COMPITI E POTERI DELLE PROCURE ERARIALI: LA FASE ... · Cecil B. De Mille IL PROCURATORE CONTABILE...
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COMPITI E POTERI DELLE PROCURE ERARIALI:
LA FASE ISTRUTTORIA E LA CITAZIONE IN GIUDIZIO
Avv. Gesi Dignani
“Non ci è possibile infrangere la legge. Possiamo solo infrangerci contro la legge.” Cecil B. De Mille
IL PROCURATORE CONTABILE
E’ nozione di diritto comune che per la tutela dei diritti che l’ordinamento ritiene
di dover sottrarre alla disponibilità dei titolari, in relazione all’interesse di natura
pubblica, è prevista la figura del Pubblico Ministero, ed ove l’interesse pubblico
abbia un massimo grado di intensità è attribuito, nei termini che si vedranno, al
P.M un potere autonomo di agire.
Al riguardo, ci basta richiamare i principi affermati dalla giurisprudenza secondo
cui il Procuratore generale è parte a difesa (garanzia) dell’ordinamento nel quale si
ricompongono gli interessi dell’erario globalmente inteso e le sue attribuzioni sono
rivolte alla tutela imparziale della buona gestione e non possono essere
configurabili contrasti di interesse tra azione del P.M. ed enti perché questi agisce
nell’interesse obiettivo della legge, tant’è che, trattandosi di materia non
disponibile, egli non può rinunciare all’azione.
L’azione del P.M. contabile è stata, infatti, definita obbligatoria e irretrattabile, ciò
in quanto l’azione del Procuratore della Corte dei conti non è rinunciabile perché
verte su materia indisponibile, attesa la natura pubblicistica del rapporto da cui
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scaturisce la responsabilità per danni arrecati all’erario .
I suddetti caratteri, connessi al riconoscimento del potere autonomo di azione,
sono a fondamento dell’indirizzo giurisprudenziale di esclusività dell’esercizio
dell’azione di responsabilità.
Il pubblico ministero contabile esercita l’azione di responsabilità che, finalizzata
al risarcimento del danno sopportato dall’erario, inteso nella sua eccezione più
lata, ha contenuto patrimoniale,e per cui, seppure il pubblico ministero contabile
agisce nell’interesse dell’ordinamento, ad esso è direttamente affidata la tutela
della gestione della finanza pubblica in generale e della pubblica amministrazione
danneggiata in particolare.
Cioè, fa capo al pubblico ministero contabile anche la tutela degli interessi
patrimoniali dell’amministrazione danneggiata per cui il titolare del diritto –
amministrazione danneggiata – è stato privato dal legislatore della competenza ad
esercitare la corrispondente azione risarcitoria.
Inoltre, vengono poste a carico dell’amministrazione precise limitazioni, ove essa
intenda partecipare al relativo processo (è ammesso il solo intervento adesivo
all’azione del Procuratore), in quanto non esiste alcun interesse dell’ente nella
difesa del pubblico erario, rappresentato soltanto dal Procuratore in funzione di
pubblico ministero.
Del resto, ha correttamente riconosciuto la giurisprudenza che, dalla autonomia
dell’azione della Procura rispetto alle determinazioni dell’amministrazione
danneggiata, discende la possibilità che l’azione sia esercitata anche se la stessa
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amministrazione non lo chieda o neghi la sussistenza del danno.
Da ciò deriva che il Procuratore, nel proporre l’azione di responsabilità, esercita
un potere di natura sostanziale, in quanto, essendo preclusa all’amministrazione
titolare del diritto l’iniziativa processuale, persegue la realizzazione della pretesa
risarcitoria come unico soggetto abilitato ad esprimere la volontà autonoma di
adire il giudice per conseguire tale realizzazione.
IL P.M. CONTABILE, IL P.M. CIVILE, IL P.M. PENALE.
Non è equiparabile il pubblico ministero contabile a quello penale o civile, in
quanto, se è vero che anche il pubblico ministero contabile fa parte dell’Ufficio del
pubblico ministero inteso unitariamente, è la differenza di interessi tutelati e il tipo
di azione esercitata che ne diversificano nettamente la posizione.
Le norme dell’ordinamento giudiziario, relative alle attribuzioni e al ruolo del
pubblico ministero civile, invero, non rientrano nell’ambito di applicazione del
rinvio di cui all’art. 26 del r.d. 13 agosto 1933 n. 1038, strettamente limitato al
codice di procedura civile per la funzione di integrazione e per il carattere speciale,
che vanno riconosciuti a tale rinvio; recita detto articolo: “Nei procedimenti
contenziosi di competenza della corte dei conti si osservano le norme e i termini
della procedura civile in quanto siano applicabili e non siano modificati dalle
disposizioni del presente regolamento.”.
Sebbene sussista una particolarità: nei procedimenti contabili ad istanza di parte,
cioè quelli relativi ai rapporti tra Tesorieri ed Enti che prevedono l’intervento del
Procuratore nel superiore interesse dell’ordinamento, ed ugualmente nei
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procedimenti civili di volontaria giurisdizione che vedono la figura del
Procuratore quale interveniente e non parte delle cause in cui egli ravvisa un
pubblico interesse a norma dell’art. 70 c.p.c.
Il P.M. contabile tantomeno può essere equiparato a quello penale.
Il magistrato requirente che eserciti l’azione penale per un reato che abbia
cagionato danno all’erario ha l’obbligo di informare il Procuratore della Corte dei
conti competente per territorio.
L’azione contabile del P.M. presso la Corte dei conti è obbligatoria ed esclusiva
alla stessa stregua dell’azione penale del p.m. ordinario.
Tuttavia, i fondamenti dell’una e dell’altra azione, pur potendo coincidere nel
concreto, sotto il profilo logico presentano una notevole differenza.
Il diritto penale sostanziale è notoriamente costruito sul principio di tassatività e
tipicità dei reati, di talchè, intanto, è possibile configurare un reato in quanto il
bene giuridico tutelato dalla fattispecie penale è espressamente indicato dalla
legge.
Diversamente, il fulcro dell’azione contabile è dato dal concetto di danno erariale
che non è costituito da un numero chiuso di previsioni normative: la Corte di
Cassazione a Sezioni Unite ha definito il danno erariale come l’esborso
indebitamente sostenuto dallo Stato o dagli enti pubblici o il mancato introito.
La definizione è così ampia da sfociare nell’atipicità!
D’altro canto, l’esame della giurisprudenza contabile oltre che della Cassazione,
illustra quanto ampia sia l’area di tutela del danno erariale che comprende non
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solo le fattispecie criminose, ma anche le condotte colpose che, comunque,
producano un danno all’erario dello Stato.
Per il P.M. penale si parla di notitia criminis, per il P.M. contabile di notitia damni.
Ma l’elemento distintivo in assoluto è il seguente: il P.M. contabile ha il potere
dell’archiviazione diretta che non ha quello penale (art. 408 c.p.p. “il pubblico
ministero, se la notizia di reato è infondata, presenta al giudice richiesta di
archiviazione…”).
Il potere di archiviazione del P.M. contabile trova il fondamento sul fatto che è
assente un giudice preposto al controllo delle indagini e, comunque, è assente un
giudice che possa verificare se la causa può essere validamente coltivata.
MEZZI DI TUTELA DEL CREDITO ERARIALE.
