sia la direzione principale detta pc3 (e quindi σzz=σc),

il tensore delle tensioni assumerà quindi la forma seguente:

[ ]

σσττσ

zz

yyxy

xyxx

00

0

0

σxxτxy

σxyτ yy

σzz

xy

z

Sul piano στ si posizionano i punti (σxx, τxy) e (σyy, - τxy), questi devono corrispondere ai due estremi

di un diametro del cerchio relativo ai piani avente in comune l'asse pc≡z. E' immediato ricavare

l'ascissa c del centro e il raggio r del cerchio:

3 Non essendo inizialmente noti tutti i valori delle tensioni principali non è possibile utilizzare la nomenclatura inordine decrescente (σ1≥σ2≥σ3);si adotta quindi una nomenclatura provvisoria (σa,σb,σc) senza imposizioni sullagrandezza dei termini.

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2yyxxc

σ+σ= 2

2

2 xyyyxxr τ+

σ−σ=

Per ottenere le due tensioni principali relative al cerchio in esame è sufficiente aggiungere o sottrarre

il valore del raggio all'ascissa del centro:

22

, 22 xyyyxxyyxx

ba τ+

σ−σ±

σ+σ=σ

Anche le direzioni principali papb possono essere determinate per mezzo del cerchio (v. figura).

α

σσab

σ

τ , τ ) (σ yy xy

,−τ ) (σ xx xy

α rappresenta l'angolo tra l'asse pa e l'asse x, si può risalire ad esso dalla relazione

yyxx

xy

σ−σ

τ=α

22tan

Infine, ricordando il valore della tensione principale inizialmente nota (σzz), si può completare la

costruzione con i rimanenti due cerchi.

Il procedimento si applica in maniera formalmente analoga se la direzione principale nota

preliminarmente è x o y, semplicamente scambiando in modo opportuno gli indici degli assi.

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3. STATO DI DEFORMAZIONE

3.1. Spostamento e deformazione

Sotto l'azione dei carichi le strutture cambiano, in maniera più o meno marcata, la propria forma

rispetto alla configurazione originale. Ad esempio nel campo meccanico tale fenomeno è ben

evidente per componenti come le molle, ma si verifica, seppur in misura minore, in tutti gli elementi

strutturali. Nei problemi relativi al comportamento meccanico dei materiali si deve quindi introdurre

il concetto di corpo deformabile, essendo insufficiente la trattazione, tipica della meccanica, in

termini di corpo rigido. Il tener conto della deformabilità ci permette di ottenere due risultati:

• è possibile verificare il comportamento delle strutture non solo in termini di resistenza alle

sollecitazioni, ma anche di rigidezza (ad esempio per valutare se il cambiamento di forma dovuto

ai carichi è compatibile col funzionamento della struttura);

• si possono risolvere i problemi di tipo iperstatico, per i quali le sole equazioni della statica non

sono sufficienti.

Si ricorda che la posizione di un punto è data dalle sue coordinate xyz in un sistema di riferimento, lo

spostamento di un punto è dato dalla differenza di coordinate tra due istanti successivi t e t' ed è una

grandezza di tipo vettoriale:

−−−

=

=

zz

yy

xx

w

v

u

U

'

'

'r

Il moto rigido di un corpo è caratterizzato dal fatto che le distanze relative tra i punti che lo

compongono si mantengono inalterate; possiamo distinguere inoltre tra traslazione rigida e

rotazione rigida (v. figure).

x

y Traslazione rigida

x

y Rotazione rigida

Nel primo caso le componenti di spostamento u, v, w sono uguali per tutti i punti del corpo, mentre

nel secondo caso variano da punto a punto ma sempre rispettando la condizione di indeformabilità (in

particolare nei moti piani la velocità di spostamento è proporzionale alla distanza dal centro di

istantanea rotazione).

Nel moto di deformazione di un corpo invece le distanze relative tra i punti possono variare; si

distinguono due meccanismi fondamentali di deformazione: dilatazione e scorrimento (v. figure).

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17

x

y Dilatazione

x

y Scorrimento

Nel caso della dilatazione le lunghezze dei lati di un elemento che si deforma variano (allungandosi o

accorciandosi) ma mantengono uguale orientazione. Viceversa nel caso dello scorrimento le

lunghezze dei lati si mantengono uguali, ma variano le orientazioni.

Nel seguito di questa trattazione si assumerà che gli spostamenti siano comunque piccoli (rispetto

alle dimensioni caratteristiche della struttura), ipotesi che permette di linearizzare il problema e che

risulta verificata nella maggior parte dei casi di interesse pratico.

Per definire quantitativamente lo stato di deformazione a cui è sottoposto un corpo è evidente che

non è sufficiente ragionare in termini (macroscopici) di spostamenti, in quanto questi dipendono dalle

dimensioni del corpo stesso: ad esempio dire che un albero si inflette sotto carico di 1 mm non è

significativo per stabilire se esso è molto o poco deformato, dal momento che tale spostamento

dipende (oltre che dal carico) dalle caratteristiche geometriche e di materiale. Il procedimento

seguito è, dal punto di vista concettuale, analogo a quello utilizzato nello studio delle sollecitazioni

nei corpi, nel quale siamo passati da forze e momenti alle tensioni.

Per definire quantitativamente la dilatazione consideriamo il segmento di lunghezza l congiungente i

punti P e Q in un corpo deformabile.

P

Ql

P'

Q'l'

Durante il moto il punto P assume la nuova posizione P', analogamente Q va in Q'; a causa della

deformazione la lunghezza del segmento cambia da l a l'. Quindi lo spostamento tra i due punti (nel

senso di variazione di distanza) è dato dall'allungamento del segmento:

llu −= '

Si definisce dilatazione ε il rapporto tra allungamento e lunghezza iniziale del segmento:

lu

lll

=−

=ε'

In generale il valore di ε può dipendere dalla lunghezza del segmento considerato, per evitare tale

arbitrarietà consideriamo un segmento di lunghezza iniziale infinitesima dl che per effetto della

deformazione assume lunghezza dl' e si allunga di du; allora la dilatazione è data da:

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18

dldu

dldldl

=−

=ε'

Per definire quantitativamente lo scorrimento consideriamo due segmenti inizialmente ortogonali, OP

e OQ, aventi lunghezze rispettivamente pari a l e h. Durante il moto i punti O, P, Q si spostano in O',

P', Q' ; rispetto alle direzioni originali i segmenti formano gli angoli α e β

O'

Q'

P'

v

u

α

β

π/2 − γ

O

Q

P

h

l

π/2

Poiché gli spostamenti sono piccoli si può approssimare

lv

=αhu

Si definisce scorrimento γ il complemento a π/2 dell'angolo formato dopo deformazione tra due

segmenti inizialmente ortogonali, pari quindi alla somma:

hu

lv

+=β+α=γ

Considerando anche in questo caso segmenti di lunghezza infinitesima dl, dh si ottiene:

dhdu

dldv

+=γ

Si fa notare che per definire lo scorrimento abbiamo bisogno di considerare due segmenti di

riferimento; infatti considerandone uno solo non potremmo separare la rotazione rigida da quella di

deformazione.

3.2. Tensore delle deformazioni

Introdotte in forma elementare le definizioni di dilatazione e scorrimento, affrontiamo il fenomeno

della deformazione in forma analitica generale. Per questo scopo consideriamo un segmento vettore

infinitesimo Xdr

che dopo lo spostamento si trasforma in un segmento 'Xdr

; nel caso più generale si

verificano sia traslazione e rotazione rigide, sia deformazione e scorrimento. Supponendo che il

campo di spostamenti sia continuo e derivabile, se il primo estremo del segmento è soggetto a uno

spostamento Ur

, il secondo estremo è soggetto ad uno spostamento UdUrr

+ .

Vale quindi l'eguaglianza vettoriale

UdUXdXdUrrrrr

++=+ '

da cui si ottiene

UdXdXdrrr

+='Si noti che semplificare lo spostamento U

r, comune ai due estremi del segmento, corrisponde a

depurare lo spostamento complessivo della traslazione rigida, che dal punto di vista dello studio della

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19

deformazione è ininfluente. Nel termine Udr

rimangono quindi i contributi dovuti sia alla rotazione

rigida sia alla deformazione.

dX'

dX

U U+dU

Udr

può essere scritto come differenziale del campo di spostamenti:

[ ] dXJ

dz

dy

dx

zw

yw

xw

zv

yv

xv

zu

yu

xu

dw

dv

du

=

∂∂

∂∂

∂∂

∂∂

∂∂

∂∂

∂∂

∂∂

∂∂

=

La matrice jacobiana [J] può essere scomposta nella somma di due termini sfruttando la seguente

identità:

[ ] [ ] [ ]

[ ] [ ] [ ] [ ]TT JJJJ

JJJ

21

21

21

21

21

21

++−=

+=

Poniamo ora:

[ ] [ ] [ ]

∂∂

−∂∂

∂∂

−∂∂

∂∂

−∂∂

∂∂

−∂∂

∂∂

−∂∂

∂∂

−∂∂

=−=Ω

021

21

21

021

21

21

0

21

21

zv

yw

zu

xw

yw

zv

yu

xv

xw

zu

xv

yu

JJ T

[ ] [ ] [ ]

∂∂

∂∂

+∂∂

∂∂

+∂∂

∂∂

+∂∂

∂∂

∂∂

+∂∂

∂∂

+∂∂

∂∂

+∂∂

∂∂

=+=ε

zw

zv

yw

zu

xw

yw

zv

yv

yu

xv

xw

zu

xv

yu

xu

JJ T

21

21

21

21

21

21

21

21

Si può dimostrare che la matrice [Ω] rappresenta (nell'ambito dell'ipotesi di spostamenti piccoli) la

quota di Udr

corrispondente alla rotazione rigida, contributo che non vogliamo considerare.

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20

I coefficienti della matrice [ε] rappresentano invece delle dilatazioni (termini sulla diagonale) o degli

scorrimenti divisi per 2 (termini fuori diagonale), secondo le definizioni viste in precedenza; [ε]

rappresenta quindi il tensore delle deformazioni, simmetrico e contenente 6 componenti diverse

xu

xx ∂∂

=ε xyyxxy xv

yu

γ=

∂∂

+∂∂

=ε=ε21

21

yv

yy ∂∂

=ε xzzxxz xw

zu

γ=

∂∂

+∂∂

=ε=ε21

21

zw

zz ∂∂

=ε yzzyyz yw

zv

γ=

∂∂

+∂∂

=ε=ε21

21

Esso permette di calcolare lo spostamento infinitesimo Udr

dovuto alla sola deformazione del corpo,

escludendo i contributi del moto rigido: [ ] dXdU ε=

Le deformazioni, sia dilatazioni sia scorrimenti, sono dei numeri puri in quanto rappresentano

rapporti di lunghezze (m/m); poiché i valori tipici sono molto piccoli (10-6 ÷ 10-3), per lavorare con

numeri più comodi da rappresentare le si esprime talvolta (soprattutto nell'analisi sperimentale delle

deformazioni) in µm/m.

3.3. Direzioni principali di deformazione

Analogamente al caso della tensione, anche il tensore della deformazione ammette 3 autovalori reali

e i corrispondenti autovettori; essi rappresentano le deformazioni principali e le direzioni principali

di deformazione. Il significato fisico in questo caso è il seguente: segmenti orientati lungo direzioni

principali si dilatano (allungandosi o accorciandosi) senza subire distorsioni (escludendo le rotazioni

rigide); inoltre, per ogni punto della struttura, la massima e la minima dilatazione principale

costituiscono la massima e la minima dilatazione possibile che un segmento può subire a seconda

della sua l'orientazione.

Anche per le deformazioni è possibile la rappresentazione grafica mediante cerchi di Mohr; in questo

caso sugli assi si pongono la dilatazione e la metà dello scorrimento. Le procedure per la costruzione

e l'utilizzo dei cerchi sono analoghe al caso delle tensioni.

3 ε

γ

12εεε

2

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21

3.4. Relazione tra tensioni e deformazioni

I parametri che rappresentano gli stati di tensione e deformazione, cioè i coefficienti dei rispettivi

tensori, sono legati tra di loro dal comportamento del materiale. L'esperienza fisica ci mostra che se

si sottopone un materiale a degli sforzi questo si deforma, viceversa se si impone al materiale di

deformarsi questo reagisce opponendo degli sforzi.

Consideriamo ad esempio il caso di una molla sospesa verticalmente ad un estremo. Se (a)

all'estremo libero si applica un carico assiale F questo presenta uno spostamento δ, proporzionale al

carico stesso; se invece (b) si costringe l'estremo libero ad spostarsi di una quantità δ la molla oppone

una forza resistente F proporzionale allo spostamento imposto. Inoltre si osserva che rimuovendo la

causa (carico applicato o spostamento imposto) l'effetto (spostamento sotto carico o forza

resistente) si annulla.

Un comportamento di questo tipo è detto lineare elastico; si intende cioè che vi è una semplice legge

lineare tra causa ed effetto e il fenomeno è inoltre reversibile.

F∝δ

Fk1

δ∝F

δ= kF

Nel caso in esame la costante di proporzionalità k costituisce la cosiddetta rigidezza della molla.

Per caratterizzare dal punto di vista elastico il materiale, indipendentemente dalle caratteristiche

geometriche della struttura, si deve studiarne il comportamento in termini di tensioni e deformazioni.

Consideriamo un elemento infinitesimo di materiale e supponiamo di poter applicare su di esso le

diverse componenti di tensione separatamente e di misurare le componenti di deformazione che

nascono.

σxxτxy

σxyτ yy

σzz

xy

zyzτ

yzτ

xzτ

xzτ

Applicando la componente σxx si osserva che la deformazione εxx risulta proporzionale alla tensione:

xxxx σ∝ε xxxx Eσ=ε

1

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22

La costante E è detta modulo elastico (o modulo di Young) e ha il significato fisico di rigidezza del

materiale; dimensionalmente essa costituisce una tensione (espressa solitamente in MPa o N/mm2).

Applicando la sola componente σyy si osserva che la deformazione εxx risulta proporzionale anche a

questa componente di tensione:

yyxx σ∝ε yyxx Eσ

ν−=ε

La costante ν è detta coefficiente di contrazione trasversale (o coefficiente di Poisson) e rappresenta

la "disponibilità" del materiale alla dilatazione in direzione perpendicolare a quella in cui agisce una

tensione di tipo normale; dimensionalmente è un numero puro.

Lo stesso comportamento si riscontra applicando la sola componente σzz:

zzxx σ∝ε zzxx Eσ

ν−=ε

Viceversa si riscontra che la deformazione εxx è insensibile all'applicazione delle componenti di

tensione tangenziali τxy, τxz, τyz.

Misurando le componenti di dilatazione εyy, εzz si riscontrano comportamenti analoghi (scambiando

debitamente gli indici degli assi) nei confronti delle diverse componenti di tensione.

Applicando simultaneamente σxx, σyy, σzz, si osserva che vale la sovrapposizione degli effetti:

zzyyxxxx EEEσ

ν−σ

ν−σ=ε

1

Per quando riguarda gli scorrimenti, si osserva che ognuno di essi è proporzionale alla sola

componente di tensione tangenziale corrispondente (cioè con gli stessi indici); ad esempio:

xyxy τ∝γ xyxy Gτ=γ

1

La costante G è detta modulo elastico a taglio e rappresenta la rigidezza del materiale rispetto alla

deformazione per scorrimento; anche essa ha le dimensioni una tensione. Si può verificare che G non

è indipendente dalle costanti E, ν del materiale ma è legata ad esse dalla relazione

( )ν+=

12E

G

Un materiale che presenta un comportamento del tipo descritto è definito, oltre che elastico lineare,

isotropo, cioè le proprietà meccaniche sono le stesse in tutte le direzioni.

Oltre alle tensioni, un'ulteriore causa di deformazione nei problemi strutturali è rappresentata dalla

temperatura; questa provoca solo dilatazioni, uguali in tutte le direzioni, ma non causa scorrimenti:Tzzyyxx ∆α=ε=ε=ε

Il termine α costituisce il coefficiente di dilatazione termica del materiale, avente le dimensioni

dell'inverso di una temperatura (1/°C), mentre ∆T è la variazione di temperatura del materiale

rispetto ad una configurazione di riferimento.

Complessivamente la relazione fra tensioni e deformazioni, detta legge di Hooke, costituisce un

sistema di 6 equazioni che legano le componenti ε,γ alle σ,τ e alla variazione di temperatura ∆T:

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23

τ=γ

τ=γ

τ=γ

∆α+σ+σν

−σν

−=ε

∆α+σν

−σ+σν

−=ε

∆α+σν

−σν

−σ+=ε

yzyz

xzxz

xyxy

zzyyxxzz

zzyyxxyy

zzyyxxxx

G

G

G

TEEE

TEEE

TEEE

1

1

1

1

1

1

Poiché le σ e ε sono disaccoppiate dalle τ e γ, se un sistema di riferimento è principale per le tensioniallora lo è anche per le deformazioni e viceversa; in coordinate principali la legge di Hooke si riducea:

∆α+σ+σν

−σν

−=ε

∆α+σν

−σ+σν

−=ε

∆α+σν

−σν

−σ+=ε

TEEE

TEEE

TEEE

3213

3212

3211

1

1

1

3.5. Energia di deformazione

E' noto dalla fisica che un corpo che si deforma sotto carico accumula energia potenziale in forma

elastica; ad esempio nel caso di una molla l'energia accumulata è pari a

δ= F21

E

F

δed è visualizzabile graficamente come area sottesa dalla retta nel diagramma forza-allungamento.

Per calcolare l'energia elastica a livello di materiale, studiamo la deformazione di un elemento

infinitesimo. Consideriamo prima il caso in cui agisca la sola tensione σxx sulla faccia di area dydz , la

risultante elementare vale:dydzdF xxx σ=

Lo spostamento elementare per cui tale tensione compie lavoro è dato da:dxdu xxε=

Si può quindi calcolare la corrispondente energia elastica:

dVdxdydzdudFd xxxxxxxxx εσ=εσ==21

21

21

E

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24

Definiamo quindi l'energia di deformazione per unità di volume η:

xxxxdVd

εσ==η21E

Considerando invece il caso in cui agisca la sola tensione tangenziale τxy sulle facce dxdz e dydz

questa genera le risultanti elementaridxdzdF xyx τ= dydzdF xyy τ=

I corrispondenti spostamenti per cui tale tensione compie lavoro sono dati dadydu xyε= dxdv xyε=

Anche in questo caso si calcola l'energia elastica:

( ) ( ) dVdxdydzdvdFdudFd xyxyxyxyxyxyyx γτ=ετ+ετ=+=21

21

21

E

mentre l'energia per unità di volume è:

xyxydVd

γτ==η21E

dFx du

dFx du

dFy

dv

In caso generale l'energia elastica di deformazione per unità di volume è ottenuta semplicemente

sommando i contributi di tutte le componenti (le tensioni normali non producono lavoro con gli

spostamenti dovuti agli scorrimenti, le tensioni tangenziali non producono lavoro con gli spostamenti

dovuti alle dilatazioni):

( )yzyzxzxzxyxyzzzzyyyyxxxx γτ+γτ+γτ+εσ+εσ+εσ=η21

In coordinate principali l'espressione dell'energia assume la forma più compatta:

( )33221121

εσ+εσ+εσ=η

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25

4. CEDIMENTO STATICO DEI MATERIALI METALLICI

4.1. Prova di trazione

Il metodo più comune per valutare sperimentalmente le caratteristiche meccaniche di un materiale

strutturale è rappresentato dalla prova di trazione. Essa consiste nel sottoporre una provetta

(normalmente di forma cilindrica o prismatica) a carico di trazione assiale crescente, generalmente

fino a produrne la rottura; durante la prova si registrano le coppie di valori carico-allungamento per

costruire il relativo diagramma.

