Compendio di Geografia Umana

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1 GEOGRAFIA UMANA J. FELLMANN A. GETIS J. GETIS PARTE PRIMA CAPITOLO I: ALCUNE NOZIONI DI BASE Il contenuto di un’area geografica presenta aspetti sia fisici sia culturali e la geografia mira sempre a indagare entrambi. Geografia umana. Nel geografia umana confluiscono tutti gli ambiti della geografia che non sono direttamente connessi con l’ambiente fisico. Il contenuto della geografia umana offre la possibilità di integrare tutte le scienze sociali, in quanto conferisce a tali scienze il necessario punto di vista spaziale e sistematico di cui altrimenti sarebbero deficitarie. CONCETTI GEOGRAFICI ESSENZIALI I luoghi hanno un’ubicazione, una direzione e una distanza in relazione ad altri luoghi. Un luogo ha una dimensione. Un luogo possiede sia una struttura fisica sia un contenuto culturale. Le caratteristiche dei luoghi variano nel corso del tempo. Gli elementi di un luogo sono in correlazione con altri luoghi. Il contenuto dei luoghi è strutturato e spiegabile. I luoghi possono essere raggruppati in unità definibili regioni, in base alle loro somiglianze e differenze. Ubicazione, direzione e distanza. Rappresentano i modi in cui comunemente rappresentiamo lo spazio che ci circonda. L’ubicazione assoluta consiste nell’identificazione di un luogo sulla base di coordinate riconosciute (uno di essi è il reticolato geografico di meridiani e paralleli). Tale ubicazione è unica e indipendente da qualsiasi altro luogo descritto. L’ubicazione relativa rappresenta la posizione di un luogo in relazione ad altri. Alla luce di questa diversità i geografi operano una distinzione tra sito e situazione. Il sito è un concetto di ubicazione assoluta e fa riferimento a caratteristiche fisiche e culturali del luogo stesso

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GEOGRAFIA UMANA

J. FELLMANN A. GETIS J. GETIS

PARTE PRIMA CAPITOLO I: ALCUNE NOZIONI DI BASE Il contenuto di un’area geografica presenta aspetti sia fisici sia culturali e la geografia mira sempre a indagare entrambi. Geografia umana. Nel geografia umana confluiscono tutti gli ambiti della geografia che non sono direttamente connessi con l’ambiente fisico. Il contenuto della geografia umana offre la possibilità di integrare tutte le scienze sociali, in quanto conferisce a tali scienze il necessario punto di vista spaziale e sistematico di cui altrimenti sarebbero deficitarie. CONCETTI GEOGRAFICI ESSENZIALI

• I luoghi hanno un’ubicazione, una direzione e una distanza in relazione ad altri luoghi. • Un luogo ha una dimensione. • Un luogo possiede sia una struttura fisica sia un contenuto culturale. • Le caratteristiche dei luoghi variano nel corso del tempo. • Gli elementi di un luogo sono in correlazione con altri luoghi. • Il contenuto dei luoghi è strutturato e spiegabile. • I luoghi possono essere raggruppati in unità definibili regioni, in base alle loro somiglianze e

differenze. Ubicazione, direzione e distanza. Rappresentano i modi in cui comunemente rappresentiamo lo spazio che ci circonda. L’ubicazione assoluta consiste nell’identificazione di un luogo sulla base di coordinate riconosciute (uno di essi è il reticolato geografico di meridiani e paralleli). Tale ubicazione è unica e indipendente da qualsiasi altro luogo descritto. L’ubicazione relativa rappresenta la posizione di un luogo in relazione ad altri. Alla luce di questa diversità i geografi operano una distinzione tra sito e situazione. Il sito è un concetto di ubicazione assoluta e fa riferimento a caratteristiche fisiche e culturali del luogo stesso

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(il sito di Damasco è sempre stato favorito da favorevoli condizioni ecologiche); la situazione invece fa riferimento alle relazioni esterno di un luogo e quindi alla sua relazione con altri luoghi (la situazione di Aleppo è favorevole in relazione alla sua posizione strategica lungo la via della seta, mentre il suo sito è sostanzialmente insignificante). La direzione si divide anch’essa in assoluta (se si basa su punti cardinali ad esempio) o relativa. La distanza può essere intesa in senso assoluto (separazione di due punti misurata tramite unità di misura convenzionali) e relativa (ad esempio una destinazione urbana potrebbe essere distante circa dieci euro di taxi). Dimensioni e scala. La scala rappresenta la raffigurazione di un oggetto e determina il livello di generalizzazione rappresentato. Caratteristiche fisiche e culturali. Tutti i luoghi hanno caratteristiche fisiche e culturali che li contraddistinguono, le caratteristiche fisiche connotano aspetti naturali del luogo, come il clima e il suolo, ossia il contesto all’interno del quale si svolge l’azione umana, il paesaggio naturale; di fatto ogni attività umana lascia l’impronta sulle risorse di un’area geografica e la sua manifestazione è detta paesaggio culturale. Caratteristiche mutevoli dei luoghi. Le caratteristiche attuali dei luoghi sono il risultato di un cambiamento continuo rispetto alle condizioni di partenza. Interrelazione tra luoghi. Per descrivere i modelli che assume l’interazione spaziale i geografi introducono i concetti di accessibilità e connettività. La considerazione della distanza comporta la valutazione dell’accessibilità: tutte le zone delle città antiche erano accessibili a piedi, uno status perduto quando con l’industrializzazione le città aumentarono in estensione e in abitanti. L’accessibilità perciò evoca l’idea di connettività, un concetto più ampio che implica tutti i modi tangibili e non tangibili, in cui i luoghi sono collegati, dalle linee telefoniche alle reti stradali. Tra i luoghi esiste inevitabilmente un interscambio, la globalizzazione ha comportato l’aumento dell’interconnessione fra le società in tutte le parti del mondo. Contenuto strutturato dei luoghi. La disposizione degli elementi sulla superficie terrestre, prende il nome di distribuzione spaziale, e può essere analizzata sulla base di diversi concetti, densità, dispersione e modello di distribuzione. La densità misura il numero di elementi all’interno di una determinata unità areale. La dispersione rappresenta il livello di diffusione di un fenomeno su un’area.

Sia nell’area A che nell’area B vi è la stessa densità di elementi, ma la dispersione è differente: in A gli elementi sono accentrati, mentre in B sono dispersi. Il modello di distribuzione infine indica la dispersione geometrica degli elementi in un’area: la distribuzione di case lungo un fiume ad esempio potrebbe essere considerata lineare. Somiglianza tra luoghi e concetto di regione. Spesso aree

geografiche diverse hanno un contenuto fisico e culturale simile, consentendo cosi di riconoscere e definire le regioni. Le regioni possono essere formali, quando sono caratterizzate da un’essenziale uniformità di una o più caratteristiche fisiche, culturali o politiche. Le regioni sono dette funzionali, se possiedono una caratteristiche uniforme non in termini di contenuto ma di connettività. Infine le regioni possono definirsi percettive se riflettono uniformità di sensazioni o immagini anziché dati oggettivi. CARTE GEOGRAFICHE Le carte geografiche sono strumenti per identificare le regioni e analizzare il loro contenuto.

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Nel reticolato geografico, utilizzato per determinare l’ubicazione di un elemento, la latitudine misura la distanza a nord e a sud dell’equatore, mentre la longitudine è la distanza angolare a est e a ovest dal primo meridiano che per convenzione è rappresentato da Greenwich. Nelle carte geografiche l’organizzazione dei dati può essere rappresentato secondo carte tematiche, ossia che presenti dati in forma grafica; su una mappa isometrica vengono invece tracciate linee che collegano punti aventi stesse caratteristiche (ad esempio altezza); in terzo luogo la mappa coropletica presenta un valore medio dei dati studiati per preesistenti unità areali. Infine è possibile anche parlare di mappe mentali, ossia quelle mappe che riflettono la propria visione della realtà spaziale e si basano su informazioni ricevuto, interpretate e immagazzinate. CAPITOLO II: LE RADICI E IL SIGNIFICATO DELLA CULTU RA LE COMPONENTI DELLA CULTURA All’interno della società, la cultura si trasmette alla generazione successiva tramite imitazione, istruzione ed esempio. Gli individui acquisiscono modelli comportamentali e di conoscenze che sono influenzati dall’età, il sesso, lo status sociale ecc. specifici del soggetto: ciascun individuo apprende le regole e le convenzioni non soltanto della cultura generalmente intesa, ma anche della sottocultura specifica alla quale appartiene e ci si aspetta che il soggetto si conformi ad entrambe. Nell’ambito della complessità della vita umana cercheremo di isolare quelle variabili culturali basilari che conferiscono struttura alla società. In primo luogo vi sono i tratti culturali, sono unità di comportamento acquisito, l’espressione più elementare della cultura, i mattoni che formano i complessi modelli comportamentali dei diversi gruppi di individui. Singoli tratti culturali formano una struttura culturale che si riferisce ai diversi ambiti della società quali la sfera religiosa, economica politica ecc… . Quando esistono diverse comunanze tra gruppi di individui per quel che riguarda tratti e strutture culturali si fa riferimento a sistemi culturali, ad esempio i cittadini del “meltin pot” statunitense si identificano come americani, costituendo tutti insieme un unico sistema culturale, in quanto nonostante le diversità etniche o linguistiche condividono un numero di caratteristiche comuni. Di solito i geografi umani fanno riferimento alla regione culturale come ad una porzione della superficie terrestre occupata da popolazioni che condividono caratteristiche culturali riconoscibili e distintive. Infine un sistema di tali regioni culturali che presentano strutture correlate possono essere raggruppate in un complesso culturale regionale il quale presenta una uniformità di base delle sue caratteristiche culturali.

INTERRELAZIONE TRA UOMO E AMBIENTE Le interrelazioni tra individui e ambiente di una determinata area geografica, sono i temi dell’ecologia culturale, disciplina che indaga la relazione fra un gruppo culturale e l’ambiente

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naturale da esso occupato. Gli ecologi culturali dichiarano che i pastori di sussistenza, i cacciatori-raccoglitori e gli agricoltori, hanno adattato le loro attività produttive (e tutto ciò che ne deriva) ai particolari limiti imposti dal loro habitat, ma questa influenza iniziale non determina la peculiarità della cultura che si svilupperà. Il controllo esercitato dall’ambiente. I soli fattori ambientali non possono giustificare le varianti culturali che si sviluppano nel mondo. L’ambiente pone determinati limiti all’utilizzo del territorio da parte dell’uomo, ma tali limiti non devono essere considerati come assoluti, bensì legati alle tecnologie disponibili. Il possibilismo teoria opposta al determinismo, è l’idea che siano gli individui e non gli ambienti in sé a determinare lo sviluppo culturale, in parole povere l’impatto dell’ambiente sulla società risulta inversamente correlato al livello di sviluppo di quest’ultima. L’impatto dell’uomo. Gli individui sono in grado di modificare l’ambiente e questo rappresenta l’altra metà della relazione tra uomo e ambiente di interesse geografico. Il paesaggio culturale, cioè la superficie terrestre modificata dall’azione dell’uomo, rappresenta l’impronta fisica tangibile di una data cultura; naturalmente più la cultura è tecnologicamente complessa e avanzata, tanto più palese e incisiva è la sua influenza sul paesaggio naturale. Nelle caotiche società urbane industriali, il paesaggio culturale ha finito per avere maggior peso sulla vita quotidiana degli individui rispetto all’ambiente fisico naturale, infatti gli abitanti di tali città per esempio possono vivere mantenendo uno scarso contatto con l’ambiente fisico. È quindi evidente una relazione biunivoca tra uomo e ambiente in cui vive, ma è altrettanto evidente come quest’ultimo influenzi sempre più marginalmente l’evoluzione del primo tanto più la cultura dell’uomo si sviluppi e progredisca. LE RADICI DELLA CULTURA Alla fine del periodo Paleolitico gli esseri umani si erano diffusi in tutti i continenti tranne l’Antartide, portando con sé le loro culture di cacciatori raccoglitori e le loro organizzazioni sociali di tipo adattativo. In questa prima fase dell’esistenza umana, la loro cultura (utensili, risorse, abbigliamento, abitazioni) rifletteva i diversi climi e l’ambiente che occupavano. I GERMI DEL CAMBIAMENTO Il ritiro degli ultimi ghiacciai decretò la fine dell’era paleolitica, avviando successivi processi di evoluzione culturale. Non tutte le culture hanno attraversato contemporaneamente le diverse fasi dello sviluppo, da qui il concetto di divergenza culturale tra gruppi umani. Le origini e la diffusione dell’agricoltura. Alla fine del periodo glaciale, la popolazione di cacciatori-raccoglitori crebbe lentamente. Man mano che il rapido cambiamento climatico incideva negativamente sulle loro risorse, gli individui sperimentarono la domesticazione delle piante e degli animali, il che favoriva una maggiore affidabilità per quanto riguarda le risorse necessarie al sostentamento della popolazione. Poiché in tali società alle donne spettava la mansione di raccogliere cibo, furono esse a sperimentare una maggiore familiarità con le piante alimentari e sembra certo che furono proprio le donne a rivestire un ruolo chiave nell’avviare forme di agricoltura concepite per sostituire la raccolta pura meno affidabile. Le diversità ambientali e climatiche furono importanti per la diffusione dell’agricoltura. Sebbene l’agricoltura si fosse sviluppata in modo autonomo in molte aree del mondo, gli abitanti del Medio Oriente ebbero la fortuna di avere grande presenza di piante adatte ad essere domesticate; l’Eurasia aveva invece abbondanza di animali di grossa taglia che potevano essere domesticati. Le grandi dimensioni dell’Eurasia significarono anche un gran numero di popoli, ciascuno in grado di sviluppare diverse tecnologie. La crescita della popolazione, la produttività agricola e lo scambio di menti creative permisero di adottare governi centrali, città, commercio ecc. cosi gli abitanti di altri continenti furono rapidamente soggiogati non per la loro innata inferiorità, ma a causa degli svantaggi di carattere geografico che limitarono o ritardarono le loro prospettive di sviluppo. I FOCOLAI CULTURALI

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Le rivoluzioni sociali e tecnologiche che cominciarono nel periodo neolitico e lo caratterizzarono si diffusero dalle culle di origine e furono adottate anche da individui che non avevano preso parte alla

loro creazione. Il termine focolaio culturale viene utilizzato per descrivere tali centri di innovazione e di invenzione, dai quali importanti tratti culturali si spostarono per esercitare la loro influenza sulle regioni circostanti. Ciascun focolaio culturale mostrava una rigorosa organizzazione agricola, che comportava un livello di produttività locale tale da consentire a numerosi individui di impegnarsi in attività non strettamente legate all’agricoltura, cosi ogni regione-focolaio vide la creazione di una società stratificata. Il diffusionismo è la convinzione che le somiglianze culturali si verificano principalmente tramite la propagazione nello spazio (diffusione) da un sito di origine. L’avanzamento culturale e le civiltà si trasmettono tramite vie di commercio e contatti fra gruppi e non sono quindi il frutto di creazioni separate e indipendenti. In ogni caso le caratteristiche comuni che derivano dalla diffusione di specifici tratti culturali, contengono le radici della convergenza culturale. Questo termine descrive la condivisione di tecnologie che si manifesta in modo assai evidente nel mondo contemporaneo anche tra società molto distanti. LA STRUTTURA DELLA CULTURA A scopi analitici i tratti culturali possono essere raggruppati ed esaminati come sottoinsiemi di un tutto, questi sono ideologico, tecnologico e sociologico. In una classificazione simile ma distinta vengono identificate tre componenti della cultura: i prodotti mentali, materiali o sociali. Il sottosistema ideologico è composto da idee credenze e conoscenze di una cultura; tali sistemi astratti di credenze o prodotti mentali passati di generazione in generazione, ci indicano in che cosa credere, a cosa attribuire valore e come agire. Il sottosistema tecnologico è composto dagli oggetti materiali (e dalle tecniche di utilizzo degli stessi) grazie ai quali gli individui sono in grado di vivere. Infine il sottosistema sociologico di una cultura è la somma dei modelli di relazioni interpersonali; tali prodotti sociali definiscono l’organizzazione sociale di una cultura, regolano il modo in cui il singolo si relaziona rispetto al gruppo. La natura interdipendente di tutti gli aspetti di una cultura prende il nome di integrazione culturale: per esempio l’improvvisa alterazione della struttura ideologica della Russia dopo la rivoluzione bolscevica del 1917, comportò l’improvvisa alterazione di tutti gli aspetti del sistema culturale di quel paese. IL MUTAMENTO CULTURALE Le culture per quanto sostanzialmente conservative si trovano in uno stato di flusso perpetuo.