Il provvedimento di sequestro conservativo, ante causam o in corso di causa,
costituisce la principale misura cautelare utilizzabile ed utilizzata nella prassi
giudiziaria dal P.M. contabile, sebbene esso non sia l’unico strumento impiegabile per
conservare le ragioni di credito erariali.
Il sequestro conservativo è specificamente disciplinato nell’ordinamento contabile:
- dapprima dall’articolo 48 del regio decreto n. 1038 del 1933 (“Il sequestro conservativo,
di cui agli articoli 924 e seguenti del codice di procedura civile [c.p.c. allora vigente, ora art.
671], è, su domanda del procuratore generale, concesso dal presidente della Sezione
mediante decreto, nel quale viene fissato anche il termine per il giudizio di convalida”)
- quindi, dall’articolo 5, commi 2, 3, 4 e 5, del decreto legge 15 novembre 1993, n. 453
(convertito nella legge 14 gennaio 1994, n. 19), con peculiare procedura assoggettata anche
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al vaglio della Corte costituzionale (rif.: sentenza 17 luglio 1998, n. 272).
Si riporta, ad ogni buon fine, l’articolo 5 precitato.
Art. 5 - Giudizi di responsabilità.
1. Prima di emettere l'atto di citazione in giudizio, il procuratore regionale invita il presunto responsabile del
danno a depositare, entro un termine non inferiore a trenta giorni dalla notifica della comunicazione
dell'invito, le proprie deduzioni ed eventuali documenti. Nello stesso termine il presunto responsabile può
chiedere di essere sentito personalmente. Il procuratore regionale emette l'atto di citazione in giudizio entro
120 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle deduzioni da parte del presunto responsabile
del danno. Eventuali proroghe di quest'ultimo termine sono autorizzate dalla sezione giurisdizionale
competente, nella camera di consiglio a tal fine convocata; la mancata autorizzazione obbliga il procuratore ad
emettere l'atto di citazione ovvero a disporre l'archiviazione entro i successivi 45 giorni (1).
2. Quando ne ricorrano le condizioni, anche contestualmente all'invito di cui al comma 1, il procuratore
regionale può chiedere, al presidente della sezione competente a conoscere del merito del giudizio, il
sequestro conservativo di beni mobili e immobili del convenuto, comprese somme e cose allo stesso dovute,
nei limiti di legge.
3. Sulla domanda il presidente della sezione giurisdizionale regionale provvede con decreto motivato e
procede contestualmente a:
a) fissare l'udienza di comparizione delle parti innanzi al giudice designato, entro un termine non superiore a
quarantacinque giorni;
b) assegnare al procuratore regionale un termine perentorio non superiore a trenta giorni per la notificazione
della domanda e del decreto.
4. All'udienza di cui alla lettera a) del comma 3, il giudice, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i
provvedimenti emanati con il decreto. Nel caso in cui la notificazione debba effettuarsi all'estero, i termini di
cui al comma 3 sono quadruplicati.
5. Con l'ordinanza di accoglimento, ove la domanda sia stata proposta prima dell'inizio della causa di merito,
viene fissato un termine non superiore a sessanta giorni per il deposito, presso la segreteria della sezione
giurisdizionale regionale, dell'atto di citazione per il correlativo giudizio di merito. Il termine decorre dalla
data di comunicazione del provvedimento all'ufficio del procuratore regionale.
6. Ferme restando le disposizioni di cui al comma 4 dell'art. 2, il procuratore regionale, nelle istruttorie di sua
competenza, può disporre:
a) l'esibizione di documenti, nonchè ispezioni ed accertamenti diretti presso le pubbliche amministrazioni ed i
terzi contraenti o beneficiari di provvidenze finanziarie a carico dei bilanci pubblici;
b) il sequestro dei documenti [, nelle forme previste dal codice di procedura civile] (2);
c) audizioni personali;
d) perizie e consulenze.
[7. Per il pagamento delle parcelle dovute ai consulenti tecnici si applica la procedura prevista dalla normativa
vigente in materia di spese di giustizia.] (3)
8. Il limite di somma di cui all'articolo 55 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, di cui al regio
decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e all'articolo 49 del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, è elevato ad euro
5.000 e può essere aggiornato, in relazione alle variazioni dell'indice ISTAT sul costo della vita, con decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente della Corte dei conti (4).
(1) Comma modificato dall'articolo unico della legge 14 gennaio 1994, n. 19, in sede di conversione e
successivamente sostituito dall'articolo 1, comma 3-bis, del D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, come
modificato dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, in sede di conversione.
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(2) Lettera modificata dall'articolo unico della legge 14 gennaio 1994, n. 19, in sede di conversione.
(3) Comma abrogato dall'articolo 299, comma 1, del D.Lgs. 30 maggio 2002, n. 113.
(4) Comma sostituito dall'articolo 10-bis, comma 9, del D.L. 30 settembre 2005, n. 203,
convertito in legge 2 dicembre 2005, n. 248.
Nell’ottica di evitare la dispersione dei beni da parte del soggetto ritenuto responsabile in
sede giurisdizionale contabile, il legislatore ha riconosciuto recentemente al P.M. contabile
il potere di esperire l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 del codice civile “Il
creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano
dichiarati inefficacie nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi quali il
debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni….”.
Al riguardo, l’articolo 1, comma 174 della L. 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria
2006), recita: “Al fine di realizzare una più efficace tutela dei crediti erariali, l’articolo 26
del regolamento di procedura di cui al regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038, si interpreta
nel senso che il Procuratore regionale della Corte dei conti dispone di tutte le azioni a
tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di
conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI, titolo III, capo V, del codice
civile”.
Tale disposizione chiarisce che il Procuratore regionale della Corte dei conti dispone dei
mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale previsti dagli articoli da 2900 a 2906
del codice civile.
Ma attenzione, non solo, quindi dell’azione revocatoria ex articoli 2901 e 2902, ma altresì
dell’azione surrogatoria ex articolo 2900 del codice civile: “Il creditore, per assicurare
che siano soddisfatte o conservare le sue ragioni, può esercitare i diritti e le azioni che
spettano verso i terzi al proprio debitore e che questi trascura di esercitare, purchè i diritti
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e le azioni abbiano contenuto patrimoniale e non si tratti di diritti o di azioni che, per loro
natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro
titolare….”.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con sentenza 22 ottobre 2007, n. 22059 - emanata
in sede di regolamento preventivo di giurisdizione - hanno sostanzialmente affermato che:
- la conclusione della devoluzione alla giurisdizione del giudice contabile delle controversie
in argomento, oltre che imposta dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 174, è anche
coerente con il suo scopo, esplicitato nel “fine di realizzare una più efficace tutela dei
crediti erariali”:
- la tutela dei crediti erariali che indubitabilmente compete alla Corte dei conti apprestare,
per le azioni di accertamento e di condanna, ugualmente deve ritenersi esserle stata affidata
anche “a tutela delle ragioni del creditore” e per “i mezzi di conservazione della garanzia
patrimoniale”, in quanto rispetto alle prime hanno carattere accessorio e strumentale;
- la giurisdizione relativamente ad uno di tali mezzi - il sequestro conservativo, che agli
altri è accomunato dalla stessa finalità - era stata già riservata al giudice contabile, con
l’art. 48 del citato regolamento di procedura del 1933 e successivamente con il D.L. 15
novembre 1993, n. 453, art. 5, convertito con L. 14 gennaio 1994, n. 19;
- la natura accessoria e strumentale delle azioni come la revocatoria, consente inoltre di
ritenere che esse non sono estranee alle “materie della contabilità pubblica”, che l’art. 103
Cost. riserva alla cognizione della Corte dei conti, insieme comunque con le “altre
specificate dalla legge”; i “mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale” sono
predisposti anch’essi, sia pure in via indiretta, a quella riparazione del “danno erariale”,
sulla quale la giurisdizione compete alla Corte dei conti.