L'esecuzione delle prove è regolata da norme dedicate che prescrivono i parametri geometrici delle

provette, le modalità di applicazione del carico e i procedimenti per l'elaborazione dei risultati (v.

UNI EN 10002 Materiali metallici – Prova di trazione).

Provette

Le provette da impiegare per le prove di trazione hanno forma e dimensioni unificate; ciò è dettato

non solo da motivi di ordine pratico (facilità di realizzazione delle provette, compatibilità con le

macchine di prova), ma anche dal fatto che i risultati ottenuti possono essere in una certa misura

influenzati dalla geometria della provetta. La sezione delle provette può essere di tipo circolare (per

materiale in barre) o rettangolare (lamiere); in entrambi i casi si distinguono: la parte calibrata, le due

teste di afferraggio e le due zone di raccordo.

La parte calibrata è la zona a sezione costante con dimensioni controllate (si impongono tolleranze

dimensionali e di forma) e di lunghezza Lc, che viene utilizzata per le misure; nell'interno della zona

calibrata si tracciano due linee trasversali di riferimento distanti tra di loro L0. Le provette impiegate

sono usualmente di tipo proporzionale, cioè soddisfano la condizione:

00 65.5 SL =

che corrisponde ad un tratto calibrato di lunghezza pari a 5 diametri nel caso di sezione circolare.

Le teste di afferraggio sono gli estremi della provetta, aventi sezione maggiore rispetto alla parte

calibrata, che vengono afferrati dai morsetti della macchina per l'applicazione del carico di trazione.

Le zone di raccordo collegano la parte calibrata alle teste di afferraggio, evitando brusche variazioni

di sezione.

Provetta a sezione piatta

LL

0

ctratto calibrato

teste di afferraggiozone di raccordo

S0

Provetta a sezione circolare

LL

0

ctratto calibrato

teste di afferraggiozone di raccordo

S0

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26

Macchine di prova

Le macchine di prova permettono di esercitare la trazione sulle provette, in modo controllato,

misurando inoltre lo sforzo applicato e l'allungamento della provetta durante l'esame. L'architettura

tipica della macchina comprende il basamento, due o più colonne-guide, la traversa mobile e i

morsetti per l'afferraggio delle provette; il movimento della traversa è generato da viti di manovra

(macchine ad azionamento meccanico) o da cilindri attuatori (macchine ad azionamento idraulico).

Un morsetto è collegato al basamento, l'altro è solidale con la traversa mobile; lo spostamento di

quest'ultima manda in trazione la provetta.

basamento

traversa mobile

morsetti

colonne

cella di carico

L'afferraggio della provetta è ottenuto di solito per mezzo di ganasce autoserranti a cunei, aventi

superfici piane per provette di lamiera e superfici concave per provette a sezione circolare; per le

provette a sezione circolare e dotate di spallamenti si utilizzano attacchi a filiera (smontabili per

consentire l'inserimento delle provette).

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27

A ASez. A-A provette piatte

provette circolari

Attacchi a filiera

La misura della forza è ottenuta per mezzo di un apposito dinamometro (cella di carico) posto in

serie sul sistema di applicazione della forza di trazione oppure, nel caso di macchine idrauliche,

rilevando la pressione nel circuito.

La misura dell'allungamento della provetta è eseguita in due modi diversi, a seconda della precisione

richiesta e dell'entità dell'allungamento stesso:

• misurando lo spostamento della traversa mobile si rileva qualunque livello di allungamento (fino

all'eventuale rottura), ma la precisione non è elevata (errori dovuti ai giochi meccanici, alla

deformabilità della traversa, ecc.);

• utilizzando un estensometro, apposito strumento che viene agganciato alla provetta e che misura

l'allontanamento tra due sezioni di riferimento, la precisione è molto elevata ma la corsa

misurabile è breve (pochi mm), questa tecnica è quindi impiegata per misurare gli allungamenti

elastici che hanno piccola entità.

Comportamento dei materiali durante la prova

La risposta dei materiali metallici sottoposti a trazione è evidentemente assai diversa a seconda del

tipo di materiale e dei trattamenti che questo ha subito, in termini sia qualitativi (tipi di

comportamento presentato) sia quantitativi (valori dei parametri caratteristici). Nel seguito si

cercherà di illustrare i concetti fondamentali, cercando di classificare i comportamenti dal punto di

vista strutturale.

E' necessario definire alcune grandezze che vengono impiegate per descrivere le caratteristiche

meccaniche del materiale.

• Deformazione convenzionale: è il rapporto tra la variazione di lunghezza del tratto compreso tra

i due riferimenti e la lunghezza iniziale del tratto stessoε = ∆L L/ 0

invece della deformazione frequentemente si utilizza l'allungamento percentuale:

0/100 LL∆⋅

• Tensione convenzionale (o carico unitario): è il rapporto tra la forza di trazione applicata e l'area

iniziale della sezione retta del tratto calibratoσ = F S/ 0

• Carico di scostamento dalla proporzionalità (totale o unitario): è il carico al quale corrisponde

un allungamento non proporzionale pari alla percentuale p della distanza tra ai riferimenti; ad

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

28

esempio Fp0,2 (e, analogamente, Rp0,2=Fp0,2/S0) è il carico che determina un allungamento avente

una quota non proporzionale pari allo 0,2% della distanza tra i riferimenti.

Durante la prova la sezione retta del provino è sollecitata dall'unica componente di tensione

perpendicolare σ e tale tensione è principale, inoltre le due restanti tensioni principali sono nulle e il

materiale è quindi in condizioni di tensione monoassiale.

I dati rilevati nel corso della prova sono riportati su un diagramma forza-allungamento o, dividendo

la prima per la sezione iniziale del tratto calibrato, tensione-allungamento.

Nella fase iniziale della prova, finché il carico si mantiene sufficientemente basso, il comportamento

del materiale è elastico e il corrispondente tratto del diagramma è lineare. La pendenza di tale retta

nel diagramma σ- ε rappresenta il modulo elastico E.

Continuando ad esercitare la trazione sulla provetta si arriva ad un certo livello per il quale la forza e

l'allungamento cessano di essere proporzionali e il diagramma si scosta dalla linearità; da questo

punto in poi il comportamento si differenzia a seconda del tipo di materiale in esame.

Per alcuni materiali, come gli acciai a basso contenuto di carbonio, ciò è particolarmente evidente: la

forza cessa improvvisamente di salire (addirittura decresce leggermente) mentre la provetta continua

ad allungarsi. Il fenomeno è detto snervamento, esso segna la fine del comportamento elastico del

materiale e l'inizio delle deformazioni plastiche permanenti; si definisce carico di snervamento

superiore FeH il valore di picco della forza di trazione corrispondente alla fine del comportamento

elastico, mentre il carico di snervamento inferiore FeL è il valore a cui la forza scende (assestandosi

dopo alcune oscillazioni) quando il fenomeno si è manifestato.

Successivamente, continuando a esercitare la trazione sulla provetta la forza riprende a salire, ma con

pendenza molto inferiore a quella del tratto elastico: siamo nella fase delle deformazioni plastiche

aventi entità assai superiore di quelle elastiche. In tale fase il volume del materiale si mantiene

approssimativamente costante, quindi l'allungamento è compensato da una contrazione trasversale. Il

fatto che la forza continui a salire, malgrado la riduzione della sezione, indica che il carico unitario

(cioè la tensione) necessario per deformare il materiale cresce in misura tale da compensare la perdita

di sezione resistente: tale fenomeno è noto come incrudimento. Questo comportamento prosegue

finché la curva presenta un massimo Fm, detto anche carico di rottura; da questo punto in poi si la

riduzione della sezione si verifica in una zona localizzata, tale fenomeno è noto come strizione. La

forza necessaria ad allungare ulteriormente la provetta diminuisce perché l'incrudimento del materiale

non basta più a compensare la riduzione di sezione. Infine la provetta si rompe, dividendosi in due

parti in corrispondenza della sezione ristretta.

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

29

FeH

FeL

F

(%)

Fm

rottura

deform. plast. uniforme

deform. plast. localizzata

allungamento

Per altri materiali, come ad esempio gli acciai a medio contenuto di carbonio, il fenomeno dello

snervamento non è più evidente, ma si osserva semplicemente una progressiva deviazione dalla

linearità; in questo caso, invece del carico di snervamento FeH si determina il carico di scostamento

dalla proporzionalità, di solito allo 0,2%: Fp0,2. La procedura consiste nel tracciare la retta parallela al

tratto elastico del diagramma e distante in orizzontale 0,2%; l'intersezione con la curva fornisce il

valore di Fp0,2. Col procedere della prova si osservano anche in questo caso la crescita della curva

dovuta all'incrudimento e il successivo calo dovuto alla strizione.

Fp0,2

F

(%)allungamento

Fm

0,2%

deform. plast. uniforme

deform. plast. localizzata

rottura

Per alcuni materiali, come ad esempio le ghise grigie, la fase delle deformazioni plastiche è assente o

praticamente trascurabile; la rottura si manifesta immediatamente alla fine del tratto elastico della

curva.F

(%)allungamento

Fm

rottura

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

30

Per tutti i materiali duttili si osserva inoltre che se il carico viene rilasciato durante la deformazione

plastica il diagramma relativo allo scarico è lineare e parallelo alla retta che descrive l'andamento

elastico iniziale; di conseguenza la provetta non riassume la lunghezza originale ma presenta un

allungamento residuo. Se si applica nuovamente il carico il diagramma è lo stesso segmento fino al

livello massimo di carico che era stato raggiunto in precedenza, da questo punto in poi viene di

nuovo seguita la curva relativa alla fase plastica del materiale, come se lo scarico non fosse avvenuto.

Si osserva quindi che un materiale che ha subito un certo livello di deformazione plastica presenta

una fase elastica più ampia.

F

(%)allungamentoallungamentoresiduo

Come già anticipato nelle definizioni, il passaggio dai valori caratteristici di forza (carico) a quelli

corrispondenti di tensione (carico unitario) avviene semplicemente dividendo per l'area iniziale S0

della provetta:

carico unitario di snervamento superiore ReH = FeH / S0

carico unitario di snervamento inferiore ReL = FeL / S0

carico unitario di rottura Rm = Fm / S0

E' evidente che tali definizioni hanno valore convenzionale; in particolare il carico unitario di rottura

viene definito dividendo la forza massima misurata durante la prova per un valore di area che non è

quello su cui essa agisce, ma è il valore della sezione indeformata. Il tratto decrescente della curva,

corrispondente alla strizione della provetta, non è in pratica utilizzabile in quanto lo stato di tensione

diventa triassiale e, inoltre, la tensione assiale non è uniforme sulla sezione.

Riaccostando i due spezzoni della provetta si può misurare la lunghezza finale Lu tra i due riferimenti

tracciati prima della prova a distanza L0; si definisce la grandezza seguente:

allungamento dopo rottura (%) A = 100⋅(Lu -L0)/ L0

Si definiscono duttili quei materiali che presentano elevata deformazione plastica prima della rottura,

fragili quelli che presentano deformazione plastica limitata; poiché la deformazione plastica

determina il valore della lunghezza finale dopo rottura Lu , si può eseguire una distinzione di massima

in base all'entità dell'allungamento dopo rottura:

A > 10%: materiali duttili A < 5%: materiali fragili

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

31

Per valori di A compresi tra 5% e 10% si osserva un comportamento intermedio tra fragilità e

duttilità.

La tabella seguente riporta, a titolo di esempio, i valori tipici delle caratteristiche di resistenza per

alcuni materiali ferrosi utilizzati nelle costruzioni meccaniche; dati completi per le diverse tipologie di

materiali possono essere trovati nelle corrispondenti tabelle UNI.

Materiale ReH (Rp0,2)

(MPa)

Rm

(MPa)

A

%acciai per carpenteria S235 ≥ 235 ≥ 360 ≥ 26

S275 ≥ 275 ≥ 430 ≥ 23S355 ≥ 355 ≥ 510 ≥ 21

acciai da bonifica C30 325 540 20C40 370 590 18

41Cr4 540 740 1439NiCrMo3 540 740 13

ghise grigie GJL-100 - 100 -GJL-200 - 200 -GJL-300 - 300 -

ghise sferoidali GJS-350-22 230 350 22GS-500-7 370 500 7GS-700-2 420 700 2

Dall'esame della tabella si osserva che per gli acciai le caratteristiche di resistenza (carichi unitari di

snervamento e di rottura) sono in generale inversamente proporzionali all'allungamento a rottura,

inoltre per gli acciai ad alta resistenza il limite di snervamento è (proporzionalmente) più vicino a

quello di rottura che per gli acciai a bassa resistenza.

4.2. Ipotesi di cedimento

I dati relativi alla resistenza dei materiali ottenuti mediante la prova di trazione corrispondono al

cedimento in condizioni di tensione monoassiale. In generale ogni punto di un elemento di macchina

può essere soggetto ad uno stato di tensione pluriassiale, definito dal tensore delle tensioni cartesiane

[σ] o dalle tensioni principali σ1, σ2, σ3. Al fine di stabilire se lo stato di tensione agente nel punto

considerato è compatibile con la resistenza del materiale si pone quindi il problema di definire un

unico valore (scalare) equivalente, da confrontare con il valore che esprime il limite caratteristico del

materiale.

Si deve cioè definire una tensione, detta ideale o equivalente, funzione delle 3 tensioni principali

effettivamente agenti e che equivalga dal punto di vista del pericolo di cedimento allo stato di

tensione vero:( )321 ,, σσσ=σ fid

Tale funzione non è univoca e dipende dal comportamento tipico del materiale; per la sua

determinazione si deve analizzare più dettagliatamente ciò che si verifica nel materiale in condizioni

di cedimento.

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

32

Il differente comportamento, duttile o fragile, del materiale durante la prova di trazione corrisponde

ai diversi fenomeni che si producono nel materiale quando la sollecitazione cresce.

Nel caso dei materiali fragili il cedimento consiste nella perdita di coesione fra gli atomi del reticolo

cristallino del metallo, fenomeno che porta al distacco frontale del materiale. L'intuizione fisica ci

porta a presumere che tale distacco si verifichi per effetto delle tensioni di tipo normale (σ), tale

ipotesi è confermata sperimentalmente dal fatto che le superfici di rottura a trazione di materiali di

questo tipo sono perpendicolari alla direzione della forza.

Nel caso dei materiali duttili il cedimento che mette fine al comportamento elastico è causato dallo

scorrimento dei piani cristallini, che si verifica su piani inclinati di circa 45° rispetto alla direzione di

applicazione della forza dove le tensioni di tipo tangenziale (τ) sono massime. Esaminando le

superfici di rottura a trazione di un materiale di questo tipo si riscontra infatti che esse, almeno nella

zona esterna del provino, sono inclinate dell'angolo suddetto rispetto alla direzione della forza.

σ σ

materiali fragili: decoesione frontale

σ σ

materiali duttili: scorrimento plastico

Numerose ipotesi di cedimento sono state proposte dai ricercatori che si sono occupati di resistenza

dei materiali; in questa trattazione ci si limiterà a presentare quelle più comunemente adottate per i

materiali metallici impiegati nelle costruzioni meccaniche.

Ipotesi della massima tensione normale (Galileo, Rankine)

Si suppone che il materiale ceda quando la massima delle tensioni principali, che è la massima

tensione normale tra quelle agenti sugli infiniti piani passanti per il punto in cui si esegue la verifica,

raggiunge un valore limite:

σid = σ1

Per quanto discusso in precedenza, questa ipotesi risulta applicabile ai materiali che presentano

comportamento fragile.

Ipotesi della massima tensione tangenziale (Tresca, Guest)

L'ipotesi è applicabile ai materiali di tipo duttile. Si suppone che il materiale ceda, nel senso di

iniziare a deformarsi plasticamente, quando la massima tensione tangenziale tra quelle agenti sugli

infiniti piani passanti per il punto in cui si esegue la verifica raggiunge un valore limite.

Dall'esame dei cerchi di Mohr si ricava immediatamente che la tensione tangenziale massima è il

raggio del maggiore dei cerchi e vale:

231

maxσ−σ

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33

σ3 σ

τ

1σσ2

maxτ

limiti di cedimento

Nel caso dello stato di tensione monoassiale che si ha nella prova di trazione, due cerchi di Mohr

coincidono e il terzo degenera in un punto; la massima tensione tangenziale vale quindi:

2max,id

idσ

Confrontando le due espressioni si ottiene:

31 σ−σ=σ id

Si noti che secondo questa ipotesi la tensione principale intermedia non influisce sul valore della

tensione ideale; inoltre se a tutte le tensioni principali si aggiunge una costante (cosa che corrisponde

a traslare orizzontalmente i cerchi di Mohr) il valore della tensione ideale non cambia.

Ipotesi dell'energia di distorsione (Huber, Hencky, Von Mises)

Anche questa ipotesi è applicabile ai materiali di tipo duttile. Si suppone che il materiale inizi a

deformarsi plasticamente quando la quota di energia potenziale elastica di deformazione (cfr. §3.5.)

che corrisponde al puro cambiamento di forma (distorsione) raggiunge un valore critico.

σ3 σ

τ

1σσ2

bττa

Si può dimostrare che l'energia D corrispondente alla pura distorsione del materiale è data dalla

semisomma dei tre prodotti delle tensioni tangenziali massime per le corrispondenti deformazioni:

( )ccbbaa γτ+γτ+γτ21

=D

Per la legge di Hooke γ = τ/G e quindi:

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34

( )222

21

= cbaGτ+τ+τD

Esprimendo le tensioni tangenziali massime in funzione di quelle principali si ottiene:

σ−σ+

σ−σ+

σ−σ

=2

312

322

21

22221G

D

Nel caso della prova di trazione due tensioni tangenziali massime coincidono e la restante è nulla:

σ=

−σ+

+

−σ=

2222

22

21

2

0

200

2

0

21 ididid

GGD

Confrontando le due espressioni si ottiene:

( ) ( ) ( )231

232

221

2

1σ−σ+σ−σ+σ−σ=σ id

Questa ipotesi tiene conto del contributo da parte di tutte le tre tensioni principali; anche in questo

caso se a tutte le tensioni principali si aggiunge una costante il valore della tensione ideale non

cambia, ciò è giustificato dal fatto che in questo modo si aggiungerebbe energia di deformazione

associata ad un cambiamento di volume ma non di forma.

Confronto tra le ipotesi della massima tensione tangenziale e dell'energia di distorsione

Poiché entrambe le ipotesi suddette sono state formulate per rappresentare il cedimento dei materiali

duttili, si pone il problema di valutare di quanto esse differiscano e di stabilire quale delle due sia più

adeguata a rappresentare le condizioni limite.