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Naturalmente non tutti i mutamenti sono cosi ampi come quelli indotti dall’introduzione dell’agricoltura o dalla rivoluzione industriale. Molti sono irrilevanti, ma in combinazione con altri possono alterare sensibilmente la cultura. Il cambiamento su piccola scala avrà ampie ripercussioni man mano che i tratti collegati entrano in sintonia con il mutamento. I cambiamenti culturali sono indotti da innovazione, diffusione e acculturazione. Innovazione. Per una cultura l’innovazione implica dei mutamenti che derivano dalle idee create all’interno del gruppo sociale stesso. La novità potrebbe essere rappresentata da un miglioramento della tecnologia, quanto più l’innovazione è fondamentale tanto più dilaganti sono le sue conseguenze. Diffusione. La diffusione è il processo tramite il quale un’idea o un’innovazione viene trasmessa da un individuo o un gruppo ad un altro. Nella diffusione per spostamento l’innovazione viene fisicamente trasferita in nuove aree da popolazioni migranti che la possiedono; prodotti mentali o manufatti sono dunque introdotti in nuovi luoghi da colonizzatori. La diffusione delle religioni da parte dei colonizzatori costituisce un

chiaro esempio di diffusione per spostamento. La diffusione per espansione comporta la propagazione di un elemento innovativo da un luogo ad altri, ed è l’esempio tipico dell’Islam che si diffuse dal suo luogo originario nella penisola araba, lungo gran parte dell’Asia e dell’Africa settentrionale; quando la diffusione per espansione interessa quasi in maniera uniforme tutti gli individui esterni alla regione di origine si parla di diffusione per contagio. Acculturazione. Un gruppo culturale può subire sostanziali modifiche nei tratti che lo identificano, adottando alcune caratteristiche di un altro gruppo culturale dominante. È il caso dell’acculturazione, in cui popoli migranti acquisiscono valori, costumi e atteggiamenti della società che li ospita, la quale a sua volta subisce un cambiamento indotto dall’assorbimento del gruppo ospitato. Va da sé che in casi estremi, gruppi indigeni piccoli entrati in contatto con società conquistatrici, potrebbero semplicemente cessare di esistere come entità culturali distinte; in molti casi però, lo stretto

contatto tra due diversi gruppi può comportare più facilmente una rettifica di entrambi i modelli culturali originali, piuttosto che la scomparsa di uno dei due. Tale processo è oggi ravvisabile in Francia, dove la massiccia immigrazione dalle ex colonie africane comincia a intrecciare culture prima in contrasto, alterando entrambe. Ovviamente esistono degli ostacoli: le barriere alla diffusione sono qualsiasi tipo di condizioni che ostacolano il flusso di informazioni o gli spostamenti degli individui, ritardando o impedendo l’accettazione dell’innovazione. La distanza può rappresentare una barriera, ma il contatto tra regioni può essere ostacolato anche da barriere naturali quali oceani o terreni accidentati. Solitamente le culture che adottano innovazioni culturali non accettano i nuovi elementi cosi come si presentano, ma idee e manufatti adottati subiscono comunemente una qualche alterazione al fine di conformarli alle esigenze del paese importatore: il processo di fusione del vecchio con il nuovo prende il nome di sincretismo. CAPITOLO III: INTERAZIONE SPAZIALE E COMPORTAMENTO SPAZIALE In geografia umana, una delle domande fondamentali è: quali considerazioni influiscono sul modo in cui gli esseri umani utilizzano lo spazio e agiscono all’interno di esso? L’interazione spaziale

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indica il movimento di popoli, idee e prodotti all’interno delle aree geografiche e tra di esse. I principi che controllano il comportamento spaziale in questo senso, costituiscono un importante fulcro per lo studio della geografia umana. LE BASI DELL’INTERAZIONE Si osservò che l’interazione spaziale è governata da tre fattori che governano il flusso, ossia complementarietà, trasferibilità e opportunità. La complementarietà. Perché due luoghi interagiscano, l’uno deve avere ciò che l’altro desidera, ossia un luogo deve poter offrire un prodotto per il quale c’è una domanda nell’altro luogo. La trasferibilità. Anche quando esiste complementarietà, l’interazione spaziale si verifica solo quando vengono soddisfatte le condizioni di trasferibilità, ossia quando i costi di uno scambio o di uno spostamento risultino accettabili. La mobilità quindi non è soltanto una questione fisica, ma anche economica, infatti se un determinato bene non è accessibile, esso non sarà oggetto di scambio. L’opportunità. La complementarietà può risultare efficace soltanto se mancano fonti alternative di offerta o domanda, più attraenti, che siano più a portata di mano o meno costose. È necessario ricercare poi quei principi generali che governano la frequenza e l’intensità dell’interazione, sia per riconoscere la validità delle tre pre-condizioni sia per stabilire le probabilità che una data interazione possa effettivamente avvenire. Effetto decrescente della distanza. Ovunque la vita e le attività degli individui sono condizionate dall’attrito della distanza, in quanto quest’ultima ha un effetto ritardante o addirittura limitante dell’interazione dell’uomo; più in generale l’effetto decrescente della distanza descrive il calo di un’attività o di una funzione all’aumentare della distanza dal suo punto di origine. Concetto di gravità. Le decisioni di interazione non si basano esclusivamente su valutazioni circa la distanza o il rapporto distanza/costi. Applicando il modello di gravitazione universale (il quale afferma che la capacità di attrazione tra due oggetti è direttamente proporzionale alle loro masse e inversamente proporzionale alla loro distanza) alle scienza sociale anziché a quelle fisiche, la distanza può essere calcolata come costo di percorrenza invece che come distanza lineare. Qualunque sia l’unità di misura, tuttavia, il modello garantisce che, sebbene l’interazione spaziale tenda sempre a diminuire all’aumentare della distanza tra i luoghi, a una data distanza essa tenda a crescere all’aumentare delle dimensioni dei luoghi. Nella figura risulta chiaro che la capacità attrattiva della città B è maggiore della città A, in virtù delle sue maggiori dimensioni e quindi opportunità correlate, infatti il soggetto in questione pur trovandosi ad egual distanza dai due siti sarà maggiormente attratto dalla città B. IL COMPORTAMENTO SPAZIALE DELL’UOMO Gli esseri umani non sono merci e quindi non rispondono in maniera prevedibile e scontata ai dettami impersonali appena elencati dell’interazione spaziale. Tuttavia gli esseri umani devono essere disponibili alla mobilità e nel loro complesso rispondere alle considerazioni di distanza, tempo e costi del movimento dello spazio. I tipi di spostamenti che gli individui compiono e quindi l’estensione del loro spazio di attività dipendono da almeno tre variabili interrelate: la loro età; i mezzi di mobilità a loro disposizione e le opportunità.

Punto di rottura

soggetto Città B

Città A

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La prima variabile, lo stadio nella vita, fa riferimento a fasce specifiche di età, infatti generalmente le distanza più lunghe o comunque il proprio spazio di attività, è più esteso nelle fasce giovani e adulte della vita. La seconda variabile che incide sull’estensione dello spazio di attività è la mobilità, o capacità di viaggiare, con gli annessi costi e sforzi richiesti per superare l’attrito della distanza. Un terzo fattore è l’esistenza di opportunità, ad esempio nei quartieri a basso reddito, la povertà e l’isolamento limitano gli incentivi e le opportunità di spostarsi. La distanza e l’interazione umana. Gli individui effettuano più spostamenti a brevi distanze che a lunghe distanze, un’applicazione al comportamento umano del concetto di effetto decrescente della distanza. La frequenza degli spostamenti tende a diminuire molto rapidamente oltre la distanza critica di un individuo, ossia quella oltre la quale il costo, la fatica e i mezzi incidono fortemente sulla sua propensione a spostarsi. Interazione spaziale e accumulo di informazioni. Nel caso dei flussi informativi lo spazio assume un significato diverso. La comunicazione, per esempio, non implica necessariamente uno spostamento fisico, inoltre internet e le comunicazioni satellitari hanno reso immediate le comunicazioni personali e di massa in tutto il mondo e istantanei i trasferimenti di dati. Una visione ipotetica proiettata nel futuro suggerisce che quando la distanza cessa di essere un fattore determinante del costo o della velocità di comunicazione, la struttura dei processi decisionali risulta alterata. I ruoli delle città, i flussi di commercio, i limiti imposta dalla mobilità umana possono largamente mutare, comportando nuove conseguenze per i modelli di interazione spaziale. Flussi informativi. I flussi informativi significativi dal punto di vista spaziale sono di due tipi: gli scambi individuali e le comunicazioni di massa. Gli scambi tra individui e all’interno di piccoli gruppi tendono ad aumentare man mano che aumenta la complessità dell’organizzazione sociale, inoltre ciascun individuo sviluppa un campo delle comunicazioni personali, l’omologo in campo informativo, dello spazio di attività dell’individuo stesso. La comunicazione di massa è la trasmissione strutturata di informazioni in un flusso essenzialmente univoco tra singoli punti di origine e ampie aree di ricezione. Informazione e percezione. L’interazione spaziale umana, come detto, è condizionata da diversi fattori: complementarietà, trasferibilità, opportunità, i flussi tra i punti su un’area geografica sono influenzati dall’effetto decrescente della distanza e in parte sono dovuti ai modelli gravitazionali, gli individui agiscono in spazi di attività parzialmente determinati dalle fasi della loro età, dalla mobilità e da una seria di caratteristiche socioeconomiche. In ogni situazione di interazione spaziale però, le decisioni si basano sulla percezione, ossia sulla consapevolezza e le nostre convinzioni su determinati luoghi. La percezione dei luoghi fa si che noi avvertiamo le caratteristiche naturali e culturali di un’area e la sua struttura di opportunità. Tali percezioni potrebbero anche non essere basate sulla realtà o non essere supportate da informazioni equilibrate, per esempio i luoghi lontani sono meno conosciuti di quelli vicini e i diversi rischi possono essere mentalmente minimizzati a causa della familiarità o della razionalizzazione. LA MIGRAZIONE Per migrazione si definisce lo spostamento permanente o a lungo termine del luogo di residenza e dello spazio di attività. Negli ultimi decenni, i massicci movimenti di individui sono divenuti un pressante elemento di preoccupazione in quanto incidono sulle strutture economiche nazionali e modificano le tradizionali mescolanza etniche, linguistiche e religiose.

Zona senza attrito

Distanza critica

Distanza dal domicilio

Frequenza dell’interazione

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Modelli di migrazione. I flussi migratori possono essere analizzati su diverse scale: su scala più ampia , movimenti intercontinentali vanno dai primissimi popolamenti del mondo abitabile ai più recenti esodi dei profughi asiatici o africani verso i paesi dell’Europa o dell’emisfero occidentale. Le migrazioni intracontinentali e interregionali, comportano movimenti tra paesi e all’interno degli stessi e sovente tali migrazioni sono una forma di fuga da condizioni ambientali, militari, economiche o politiche difficili o pericolose; ad esempio nel XX secolo quasi tutti i paesi assistettero a un cospicuo movimento di individui delle zone agricole alle città dato che nelle economie avanzate esplodeva la rivoluzione industriale. Tipi di migrazione. Le migrazioni possono essere rilocalizzazioni forzate o volontarie oppure in molti casi possono essere imposte ai migranti dalle circostanze. Nelle migrazioni forzate, prendere la decisione di trasferirsi sono esclusivamente individui diversi dai migranti stessi: gli africani trasferiti con la forza come schiavi nell’emisfero occidentale furono probabilmente da 10 a 12 milioni; la stessa Australia deve il suo primo insediamento europeo ai detenuti trasportati nella colonia penale britannica. La grande maggioranza dei movimenti migratori, però è volontaria: fondamentalmente le migrazioni hanno luogo perché i migranti ritengono che le loro opportunità e condizioni di vita saranno migliori nella loro meta rispetto a quanto lo siano nella loro ubicazione attuale. Fattori che determinano la migrazione. Sono considerazioni di carattere economico a determinare la maggior parte delle decisioni di migrazione. Le condizioni negative del luogo di origine che incoraggiano la decisione di migrare prendono il nome di fattori di spinta (push factors). Fra essi si possono annoverare la disoccupazione, la mancanza di opportunità, il sovraffollamento e svariati altri elementi quali la povertà, la guerra e la fame. Le presumibili condizioni positive del luogo di destinazione prendono il nome di fattori di attrazione (pull factors). Queste valutazioni sono chiaramente collegato al livello di aspirazione dell’individuo, ossia il livello di ambizione o aspirazione che l’individuo prevede per sé stesso. La globalizzazione. Abbiamo visto come il costo della comunicazione incida sul livello di interazione spaziale. A partire dagli anni Novanta, internet, i costi di trasporto più accessibili e una forte pressione internazionale per ridurre le barriere al commercio influiscono sui modelli economici, politici e culturali del mondo. Al riguardo è emblematico l’ambito finanziario, ove si verificano transazioni bancarie internazionali con trasferimenti istantanei di miliardi di dollari attraverso i confini, a seguito delle opportunità di investimento che si manifestano. Le società transnazionali hanno le loro sedi centrali in un Paese e società affiliate, industrie, magazzini e via dicendo in molti altri. Come la globalizzazione della finanza, dell’industria e del commercio, l’internazionalizzazione della cultura di massa è una ulteriore prova della trasformazione dell’interazione spaziale moderna. CAPITOLO IV: POPOLAZIONE, MODELLI MONDIALI E TENDEN ZE REGIONALI Dopo due secoli di crescita lenta, nel secondo dopoguerra la popolazione mondiale iniziò un’espansione esplosiva. Il calo dei tassi di crescita di molti paesi in via di sviluppo ha ridimensionato le precedenti stime della popolazione mondiale per il 2100 portandole da 10 miliardi a non oltre 8-9 miliardi. Le popolazioni delle regioni meno sviluppate potranno aumentare del 60% circa. Mentre nel 2000 soltanto l’80% della popolazione

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mondiale si trovava in regioni considerate meno sviluppate, nel 2050 saranno situati in tali zone quasi i nove decimi di un totale maggiore. ALCUNE DEFINIZIONI IN AMBITO DEMOGRAFICO Il tasso di natalità. Rappresenta il numero di bambini nati vivi nell’anno considerato ogni mille individui. Tale indice è fortemente influenzato dalla struttura per età e per sesso della sua popolazione e dalle politiche adottate a livello statale. Poiché tali condizioni sono soggette ad ampie variazioni regionali anche il tasso di natalità varia fortemente per area geografica. I tassi di natalità inferiori al 18 per mille sono considerati bassi e questa tendenza comincia a interessare un numero sempre crescente di paesi in via di sviluppo, alcuni di essi come la Cina hanno adottato programmi di pianificazione familiare. “Una coppia un bambino” divenne lo slogan di una nuova manovra di controlla demografico in Cina; furono incoraggiati matrimoni in tarda età, furono imposte penalità (pecuniarie, ma anche in termini di esclusione dai servizi) per la nascita di un secondo figlio. L’infanticidio fu uno dei più diffusi mezzi da parte della famiglie per conformarsi al limite di un solo figlio o per aumentare le probabilità che fosse maschio. Le proiezioni suggeriscono che a causa della riduzione della fecondità la popolazione cinese inizierà addirittura a diminuire ed il paese sta iniziando ad affrontare il problema di una percentuale in diminuzione di individui in età lavorativa e l’assenza di una adeguata rete di assistenza sociale rivolta al numero di anziani in rapido aumento. La riduzione del tasso di natalità sembra essere strettamente connesso allo sviluppo economico, ma anche le questione religiose e politiche possono incidere sul tasso di natalità. Tasso di fecondità. Il tasso generico di natalità viene definito generico in quanto nel suo denominatore confluiscono anche coloro che non hanno alcuna possibilità di procreare (maschi e femmine troppo giovani o troppo anziani). Il tasso di natalità invece rappresenta un indicatore più preciso visto che esprime la capacità riproduttiva della donne in età feconda e indica il numero di figli che nascerebbero da ogni donna durante i suoi anni fertili. Benché un tasso di fecondità pari a due possa sembrare sufficiente per rimpiazzare esattamente la popolazione (un bambino per ciascun genitore) in realtà il livello di sostituzione viene raggiunto soltanto a 2,1 in quanto i decimali sono necessari per compensare la mortalità neonatale e infantile. Tasso di mortalità. Si calcola mettendo in relazione il numero di decessi avvenuti nell’anno preso in esame per ogni mille individui. Il tasso di mortalità infantile e la speranza di vita migliorarono quando si diffusero vaccini e cure più sofisticate. Il tasso di mortalità infantile risulta significativo perché è proprio in corrispondenza di tale fascia di età che si è verificata la maggiore riduzione del numero di decessi, e quindi

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la riduzione del tasso di mortalità generale. Attualmente, nonostante negli ultimi anni vi sia stata una riduzione del tasso di mortalità infantile, continuano a sussistere importanti variazioni su scala regionale e nazionale.

