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Comportamento ciclico-sperimentale di un nodo trave-pilastro estratto da una struttura esistente in c.a. Mauro Dolce 1 , Angelo Masi 1 , Claudio Moroni 1 , Domenico Nigro 1 , Giuseppe Santarsiero 1 , Maurizio Ferrini 2 1 Dipartimento di Strutture, Geotecnica, Geologia applicata all’Ingegneria, Università degli Studi della Basilicata, via dell’Ateneo Lucano 10, 85100 Potenza 2 Regione Toscana Keywords: cemento armato, edifici esistenti, nodi trave-pilastro, pannello nodale, prove cicliche ABSTRACT: Nella valutazione degli edifici esistenti in c.a. progettati in epoche prive di normative antisismiche, com’era in gran parte del territorio nazionale sino ai primi anni ‘80, uno degli aspetti più rilevanti è costituito dalla stima della capacità resistente e duttile delle zone di collegamento trave-pilastro. Numerose indagini speri- mentali hanno dimostrato, infatti, come gli elementi nodali possano notevolmente influenzare il comporta- mento strutturale sotto sisma. Le prove sono normalmente effettuate su modelli appositamente costruiti in laboratorio, cercando di riprodurre le usuali caratteristiche presenti nelle strutture reali. Nel presente artico- lo, invece, viene preso in esame un nodo trave-pilastro estratto da una struttura esistente, descrivendo le fasi di estrazione di un assemblaggio trave-pilastro da una struttura reale adibita a scuola nel comune di Aulla ed i principali risultati relativi alle prove cicliche quasi statiche effettuate al fine di valutarne la risposta in campo post-elastico. I test, effettuati presso il Laboratorio di Strutture dell’Università della Basilicata, hanno mostrato le tipiche debolezze dei sottoassemblaggi trave-pilastro non antisismici aventi pilastri dotati di scarsa armatura trasver- sale e longitudinale, e calcestruzzo di bassa resistenza. Estese plasticizzazione hanno interessato principal- mente i pilastri, molto deboli rispetto alle travi. Il collasso si è manifestato per schiacciamento del calcestruz- zo nel pilastro inferiore e conseguente instabilità delle barre di armatura. A causa dell’inversione della gerarchia delle resistenze (travi forti e pilastri deboli) e dell’effetto confinan- te di un moncone di trave ortogonale al piano del nodo non si sono registrati danni apprezzabili al pannello nodale ed alle travi che hanno subito fessurazioni molto contenute. Il nodo ha, inoltre, mostrato una notevole riduzione di rigidezza fin da bassi livelli di drift, causata da una estesa fessurazione che ha interessato i pilastri. Importante è stato anche il ruolo della cattiva ripresa del getto tra la testa del pilastro inferiore e la trave. 1 INTRODUZIONE L’osservazione dei danni provocati da forti terremoti su edifici in c.a. progettati per resistere ai soli carichi gravitazionali ha evidenziato che i principali mecca- nismi caratterizzanti collassi strutturali sono identifi- cabili in: (i) plasticizzazioni diffuse dei pilastri in te- sta ed al piede con formazione del piano soffice, (ii) plasticizzazione e/o rotture a taglio nelle travi, (iii) perdita di aderenza delle barre longitudinali sia dei pilastri che delle travi e (iv) rotture per taglio dei nodi trave-pilastro. Sulla base di queste osservazioni e di estese cam- pagne sperimentali sia su sottoassemblaggi struttura- li che su intere strutture in scala, le normative tecni- che si sono evolute imponendo in Italia criteri prestazionali per la progettazione di nuove strutture in c.a. in zona sismica. Il capacity design contempla- to dalla attuale normativa (OPCM 3274/2003) tende infatti a scongiurare meccanismi di rottura fragili nei nodi, travi e pilastri, oltre a fare in modo che un e- ventuale collasso globale avvenga nella modalità travi deboli – pilastri forti, più favorevole in termini di duttilità globale. Anche senza l’applicazione del capacity design è prescritta la cura dei dettagli co- struttivi che contribuisce ad aumentare la duttilità locale degli elementi strutturali e la resistenza nei confronti di meccanismi fragili aumentando le pre- stazioni sismiche. Per le strutture esistenti in c.a., realizzate in as- senza di principi antisismici sia in termini di calcolo che di particolari costruttivi, si pone il problema di una affidabile valutazione della resistenza alle azioni orizzontali al fine di individuare gli interventi di raf- forzamento più efficaci (Vona & Masi 2004).

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Comportamento ciclico-sperimentale di un nodo trave-pilastro estratto da una struttura esistente in c.a.

Mauro Dolce1, Angelo Masi1, Claudio Moroni1, Domenico Nigro1, Giuseppe Santarsiero1, Maurizio Ferrini2 1 Dipartimento di Strutture, Geotecnica, Geologia applicata all’Ingegneria, Università degli Studi della Basilicata, via dell’Ateneo Lucano 10, 85100 Potenza 2 Regione Toscana

Keywords: cemento armato, edifici esistenti, nodi trave-pilastro, pannello nodale, prove cicliche

ABSTRACT: Nella valutazione degli edifici esistenti in c.a. progettati in epoche prive di normative antisismiche, com’erain gran parte del territorio nazionale sino ai primi anni ‘80, uno degli aspetti più rilevanti è costituito dalla stima della capacità resistente e duttile delle zone di collegamento trave-pilastro. Numerose indagini speri-mentali hanno dimostrato, infatti, come gli elementi nodali possano notevolmente influenzare il comporta-mento strutturale sotto sisma. Le prove sono normalmente effettuate su modelli appositamente costruiti in laboratorio, cercando di riprodurre le usuali caratteristiche presenti nelle strutture reali. Nel presente artico-lo, invece, viene preso in esame un nodo trave-pilastro estratto da una struttura esistente, descrivendo le fasi di estrazione di un assemblaggio trave-pilastro da una struttura reale adibita a scuola nel comune di Aullaed i principali risultati relativi alle prove cicliche quasi statiche effettuate al fine di valutarne la risposta incampo post-elastico.