Un confronto diretto tra le due ipotesi può essere eseguito in forma grafica considerando uno spazio

cartesiano in cui le coordinate rappresentano i valori assunti dalle tensioni principali. In questo spazio

ad ogni ipotesi corrisponde una superficie limite; se il punto rappresentativo dello stato di tensione

sta all'interno di tale superficie non si verifica il cedimento, se sta all'esterno il materiale cede. Di

conseguenza, a parità di resistenza del materiale, un'ipotesi è tanto più cautelativa quanto più la zona

ammessa è limitata. Adottando questa rappresentazione si trova che:

• l'ipotesi dell'energia di distorsione corrisponde ad un cilindro, il cui asse è la retta trisettrice dello

spazio avente come coordinate le tensioni principali e la cui sezione ha forma circolare;

• l'ipotesi della massima tensione tangenziale corrisponde ad un cilindro, il cui asse è la retta

trisettrice dello spazio avente come coordinate le tensioni principali e la cui sezione ha forma

esagonale.

Una situazione di particolare interesse dal punto di vista applicativo è quella di tensione piana in cui

una delle tensioni principali è uguale a zero; tale è lo stato di sollecitazione che si verifica ad esempio

negli alberi, nei dischi, nelle piastre, nei gusci e sulla superficie di tutti elementi strutturali.

Graficamente, in un piano cartesiano avente per coordinate le due restanti tensioni principali4 σa e σb,

4Come già fatto in un caso precedente, si adotta questa notazione perché i simboli σ1, σ2, σ3 corrispondono ai valoriordinati in senso decrescente.

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

35

i limiti corrispondenti alle due ipotesi di rottura sono rappresentati da un'ellisse per l'energia di

distorsione e da un esagono per la massima tensione tangenziale.

σb

σa

σ = σ1 b

σ = σ2 a

σ = 03σ = σ1 a

σ = σ2 b

σ = 03

σ = σ1 a

σ = 02

σ = σ3 b

σ = σ1 b

σ = 02

σ = σ3 a

σ = 01

σ = σ2 a

σ = σ3 b

σ = 01

σ = σ2 b

σ = σ3 a

Dal confronto grafico si deduce che la curva limite corrispondente alla massima tensione tangenziale

è completamente inscritta in quella corrispondente all'energia di distorsione, la prima ipotesi risulta

quindi più cautelativa. La discrepanza tra le due curve è in generale abbastanza limitata; esse

coincidono quando σa=0 o σb=0 e per σa= σb; la massima differenza si verifica per σa= - σ b e in tali

condizioni si verifica che

866.023

)max (

dist.) en.(==

τσσ

id

id

Sperimentalmente si osserva che i punti di cedimento ottenuti esercitando contemporaneamente

tensione su due direzioni si dispongono approssimativamente in posizione intermedia tra le curve

corrispondenti alle due ipotesi.

Si può quindi concludere che la scelta dell'una o dell'altra ipotesi viene effettuata principalmente per

motivi di comodità. L'ipotesi dell'energia di distorsione porta a un'unica formula, valida in ogni caso,

che però presenta lo svantaggio di essere non-lineare nelle tensioni; l'ipotesi della massima tensione

tangenziale presenta il vantaggio di essere lineare, ma l'equazione della superficie limite non è unica

in quanto questa consta di diversi segmenti.

4.3. Coefficiente di sicurezza di una struttura

Per quanto esposto finora la resistenza strutturale di un componente risulta verificata quando in tutti

i suoi punti (e in particolare in quello più sollecitato) la tensione ideale (che, come già detto,

rappresenta con un unico numero le tensioni applicate nel punto) è inferiore alla tensione limite del

materiale:σid ≤ σlim

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36

La tensione limite che si assume per il materiale corrisponde al carico unitario di rottura nel caso di

materiale fragile e al carico unitario di snervamento nel caso di materiale duttile. Quest'ultima

assunzione è motivata dal fatto che in un componente meccanico non è accettabile che si produca

snervamento; infatti anche se non avviene la rottura il cambiamento permanente di forma associato

alle deformazioni plastiche potrebbe essere incompatibile col funzionamento.

Affinché l'elemento strutturale operi con sufficiente sicurezza la diseguaglianza precedente deve

essere soddisfatta con un certo margine; si deve infatti considerare che:

• i carichi applicati possono essere soggetti a incertezze di tipo statistico, inoltre si potrebbero

presentare condizioni di carico non previste in sede di progetto;

• anche le caratteristiche di resistenza del materiale, essendo frutto dei procedimenti di

fabbricazione, sono soggette a incertezze di tipo statistico;

• i valori delle tensioni agenti che si considerano sono in generale ottenuti per mezzo di modelli

teorici di calcolo, più o meno affetti da approssimazioni.

Per tenere conto di questi fattori si deve confrontare la tensione ideale (che, come già detto,

rappresenta con un unico numero le tensioni applicate nel punto) con la cosiddetta tensione

ammissibile σamm, pari alla tensione limite del materiale divisa per un numero CS, maggiore di uno,

detto coefficiente (o fattore) di sicurezza5:

Slimammid Cσ=σ≤σ

I valori di CS sono di solito imposti dalle norme che regolano i diversi settori applicativi (es.:

strutture in carpenteria metallica, recipienti in pressione, apparecchi di sollevamento); tali valori sono

stati scelti principalmente in base all'esperienza specifica nei vari settori delle costruzioni, tenendo

inoltre conto delle caratteristiche della struttura e delle perdite (in termini economici e umani)

causate da un eventuale raggiungimento delle condizioni limite. Ad esempio, valori tipici di CS sono:

1.5 per elementi sollecitati staticamente, 3 per elementi soggetti a sollecitazioni variabili nel tempo

(di "fatica"), per le quali l'incertezza di comportamento è più elevata, e addirittura 10 nel caso delle

funi, per le quali il calcolo è estremamente incerto.

Si deve ancora osservare che il comportamento duttile contiene un margine di sicurezza intrinseco, in

quanto se si supera la tensione limite σlim si produce snervamento ma il componente non si spezza ed

è ancora in grado di sopportare carichi superiori, pur deformandosi in modo irreversibile. Viceversa

nel caso di comportamento fragile il raggiungimento della condizione limite comporta la rottura del

componente, con effetti potenzialmente più gravi. Di conseguenza i coefficienti di sicurezza da

adottare nel caso di materiale fragile dovranno essere opportunamente più elevati che nel caso di

materiale duttile.

5Un approccio più moderno e corretto consiste nel valutare le distribuzioni statistiche del carico applicato e dellaresistenza del materiale; da esse si può stimare la probabilità di rottura, che viene limitata al valore desiderato.

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37

5. RICHIAMI DI GEOMETRIA DELLE AREE

5.1. Definizioni

E' necessario definire alcune grandezze caratteristiche, che descrivono le proprietà geometriche

dell'area della sezione di un elemento strutturale e che saranno utilizzate nel seguito della trattazione.

Considerando una figura nel piano, preso un generico riferimento xy si definiscono le seguenti

grandezze:area ∫=

AdAA

momenti statici ∫=Ax ydAS ∫=

Ay xdAS

momenti d'inerzia ∫=Axx dAyJ 2 ∫=

Ayy dAxJ 2

momento d'inerzia polare ( )∫ +=Ap dAyxJ 22

momento centrifugo ∫=Axy xydAJ

Trattandosi di momenti riferiti ad aree (e non a masse) le dimensioni fisiche sono di una lunghezza al

cubo per i momenti statici e di una lunghezza alla quarta per i momenti d'inerzia.

La conoscenza dei momenti statici permette di calcolare la posizione del baricentro G della sezione:

A

Sx

yG =

A

Sy x

G =

x

y

G

xG

Gy

Se l'origine del sistema di riferimento si trova nel baricentro della sezione gli assi sono detti centrali

(ovviamente in tale caso le coordinate di G sono nulle). Si dimostra inoltre che se la figura ammette

un asse di simmetria il baricentro deve trovarsi su tale asse, infatti il momento statico della metà

figura che si trova da un lato dell'asse ha modulo uguale e segno opposto a quello della rimanente

metà e il momento statico complessivo è nullo; se gli assi di simmetria sono due il baricentro si trova

in corrispondenza della loro intersezione.

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38

5.2. Figure composte

Nelle applicazioni pratiche si incontrano spesso casi in cui la sezione dell'elemento strutturale che si

considera è una figura composta da parti semplici, le cui caratteristiche sono già note o facilmente

determinabili.

Consideriamo allora un sistema di riferimento xy globale, cioè relativo a tutta la figura, mentre ξiηi

sono i riferimenti centrali delle singole parti. Valgono le seguenti relazioni:

area A Aii= ∑

(Ai area della parte i-esima)

momenti statici ∑=i iix AyS ∑=

i iix AxS

(xi, yi coordinate globali del baricentro della parte i-esima)

momenti d'inerzia ( )∑ ξξ+=i iixx ii

JAyJ 2 ( )∑ ηη+=i iiyy ii

JAxJ 2

(Jξiξi, Jηiηi momenti d'inerzia della parte i-esima rispetto agli assi locali)

momento centrifugo ( )∑ ηξ+=i iiixy ii

JAyxJ

(Jξiηi, momento centrifugo della parte i-esima rispetto agli assi locali)

Le formule precedenti esprimono la semplice proprietà additiva delle aree e dei momenti, con una

distinzione:

• per quanto riguarda le aree, i contributi delle singole parti vengono semplicemente sommati par

formare l'area totale della figura;

• per quanto riguarda i momenti, è necessario esprimere il termine dovuto a ogni singola parte nel

sistema di riferimento globale xy, successivamente i contributi delle singole parti possono essere

sommati.

Nel caso dei momenti statici, i valori corrispondenti alle singole parti espressi nei sistemi di

riferimento locali sono nulli, perché tali sistemi sono (per ipotesi) centrali; rimangono soltanto i

valori "di trasporto" xiAi e yiAi che permettono di esprimere tutti i contributi nello stesso riferimento

globale in cui si può eseguire la somma.

Nel caso dei momenti d'inerzia e centrifugo, i termini espressi nei sistemi di riferimento locali Jξiξi,

Jηiηi, Jξiηi vengono corretti con i valori "di trasporto" xi2Ai, yi

2Ai, xiyiAi (formula di Huygens) che

permettono di esprimere tutti i contributi nello stesso riferimento globale in cui si può eseguire la

somma.

La tabella seguente riporta i valori dei momenti d'inerzia per alcune figure elementari, di utilizzo

frequente nel calcolo di elementi di macchine.

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39

5.3. Rotazione degli assi

Si può dimostrare che i momenti d'inerzia e centrifughi di una figura piana rappresentano i

coefficienti di un tensore [J], simmetrico 2×2, costruito nella maniera seguente:

[ ]

−=

yyxy

xyxx

JJ

JJJ

Analogamente a quanto visto in precedenza per i tensori delle tensioni e delle deformazioni, anche in

questo caso esiste un sistema di riferimento privilegiato, avente stessa origine di xy e assi ruotati, tale

che calcolando i momenti rispetto ai suoi assi, detti principali d'inerzia, il tensore diventa diagonale:

2

1

0

0

J

J

E' utile calcolare i valori che assumono i momenti d'inerzia Jxx, Jyy e centrifugo Jxy in un sistema di

riferimento xy ruotato del generico angolo α rispetto al riferimento principale p1p2.

Figura Momento d'inerzia Schema

rettangolo Jbh

ξξ =3

12

ξ

b

h

triangolo Jbh

ξξ =3

12

ξb

h

cerchio Jr d

ξξ π π= =4 4

4 64

ξ

rd=2r

semicerchio Jr d

ξξ π π= =4 4

8 128

ξ

rd=2r

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40

x

y

1

α

α

p

2p

La relazione tra le coordinate x, y e quelle p1, p2 è data da:

α+α−=

α+α=

cossen

sencos

21

21

ppy

ppx

I momenti d'inerzia e centrifugo nel riferimento xy valgono, per definizione:

∫=Axx dAyJ 2 ∫=

Ayy dAxJ 2 ∫=Axy xydAJ

Sostituendo le espressioni per x e y in funzione di p1 e p2 nelle definizioni dei momenti si ottiene:

( )

( )

( )( )

α−α+

+αα−αα=α+α−α+α=

αα+α+α=α+α=

αα−α+α=α+α−=

∫∫

∫∫∫

∫∫ ∫∫

∫∫∫ ∫

AA

AAAxy

AA AAyy

AAA Axx

dAppdApp

dApdApdAppppJ

dAppdApdApdAppJ

dAppdApdApdAppJ

212

212

21

222121

212

122

222

21

212

122

222

21

sencos

sencossencoscossensencos

sencos2cossensencos

sencos2sencoscossen

Ricordando che il riferimento p1p2 è principale le relazioni precedenti si riducono a:

αα−αα=

α+α=

α+α=

sencossencos

cossen

sencos

21

22

21

22

21

JJJ

JJJ

JJJ

xy

yy

xx

E' conveniente esprimere le funzioni trigonometriche in funzione dell'angolo 2α:

22cos1

sen 2 α−=α

22cos1

cos2 α+=α

22sen

cossenα

=αα

Sostituendo nelle equazioni precedenti e mettendo in evidenza i momenti J1, J2 si ottengono le

relazioni seguenti:

α−

=

α−

−+

=

α−

++

=

2sen2

2cos22

2cos22

21

2121

2121

JJJ

JJJJJ

JJJJJ

xy

yy

xx

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41

Si verifica agevolmente che in un piano cartesiano in cui l'ascissa è il momento d'inerzia Ji e l'ordinata

il momento centrifugo Jc, i punti di coordinate (Jxx, Jxy) e (Jyy, -Jxy) stanno su una circonferenza, in

posizioni diametralmente opposte.

Si è infatti ottenuto il cerchio di Mohr per i momenti d'inerzia, che rappresenta i valori assunti dai

momenti d'inerzia e centrifugo al ruotare del sistema di riferimento generico xy rispetto al sistema

principale p1p2 .

1J2J iJ

cJ

(xx

Jxy

, J )

(yy

Jxy, -J )

Le intersezioni del cerchio con l'asse orizzontale hanno ascisse pari ai momenti principali d'inerzia J1

e J2, che rappresentano rispettivamente il massimo e il minimo fra tutti i momenti d'inerzia calcolabili

al ruotare dell'asse di riferimento.

Se la figura presenta un asse di simmetria, sicuramente questo è uno degli assi principali d'inerzia.

Se il sistema di riferimento oltre ad essere principale ha anche l'origine nel baricentro gli assi sono

detti centrali principali; è questo il tipo di riferimento più utilizzato nei problemi strutturali.

In pratica, la determinazione dei momenti principali d'inerzia e dei relativi assi avviene mediante la

procedura seguente:

• nel generico riferimento xy si calcolano i momenti d'inerzia Jxx, Jyy e centrifugo Jxy;

• si calcolano i momenti d'inerzia principali J1 e J2, con le formule

22

1 22 xyyyxxyyxx J

JJJJJ +

−+

+= 2

2

2 22 xyyyxxyyxx J

JJJJJ +

−−

+= ;

• si ottiene l'angolo α tra l'asse principale p1 e l'asse x dalla relazione

yyxx

xy

JJ

J

−=α

22tan

Per determinare il segno dell'angolo α si devono considerare i valori di Jxx, Jyy e Jxy; si possono

presentare i casi illustrati negli schemi seguenti:

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

42

Un procedimento alternativo per determinazione del riferimento principale consiste nel calcolare

autovalori e autovettori della matrice [J]: i momenti principali J1, J2 sono dati dai due autovalori λ1,

λ2; le direzioni degli assi principali d'inerzia p1, p2 sono definite dagli autovettori v1, v2, come

mostrato in figura.

x

y

p1

p2

v1v 2

Jxy > 0

Jxx ≥ Jyy Jxx ≤ Jyy

1J2Ji

J

cJ

(xx

Jxy

, J )

(yy

Jxy

, -J )

1J2Ji

J

cJ

2α(

xxJ

xy, J )

(yy

Jxy

, -J )

0° < α ≤ 45° 45° ≤ α < 90°

Jxy < 0

Jxx ≥ Jyy Jxx ≤ Jyy

1J2Ji

J

cJ

(xx

Jxy

, J )

(yy

Jxy

, -J )

1J2Ji

J

cJ

2α(

xxJ

xy, J )

(yyJ xy, -J )

-45° ≤ α < 0° -90° < α ≤ -45°

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43

6. SOLIDO DI SAINT VENANT

La determinazione per via analitica degli stati di deformazione e tensione nei punti dei corpi

sollecitati è possibile solo per alcuni tipi di elementi strutturali. Tra di essi un posto di primo piano

spetta al cosiddetto solido di Saint Venant6, che fornisce la soluzione per elementi di tipo

monodimensionale, cioè dotati di una dimensione molto maggiore delle altre due. A questo modello

di calcolo si possono ricondurre molti elementi strutturali di comune impiego, come ad esempio le

travi dei telai, gli alberi delle macchine, ecc.

6.1. Ipotesi

Si devono formulare alcune ipotesi di partenza sulle caratteristiche del solido e sulle sue condizioni di

carico e vincolo:

• il solido è un cilindro ottenuto per traslazione di una figura piana in direzione della propria

normale, l'estensione in tale direzione è molto maggiore delle dimensioni nel piano della figura

generatrice;

• carichi e vincoli sono applicati solo in corrispondenza delle basi;

• in tutto il solido il materiale è elastico, omogeneo, isotropo.

x

y

z

Si sceglie un sistema di riferimento cartesiano xyz avente gli assi x e y contenuti nel piano della figura

che genera il solido e l'origine posta nel baricentro di quest'ultima; l'asse z rappresenta la traiettoria

del baricentro durante il moto di generazione e costituisce la cosiddetta linea d'asse del solido.

Evidentemente tutte le sezioni normali all'asse z sono sezioni rette del solido e sono tutte identiche

alla figura generatrice.

A causa dell'assenza di carichi applicati sulla superficie cilindrica e delle limitate dimensioni

trasversali si può ammettere che:

σxx = 0 σyy = 0 τxy = 0

Possono invece essere presenti le tensioni:

σzz τxz τyz

6Adhémar Jean Claude Barré de Saint Venant (Villiers-en-Brie 1797 - St. Ouen 1886); suo è il merito di aversistematizzato le soluzioni relative alle sollecitazioni nel solido prismatico.

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44

6.2. Caratteristiche di sollecitazione

Consideriamo la generica sezione retta (cioè normale all'asse z) del solido di Saint Venant; su di essa

agiscono le componenti di tensione σzz, τxz, τyz la cui distribuzione deve essere calcolata per le

possibili condizioni di sollecitazione. Indipendentemente dalla distribuzione delle tensioni, è lecito

sostituire a quest'ultima un insieme di forze e momenti staticamente equivalenti; si definiscono quindi

le cosiddette caratteristiche di sollecitazione della sezione:

forza normale ∫σ=A

zzdAN

tagli ∫ τ=A

xzx dAT ∫ τ=A

yzy dAT

momenti flettenti ∫σ=A

zzx ydAM ∫σ−=A

zzy xdAM

momento torcente ( )∫ τ−τ=A

xzyzz dAyxM

Le definizioni della forza normale N e dei tagli Tx, Ty rappresentano semplicemente le risultanti di

tutte le forze infinitesime σzzdA, τxzdA, τyzdA rispettivamente agenti lungo x, y, z e ottenute

integrando i contributi di tutti i punti della sezione.

x

y

σ dAzz

zx

y

τ dAxz

zx

y

τ dAyz

z

I momenti flettenti Mx e My sono definiti come momenti risultanti delle forze infinitesime σzzdA,

aventi braccio y dall'asse x e braccio x dall'asse y, ottenuti integrando i contributi di tutti i punti della

sezione. Il momento torcente Mz è definito come momento risultante delle forze infinitesime τxzdA,

τyzdA aventi bracci dall'asse z pari rispettivamente a y e x.

x

y σ dAzz

z

x

y

σ dAzz

z x

y

τ dAyz

z

τ dAxz

Le componenti di sollecitazione possono essere messe in evidenza interrompendo il solido in una

sezione generica mediante una superficie di distacco; il procedimento è analogo a quello seguito

quando si taglia la struttura dai vincoli per mettere in evidenza le reazioni.