La piramide demografica. Natalità, fecondità e mortalità fanno parte di un sistema demografico interconnesso. Per visualizzare le caratteristiche della struttura per età e per sesso della popolazione, i demografi ricorrono alla costruzione della piramide della popolazione. Il termine piramide proviene dal fatto che la struttura di popolazione soggetta a tendenze di natalità e mortalità naturali assumerebbe la forma di una piramide, ma non esistono popolazioni esenti da interferenze esterne, cosi il diagramma si trova ad assumere varie forme. Le popolazioni con elevati tassi di mortalità e natalità saranno rappresentate da una piramide a base larga e punta stretta, mentre quelle con natalità e mortalità basse avranno un diagramma a base stretta più simile e un rettangolo che ad una piramide. L’incremento naturale. La conoscenza della struttura per età e per sesso di una popolazione consente ai demografi di prevederne i futuri livelli demografici. Il tasso di incremento naturale di una popolazione si ottiene sottraendo il tasso generico di mortalità dal tasso di natalità, il termine naturale intende sottolineare che non tiene conto di eventuali migrazioni. Se un paese in un anno registrasse un tasso di natalità dal 22 per mille e un tasso di mortalità del 12 per mille avrebbe un tasso di incremento del 10 per mille. Tempo del raddoppio. Può risultare interessante mettere in evidenza il tempo di raddoppio ossia il numero di anni necessari perché una popolazione che cresce con un dato tasso di incremento raddoppi la propria consistenza. Tuttavia la crescita di un paese dipende anche dai modelli di immigrazione ed emigrazione il che equivale a dire che la crescita demografica naturale di un paese, basata esclusivamente sul numero di nascite e di decessi, può comportare tempi di raddoppio più lunghi rispetto alla crescita complessiva dello stesso paese che considera anche le migrazioni. LA TRANSIZIONE DEMOGRAFICA

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Un tentativo di sintetizzare la relazione che sembra sussistere tra la crescita demografica e lo sviluppo economico è rappresentato dal modello di transizione demografica. In tale modello sono compresi diversi stadi, il primo stadio è caratterizzato da un tasso di mortalità elevata controbilanciato da un tasso di natalità altrettanto elevato. Fintanto che il numero delle nascite è lievemente superiore a quello dei decessi la popolazione aumenterà lentamente.

Il modello di transizione demografica fu sviluppato per spiegare la storia della popolazione dell’Europa occidentale, che entrò in un secondo stadio con l’industrializzazione. I suoi effetti (calo del tasso di mortalità accompagnato da un tasso di natalità in crescita) si fecero sentire nel mondo intero. Il terzo stadio si verifica quando il tasso di natalità si riduce, man mano che gli individui iniziano a controllare le dimensioni delle famiglie. A differenza di quanto avviene nella società agricola, nelle

culture industrializzate e urbanizzate, i vantaggi di avere molti figli non sono cosi evidenti. Il modello classico di transizione demografica si conclude con un quarto stadio caratterizzato da tassi di natalità e mortalità molto bassi. Questo stadio prevede, nella migliore della ipotesi soltanto lievissimi incrementi demografica e tempi di raddoppio lunghissimi. In alcuni paesi, il tasso di mortalità ha iniziato a eguagliare o a superare quello di natalità provocando un calo addirittura della popolazione. Questa estensione del quarto ad un quinto stadio è stato finora in gran parte confinata al ricco mondo industrializzato, soprattutto a Europa e Giappone. Il modello di transizione demografica descriveva il corso inevitabile che si supponeva avrebbero avuto gli eventi demografici. Il modello non riuscì però a prevedere che non tutti i paesi in via di sviluppo avrebbero necessariamente compiuto il percorso demografico precedentemente tracciato dalla popolazione europea. Molte società in via di sviluppo si sono fermate al secondo stadio del modello, incapaci concretizzare i vantaggi economici e i cambiamenti sociali necessari per passare al terzo stadio. DISTRIBUZIONE DEMOGRAFICA MONDIALE Miliardi di individui non sono distribuiti sulla Terra in modo omogeneo. Dalla distribuzione irregolare della popolazione possiamo trarre alcune conclusioni generali. In primo luogo quasi il 90% della popolazione mondiale vive a nord dell’equatore e due terzi del totale abitano nelle latitudini europee. Un’altra conclusione è che, sebbene le zone pianeggianti siano i luoghi di insediamento preferiti, non tutte le aree sono ugualmente favorite, infatti le zone costiere hanno attirato gli insediamenti più popolosi. Tra le parti del mondo generalmente favorevoli all’insediamento, quattro aree contengono consistenti raggruppamenti di popolazione: Europa, Asia Orientale, Asia meridionale e Nord-Est degli Stati Uniti. DENSITA’ DELLA POPOLAZIONE Il termine densità di popolazione esprime la relazione che intercorre fra il numero di abitanti e l’area da essi abitata. Un indicatore più raffinato è rappresentato dalla densità fisiologica che esprime il rapporto tra la popolazione di un paese ed il terreno coltivabile. La densità agricola costituisce un altro utile indicatore. Essa esclude dal calcolo della densità fisiologica le popolazioni urbane e riporta il numero di abitanti rurali per unità di terreno produttivo dal punto di vista agricolo.

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La sovrappopolazione. Il sovraffollamento è un riflesso non del numero degli individui per unità di superficie, ma della capacità di carico del territorio, ossia il numero di individui che un’area può sostenere nel tempo. La sovrappopolazione può verificarsi in corrispondenza di condizioni di vita che riflettono uno squilibrio tra il numero di individui e la capacità di carico del territorio, e una misura di tale squilibrio potrebbe essere la mancanza di disponibilità di derrate alimentari. Urbanizzazione. Le pressioni sulle risorse della terra dei vari paesi sono aumentate non soltanto per la crescita della popolazione, ma anche per la riduzione del terreno coltivabile a essa associata. L’urbanizzazione della popolazione nei paesi in via di sviluppo sta aumentando vertiginosamente e a partire dagli anni ’50, le città sono cresciute molto rapidamente e ciò ha aumentato le pressioni sul terreno coltivabile e ha provocato l’innalzamento della densità numerica sia di quella fisiologica. I FATTORI CHE DETERMINANO LA POPOLAZIONE tutte le proiezioni demografiche partono dal presupposto che a un certo punto la crescita demografica si arresterà e si stabilizzerà al livello di sostituzione. Robert Malthus espose il problema nel sio saggio sul principio di popolazione: tutte le popolazioni hanno un potenziale di espansione che supera l’attuale tasso di crescita e le risorse per sostenere tale incremento sono limitate. Malthus ampliò tale tesi rilevando quanto segue:

• La popolazione è inevitabilmente limitata dai mezzi di sussistenza • Le popolazioni aumentano con l’aumentare dei mezzi sussistenza • Gli ostacoli che inibiscono le capacità riproduttive della popolazione e che la mantengono in

equilibrio coi mezzi di sussistenza sono sia preventivi (castità, celibato..) sia repressivi (guerre, pestilenze, fame..)

Inevitabilmente seguendo la logica di Malthus deve essere raggiunto l’equilibrio tra il numero di individui e le risorse di sostentamento. Il gambo fortemente ascendente della curva a J tende quindi a disporsi in orizzontale e la curva assume una forma a S. L’estremità superiore della curva a S rappresenta una quantità di popolazione compatibile con le risorse utilizzabili. Quando la popolazione è equivalente alla capacità di carico dell’area occupata, si dice che essa ha raggiunto il plateau omeostatico. I plateau omeostatici (stati di equilibrio) in costante ascesa raggiunti dagli esseri umani sono la dimostrazione della loro abilità di aumentare la capacità di carico del terreno grazie ai processi tecnologici. Molti economisti chiamati cornucopiani espressero l’idea che la crescita demografica rappresenta, non un deterrente ma uno stimolo allo sviluppo e che le abilità umani costituiscono la risorsa fondamentale; inoltre essi rilevano che quantità ancora maggiori di esseri umani siano sostenibili, forse anche con standard di vita migliori. LE PROSPETTIVE DEMOGRAFICHE Una riduzione del tasso di fecondità non implica un arresto immediato della crescita demografica, la ragione va ricercata nel momentum demografico (o inerzia demografica), infatti quando una popolazione è giovane, una percentuale sempre maggiore di giovani negli anni successivi entra nell’età feconda e mentre è in corso questo processo persino le più severe politiche di limitazione delle nascite non saranno in grado di arrestare completamente la crescita demografica. PARTE SECONDA CAPITOLO V: LINGUA E RELIGIONE, MOSAICI DI CULTURA

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CLASSIFICAZIONE DELLE LINGUE In senso stretto possiamo definire una lingua come un sistema organizzato di parole e termini mediante il quale gli esseri umani comunicano tra loro comprendendosi a vicenda. Una famiglia linguistica rappresenta un gruppo di lingue che discendono da un singolo idioma originario. Circa 2000 anni fa il latino era la lingua comune parlata da un capo all’altro dell’impero romano, e nei secoli successivi le lingue derivate dal latino emersero come singole lingue romanze. Con il termine protolingua si intende questa forma primitiva della lingua e nel caso delle lingue romanze, tale capostipite è chiaramente il latino. Un ulteriore studio approfondito delle radici della lingua rivela che le lingue romanze e quelle germaniche sono da considerare come singole ramificazioni di una famiglia di lingue ancora più vasta cioè l’indoeuropeo. Tra i principali gruppi linguistici riconosciuti nel mondo, la famiglia delle lingue indoeuropee è quella più grande e l’inglese attualmente è la lingua indoeuropea più utilizzata. Propagazione della lingua. La propagazione linguistica in quanto fenomeno geografico rappresenta l’estensione areale dell’utilizzo di una determinata lingua o il suo trasferimento nel corso del tempo dall’area in cui veniva parlata originariamente.

Le lingue possono diffondersi perché gli uomini che le parlano occupano nuovi territori, solitamente a scapito di altri popoli e delle relative lingue. Un’eccezione è costituita dal latino, che ha sostituito le lingue di origine celtica nell’Europa settentrionale non in virtù della forza o del predominio numerico, ma grazie al graduale abbandono delle lingue primitive da parte delle popolazioni indigene, abbandono innescato dall’influenza e dal controllo esercitato dapprima dall’impero romano e in seguito dal cristianesimo. Lo spostamento in massa di una popolazione, è un esempio specifico del fenomeno di propagazione mediante migrazione. Quando i vantaggi di una nuova lingua diventano evidenti e quest’ultima viene quindi adottata dalle popolazioni di un altro idioma, si verifica una forma di diffusione per espansione. Solitamente coloro che occupano o aspirano a occupare posizioni di rilievo, sono i

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primi ad accettare la nuova lingua del controllo e del prestigio; in un secondo tempo invece, attraverso l’istruzione e i contatti anche gli strati più bassi della popolazione possono essere gradualmente assorbiti dalla comunità in costante espansione di coloro che hanno adottato la nuova lingua. In India gli inglesi crearono un sistema che conferiva una grande importanza alla loro lingua, in quanto mezzo esclusivo di educazione, commercio e amministrazione. Altre lingue introdotte con gli imperi coloniali conservano una posizione di prestigio come lingue ufficiali anche dopo che tali territori hanno ottenuto l’indipendenza. In quanto processo di diffusione, la propagazione di una lingua può essere ostacolata da barriere, siano esse fisiche o culturali. Le barriere culturali possono ritardare o persino impedire la diffusione di un idioma: la popolazione di lingua greca ha resistito per secoli alla dominazione ottomana ed il greco è rimasto un polo di identità culturale; il catalano e altri idiomi sono ancora oggi simbolo di separazione etnica. anche le barriere fisiche ostacolano la propagazione linguistica per il semplice motivo che gli invasori o i migranti tendono a diffondersi laddove l’accesso risulta facilitato. MUTAMENTI LINGUISTICI Fenomeni quali migrazione, isolamento delle differenti società danno origine, anche partendo da una medesima protolingua, a lingue differenti e reciprocamente incomprensibili. Simili cambiamenti accadono in modo naturale e poiché si tratta di mutamenti graduali tendono a passare inosservati. Ciò nonostante se considerati in modo cumulativo possono dar luogo a modifiche linguistiche di portata tale da condurre alla creazione di una lingua essenzialmente nuova. LINGUA STANDARD E VARIANTI LINGUISTICHE Una comunità linguistica solitamente possiede sia una lingua standard, sia una serie di dialetti che riflettono il parlato quotidiano. Lingua standard. Un dialetto può diventare lingua standard identificandosi con la lingua parlata dai membri più prestigiosi. Il dialetto che emerge come base della lingua standard di un paese è spesso quello che si identifica con la capitale o il centro del potere all’epoca dello sviluppo nazionale. Dialetti. Anche le più piccole e compatte comunità linguistiche fanno hanno una seria di varianti definiti dialetti. Ciò che è interessante sottolineare è che in molte società, quelli che vengono definiti dialetti denotano l’appartenenza ad una determinata classe sociale e il livello di istruzione raggiunto. I parlanti con uno status socioeconomico di rango più elevato o coloro che possiedono una cultura superiore tendono a seguire la lingua standard, mentre soggetti appartenenti a classi sociali inferiori tendono a utilizzare il dialetto originario. Ogni dialetto, come tutti gli idiomi, possiede una propria dimensione territoriale, ed il limite esterno della sua incidenza è una linea di confine denominata isoglossa. Pidgin e lingue creole. Con il termine pidgin viene indicato un amalgama di lingue, solitamente in una forma grammaticalmente semplificata, come è ad esempio avvenuto in periodo coloniale, tra l’inglese e il francese e le altre lingue in particolare non europee. Quando un pidgin diventa la prima lingua di un gruppo di parlanti, assistiamo all’evoluzione di una lingua creola, che inevitabilmente finisce per acquisire una struttura più complessa. Le lingue creole si dimostrano utili strumenti di integrazione in aree linguisticamente eterogenee: in corrispondenza delle zone costiere dell’Africa orientale è nato lo swahili, un pidgin creato a partire da una seria di dialetti bantu con aggiunte dall’arabo. La lingua franca. La lingua franca è una lingua destinata a soddisfare i bisogni elementari di comunicazione tra gli appartenenti a diverse comunità linguistiche in frequente contatto. Il termine lingua franca è divenuto con il tempo sinonimo di lingua comune, parlata da popoli con differenti idiomi: in un mondo globalizzato e poliglotta, l’inglese svolge sempre più di frequente il ruolo di lingua franca globale.

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Lingue ufficiali. I governi nazionali possono designare un singolo idioma come lingua ufficiale dello stato (inclusa una lingua creola come è per esempio il caso dello swahili); tale idioma è la lingua di istruzione in scuole e università, in ambito governativo e nelle altre attività pubbliche. RELIGIONE E CULTURA A differenza della lingua, un attributo che accomuna tutti i popoli, il ruolo culturale della religione può variare e risultare predominante in alcune società, oppure essere marginale o persino ignorato in altre. Si definiscono religioni quei sistemi di valori che si basano su pratiche di culto e sulla fede nel sacro e nel divino. Spesso i differenti credi religiosi hanno condizionato i modelli economici dei vari paesi: le limitazioni previste dalle religioni sui cibi possono influenzare le coltivazioni; l’assegnazione delle mansioni lavorative nel sistema di caste indù è in parte legato alle tradizioni religiose. Da un punto di vista più geografico è interessante notare l’influenza della religione sull’ambiente, in quanto le strutture dove ha luogo il culto religioso (templi, chiese, moschee) possono modificare e conferire ad una data area un carattere peculiare. CLASSIFICAZIONE DELLE RELIGIONI Frequente è la divisione tra religioni monoteiste e politeiste. Cristianesimo, buddhismo e islamismo sono le tre principali religioni universali del mondo. Tali fedi sono definite universali in quanto sostengono di poter essere applicate a tutti gli esseri umani, nessuno escluso. La partecipazione ad una religione universale è aperta dunque a tutti coloro che sono disposti ad assumersi una sorta di impegno simbolico. Le religioni etniche invece, mostrano una radicata identificazione territoriale e culturale con il gruppo a cui fanno capo e i loro fedeli formano comunità chiuse, per esempio l’ebraismo, l’induismo indiano o lo shintoismo giapponese. Le religioni tribali o tradizionali sono forme particolari di religioni etniche, dalle quali si differenziano per le dimensioni limitate del numero dei fedeli, per l’identità con gruppi culturali localizzati non ancora completamente assorbiti dalla società moderna e per gli stretti e profondi legami con la natura, sono un esempio i culti animisti o sciamanici.