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- la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 174, così inteso, trova la sua “copertura” in una
norma di rango primario, senza che costituiscano ostacolo neppure i parametri
costituzionali concernenti i principi di uguaglianza e di ragionevolezza poichè la
responsabilità amministrativo - contabile ha particolarità proprie, che si riflettono anche
sulla conservazione della garanzia rappresentata dal patrimonio del debitore;
- la Corte dei conti è il giudice “naturale”, nelle materie della contabilità pubblica e nelle
altre specificate dalla legge; è un Giudice “speciale”, ma è stato mantenuto in essere dalla
Costituzione; il coinvolgimento di diritti soggettivi, eventualmente anche di terzi, è
conseguenza della configurazione come “esclusiva” data alla giurisdizione contabile ancora
dalla Costituzione;
- l’esenzione delle decisioni della Corte dei conti dal ricorso per Cassazione per violazione
di legge è stabilita anch’essa dalla Costituzione;
- il già menzionato carattere di esclusività impedisce all’amministrazione creditrice di agire
a sua volta davanti al giudice ordinario, sicchè non vi è possibilità di duplicazione di giudizi
e di contraddittorietà di giudicati.
Infine, è importare segnalare che la Corte dei conti per le Marche ha avuto modo di
pronunciarsi specificamente su un ricorso per revocazione azionato dalla Procura regionale,
con affermazioni di rilievo poiché concernenti il caso in cui - dopo la presentazione del
ricorso - il principale convenuto è stato riguardato dalla dichiarazione di fallimento da
parte del competente Tribunale (sentenza 20 novembre 2008, n. 416: “E’ devoluto alla
giurisdizione della Corte dei conti il sindacato sulle azioni di tutela e conservazione delle
garanzie patrimoniali di carattere accessorio e strumentale al credito erariale ed in
particolare sull’azione revocatoria, contemplata dall’art. 2901 c.c. ed attivata dal
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Procuratore regionale al fine di garantire l’effettività della fase esecutiva del giudizio di
responsabilità amministrativa…… La sostituzione del fallito da parte della Curatela
fallimentare – come stabilito dall’articolo 42 legge fallimentare resa con R.D. 16 marzo
1942 n. 267 – va esclusa nell’ambito del giudizio contabile, nel rilievo che le azioni ivi
esercitate non riguardano, di per sé, i rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, ma
hanno natura tipicamente personale, attenendo all’accertamento ed alla finalizzazione
della responsabilità amministrativa del convenuto quale autore di un danno ingiusto, con
funzioni sanzionatorie ed afflittive, oltreché risarcitorie, per cui vanno esercitate nei
confronti del presunto responsabile, anche se fallito e ciò nell’ottica della assoluta
reciproca autonomia dei due procedimenti di responsabilità e fallimentare…).
PRESCRIZIONE DELL’AZIONE DELLA PROCURA.
L’art. 1 comma 2 della legge n° 20 del 1994 prevede: “Il diritto al risarcimento del
danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il
fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua
scoperta.”.
Il principale problema sistematicamente vagliato dalla giurisprudenza sul tema
attiene al dies a quo
del termine prescrizionale che, in base al dato testuale, coincide con la
“verificazione” del fatto dannoso.
La decorrenza va ancorata al perfezionamento della fattispecie dannosa, nozione
che ricomprende non solo l’azione illecita, ma anche l’effetto lesivo della stessa (il
depauperamento dell’erario) potendo essere queste due componenti coincidenti
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nello stesso momento o talora distanziate nel tempo; nel qual caso, rileva tale
secondo momento, in quanto prima di esso la Procura non ha interesse.
Più precisamente in ipotesi di danno diretto (ovvero cagionato direttamente
all’amministrazione) il dies a quo è riferito alla “data in cui si è verificato il fatto
dannoso” che coincide con il pagamento delle somme relative che determina
l’effettività del pregiudizio a carico del patrimonio dell’ente locale (sez. III centrale
n. 440/A/2003).
In ipotesi di danno indiretto (danno causato al terzo a sua volta risarcito
dall’amministrazione) la giurisprudenza più recente afferma che la prescrizione
dell’azione di responsabilità amministrativa decorre dal momento in cui il debito
dell’amministrazione nei confronti del terzo danneggiato è divenuto certo, liquido
ed esigibile per effetto del passato in giudicato della pronuncia giudiziale di
condanna o di transazione, cioè non essendo il pregiudizio causato direttamente
dal dipendente, esso deriva esclusivamente dal risarcimento ottenuto, di norma in
esecuzione di sentenza o di transazione, da un terzo danneggiato da attività
imputabili alla stessa amministrazione.
Più precisamente, nel contrasto tra gli orientamenti giurisprudenziali che
ritengono il perfezionamento della fattispecie di danno indiretto talora nel
passaggio in giudicato della sentenza e talaltra nel momento dell’effettivo
pagamento, il computo del dies a quo dal quale inizia a decorrere la prescrizione
quinquennale deve fissarsi con i seguenti criteri distintivi: a) quando il passaggio
in giudicato di una sentenza che condanna l’amministrazione a risarcire il danno
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ad un terzo precede il momento del materiale esborso della somma dovuta, il
termine decorre dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza; b) viceversa,
quando il pagamento in ottemperanza ad una sentenza provvisoriamente
esecutiva, è antecedente al passaggio in giudicato della sentenza stessa, il termine
decorre dal giorno del pagamento.
NOTITIA DAMNI E OBBLIGO DI DENUNCIA.
Il pubblico ministero contabile (in via generale il pubblico ministero presso le
competenti Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti) attiva l’azione di
responsabilità sulla base di notizie di danno relative al compimento di fatti
produttivi di danno per la pubblica amministrazione.
Le fonti di conoscenza sono costituite in primo luogo dalla stessa
amministrazione: infatti in genere tutti gli organi di vertice delle amministrazioni
pubbliche hanno l’obbligo di denuncia (direttore generale e capo servizio,
l’ispettore che lo accerti nel corso delle ispezioni, il Ministro per i fatti imputabili ai
direttori generali ed ai capi servizio).
In caso di OMISSIONE o RITARDATA DENUNCIA degli organi preposti, si
determinano due ordini di responsabilità:
1) una condanna, insieme agli autori dell’illecito amministrativo-
contabile, anche per coloro che non si attivarono legittimamente per la
denuncia;
2) una ulteriore responsabilità, ai sensi dell’art. 1/3 ultimo capoverso
Legge 20/1994, ove dalla intempestiva denuncia sia derivata la prescrizione
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del diritto al risarcimento del danno per l’Erario.
Altre fonti di notitiae damni possono derivare da fonti qualificate o informali; nella
prima categoria rientrano le informazioni rese dal pubblico ministero penale ove
eserciti l’azione per un reato causativo di danno all’erario. Oppure, fonti informali,
come esposti dei cittadini, o notizie di stampa, o addirittura, informazioni
anonime.