I test, effettuati presso il Laboratorio di Strutture dell’Università della Basilicata, hanno mostrato le tipichedebolezze dei sottoassemblaggi trave-pilastro non antisismici aventi pilastri dotati di scarsa armatura trasver-sale e longitudinale, e calcestruzzo di bassa resistenza. Estese plasticizzazione hanno interessato principal-mente i pilastri, molto deboli rispetto alle travi. Il collasso si è manifestato per schiacciamento del calcestruz-zo nel pilastro inferiore e conseguente instabilità delle barre di armatura.

A causa dell’inversione della gerarchia delle resistenze (travi forti e pilastri deboli) e dell’effetto confinan-te di un moncone di trave ortogonale al piano del nodo non si sono registrati danni apprezzabili al pannellonodale ed alle travi che hanno subito fessurazioni molto contenute.

Il nodo ha, inoltre, mostrato una notevole riduzione di rigidezza fin da bassi livelli di drift, causata da unaestesa fessurazione che ha interessato i pilastri. Importante è stato anche il ruolo della cattiva ripresa del gettotra la testa del pilastro inferiore e la trave.

1 INTRODUZIONE

L’osservazione dei danni provocati da forti terremoti su edifici in c.a. progettati per resistere ai soli carichi gravitazionali ha evidenziato che i principali mecca-nismi caratterizzanti collassi strutturali sono identifi-cabili in: (i) plasticizzazioni diffuse dei pilastri in te-sta ed al piede con formazione del piano soffice, (ii) plasticizzazione e/o rotture a taglio nelle travi, (iii) perdita di aderenza delle barre longitudinali sia dei pilastri che delle travi e (iv) rotture per taglio dei nodi trave-pilastro.

Sulla base di queste osservazioni e di estese cam-pagne sperimentali sia su sottoassemblaggi struttura-li che su intere strutture in scala, le normative tecni-che si sono evolute imponendo in Italia criteri prestazionali per la progettazione di nuove strutture

in c.a. in zona sismica. Il capacity design contempla-to dalla attuale normativa (OPCM 3274/2003) tende infatti a scongiurare meccanismi di rottura fragili nei nodi, travi e pilastri, oltre a fare in modo che un e-ventuale collasso globale avvenga nella modalità travi deboli – pilastri forti, più favorevole in termini di duttilità globale. Anche senza l’applicazione del capacity design è prescritta la cura dei dettagli co-struttivi che contribuisce ad aumentare la duttilità locale degli elementi strutturali e la resistenza nei confronti di meccanismi fragili aumentando le pre-stazioni sismiche.

Per le strutture esistenti in c.a., realizzate in as-senza di principi antisismici sia in termini di calcolo che di particolari costruttivi, si pone il problema di una affidabile valutazione della resistenza alle azioni orizzontali al fine di individuare gli interventi di raf-forzamento più efficaci (Vona & Masi 2004).

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Molti autori italiani e stranieri hanno seguito la strada sperimentale per meglio comprendere il reale comportamento dei sottoassemblaggi strutturali tra-ve-pilastro (Pampanin et al. 2002, Lehman et al. 2004).

Diversi possono essere gli obiettivi perseguiti nel-la sperimentazione di nodi appartenenti a strutture esistenti in c.a.. Il primo obiettivo possibile può es-sere la valutazione di tali elementi strutturali nelle condizioni attuali. Questo obiettivo si concretizza nel valutare le prestazioni di nodi al variare di una serie di parametri, in modo da poter mettere a punto accurati modelli di capacità in campo non lineare, che consentano di schematizzare il comportamento dei nodi all’interno della struttura globale.

In altri casi, invece, i test di laboratorio si focaliz-zano sulla valutazione degli effetti generati da diver-si sistemi di rinforzo in modo da compararne il com-portamento rispetto agli stessi elementi non rinforzati, per verificare l’efficacia di tali tecniche. Queste sperimentazioni servono a quantificare gli incrementi di capacità determinati dalle diverse tec-niche di rinforzo, ed a scegliere quelle più conve-nienti sul piano sia tecnico che economico, nonché in termini di applicabilità ai casi reali.

Per quanto riguarda il primo obiettivo, gli aspetti principali riportati in letteratura sono i seguenti:

a) valutare il contributo di deformabilità del pan-nello nodale al drift totale, in modo da ottenere in-formazioni precise circa la possibilità di danneggia-mento strutturale e non strutturale, nonché valutare in modo più affidabile l’entità dell’effetto P-Δ. In al-cuni casi (Shin et al. 2004) queste sperimentazioni sono state alla base dello sviluppo di modelli da in-serire in software di calcolo per l’analisi non lineare di strutture intelaiate in c.a.;

b) stabilire la modalità di collasso del nodo ed il comportamento meccanico in termini di resistenza e duttilità, nonché verificare la gerarchia di danneg-giamento. E’ interessante poi correlare tali informa-zioni alle caratteristiche del sottoassemblaggio in termini di livello di progettazione antisismica, tipo di barre adottate (lisce o ad a.m.), dettagli costruttivi, resistenza dei materiali, entità dello sforzo normale. Il fine ultimo è sempre il miglioramento dell’affidabilità delle procedure di calcolo atte a va-lutare la vulnerabilità sismica delle costruzioni;