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LE PRINCIPALI RELIGIONI Ciascuna delle principali religioni possiede proprie espressioni e valori culturali. Ebraismo. La fede in un unico Dio dell’ebraismo ha posto le basi per la nascita del cristianesimo e dell’islamismo e si identifica strettamente con un singolo gruppo etnico. La convinzione degli israeliti di essere il popolo eletto, legato a Dio attraverso un patto di fiducia e guidato da complesse regole formali di comportamento, li distinse da altri popoli del Vicino Oriente. I primi successi militari diedero agli ebrei un senso di identità politica e territoriale, ma la conquista romana della città santa nel 70 d.C. provocò la dispersione degli ebrei nel mondo (diaspora). L’obbiettivo di una patria per il popolo ebraico e la determinazione nel non essere assorbiti all’interno di altre comunità sono idee alla base del movimento sionista. Nel 1948 la creazione dello stato di Israele sotto auspicio dell’Onu, ha coronato il raggiungimento dell’obbiettivo centrale del movimento, ma ha reso l’area medio orientale un focolaio di conflitto tra gli ebrei e le popolazioni arabe. Cristianesimo. In quanto religione universale di salvezza e speranza, il cristianesimo si propagò rapidamente tra le classi più umili. La diffusione per espansione si verificò successivamente alla creazione di missioni e colonie di convertiti in luoghi lontani dalla regione in cui nacque. Roma fu attraverso la diffusione gerarchica, il principale centro da cui il culto si diffuse negli insediamenti minori in Europa. Caduta Roma, la divisione dell’impero in due metà, quella orientale e quella occidentale, si tradusse anche

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nella divisione della cristianità: la Chiesa occidentale cattolica e la Chiesa orientale ortodossa. La riforma protestante tra il XV e il XVI secolo divise la Chiesa nei territori dell’Europa occidentale, dove nell’area mediterraneo dominò il cattolicesimo mentre nell’area settentrionale sorsero una varietà di confessioni protestanti. La diffusione mediante migrazione, dovuta agli sforza dei missionari e alla colonizzazione europea, portò all’introduzione della fede cristiana anche nel Nuovo Mondo. Islamismo. L’islamismo scaturisce molto probabilmente dalle radice e influenze ebraiche. L’osservanza dei 5 pilastri e la sottomissione al volere di Allah, uniscono i fedeli in una fratellanza che, similmente a quella cristiana, non fa distinzione di razza, colore o casta. Tale legge di fratellanza è servita per unificare il mondo arabo, aspramente diviso tra tribù, ranghi sociali e multiple divinità locali. La nuova religione si diffuse rapidamente dalle regione di origine mediante un processo di diffusione per espansione. In seguito, attraverso il processo di diffusione mediante migrazione, l’islamismo penetrò in Indonesia, nell’Africa e nell’emisfero occidentale. La moschea è il punto focale della vita pubblica musulmana e il principale segno tangibile di questa religione sul paesaggio culturale. Le caratteristiche architettoniche della mosche la rendono un’inconfondibile testimonianza a livello paesaggistico, della presenza islamica in un dato territorio, vedi ad esempio la Moschea Blu in foto. diffusione islam nel mondo

Induismo. L’induismo non è solo una religione, ma una rete complessa e articolata di elementi religiosi, filosofici, sociali, economici e artistici connessi a una civiltà specifica. I suoi seguaci sono prevalentemente concentrati in India. Tale religione pone l’enfasi sull’essenza divina dell’anima e si basa sui concetti di reincarnazione e di passaggio da uno stato dell’esistenza a un altro in un ciclo senza fine di morti e rinascite. Tutte le creature sono divise in categorie, la più elevata delle quali è occupata dagli esseri umani, ma anche tra questi ultimi esistono delle differenziazioni, e la casta sociale in cui nasce un individuo ne indica lo stato spirituale. Scopo dell’esistenza è salire ai vertici di tale gerarchia, per essere alla fine liberati dall’incessante ciclo di morti e rinascite, raggiungendo la salvezza e la pace eterne. Buddhismo. Fra i tanti movimenti nati in contrasto all’induismo, quello che ha esercitato maggior influenza è stato il buddhismo. Gli insegnamenti di Buddha costituivano più una filosofia morale che una religione formale; egli delineò una spiegazione che giustificasse la presenza del male e della sofferenza umana. Secondo Buddha, la strada per l’illuminazione e la salvezza risiede nella comprensione di 4 nobili verità: l’esistenza implica la sofferenza; la sofferenza è il risultato del desiderio; il dolore cessa quando il desiderio viene annientato; la distruzione del desiderio può

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essere perseguita attraverso la conoscenza di un corretto comportamento e di pensieri retti. Nel buddhismo gli obbiettivi finali dell’esistenza sono il raggiungimento del nirvana, una condizione di perfetta illuminazione e la cessazione del ciclo delle perpetue rinascite. Altre religioni dell’Asia Orientale. Il buddhismo raggiunse la Cina incontrando ed in seguito amalgamandosi con i sistemi etico religiosi già esistenti e ben consolidati di queste terre. Le religioni etniche del Lontano Oriente sono dunque il frutto di tali sincretismi. Il confucianesimo divenne la religione di stato ufficiale, con la sua enfasi sull’etica e sulla moralità radicate nella saggezza tradizionale cinese, costituì la base del sistema religioso della Cina. Il taoismo filosofia secondo la quale la felicità eterna risiede nell’identificazione totale con la natura e nella vita semplice degli esseri umani. Il buddhismo si unì e influenzò anche lo shintoismo giapponese, il quale è essenzialmente un complesso di tradizioni e rituali piuttosto che un sistema etico e morale, e venera un insieme composito di numi, inclusi imperatori divinizzati, spiriti famigliari e tutte le divinità che risiedono nella natura. CAPITOLO VI: GEOGRAFIA ETNICA, ELEMENTI DI DIVERSIT A’ La cultura è una miscela di elementi che costituiscono il modo di vivere di un gruppo umano (credenze collettive, valori, norme sociali, religioni, abitudini ecc.). la cultura viene appresa, essa contraddistingue il gruppo; l’etnicità al contrario, è semplicemente un termine utilizzato per connotare un gruppo di individui che condividono i tratti di una cultura comune. Laddove i gruppi etnici si mescolano, i conflitti interetnici possono assumere toni drammatici se viene improvvisamente a mancare la coesistenza pacifica. FLUSSI DI MIGRAZIONE La diversità etnica che emerge dall’attuale panorama angloamericano, è il prodotto di continui flussi di immigranti. Nel caso degli Stati Uniti, tale afflusso si articolò in tre distinte ondate di immigrazione, verificatesi molto tempo dopo i primi arrivi delle popolazioni amerinde. Il primo grande flusso migratorio, era costituito da i bianchi provenienti dall’Europa settentrionale e occidentale e africani condotti con la forza nel Nuovo Mondo. La seconda ondata di immigrazione, dal 1870 al 1921 fu contraddistinta dalla presenza di numerosi europei provenienti dal territori orientali e meridionali. Negli anni Sessanta del ‘900 si verificò una terza ondata migratoria: l’ingresso di latino americani che, insieme ai nuovi arrivati provenienti dall’Asia, costituivano il più rilevante segmento della popolazione di immigrati. Le crescenti concentrazioni di immigrati provenienti da nuove regioni hanno portato alla creazione di una seria di misure per rallentare tali afflussi e tutelare lo status quo etnico. ACCULTURAZIONE E ASSIMILAZIONE La teoria dell’amalgamazione utilizzata per indicare il concetto di melting pot, l’unione di molteplici patrimoni culturali e di etnie di immigrati all’interno di una corrente americana composita. Tutti i gruppi di migranti dopo un primo momento, si sono dovuti confrontare con la cultura maggioritaria del gruppo ospitante: se volevano essere accettati, i nuovi arrivati dovevano sforzarsi di apprendere le tradizioni e le pratiche familiari tra le comunità già insediatesi nel nuovo paese. Il processo cosiddetto di acculturazione indica come gli immigrati adottino i valori utilizzati nella società ospitante. È possibile tuttavia che il gruppo resista all’assimilazione totale e il presunto ideale di melting pot (crogiolo culturale) finisce per essere soppiantato da una mescolanza etnica nella quale gli ingredienti di insaporiscono reciprocamente, ma rimangono distinti. Quando il processo di integrazione è completo, si parla di assimilazione. L’assimilazione totale può essere considerata in una duplice ottica. Da un lato l’assimilazione comportamentale (o culturale)

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equivale sostanzialmente al processo di acculturazione, implicando l’integrazione nella vita culturale di valori e abitudini della società ospitante; dall’altro l’espressione assimilazione strutturale fa riferimento alla fusione di etnie di immigranti con sistemi sociali e attività della società ospitante. L’assimilazione strutturale è un percorso a doppio senso: non solo richiede ai gruppi di immigranti di assorbire i valori culturali della società dominante, ma prevede che quest’ultima accetti i membri del gruppo minoritario, consentendo loro di aspirare a occuoare posizioni di autorità. IL SENSO DI APPARTENENZA ETNICA E LE SUE ESPRESIONI TERRITORIALI In buona parte del mondo la stretta associazione fra territorialità ed etnicità viene ampiamente riconosciuta ed accettata, pur comportando spesso effetti disgreganti a livello politico. Culture fondatrici dell’identità dell’America anglo sassone. Sebbene nell’America anglosassone contemporanea non esiste una singola area che possa essere considerata come vera e propria patria per una specifica minoranza etnica, qui si registra la presenza di gruppi etnici distinti le cui dimensioni sono tali da aver impresso un segno distintivo a livello territoriale. Parte di tale impronta deriva da la dottrina del primo insediamento effettivo: ogni volta che un territorio disabitato viene colonizzato, le specifiche del primo gruppo in grado di creare una società, risultano di importanza cruciale per la successiva geografia sociale e culturale dell’area in questione. Negli Stati Uniti gli immigrati britannici furono i principali nuovi occupanti delle colonie orientali, creando le norme e gli standard sulla base dei quali gli altri gruppi di immigrati sarebbero stati valutati. In virtù della loro priorità di arrivo e dell’egemonia esercitata inizialmente, i britannici hanno creato la cultura maggioritaria del regno anglo americano, il cui impatto etnico è ancora evidente al giorno d’oggi. La dispersione degli afro americani. Gli afro americani, immigrati contro la loro volontà nel continente americano, erano quasi esclusivamente confinati alle zone rurali del sud est prima della guerra civile. Anche a seguito dell’abolizione della schiavitù e del processo di emancipazione, la maggior parta di essi continuò ad occupare questi territori. Tra il ’40 e il ’70 milioni di afro americani abbandonarono la tradizionale concentrazione in queste zone, incoraggiati da un ambiante razziale ed economico in via di miglioramento. Concentrazione di ispanici. Gli ispano americani, pur essendo riuniti in un unico gruppo apparentemente uniforme, in realtà presentano numerose differenze tra loro. Quelli di origine messicana rappresentano più dei due terzi di tutti gli ispano americani, essi si sono diffusi in tutti gli USA a partire dalle zone iniziale di accentramento situate prevalentemente lungo il confine tra i due paesi. Contrasti asiatici. La popolazione americana di origine asiatica, un tempo prevalentemente nata negli USA e di origine cinese e giapponese, oggi risulta in larga parte nata all’estero e caratterizzata da una crescente eterogeneità dovuta ai molteplici paesi di origine. Indipendentemente dalla zona di insediamento, gli americani di origine asiatica sono stati attirati nelle aree metropolitane, anche se nel tempo vi è stata poi una tendenza, anche in questo caso, a una maggiore dispersione. Gruppi di immigrati e vie di accesso. Sebbene i nuovi immigrati siano, in ultima analisi, in cerca di un luogo dove risiedere, è chiaro che nel breve termine essi tendono a concentrarsi in gruppi. Inizialmente la maggior parte degli immigrati aspira a concentrarsi nelle immediate vicinanze del punto di accesso al paese ospitante (il più vicino possibile al paese d’origine) o all’interno di comunità di immigrati già esistenti. Si tratta di episodi di attrazione non permanenti: gli immigrati tendono a diffondersi poi in zone dove la forza lavoro costituita dagli individui degli Stati Uniti non soddisfa le richieste di mercato e dove la condizione socioeconomica della loro minoranza è in via di miglioramento. SEGREGAZIONE E DIVERSITA’ ETNICA NEL PAESAGGIO URBANO

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I quartieri popolati da immigrati sono un indicatore della distanza sociale che separa il gruppo minoritario da quello fondatore. Maggiori sono le differenze percepite fra i due gruppi, più grande risulta la distanza sociale e minori sono le possibilità che il gruppo fondatore accetti o assimili facilmente al proprio interno i nuovi arrivati. Ne consegue che la comunità etnica sopravvivrà più a lungo sia come luogo sia come luogo di rifugio per gli immigrati, sia come luogo di segregazione. L’espressione segregazione indica la misura in cui gli individui appartenenti a un gruppo etnico non sono distribuiti in modo uniforme in relazione al resto della popolazione. Gli esempi raccolte in città di tutto il mondo evidenziano che la maggior parte delle minoranze etniche tende ad essere nettamente segregata dal gruppo fondatore. La Francia, con circa 5 milioni di musulmani residenti, ha mostrato la tendenza a creare miseri ghetti situati nelle periferie urbane. In Italia la situazione è più fluida, sia perché questa nazione non ha mai avuto una fase di espansione coloniale, sia perché la distribuzione delle comunità straniere sul territorio italiano si organizza a partire da legami famigliari. La segregazione territoriale è in via di aumento anche nei paesi in via di sviluppo. La rapida urbanizzazione di un paese multietnico come l’India ha originato contesti urbani segnati da contrasti sociali e culturali. A livello mondiale il livello di segregazione degli immigrati è almeno in parte condizionato dal livello di distanza sociale percepito tra la popolazioni dei nuovi arrivati e le altre società ospitanti. In generale la percentuale di assimilazione di una minoranza etnica da parte della cultura ospitante dipende da due gruppi di fattori: quelli esterni includono gli atteggiamenti del gruppo fondatore in competizione con la minoranza; quelli interni sono relativi alla compattezza e alla diffidenza mostrate dalla minoranza. Fattori di controllo esterni. Quando la cultura maggioritaria o più minoranza in rivalità tra loro, percepiscono un gruppo etnico specifico come una minaccia alla propria integrità, tale gruppo tende a essere isolato territorialmente. La discriminazione razziale in aree urbane si esprime in genere relegando la minoranza rifiutata nelle dimore più povere disponibili e all’estremità inferiore della scala occupazionale. L’Italia si conforma in linea di principio col trend europeo, pur con alcune specificità: in effetti, la maggior persistenza di situazioni di degrado sociale e edilizio nei centri storici di molte città meridionali, ha favorito la concentrazioni degli stranieri nel centro storico piuttosto che nelle periferie. Fattori di controllo interni. Mentre i fattori di controllo esterni esercitati dalla discriminazione della cultura ospitante spiegano il modello di segregazione residenziale urbana, la concentrazione di gruppi specifici in quartieri separati e omogenei dal punto di vista etnico viene meglio compresa se considerata come il risultato di fattori di controllo interni. La segregazione autoimposta di alcuni gruppi etnici può assolvere a quattro funzioni principali: difesa, supporto, conservazione e attacco. In primo luogo, tale segregazione offre un mezzo di difesa riducendo l’esposizione e l’isolamento dei singoli immigrati. L’esistenza di un territorio etnico definito offre ai membri del gruppo un senso di sicurezza che li pone al riparo dall’ostilità delle comunità sociali antagoniste. In secondo luogo il quartiere etnico offre molte forme di supporto agli individui che vi risiedono, esso serve come luogo di iniziazione, fornisce i primi rudimenti per orientarsi, crea opportunità di lavoro laddove le barriere linguistiche sono minime oltre a legami di amicizia per rendere più agevole la transizione verso la nuova società. In terzo luogo il quartiere espleta la funzione di conservazione che riflette l’intento positivo di custodire gli elementi essenziali della propria eredità culturale, primi fra tutti lingua e religione. Infine, la concentrazione etnica territoriale può svolgere una funzione che è possibile definire di attacco ossia una ricerca di rappresentazione politica, specie mediante l’accentramento del potere elettorale. Tipologie e risultati a livello territoriale. Quando sia il gruppo fondatore sia il gruppo etnico percepiscono la distanza che li separa e che rende questi ultimi una minoranza, l’isolamento

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provocato dagli elementi di controllo esterni (discriminati) e da quelli interni (coesivi) è temporaneo e i gruppi etnici procedono verso un’assimilazione. Tali gruppi vengono definiti colonie quando puntano allo scopo primario di costituire un punto di ingresso per gli appartenenti ad un particolare gruppo etnico. Se un gruppo etnico si mantiene perché gli individui che vi appartengono scelgono di preservarlo, il loro comportamento riflette la coesione interna della comunità e il desiderio di mantenere una enclave etnica duratura. Quando il gruppo viene perpetuato attraverso vincoli esterni e azioni discriminanti, viene indicato con il termine ghetto. IL TRANSFER CULTURALE I gruppi di immigrati giungono a destinazione con un bagaglio già esistente di tecniche, capacità di produzione, manufatti(oggetti concreti) che possono modificare, abbandonare o persino trasmettere la cultura ospitante. Di rado i gruppi di immigrati hanno trasferito intatti i tratti della loro cultura di appartenenza nel Nord America, se un complesso culturale risultava essenziale per l’identità del gruppo veniva sicuramente mantenuto; ma ove il nuovo gruppo si fosse imbattuto in usi locali ritenuti più validi, sarebbe stato disposto ad abbandonare abitudini inadeguate. IL PAESAGGIO ETNICO In tutto il mondo i gruppi etnici hanno lasciato il segno della propria presenza sui paesaggi in cui si sono sviluppati o in cui hanno trasferito la propria cultura e le proprie tradizioni. Ripartizione della terra, stili di costruzioni diversi per abitazioni e fattorie, modelli di insediamento, strutture religiose e di culto: le tradizioni e le pratiche di gruppi specifici si riflettono inevitabilmente sul paesaggio culturale. Il melting pot capace di produrre una amalgama culturale uniforme è stato più un mito che una realtà americana: si è venuta perciò a creare una inevitabile e persistente disparità tra i paesaggi creati dai diversi gruppi di immigrati e l’uniformità nazionale implicita nella dottrina del primo insediamento effettivo. PARTE III CAPITOLO VII: MEZZI DI SUSSISTENZA E ECONOMIA, ATTI VITA’ PRIMARIE Entro i confini delle possibilità dell’ambiente le strutture culturali possono condizionare decisioni economiche o produttive; anche il livello di sviluppo tecnologico di una cultura avrà conseguenze sull’identificazione di risorse e sull’abilità di poterle sfruttare. Per tecnologia si intende la totalità di strumenti e metodi disponibili e impiegati da un gruppo culturale per produrre beni essenziali per il proprio sostentamento. Categorie di attività. Le attività primarie sono quelle attività che raccolgono o estraggono qualcosa dall’ambiente; si collocano all’inizio del ciclo produttivo, nel quale gli esseri umani sono in più stretto contatto con la terra. Le attività secondarie sono quelle che aggiungono valore ai materiali per creare prodotti più utili. Le attività terziarie consistono in quelle occupazioni e specializzazioni lavorative che forniscono servizi al settore primario e secondario e beni e servizi all’individuo. Il termine quaternario si applica a una quarta classe di attività economiche, interamente composta dai servizi resi dai colletti bianchi, professionisti impegnati nel campo dell’istruzione, del governo, della gestione ecc. A volte si distingue una suddivisione di queste funzioni direttive, le attività quinarie per evidenziare il ruolo dei centri decisionali ad alto livello in tutti i tipi di organizzazioni. Tipi di sistema economico. In generale le economie nazionali, all’inizio del XXI secolo, rientrano in uno di questi tre principali tipi di sistema: sussistenza, pianificato o di mercato.