Sulla scorta delle notizie comunque acquisite, ove non ritenute manifestamente
infondate, il P.M., con ampia discrezionalità, “apre una vertenza” per giungere
all’instaurazione del giudizio o al decreto di archiviazione: l’istruttoria svolta in
questa fase ha carattere extra-processuale, al fine di acquisire elementi di
valutazione e di riscontro (di solito acquisizione di documenti amministrativi o
richiesta della effettuazione di inchieste amministrative con accertamenti della
stessa amministrazione).
L’INVITO A DEDURRE
L’art. 5 del decreto legge 15.11.1993 convertito in legge 14.1.1994 n. 19, delinea
esattamente quella che è la funzione del Procuratore della Corte dei conti nella
cosiddetta fase pre-processuale del giudizio contabile.
Al comma 1, detto articolo testualmente recita: “Prima di emettere l’atto di citazione
in giudizio, il procuratore regionale invita il presunto responsabile del danno a depositare,
entro un termine non inferiore a trenta giorni dalla notifica della comunicazione
dell’invito, le proprie deduzioni ed eventuali documenti. Nello stesso termine il presunto
responsabile può chiedere di essere sentito personalmente. (omissis)”.
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Si parla, quindi, di un atto emesso dal Procuratore che prende il nome di “invito
a dedurre”.
La giurisprudenza contabile considera tale atto un istituto di garanzia pre-
processuale, il quale consente all’invito di svolgere le proprie argomentazioni
difensive prima dell’instaurazione del giudizio a seguito della notificazione
dell’atto di citazione.
Ha, pertanto, finalità istruttoria e di garanzia, di tutela del pubblico operatore e
del pubblico erario; consente, infatti, all’invitato di svolgere le proprie
argomentazioni al fine di evitare la citazione (funzione di garanzia) e garantisce la
massima possibile completezza istruttoria (funzione istruttoria).
Funzioni, queste, che confluiscono nell’ulteriore scopo finale che è quello del
perseguimento della giustizia non disgiunto da esigenze di economia processuale.
Detto invito a dedurre, quindi, assolve ad una funzione strettamente
paragiudiziale, ponendo il dovere per il Procuratore – che è giunto a delineare una
figura di “presunto responsabile, invitato (non indagato o imputato!) – a porsi in
dialettica costruttiva e collaborativa con le argomentazioni ed eventuali richieste di
integrazione istruttoria prodotte dall’interessato.
Il presunto responsabile, o meglio, l’invitato, può chiedere di essere sentito
personalmente.
In occasione dell’audizione, non è richiesta, pur essendo consentita, l’assistenza
di un difensore.
Occorre precisare che la sospensione feriale dei termini si applica anche al
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termine, non inferiore a 30 giorni, assegnato dal procuratore regionale al presunto
responsabile, per depositare deduzioni, documenti e richiesta di audizione.
La violazione dell’emissione dell’invito a dedurre e dell’audizione personale (se
richiesta), comportano la inammissibilità dell’atto di citazione che può essere,
comunque, rinnovato a seguito di invito a dedurre.
La fissazione di termini per la conclusione dell’istruttoria del P.M. contabile, una
volta notificato l’invito a fornire deduzioni al presunto responsabile, è finalizzata
indubbiamente ad evitare il protrarsi sine die di una situazione di incertezza
dell’esito di questa fase pre-processuale.
Acquisiti tutti gli elementi nel corso dell’istruttoria e valutate le deduzioni
eventualmente prospettate dai presunti responsabili, il P.M. contabile, nei termini
descritti in precedenza, può emettere l’atto di citazione in giudizio oppure,
ritenendo insussistenti le condizioni per iniziare utilmente un giudizio di
responsabilità, può disporre un provvedimento di archiviazione.
Il provvedimento di archiviazione non assume carattere decisorio o carattere di
pronuncia giurisdizionale, atteso che trattasi di attività meramente istruttoria,
esclusivamente preordinata all’eventuale instaurazione del giudizio contabile.
Con l’archiviazione, di conseguenza, non si forma un giudicato, né può ritenersi
preclusa una successiva iniziativa processuale, per lo stesso fatto causativo di
danno erariale, da parte dello stesso Ufficio del Pubblico ministero.
L’assenza del carattere decisorio infine fa sì che l’archiviazione disposta dal
Procuratore regionale non preclude al Collegio la chiamata in giudizio, ai sensi
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dell’art. 102 c.p.c. del presunto responsabile.
L’ARCHIVIAZIONE.
Possiamo specificare le seguenti fattispecie di archiviazione:
- archiviazione ictu oculi: è l’archiviazione immediata che è disposta senza alcuna
attività istruttoria quando la notitia damni è manifestamente infondata.
E’ definita prearchiviazione e si dispone sulla base di un esame preliminare che
per prassi viene effettuato presso tutte le Procura regionali.
- archiviazione a seguito di attività istruttoria ma prima dell’emissione
dell’invito: essa interviene quando, a seguito d’attività istruttoria, il P.M. si
convince della mancanza degli elementi che legittimano l’attivazione dell’azione di
responsabilità amministrativo-contabile;
- archiviazione dopo l’emissione dell’invito e la presentazione di deduzioni da
parte degli interessati ed eventuale audizione degli stessi: è il provvedimento che
interviene dopo che gli invitati hanno presentato le proprie deduzioni difensive
che sono state ritenute dal magistrato procedente idonee ad eliminare gli elementi
costitutivi della responsabilità per danno erariale;
- archiviazione che interviene dopo la scadenza del termine dei 120 giorni, a
seguito del mancato accoglimento della richiesta di proroga cui non faccia seguito
la citazione.
Al riguardo si rammenta che a seguito dell’orientamento di una parte della
giurisprudenza che riteneva la necessità di notificare la richiesta di proroga a tutte
le parti, la Corte costituzionale ha statuito che la mancata notifica della predetta
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istanza di proroga non determina l’inammissibilità dell’atto di citazione e non lede
la garanzia del contraddittorio per violazione dell’art. 111 Cost..
FASE GIUDIZIALE.
Nel caso in cui il Procuratore non ritenga di dover archiviare la vertenza
(l’archiviazione viene comunicata alla parte a mezzo missiva ordinaria e non viene
fornita alcuna motivazione circa l’avvenuta archiviazione), emette l’ATTO DI
CITAZIONE.
L’azione di responsabilità viene esercitata dal P.M. contabile mediante il deposito
nella segreteria della Sezione Giurisdizionale dell’atto di citazione a comparire.
L’atto di citazione deve contenere l’istanza al presidente perché fissi l’udienza di
discussione della causa, udienza che viene disposta con decreto in calce all’atto di
citazione stesso.
Il decreto presidenziale fissa anche un termine per la produzione di eventuali
documenti o comparse, che normalmente è di 20 giorni prima l’udienza: la
costituzione oltre il suddetto termine che avviene in udienza consente solamente la
difesa orale dell’Avvocato, ma la comparsa e la documentazione depositati
tardivamente non vengono presi in considerazione ai fini della decisione.
L’atto di citazione deve essere notificato al convenuto: la evocazione in giudizio
di quest’ultimo presuppone che la istruttoria preliminare al giudizio abbia fornito
adeguati elementi per convenire uno o più soggetti.