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45

Sulle due sezioni generate dal taglio e reciprocamente affacciate agiscono componenti (forze e

momenti) uguali in modulo e opposte in verso, in virtù del principio di azione e reazione. Di

conseguenza, se sulla cosiddetta faccia positiva, (quella da cui l'asse z è uscente), si assumono come

versi positivi per le forze (N, Tx, Ty) quelli degli assi e come versi positivi per i momenti (Mx, My, Mz)

quelli dati dalla regola della vite (destra), sulla faccia negativa (asse z entrante) si assumono versi

positivi opposti.

x

y

z

Ty

My

Tx

Mx

Mz

N

Ty

My

Tx

Mx

Mz

N

x

y

z

6.3. Principio di Saint Venant

Il modo in cui i carichi sono effettivamente applicati sulle sezioni di estremità del solido dipende dal

caso tecnico considerato; in particolare la distribuzione delle tensioni localmente prodotta dal carico

esterno può essere diversa da quella prevista dalle soluzioni di Saint Venant che verranno presentate

nei paragrafi successivi.

Si osserva che a una distanza dalla sezione di applicazione del carico circa pari alle dimensioni

trasversali del solido il particolare modo in cui il carico è applicato non influisce più; diventano

quindi significative solo le risultanti (forze e momenti) che il carico genera e la distribuzione delle

tensioni torna a essere quelle prevista dalle soluzioni di Saint Venant. Questa proprietà, nota come

principio di Saint Venant, consente notevoli semplificazioni nella soluzione di problemi strutturali:

• le non-conformità all'ipotesi sulla geometria (solido cilindrico generato per traslazione di una

figura) che interessano zone limitate, ad esempio brusche variazioni di sezione o presenza di fori,

causano perturbazioni di carattere solo locale nella distribuzione delle tensioni;

• le modalità con cui vincoli e carichi sono imposti hanno influenza solo sulla zona di applicazione.

A titolo di esempio, le immagini successive mostrano due casi di conferma sperimentale, per mezzo

del metodo fotoelastico, del principio di Saint Venant. Tale metodo consente di visualizzare lo stato

di tensione in un modello della struttura realizzato in materiale trasparente e si basa su particolari

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46

fenomeni a cui è soggetta la luce che attraversa un materiale sottoposto a sforzi; nelle immagini le

frange scure indicano l'intensità delle sollecitazioni.

Il primo caso si riferisce alla regione di incastro di un elemento sottoposto a flessione, si osserva che

appena al di sopra della sezione del vincolo le frange presentano andamento regolare, corrispondente

alla distribuzione di tensioni del solido di Saint Venant.

Il secondo caso si riferisce ad un albero, soggetto a trazione assiale, in cui è ricavata una gola che

causa un variazione locale della sezione; si osserva che nella zona della gola l'andamento delle

tensioni risulta perturbato, ma a breve distanza la situazione ritorna regolare.

Anche se tali perturbazioni dello stato di tensione e deformazione hanno carattere locale, nondimeno

sono importanti dal punto di vista strutturale; infatti proprio in corrispondenza di esse si presentano

dei massimi di tensione e quindi si possono superare i limiti di resistenza del materiale. La trattazione

di questi fenomeni, noti come effetti di intaglio, non è affrontata in questa sede essendo oggetto di

corsi specifici.

6.4. Comportamento estensionale (trazione-compressione)

Consideriamo il caso in cui il moto di deformazione elastica del solido di Saint Venant è tale che tutti

i punti di una generica sezione traslano, in direzione della linea d'asse, della stessa quantità w,

proporzionale alla distanza z dall'origine, posta nella base che si considera fissa7:

7Essendo interessati alla sola quotaparte elastica del moto, questa assunzione non costituisce un caso particolare.

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47

x

y

w

zw k z= 0

x

y

w

z

Ricordando la definizione delle deformazioni, si può immediatamente calcolare la dilatazione in

direzione z:

0kzw

zz =∂∂

Il termine costante k0 ha quindi il significato fisico di dilatazione assiale. Applicando la legge di

Hooke e ricordando che per ipotesi σxx=σyy=0 si ricava che (E= modulo di Young):

0EkE zzzz =ε=σ

Si possono quindi calcolare le caratteristiche di sollecitazione, agenti sulle sezioni, corrispondenti alla

tensione ricavata; i tagli e il momento torcente sono ovviamente nulli in quanto non legati a σzz, per

quanto riguarda forza normale e momenti flettenti si ha

AEkAdAdAN zzA

zzA

zz 0=σ=σ=σ= ∫∫0=σ=σ= ∫∫

Azz

Azzx ydAydAM 0=σ−=σ−= ∫∫

Azz

Azzy xdAxdAM

L'annullarsi dei due momenti è dovuto al fatto che in ogni sezione il riferimento xy ha l'origine nel

baricentro. Quindi la distribuzione di tensione considerata corrisponde a una condizione di trazione o

compressione semplice, a cui è equivalente la sola forza normale applicata in corrispondenza del

baricentro della sezione.

Utilizzando le relazioni trovate si può determinare la costante k0 in funzione della forza normale N:

EAN

k =0

Sostituendo nella relazione per la tensione assiali σzz si lega quest'ultima alla forza normale:

AN

Ekzz ==σ 0

E' comune rappresentare la distribuzione della tensione in una sezione del solido mediante un

diagramma riportato a fianco del profilo della sezione stessa. L'asse delle ascise di tale diagramma è

parallelo al profilo della sezione, l'asse delle ordinate è rivolto come la linea d'asse del solido, così

come lo è, nella realtà fisica, la tensione σzz.

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48

x

y

z

N

σzzx

y z

N

σzz

Si ricava inoltre che i punti delle generica sezione subiscono, oltre allo spostamento elastico w in

direzione assiale già citato, anche degli spostamenti trasversali u e v rispettivamente lungo x e y

dovuti alla contrazione trasversale (ν coefficiente di Poisson):u k x= −ν 0 ykv 0ν−=

Da queste due relazioni si deduce che la sezione, oltre a traslare assialmente, si contrae o si espande

intorno al proprio baricentro.

In queste particolari condizioni di sollecitazione (solo forza normale) il solido di Saint Venant è detto

asta. In campo meccanico esempi tipici di questo comportamento sono costituiti dai tiranti di

fissaggio.

6.5. Comportamento flessionale

Per semplificare la trattazione è conveniente assumere che per la sezione retta del solido di Saint

Venant gli assi xy siano, oltre che centrali, anche principali d'inerzia. In generale, nel moto elastico di

flessione la sezione può ruotare intorno ad un asse qualsiasi; è conveniente studiare il fenomeno

separatamente nei due piani coordinati e considerare il caso generale mediante la sovrapposizione

degli effetti.

Flessione nel piano zy

Per quanto riguarda la flessione nel piano zy si determina la soluzione assumendo che la generica

sezione ruoti dell'angolo αx (piccolo) intorno all'asse x rimanendo piana; ciò implica che lo

spostamento assiale dei punti della sezione segua la legge:

x

yw

z

αx yw xα=

La corrispondente dilatazione assiale è data da:

ykydz

d

zw

xx

zz =α

=∂∂

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49

Si mostrerà in seguito che il termine kx, qui utilizzato per indicare la derivata della rotazione rispetto

alla coordinata assiale, ha il significato fisico di curvatura del solido nel piano zy.

Applicando la legge di Hooke e ricordando che per ipotesi σxx=σyy=0 si ricava che:

yEkydz

dEE x

xzzzz =

α=ε=σ

Il tipo di moto elastico assunto per la sezione porta quindi a una distribuzione di tensione assiale di

tipo lineare; si possono calcolare la forza normale e i momenti flettenti a cui essa dà luogo (tagli e

momento torcente sono ovviamente nulli)

0==σ= ∫∫A

xA

zz ydAEkdAN

xxxA

xA

zzx JEkdAyEkydAM ==σ= ∫∫ 2 0=−=σ−= ∫∫A

xA

zzy yxdAEkxdAM

Si deduce quindi che la sezione ruota intorno all'asse x ed è soggetta al solo momento Mx; tale

proprietà non è ovvia ma deriva dall'avere assunto assi xy centrali e principali d'inerzia.

Dalla definizione di Mx si ottiene

xx

xx EJ

Mk =

Sostituendo kx nella formula della tensione σzz si lega quest'ultima al momento:

yJ

MyEk

xx

xxzz ==σ

Anche nel caso della flessione si usa rappresentare la distribuzione della tensione in una sezione del

solido mediante un diagramma, riportato a fianco del profilo della sezione stessa.

x

y

z

Mx

σzz

Si verifica agevolmente che la tensione σzz raggiunge valori massimi in modulo e opposti in segno

agli estremi della sezione ed è nulla in corrispondenza della retta y=0 (asse x) che costituisce l'asse

neutro.

Flessione nel piano zx

La flessione nel piano zx viene trattata, fatte le debite sostituzioni di simboli, in modo identico a

quella nel piano zy; in questo caso si ottiene la soluzione assumendo che la generica sezione ruoti

dell'angolo αy (piccolo) intorno all'asse y rimanendo piana:

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50

x

y z

w

α y

xw yα−=

La corrispondente dilatazione assiale è data da:

xkxdz

d

zw

yy

zz −=α

−=∂∂

Il termine ky, come si vedrà successivamente, ha il significato fisico di curvatura del solido nel piano

zx. Applicando la legge di Hooke e ricordando che per ipotesi σxx=σyy=0 si ricava che:

xEkxdz

dEE y

yzzzz −=

α−=ε=σ

Si possono quindi calcolare la forza normale e i momenti flettenti:

0=−=σ= ∫∫A

yA

zz xdAEkdAN

0=−=σ= ∫∫A

yA

zzx yxdAEkydAM yyy

A

y

A

zzy JEkdAxEkxdAM ==σ−= ∫∫ 2

Quindi in questo caso la sezione ruota intorno all'asse y ed è soggetta al solo momento My;

dall'ultima equazione si ottiene:

yy

yy EJ

Mk =

Sostituendo ky nella formula della tensione σzz si lega quest'ultima al momento:

xJ

MxEk

yy

yyzz −=−=σ

Anche in questo caso il diagramma della tensione σzz è lineare tra gli estremi della sezione, in cui

raggiunge valori rispettivamente massimo e minimo, l'asse neutro è rappresentato dalla retta x=0.

x

y z

My

σzz

Flessione combinata

Nel caso in cui agiscano simultaneamente entrambi i momenti flettenti Mx, My la distribuzione della

tensione σzz sulla sezione si ottiene per sovrapposizione degli effetti:

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

51

xJ

My

J

M

yy

y

xx

xzz −=σ

In questo caso l'asse neutro non coincide più con uno degli assi coordinati, si può determinarlo

considerando i punti per i quali σzz=0:

0=− xJ

My

J

M

yy

y

xx

x

L'andamento della tensione può essere riportato graficamente misurando i valori di σzz a partire dalla

normale all'asse neutro, come mostrato in figura. Dalla costruzione grafica si individua agevolmente

la tensione nel punto più sollecitato, come indicato in figura.

x

y

asse neutro

σzz

Il momento flettente risultante Mf può essere ottenuto come somma vettoriale delle componenti Mx,

My:22

yxf MMM +=

Il vettore Mf è inclinato rispetto all'asse x dell'angolo ϕ, definito dalla relazione:

x

y

M

M=ϕtan

Invece la rotazione della sezione avviene intorno all'asse neutro, la cui inclinazione ψ rispetto all'asse

x è definita da:

yy

xx

x

y

J

J

M

M⋅=ψtan

In generale Jxx ≠ Jyy e quindi ϕ ≠ ψ ; l'asse intorno a cui la sezione ruota non è parallelo a quello del

momento ma ha una diversa inclinazione, che dipende dalle caratteristiche di sezione Jxx e Jyy. Tale

fenomeno è noto come flessione deviata.

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

52

Mx

My Mf

ϕψ

asse neutro

La sezione circolare rappresenta un caso che si incontra frequentemente nei componenti delle

macchine (alberi, assi, ...); per questa particolare geometria qualunque riferimento centrale è anche

principale e la flessione non è mai deviata. Si può quindi adottare un sistema di riferimento avente un

asse parallelo al momento risultante che agisce sulla sezione, la rotazione di quest'ultima avviene

intorno allo stesso asse.

y

asse neutro

σzz

X

Y

M

x

x

6.6. Caso generale: comportamento estensionale e flessionale

Nel caso più generale, in cui agiscano simultaneamente sia la forza normale N sia i momenti flettenti

Mz e My, la distribuzione della tensione σzz può essere ottenuta ancora per sovrapposizione degli

effetti:

xJ

My

J

M

AN

yy

y

xx

xzz −+=σ

Dal punto di vista grafico, il diagramma della tensione sulla sezione è la somma della distribuzione

uniforme dovuta alla forza normale e di quella con andamento lineare dovuta alla flessione.

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

53

x

y

σzz

+

+

-

L'asse intorno a cui avviene la rotazione della sezione non passa per il baricentro ma può trovarsi

anche al di fuori della sezione stessa.

6.7. Comportamento torsionale

Si considera un moto di deformazione in cui la generica sezione del solido ruota intorno a un asse

parallelo a z. La determinazione della soluzione esatta è possibile in forma elementare solo per il caso

della sezione a forma circolare (peraltro assai comune nelle costruzioni meccaniche); per altri tipi di

sezione la soluzione non è ottenibile in forma altrettanto semplice, nell'ambito di questa trattazione ci

si limiterà a considerare formule approssimate per il calcolo della rigidezza e delle tensioni.

Sezione circolare

Si considera che la sezione ruoti di un angolo θ intorno

all'asse z rimanendo piana; le componenti di spostamento

valgono quindi:

0

cos

sen

=θ=βθ=

θ−=βθ−=

w

xrv

yru

Le dilatazioni εxx , εyy , εzz sono evidentemente nulle, per

quanto riguarda gli scorrimenti si ha:

vu

x

y

θβ

r

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54

xxdzd

yw

zv

yydzd

xw

zu

xv

yu

yz

xz

xy

'

'

0

θ=θ

=∂∂

+∂∂

θ−=θ

−=∂∂

+∂∂

=θ+θ−=∂∂

+∂∂

Il termine θ'=d θ/dz è detto gradiente di torsione e rappresenta la rotazione per unità di lunghezza

della linea d'asse. Applicando la legge di Hooke si ottiene (G= modulo elastico tangenziale):

xGG

yGG

yzyz

xzxz

'

'

θ=γ=τ

θ−=γ=τ

Il tipo di moto assunto porta quindi a una distribuzione di tipo lineare delle tensioni τxz , τyz. Forza

normale e momenti flettenti sono nulli perché σzz=0, per tagli e momento torcente si ottiene:0' =θ−=τ= ∫ ∫A Axzx ydAGdAT 0' =θ=τ= ∫ ∫A Ayzy xdAGdAT

( ) ( ) ∫∫ ∫ θ=θ=+θ=τ−τ=A pA Axzyzz JGdArGdAyxGdAyxM ''' 222

Nella formula precedente Jp è il momento d'inerzia polare della sezione, pari al doppio del momento

diametrale. La distribuzione delle tensioni τxz , τyz dovute alla torsione ha risultante nulla e momento

(torcente) risultante il cui valore è indipendente dal polo scelto. Fin qui si è indicato con Mz il

momento torcente valutato rispetto all'asse baricentrico della sezione (asse z); nel seguito si utilizzerà

anche il simbolo Mt per indicare il momento torcente valutato rispetto a un asse parallelo a z e

passante per il centro di taglio o centro di torsione della sezione (il cui significato viene descritto nel

paragrafo successivo).

Dall'ultima relazione trovata si può ricavare il gradiente di torsione:

p

z

GJ

M=θ'

Poiché nel solido di Saint Venant i carichi sono applicati soltanto in corrispondenza delle estremità, il

momento torcente Mz è costante, e quindi lo è anche θ'. Di conseguenza la rotazione θ cresce

linearmente lungo la linea d'asse.

Sostituendo nelle formule che danno le tensioni τxz , τyz si ottiene:

yJ

M

p

zxz −=τ x

J

M

p

zyz =τ

τ

x

y

xz

τyz

τcz

Grazie all'assialsimmetria della sezione, l'orientazione del sistema di

riferimento è ininfluente; si può quindi considerare un riferimento

cilindrico per il quale si identificano nel piano della sezione le

direzioni radiale (r) e circonferenziale (c). La tensione agente in

ogni punto risulta diretta (come lo spostamento) in direzione

circonferenziale ed è data da:

rJ

M

p

zcz =τ

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

55

In conclusione si osserva che la tensione ha andamento lineare rispetto al raggio e presenta simmetria

polare, il massimo si presenta sul bordo esterno. I casi di sezione piena e cava differiscono

evidentemente per il momento polare Jp ma la forma del campo di spostamenti e di tensione rimane

la stessa.τcz τcz

Sezione rettangolare e sezioni aperte a parete sottile

Si consideri una sezione rettangolare di lati l e s, con l >> s e soggetta ad un

momento torcente Mt. A causa della limitatezza della dimensione s è lecito

assumere che le tensioni tangenziali dovute alla torsione siano, tranne che nelle

zone vicine ai lati corti, parallele al lato lungo (e cioè del tipo τyz). Si può

dimostrare che il gradiente di torsione θ' in questo caso è dato da:

t

t

GJ

M=θ'

Il termine Jt , avente le dimensioni di un momento d'inerzia d'area, è pari a:3

31

lsJ t =

La distribuzione della tensione è lineare lungo x e costante lungo y, secondo la

formula

xJ

M

t

tyz 2=τ

I massimi di sollecitazione si verificano quindi, come nel caso della flessione, in corrispondenza dei

bordi. Nel caso in cui la sezione non sia sottile, cioè non sia più vero che l >> s , le espressioni

precedenti rimangono valide con buona approssimazione se si corregge la formula di Jt nel modo

seguente:

( ) 33.0231

sslJ t ⋅−=

Tale correzione corrisponde a eliminare una fascia di altezza 0.3s per ogni estremo del rettangolo; il

confronto con la soluzione esatta mostra che gli errori commessi utilizzando questa formula

approssimata sono estremamente ridotti (< 3%) in tutto il campo di variazione di l/s da 1 a ∞.