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In un’ economia di sussistenza i beni e i servizi vengono creati ad uso dei produttori e dei loro nuclei familiari, dunque lo scambio di merci è modesto. Nelle economie di mercato divenute prevalenti, la legge della domanda e dell’offerta determina prezzi e quantità e la concorrenza costituisce l’elemento chiave per regolare le decisioni produttive. Nella forma estrema delle economie pianificate i produttori disponevano delle merci e dei servizi attraverso agenzie governative che ne controllavano quantità, caratteristiche, prezzo e distribuzione. I contrasti nell’organizzazione economica mondiale, una volta cosi palesi, stanno sfumando perché la globalizzazione riduce la specificità delle economie nazionali. ATTIVITA’ PRIMARIE: AGRICOLTURA Prima che si affermasse la coltivazione dei campi, la caccia e la raccolta erano le forme universali di produzione primaria. L’agricoltura, intesa come coltivazione di piante e allevamento di bestiame, tanto per il sostentamento dei produttori quanto per la vendita e lo scambio, ha da tempo sostituito la caccia e la raccolta come attività primaria economicamente più significativa. Agricoltura di sussistenza. Un sistema economico di sussistenza implica la quasi totale autosufficienza dei suoi membri. La produzione destinata allo scambio è minima e ciascun gruppo sociale conta su se stesso per il cibo e le altre esigenze fondamentali. Si possono individuare due tipi fondamentali di agricoltura di sussistenza: estensiva e intensiva. Sistemi di sussistenza estensiva. L’agricoltura di sussistenza estensiva coinvolge vaste aree di superficie e minima concentrazione di manodopera, sia il prodotto per unità di superficie sia densità di popolazione sono ridotti. Tra i diversi tipi di agricoltura di sussistenza estensiva due sono di particolare interesse: il nomadismo pastorale e l’agricoltura itinerante. Il nomadismo pastorale, ovvero il movimento migratorio controllato di bestiame che si alimenta soltanto di vegetazione spontanea, è il sistema di uso del suolo più estensivo. Qualunque sia la specie coinvolta, le caratteristiche comuni del bestiame sono resistenza fisica, mobilità e capacità di vivere con scarso foraggio. La transumanza è una forma particolare di trasferimento stagionale delle greggi, per sfruttare condizioni di pascolo localmente variabili; implica o il regolare spostamento in verticale (dai pascoli di montagna a quelli di valle) o il movimento orizzontale fra aree di pascolo in pianura, per raggiungere periodicamente pasture divenute lussureggianti grazie alle precipitazioni stagionali. Questo genere di agricoltura itinerante ha diverse denominazioni nelle varie lingue. Il termine italiano più utilizzato è debbio. I coltivatori abbattono la vegetazione spontanea, bruciano ciò che hanno tagliato, e introducono poi coltivazioni di grande valore commerciale. I raccolti iniziali possono essere buoni ma negli anni successivi la produttività cala rapidamente e la coltivazione viene spostata in un altro luogo appositamente preparato. Si potrebbe sostenere che l’agricoltura itinerante rappresenti un adattamento culturale altamente efficiente dove la terra è abbondante rispetto alla popolazione e i livelli di tecnologia e capitali disponibili risultano lievitati. La tesi di Boserup comporta necessariamente un maggior impegno di manodopera e di tecnologia per compensare la riduzione dei raccolti naturali della coltivazione itinerante; stando a questa tesi, l’aumento della popolazione costringe a incrementare il ricorso alla tecnologia e richiede una conversione da agricoltura di sussistenza estensiva a intensiva. Sistemi di sussistenza intensiva. L’agricoltura intensiva è caratterizzata dalla grande mobilitazione di lavoro per unità di superficie, dalla ridotta dimensione degli appezzamenti, dall’uso intensivo di fertilizzanti. Per assicurarsi comunque del cibo si pratica la produzione di molti raccolti diversi, spesso sul medesimo campo. Agricoltura di sussistenza urbana. Non tutta l’agricoltura di sussistenza mondiale si colloca in aree rurali. Presenti in tutte le regioni del mondo, ma prevalenti soprattutto in Asia, le attività agricole urbane variano dalla gestione di piccoli appezzamenti all’allevamento di animali da cortile.

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In ogni parte del mondo non industrializzato, nei centri urbani in rapida espansione le derrate alimentari di origine cittadina hanno ridotto l’incidenza della malnutrizione adulta e infantile, e rappresenta anche una notevole valvola di sfogo per i residenti disoccupati. Intensificazione agricola e rivoluzione verde. Negli ultimi decenni l’azione chiave per sviluppare l’attività agricola è stata l’incremento delle rese nei terreni già coltivati. Molte pratiche di intensificazione appartengono alla rivoluzione verde che fa riferimento a molteplici innovazioni nelle sementi e nella gestione, adattate ai bisogni dell’agricoltura intensiva e concepite per ottenere raccolti più ricchi. Alla base della rivoluzione verde c’è il miglioramento genetico del riso e del frumento: sono state sviluppate varietà che resistono alle malattie delle piante. Per i successi della rivoluzione verde , in ogni caso, c’è un prezzo da pagare: la grande quantità di acqua richiesta ha causato un grave impoverimento delle falde acquifere e dunque a una situazione conflittuale tra le esigenze dell’agricoltura e quelle delle aree urbane industriali in crescita. L’agricoltura di mercato inoltre, mira a massimizzare i profitti non ad assicurare il minimo vitale alimentare. I contadini poveri incapaci di permettersi l’investimento di capitale richiesto dalla rivoluzione verde sono stati così soppiantati dalla monocoltura di mercato, concepita per l’esportazione piuttosto che per la produzione alimentare ad uso interno. Nelle nazioni interessate dal fenomeno la varietà dei raccolti risulta ridotta. Gli auspicati benefici della rivoluzione verde, non sono dunque a disposizione di tutte le aree agricole, ne avvantaggiano tutti coloro che si dedicano all’agricoltura. Agricoltura di mercato. Poche aree e popolazioni mantengono ancora l’isolamento e l’ autosufficienza caratteristici delle economie di pura sussistenza. La trasformazione di quelli che erano sistemi agricoli di sussistenza li ha inevitabilmente resi più complessi; tali sistemi non producono per il proprio sostentamento, ma principalmente per un mercato lontano dall’azienda. Controlli di produzione in agricoltura. Quando prevalgono le condizioni di libero mercato, la coltura prodotta è il risultato di una valutazione delle possibilità di profitto. L’espressione sistema agro industriale (agribusiness) si applica alla crescente fusione fra la tradizionale economia alimentare e i nuovi modelli di produzione e di sistemi di mercato. Un modello di localizzazione agricola. Il modello di Von Thunen, riconoscendo che con l’aumento dalla distanza dal mercato il valore della terra diminuisce, Von Thunen sviluppò un modello descrittivo dell’intensità di sfruttamento del terreno, che funziona abbastanza bene nella pratica. L’agricoltura intensiva occupa la terra vicina al mercato; le derrate prodotte dalla coltivazione meno intensiva provengono da aree più distanti. Agricoltura di mercato intensiva. I contadini che impiegano grande quantità di capitale e/o di lavoro per unità di superficie si dedicano all’agricoltura commerciale intensiva. Le colture che giustificano tali costosi investimenti produttivi si caratterizzano per produttività e valore di mercato elevati. Esse comprendono tutti elementi ad alta deperibilità (frutta, ortaggi e prodotti caseari) in quanto dal momento che il prodotto è deperibile i costi di trasporto aumentano. Colture specializzate. La prossimità al mercato non garantisce di per se la produzione intensiva di colture di elevato valore; neppure l’elevata distanza dal mercato fa si che l’unica opzione sia l’agricoltura estensiva su superficie a basso costo. Circostanze particolari rendono alcune località lontane dai mercati aree agricole altamente sviluppate: due casi particolari sono l’agricoltura nei climi mediterranei e nelle aree coltivate a piantagione. L’agricoltura mediterranea si caratterizza come economia agricola specializzata, rinomata per i prodotti del vigneto e dell’uliveto. Queste colture necessitano di temperature relativamente miti per tutto l’anno e di una notevole quantità di sole in estate. Il clima è considerato un elemento vitale anche per l’agricoltura di piantagione. La piantagione in se è una tenuta i cui lavoratori producono uno o due raccolti specializzati. Agricoltura nelle economie pianificate. Come implicito nel nome le economie pianificate presentano un alto grado di controllo centrale diretto sulle risorse e sui settori chiave dell’economia,

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il che permette di perseguire gli obbiettivi stabiliti dal Governo. Quando il controllo si estende al settore dell’agricoltura fattorie, collettive sostituiscono le aziende private. ATTIVITA’ PRIMARIE: SFRUTTAMENTO DELLE RISORSE Oltre all’agricoltura, le attività economiche del settore primario comprendono la pesca, la selvicoltura e l’estrazione mineraria. Queste attività comportano lo sfruttamento diretto di risorse naturali, di conseguenza il loro sviluppo dipende dalla presenza di risorse, dalla tecnologia per sfruttarle e dalla consapevolezza culturale del loro valore. Le risorse si possono classificare in rinnovabili e non rinnovabili. Le risorse rinnovabili sono materiali che si possono consumare e poi rimpiazzare abbastanza rapidamente, attraverso processi naturali o favoriti dall’uomo. La massima resa sostenibile di una risorsa è il massimo volume o ritmo di utilizzo che non ne indebolisca la capacità di rinnovarsi. Le risorse non rinnovabili esistono in quantità finite e non si possono rigenerare con un processo naturale (almeno non all’interno di un orizzonte temporale di interesse per la società che le utilizza). La pesca. Si ritiene che un miliardo di persone dipenda dal pesce come fonte principale di proteine, soprattutto nei paesi a basso reddito dell’Asia Sud Orientale, dell’Africa e di parte dell’America Latina. La pesca marittima commerciale è in gran lunga concentrata nelle acque dell’emisfero Nord, dove le correnti calde e fredde si mescolano e dove specie alimentari molto diffuse si radunano o si muovono in banchi. Due delle regioni in cui la pesca è più intensamente praticata sono il Pacifico Nord Orientale e l’Atlantico Nord Occidentale. Soltanto una minuscola percentuale della cattura marina totale proviene dai mari aperti, che per contro costituiscono più del 90% della superficie marittima del pianeta. Un sistema per incrementare le scorte di pesce è l’acqua coltura, ossia l’allevamento di pesci in bacini artificiali. l’allevamento ittico è da tempo praticato in Asia, dove i pesci rappresentano la fonte principale di proteine, ma ormai è presente in ogni continente. Il suo veloce e costante incremento produttivo lo rende un settore in rapida crescita dell’economia alimentare mondiale. La selvicoltura. Le foreste di interesse commerciale sono ridotte a due vastissime fasce che differiscono per tipo di alberi e di mercato di sbocco, o comunque di utilizzo. La foresta del nord, di conifere ovvero di legno dolce, è la più ampia e la più continua, e si estende dalla Penisola Scandinava attraverso la Siberia , sino al Nord America. Le foreste di legno duro delle Pianure tropicali sono sfruttate particolarmente per ricavarne combustibile vegetale, sebbene quantità sempre crescenti di qualità pregiate vengono tagliate per l’esportazione del legname. L’altra metà 53% della produzione di legname è destinata ad uso combustibile diretto; il 90% della produzione di legna da ardere proviene dalle foreste dell’Africa, dell’Asia, dell’Oceania e dell’America Latina. Miniere e cave. Le industrie estrattive diventano rilevanti soltanto quando lo sviluppo tecnico e le necessità economiche rendono possibile una più sofisticata esplorazione delle risorse della terra. I nostri successi nello sfruttamento delle risorse minerarie sono stati ottenuti a spese dell’esaurimento delle riserve mondiali più facilmente sfruttabili. Le industrie di raccolta, come la pesca, la selvicoltura, e l’attività estrattiva in miniera richiedono lo sfruttamento diretto di risorse naturali disponibili in certe aree. Le risorse sono materiali naturali che gli esseri umani ritengono necessarie e utili. Possono essere rinnovabili attraverso un processo naturale, oppure non rinnovabili una volta estratte e impiegate. L’eccessivo sfruttamento può superare la massima resa sostenibile di pesca e foreste e finire con il distruggere la risorsa. La distruzione è sicura nel caso dei minerali e dei combustibili non rinnovabili, quando risultano esaurite le loro riserve totali o economicamente utilizzabili. CAPITOLO VIII: ATTIVITA’ SECONDARIE E TERZIARIE

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ATTIVITA’ SECONDARIE: MANIFATTURE Scelte localizzative per le manifatture. Le attività secondarie prevedono la trasformazione di materie prime in prodotti finiti, che in tal modo acquisiscono un valore aggiunto. Le manifatture pongono un problema di localizzazione in quanto presuppongono l’assemblaggio e la lavorazione dei materiali e la distribuzione di quanto viene prodotto verso altri punti, e dunque presentano il dilemma di dove debba avvenire la trasformazione. Principi di localizzazione. Certi costi produttivi delle manifatture sono costi spazialmente fissi, cioè restano più o meno invariati, ne sono un esempio i salari stabiliti dai contratti nazionali. Altri costi di produzione delle manifatture sono costi spazialmente variabili, cioè presentano sostanziali differenze da un posto all’altro: questi costi influenzeranno le scelte localizzative e gli industriali baseranno la ricerca localizzativa sulla minimizzazione dei costi variabili. Risorse energetiche. Le risorse energetiche possono attrarre alcune industrie da esse dipendenti; in questo caso l’industria può essere collocata lontana dal mercato ma vicina a fonti energetiche. Manodopera. Anche la manodopera è una variabile che influenza le decisioni organizzative; si consideravano determinanti per la manodopera tre diversi fattori: prezzo, specializzazione, quantità. Oggi per molti produttori è sempre più importante la flessibilità, ovvero è crescente l’impiego di lavoratori molto istruiti, e in grado di dedicarsi ad un’ampia varietà di compiti e funzioni. Mercato. Dimensione, natura e distribuzione dei mercati possono influenzare le decisioni localizzative di una industria. L’attrazione del mercato è in sostanza di espressione del costo di movimentazione del materiale. Quando i costi del trasporto incidono in misura elevata, l’attrazione di una sede vicina al consumatore è evidente e origina l’orientamento verso il mercato. Trasporti. Il trasporto è un elemento così unificante di tutti i fattori relativi alla localizzazione industriale che è difficile isolarne il ruolo. Qualunque sia lo specifico motivo dell’attrazione, l’industria moderna è intimamente legata ai sistemi di trasporto. Il trasporto su vie navigabili è il sistema di spostamento di merci più economico per la lunga distanza, il miglioramento delle vie d’acqua interne, segnò in Europa, la prima fase della rivoluzione industriale. Le ferrovie permettono di spostare in modo efficiente grandi quantità di merci sulla lunga distanza; sono però fisse in quanto al tragitto, lente nel rispondere ai mutamenti dei modelli di localizzazione industriale e costosi da costruire e mantenere. Nell’economia moderna i camion hanno alterato il quadro competitivo in favore del trasporto su gomma rispetto a quello ferroviario. Teorie della localizzazione industriale. In pratica le decisioni delle localizzazioni delle imprese non si basano sull’impatto di un singolo fattore industriale, ma sulla combinazione e sull’equilibrio di un buon numero di considerazioni. Tornerà utile un breve sguardo ai tre fondamentali approcci al problema della localizzazione degli impianti: la teoria del minor costo, la teoria dell’interdipendenza delle localizzazioni e la teoria della massimizzazione dei profitti. Teoria del minor costo. La teoria del minor costo, si fonda sul lavoro di Weber. Il modello spiega la localizzazione ottimale di uno stabilimento in termini di minimizzazione di tre spese base: costi relativi al trasporto, costi di manodopera e costi di agglomerazione (che si riferisce al raggrupparsi di attività produttive e di individui per un vantaggio reciproco.). La localizzazione ottimale si troverà laddove sono più contenuti i costi di trasporto delle materie prime, ma egli osserva che, se le variazioni dei costi della manodopera o dell’agglomerazione sono abbastanza elevati, una localizzazione stabilita soltanto in base ai costi di trasporto può non rivelarsi ottimale. Teoria dell’interdipendenza delle localizzazioni. Quando la decisione circa la localizzazione di una azienda è influenzata dalle ubicazioni scelte dai concorrenti, esiste una condizione di interdipendenza delle localizzazioni. Questo fattore influenza il modo in cui le imprese si collocano nello spazio, per assicurarsi una quota del monopolio del mercato. L’elemento chiave è l’analisi variabile dei ricavi, e non la variabilità dei costi proprio del modello di Weber.