L’atto di citazione contiene le seguenti indicazioni: il convenuto (nome,
cognome,domicilio o residenza o dimora), l’esposizione dei fatti e la qualità nella
18
quale furono compiuti, l’oggetto della domanda e l’indicazione dei titoli su cui è
fondata, la sottoscrizione del procuratore, l’istanza di fissazione dell’udienza che
poi il presidente decreta in calce all’atto di citazione, il termine, non inferiore a
venti giorni prima della udienza, entro cui le parti possono costituirsi e prendere
visione degli atti e presentare memorie.
L’atto di citazione eventualmente proposto in carenza dell’invito a dedurre non è
nullo, non essendo la nullità prevista dalla legge (art. 156 c.p.c.), ma inammissibile,
e può essere rinnovato ove venga preceduto dall’invito.
Come sopra specificato, il Procuratore emette l’atto di citazione entro 120 giorni
dalla scadenza del termine assegnato per la presentazione delle deduzioni: tale
termine di natura processuale, è sottoposto al periodo di sospensione feriale (1/8 –
15/9).
Più precisamente, entro 120 giorni l’atto di citazione deve essere depositato nella
segreteria della Corte dei conti (quindi, non si prende in considerazione la data di
notifica dell’atto di citazione al convenuto).
Come si è già detto, eventuali proroghe per l’emissione dell’atto di citazione
devono essere autorizzate dalla competente Sezione giurisdizionale nella Camera
di Consiglio a tal fine convocata.
La mancata autorizzazione, afferma la norma, obbliga il Procuratore Regionale
ad emettere l’atto di citazione o a disporre la archiviazione entro i successivi 45
giorni (in definitiva, pur in assenza di proroga, il procuratore ha pur sempre altri
45 giorni per emettere l’atto e, quindi, potrebbe, sebbene certo che la proroga non
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gli verrà concessa, richiederla comunque per godere dei 45 giorni previsti per
legge!).
Non è necessaria la piena e totale corrispondenza tra invito a dedurre ed atto di
citazione, a condizione che sia rispettato il nucleo essenziale del petitum e della
causa pretendi, così da non configurare una differente ipotesi di danno, in relazione
alla quale il soggetto convenuto non ha avuto modo di controdedurre nella fase
pre-processuale.
La necessità di circoscrivere la pretesa risarcitoria, infatti, costituisce una
ineliminabile funzione dell’invito a dedurre al fine di garantire l’effettività del
contraddittorio.
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 4 del R.D. 1038/1933 il Procuratore può chiedere
il sequestro conservativo di cui agli articoli 924 e seguenti del codice di procedura
civile: il sequestro è concesso dal presidente della sezione mediante decreto, nel
quale viene fissato anche il termine per il giudizio di convalida.
L’UDIENZA.
Lo svolgimento delle udienze dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei
conti è disciplinato dal r.d. 13 agosto 1933, n° 1038 nonchè, per il rinvio dinamico
di cui all’art. 26 dello stesso regolamento, dalle norme del codice di procedura
civile in quanto compatibili con l’ordinamento processuale contabile.
Come già detto, una prima peculiarità del processo contabile, rispetto al rito
civile, consiste nel fatto che la citazione in giudizio avviene ad udienza che deve
essere fissata, su istanza del P.M. dal Presidente della Sezione.
20
Altra rilevante peculiarità del rito contabile è data dalla concentrazione di tutte le
competenze funzionali, sia istruttorie che decisorie, in capo al Collegio; manca la
figura del giudice istruttore, anche se l’istruttoria può svolgersi per delega a
singolo componente della Sezione.
Nella prima udienza dibattimentale avviene, pertanto, la concentrazione delle
fasi della prima comparizione delle parti, della trattazione, della precisazione delle
conclusioni e della decisione della causa.
Un problema di compatibilità con i principi del giusto processo si è posto per la
disciplina degli interventi nella discussione orale della causa; ciò in quanto dal
dato testuale (art. 19 r.d. n° 1038/1933 e art. 117 disp. Att. C.p.c.) si evince che il
P.M. ha la parola per ultimo.
Comunque ogni questione di costituzionalità, adombrata sotto il profilo della
violazione del diritto di difesa, è stata ritenuta manifestamente infondata dalla
giurisprudenza contabile.
Si ritiene, infatti, esclusa la violazione del diritto alla difesa dal momento che la
discussione verte sulle difese già proposte senza che sia consentito alle parti e al
P.M. sottoporre alla cognizione del giudice fatti o motivi nuovi e diversi da quelli
trattati.
Inoltre, è ampiamente consentito ai convenuti replicare a quanto affermato, per
ultimo, dal Procuratore (attenzione, però, è una facoltà concessa dalla Corte non
un diritto!).
21
LE PROVE.
La sezione giurisdizionale competente può richiedere all’amministrazione ed
ordinare alle parti di produrre atti e documenti che crede necessari alla decisione
della controversia.
Si precisa che il Collegio è legittimato ad acquisire gli elementi necessari alla
decisione dei fatti di causa sulla base delle sole allegazioni di parte, senza offrire la
possibilità al P.M. di riaprire le indagini; diversamente, si avrebbe una estensione
del thema decidendum a circostanze ed elementi fattuali sui quali non si è formato il
contraddittorio delle parti.
LA DECISIONE.
Terminata la discussione della causa in udienza, la Corte pronuncia la decisione
in Camera di consiglio.
LE SPESE GIUDIZIALI.
La particolare struttura del processo di responsabilità amministrativa e contabile,
che viene instaurato necessariamente su istanza del Pubblico Ministero, ha
condizionato anche la disciplina delle spese giudiziali.
In caso di assoluzione del convenuto, il Pubblico Ministero attore non può essere
condannato alla rifusione delle spese, in quanto ha esercitato l’azione nell’interesse
della legge e dell’ordinamento, con poteri attribuitigli per dovere d’ufficio
nell’interesse pubblico generale, ed allo stesso tempo, della singola
amministrazione.
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E’ previsto il rimborso da parte dell’Amministrazione di appartenenza, delle
spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti in
caso di definitivo proscioglimento.
Il rimborso è invece escluso in caso di assoluzione per prescrizione dell’azione di
responsabilità, poiché in questo caso non può effettivamente parlarsi di
“assoluzione” perché non è stato esclusa la responsabilità per danno erariale con
dolo o colpa grave.
ALCUNE CONSIDERAZIONI.
L’art. 111 della Carta Costituzionale che prevede il cosiddetto “giusto processo”,
è applicabile anche al processo contabile.
Tale articolo costituzionalizza il principi basilari di “ogni processo” che deve
svolgersi nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti al giudice
terzo ed imparziale, assicurandone la ragionevole durata.
Trattasi di principi, comunque, già enunciati nella Carta Costituzionale e più
precisamente negli artt. 24-113 sul diritto della difesa e sulla effettività della tutela,
negli artt. 101-104-108 sulla soggezione dei giudici solo alla legge e della loro
indipendenza.
E’ indubbio che l’art. 111 Cost. debba applicarsi anche al processo contabile e non
solo riguardo al processo in senso stretto, ma anche a quella fase, appunto definita
pre-processuale, che è costituita dagli istituti di garanzia dell’invito a dedurre e
della audizione personale.
23
Si tenga, infatti, conto del fatto che il “giusto processo” deve riguardare quello
contabile nella sua interezza e cioè come quel procedimento che va dalla notitia
damni, allo svolgimento delle indagini, fino alla contestazione ed all’atto di
citazione che apre il processo.