c) studiare le differenze di comportamento tra no-di realizzati conformemente a sottoassemblaggi di strutture progettate secondo criteri non antisismici, con nodi identici realizzati insieme a parti di solaio e di travi ortogonali in modo da correggere alcune in-formazioni derivanti da test su nodi privi di solaio (Li et al.2002). In questi casi si può valutare il ruolo svolto dal solaio in termini di rigidezza e resistenza del nodo, dall’armatura metallica presente all’interno della soletta e dall’effetto di confinamen-to dovuto alla presenza delle travi ortogonali.

Il presente lavoro nasce dall’occasione in genera-le molto rara di poter provare sperimentalmente un nodo trave-pilastro “a croce”, estratto da una struttu-ra esistente, in particolare una scuola del comune di Aulla (MS). progettata e realizzata negli anni ’50 considerando i soli carichi gravitazionali, e demolita recentemente, principalmente per la scarsa qualità del calcestruzzo. Proprio in occasione della demoli-zione sono stati estratti, con modalità che ne preser-vassero l’integrità, alcuni elementi strutturali tra i quali il nodo trave-pilastro oggetto del presente lavo-ro.

La possibilità di operare su un sottoassemblaggio di struttura reale, non permette, ovviamente, di valu-tare in maniera parametrica l’influenza di singoli fat-tori che possono influenzare il comportamento cicli-co di un nodo, ma consente di confrontarsi con la realtà tipica delle costruzioni in c.a. di una certa e-poca, con i difetti reali, quali scarsa resistenza del calcestruzzo, differenziata nelle diverse parti, impre-cisioni geometriche complessive e nella disposizione delle armature, inadeguate lunghezze di ancoraggio e di sovrapposizione, riprese di getto, etc.

2 ESTRAZIONE DEL NODO

Il nodo di estremità (a tre vie), indicato nelle figure 1 (nodo B) e 2, è stato estratto dal primo impalcato ed è costituito da travi emergenti di dimensioni nomina-li 40 x 60 cm, pilastro del piano inferiore di dimen-sioni 40 x 40 cm, pilastro del piano superiore 40 x 30 cm.

Figura 1. Pianta dell’edificio da cui è stato estratto il nodo

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Di particolare delicatezza è stata la fase di estra-zione del nodo. Infatti, era importante recare il mi-nore danno possibile all’assemblaggio strutturale al fine di non condizionare i risultati delle successive prove sperimentali.

Figura 2. Prospetto dell’edificio da cui è stato estratto il nodo L’edificio di riferimento era composto da tre im-

palcati con pianta di forma piuttosto regolare, con due vani scale in posizioni non simmetriche rispetto al centro geometrico dell’impalcato tipo (vedi figura 1).

Le fasi di estrazione sono consistite in: i) messa a nudo della struttura dalle opere di

finitura, quali tamponamenti, tramezzi, pavimenti ed impianti, e conseguente pun-tellamento della stessa;

ii) separazione dal solaio dalle travi apparte-nenti al nodo, tramite taglio con sega cir-colare a corona diamantata;

iii) rinforzo del nodo mediante una robusta incamiciatura in acciaio costituita da an-golari, calastrelli e piastre, al fine di evita-re deformazioni e conseguenti danni al nodo durante le fasi di estrazione, movi-mentazione e trasporto.

Figura 3. Rinforzo temporaneo del nodo con incamiciatura in acciaio

Gli angolari ed i calastrelli utilizzati avevano dimen-sioni, rispettivamente, di 100x100x8 mm e 100x5 mm. Il sistema era inoltre munito di maniglie costi-tuite da ferri tondi saldati ad alcuni elementi di rin-forzo allo scopo di costituire punto di aggancio per la movimentazione con gru.

Gli ingombri massimi della porzione di struttura prelevata sono stati imposti dai limiti geometrici ne-cessari ad evitare, sia per problemi logistici che di contenimento dei costi, un trasporto eccezionale. La larghezza massima, quindi, è risultata di 220 cm, mentre non vi erano di fatto limitazioni in termini di lunghezza. Gli elementi la cui estensione è stata maggiormente condizionata sono risultati essere i pi-lastri, il cui ingombro totale è stato di 220 cm, aspet-to di cui si è poi tenuto conto nell’apparato di prova.

3 MATERIALI E DETTAGLI COSTRUTTIVI

Prima di progettare ed effettuare i test sul nodo tra-ve-pilastro si è proceduto a caratterizzare il calce-struzzo costituente gli elementi strutturali. Insieme al nodo, come detto, erano stati prelevati dalla struttu-ra, e poi trasportati presso il Laboratorio di strutture dell’Università della Basilicata, alcuni monconi dei pilastri e delle travi adiacenti al nodo.

Figura 4. Trave sottoposta a carotaggi

Un’ampia campagna di prove distruttive e non di-struttive ha interessato sia la trave mostrata in figura

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4 (Masi et al. 2005), che un pilastro da cui sono state estratte numerose carote, in direzione orizzontale e verticale, successivamente sottoposte a prova di schiacciamento. La resistenza media fcm derivante dalle prove distruttive (carotaggi) eseguite sui cam-pioni estratti dalla trave è risultata pari a 22.5 MPa.