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Approcci alla massimizzazione del profitto. Molti studiosi sostengono che la localizzazione perfetta di località produttiva si trova dove è maggiore il profitto. Essi propongono di impiegare il principio di sostituzione, il quale riconosce che è possibile compensare la diminuzione di un fattore produttivo ( ad esempio manodopera) con l’aumento di un altro (per esempio il capitale investito in macchinari automatizzati). Con la sostituzione, una quantità di punti diversi può risultare appropriata per l’ubicazione delle manifatture; questi punti indicano il margine spaziale di profittabilità e definiscono l’area in cui è possibile operare con profitto. Altre considerazioni e vincoli localizzativi. Le economie di agglomerazione. Il raggruppamento in una medesima area delle attività industriali può assicurare alle singole imprese dei vantaggi che non potrebbero ottenere restando isolate. Questi vantaggi si concretizzano in forme di risparmio derivanti dalla condivisione di infrastrutture. Produzione flessibile o just in time. Le manifatture just in time cercano di ridurre le riserve immagazzinate per il processo produttivo, procurandosi materie prime soltanto al momento di usarle e producendo manufatti al momento di venderli. Questi processi richiedono consegne rapide da parte dei fornitori, che dunque sono incentivati a localizzarsi accanto al compratore. Vantaggio comparato, outsourcing e offshoring. Il vantaggio comparato ci dice che i paesi possono migliorare le proprie economie se ciascuna area si concentrerà sulla produzione di quegli articoli per cui ha il più grande vantaggio relativo rispetto ad altre aree. Per outsourcing si intende la produzione di parti o di prodotti all’estero per il consumo interno; quando il vantaggio comparato e l’outsourcing vengono sfruttati dalle singole imprese, si fa palese una delle manifestazioni dei sistemi di produzione flessibile, nell’erosione della rigida concentrazione delle manifatture. Un chiaro esempio è quello delle trasformazioni subite dalle industrie automobilistiche: con sempre maggiore frequenza le case acquistano parti di assemblaggio da fornitori indipendenti e alcuni osservatori prevedono che le case finiranno con il trasformarsi in proprietarie del marchio di fabbrica, mantenendo per se soltanto i compiti essenziali. Quando la manodopera straniera meno retribuita può rimpiazzare in modo soddisfacente tecnici, professionisti e impiegati l’outsurcing prende il nome di offshoring, il quale consiste nell’ingaggiare manodopera straniera oppure nell’appaltare un fornitore estero di servizi il controllo di particolari processi o operazioni. MODELLI E TENDENZE MONDIALI DELLE MANIFATTURE Qualunque sia il criterio su cui si fondono decisioni localizzative, nel corso degli anni risultati hanno prodotto un caratteristico modello mondiale delle manifatture. Si possono distinguere quattro principali regioni manifatturiere: la parte orientale degli Stati Uniti, l’Europa Occidentale e Centrale, l’Europa Orientale e l’Asia Orientale. Nord America. L’importanza dell’attività manifatturiera nel Nord America è in costante declino. Le manifatture si trovano soprattutto nelle zone confinanti del Canada, la così detta cintura manifatturiera dei grandi laghi. La rete idrografica costituita dai grandi laghi fornì le prime “autostrade” dell’interno, integrate più tardi da una fitta rete di canali. Durante gli anni ’90 del secolo scorso, l’economia del Nord America visse un progressivo declino dell’occupazione industriale e del volume degli affari. Nell’area del Golfo del Messico petrolio e gas naturale assicurano ricchezza, energia e materie prime per la consolidata industria petrolchimica.

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Più a Ovest, Denver e Salt Lake City sono divenuti centri industriali finalizzati all’alta tecnologia. Europa Centrale e Occidentale. La rivoluzione industriale, che ebbe inizio in Inghilterra alla fine del ‘700 e che si diffuse sul continente fece dell’Europa Occidentale e Centrale la regione manifatturiera principe nel mondo. Fino al 1900 l’Europa incideva per 80% sulla produzione industriale mondiale, ma da allora la sua posizione si è indebolita, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale. Fu l’energia del vapore a fornire l’impulso per la completa industrializzazione dell’Europa, di conseguenza in Inghilterra, furono i giacimenti di carbone le sedi dei nuovi distretti manifatturieri. L’area industriale più vasta e importante d’Europa si estende dal confine Franco Belga sino alla Germania Occidentale, e il suo perno e la Ruhr una concentrazione industriale compatta, altamente urbanizzata. L’Europa Occidentale sta sperimentando una fase di deindustrializzazione,iniziata negli ultimi decenni del ‘900; in Gran Bretagna e soprattutto in Germania, le aree di più antica industrializzazione appaiono ormai radicalmente trasformate: la Ruhr, per esempio, ha cambiato volto nella direzione dell’alta tecnologia, mentre in Italia la riconversione ha interessato soprattutto la chimica e la siderurgia. L’Europa Orientale. Dopo l’implosione dell’URSS, gli stati dell’Europa Orientale hanno dovuto confrontarsi con una struttura industriale di misera concezione. In Russia e in Ucraina dominano due forme di indirizzo industriale una si incentra sull’industria leggera orientata verso il mercato e l’altra riguarda l’industria pesante. Asia Orientale. L’Asia Orientale sta rapidamente diventando la più produttiva regione industriale del mondo. La Cina, sfruttando ricche risorse di base, una forza lavoro massiccia e una domanda di mercato insaziabile, si sta industrializzando in fretta e compare tra i primi dieci produttori di un buon numero dei principali prodotti industriali. La Corea del Sud, Taiwan, Singapore e Hong Kong erano note come le quattro tigri dell’Economia Asiatica. L’industria giapponese venne ricostruita, dopo la seconda guerra mondiale, sino a raggiungere l’attuale posizione dominante in alcuni settori ad alta tecnologia. Tre economie minori dell’Asia Orientale, Taiwan, Corea del Sud e Singapore, hanno superato la precedente condizione di paesi in via di sviluppo, e la loro fetta di mercato in quelle branchie dell’industria in cui hanno scelto di specializzarsi è aumentata in modo esponenziale. MODELLI Le classiche teorie della localizzazione sono meno applicabili per spiegare l’ubicazione dell’ultima generazione di attività manifatturiere: la produzione di alta tecnologia. L’impatto delle industrie di alta tecnologia sui modelli di geografia economica si esprime in tre modi. Prima di tutto, l’ attività high tech stanno diventando fondamentali nella crescita dell’occupazione e nella produzione manifatturiera. I prodotti dell’attività ad alta tecnologia rappresentano una percentuale sempre più elevata della produttività industriale complessiva di singole nazioni e del commercio fra di esse. Le industrie high tech hanno teso sempre più a concentrarsi in alcune regioni delle nazioni di origine e al loro interno hanno formato spesso delle agglomerazioni altamente specializzate. Le dinamiche di insediamento dell’industria high tech suggeriscono che la stessa risponde a forze localizzative diverse da quelle che controllano le manifatture tradizionali:

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• La vicinanza alle principali Università o ai centri di ricerca, • L’assenza di aree fortemente sindacalizzate in cui le rigidità di contratto possono rallentare

il processo e la flessibilità della forza lavoro; • La disponibilità in loco di capitale di rischio; • La disponibilità di mezzi di comunicazione e di trasporto di ottima qualità per tenere uniti

tra loro gli stadi separati dal lavoro. TERZIARIO E OLTRE Le attività primarie raccolgono, estraggono o coltivano prodotti. Le attività secondarie forniscono un valore aggiunto ai prodotti primari. Un segmento importante e in crescita del sistema economico riguarda invece i servizi e non la produzione di merci. Le attività terziarie forniscono servizi ai settori primario e secondario, alla comunità in generale e perseguono finalità diverse dall’effettiva produzione di beni tangibili. L’importanza dei servizi mostra un forte divario tra le società avanzate e quelle di sussistenza, più elevata è la percentuale dei servizi, maggiore è l’integrazione e l’interdipendenza di quelle società. Servizi del terziario. La maggior parte delle attività terziarie si occupa dei servizi privati e commerciali a basso profilo. In tutte le società post industriali del mondo, la crescita della componente dei servizi riflette lo sviluppo di strutture sociali, economiche e amministrative più complesse. Particolare attenzione merita il turismo, diventato non soltanto la più importante attività del settore terziario, ma anche la maggiore industria mondiale. Qualunque sia l’origine della crescita occupazionale del terziario, le conseguenze sociali e strutturali portano a una crescente specializzazione nel lavoro e all’interdipendenza economica all’interno di una Nazione. Oltre il terziario. Le statistiche disponibili non sempre permettono una chiara distinzione tra terziario e le attività più specializzate e di più alto livello del quaternario e quinario. Il settore quaternario può essere considerato una forma avanzata di servizi riguardanti conoscenze specialistiche, competenze tecniche o capacità amministrative. Tali attività spesso includono l’esternalizzazione dei servizi specializzati, pratica simile all’outsourcing delle funzioni terziarie. La distinzione tra i due termini sta nel fatto che i centri di servizi quaternari autonomi possono essere spazialmente separati dalla propria clientela, non sono vincolati dalle risorse, influenzati dall’ambiente o necessariamente o localizzati dal mercato. Per finire vi sono le attività quinarie, le professioni dei colletti d’oro, un’altra riconosciuta suddivisone a se stante del settore terziario, che rappresenta le qualificate competenze lavorative ben retribuite di dirigenti commerciali, funzionari, governativi e così via. Quando le società progrediscono economicamente quindi, si assiste ad una costante transizione dalla produzione e lavorazione verso i servizi del settore terziario e verso le attività di informazione e controllo del quaternario e del quinario. CAPITOLO IX: MODELLI DI SVILUPPO E DI CAMBIAMENTO I geografi tentano di classificare e di raggruppare i paesi lungo un continum. Spiegazioni del sottosviluppo. Una cosa è ideare delle categorie di sviluppo relativo e inserirvi delle diverse nazioni, tutt’ altra cosa è scorgere in queste categorie una spiegazione del loro modello.

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Perché i vari paesi sono disposti in un certo modo lungo il continum del progresso? Il rapporto Brandt allude ad una diffusa ma semplicistica spiegazione spaziale: lo sviluppo è una caratteristica del ricco Nord, mentre povertà e sottosviluppo sono condizioni proprie dei tropici. Le Nazioni ricche hanno il 93% della popolazione residente nelle aree temperate, gli stati più poveri hanno residenti a latitudini tropicali e zone aride. Sfortunatamente per chi va in cerca di una facile spiegazione del genere, molte delle nazioni più povere del sud si trovano parzialmente o interamente nelle medie latitudini o sui rilievi temperati. Altre generalizzazioni appaiono altrettanto inconcludenti.

• La scarsità di risorse è considerata un limite alle possibilità di sviluppo. Tuttavia, alcune nazioni si annoverano tra le principali fornitrici mondiali di minerali industriali e di prodotti agricoli.

• Spesso la colpa dell’attuale sottosviluppo si attribuisce al passato coloniale. L’accusa è forse sostenibile per regioni in cui i colonizzatori lasciarono praticamente intatta la popolazione indigena, ma crearono strutture politiche e infrastrutture fisiche più adatte allo sfruttamento. Invece nei casi in cui i colonizzatori sostituirono in larga misura gli abitanti originali (Australia, Canada o Stati Uniti) l’associazione con il sottosviluppo risulta inapplicabile.

La questione centro periferia. I modelli centro periferia si basano sulla constatazione che, all’interno di molti sistemi spaziali, esistono violenti contrasti territoriali. I ricchi centri urbanizzati e le depresse periferie rurali sono disuguaglianze individuabili in molti paesi sviluppati. Esistono legami e interazioni fra le parti in contrasto del sistema: se per un motivo qualsiasi una regione conosce un accelerato sviluppo, diviene attraente per chi investe. Supponendo che il capitale di investimento sia limitato, la crescita nel centro in via di sviluppo deve avvenire a spese delle periferie del paese. Il processo attivato continua a polarizzare lo sviluppo e, conduce ad una divisione permanente tra i centri che prosperano e i distretti periferici poveri. Una variante più ottimista del modello osserva che all’interno delle economie le disparità di reddito tendono a ridursi con l’aumento del livello di sviluppo per opera dell’effetto di diffusione. INDICI ECONOMICI DI SVILUPPO. Il diffondersi della tecnologia. All’interno del mondo in via di sviluppo esistono differenze nel modo di utilizzare la tecnologia allo scopo di generare ricchezza. Il termine tecnologia si riferisce all’insieme di strumenti e metodi impiegati da una società per produrre articoli essenziali alla sopravvivenza e al benessere. In tutti i periodi è sempre esistito, tra le regioni nucleo e quelle esterne, un gap tecnologico, ovvero un netto contrasto tra la varietà e la produttività dei manufatti introdotti al centro e quelli conosciuti e impiegati nella periferia. La persistenza e l’espansione del gap tecnologico suggeriscono che l’idea di convergenza colturale non si estende anche al campo economico, non tutte le nazioni sono ugualmente capaci di attingere alla tecnologia per creare gli stessi prodotti, ma tutte le nazioni aspirano a espandere le proprie risorse e a migliorare la qualità della vita dei propri abitanti: l’obiettivo è perseguito mediante la ricerca di un trasferimento tecnologico che porti gli impiantii e i processi produttivi tipici dei paesi più avanzati nei paesi meno avanzati. Il complesso dello sviluppo. Nella misurazione dello sviluppo di un paese ciascun indicatore è in grado di mostrare soltanto una parte del quadro complessivo, tuttavia i criteri comparativi tendono a evidenziare la divisione del mondo in nord e sud. Il reddito nazionale lordo. Il reddito nazionale lordo esprime il complessivo valore di mercato dei beni e dei servizi prodotti all’interno di una economia in un dato periodo. Alcuni, tra cui gli ambientalisti, affermano che il rnl sovrastima la ricchezza di una società, ignorando il costo in danni ecologici imposto dalle economie moderne. Altri all’opposto, ritengono che il rnl sottovaluti la forza della crescita economica trascurando i miglioramenti apportati dalla tecnologia.