In questo ambito il p.m. contabile quale “promotore di giustizia” deve,
contestualmente, operare efficacemente tenendo comunque sempre conto del
rispetto della dignità umana di coloro che si vedono coinvolti in un giudizio
contabile.
Si tenga, infatti, conto che il soggetto chiamato in un processo, e ciò vale anche
per quello contabile, subisce un trauma fortemente lesivo della dignità personale
ed una pur favorevole sentenza non cancella, di certo, una sensazione tale da
sminuire il proprio onore.
Oltretutto, nel caso di un processo contabile, l’esito favorevole non cancella i
clamori suscitati dalla notizia che sono tanto eclatanti quanto più è alta la funzione
ricoperta nell’ambito della amministrazione.
Non si deve, inoltre, trascurare che una sbagliata azione del Procuratore va ad
offuscare anche la credibilità di un istituto giuridico posto a garanzia della cosa
pubblica, che trova il proprio fondamento su una azione che ha come finalità
quella reintegratoria del danno patrimoniale.
Non bisogna, infatti, dimenticare che una azione temeraria può risultare per
l’erario, più dannosa della stessa pretesa risarcitoria atteso che l’art. 3 comma 2 bis
della L. 20.12.1969 n. 639 assicura al dipendente sottoposto al giudizio della Corte
24
dei conti definitivamente prosciolto, la possibilità di chiedere il rimborso delle
spese legali all’amministrazione di appartenenza, prescindendo dalla liquidazione
giudiziale.
Il Procuratore, pertanto, deve proporre una azione con una valutazione che vada
a contemperare buon andamento, economicità, equilibri finanziari ed esigenza di
giustizia.
L’azione promossa dal Procuratore è priva del requisito della obbligatorietà,
atteso che l’art. 112 Cost. è valido esclusivamente per quella penale, e sul potere di
archiviazione del Procuratore non vi è alcun controllo giustiziale.
Infatti, mentre in campo penale esiste il controllo del giudice che fa da filtro alle
imputazioni azzardate prima che si instauri il giudizio (cfr. art. 408 c.p.p.), in
ambito contabile l’archiviazione è di stretta competenza del Procuratore il quale
vaglia gli elementi acquisiti ed eventualmente le controdeduzioni dell’invitato, con
ampio margine di discrezionalità valutativa dei fatti emersi per poter avviare e
sostenere una valida accusa.
Ciò fa sì che nel processo contabile si realizzi una situazione di tendenziale
disuguaglianza tra le parti per la posizione di debolezza in cui si vengono a trovare
i convenuti che soggiacciono all’ampio potere inquisitorio del Procuratore.
Situazione, questa, che cozza con la figura del Procuratore quale soggetto che ha
interesse all’acclaramento della verità che prescinde da un atteggiamento
esclusivamente accusatorio: atteggiamento, che, invece, viene a configurarsi tale
sin dalla fase pre-processuale dell’invito a dedurre dove il Procuratore già si
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arroga la funzione di giudicante.
Spesso, infatti, nei processi contabili si ha a che fare con un totale svilimento di
quelli che sono il concetto e la funzione sia dell’invito a dedurre, che delle
deduzioni in risposta all’invito e dell’audizione personale susseguente, atteso che
si appalesa al riguardo una utilizzazione strumentale e defatigatoria di uno
strumento giuridico previsto legittimamente a garanzia della difesa di colui che
ancora non può e non deve considerarsi imputato.
Prova di ciò è la totale inesistenza di contestazione da parte della Procura alle
deduzioni ed alle dichiarazioni rese dall’invitato, tale da far sì che lo stesso si trova
a leggere un atto di citazione che recepisce totalmente il contenuto dell’invito a
dedurre e che ignora completamente sia le dichiarazioni rese in occasione
dell’audizione personale che i documenti allegati in sede di invito.
Pertanto, viene utilizzato strumentalmente dal Procuratore il principio secondo
cui la contestazione di responsabilità non avviene per la prima volta in giudizio:
infatti, egli ritiene che ciò debba concretizzarsi nella identità dei contenuti
dell’invito a dedurre e dell’atto di citazione, ignorando, forse volutamente, che la
consolidata giurisprudenza, nel ritenere non necessaria la sussistenza di un
rapporto di assoluta identità tra i suddetti atti, ha invece, fermamente ribadito che
il principio che regola sia la fase pre-processuale che processuale, è quello della
necessaria assenza di pregiudizio al diritto di difesa del convenuto.
La Procura ignora, quindi, completamente la posizione dell’invitato che si trova a
dover ribadire quanto già contestato in sede di invito a dedurre ed, addirittura, ad
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allegare documenti già in possesso dello stesso Procuratore certo che quanto
eccepito non è stato minimamente esaminato e considerato.
Il comportamento della Procura è palesemente volto a far sì che la difesa del
convenuto, una volta notificato l’atto di citazione, si trovi alla udienza
dibattimentale all’oscuro di quanto la Procura vorrà eccepire in merito alle difese
già avanzate.
Pertanto, mentre il convenuto si trova ad aver volutamente “scoperto le proprie
carte” in ottemperanza a quello che è il principio di verità e certezza che guida
l’intero sistema giudiziale, la Procura non ottempera a questo in netta e palese
violazione del più volte enunciato principio del giusto processo.
Oltretutto, la Procura, a propria difesa, sostiene che non è tenuta a resistere ed a
contro dedurre alle deduzioni dell’invitato, poiché nel processo contabile il
contraddittorio si instaura a seguito della notificazione della citazione introduttiva
del giudizio: il tutto, in palese contraddizione, si ripete, con i principi previsti e
garantiti dall’art. 111 della Costituzione come sopra delineati.
La Procura è addirittura agevolata nel porre in essere tale comportamento da una
assurda questione procedurale, che nasce da una errata lettura dell’art. 19 del
Regio Decreto 13.8.1932 n. 1038 che si riferisce alla fase della udienza
dibattimentale.
Tale articolo recita testualmente: “Dopo la relazione della causa le parti, o i
rappresentanti di esse, se presenti, ed il procuratore generale o chi ne fa le veci, enunciano
le rispettive conclusioni svolgendone i motivi.”.
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L’art. 19 viene letto in modo che per “le parti” si intendono i soli convenuti:
pertanto, prima parlano i convenuti e poi il Procuratore –attore.
Leggendo esattamente tale norma è evidente, invece, che il Procuratore Generale
è qui presente come interveniente per il superiore interesse dell’ordinamento:
pertanto, il riferimento che l’art. 19 fa al Procuratore è attribuibile esclusivamente
ai procedimenti contabili ad istanza di parte, cioè quelli relativi ai rapporti tra
Tesorieri ed Enti che prevedono l’intervento del Procuratore nel superiore
interesse dell’ordinamento, ed ugualmente nei procedimenti civili di volontaria
giurisdizione che vedono la figura del Procuratore quale interveniente e non parte
delle cause in cui egli ravvisa un pubblico interesse a norma dell’art. 70 c.p.c. (c.p.c.
al quale si ispira il procedimenti dinnanzi alla Corte dei conti).
La miope lettura dell’art. 19 da parte della giurisprudenza della Corte dei conti,
fa sì che la parte convenuta si trovi a parlare per la terza volta (memoria e
audizione a seguito di invito a dedurre, comparsa di costituzione e risposta,
udienza dibattimentale) ripetendo ciò che ha già più volte detto.