Il valor medio della resistenza cilindrica rilevato sui campioni prelevati dal pilastro è risultato pari a fcm = 7.53 MPa.

È emersa, pertanto, una notevole differenza tra la resistenza del calcestruzzo nelle due tipologie di e-lemento, cosa di cui si è tenuto conto nelle successi-ve analisi dei risultati.

Figura 5. Pilastro sottoposta a carotaggi

Va ricordato che la normativa vigente al tempo della progettazione e realizzazione della struttura (RD 2229/39) prevedeva l’utilizzo di un calcestruz-zo di resistenza media Rcm almeno pari a 12.0 MPa.

I dettagli costruttivi dell’assemblaggio in esame sono tipici degli edifici progettati e costruiti negli anni ’50, in assenza di criteri antisismici.

Nei pilastri sono presenti staffe di diametro 6 mm, disposte ad interasse costante di 20 cm e assenti all’interno del pannello nodale. Le armature longitu-dinali sono costituite da 4 φ20 disposti agli spigoli e da 2 φ18 sui lati. Il pilastro superiore presenta invece

solo 4 φ18 negli spigoli. Tutte le armature sono co-stituite da barre lisce e gli ancoraggi sono realizzati mediante sagomatura ad uncino. Su 5 barre, estratte dai pilastri, sono state compiute prove di trazione che hanno restituito una tensione media di snerva-mento pari a 330 MPa.

Le travi sono armate nella zona di incastro, all’interfaccia con il nodo, con 3 φ16 + 1 φ14 nella zona inferiore, e con 3 φ 16 + 2 φ 14 + 2 φ 10 nella zona superiore. Le staffe nelle travi hanno diametro 6 mm con passo di circa 10 cm, in prossimità dell’appoggio.

4 APPARATO DI PROVA

La progettazione dell’apparato di prova sul nodo è legata al tipo di nodo (a croce) ed al tipo di speri-mentazione che si è inteso eseguire (ciclica quasi statica con sforzo normale costante, senza effetto P-Δ). Volendo riprodurre il comportamento del nodo in una struttura con interpiano di 3,00 m, ed avendo contenuto per problemi di trasporto la lunghezza to-tale dei due pilastri, è stato necessario prevedere dei prolungamenti in acciaio (protesi) alle estremità de-gli stessi.

Le protesi sono costituite da profilati del tipo UPN aventi dimensioni tali da garantire una rigidez-za simile a quella dei pilastri in c.a.. Tale requisito, nella direzione di applicazione dell’azione orizzonta-le, è garantito dalla condizione (EI)acciaio = (EI)c.a.. In tal modo si ottengono sezioni differenti per le por-zioni di pilastro poste inferiormente e superiormente al nodo.

In figura 6 è riportato lo schema geometrico del nodo con le relative sezioni. Alle estremità dei profi-li UPN, in corrispondenza dell’interfaccia con il cal-cestruzzo, sono fissate delle piastre con spessore 40 mm, opportunamente forate per consentire il passag-gio dell’armatura dei pilastri, successivamente salda-ta alle stesse.

L’interfaccia tra le piastre metalliche e le sezioni in c.a. è riempita con malta a ritiro controllato al fine di regolarizzare le superfici di contatto e migliorare la trasmissione degli sforzi al calcestruzzo. L’apparato di prova è mostrato in fig. 7. L’applicazione dello sforzo normale avviene me-diante un martinetto idraulico con capacità di 1500 kN, collocato alla sommità del pilastro superiore. Esso è contrastato da una piastra in acciaio collegata, mediante quattro tiranti metallici, alla piastra posta alla base del pilastro inferiore, a sua volta collegata ad una sottostante cerniera cilindrica la cui finalità è quella di riprodurre lo stesso regime di sollecitazioni flessionali che gli elementi hanno all’interno della struttura in presenza di azione orizzontale (momento flettente con punto di nullo a metà dell’interpiano).

I tiranti metallici, essendo collegati alla piastra posta sopra la cerniera, sono liberi di ruotare quando

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il nodo si deforma e, quindi, riescono a mantenere il carico in posizione assiale rispetto al nodo, evitando la formazione di effetti del secondo ordine (P-Δ).

Figura 6. Schema del nodo con le “protesi” in acciaio.

Figura 7. Apparato di prova

Gli spostamenti orizzontali sono imposti a livello dell’estremità del pilastro superiore con un attuatore MTS avente capacità 490 kN in spinta e 290 kN in trazione. L’asse dell’attuatore è imposto ad una quo-ta tale da far si che la distanza dalla cerniera inferio-re fosse pari a 300 cm, ovvero all’interpiano deside-rato.

Le travi sono vincolate alle estremità tramite biel-le in acciaio formate da profili UPN100 accoppiati.

Trascurando lievi effetti del secondo ordine, il vin-colo si può considerare come un carrello perfetto. Sia l’attuatore che le bielle laterali sono vincolate al sistema di reazione costituito da una parete in c.a. e da un solettone dello spessore di 1.6 m.

Figura 8. Strumentazione per la misura delle deformazioni

Tali elementi sono muniti di fori ad interasse co-

stante che consentono il fissaggio dei sistemi di vin-colo degli attuatori e dei provini da sottoporre a test.

La strumentazione è costituita da celle dinamo-metriche atte a misurare forze applicate e reazioni, e da trasduttori di spostamento per la rilevazione delle deformazioni e degli spostamenti. In particolare due celle di carico, poste sulle bielle laterali, misuravano le variazioni di sforzo normale nelle stesse e, quindi, di taglio nelle travi, mentre altre due celle registra-vano lo sforzo assiale e la forza orizzontale applicati al nodo.