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Certo, il rnl non indica il redito personale, ma rappresenta semplicemente l’ assegnazione a ciascun individuo di una quota del totale nazionale. Consumo energetico pro capite. Il consumo di energia è correlato con il grado di industrializzazione e l’impiego di tecnologie avanzate. In effetti, le nazioni industrializzate consumano circa dieci volte più energia di quanto non facciano le economie in via di sviluppo, il punto chiave quindi è il consumo non la produzione. Il Giappone per esempio deve importare dall’estero le scorte energetiche di cui ha bisogno; al contrario nazioni meno sviluppate hanno cifre altissime di produzione di energia ma soprattutto esportano le risorse (petrolio). Il loro fabbisogno energetico è, infatti, prevalentemente soddisfatto da fonti energetiche provenienti dal lavoro dell’uomo e degli animali. La forza impiegata nell’agricoltura. Una elevata percentuale di manodopera impiegata nell’agricoltura è quasi invariabilmente associata a un basso reddito nazionale pro capite e a un ridotto consumo energetico, ovvero a un’economia prevalentemente di sussistenza. Quando la popolazione attiva si occupa principalmente di agricoltura, ne risultano in genere un basso accumulo di capitali e un limitato sviluppo economico nazionale. Le economie in via di sviluppo non sono in grado di far fronte all’infinito alla crescita demografica destinando alla coltivazione nuovo terreno agricolo. La mancanza di terra è in parte dovuta allo squilibrio tra l’offerta di manodopera agricola e la superficie coltivabile a disposizione. In America Latina dove le aziende agricole sono spesso enormi e la maggior parte dei contadini è senza terra, la riforma agraria (ovvero la redistribuzione del suolo coltivabile fra i contadini) ha avuto effetti limitati. I contadini senza terra rappresentano la fascia più svantaggiata delle popolazioni che abitano le nazioni più pover del mondo. Molto spesso per sopravvivere abbandonano le aree rurali per riversarsi nelle città in cerca di lavoro, ma nella maggior parte dei casi finiscono per andare ad ampliare il numero dei residenti delle baraccopoli, senza quasi mai riuscire a migliorare la qualità della loro vita. Povertà, calorie e nutrizione. La diffusione della malnutrizione è la conseguenza più evidente della scarsità di mezzi economici. I livelli di nutrizione dunque, sono indicatori efficaci dello sviluppo economico di un paese. Il cibo, in quanto bene di consumo indispensabile e universale, è indice fondamentale del benessere economico. Un modello di sviluppo economico. La consapevolezza della crescita economica non è automatica rappresenta lo scoraggiante capovolgimento una convinzione ottimistica precedentemente piuttosto diffusa. Un modello ampiamente citato per l’avanzamento economico fu proposto da Rostow il quale teorizzò che tutte le economie sviluppate passassero attraverso diversi stadi di crescita e sviluppo. Le società tradizionali possono disporre soltanto di una limitata produttività. Le condizioni preliminari per il decollo si stabiliscono quando tali società iniziano a organizzarsi in unità politiche e a investire nel sistema dei trasporti e in altre infrastrutture di produzione. Il decollo verso una crescita sostenuta costituisce lo stadio di sviluppo più critico, dove si impiantano nuove industrie si sfruttano le risorse e la crescita diventa la norma comunemente attesa. La spinta verso la maturità vede l’applicazione delle tecnologia moderna a ogni fase dell’attività economica.

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Infine quando la maggior parte della popolazione a livelli di consumo ben al di sopra delle necessità di base, l’economia ha completato il passaggio alla fase del consumo di massa. L’idea di Rostow sull’esistenza di un inevitabile processo di sviluppo suddetto si è però dimostrata illusoria. Molti paesi poco sviluppati sono rimasti bloccati in uno dei primi due stadi del processo, incapaci di raggiungere la fase di decollo. INDICI NON ECONOMICI DI SVILUPPO Lo sviluppo non si misura solamente attraverso l’utilizzo di indici economici, ma comunque lo si misuri, il divario tra i paesi più o meno sviluppati, nelle sue caratteristiche non economiche, è altrettanto grande quanto lo è negli aspetti economico tecnologici. Istruzione. Una forza lavoro alfabetizzata e istruita è indispensabile per un efficace trasferimento di tecnologia dai paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo. Eppure nelle società più povere oltre alla metà degli adulti è analfabeta. Nei paesi poveri vi è una convergenza di fattori che finiscono per limitare la frequenza scolastica. Tra questi ricordiamo la mancanza di strutture e la povertà delle famiglie che rende proibitivi i costi dell’istruzione e mantiene impegnati nel lavoro i bambini in età scolare. Servizi pubblici. La qualità dei servizi pubblici e la creazione di strutture che assicurino la salute della forza lavoro sono elementi altrettanto significativi dell’avanzamento di una nazione. La scontata presenza di acqua pulita e di reti fognarie nei paesi a economia avanzata e la loro assenza, soprattutto nelle aree rurali nelle baraccopoli urbane, nei paesi meno sviluppati, evidenzia un contrasto profondo tra i due mondi. Malgrado le cifre sono stati compiuti progressi significativi nel corso degli anni ’80 che le Nazioni Unite chiamarono il decennio internazionale della distribuzione di acqua potabile e dell’igiene. Sanita’. All’interno del mondo meno sviluppato un ampio numero di persone non ha accesso ai servizi sanitari. Nel mondo in via di sviluppo si rileva una profonda scarsità di professionisti della salute, e i pochi che esercitano tendono a raggrupparsi nelle aree urbane, soprattutto nelle capitali. Si può asserire che le nazioni avanzate e quelle in via di sviluppo, quanto a malattie e sanità, occupino due mondi distinti. Uno è agiato: i tassi di mortalità sono contenuti; il secondo è profondamente disagiato, spesso sovraffollato ed esposto alle malattie più varie, i pericoli mortali per la sua giovane popolazione sono le malattie infettive e parassitarie aggravate dalla malnutrizione. I costi delle moderne cure mediche, impongono un fardello insostenibile ai bilanci già provati dagli stati in via di sviluppo. INDICI COMBINATI DI SVILUPPO E BENESSERE. Nessuna singola misurazione riassume in modo adeguato le diverse sfaccettature dello sviluppo nazionale, per raggiungere un indice riassuntivo è possibile concepire dei sistemi di misurazione compositi. Una di queste graduatorie si è guadagnata una crescente approvazione ed è impiegata dalle nazioni unite, è detta indice di sviluppo umano e combina tre criteri: la qualità della vita calcolata prevalentemente in base al reddito pro capite adattato ai poteri d’acquisto della moneta di ciascun paese; la longevità calcolata in base alla speranza di vita alla nascita; l’istruzione misurata in base alla media di alfabetizzazione della popolazione adulta e degli anni di frequenza scolastica. L’indice di sviluppo umano riflette la convinzione che le principali aspirazioni umane siano quelle di condurre una esistenza lunga e priva di malattie, ricevere una

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adeguata istruzione e avere accesso alle risorse sufficienti a procurarsi una vita decente. IL RUOLO DELLE DONNE Molti dei più comuni indicatori di sviluppo e di cambiamento, non tengono conto delle strutture per sesso e per età delle società esaminate. Il genere è un costrutto culturale basato su distinzione create socialmente, non su base biologica, tra individui di sesso maschile e femminile. La società occidentale industriale è emersa da una tradizione agricola di subordinazione della donna, che non la considerava un elemento importante del sistema economico il che limitò per lungo tempo il loro accesso all’istruzione, alla politica e al mondo del lavoro. Il tasso e l’estensione del contributo femminile alla forza lavoro si è ampliato ovunque negli ultimi anni. La crescente partecipazione femminile alla forza lavoro riflette svariate situazioni di mutamento, in quanto le donne hanno ottenuto un maggiore controllo della propria fertilità, e la crescita economica, compresa l’espansione dei posti di lavoro aperti alle donne è stata in molto regioni altrettanto importante. Su scala globale l’odierno modello di assegnazione dei ruoli economici e istituzionali basato sulla discriminazione di genere è estremamente vario; risulta influenzato dal livello di sviluppo economico del paese, dal persistere delle restrizioni religiose e di costume imposte alle donne e dalla natura specifica della sua economia di base, in particolare agricola. Nelle aree a influenza islamica la quota ufficiale di popolazione femminile economicamente attiva è bassa. Le tradizioni religiose, infatti, riducono l’accettazione delle donne in attività economiche che avvengono all’esterno delle mura domestiche. PARTE QUARTA CAPITOLO X: SISTEMI E STRUTTURE URBANE UN MONDO IN VIA DI URBANIZZAZIONE Il notevole aumento della popolazione mondiale nel corso dei secoli ha implicato un forte incremento anche della componente urbana, quasi tutti i paesi evidenziano due elementi comuni: la percentuale di popolazione che abita in città è in aumento e le dimensioni della città tendono a crescere. Il risultato, ovunque, è un crescente multiculturalismo urbano, con crescenti problemi di frammentazione sociale, segregazione delle minoranze, isolamento e povertà. Mega città e fusione di metropoli. Con il termine mega città ci si riferisce ad aggregazioni urbane che superano i dieci milioni di abitanti; sia le scelte personali degli emigranti sia le decisioni di

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investimento da parte delle aziende e dei governi hanno determinato tassi di crescita e dimensioni delle città inferiori a quelli un tempo pronosticati. Quando importanti complessi metropolitani separati, si espandono lungo strutture di trasporto da cui sono collegati, è possibile che si uniscano in corrispondenza dei rispettivi margini esterni, creando le ampie regioni metropolitane o conurbazioni. Il paesaggio urbano non può più essere descritto come un’area dai confini ben definibili e chiaramente distinguibili dai territori agricoli interposti alle altre unità urbane. LE RADICI DEGLI INSEDIAMENTI Nella maggior parte del mondo, chi vive in zone rurali risiede per lo più in insediamenti formatisi attorno ad un gruppo centrale, piuttosto che in casi dispersi sul territorio. Quando si sviluppano commerci tra due o più insediamenti rurali, questi ultimi iniziano ad acquisire tratti fisici nuovi via via che i loro abitanti intraprendono nuovi tipi di occupazione. I villaggi così assumono caratteristiche urbane; le abitazioni tendono a raggrupparsi lungo le strade principali; gli insediamenti diventano parte di un sistema di comunità. LA NATURA DELLE CITTA’ Le città palesano temi e tratti regolari ricorrenti in linea con il tempo e il luogo in cui si trovano. In primo luogo ogni città svolge determinate funzioni da cui ricava il reddito necessario per sostentare se stessa e i suoi abitanti; in secondo luogo appartiene a una società e a un sistema economico più ampi; in terzo luogo, ogni unità urbana presenta una disposizione interna e tali assetti possono essere in parte pianificati e in parte determinati da decisioni individuali e da forze di mercato; infine tutte le città, hanno conosciuto problemi riguardanti l’uso del territorio, i conflitti sociali e i timori per l’ambiente. Alcune definizioni. I termini città e cittadina indicano insediamenti sviluppatisi attorno a un nucleo centrale (CBD) di carattere multifunzionale. Le cittadine sono più piccole hanno un grado di complessità inferiore rispetto alle città, tuttavia in esse le attività economiche rimangono concentrate attorno a un nucleo. Il termine sobborgo contraddistingue un’area secondaria, che dipende da aree urbane situate al di fuori dai suoi confini e si integra con queste. Il termine area urbanizzata designa un paesaggio caratterizzato da edificazione continua e può avere al proprio interno una città centrale e/o un gran numero di città, cittadine , sobborghi contigui. Un’area metropolitana invece, indica una entità funzionale su larga scala, che può contenere molte aree urbanizzate, operanti come un insieme economico integrato. L’ubicazione degli insediamenti urbani. Di fatto, una unità urbana esiste per fornire servizi non solo a se stessa, ma anche ad altri destinatari esterni. Al fine di svolgere adeguatamente le attività che garantiscono il suo sostegno e aggiungere nuove funzioni in base all’esigenza del sistema economico più ampio, la città deve avere una ubicazione che risponda a criteri di efficienza. Nel discutere l’ubicazione degli insediamenti urbani, i geografi fanno riferimento alla rilevanza del sito e della situazione. Il termine sito si riferisce alle caratteristiche fisiche del terreno su cui la città è insediata, sono state proposte classificazioni delle città sulla base delle caratteristiche dei relativi siti, riconoscendo l’esistenza di collocazioni con caratteristiche peculiari. Fra queste rientrano le ubicazioni in punti di rottura, quali punti di attraversamento fluviali dove merci e persone devono interrompere un viaggio; le ubicazioni corrispondenti a punti estremi di navigazione, dove vengono raggiunti i limiti massimi consentiti per il trasporto via acqua; le ubicazioni corrispondenti a un capolinea ferroviario, dove la ferrovia termina. Con situazione si indica la situazione relativa, cioè la posizione di un insediamento rispetto alle caratteristiche fisiche e culturali delle aree circostanti. Pur essendo sotto molti aspetti più importante del sito per comprendere le funzioni e il potenziale di crescita delle città, la situazione è un

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elemento che caratterizza in modo più esclusivo ciascun insediamento e non si presta a facili generalizzazioni. LE FUNZIONI DELLE CITTA’ Il concetto chiave è quello di funzione, ovvero l’effettivo ruolo delle città all’interno delle società e del sistema economico più ampi in cui esse sono state fondate. Non tutte le attività esercitate in una città hanno lo scopo di creare un collegamento con il mondo esterno, alcune servono semplicemente a mantenere in vita la città stessa. Insieme, questi due livelli di attività formano la base economica. La base economica. In una unità urbana una parte della popolazione si dedica alla produzione di beni e servizi a favore di aree e individui residenti all’esterno della città stessa. Nel loro insieme, essi costituiscono il settore di base della struttura economica complessiva della città. Altri lavoratori si occupano di produrre i beni o servizi per i residenti dell’unità urbana. Il loro impegno non genera un afflusso di denaro e costituisce un settore non di base del sistema economico. La struttura economica complessiva dell’area urbana equivale alla somma di queste due attività. Rapporti relativi alla base economica. Supponendo che si possa suddividere con assoluta precisione la popolazione occupata tra addetti alle attività di base e addetti alle attività non di base, è possibile stabilire un rapporto tra questi due gruppi occupazionali. Questo rapporto è piuttosto simile tra unità urbane di attività analoghe, inoltre, via via che le dimensioni di un insediamento aumentano, il numero di lavoratori non di base cresce più rapidamente di quello di lavoratori di base. All’aumentare dei lavoratori delle attività di base, il numero complessivo di occupati e di abitanti di una città aumenta per il contributo fornito dall’ingresso di lavoratori delle attività non di base e dei rispettivi familiari a carico. Più lavoratori del settore non di base una città detiene più gliene occorrono per venire incontro alle esigenze dei primi, a causa dell’effetto moltiplicatore. La crescita delle città può essere un processo che auto genera e che quindi può essere definito circolare e cumulativo. SISTEMI DI INSEDIAMENTI URBANI Secondo una semplice ma efficace classificazione funzionale in tre categorie, gli insediamenti urbani vengono distinti in centro di trasporto, città con funzioni speciali e località centrali. Il modello spaziale dei centri di trasporto è quello dall’allineamento, in quanto gli itinerari seguiti per comunicazioni formano gli assi lungo i quali le città si svilupparono e da cui dipese almeno inizialmente, il loro successo dal punto di vista funzionale. Le città con funzioni speciali sono quelle, la cui localizzazione è legata alla presenza di materie prime, o la forza di attrazione esercitata da una concentrazione di mercati: è il caso delle città minerarie e industriali del distretto della RUHR o si presentano come enormi complessi urbanizzati, come le aree metropolitane di Tokio, Londra, Milano etc. Un tratto comune a tutti gli insediamenti è la centralità, ogni unità urbana fornisce beni e servizi a un’area circostante che gravita intorno a essa. La gerarchia urbana. Un modo efficace per riconoscere le modalità di organizzazione dei sistemi di città consiste nel considerare la gerarchia urbana, ovvero una classificazione delle città in base a dimensioni e complessità funzionale. La gerarchia assume la forma di una piramide al cui vertice compaiono pochi città grandi e complesse, mentre alla base si trovano molti centri più piccoli e di struttura più semplice. Città mondiali. Al vertice dei sistemi nazionali di città vi è un numero esiguo di agglomerazioni che possono essere denominate città mondiali. Quando l’economia era dominata dall’industria manifatturiera, molte delle attività svolte da una singola azienda avvenivano in una unica città, ma ora con una economia globalizzata, tali funzioni

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si trovano disseminate nel mondo . si tratta di attività che devono comunque avere un luogo di coordinamento, il quale rappresentato dalle città mondiali. Londra, New York e Tokio sono state universalmente riconosciute come le tre città mondiali dominanti; ciascuna è legata ad altre città e tutte sono unite in reti che controllano la gestione del sistema di finanza globale. Legge rango-dimensionee città primate. In alcuni paesi la gerarchia relativa alle dimensioni della città è sintetizzata dalla legge rango-dimensione. Secondo questa regola, la città che occupa il posto n per grandezza all’interno di un sistema nazionale di città, avrà dimensioni pari a 1/n di quelle delle città più grande. In altri termini il secondo insediamento in ordine di grandezza sarà equivalente alla metà di quello più grande. La possibilità di ordinare le città secondo il principio rango-dimensione è meno applicabile a paesi caratterizzati da economie poco sviluppate, o a quelli nei quali il sistema di città è dominato da una città primate, le cui dimensioni sono molto più del doppio di quelle della città al secondo posto della graduatoria è il caso ad esempio di Parigi. Aree di influenza urbana. Si dicono aree di influenza urbana le zone che si trovano all’esterno di una città ma gravitano comunque intorno a essa. Una grande città può influenzare altre cittadine attraverso i servizi bancari, le stazioni televisive e i grandi centri commerciali di cui dispone. L’influenza delle città più grandi si avverte in zone più vaste, secondo un gradiente basato sulle aree di mercato, che sta alla base della teoria delle località centrali. Località centrali. Un modo efficace per cogliere il significato delle aree di influenza prevede di considerare gli insediamenti urbani in termini di località centrali, ovvero centri per la distribuzione di beni e servizi economici alle popolazioni non urbane circostanti. CHRISTALLER ideò la teoria delle località centrali applicandola ad un contesto semplificato, cioè:

• Le cittadine che forniscono alle campagne circostanti beni fondamentali, si sviluppano in una pianura uniforme priva di barriere.