A sua volta il Procuratore, come sopra affermato, si trova a non aver mai
contestato le deduzioni e le dichiarazioni rese dall’invitato prima e dal convenuto
poi.
Il fatto che, in pratica, nel corso della udienza dibattimentale alla difesa dei
convenuti venga concessa la possibilità di replica alle difese del Procuratore –
attore, non evita la concretizzata violazione del diritto di difesa.
La possibilità di replica si appalesa, in definitiva, come un rimedio inutile, atteso
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che seguire esattamente l’ordine degli interventi nel dibattimento - 1) attore-
procuratore; 2) convenuto – costituisce l’unica garanzia di chiarezza e certezza del
diritto e, comunque, rispetta quelli che sono i principi di economia processuale
evitando eventuali repliche.
Si appalesa, pertanto, una questione di costituzionalità relativamente alla
interpretazione ed applicazione dell’art. 19 del Regio Decreto 13.8.1933 n. 1038 per
violazione dell’art. 111 Cost.
L’attribuzione al pubblico ministero presso la Corte dei conti del potere di azione
nel giudizio di responsabilità amministrativa è regola di non semplice significato e
valenza: esso deriva da fatto che la responsabilità amministrativa sarebbe
finalizzata non al mero risarcimento del danno cagionato da un soggetto pubblico,
ma soprattutto al corretto utilizzo delle risorse e del patrimonio pubblico, nonchè
alla attuazione del principio della responsabilità dei pubblici amministratori e
dipendenti.
Inoltre, dalla regola processuale si ricavano argomenti in ordine alla natura e alla
funzione dell’istituto di diritto sostanziale: la sottrazione alle amministrazioni
danneggiate del potere di azione con conferimento ad un organo pubblico
magistratuale, suffraga la tesi della connotazione pubblicistica sanzionatoria e
preventiva, della responsabilità amministrativa.
La natura intrinsecamente patrimoniale dei rapporti che sono oggetto del
processo amministrativo dovrebbe indurre ad una conformazione dello stesso, in
via di principio, agli schemi ed alle regole dell’ordinario processo civile.
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In effetti, l’art. 26 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte
dei conti (R.D. 13 agosto 1933 n. 1038 “nei procedimenti di competenza della Corte dei
conti si osservano le norme e i termini della procedura civile in quanto siano applicabili e
non siano modificati dalle disposizioni del presente regolamento”) prevede un rinvio
generale al codice di rito, ma, nello stesso tempo la stessa norma, subordinando
l’applicazione delle norme codicistiche ad una valutazione di “applicabilità” rileva
la particolarità e la specialità del sistema processuale giustificate anche dalla
presenza di un “superiore interesse” alla integrità delle risorse pubbliche.
Quanto alla responsabilità amministrativa, se da un lato la corrispondenza
all’obbligo di risarcire il danno porta a ricondurla al genus della responsabilità
civile (o meglio per parte della dottrina una species del genus responsabilità civile,
che si affianca ma non si confonde con le ben note responsabilità civili contrattuali
ed extracontrattuali) e ad escludere “senz’altro” la natura pubblicistica, dall’altro
si sostiene che, seppure abbia una connotazione compensativa-risarcitoria e sia
incentrata sul danno, a tale funzione associa anche quella sanzionatoria e
preventiva, essendo destinata a garantire in aderenza al principio di buon
andamento dell’amministrazione, comportamenti degli agenti pubblici diligenti e,
ad un tempo, efficaci ed efficienti.
Chiarito quanto sopra, ritornando alla figura della Procuratore contabile si può
affermare che, ove si assuma che la funzione essenziale della responsabilità
amministrativa sia quella di garantire il buon andamento dell’azione
amministrativa, ovvero la corretta gestione delle risorse pubbliche, è
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consequenziale ritenere che il potere di agire in giudizio non possa restare nella
disponibilità delle singole amministrazioni ed essere esercitata solo eventualmente
o, peggio, a seconda dei rapporti personali che intercorrono tra coloro che possono
esercitarla e gli agenti pubblici da convenire in giudizio e, pertanto, è essenziale ed
irrinunciabile la figura del Procuratore.
Il Procuratore non rappresenta l’amministrazione, ma gli interessi generali
dell’ordinamento giuridico.
La definizione della posizione e del ruolo del Procuratore presso la Corte dei
conti viene fornito dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza del 9 marzo
1989 n. 104: “Il giudizio di responsabilità amministrativa trae il suo fondamento dagli artt.
82 e 83 della legge sulla contabilità generale dello Stato, approvata con regio decreto 18
novembre 1923, n. 2440, e dall'art. 52 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti
approvato con regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214. Si instaura non solo nei confronti di
coloro che sono legati da un rapporto di servizio con lo Stato, ma anche a carico di
funzionari di enti pubblici, tra cui le Regioni (sentenze n. 62 del 1973; n. 211 del 1972; n.
68 del 1971; n. 110 del 1970; n. 143 del 1968), ad istanza del Procuratore Generale della
Corte dei conti o su denuncia dell'amministrazione o ad iniziativa diretta del predetto
Procuratore Generale (art. 43 del Regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte
dei conti, approvato con regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038).
Il Procuratore Generale della Corte dei conti, nella promozione dei giudizi, agisce
nell'esercizio di una funzione obiettiva e neutrale. Egli rappresenta l'interesse generale al
corretto esercizio, da parte dei pubblici dipendenti, delle funzioni amministrative e
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contabili, e cioè un interesse direttamente riconducibile al rispetto dell'ordinamento
giuridico nei suoi aspetti generali ed indifferenziati; non l'interesse particolare e concreto
dello Stato in ciascuno dei settori in cui si articola o degli altri enti pubblici in relazione
agli scopi specifici che ciascuno di essi persegue, siano pure essi convergenti con il primo.
Egli vigila per l'osservanza delle leggi, per la tutela cioè dello Stato e per la repressione dei
danni erariali conseguenti ad illeciti amministrativi, ma non effettua un controllo diretto
ad accertare se i provvedimenti delle autorità amministrative siano stati emanati con
l'osservanza delle leggi e con il rispetto dei criteri della buona e regolare amministrazione.
La legge non gli attribuisce l'amplissimo potere di svolgere indagini a propria
discrezionalità in un ampio settore dell'amministrazione senza che, secondo le circostanze,
sia presumibile la commissione di illeciti produttivi di danni. Non è sufficiente, cioè, la
mera supposizione. Il suo intervento non può basarsi su mere ipotesi.
Lo stesso Procuratore Generale resta abilitato alle specifiche istruttorie e al promuovimento
della conseguente azione (sentenza n. 421 del 1978).
Il giudizio di responsabilità mutua le sue forme dal processo civile per quanto applicabili
(art. 26 del Regolamento approvato con regio decreto n. 1038 del 1933) con la vigenza,
però, relativamente all'aspetto istruttorio, sia del principio dispositivo che di quello
inquisitorio, con ampia possibilità di produzione di prove consentita a tutte le parti del
giudizio e con la possibilità del giudice di integrare il materiale probatorio anche al di là
delle allegazioni delle parti. La commistione è da porsi in relazione all'interesse che si
persegue e alla finalità che il giudizio è diretto a realizzare, cioè la reintegrazione del
pubblico patrimonio che è quella stessa che fonda il potere del Procuratore Generale di agire
32
d'ufficio al di fuori ed anche contro le determinazioni dell'amministrazione ed anche dopo
l'acquisizione dei visti e pareri degli organi amministrativi di controllo. Ed è la stessa Corte
che può demandare, se del caso, specifica attività istruttoria al Procuratore Generale.