Per considerare sezioni sottili aventi il lato maggiore parallelo all'asse x si utilizzano formule

analoghe alle precedenti scambiando i ruoli di x con y (tensioni di tipo τxz massime per y = ± s/2).

x

y0.3s

0.3 s

τyz

s

l

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

56

In generale una sezione aperta a parete sottile (profilati a C, doppio T, ecc.) può essere trattata come

insieme di sezioni rettangolari, che lavorano in parallelo contribuendo a sopportare

complessivamente il momento torcente Mt :

∑=i tit MM

La rotazione delle singole sezioni rettangolari deve essere la stessa, quindi

ti tii tit GJJGGJM ''' θ=θ=θ= ∑∑Il fattore Jt , corrispondente alla sezione completa è la somma di quelli relativi alle singole sezioni

rettangolari Jti :

∑=i tit JJ

La correzione 0.3s viene eseguita in questi casi eliminando i margini liberi, come mostrato in figura.

Sezioni cave a parete sottile

Queste sezioni sono definite geometricamente da due linee

chiuse, una interna e una esterna; nel caso di spessore s sottile,

cioè piccolo rispetto alle dimensioni della sezione, è possibile una

trattazione approssimata basata su un'analogia con l'idrodinamica.

Per semplificare la descrizione geometrica la sezione può essere

approssimata con la sua linea media, a cui la tensione τ, risultante

di τxz e τyz , deve essere tangente.

Definiamo flusso della tensione τ, attraverso una corda di

lunghezza pari allo spessore s della parete, la quantità seguente:

∫ τ=s

dst

Si immagini che i profili interno ed esterno della sezione

rappresentino due pareti impermeabili attraverso le quali scorre

un liquido incompressibile, con velocità v tangente alla linea media del profilo. Se nella formula

precedente invece della tensione τ si considera la velocità v, allora il risultato dell'integrazione è la

portata di liquido attraverso la corda; tale analogia è concettualmente valida perché l'equazione di

equilibrio che lega τxz e τyz è formalmente analoga alla condizione di incompressibilità che lega vx e

vy nel caso dell'idrodinamica. Per la proprietà di conservazione della portata il flusso deve essere lo

x

y

s

τ

linea media

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

57

stesso attraverso qualunque corda (congiungente il profilo esterno e quello interno) considerata

nella sezione.

Su un tratto infinitesimo di linea media avente lunghezza ldr

agisce la forza elementare ldtr

⋅ , in

direzione tangente al profilo; poiché la linea si chiude su sé stessa si verifica che:0rrr

==⋅ ∫∫ llldtldt

Quindi la distribuzione di tensione considerata ha risultante nulla. Preso un polo generico O il

momento torcente elementare dovuto a ldtr

⋅ , la cui retta d'azione è distante r da O, è pari a:

Ω⋅=⋅⋅ dtrdlt 2

dove dΩ è l'area infinitesima del triangolo di altezza r e base dl. Integrando su tutta la lunghezza

della linea media si ottiene il momento torcente Mt:Ω=Ω=⋅⋅= ∫∫ tdtrdltM

llt 22

Indipendentemente dalla scelta di O, Ω rappresenta l'area racchiusa dalla linea media del profilo della

sezione. Ciò è ovvio se O giace all'interno della sezione; se O è esterno alla linea media

l'affermazione è ancora vera perché l'area della zona triangolare OAB (doppiamente tratteggiata in

figura) è considerata due volte nell'integrazione: una quando si percorre la linea media da A a B,

l'altra nel percorso da B a A. I versi con cui tale area viene considerata sono opposti e quindi i

relativi contributi si elidono.

O

O

AB

Dalla formula precedente si esprime il flusso della tensione t in funzione del momento torcente Mt:

Ω=

2tM

t

Per calcolare la tensione τ si ammette che essa sia uniforme nello spessore della parete:

s

M

st t

Ω==τ

2

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58

Per il calcolo della rigidezza torsionale delle sezioni cave a parete sottile, si consideri la deformazione

di un tratto di solido di Saint Venant di lunghezza dz sollecitato dal momento torcente (costante) Mt

e le cui sezioni di estremità ruotano dell'angolo relativo dθ. L'energia di deformazione elastica vale:

θ= dMd t21

E

La stessa energia di deformazione può essere calcolata a partire da tensioni e deformazioni:

∫∫∫∫ =τ=τ

=τγ=llAA sdl

dzG

tsdldz

GdA

GdzdAdzd

221

21

21 2

22

E

L'ultimo passaggio è stato ottenuto approssimando t=τs (costante lungo il profilo); l'integrale è

esteso alla linea media del profilo, di cui dl rappresenta un tratto infinitesimo e s lo spessore locale.

Eguagliando l'energia ottenuta nei due modi si ottiene:

∫=θlt sdl

dzGt

dM2

Sostituendo a t l'espressione trovata in precedenza e ponendo anche in questo caso θ'=dθ/dz si

ottiene:

t

t

l

t

GJ

M

sdl

G

M=

Ω=θ ∫24

'

Si è quindi ottenuta l'espressione per il modulo caratteristico della sezione Jt :

∫Ω

=

l

t

sdl

J24

Di solito nei casi pratici lo spessore è costante in ognuna delle pareti da cui la sezione è composta e

la formula precedente assume la forma:

∑Ω

=

ii

it

s

lJ

24

dove la sommatoria è estesa su ognuna delle pareti a spessore uniforme si e lunghezza li .

6.8. Sollecitazioni dovute ai tagli

Il comportamento della generica sezione del solido di Saint Venant sotto l'azione delle forze di taglio

Ty , Tx non può essere descritto in maniera semplice come nei casi di comportamento estensionale o

flessionale; in questa trattazione ci si limiterà a valutare l'andamento delle tensioni tangenziali τyz , τxz

che agiscono sulla sezione. Per semplificare l'analisi conviene studiare separatamente il

comportamento nei due piani yz e xz, il caso generale può essere risolto applicando la

sovrapposizione degli effetti.

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

59

Comportamento nel piano zy - taglio Ty

Si consideri un elemento infinitesimo del solido di Saint

Venant compreso tra due sezioni distanti dz. Mancando per

ipotesi i carichi distribuiti, la forza di taglio Ty deve essere

uguale sulle due sezioni per garantire l'equilibrio alla

traslazione verticale, invece il momento Mx passando da un

estremo all'altro può subire un incremento infinitesimo

dMx.

Per l'equilibrio alla rotazione intorno a x possiamo scrivere:0=−++− dzTdMMM yxxx

Da essa si ottiene

dz

dMT x

y =

Si è quindi mostrato che il taglio rappresenta, in ogni sezione del solido, la derivata del momento

flettente rispetto alla coordinata z della linea d'asse.

x

y

tyz

A*

c

dz

yz

zz

z

y

x

σ

t

zzσ )∫A*

dA zz(σ∫A*

dA+ d

dz

Si consideri una parte A* di sezione, delimitata superiormente dal contorno e inferiormente da un

segmento, detto corda, parallelo a x; non conoscendo quale sia la distribuzione della tensione τyz si

definisce il suo flusso tyz attraverso la corda c nel modo seguente:

∫ τ=c yzyz dxt

Come verso positivo di tale flusso si assume quello entrante nell'area A*. Imponendo l'equilibrio alla

traslazione assiale della parte di materiale compresa tra le due aree A* poste sulle sezioni distanti dz

si scrive l'equazione:( ) 0

**=σ+σ+−σ− ∫∫ A zzzzyzA zz dAddztdA

Semplificando e ricordando che il differenziale dσzz è dovuto alla sola variazione della coordinata z si

ottiene:

∫ ∂∂σ

=*A

zzyz dA

zt

Avendo adottato un riferimento centrale principale la tensione σzz è data da

yJM

xx

xzz =σ

dzTy

Mx + dMx

Ty

Mx z

y

x

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

60

Sostituendo nell'espressione di tyz si ottiene

∫∫ ⋅=

∂∂

=**

1A

x

xxA

xx

xyz ydA

dzdM

JdAy

JM

zt

L'ultimo integrale della formula precedente è semplicemente il momento statico rispetto a x dell'area

A*, indicando questo con Sx* e ricordando che la derivata del momento è pari al taglio si può

scrivere:

xx

xyyz J

STt

*=

Comportamento nel piano zx - taglio Tx

Lo studio viene eseguito in maniera formalmente analoga al

caso precedente, semplicemente scambiando gli assi. In

questo caso l'equilibrio alla rotazione dell'elemento

infinitesimo di solido di Saint Venant porta all'equazione

seguente:0=+++− dzTdMMM xyyy

Da essa si ottiene

dz

dMT y

x −=

Anche in questo caso il taglio rappresenta la derivata rispetto a z del momento flettente (il segno "-"

è dovuto al differente verso positivo del momento).

x

y

txz

A*

c

xz

zz

zy

x

σ

t

zzσ )∫A*

dA zz(σ∫A*

dA+ ddz

In questo caso si considera una parte A* di sezione delimitata dal contorno esterno e da una corda

parallela a y; non conoscendo quale sia la distribuzione della tensione τxz si definisce il suo flusso txz

attraverso la corda c:

∫ τ=c xzxz dyt

Il verso positivo del flusso è ancora quello entrante nell'area A*. Imponendo l'equilibrio alla

traslazione assiale della parte di materiale considerata si scrive l'equazione:( ) 0

**=σ+σ+−σ− ∫∫ A zzzzxzA zz dAddztdA

Semplificando e ricordando che il differenziale dσzz è dovuto alla sola variazione della coordinata z si

ottiene:

dzTx

My + dMy

Tx

My zy

x

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61

∫ ∂∂σ

=*A

zzxz dA

zt

In questo caso la tensione σzz è data da:

xJ

M

yy

yzz −=σ

Sostituendo nell'espressione di txz si ottiene

∫∫ ⋅−=

∂∂

=**

1A

y

yyA

yy

yxz ydA

dz

dM

JdAy

J

M

zt

L'ultimo integrale della formula precedente è il momento statico rispetto a y dell'area A*, indicando

questo con Sy* e ricordando che la derivata del momento è pari al taglio cambiato di segno si ricava:

yy

yxxz J

STt

*=

Sezioni a parete sottile

Nelle costruzioni meccaniche è frequente l'uso di elementi la cui sezione è formata da pareti sottili,

cioè di spessore piccolo rispetto alle dimensioni della sezione. Esempi tipici sono costituiti dai

profilati (ottenuti per laminazione) a C o doppio T e dai longheroni dei veicoli.

x

y

ξ

A*

t

linea media

s

x

y

τ

Per il calcolo del flusso t della tensione tangenziale τ dovuta ai tagli si assume una coordinata locale

ξ (lungo la linea media del profilo) che definisce la posizione della corda che stacca l'area A*; la

corda non è parallela ad un asse ma è normale alla linea media ed è quindi pari allo spessore locale s

della parete. Come verso positivo del flusso t si assume quello entrante nell'area A*.

In questi casi è lecito ammettere che la tensione sia uniforme nello spessore della parete e diretta

come la linea media di quest'ultima; si ottiene quindi la tensione dividendo il flusso per la corda s:

yy

yx

xx

xy

sJ

ST

sJ

ST **+=τ

Per semplificare il calcolo delle caratteristiche geometriche della sezione (momenti statici e d'inerzia)

si considera che l'area sia concentrata nella linea media del profilo; come in precedenza i momenti

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

62

statici Sx* e Sy* si riferiscono alla parte di sezione staccata dalla corda, i momenti d'inerzia Jxx e Jyy si

riferiscono all'intera sezione.

Esempi di calcolo delle tensioni dovute ai tagli

1. Sezione rettangolare sottoposta a taglio nella direzione del lato maggiore.

ax

y

ξ

b

A*

+

τ

b

x

y

ξ

a

A*

yz

xz

Nel caso in cui sia a > b e agisca il solo taglio Ty si calcola la tensione τyz dividendo il flusso

per la lunghezza b della corda:

xx

xyyzyz bJ

ST

b

t *==τ dove

12

3baJ xx = ,

ξ

−ξ=22

*a

bS x

Tale relazione è esatta per b/a→0 in quanto assume che la tensione τyz sia distribuita

uniformemente lungo la corda; essa può quindi essere usata per un calcolo approssimato finché

il rapporto b/a è piccolo rispetto all'unità. L'andamento della τyz è parabolico, il valore massimo

si presenta sulla corda che stacca metà sezione (ξ= a/2)e vale:

A

T

ba

T

ab

baT yyyyz 2

3

2

3

12/

8/32

2

===τ

Nel caso in cui sia b > a e agisca il solo taglio Tx si calcola la tensione τxz dividendo il flusso

per la lunghezza a della corda:

yy

yxxzxz aJ

ST

at *

==τ dove 12

3abJ yy = ,

ξ

−ξ=22

*b

aS y

Analogamente al caso precedente, la relazione è esatta per a/b→0 e può essere usata per un

calcolo approssimato finché il rapporto a/b è piccolo rispetto all'unità. L'andamento della τyz è

ancora parabolico e il valore massimo, che si presenta sulla corda che stacca metà sezione (ξ=

b/2), vale:

A

T

ba

T

ba

abT xxxxz 2

3

2

3

12/

8/32

2

===τ

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

63

2. Sezione a parete sottile a C sottoposta a forze di taglio Tx e Ty.

x

y

s1

s1

s2

h e

x

yanima

piattabande

ξ1

ξ2

ξ3

b

Le caratteristiche utili della sezione sono le seguenti:

2121

22

3 bshshJ xx +=

2

12

2 22

−+= e

bbsehsJ yy dove

21

12

2 hsbssb

e+

=

Si consideri per primo il caso in cui agisca soltanto il taglio Ty. Per calcolare la tensione nella

piattabanda superiore conviene adottare la coordinata locale ξ1, misurata a partire dall'estremo

destro della piattabanda; il momento statico Sx* assume la forma:

2* 11

hsS x ξ=

La tensione τ (che in questa zona è del tipo τxz) cresce linearmente lungo la piattabanda; in

ξ1 = 0 si ha Sx* = 0 e τ = 0, il massimo è raggiunto per ξ1 = b in cui Sx* = bs1h/2 e

xx

y

xx

xy

J

bhT

Js

ST

2

*

1

==τ

Per calcolare la tensione nell'anima conviene adottare la coordinata locale ξ2, misurata a partire

dall'estremo superiore dell'anima; il momento statico Sx* assume la forma:

ξ

−ξ+=222

* 2221

hs

hbsS x

La tensione τ (che in questa zona è del tipo τyz) varia lungo l'anima con legge parabolica,

raggiungendo il massimo per ξ2 = h/2 in cui Sx* = bs1h/2 + s2h2/8 e

+==τ

82

* 22

122

hshbs

Js

T

Js

ST

xx

y

xx

xy

In ξ2 = h, estremo inferiore dell'anima, il momento statico ritorna al valore Sx* = bs1h/2. Per il

calcolo della tensione nella piattabanda inferiore si adotta la coordinata locale ξ3, misurata a

partire dall'estremo sinistro della piattabanda; il momento statico Sx* assume la forma:

22* 131

hs

hbsS x ξ−=

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

64

La tensione τ (che in questa zona è del tipo τxz) decresce linearmente lungo la piattabanda;

parte dal valore massimo per ξ3 = 0 in cui Sx* = bs1h/2 e

xx

y

xx

xy

J

bhT

Js

ST

2

*

1

==τ

mentre per ξ3 = b si ha Sx* = 0 e τ = 0

Si consideri ora il caso in cui agisca soltanto il taglio Tx. Nella piattabanda superiore il

momento statico Sy* assume la forma:

( )22

*21

1111

11ξ

−ξ−=

ξ

−−ξ= sebsebsS y

La tensione τ (che in questa zona è del tipo τxz) varia con legge parabolica lungo la

piattabanda; per ξ1 = 0 si ha Sy* = 0 e τ = 0, il massimo è raggiunto per ξ1 = b-e (in

corrispondenza dell'asse y) in cui Sy* = s1(b-e)2/2 e

( )2

* 2

1

ebJ

T

Js

ST

yy

x

yy

yx −⋅==τ

All'estremo sinistro della piattabanda ξ1 = b si ha Sy* = bs1(b/2-e) e la tensione vale:

−==τ e

bb

JT

Js

ST

yy

x

yy

yx

2

*

1

Nell'anima il momento statico Sy* assume la forma:

eseb

bsS y 221 2* ξ−

−=

La tensione τ (che in questa zona è del tipo τyz) varia lungo l'anima con legge lineare;

nell'estremo superiore ξ2 = 0 si ha Sy* = bs1(b/2-e) e

−==τ e

bbs

JsT

Js

ST

yy

x

yy

yx

2

*1

22

Per ξ2 = h/2 (in corrispondenza dell'asse x), il momento statico assume valore nullo:

( )

( ) ( ) 02222

22222

*

1212

12

12

121

2

21

=++

−=

+−=−

−=

bshsbshs

sbsb

bshsesb

esh

eb

bsS y

Nell'estremo inferiore dell'anima ξ2 = h , il momento statico assume il valore Sy* = -bs1(b/2-e) e

quindi la tensione vale:

−−==τ e

bbs

JsT

Js

ST

yy

x

yy

yx

2

*1

22

Nella piattabanda inferiore il momento statico Sy* assume la forma:

−ξ

ξ+−= esh

bsS y 22* 3

131

La tensione τ (che in questa zona è del tipo τxz) varia lungo la piattabanda inferiore con legge

parabolica; all'estremo sinistro τ3 = 0 si ha Sy* = -bs1(b/2-e) e quindi la tensione vale:

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

65

−−==τ e

bb

JT

Js

ST

yy

x

yy

yx

2

*

1

Il minimo della parabola è raggiunto per τ3 = e (asse y) in cui Sy* = -s1(b-e)2/2 e

( )2

* 2

1

ebJ

T

Js

ST

yy

x

yy

yx −⋅−==τ

mentre per ξ3 = b si ha Sy* = 0 e τ = 0.

x

y

Taglio Ty

x

y

Taglio Tx

-

-

+

++

+

+

T bhy

J xx

Ty

s Jxx2

bs h1

2s h2

2

8+( )

T b-ex

Jyy

2

2

2

( )Tx

Jyy 2(bb -e)

Tx

s Jyy2 2(bsb -e)1

T b-ex

Jyy

2

2

( )-

Tx

Jyy 2(bb -e

Tx

s Jyy2 2(bsb -e)1

)-

-T bhy

J xx2

Le frecce indicano il verso convenzionale assunto per la τ (flusso entrante attraverso la corda

in A*), come al solito il segno di quest'ultima determina il verso in cui essa effettivamente

agisce.

3. Sezione a parete sottile a doppio T sottoposta a forze di taglio Ty e Tx.

x

y s1

s1

s2

hx

1

ξ2

ξ3

ξ1

ξ3b

Con procedimento analogo a quello impiegato per la sezione a C si ottengono gli andamenti

della tensione tangenziale illustrati nelle figure seguenti.

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

66

x

yTaglio Ty

+

+

+

T bhy

4 J xx

Ty

s Jxx2

bs h1

2s h2

2

8+( )

x

yTaglio Tx

+

+

T bx

Jyy

2

8

T bhy

4 J xx

T bx

Jyy

2

8

In conclusione di questi esempi, si fa notare che ciascuna componente di taglio Tx o Ty può causare

entrambe le tensioni tangenziali τxz, τyz ; i valori massimi (in modulo) di tensione si raggiungono dove

il profilo interseca l'asse normale a quello in direzione del quale agisce il taglio.