Nella figura 8 è mostrata la strumentazione utiliz-zata durante le prove sperimentali per il monitorag-gio delle deformazioni degli elementi strutturali.

Le deformazioni del pannello nodale sono state acquisite tramite 7 trasduttori potenziometrici rettili-nei ed altri 16 trasduttori dello stesso tipo sono stati impiegati per strumentare travi e pilastri.

Altri 4 trasduttori a filo sono serviti per l’acquisizione degli spostamenti orizzontali delle travi, della rotazione in corrispondenza della cernie-ra inferiore e dello spostamento impresso dall’attuatore. In tabella 1 sono riportate le basi di lettura (ovvero le lunghezze iniziali) degli strumenti con riferimento ai nodi mostrati e numerati in figura 8.

Nella foto di figura 9 è mostrato il nodo completo di tutta la strumentazione pronto per essere sottopo-sto al test.

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Tabella 1. Trasduttori per l’acquisizione delle deformazioni

N. Nodo iniziale

Nodo finale

Base di lettura (mm)

1 1 2 320 2 2 3 320 3 4 5 320 4 5 6 320 5 7 8 320 6 8 9 320 7 10 11 320 8 11 12 320 9 13 14 320

10 14 15 125 11 16 17 125 12 17 18 320 13 19 20 320 14 20 21 125 15 22 23 125 16 23 24 320 17 25 26 125 18 26 27 125 19 29 30 540 20 28 31 540 21 25 32 540 22 22 33 540 23 32 33 320

Figura 9. Nodo strumentato prima dell’inizio dei test.

5 PROGRAMMA SPERIMENTALE

Il programma sperimentale aveva l’obiettivo princi-pale di valutare le prestazioni sotto azioni sismiche orizzontali crescenti fino al raggiungimento delle capacità ultime. Come già accennato le prove sono state condotte in controllo di spostamento, in moda-lità ciclica quasi statica, mantenendo costante la ve-locità di avanzamento del martinetto pari a circa 2 mm/s. Alcune prove sono state condotte con fre-

quenze più elevate onde rilevare le differenze di ri-sposta rispetto alle azioni quasi statiche. In particola-re, le prove effettuate in modalità lenta hanno avuto una frequenza dei cicli di spostamento variabile tra 0.005 Hz e 0.033 Hz, mentre le prove più rapide hanno avuto frequenze variabili tra 0.15 e 0.40 Hz.

In figura 10 è mostrata l’intera storia degli spo-stamenti applicati dall’attuatore.

Al termine di ogni test, composto da 3 cicli com-pleti di spostamento, si è effettuata una ricognizione visiva e fotografica del nodo in tutte le sue compo-nenti osservando la progressione del danneggiamen-to al fine di adattare i passi successivi del program-ma sperimentale alla risposta del nodo.

Figura 10. Storia degli spostamenti applicata

I test effettuati sono i riportati in tabella 2. Il drift percentuale calcolato sulla base di un’altezza di in-terpiano di 300 cm, è stato fatto variare tra un valore minimo di 0.25 ed un massimo del 3.0%, in corri-spondenza del quale lo stato di danneggiamento del nodo era talmente elevato da imporre l’interruzione della serie di test.

Tabella 2. Serie dei test effettuati

Test N.

Spostamento in testa (mm)

Drift (%) N. cicli Frequenza

(Hz)

1 7.5 0.25 3 0.033 2 30.0 1.00 3 0.016 3 30.0 1.00 3 0.400 4 45.0 1.50 3 0.011 5 60.0 2.00 3 0.083 6 60.0 2.00 3 0.200 7 75.0 2.50 3 0.006 8 90.0 3.00 3 0.005 9 90.0 3.00 1 0.150

Il numero di cicli per ogni ampiezza degli spo-

stamenti è stato in generale pari a 3, tranne che per la prova a 90 mm di spostamento con frequenza di 0.15 Hz (test n. 9), in cui, a causa della repentina e-voluzione del danno, si è preferito arrestare il test al termine del primo ciclo.

Oltre ai test sopra riportati sono state effettuate alcune prove iniziali a livelli di spostamento molto

-90

-75

-60

-45

-30

-15

0

15

30

45

60

75

90

0 100 200 300 400 500 600

t (s)

Spos

tam

ento

tota

le (m

m)

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bassi al fine di verificare la funzionalità di tutta la strumentazione installata e dell’apparato in generale.

Dalle registrazioni effettuate durante le prove si è verificata l’efficacia del sistema di applicazione del carico assiale che si è mantenuto sostanzialmente costante (N = 330 kN) con variazioni non superiori al 3%. A titolo esemplificativo in figura 11 è mostra-ta la variazione dello sforzo assiale applicato durante il test con drift = 1.5%.

Figura 11. Storia dello sforzo assiale durante il test n. 4.

6 PRINCIPALI RISULTATI

L’elevato numero di strumenti installati ha consenti-to di rilevare diverse grandezze caratterizzanti il comportamento sismico dell’assemblaggio. Molti dei dati acquisiti sono tuttora in fase di elaborazione. Per esigenze di sintesi nel presente lavoro vengono riportati solo i principali risultati ottenuti.

Le prime osservazioni riguardano l’evoluzione del danneggiamento in funzione dei livelli di drift impressi. Visivamente si è riscontrata la quasi totale assenza di danni al pannello nodale ed alle travi; mentre si è osservato un notevole degrado della zona di interfaccia tra la sommità del pilastro inferiore e lo stesso pannello nodale.