Ma, indipendentemente ed anche prima della citazione e anteriormente al giudizio, il
Procuratore Generale può chiedere in comunicazione atti e documenti in possesso di
autorità amministrative e giudiziarie e può anche disporre accertamenti diretti (art. 74 del
Regolamento approvato con regio decreto n. 1038 del 1933), così potendosi rivolgere, per
l'area che interessa, alla Commissione di controllo di cui è anche membro un magistrato
della stessa Corte dei conti.
Il potere che si esercita deve, tuttavia e in ogni caso, essere ispirato ad un criterio di
obiettività, di imparzialità e neutralità, specie perché ha un fondamento di discrezionalità.
La discrezionalità richiede cautele e remore maggiori se sia diretta ad un interesse
giurisdizionale, cioè alla acquisizione di elementi necessari ad una eventuale pronuncia del
giudice. Deve essere determinata da elementi specifici e concreti e non da mere
supposizioni.”.
L’azione introduttiva del giudizio di responsabilità amministrativa ha ad oggetto
la realizzazione del “diritto al risarcimento del danno” (vedasi l’ art. 1 comma 2 L.
20/1994 “Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni….”).
Tale diritto fa capo all’amministrazione danneggiata, a cui favore, in caso di
accoglimento, viene pronunziata la condanna, a carico del o dei responsabili, e che,
in quanto soggetto “titolare del credito” liquidato da giudice, preposta alla sua
riscossione (vedasi art. 76 D. P.R. n. 1214/1934 “Le decisioni della Corte, le ordinanze e
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i decreti presidenziali che interessano l’erario sono trasmessi cura del Pubblico Ministero,
per la loro esecuzione, alle amministrazioni interessate” e art. 1 D.P.R. 24 giugno 1998,
n. 260 “Alla riscossione dei crediti liquidati dalla Corte dei conti, con sentenza o ordinanza
esecutiva a carico di responsabili per danno erariale, provvede l'amministrazione o l'ente
titolare del credito, attraverso l'ufficio designato con decreto del Ministro competente
emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 4- bis , lettera e) , della legge 23 agosto 1988, n.
400, o con provvedimento dell'organo di governo dell'amministrazione o ente interessati.”).
Problematica è l’individuazione dell’interesse di cui debba dirsi portatore nel
processo il Procuratore Contabile.
Si sostiene generalmente che il Procuratore non è portatore di un interesse
concreto, bensì rappresenta la collettività statualmente organizzata e, pertanto, la
sua presenza nel processo risponde alla esigenza di tutela del generale interesse
alla attuazione ed esatta applicazione della legge.
Tale visione, però, potrebbe risultare troppo astratta e generica, rispetto al ruolo
processuale effettivamente svolto dallo stesso: anzi, potrebbe far confondere la sua
figura con quella del giudicante.
Pertanto, appare più esatto definire che l’azione pubblica deve essere intesa come
indirizzata alla realizzazione del diritto che nel giudizio amministrativo-contabile
viene dedotto.
Agevolmente, quindi, si può affermare che il Pubblico Ministero nel processo
contabile fa valere in giudizio il diritto al risarcimento di cui è titolare
l’amministrazione danneggiata e che la relativa azione è mirata alla realizzazione
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di quel diritto: concetto, questo, che non cozza con la piena autonomia del potere
di azione della Procura rispetto all’amministrazione, nè con la doverosità
dell’esercizio di detto potere.
Naturalmente l’azione è di esclusiva pertinenza del Procuratore Contabile e,
quindi, viene esclusa l’amministrazione.
Ciò non significa una presunzione di incapacità delle amministrazioni ad
esercitare l’azione risarcitoria nei confronti dei propri agenti: si faccia riferimento
alla costituzione di parte civile dell’amministrazione nei processi penali.
Ed allora, perché non può essere presente l’amministrazione nei processi
contabili?
L’ostilità a tale presenza si desume dalla giurisprudenza della Corte dei conti e si
è auspicata una apertura al riguardo in relazione soprattutto al fatto che nel
giudizio di responsabilità debba tenersi conto dei vantaggi conseguiti
dall’amministrazione o dalla comunità amministrata e che tale valutazione non
potrebbe prescindere da valutazioni provenienti dalla stessa pubblica
amministrazione invece che essere oggetto di mera valutazione discrezionale del
giudice.
Indubbiamente, la partecipazione al giudizio dell’amministrazione interessata in
detti termini posta in grado di incidere sulla determinazione di uno dei
presupposti per l’accoglimento della domanda potrebbe rappresentare una offesa
al principio di esclusività dell’azione pubblica.
E proprio tale “esclusività” viene dalla Dottrina messa in discussione: è stato
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rilevato che la sottrazione all’amministrazione danneggiata del potere di agire,
come della possibilità di intervenire in giudizio, pone dubbi di compatibilità
rispetto all’ordinamento costituzionale; mentre non si vede quale problema
comporterebbe l’attribuzione all’amministrazione della legittimazione ad agire,
beninteso senza con ciò escludere una autonoma e concorrente azione intestata al
pubblico ministero.
La ratio a fondamento della intestazione in capo al procuratore del potere di agire
d’ufficio è quella di sopperire al rischio di mancato o distorto esercizio dello
strumento da parte dell’amministrazione medesima.
Da tale principio deriva, da una parte, l’affermazione della autonomia
dell’iniziativa del pubblico ministero rispetto alle determinazioni
dell’amministrazione e dall’altro che il pubblico ministero debba ispirare le proprie
determinazioni e il proprio comportamento processuale ad un principio di
doverosità, nel senso di esclusiva valutazione delle ragioni giuridiche a
fondamento della domanda e del prevedibile esito della stessa.
Il tutto in una logica che non dovrebbe essere quella della mera repressione di
comportamenti illeciti, bensì della realizzazione del diritto al ristoro dei danni.
Contestato è il principio secondo cui il procuratore contabile può decidere di
disporre l’archiviazione senza che tale determinazione sia sottoposta al controllo
del giudice (diversamente dal Procuratore Penale).
Tale decisione viene considerata, da parte della Dottrina, una violazione dell’art.
111 Cost., come una forma di esclusione della dialettica processuale, e ritiene che
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ciò contrasti con la doverosità dell’azione della Procura, nonché con il fatto che
l’interesse pubblico richiede comunque, una volta avviato il processo, la pronuncia
di un giudice quale tutore – succeduto al pubblico ministero – della realizzazione
dell’interesse fatto valere in giudizio.
La configurazione del Pubblico Ministero quale legittimato straordinario
all’azione e, comunque, attore, dovrebbe comportare in linea di principio né più né
meno gli stessi poteri ed oneri che competono alle altre parti, cioè ai convenuti.
Tale contrasto con l’art. 111 Cost. si ravvede anche con riguardo alle regole sulla
raccolta della prova: la giustificazione a tale ampio potere conferitogli, si lega al
fatto che egli non viene configurato come parte in senso proprio, bensì come
soggetto che si preoccupa di perseguire l’interesse della collettività.
Avv. Gesi Dignani