Centro di taglio o di torsione

Si consideri la sezione a C per la quale si è ricavato l'andamento della tensione tangenziale τ (τxz,, τyz)

corrispondente all'applicazione dei tagli Tx , Ty .

Se agisce solo il taglio Ty si è trovato che la distribuzione delle τ ha andamento lineare nelle

piattabande e parabolico nell'anima.

x

y

s1

s1

s2

heFy

Fx

Fx

Ty

g

x

y

+

+

+

C t

b

T bhy

J xx2

T bhy

J xx2

La distribuzione di tensione in ciascuna piattabanda può essere sostituita da una forza Fy applicata

sulla linea media e pari al semiprodotto del valore massimo di τ assunto dalla distribuzione

triangolare per l'area della piattabanda stessa:

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

67

xx

y

xx

yx J

hsbTbs

J

bhTF

4221 1

2

1 ==

Le tensioni τ nell'anima possono essere sostituite da una forza verticale Fy applicata sulla linea media

dell'anima stessa e pari al taglio:

yy TF =

Al sistema di forze formato dalle due componenti Fx e dalla Fy deve essere equivalente il solo taglio

Ty applicato su una retta d'azione (asse centrale) la cui posizione g rispetto al riferimento xy si trova

imponendo l'eguaglianza dei momenti:hFeFgT xyy +=

Sostituendo a Fx e Fy le loro espressioni in funzione di Ty si ottiene:

12

122

3/24 bshsb

eJ

shbeg

xx ++=+=

Se agisce solo il taglio Tx l'andamento delle τ è parabolico nelle ali e lineare nell'anima; la

distribuzione delle tensioni è simmetrica rispetto a x e quindi la loro risultante, pari a Tx , è applicata

sull'asse x.

Il punto Ct di coordinate (-g,0) costituisce il centro di taglio della sezione; per tale punto devono

infatti passare i tagli Tx , Ty affinché nella sezione si abbiano le distribuzioni di tensioni τcorrispondenti alle condizioni di taglio puro. Di conseguenza, se la retta d'azione della risultante T

dei tagli dista da tale punto del valore (eccentricità) ec si producono nella sezione anche delle

sollecitazioni aggiuntive dovute al momento torcente Mt pari a:

ct TeM = dove 22yx TTT +=

Il punto Ct costituisce anche il centro di torsione della sezione; tale denominazione è dovuta al fatto

che la sezione sotto l'applicazione del momento torcente ruota intorno a un asse parallelo a z e

passante per tale punto.

Con procedimento analogo a quello qui mostrato nel caso della sezione a C il centro di taglio può

essere determinato per una generica sezione. Per alcuni casi particolari, ma di notevole interesse

pratico, il centro di taglio coincide col baricentro della sezione; ad esempio ciò si verifica nel caso di

sezione doppiamente simmetrica (rettangolare, circolare, a I, ecc.).

6.9. Tensioni principali e ipotesi di cedimento

Per le ipotesi effettuate, il tensore della tensione agente in un qualsiasi punto di una sezione del

solido di Saint Venant assume la forma seguente:

στττ

τ

zzyzxz

yz

xz

00

00

Note le componenti di tensione σzz , τxz , τyz , calcolabili utilizzando le formule presentate nei paragrafi

6.1÷6.8, si possono calcolare le tensioni principali come autovalori del tensore:

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

68

000

00

det =

λ−στττλ−

τλ−

zzyzxz

yz

xz

Sviluppando il determinante si ottiene( ) ( )[ ] ( )[ ] ( )[ ] 0222 =τ−τ−λ−σλ−λ−=λ−τ−τ+τ−λ−σλ−λ− yzxzzzxzxzyzzz

Si ricava immediatamente che una tensione principale è sempre nulla, cioè i punti del solido si

trovano in condizioni di tensione piana, le due rimanenti tensioni principali si ottengono come radici

del polinomio di secondo grado:( ) 0222 =τ+τ−λσ−λ yzxzzz

( )222

22 yzxzzzzz τ+τ+

σ

±σ

Si riscontra quindi che una radice è sempre positiva e l'altra negativa, le tre tensioni principali sono:

( )222

1 22 yzxzzzzz τ+τ+

σ

=σ 02 =σ ( )222

3 22 yzxzzzzz τ+τ+

σ

−σ

Nel caso in cui entrambe le componenti tangenziali τxz , τyz siano nulle anche una delle radici del

polinomio di secondo grado è nulla; il punto si trova in condizione di tensione monoassiale (ciò che

si verifica nel caso di comportamento estensionale e/o flessionale, in assenza di torsione o taglio).

Per comodità le tensioni tangenziali τxz , τyz possono essere sostituite da un'unica componente τ, di

cui il modulo e l'orientazione possono essere determinate calcolando la risultante delle forze

elementari:dAdF xzx τ= dAdF yzy τ=

x

ydF

dFx

dFy

dA

direzioneprincipale 2di tensione

La risultante infinitesima vale dAdF τ=dove 222

yzxz τ+τ=τ

La direzione principale relativa a σ2=0 è data dalla retta contenuta nel piano xy e perpendicolare a τ.

Le tensioni principali possono essere quindi scritte nella forma più compatta:

22

1 22τ+

σ

=σ zzzz 02 =σ 22

3 22τ+

σ

−σ

=σ zzzz

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

69

I cerchi di Mohr per un punto qualsiasi di una sezione del solido di Saint Venant assumono la forma

mostrata in figura. E' possibile tracciare direttamente i cerchi (senza aver determinato

preliminarmente le tensioni principali) in quanto si conoscono le componenti di tensione su due piani

perpendicolari tra di loro e appartenenti al fascio che ha in comune la direzione principale 2. Il primo

piano è quello della sezione del solido (piano xy) su cui agiscono le componenti (σzz , τ), il secondo

piano è parallelo a z e su esso agisce la sola τ. Si hanno quindi gli elementi per costruire il cerchio

passante per σ1 , σ3 ; i cerchi rimanenti vengono tracciati ricordando che σ2=0.

σ3 σ

τ

1σσ2

(σ , τ)zz

(0 , −τ)

τmax

=0

Come già mostrato in precedenza, la massima tensione tangenziale agisce su un piano del fascio

avente in comune la direzione principale 2 ed è pari al raggio del cerchio passante per σ1 , σ3 :

22

max 2τ+

σ

=τ zz

Utilizzando questi risultati si possono calcolare le tensioni ideali, le cui formule sono state ottenute al

par. 4.2 in funzione delle tensioni principali, direttamente in termini di σzz e τ.

Materiali fragili

Ipotesi della massima tensione normale: 22

1 22τ+

σ

=σ=σ zzzzid

Materiali duttili

Ipotesi della massima tensione tangenziale: 2231 4τ+σ=σ−σ=σ zzid

Ipotesi dell'energia di distorsione: ( ) ( ) ( )[ ] 3123

21

231

23

21

2 0021

σσ−σ+σ=σ−σ+σ−+−σ=σid

Ponendo, per semplicità di notazione, 2zza

σ= , 2

2

2τ+

σ

= zzb , si ottiene l'espressione:

( ) ( ) ( )( ) 22222

22222 32

32

3 τ+σ=

τ+

σ

+

σ

=+=−+−−++=σ zzzzzz

id bababababa

Si ricava quindi: 22 3τ+σ=σ zzid

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

70

7. APPLICAZIONE DELLE SOLUZIONI PER IL SOLIDO DI SAINT VENANT AL

CALCOLO DI STRUTTURE ELEMENTARI

Gli elementi strutturali di tipo monodimensionale (cioè, come già detto, aventi una dimensione molto

maggiore delle altre due) usati nelle costruzioni meccaniche spesso si discostano dalle ipotesi sotto

cui si sono ottenute le soluzioni per il solido di Saint Venant. In aggiunta a quanto già detto al

capitolo 6 circa le variazioni di sezione, si nota che nei casi pratici carichi e vincoli possono essere

applicati non solo agli estremi (si pensi al caso di un albero di trasmissione con linea d'asse

orizzontale e cuscinetti intermedi).

Le azioni applicate, sia da enti esterni sia dai vincoli, causano nelle sezioni di tali elementi strutturali

caratteristiche di sollecitazione (forza normale, tagli, momenti flettenti, momento torcente) variabili

in caso generale lungo la linea d'asse. Ogni sezione viene trattata come sezione di un solido di Saint

Venant in cui agiscono le caratteristiche di sollecitazione corrispondenti alla sua posizione lungo

l'elemento ed equivalenti alle tensioni σzz , τxz , τyz , ciascuna variabile secondo la sua distribuzione

caratteristica. Le altre componenti di tensione, ad esempio quelle (locali) di contatto dovute

all'applicazione di carichi distribuiti, sono di solito trascurabili o comunque calcolabili separatamente.

7.1. Diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione

Noti i carichi esterni e calcolate le reazioni vincolari, i valori assunti dalle caratteristiche di

sollecitazione N, Tx , Ty , Mx , My , Mz , in una generica sezione S di un elemento strutturale possono

essere determinati per mezzo di equazioni di equilibrio.

E' sufficiente infatti isolare una parte di struttura con una linea che la distacca dagli eventuali vincoli

e interrompe l'elemento nella sezione S. Le equazioni di equilibrio della parte così isolata forniscono

i valori delle caratteristiche di sollecitazione cercate. Tale modo di procedere costituisce

semplicemente la generalizzazione di quanto già visto nel capitolo 1 per la determinazione delle

reazioni vincolari.

Scrivendo le equazioni di equilibrio si considera la geometria della struttura indeformata (ad esempio

per adottare i bracci di momento), cioè si trascurano le variazioni geometriche dovute alla

deformabilità elastica degli elementi. Tale approssimazione, necessaria per ottenere delle relazioni

lineari, è corretta in quanto gli spostamenti elastici sono di solito estremamente piccoli rispetto alle

dimensioni caratteristiche della struttura.

Per visualizzare l'andamento delle caratteristiche di sollecitazione nelle parti delle struttura è utile

costruire dei diagrammi, che riportano il valore di ogni componente in funzione della posizione. Tali

diagrammi vengono di solito tracciati sulla struttura stessa; su ogni elemento la caratteristica

diagrammata viene misurata perpendicolarmente alla linea d'asse, che funge da ascissa.

Nel seguito sono riportati alcuni esempi in cui si mostra la costruzione dei diagrammi delle

caratteristiche di sollecitazione per strutture elementari. Per semplicità la trattazione è limitata a

problemi piani.

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

71

Esempio 1

F

a

l

b c

1

F2C=F l

z

F1

F2VA

RB

OA

A B

1

C=F l1

Si vuole determinare l'andamento delle caratteristiche di sollecitazione nella struttura schematizzata

in figura.

Mediante tre equazioni di equilibrio si determinano le reazioni vincolari.→: 02A =+ FO 2A FO −=

A : 0B1 =++ lRCaF( )

+−=

+−=

+−= 11

11B l

aF

l

laF

l

CaFR

B : ( ) 01A =−−+ CalFlV( )

la

Fl

aFlFlFl

CalFV 1

1111A =

+−=

+−−=

Per il calcolo delle caratteristiche di sollecitazione è necessario distinguere in quale tratto

dell'elemento si trova la sezione S considerata; sono infatti diversi i carichi da includere nelle

equazioni di equilibrio.

0 ≤ z < a V

A

OA

Ty

Mx

N

z

S

→: 0A =+ NO 2A FON =−=

↑: 0A =+ yTVla

FVTy 1A −=−=

S : 0A =+ xMzV zla

FzVM x 1A −=−=

Si osserva quindi che forza normale e taglio sono costanti, il momento flettente varia linearmente; si

riscontra che, come già dimostrato, il taglio è la derivata del momento.

a ≤ z < a+b V

A

OA

Ty

Mx

N

z

S

F1

→: 0A =+ NO 2A FON =−=

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

72

↑: 01A =++ yTFV

+−=−−= 111A l

aFFVTy

S : ( ) 01A =+−+ xMazFzV ( ) aFzla

FaFzFVM x 1111A 1 +

+−=++−=

Gli andamenti di N, Ty , Mx sono ancora rispettivamente costante, costante, lineare; si nota però che

N ha lo stesso valore del tratto precedente, Ty è variato, Mx è variato ma in z = a assume lo stesso

valore (-F1a2/l) fornito dalla formula valida per z < a.

a+b ≤ z < l V

A

OA

Ty

Mx

N

z

S

F1

C

→: 0A =+ NO 2A FON =−=

↑: 01A =++ yTFV

+−=−−= 111A l

aFFVTy

S : ( ) 01A =+−−+ xMCazFzV ( ) lFaFzla

FCaFzFVM x 11111A 1 ++

+−=+++−=

In quest'ultimo tratto solo l'andamento di Mx risulta modificato, per effetto del termine C = F1l; nella

sezione z = a+b, in cui è applicata la coppia concentrata, il valore di Mx presenta una discontinuità

pari a C.

Identici risultati si sarebbero ottenuti includendo nella linea di distacco le parte di struttura situata a

destra della sezione in cui si esegue il taglio; per esempio, per l'ultimo tratto si sarebbe scritto (si noti

che la faccia messa in evidenza è negativa e quindi i versi delle caratteristiche di sollecitazione sono

invertiti):

a+b ≤ z < l

RBT

y

Mx

N

z

SF

2

←: 02 =− FN 2FN =

↓: 0B =− RTy

+−== 11B l

aFRTy

S : ( ) 0B =−+ zlRM x ( ) ( ) lFaFzla

Fzlla

FzlRM x 1111B 11 ++

+−=−

+=−−=

Diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione N, Ty , Mx (le rimanenti caratteristiche sono nulle):

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

73

F2

+

F1

-F1

al -F

1al

+1( )

forza normale

taglio

momento flettente

-

-F1al

2-F

1al

+b[ ]a+b( )-

+F

1al

+1( ) c

C=F l1

Esempio 2

q

l

z

VB

A B

MB

qO

B

Reazioni vincolari→: 0B =O

↑: 0B =+Vql qlV −=B

B : 02 B =+− Ml

ql2

2

Bl

qM =

Caratteristiche di sollecitazione

0 ≤ z ≤ l T

yMx

N

z

S

q

→: 0=N↑: 0=+ qzTy qzTy −=

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

74

S : 02

=+z

qzM x 2

2zqM x −=

Diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione Ty , Mx (le rimanenti caratteristiche sono nulle):

-qltaglio

momento flettente

-

--q l

2

2

Esempio 3

A

B

O

a

b

q

C

V C

q

R B

C

Reazioni vincolari→: 0C =+ qaO qaO −=C

B : 02 C =+− bVa

qab

aqV

2

2

C =

C : 02 B =+ bRa

qab

aqR

2

2

B −=

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

75

Caratteristiche di sollecitazione

E' conveniente trattare separatamente i due tratti AB e BC, assumendo ogni volta un sistema di

riferimento con asse z parallelo alla linea d'asse del tratto considerato.

tratto verticale 0 ≤ z ≤ a T

y

Mx

N

z

S

q

↓: N = 0→: 0=+ qzTy qzTy −=

S : 02

=+z

qzM x 2

2zqM x −=

tratto orizzontale 0 ≤ z ≤ b T

y

Mx

N

z

SOC

V C

(per rendere più semplice la scrittura delle equazioni si considera l'equilibrio della parte di struttura a

destra della generica sezione S)←: 0C =− ON qaON −== C

↓: 0C =−VTy ba

qVTy 2

2

C ==

S : ( ) 0C =−+ zbVM x ( ) ( )zbb

aqzbVM x −−=−−=

2

2

C

-

forza normale

-qa

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76

-+

taglio

-qa

q2ba2

-

--q2a 2

momento flettente

Alcune proprietà dei diagrammi del taglio e del momento flettente

Per facilitare il tracciamento (e il controllo!) dei diagrammi di taglio e momento flettente, si può far

uso delle seguenti proprietà:

• nelle zone in cui non agiscono carichi trasversali il diagramma del taglio è costante e quello del

momento è lineare;

• in corrispondenza di una forza trasversale concentrata il diagramma del taglio presenta una

discontinuità (pari alla forza stessa) e quello del momento cambia pendenza;

• nelle zone in cui agiscono carichi trasversali uniformemente distribuiti il diagramma del taglio è

lineare e quello del momento è parabolico;

• in corrispondenza di una coppia concentrata il diagramma del taglio non varia e quello del

momento presenta una discontinuità (pari alla coppia stessa);

• in corrispondenza degli appoggi di estremità e delle cerniere il diagramma del momento si annulla

(salvo che siano applicate coppie concentrate).

7.2. Equazione della linea elastica

E' già stata mostrata nel paragrafo 6.8 la relazione di tipo differenziale che intercorre tra taglio e

momento flettente. Si vedrà ora che tale proprietà si colloca nell'ambito di un gruppo di relazioni, di

tipo differenziale, che descrivono il comportamento flessionale e che coinvolgono sia le grandezze di

tipo statico (momento flettente, taglio, carico distribuito), sia quelle di tipo cinematico (spostamento

trasversale, rotazione della sezione, curvatura).

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77

Si consideri un tratto infinitesimo di un elemento strutturale monodimensionale, per il quale siano

utilizzabili le soluzioni del solido di Saint Venant, soggetto a flessione nel piano zy. Le equazioni di

equilibrio alla traslazione lungo y e alla rotazione intorno a x sono le seguenti:

dz

Ty

Mx + dMx

Ty

Mx z

y

x

qy

+dTy ( ) 02

0

=−+−−+

=+−+

dzdzqdzdTTMdMM

dzqTdTT

yyyxxx

yyyy

Semplificando e trascurando infinitesimi di ordine

superiore si ottengono le relazioni:

yy q

dz

dT−= y

x Tdz

dM=

Si è quindi ottenuto che in presenza di carico distribuito il taglio è variabile lungo la linea d'asse e la

sua derivata rispetto a z è uguale al carico distribuito (cambiato di segno); risulta ancora vero che la

derivata del momento flettente è pari al taglio. Combinando questi due risultati si ottiene:

yx q

dz

Md−=

2

2

Considerando la deformazione elastica dell'elemento inflesso, la rotazione relativa tra le sue due

facce è pari a dαx . Ammettendo che la deformazione sia dovuta alla sola

flessione, trascurando cioè la deformabilità a taglio, le sezioni ruotate sono

normali alla linea d'asse, che è diventata curva e localmente può essere

approssimata con il suo cerchio osculatore. Il raggio di quest'ultimo, cioè il

raggio di curvatura locale rx , può essere espresso come rapporto tra la

lunghezza dz dell'arco costituito dalla fibra baricentrica (che in flessione

pura, senza forza normale, non varia) e l'angolo tra le facce dαx :

xx

x kr

ddz 1

==α

L'ultima eguaglianza definisce semplicemente la curvatura come inverso del raggio del cerchio

osculatore; trattando il comportamento flessionale si è mostrato che la curvatura è legata al momento

flettente dalla relazione:

xx

xxx EJ

Mdz

dk =

α=

Rappresentando lo spostamento trasversale v della linea d'asse, usualmente detto freccia, in funzione

della coordinata z si ottiene una curva detta linea elastica; essa rappresenta la configurazione assunta

dalla linea d'asse di un elemento monodimensionale sottoposto a flessione.

dz

α α+d xxαx

rx

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78

y

z

linea elastica dvdz

αx

La pendenza di tale curva nel piano zy è data dalla derivata dv/dz ; poiché essa è molto piccola si può

confondere la tangente con l'angolo:

xdzdv

α−=

Derivando entrambi i membri si ottiene:

xx k

dz

d

dz

vd−=

α−=

2

2

Sostituendo quest'ultimo risultato nell'equazione che lega momento flettente e curvatura si può

scrivere:

xx

x

EJ

M

dz

vd−=

2

2

Quest'ultima costituisce l'equazione differenziale della linea elastica; da essa si nota che integrando

due volte la funzione Mx/EJxx si può ricavare l'andamento dello spostamento v in funzione di z. Le

costanti di integrazione necessarie vengono determinate in base ai vincoli presenti, che assegnano il

valore (di solito nullo), nei punti in cui sono applicati, allo spostamento trasversale e/o alla rotazione.