Figura 12. Storia delle deformazioni di trave e pilastro nella prova con drift 1.5%

Queste indicazioni visive sono state confermate dalle registrazioni strumentali. Infatti, mettendo a confronto le deformazioni sulle sezioni di interfaccia di pilastri e travi con il pannello nodale, relative alla prova con drift 1.5% (test n. 4), emergono deforma-zioni nettamente minori nelle travi. Nella figura 12 è riportata la storia delle deformazioni acquisite trami-te i trasduttori sistemati tra i punti 14-15 (pilastro, fig. 8) e 8-9 (trave, fig. 8). Si può notare che le mas-sime deformazioni del pilastro (pari a circa 2.5 mm) sono di gran lunga superiori a quelle della trave (cir-ca 0.5 mm).

L’assenza di danni nel pannello nodale e nelle travi può essere attribuita fondamentalmente a tre fattori nel seguito descritti. Innanzitutto la presenza del moncone di trave ortogonale al piano del nodo che esercita una non trascurabile azione di confina-mento sul pannello. In secondo luogo va tenuto con-to del fatto che l’assemblaggio è stato estratto da un telaio in c.a. con travi forti (sezione 40 x 65 cm) e pilastri deboli (sezioni 40x40 e 40x30 cm con debo-le armatura longitudinale), il che ha favorito la con-centrazione delle deformazioni, e quindi del danno, nelle colonne. Infine, un ruolo importante, forse de-cisivo, è stato esercitato dal grande divario di resi-stenza tra il calcestruzzo delle travi (fcm = 22.5 MPa) e quello dei pilastri (fcm = 7.5 MPa).

Nel corso dei test il copriferro del pilastro inferio-re è stato progressivamente espulso al crescere del drift, sino al danneggiamento del nucleo di calce-struzzo immediatamente adiacente al nodo, che ha subito vistosi fenomeni di schiacciamento, come mostrato nelle figure 13 e 14 e nel dettaglio di figura 15.

Figura 13. Il nodo al termine del test con drift 2.5% In definitiva, il meccanismo che ha portato al collas-so il nodo è certamente l’estesa plasticizzazione del pilastro inferiore il cui calcestruzzo si è gradualmen-te disgregato. Contemporaneamente, sotto l’azione del carico verticale, si sono instabilizzate le armature longitudinali cui mancava l’effetto di confinamento offerto dal copriferro ormai espulso.

0

50

100

150

200

250

300

350

400

0 50 100 150 200 250 300

N (k

N)

t(s)

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Benché in minore misura, anche sul pilastro supe-riore si è manifestato il distacco del copriferro, come mostrato in figura 16.

Figura 14. Il nodo al termine della serie di test

Figura 15. Dettaglio della testa del pilastro inferiore al termine della serie di test.

L’analisi quantitativa del comportamento del no-do è proseguita poi con la ricostruzione della rispo-sta in termini di forza-spostamento, il cui andamento è riportato in figura 17.

In ascissa è posto lo spostamento applicato dall’attuatore alla testa del pilastro superiore (e-spresso in termini di drift %) ed in ordinata la forza esplicata dallo stesso. Si noti come la soglia di sner-vamento del nodo sia collocabile attorno ai 78 kN, ottenuta al primo dei tre cicli effettuati con drift = 1.5% (test n. 4). Incrementando il drift sino al 2% si registra un calo di resistenza contenuto e pari circa al 11%.

Raggiungendo il 3% di drift, invece, già al primo ciclo la perdita di resistenza totale risulta pari a circa il 45%.

Nell’ambito di ogni singolo test la ripetizione dei cicli, a parità di drift, provoca un apprezzabile de-grado della resistenza come si può osservare dal gra-fico di figura 18, in cui è riportata la prova con drift 1.5%.

Tra il primo ed il secondo ciclo si osserva infatti un calo di resistenza del 9% circa, mentre tra il se-condo ed il terzo risulta del 6% circa.

\

Figura 16. Base del pilastro superiore al termine della serie di test.

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Figura 17. Inviluppo dei grafici forza spostamento.

Nel grafico in figura 19 è mostrata la caduta di resistenza tra il primo ed il terzo ciclo di ogni test in funzione del drift. Nel test con drift = 1.0% il degra-do è circa pari all’11%, mentre nel test al 3.0% si ar-riva al 26% circa, con una crescita pressoché lineare.

Il degrado è quindi correlato non soltanto al livel-lo di drift impresso, ma anche, in maniera significa-tiva, alla ciclicità e dunque alla durata dell’azione si-smica. Questo è spiegabile con la scarsa qualità del calcestruzzo, in particolare per i pilastri, oltre che con l’inefficace effetto di confinamento fornito dalle armature trasversali presenti in quantità piuttosto ri-dotta.

Figura 18. Prova con drift 1.5%

Figura 19. Degrado di resistenza 1°-3° ciclo in ogni test. Valutando la caduta di resistenza tra i primi cicli

di test successivi con drift = 2, 2.5 e 3.0% rispetto

alla massima resistenza ottenuta per drift=1.5%, si osserva quanto riportato nella figura 20: la caduta di resistenza cresce in maniera considerevole all’au-mentare del drift.

Oltre al degrado di resistenza si è valutata anche l’evoluzione della rigidezza posseduta dal nodo in funzione del livello di drift applicato e della ripetiti-vità delle azioni.

Figura 20. Degrado di resistenza tra test consecutivi.