Le stesse proprietà valgono per la flessione nel piano zx, sostituendo nelle formule x e u

rispettivamente a y e v e tenendo conto del differente verso positivo di momenti e rotazioni

dz

Tx

My + dMy

Tx

My zy

x

qx

+dTx ( ) 02

0

=+++−+

=+−+

dzdzqdzdTTMdMM

dzqTdTT

xxxyyy

xxxx

xx q

dz

dT−= x

y Tdz

dM−=

Considerando la linea elastica u(z) si ottiene

ydzdu

α= yy k

dz

d

dz

ud=

α=

2

2

L'equazione differenziale che lega momento e curvatura in questo caso è:

yy

y

EJ

M

dz

ud=

2

2

Nel seguito sono riportati alcuni esempi in cui si mostra la determinazione della linea elastica per

strutture elementari; anche in questo caso ci si limita a considerare problemi piani.

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

79

Esempio 1

l

z

VA

A B

MOF

AA

F

Reazioni vincolari→: 0A =O

↑: 0A =+ FV FV −=A

A : 0A =+ FlM FlM −=A

Caratteristiche di sollecitazione

0 ≤ z ≤ l Ty

Mx

N

z

S

F

←: 0=N↓: T Fy − = 0 FTy =

S : ( ) 0=−+ zlFM x ( )zlFM x −−=

Diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione Ty , Mx

taglio

momento flettente

+F

-

-Fl

Nota la funzione Mx(z), si scrive l'equazione differenziale della linea elastica:

( )zlEJ

FEJM

dz

vddz

d

xxxx

xx −=−==α

−2

2

Integrando una prima volta si ottiene la rotazione αx(z):

1

2

2C

zlz

EJF

dzEJ

M

xxxx

xx +

−−==α ∫

Con un'ulteriore integrazione si ottiene lo spostamento trasversale (freccia) v(z):

21

32

62CzC

zzl

EJF

dzvxx

x +−

−=α−= ∫

Le costanti di integrazione C1 e C2 si determinano imponendo che nell'incastro lo spostamento e la

rotazione siano nulli:

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

80

z = 0 ⇒ αx = 0 , v = 0

Le due condizioni sono soddisfatte se C1 = 0 e C2 = 0, le funzioni che descrivono spostamento e

rotazione sono quindi:

( )

−−=α

2

2zlz

EJF

zxx

x ( )

−=

32

32 z

lzEJF

zvxx

Nel punto B, corrispondente a z = l, rotazione e spostamento assumono i valori seguenti:

( )xx

xx EJFl

l2

2B −=α=α ( )

xxEJFl

lvv3

3B ==

La linea elastica, cioè la configurazione deformata della linea d'asse, assume l'andamento mostrato in

figura.

zA

B

FlEJ

3

3 xx

FlEJ

2

2 xx-

Esempio 2

L

z

VA

AB R

OC

B

AC

Reazioni vincolari→: 0A =O

B : 0A =+− LVC LCV /A =A : 0B =+ CLR LCR /B −=

Caratteristiche di sollecitazione

0 ≤ z ≤ L

Ty

Mx

N

z

S

VA

OA

→: 0A =+ ON 0A =−= ON

↑: 0A =+ VTy LC

VTy −=−= A

S : 0A =+ zVM x zLC

zVM x −=−= A

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

81

Diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione Ty , Mx

taglio

momento flettente

-

- C

CL

-

Equazione differenziale della linea elastica:Lz

EJC

EJM

dz

vddz

d

xxxx

xx =−==α

−2

2

Rotazione αx(z): 1

2

2C

Lz

EJC

dzEJM

xxxx

xx +−==α ∫

Spostamento v(z): 21

3

6CzC

Lz

EJC

dzvxx

x +−=α−= ∫Le costanti di integrazione C1 e C2 si determinano imponendo che in corrispondenza di entrambi gli

appoggi lo spostamento sia nullo:

z = 0 ⇒ v = 0 z = L ⇒ v = 0

La prima condizione è soddisfatta se C2 = 0, la seconda implica che:

06 1

3

=− LCL

LEJ

C

xx

⇒xxEJ

CLC

61 =

Le funzioni rotazione e spostamento sono quindi:

( )

−=+−=α

2

22

31

262 L

zEJCL

EJCL

Lz

EJC

zxxxxxx

x ( )

−=−= z

L

zEJCL

zEJCL

Lz

EJC

zvxxxxxx

2

33

666

Si ricava facilmente che

3

Lz = ⇒ 0=α x

xxxx EJ

CLL

L

LEJCL

v393336

2

2

3

−=

−=

Negli estremi A e B, corrispondenti a z = 0 e z = L, la rotazione assume rispettivamente i valori:

( )xx

xx EJCL

60A =α=α ( )

xxxx EJ

CLL

3B −=α=α

La linea elastica assume l'andamento mostrato in figura.

z

CLEJ

2

9 3 xx

CLEJ3 xx

-

AB

CLEJ6 xx

-

3

L

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

82

Esempio 3

L

z

VA

B

R

O

B

A

l

C

FFz

1A

Reazioni vincolari→: 0A =O

B : 0A =− FlLVLl

FV =A

A : ( ) 0B =++ lLFLR

+−=

Ll

FR 1B

Caratteristiche di sollecitazione - tratto AB

0 ≤ z ≤ L

Ty

Mx

N

z

S

VA

OA

→: 0A =+ ON 0A =−= ON

↑: 0A =+ VTy Ll

FVTy −=−= A

S : 0A =+ zVM x zLl

FzVM x −=−= A

Caratteristiche di sollecitazione - tratto BC

Le equazioni risultano più compatte adottando per la linea d'asse la coordinata, misurata a partire dal

punto B, z1 = z-L.

0 ≤ z1 ≤ l T

y

Mx

N

z

S

F

1

←: 0=N↓: 0=− FTy FTy =

S : ( ) 01 =−+ zlFM x ( )lzFM x −= 1

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

83

Diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione Ty , Mx

taglio

momento flettente

-

- -Fl

lLF 1+( )

lL-F

F

Calcolo della deformata - tratto AB

Equazione differenziale della linea elastica: zLEJ

FlEJM

dz

vddz

d

xxxx

xx =−==α

−2

2

Rotazione αx(z): 1

2

2C

zLEJ

Fldz

EJM

xxxx

xx +−==α ∫

Spostamento v(z): 21

3

6CzC

zLEJ

Fldzv

xxx +−=α−= ∫

Le costanti di integrazione C1 e C2 si determinano imponendo che in corrispondenza di entrambi gli

appoggi lo spostamento sia nullo:

z = 0 ⇒ v = 0 z = L ⇒ v =0

La prima condizione è soddisfatta se C2 = 0, la seconda implica che:

06 1

3

=− LCL

LEJFl

xx

⇒xxEJ

FlLC

61 =

Le funzioni rotazione e spostamento per il tratto AB sono quindi:

( )

−=+−=α

2

22

31

262 L

zEJFlL

EJFlLz

LEJFl

zxxxxxx

x ( )

−=−= z

L

zEJFlL

zEJFlLz

LEJFl

zvxxxxxx

2

33

666

In corrispondenza dell'appoggio B la rotazione assume il valore

z = L ⇒ ( )xx

xx EJFlL

L3

B −=α=α

Calcolo della deformata - tratto BC

Equazione differenziale della linea elastica: ( )lzEJ

FEJM

dz

vddzd

xxxx

xx −−=−==α

− 121

2

1

Rotazione αx(z1): 11

21

1 2Dz

EJFlz

EJF

dzEJM

xxxxxx

xx +−==α ∫

Spostamento v(z1): 211

21

31

1 26DzD

zEJFlz

EJF

dzvxxxx

x +−+−=α−= ∫

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84

Le costanti di integrazione D1 e D2 si determinano imponendo che in corrispondenza dell'appoggio B

lo spostamento sia nullo e la rotazione assuma lo stesso valore ottenuto utilizzando la formula valida

per il tratto AB:

z1 = 0 ⇒ ( )xx

xx EJFlL

30B −=α=α ( ) 00B == vv

xxEJFlL

D31 −= 02 =D

Le funzioni rotazione e spostamento per il tratto BC sono quindi:

( ) ( )lLlzzEJFlL

lzz

EJF

zxxxx

x 263632 1

211

21

1 −−=

−−=α

( ) ( )121

31

121

312

1 236326

lzlzzEJFlLzlzz

EJF

zvxxxx

++−=

++−=

La linea elastica assume l'andamento mostrato in figura.

z

FlLEJ3 xx

-

AB z1

Fl l LEJ3 xx

( )+2

C

Nel punto C, corrispondente a z1 = l, lo spostamento assume il valore:

( ) ( )xxxx EJ

LlFlLlll

EJF

v3

236

2233C +

=++−=

E' interessante notare che quest'ultimo risultato può essere ottenuto componendo le soluzioni trovate

negli esempi 1 e 2, ponendo in quest'ultimo C = Fl. Infatti il tratto BC può essere pensato come un

elemento a mensola analogo a quello dell'esempio 1 in cui la sezione di incastro è ruotata dell'angolo

αxB calcolato nell'esempio 2; la freccia del punto C risulta essere la somma della rotazione rigida e

della deformabilità del tratto BC.

( )l

EJFl

EJFlLl

EJFl

EJLlFl

vxxxxxxxx

B332

C

3333α−=+=

+=

α B −αBl

FlEJ3 xx

3

B

C

x x =FlLEJ3 xx

l

Con metodi di questo tipo, basati sulla sovrapposizione degli effetti, è possibile studiare casi

complessi come combinazione di soluzioni semplici.

7.3. Strutture reticolari

Si definiscono strutture reticolari gli insiemi di elementi rettilinei, connessi reciprocamente alle loro

estremità per mezzo di cerniere in punti di giunzione detti nodi; solo in corrispondenza di questi

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

85

ultimi vengono applicate le forze esterne. Sotto queste ipotesi si verifica che gli elementi sono

soggetti al solo comportamento estensionale (costituiscono cioè delle aste) e quindi l'unica

caratteristica di sollecitazione agente è la forza normale N.

Nella pratica costruttiva le ipotesi precedenti non sono completamente verificate, infatti gli elementi

sono collegati da bullonature o saldature e quindi mutuamente incastrati, esistono inoltre carichi

agenti anche fuori dai nodi, come il peso proprio. Ciò malgrado, la semplificazione adottata si

dimostra sufficientemente approssimata, in quanto le tensioni indotte dalle componenti di

sollecitazione trascurate (momenti flettenti e tagli) sono di ordine di grandezza inferiore rispetto a

quelle dovute alla forza normale.

In molti casi reali tali strutture sono contenute in un piano, in cui si trovano tutti i nodi e gli elementi;

se anche i carichi agiscono nello stesso piano il comportamento della struttura si riduce ad un

problema bidimensionale. I casi di strutture reticolari spaziali non presentano aspetti concettualmente

diversi ma piuttosto maggiori complicazioni di calcolo dovute alla necessità di considerare le

equazioni di equilibrio nello spazio; nell'ambito di questa trattazione ci si limiterà al caso delle

strutture reticolari piane.

Grado di iperstaticità

Il calcolo del grado di iperstaticità h può essere eseguito mediante la formula generale già vista al

cap. 1, ammettendo solo la presenza di cerniere (interne o esterne, di cui alcune multiple) e appoggi

(esterni):

h v m c a m= − = + −3 2 3La formula può essere particolarizzata per il caso delle strutture reticolari osservando che il numero

complessivo delle incognite statiche da determinare è dato dalla somma del numero di aste na (per

ognuna delle quali si deve calcolare la forza normale incognita) e del numero di reazioni vincolari

esterne ve; il numero di equazioni di equilibrio utilizzabile è pari a 2n, dove n è il numero dei nodi, e

quindi si ha:nnvh ae 2−+=

I metodi presentati nel seguito si riferiscono al caso delle strutture reticolari isostatiche.

Ad esempio, si calcoli il grado di iperstaticità della struttura schematizzata nella figura seguente.

A CB

D E

Volendo calcolare il grado di iperstaticità h utilizzando la formula generale, si deve calcolare il

numero di cerniere semplici corrispondenti a ogni nodo, pari al numero di elementi connessi nel nodo

stesso (conteggiando anche il telaio esterno) diminuito di uno.

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

86

( ) 2111322222 =+++++=+= acv 037213 =⋅−=−= mvh

Per applicare la formula delle strutture reticolari basta osservare che la struttura comprende 5 nodi e

7 aste, le reazione dei vincoli esterni sono 3 (due nella cerniera esterna e una nell'appoggio) e quindi:052732 =⋅−+=−+= nnvh ae

Si verifica che se una struttura reticolare piana è formata da maglie tutte triangolari e il numero di

vincoli esterni è pari a 3 allora essa è isostatica.

Equazioni di equilibrio

Si immagini di separare, mediante una linea di distacco, un nodo J dal resto della struttura reticolare.

Tale nodo dovrà essere in equilibrio sotto l'azione delle componenti di forza esterna e delle forze

normali (il cui verso convenzionale è, come al solito, quello uscente) esercitate dalle aste che in esso

convergono. Si possono quindi scrivere le due equazioni equilibrio alla traslazione verticale e

orizzontale, rispettivamente lungo gli assi X e Y di un sistema di riferimento globale adottato per

tutta la struttura.

L

J

K

I

N1

N2

N3

N4

F X

FY

X

Y

→: 0cos =+δ∑ Xi ii FN

↑: 0sen =+δ∑ Yi ii FN

Nelle equazioni precedenti le sommatorie sono estese a tutte le aste che hanno un estremo nel nodo

J, δi rappresenta l'angolo formato dall'asta (e quindi dalla forza) i-esima rispetto all'asse X.

L'equilibrio alla rotazione del nodo è comunque soddisfatto in quanto le rette d'azione di tutte le

forze passano per esso.

nodo A cA=2 2 aste + telaio

nodo B cB=2 3 aste

nodo C cC=2 a=1 3 aste + appoggio

nodo D cD=3 4 aste

nodo E cE=1 2 aste

numero di elementi m=7

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

87

Può risultare conveniente esprimere le funzioni trigonometriche in funzione delle coordinate dei nodi

e delle lunghezze delle aste:

i

ii l

XX Jcos−

=δi

ii l

YY Jsen−

Xi , Yi rappresentano le coordinate del nodo in cui termina l'i-esima asta uscente dal nodo J, li è la

lunghezza dell'asta stessa. Le equazioni di equilibrio si trasformano in:

→: 0J =+−∑ Xii

ii F

lXX

N

↑: 0J =+−∑ Yii

ii F

lYY

N

Tale coppia di equazioni può essere scritta per ognuno degli n nodi della struttura, nel caso di un

nodo in cui siano applicati vincoli esterni FX e/o FY rappresentano le corrispondenti reazioni. Si

ottiene quindi un sistema di 2n equazioni in 2n incognite la cui soluzione fornisce le forze normali

nelle aste e le reazioni vincolari; tale approccio sistematico è particolarmente adatto al calcolo

automatico delle strutture.

Adottando un procedimento di soluzione manuale, risulta preferibile considerare dei sistemi parziali

con ridotto numero di equazioni e di incognite; in particolare se per un nodo sono incogniti i valori di

due sole forze (le direzioni sono evidentemente note, dal momento che coincidono con quelle delle

aste) questi sono facilmente determinabili mediante la costruzione del poligono che esprime in forma

grafica l'equilibrio vettoriale.

Per mostrare l'applicazione pratica dei concetti fin qui esposti, si farà uso dell'esempio illustrato nella

figura seguente.

l

l2

AC

B

D E

l2

F2F

45° 45°

90°

45°

90°

45°

90°

45°

45°

2

1 3

4

5

6

7 l/ 2

l2

La struttura reticolare in esame è formata da 7 aste connesse in 5 nodi ed è vincolata esternamente

da una cerniera e da un carrello; il grado di iperstaticità vale quindi:052732 =⋅−+=−+= nnvh ae

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

88

AC

D EF2F

B

RAVB

OB

l2 l2

l/ 2

Reazioni vincolari esterne→: 0B =− FO FO =B

A : 022

2222B =+

++

lF

llFlV F

FV

47

2

222

2

1

22B −=

++−=

B : 022

222A =−+l

Fl

FlR FF

R41

2

2

2

1

22A −=

+−−=

Per semplificare la costruzione dei poligoni delle forze relativi ai nodi vincolati è preferibile

considerare le reazioni RA , OB , VB come forze note disegnandole sulla struttura con i loro versi

effettivi.

AC

D EF2F

B

14

F 74

F

F

1

2

3

4

5

6

7

Il procedimento di soluzione può iniziare dal nodo A, dove sono incogniti i valori delle forze normali

trasmesse dalle aste 1 e 2, mentre le direzioni sono quelle delle aste stesse. Il segno di ciascuna forza

normale viene stabilito distinguendo se essa entra o esce dal nodo: nel primo caso il segno è negativo

e l'asta è in compressione (puntone), nel secondo caso il segno è positivo e l'asta è in trazione

(tirante). Per il nodo A si determina:

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

89

N14

F1

N2

45°14

F

14

F

24

F

A

Poligonodelle forze

Posizione delleforze sul nodo

FN42

1 = FN42

1 =

FN41

2 = FN41

2 −=

A questo punto si può passare al nodo D, per il quale le incognite sono rappresentate dai valori delle

forze normali delle aste 3 e 4; si noti che considerando N1 si deve invertirne il verso rispetto a quello

relativo al nodo A:

N

24

F

4

N3

45°

Poligonodelle forze

F

45°

24

F

DFPosizione delleforze sul nodo 2

4F

32

F(fuori scala) (fuori scala)

FN42

3 = FN42

3 −=

FFFN23

42

2

124 =+= FN

23

4 =

Per quanto riguarda il nodo C, risultano incogniti i valori delle forze normali delle aste 5 e 6:

N5

N645°

F

45°

14

F24Poligono

delle forze

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

90

24

F

F14

34 F

24

F

C

Posizione delleforze sul nodo

FN42

5 = FN42

5 =

FFFN43

42

2

12

41

6 =+= FN23

6 −=

Considerando infine il nodo B, si determina l'ultima forza normale incognita N7:

N

34

F

7Poligonodelle forze

F

45°

74

F(scala 1:2)

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

91

34

F

Posizione delleforze sul nodo

F

74

F

74

F2

(scala 1:2)

(fuori scala)

(fuori scala)

B

FN47

27 = FN47

27 =

A titolo di verifica, si controlla l'equilibrio del nodo E:

Posizione delleforze sul nodo

32

F

(scala 1:4)

2F

74

F24

F2

E

→: 04

76147

23

41

=

+−−

=+−− FFFF ↑: 04

78147

241

=

−+−

=−+− FFFF

Sezione di Ritter

Invece di includere nella linea di distacco un solo nodo, può essere vantaggioso in alcuni casi

comprenderne due o più. In particolare è conveniente separare una parte di struttura tagliando tre

aste: le relative forze normali incognite possono essere determinate utilizzando tre equazioni di

equilibrio del sistema così isolato (se le rette d'azione delle tre forze passano per un unico punto la

struttura è anomala e non può essere risolta).