Come ci si poteva attendere, gran parte della per-

dita di rigidezza è concentrata a bassi livelli di drift allorquando il provino passa da una condizione non fessurata alla condizione fessurata per effetto delle azioni impresse. Superata questa prima fase i cali di rigidezza sono più contenuti ed imputabili princi-palmente alla progressiva apertura delle fessure.

Nella prova con drift 0.25% non vi è degrado ci-clico della rigidezza (figura 21), stante la bassa enti-tà delle deformazioni impresse: il sottoassemblaggio si può ritenere in fase elastica.

Passando dallo 0.25% all’1% di drift si perde cir-ca il 50% della rigidezza secante.

Figura 21. Rigidezza secante in funzione del drift.

Si è ritenuto opportuno valutare, infine, la capaci-tà di rotazione rispetto alla corda in condizioni di collasso uθ . La normativa OPCM 3274, nella parte relativa agli edifici esistenti in c.a., fornisce la se-guente espressione di origine sperimentale (11.A.1):

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dove γel = 1.5 per gli elementi primari ed 1.0 per gli

elementi secondari h è l’altezza della sezione,

)fA/(N cc=ν è lo sforzo assiale normalizzato di compressione agente su tutta la sezione

Ac, )bhf/(fA cys=ω e )bhf/(fA cys′=ω′ percen-tuali meccaniche di armatura longitudinale in trazione e compressione con b, h = base ed altez-za della sezione), rispettivamente,

fc , fy e fyw sono la resistenza a compressione del calcestruzzo e la resistenza a snervamento dell’acciaio, longitudinale e trasversale,

hwsxsx sbA=ρ la percentuale di armatura tra-sversale ( hs = interasse delle staffe nella zona critica),

dρ la percentuale di eventuali armature dia-gonali in ciascuna direzione,

α è un fattore di efficienza del confinamento dato da:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛−⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛−=α ∑

oo

2i

o

h

o

h

bh6b

1h2s

1b2s

1 (11.A.2)

(bo e ho dimensioni della nucleo confinato, bi

distanze delle barre longitudinali trattenute da ti-ranti o staffe presenti sul perimetro).

Applicando la (11.A.1) al caso in esame si ottiene

un valore della rotazione ultima pari a circa il 3.1%, sia per il pilastro inferiore che per quello superiore.

La normativa fornisce anche una seconda espres-sione (11.A.3) per il calcolo di uθ

dove yθ è la rotazione rispetto alla corda allo snerva-

mento uφ è la curvatura ultima valutata considerando le

deformazioni ultime del conglomerato (tenuto conto del confinamento) e dell’acciaio (da stimare sulla base dell’allungamento uniforme al carico massimo, in mancanza di informazioni si può assumere che la deformazione ultima dell’acciaio sia pari al 4%),

yφ è la curvatura a snervamento valutata conside-

rando l’acciaio alla deformazione di snervamento syε ,

plL è la lunghezza di cerniera plastica valutabile come:

c

ybLVpl

f

fd24,0h17,0L1,0L ++=

dove h è l’altezza della sezione,

bLd è il diametro (medio) delle barre longitudina-li,

fc e fy sono rispettivamente la resistenza a com-pressione del calcestruzzo e la resistenza a snerva-mento dell’acciaio longitudinale (in MPa)

Applicando l’espressione (11.A.3) si ottiene un valore di uθ =2.3%.

Per come è definita la rotazione rispetto alla cor-da, in questo caso tale valore coincide, a meno della rotazione del pannello nodale, con il drift sopporta-bile in condizioni ultime dai pilastri.

La sperimentazione ha mostrato che il valore del drift di collasso, come mostrato in precedenza, è va-lutabile attorno al 3%.

Pertanto, nel caso in esame, vi è una sostanziale corrispondenza tra il valore teorico di normativa for-nito dall’espressione 11.A.1 e quello trovato speri-mentalmente, mentre l’espressione 11.A.3 risulta ec-cessivamente cautelativa.

Questo risultato, se da un lato, appare confortante in quanto i valori teorici di normativa per la valuta-zione della rotazione ultima degli elementi in c.a. sono prossimi al dato sperimentale o comunque con-servativi, dall’altro richiede ulteriori sforzi finalizza-ti ad ottenere previsioni analitiche coerenti anche se effettuate con diversi metodi.

Figura 22. Rapporto tra deformazione nodale e drift totale L’ultimo aspetto indagato, riguarda la deformabi-

lità del pannello nodale in rapporto alla deformabili-tà globale dell’assemblaggio. Tramite i trasduttori posizionati tra i punti 32-22 e 33-25 (vedi fig. 8) si è valutata la deformazione tagliante del pannello γ che è stata poi rapportata al drift totale impresso all’assemblaggio in ogni test effettuato.

Esaminando il rapporto tra le due grandezze anzi-dette, mostrato nel grafico in figura 22, emergono alcune interessanti osservazioni.

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40

0.45

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5Drift(%)

Drif

t

)25,1(25

);01,0(max)';01,0(max)3,0(016,01

dc

ywsx 100

35,0V

225.0

cel

u

ραρ

ν

ωω

γθ

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⋅=

ff

hLf

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−−+=

V

plplyuy

elu

5,01)(1

LL

Lφφθγ

θ

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Si nota che a bassi livelli deformativi, quando il comportamento dell’assemblaggio è praticamente elastico, la deformazione nodale costituisce una ali-quota importante di quella totale, superando il 40% di quest’ultima. Al crescere del drift, con l’attivarsi di fenomeni non lineari di fessurazione e plasticizza-zione che, nel caso in esame, hanno interessato es-senzialmente i pilastri, il contributo del pannello alle deformazioni complessive diminuisce progressiva-mente, fino ad arrivare a valori inferiori al 15% in condizioni ultime, ovvero per un drift totale del 3.0%.

7 CONCLUSIONI

Nel presente lavoro sono descritti i risultati delle prove sperimentali effettuate, presso il Laboratorio Prove Materiali e Strutture dell’Università della Ba-silicata, su un nodo trave-pilastro prelevato da un e-dificio scolastico della regione Toscana, in demoli-zione. L’edificio, con struttura portante in c.a., era situato nel comune di Aulla, e possedeva caratteri-stiche di costruzione tipiche degli anni ‘50, epoca in cui era stato costruito.

L’estrazione del nodo ha richiesto una serie di precauzioni, volte da un lato a garantire la sicurezza degli operatori, dall’altro a preservare l’integrità del nodo. Le attività sul campo hanno previsto un pun-tellamento precauzionale dell’edificio, precedente-mente privato di tutte le finiture, e un rinforzo rever-sibile del nodo, mediante angolari e calastrelli metallici, finalizzato a preservare lo stesso durante le successive operazioni di estrazione, movimentazione e trasporto presso il Laboratorio.

I materiali presenti nel nodo sono stati caratteriz-zati tramite prove su campioni di calcestruzzo e di acciaio estratti dalla stessa struttura. Dalle prove di schiacciamento compiute sulle carote di calcestruzzo si sono ottenute resistenze fcm molto diverse in fun-zione della tipologia di elemento, trave o pilastro, da cui erano state prelevate. Le caratteristiche medie ri-levate forniscono valori di resistenza pari a 22.5 MPa e 7.5 MPa, rispettivamente per il calcestruzzo delle travi e dei pilastri, e 330 MPa, come valore di snervamento a trazione dell’acciaio.

Il nodo trave-pilastro, opportunamente strumenta-to, è stato sottoposto a test ciclici in controllo di spo-stamento, al fine di valutarne le prestazioni sotto a-zioni sismiche di intensità crescente, in presenza di uno sforzo normale costante durante le prove.

I valori di drift impressi al nodo sono variati da un minimo dello 0.25% fino al 3.0%. Per tale valore si sono raggiunte le condizioni di collasso determi-nate dallo schiacciamento del calcestruzzo della zo-na di testa del pilastro inferiore, indebolita da una cattiva ripresa di getto e dalla conseguente instabilità delle barre di armatura. Danni minori si sono verifi-

cati per il pilastro superiore che ha mostrato ampie zone affette da espulsioni del copriferro.

Lievi danni si sono registrati nelle travi ed il pan-nello nodale che hanno beneficiato dell’effetto di confinamento fornito dal moncone di trave presente nella direzione ortogonale al piano del nodo, nonché della gerarchia delle resistenze, nettamente a favore delle travi, più resistenti dei pilastri.

La totale assenza di dettagli antisismici ha limita-to la duttilità del nodo. Il calcestruzzo dei pilastri, già di qualità molto scarsa, non ha potuto beneficiare dell’effetto di confinamento dalle staffe presenti che erano non chiuse e costituite da barre lisce di diame-tro 6 mm, disposte ad interasse di 200 mm.

L’inviluppo dei grafici forza-spostamento ha per-messo di rilevare che le cadute di resistenza dell’assemblaggio nodale sono correlate al drift im-presso, ma che significative riduzioni di resistenza si manifestano anche per azioni ripetute della stessa entità.

Rilevanti perdite di rigidezza si verificano già per valori limitati del drift, ossia valori per i quali non si manifestano significative riduzioni di resistenza. In-fatti più del 50% della caduta di rigidezza secante to-tale avviene in corrispondenza di un drift pari al 1.0%, allorquando nel nodo si verificano le prime significative fessurazioni. Oltre tale valore, in termi-ni assoluti, all’aumentare del drift gli abbattimenti della rigidezza sono più contenuti e vanno attribuiti, principalmente, al progressivo allargamento delle fessure durante i cicli di apertura e chiusura delle stesse. In corrispondenza delle condizioni ultime (drift = 3%) la rigidezza risulta pari a circa 1/10 del valore iniziale.

Il comportamento in termini di duttilità globale dell’assemblaggio è migliore di quanto ci si potesse aspettare da un nodo appartenente ad una struttura non antisismica, peraltro realizzato con materiali e dettagli costruttivi di scarsa qualità.

Il confronto tra i valori sperimentali delle rotazio-ni ultime e quelli forniti da due espressioni di nor-mativa ha mostrato in un caso (espressione 11.A.1) una sostanziale coincidenza, nell’altro (espressione 11.A.3) una differenza rilevante ma a vantaggio di sicurezza.

È emerso, inoltre, un significativo contributo del-la deformazione propria del pannello nodale per bas-si valori di drift totale, ossia quando il comporta-mento dell’assemblaggio è praticamente elastico, contributo che va riducendosi al crescere del drift, in quanto, in questo caso, i fenomeni di plasticizzazio-ne hanno interessato essenzialmente i pilastri.

Va rilevata, infine, l’assenza di fenomeni fragili dovuti alla fessurazione del pannello nodale, deter-minata anche dalla presenza di un moncone di trave ortogonale. Questo aspetto evidenzia che, anche nel-le strutture non antisismiche, i nodi trave-pilastro possono presentare non trascurabili risorse duttili,

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pur se con perdite di resistenza rilevanti al crescere del numero di cicli.

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