Ad esempio, nel caso della struttura precedente, si possono determinare direttamente le forze

normali nelle aste 2, 3, 4 per mezzo di una linea di distacco che racchiude i nodi A e D:

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

92

A

DF

RAl

2

N4

N3

N2

l

2

D : 022

A2 =−l

Rl

N FRN41

A2 −==

C : 02

22

A4 =−+l

FlRl

N FFRN23

2 A4 =+−=

↓: 02

1A3 =− RN FRN

42

2 A3 −==

Nello studio delle strutture reticolari l'utilità del metodo della sezione di Ritter si presenta in due

differenti situazioni:

• quando si desidera calcolare le forze normali soltanto per alcune aste;

• quando, utilizzando il procedimento di soluzione basato sui poligoni delle forze, si incontra un

nodo per il quale sono incognite più di due forze normali.

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93

8. CENNI SUL CALCOLO DELLE STRUTTURE IPERSTATICHE

Il calcolo del grado di iperstaticità h, definito al cap. 1, permette di riconoscere le strutture

iperstatiche, per le quali il numero di reazioni vincolari incognite supera il numero di equazioni di

equilibrio linearmente indipendenti utilizzabili.

In altri termini, ciò significa che è possibile assegnare arbitrariamente il valore di h reazioni vincolari

e determinare comunque, utilizzando le equazioni di equilibrio a disposizione, le rimanenti reazioni,

che saranno ovviamente dipendenti (oltre che dai carichi esterni) dagli h valori assegnati.

Poiché tale arbitrarietà non è possibile dal punto di vista fisico, dal momento che la soluzione deve

essere unica, alle equazioni di equilibrio si devono aggiungere h ulteriori condizioni. Queste ultime

vengono introdotte considerando la deformabilità della struttura e imponendo che le condizioni di

vincolo siano rispettate; in generale sono possibili due diverse approcci alla soluzione.

Adottando il metodo delle forze si assumono come incognite le reazioni di h vincoli, assunti come

sovrabbondanti; esse vengono determinate imponendo, in aggiunta all'equilibrio, che gli spostamenti

o le rotazioni impedite dai vincoli siano nulli. Questo metodo è tradizionalmente usato per la

risoluzione manuale di strutture con piccolo grado di iperstaticità.

Adottando il metodo degli spostamenti invece si assumono come incognite gli spostamenti di punti

caratteristici della struttura, detti nodi. Le reazioni vincolari vengono espresse in funzione degli

spostamenti dei nodi, le si determina imponendo l'equilibrio della struttura. Questo secondo metodo

è particolarmente usato per il calcolo automatico delle strutture, in quanto consente la stesura di

algoritmi di soluzione di tipo generale.

Nell'ambito di questa trattazione ci si limiterà a illustrare l'applicazione del metodo delle forze

mediante l'esempio mostrato nella figura seguente.

A B

l

q

VAR B

OA

MA

La struttura è formata da un unico corpo semplice vincolato da un incastro e da un appoggio:

41133 =+⋅=+= aiv 11343 =⋅−=−= mvh

Il sistema è una volta iperstatico, ci si accorge facilmente che l'iperstaticità riguarda il

comportamento flessionale mentre la reazione orizzontale è immediatamente determinabile:→: 0A =O

Le due rimanenti equazioni di equilibrio che si possono scrivere non permettono di determinare le tre

reazioni ancora incognite:

↑: 0BA =++ qlRV A : 02

2

AB =+−ql

MlR

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94

Utilizzando il metodo delle forze si sostituisce alla struttura reale una struttura da essa ottenuta

eliminando un vincolo sovrabbondante; tale struttura resa isostatica viene detta sistema ridotto8. La

scelta del sistema ridotto non è univoca, ad esempio due possibili sistemi ridotti per il caso in esame

sono mostrati nelle figure seguenti.

A B

q

A B

q(I) (II)

Le reazioni vincolari e le caratteristiche di sollecitazione per il sistema ridotto possono essere

calcolate utilizzando le sole equazioni della statica; determinandone anche la configurazione

deformata ci si accorge che spostamenti (o rotazioni) bloccati dai vincoli nella struttura reale sono

non nulli nel sistema ridotto. Nel caso in esame, se si adotta il sistema ridotto (I) risulta possibile la

rotazione dell'estremo A, che nella struttura reale è impedita dall'incastro; se si adotta invece il

sistema ridotto (II) risulta possibile le spostamento verticale dell'estremo B, che nella struttura reale è

impedito dall'appoggio.

Per correggere tali effetti e rispettare le condizioni di vincolo imposte nella struttura reale si deve

considerare un'ulteriore struttura, detta sistema supplementare. Quest'ultimo è costituito dalla stessa

struttura isostatica adottata per il sistema ridotto, su cui non agiscono i carichi reali bensì una

componente (incognita) di forza o momento corrispondente alla reazione del vincolo eliminato. Per il

caso in esame i sistemi supplementari corrispondenti ai due diversi sistemi ridotti sono i seguenti:

A B A B

(I) (II)MA

R B

Le reazioni incognite (MA oppure RB) vengono allora determinate imponendo che nel sistema

supplementare si produca, in corrispondenza del vincolo eliminato, uno spostamento (o una

rotazione) uguale in modulo e opposto in segno a quello prodotto dal carico reale nel sistema

ridotto. Questo procedimento si basa sulla sovrapposizione degli effetti tra sistema ridotto e sistema

supplementare e permette di risolvere la struttura iperstatica di partenza. Per i due sistemi ridotti

mostrati nel caso in esame si ottengono, rispettivamente, le equazioni seguenti.

8Nei testi di calcolo strutturale si parla più comunemente di sistema principale; si è preferito non adottare taledenominazione per evitare possibili confusioni (puramente linguistiche!) con i sistemi di riferimento principale per letensioni e le deformazioni o per i momenti d'inerzia.

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

95

(I) 0AA)1(A)0( =α=α+α xxx

(0)αxA: rotazione dell'estremo A nel

sistema ridotto (0)(1)αx

A: rotazione dell'estremo A nelsistema supplementare (1)

αxA: rotazione dell'estremo A nel

sistema reale (=0 perchéimpedita dall'incastro)

(II) 0BB)1(B)0( ==+ vvv(0)vB: freccia dell'estremo B nel sistema

ridotto (0)(1)vB: freccia dell'estremo B nel sistema

supplementare (1)vB: freccia dell'estremo B nel sistema

reale (=0 perché impeditadall'appoggio)

Una volta determinata la reazione vincolare incognita, la stessa legge di sovrapposizione degli effetti

può essere utilizzata per calcolare le caratteristiche del sistema reale in una qualsiasi sezione della

struttura; ad esempio nel caso dei momenti flettenti si avrà:)()()( )1()0( zMzMzM xxx +=

A titolo di esempio, si mostra la soluzione dell'iperstatica adottando la scelta (I).

Sistema ridotto

A B

R BVA

OA

q

Ty Mx

N

z

S

qA

VA

OA(0)

(0) (0) (0)

(0)

(0)

(0)

(0)

Reazioni vincolari→: 0A

)0( =O

B : 02A

)0( =+l

qlV2A

)0( qlV −=

A : 02B

)0( =+l

qlR2B

)0( qlR −=

Momento flettente

S : 02A

)0()0( =++z

qzzVM x 222

22

A)0()0( qzqlzqz

zVM x −=−=−

Equazione differenziale della linea elastica:xx

xx

EJ

M

dz

vddz

d )0(

2

)0(2)0(

−==α

Rotazione (0)αx(z): 1)0(

23)0()0(

2232C

zEJqlz

EJq

dzEJ

M

xxxxxx

xx ++−==α ∫

Spostamento (0)v(z): 2)0(

1)0(

34)0()0(

3446CzC

zEJqlz

EJq

dzvxxxx

x +−−=α−= ∫Si determinano le costanti di integrazione annullando gli spostamenti in A e B:

( ) ( ) ( )0 0 0 0v vA= = ⇒ ( )02 0C =

( ) ( ) ( )0 0 0v v lB= = ⇒ ( )01

3

24C

qlEJxx

= −

L'andamento di rotazione e spostamento nel sistema ridotto è quindi descritto dalle funzioni:

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96

−+−=α

121

232)(

2

2

3

33)0(

l

z

l

zEJql

zxx

x

+−=

lz

l

z

l

zEJql

zvxx 2212

)(3

3

4

44)0(

In corrispondenza del vincolo soppresso la rotazione vale:

xxxx EJ

ql24

)0(3

)0(A)0( −=α=α

Sistema supplementare

A B

RBVA

OA

Ty

Mx

N

z

S

RB

(1)

(1) (1) (1)

(1)

(1)

(1)

MAB

Reazioni vincolari→: ( )1 0OA =

B : 0AA)1( =+ MlV

lM

V AA

)1( −=

A : 0AB)1( =− MlR

lM

R AB

)1( =

Momento flettente

S : ( ) 0B)1()1( =−+ zlRM x ( ) A

AB

)1()1( Mzl

MzlRM x −=−=−

Equazione differenziale della linea elastica:xx

xx

EJ

M

dz

vddz

d )1(

2

)1(2)1(

−==α

Rotazione (1)αx(z): 1)1(A

2A

)1()1(

2Cz

EJMz

lEJM

dzEJ

M

xxxxxx

xx +−==α ∫

Spostamento (1)v(z): 2)1(

1)1(

2A

3A)1()1(

232CzC

zEJMz

lEJM

dzvxxxx

x +−+−=α−= ∫Si determinano le costanti di integrazione annullando gli spostamenti in A e B:

0)0()1(A)1( == vv ⇒ 02)1( =C

0)()1(B)1( == lvv ⇒xxEJlM

C3

A1

)1( =

L'andamento di rotazione e spostamento nel sistema ridotto è quindi descritto dalle funzioni:

+−=α

31

2)(

2

2A)1(

lz

l

zEJ

lMz

xxx

−+−=

lz

l

z

l

zEJ

lMzv

xx 326)(

2

2

3

32A)1(

In corrispondenza del vincolo soppresso la rotazione vale:

xxxx EJ

lM3

)0( A)1(A)1( =α=α

Note le soluzioni relative al sistema ridotto e a quello supplementare, si può calcolare la reazione

incognita MA imponendo che nella struttura reale la rotazione in A sia nulla:0AA)1(A)0( =α=α+α xxx

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

97

0324

A3

=+−xxxx EJlM

EJql

⇒8

2

Aql

M =

L'andamento del momento flettente (come di ogni altra caratteristica di sollecitazione) nella struttura

reale può essere ottenuto per sovrapposizione degli effetti:

AA

2)1()0(

22)()()( Mz

lMqlzqz

zMzMzM xxx −++−=+=

+−−=−++−=

41

45

28822)(

2

22222

lz

l

zqlqlz

lql

zql

zq

zM x

Sistema ridotto

ql 218

12

l

+

Mx

(0)

Sistema supplementare

ql 218

-

-

Mx

(1)

Struttura reale

ql 29128

ql 218

-

-

+

58

l14

l

Mx

Nel caso di strutture con grado di iperstaticità h > 1 il procedimento è concettualmente identico: si

eliminano h vincoli semplici per ottenere il sistema ridotto isostatico e le reazioni iperstatiche

incognite vengono determinate utilizzando h sistemi supplementari.

Nella letteratura tecnica sono disponibili, su manuali o prontuari, le soluzioni in forma tabellare e

grafica per le più comuni strutture iperstatiche sottoposte a varie condizioni di carico; queste

possono essere utilizzate, oltre che direttamente, anche per determinare le soluzioni di casi complessi

come combinazione lineari di soluzioni relative a casi semplici.

In conclusione, va inoltre detto che l'attuale larghissima diffusione dei programmi di calcolo

strutturale (adatti anche a microcalcolatori) ha progressivamente diminuito l'importanza dei metodi

tradizionali di soluzione delle iperstatiche; per tale motivo, oltre che per la limitatezza dello spazio

disponibile, questa trattazione è limitata ad un semplice cenno volto soprattutto a presentare l'aspetto

fisico del problema.

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98

9. INSTABILITÀ ELASTICA DI ELEMENTI COMPRESSI: IL CARICO DI PUNTA

Nel caso di elementi soggetti a forza normale di compressione si può verificare un tipo di collasso

differente dal semplice cedimento del materiale per superamento del limite di resistenza a

compressione. Per trattare questo fenomeno non è più accettabile la semplificazione consistente nel

calcolare l'equilibrio della struttura (e quindi anche le caratteristiche di sollecitazione) nella

configurazione indeformata, ma è necessario tenere conto della variazione geometrica dovuta

all'applicazione del carico.

A B P

v z( )

A B P

RBVA

OA

l 0

→: 0A =− PO PO =A

B : 00A =lV 0A =V

A : 00B =lR 0B =R

Il caso rappresentato in figura costituisce l'asta di Eulero, vincolata in A da una cerniera e in B da un

appoggio; in quest'ultimo estremo agisce una forza esterna assiale P che produce compressione

nell'elemento. Ammettendo che l'asta si infletta, nel modo che sarà chiarito successivamente, il

momento agente in una generica sezione S vale:

S : ( ) 00B =−+− zlRPvM x PvM x = P

RB

SMx

z

v

In questa situazione è quindi l'inflessione trasversale v dell'asta che "fornisce" al carico assiale P il

braccio che genera il momento flettente. Scrivendo l'equazione differenziale della linea elastica si

ottiene:

xxxx

x

EJPv

EJ

M

dz

vd−=−=

2

2

Si è quindi ottenuta un'equazione differenziale del secondo ordine, omogenea, di tipo lineare a

coefficienti costanti:

0=+′′ vEJ

Pv

xx

Essa ammette la soluzione ( )ϕ+ω= zVv sen , dove xxEJP /2 =ω mentre V e ϕ si determinano in

base alle condizioni al contorno:

z = 0 ⇒ v = 0 , z = l0 ⇒ v = 0

Tali condizioni possono essere soddisfatte da due forme diverse di soluzione.

i) V = 0, ϕ arbitrario: l'asta non si inflette e rimane rettilinea

L. Goglio Dispensa per il corso “Comportamento Meccanico dei Materiali”

99

ii) se ωl0 = π (o un multiplo intero di π) si può avere ϕ = 0, V arbitrario: l'asta si inflette come una

sinusoide.

Quindi, finché il carico assiale P è sufficientemente basso è possibile la sola configurazione rettilinea

i); la soluzione flessionale ii) diventa possibile quando si raggiunge la condizione critica:

π==ω 00 lEJ

Pl

xx

Quadrando entrambi i membri la condizione critica trasforma in

220 π=xxEJ

Pl

Da quest'ultima eguaglianza si ottiene il valore del carico critico di compressione Pcr:

20

2

crl

EJP xxπ

=

Il diagramma mostra le possibili configurazioni di carico assiale e spostamento trasversale per l'asta

sottoposta a compressione. Finché P < Pcr (condizioni subcritiche) l'unica configurazione possibile è

quella di tipo i) V = 0 (asse rettilineo); quando P ≥ Pcr (condizioni critiche) diventa possibile anche la

configurazione di tipo ii) con V ≠ 0.

P

V

i)

i)ii)

Pcr

instabile

stabile

È importante notare che in quest'ultimo caso le due configurazioni non sono equivalenti: infatti la i) è

instabile e basta quindi una piccola perturbazione, come un lieve carico trasversale o un'imperfezione

geometrica, perché si verifichi la ii). Tale fenomeno è noto come instabilità elastica o anche collasso

per carico di punta, esso costituisce nella maggior parte dei casi pratici il principale pericolo per

elementi soggetti a compressione.

Il problema è stato impostato considerando il comportamento nel piano zy, in pratica la flessione per

instabilità avviene nel piano in cui l'asta presenta la minore rigidezza flessionale e quindi il minore

momento d'inerzia della sezione. In termini generali si può quindi scrivere:

PEJ

lcr =π2

02

min

Per confrontare tale fenomeno con il collasso corrispondente allo snervamento del materiale

conviene spostare la trattazione in termini di tensione; si definisce quindi la tensione critica σcr

dividendo il carico critico Pcr per l'area A dell'asta:

20

2min2

20

min2

crcr

lE

Al

EJA

P ρπ=

π==σ

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100

dove AJ /minmin =ρ è il minimo raggio d'inerzia della sezione; si definisce snellezza dell'asta il

rapporto:

min

0

ρ=λ

l

Sostituendo quest'ultima definizione nella formula della tensione critica si ottiene

2

2

crλ

π=σ

E

σ = λ 2

π 2Ecr

R p0,2

λ

σcr

Dall'esame del grafico si ricava che per valori di snellezza elevati il collasso a compressione si verifica

per instabilità (cioè l'asta si inflette lateralmente), viceversa per bassi valori di snellezza (elementi

corti e tozzi) il fenomeno dell'instabilità non può verificarsi perché il collasso avviene per

snervamento del materiale. Tale transizione improvvisa dall'instabilità elastica allo snervamento è

evidentemente una semplificazione; nella realtà si ha un intervallo di transizione nell'ambito del quale

il collasso avviene per instabilità, ma di tipo elasto-plastica.

Si noti che nel caso dell'instabilità elastica il valore della tensione critica è legato al modulo di Young

del materiale e alla snellezza (e quindi alla geometria dell'asta), ma non dipende dal limite di

resistenza del materiale. Di conseguenza, nei confronti di tale pericolo, non si aumenta la sicurezza

adottando un materiale avente caratteristiche di resistenza maggiori; ad esempio è inutile passare da

un acciaio a basso limite di snervamento ad un altro con limite più elevato, dal momento che il

modulo di Young è praticamente uguale per tutti gli acciai.

l0 = 2 ll

P

0 = ll2

P

0 = 0.7ll

incastro

libero

incastro incastro

appoggiocoppiaprismatica

P

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101

Nell'esempio utilizzato per presentare l'argomento (asta incernierata agli estremi) l0 coincide con la

lunghezza dell'asta; in generale l0 rappresenta la distanza tra due sezioni in cui il momento flettente è

nullo ed è pari alla semilunghezza d'onda della deformata. Il valore di l0 dipende dalle condizioni di

vincolo agli estremi; la figura precedente riporta i valori per alcuni casi notevoli.

Nella verifica degli elementi strutturali, in particolare nel caso delle strutture reticolari, gli elementi

soggetti a carico assiale di compressione devono essere verificati anche rispetto all'instabilità:

crσ<σ zz

Poiché tale tipo di collasso può avere conseguenze gravi e avviene in modo improvviso, senza

deformazioni progressive che avvertono del raggiungimento della condizione limite (ciò che capita

invece nel caso dello snervamento), i coefficienti di sicurezza da adottare devono essere elevati.