• La popolazione agricola distribuita in modo uniforme. • Le persone hanno caratteristiche omogenee • I consumatori acquistano presso la struttura più vicina • Ogni tipo di prodotto disponibile ha un numero minimo di consumatori necessario per

sostenerne l’offerta. Ne derivano le seguenti conseguenze:

• La pianura agricola viene suddivisa in aree di mercato non concorrenziali che assumono la forma di una serie di esagono che coprono l’intera pianura.

• È presente una località centrale al centro di ciascuna delle aree di mercato esagonali • Le dimensioni dell’area di mercato di una località centrale sono proporzionali al numero di

beni e servizi offerti. CHRISTALLER giunse a due ulteriori conclusioni. Innanzitutto, le città di uguali dimensioni si trovano ad una distanza uniforme; inoltre i centri più grandi si trovano più distanziati rispetto a quelli più piccoli, ciò significa che esistono molte più città piccole che grandi; in secondo luogo, il sistema di città è interdipendente, ciò significa che se una località centrale fosse eliminata, l’intero sistema dovrebbe essere riadattato. Strutture urbane reticolari. Negli ultimi anni ha iniziato a diffondersi un nuovo modello spaziale urbano, che in parte si discosta dal modello di ordinamento gerarchico piramidale delle città, analizzato in precedenza. Le strutture urbane reticolari nascono a seguito delle profonde trasformazioni economiche. Le industrie, hanno iniziato a scomporre i cicli produttivi , e a dislocare parti di essi in sedi differenti, così che si sono distribuiti su territori più vasti, connettendo le varie città. Quando due o più città in precedenza indipendenti, si impegnano a collaborare, sorgono città e strutture regionali reticolari. DENTRO LA CITTA’

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In genere esistono fenomeni ricorrenti, nelle aree urbane, per quanto concerne la distribuzione dei vari usi del territorio e la densità di popolazione. La competizione per l’uso del suolo urbano. Con l’avvento delle attività manifatturiere su vasta scala e l’accelerazione nell’urbanizzazione furono introdotti sistemi di trasporto pubblico sempre più efficienti e costosi. Nelle città provviste di sistemi trasporto pubblico, l’appetibilità di un lotto, e dunque il prezzo che esso poteva ottenere, era in funzione della sua accessibilità; per esempio i commercianti che offrono un’ampia scelta di prodotti si rivolgono ad una clientela dislocata su un territorio più esteso e per tanto occupano i lotti ubicati all’interno del distretto centrale degli affari (CBD), che risulta localizzato nel punto di convergenza delle linee di trasporto pubblico. Valori dei terreni e densità di popolazione. Il tratto dominante rispetto a queste variazioni locali, è un generale declino dei prezzi dei terreni all’aumentare della distanza rispetto all’ubicazione ottimale all’interno del CBD. Con una importante eccezione, anche la curva della densità di popolazione evidenzia un andamento comparabile di decadimento con la distanza; l’ eccezione è rappresentata da una tendenza a una caduta in corrispondenza del centro. Il progressivo processo di industrializzazione conosciuto dalle città e via via che lotti di terreno più grandi e meno costosi si sono resi più disponibili nella periferia grazie ai miglioramenti compiuti nei trasporti, il ceto benestante e quello medio hanno abbandonato le zone centrali, mentre i cittadini più poveri sono rimasti, concentrandosi nelle aree più degradate in prossimità del centro città. In anni recenti però, si osserva una tendenza a tornare nel centro da parte di una quota del ceto medio e dell’alta borghesia, attratti dalla comunità dalle opportunità culturali e dalla disponibilità di strutture condominiali esclusive.

Modelli relativi alla struttura di uso del territor io urbano. Il punto di partenza comune ai modelli classici è il CBD, presente in ogni città centrale di tipo più antico. Il cuore di quest’area evidenzia uno sviluppo intensivo del territorio. I modelli illustrati si differenziano nella descrizione di ciò che si trova all’esterno del CBD. Nel modello a struttura concentrica la comunità urbana si distribuisce come una serie di anelli:

• Una zona di transizione caratterizzata dal degrado di vecchie strutture residenziali, un tempo abitate da cittadini piuttosto abbienti e abbandonate con l’espansione della città.

• Una zona di residenze occupate da lavoratori dal settore industriale. • Una zona di abitazioni migliori, con canoni di affitto elevato.

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Il modello è dinamico, ipotizza la continua espansione delle zone più interne a spese delle aree sviluppate immediatamente successive e suggerisce un processo del fenomeno di segregazione della popolazione in base al reddito. Il modello a settori conclude che le aree residenziali caratterizzate da affitti elevati si sviluppano verso l’esterno rispetto al centro città, lungo le principali arterie di comunicazione. I settori abitati dal ceto medio sono adiacenti alle suddette aree, mentre le fasce a basso reddito occupano i settori rimanenti. Il modello della struttura concentrica e quello a settori presuppongono che la crescita urbana avvenga verso l’esterno a partire da un unico nucleo centrale, il CBD. A questi modelli si contrappone un modello a nuclei multipli, secondo il quale le grandi città si sviluppano espandendosi a partire da molteplici nodi di crescita, pertanto il modello di uso del territorio urbano non ha una struttura regolare, ma si fonda su aggregati di attività in contrasto tra loro che si espandono separatamente. Aree sociali delle città. Maggiori sono le dimensioni e il livello di complessità economica e sociale delle città, più forte risulta la tendenza dei loro abitanti a separarsi in gruppi basati sullo status sociale, sullo status familiare,e sull’etnicità. Questo tipo di comportamento può rappresentare una difesa, un desiderio di rimanere tra chi è simile a sé. Lo status sociale di un individuo è determinato dal reddito, dal livello di istruzione o dal tipo di occupazione, ed esistono vari livelli di status, ma gli individui tendono a trasferirsi dove la maggioranza delle famiglie sono di livello simile. I pattern osservati in relazione allo status sociale sono in linea con il modello della struttura a settori; infatti nella maggioranza delle città gli individui con posizioni sociali simili si raggruppano in settori che si espandono a ventaglio a partire dalle aree più interne. Man mano che la distanza dal centro città aumenta, l’età media dei residenti adulti scende o i loro nuclei familiari diventano più numerosi. Nella geografia sociale delle città le aree etniche omogenee appaiono come aggregati o nuclei ben distinti. Nel caso di alcuni gruppi etnici la segregazione culturale è voluta e vigorosamente difesa. MUTAMENTI DELLA CITTA’ CENTRALE I processi continui di urbanizzazione registrati negli Stati Uniti alla fine del XX secolo determinarono due tipi contrastanti di modelli. Uno è tipico delle città più vecchie situate nella parte orientale del paese e dei relativi sobborghi, incapaci di espandersi per assorbire le nuove aree di crescita sviluppatesi ai loro margini e mantenere la base economica e sociale equilibrata che in origine possedevano. L’altro caratterizza le città della parte occidentale degli Stati Uniti, benchè in grado di inglobare entro i propri confini le nuove aree di crescita presenti ai loro margini, queste città devono affrontare il problema di fornire infrastrutture a una base residenziale sempre più dispersa sul territorio. Città centrali concentrate. L’urbanizzazione ha pesantemente danneggiato la base economica delle città centrali incapaci di assorbire le nuove aree di crescita, in particolare nella parte orientale degli Stati Uniti.

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Ove possibile, gli abitanti sceglievano di rimanere staccati dalla città centrale e di non condividerne i costi, il degrado e i problemi. Il processo di redistribuzione della popolazione comportò la segregazione dei gruppi sociali presenti nell’area metropolitana. I cittadini capaci di mobilità approfittavano del’automobile e dell’autostrada per lasciare la città centrale,mentre quelli più poveri, più anziani e più svantaggiati rimanevano indietro. Le città centrali e i sobborghi divennero così due realtà sempre più differenziate. Questo quadro pessimistico, però, iniziò a mutare negli anni ’90 quando le città centrali lanciavano segnali di ripresa che hanno portato a riscoprire almeno due loro attrattive: esse sono da un lato centro di opportunità economiche e occupazionali, dall’altro luoghi di residenza competitivi per le fasce di popolazione benestante. La ripresa delle città centrali dal punto di vista residenziale è dovuta anche al fenomeno della gentrification, ovvero la ristrutturazione di abitazioni situate nei centri città più vecchi. Città centrali in espansione. Durante la seconda metà del xx secolo, le aree di crescita urbana più dinamiche degli Stati Uniti erano site nella regione occidentale montuosa. Tale espansione senza restrizioni delle città centrali ha introdotto molteplici problemi, in molti casi non sono state in grado di apportare i miglioramenti delle infrastrutture e offrire i servizi sociali richiesti dalle loro nuove popolazioni. In breve, ogni unità di crescita costa alla municipalità più di quanto non generi in entrate fiscali. DIVERSITA’ URBANA NEL MONDO Le città al di fuori degli Stati Uniti sono state, create in circostanze storiche, culturali e tecnologiche diverse. Se la città è un fenomeno universale, le sue caratteristiche sono invece diverse da regione a regione. La città dell’America Anglosassone. Persino all’interno del dominio culturale degli Stati Uniti e del Canada, apparentemente omogeneo, la città presenta alcune sottili ma significative differenze. A parità di popolazione una città canadese è più compatta di una città americana, presenta una maggiore densità di edifici e persone. Così a parità di dimensioni, una popolazione può risiedere in un’area più piccola ad una densità molto superiore. La città canadese è meglio servita e più dipendente dai sistemi di trasporto pubblico rispetto alla città statunitense. La città canadese presenta una maggiore stabilità sociale e non è esposta alla concorrenza delle edge cities (città funzione commerciale che si caratterizzano per il fatto di ospitare più posti di lavoro che residenti) delle aree sub urbane, che espandono e frammentano pesantemente i complessi metropolitani statunitensi. La città europea occidentale: il caso italiano. Le città europee generalmente si formano in epoca molto precedente rispetto alla realtà americana. Malgrado le devastazioni subite nei periodi bellici e i successivi interventi di ricostruzione, molte di queste città portano ancora i segni dei popoli che hanno ospitato e delle tecnologie che hanno conosciuto in passato. La città antica in Europa nasce come centro che soddisfa esigenze legate alla difesa, alle funzioni collettive e all’amministrazione del poter politico ed economico. La presenza di un insediamento cittadino difeso può confortare un più efficace controllo sul territorio circostante, sia che questo si presenti pianeggiante e fertile e quindi offra redditi vitali nelle attività agricole, sia che si tratti di un ambiente con passaggi obbligati e quindi offra la possibilità di riscuotere dazi e controllare traffici mercantili. La struttura interna della città antica contenuta nella cinta muraria è spesso caratterizzata dalla presenza di strade che tendono al centro dell’area. Il periodo successivo al dominio romano fu caratterizzato da un iniziale progressivo deterioramento della rete municipale esistente e della struttura stessa delle città antiche. Fattore determinante fu un’ involuzione generale dell’economia, che non permise, di resistere efficacemente all’invasione dei popoli provenienti da est. Quanto alla struttura interna delle città nell’alto medio evo, si osserva il fenomeno per cui all’interno delle mura, si destinano ampi spazi a uso agricolo per supplire alle esigenze di sostentamento in caso di assedio.

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La seconda fase di questo periodo, è contraddistinta da un progressivo decollo delle città italiane, più sviluppate rispetto alle altre realtà europee dell’epoca: l’Italia conosce precocemente la rivoluzione mercantile, da cui scaturisce un diffuso rilancio urbano. Complessivamente, in questo periodo la popolazione risulta in crescita, nonostante i momenti di forte crisi dettati da carestie, pestilenze e guerra. Sul finire di quest’epoca, molte città (tra le altre Genova, Milano, Bologna, Firenze, Napoli) raggiungono la forma che le caratterizzerà fino all’unità d’Italia. Gli ampi spazi interni alle mura, a Firenze come a Bologna e in molte altre città italiane minori, assolvevano sempre alle funzioni di rapido approvvigionamento agricolo o per fornire ospitalità al contado durante le emergenze. La città capitale è solitamente la sede del potere istituzionale, ed è il luogo in cui vengono accentrati quasi tutti gli investimenti; essa beneficia dei maggiori interventi di tipo urbanistico. Le città porto e le città fortezza sono luoghi che spiccano nella gerarchia urbana per il loro ruolo e per tanto ottengono investimenti in ambito urbanistico finalizzati a mantenere e consolidare le loro caratteristiche funzionali. Durante il periodo che va dalla formazione dello stato italiano (1861) alla Prima Guerra Mondiale, entrano in gioco nuove forze politiche, economiche, sociali che influenzano profondamente le dinamiche urbane: le città, concentrando in sé molte funzioni di produzione, di servizio e di commercio, accrescono la propria capacità di attrarre e di offrire nuove opportunità alla popolazione. Sotto il profilo della struttura fisica, le città occupano progressivamente porzione di territorio sempre più vaste. Nel processo che lega la struttura fisica della città e lo sviluppo demografico funzionale, possiamo distinguere due fasi. Nella prima la popolazione tende ad occupare e ad essere assorbita dal territorio occupato dalla città antica, condizione che causa un aumento della densità di popolazione; nella seconda fase la città si estende, ovvero si verifica l’urbanizzazione delle prime aree periferiche, cui segue una diminuzione della densità della popolazione. Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali le funzioni ospitate dalle città aumentano e il settore amministrativo e dei servizi assume un ruolo sempre più ragguardevole. Questa fase storica è influenzata dalla ascesa al potere del regime fascista. La volontà accentratrice del regime, si concretizza tra l’altro, in uno sviluppo gerarchizzato dell’assetto urbano: Roma unica grande capitale, alcuni centri di rilevanza regionale e i semplici capoluoghi di provincia. Il periodo che va dal dopo guerra agli anni ’70 può essere considerato il momento di massima espansione delle città italiane, sia per crescita della popolazione sia per crescita dimensionale delle città. Le dimensioni fisiche delle città lievitano come mai in passato e ritmi di crescita così intensi contribuiscono alla crescita degli investimenti immobiliari e favoriscono la dilatazione del tessuto urbano. Le città tendono così all’espansione orizzontale, delineando un paesaggio urbano differente da quello delle zone centrali delle città americane, nelle quali colpisce la crescita in altezza. Per quanto riguarda i centri storici è possibile identificare due macro tendenze opposte ma ugualmente dinamiche:

• La persistente erosione delle presenze di popolazione mista per status ed estradizione economica.

• La formazione di ampie sacche o di gruppi sociali particolari (immigrati), con connotati di ghettizzazione .

Dagli anni ’70, si verifica una inversione di tendenza dei grandi centri urbani, in favore di una crescita periferica; le attività produttive si disperdono sul territorio grazie al continuo miglioramento dei trasporti. In ogni caso nelle città italiane ( così come nel resto d’Europa) i centri storici non perdono mai il ruolo di riferimento per la collettività urbana.

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La città dell’Europa orientale. Le città dell’Europa orientale costituiscono una categoria urbana distinta,per ragioni di ordine sia ideologico che pratico, ci si preoccupava in primo luogo di limitare la crescita delle città, onde evitare un’espansione incontrollata; in secondo luogo di assicurare una struttura interna fondata sull’eguaglianza dei quartieri; in terzo luogo di sottoporre a rigida segregazione l’uso del territorio. Secondo il prototipo russo, non occorre la presenza la presenza di CBD, ci si attende infatti che le aree residenziali siano ampiamente autosufficienti, riducendo così al minimo la necessità di raggiungere i negozi situati nelle zone centrali. Questi modelli tipici sono destinati a cambiare nei prossimi decenni con l’adozione dei principi di mercato per la locazione del terreno. Le città del mondo in via di sviluppo. Anche queste aree sono state toccate dai processi di industrializzazione in tempi più recenti rispetto all’Europa e agli Usa e in molti casi sono state soggette alle evoluzioni storiche assai differenti, per esempio il colonialismo. Il mondo in via di sviluppo è di vaste dimensioni e diversificato, dunque le generalizzazioni mancano di certezza e non hanno portata universale. Nelle capitali i modelli di uso del territorio riflettono la centralizzazione delle funzioni governative e la concentrazione della ricchezza e del potere in un’unica città all’interno di un paese. I paesi in via di sviluppo a lungo dominati da un’economia di sussistenza, hanno conosciuto livelli sproporzionati di concentrazione demografica, in particolare nelle capitali. I sistemi urbani di questi paesi sono dominati dalla città primate e una grandissima quota della popolazione rurale è stata tratta in questi centri nella speranza di trovare un’occupazione e condizioni di vita migliori. In Asia, per esempio, area che trae i maggiori benefici dalla globalizzazione economica e dal decentramento produttivo attuato dalle società transnazionali, il processo di urbanizzazione procede con velocità mai viste prima, ma naturalmente lo sviluppo urbano non è uniforme in tutto il paese. L’Africa sub sahariana è la regione del mondo a più rapida urbanizzazione ma purtroppo nell’attuale situazione del continente africano, non vi è una crescita economica di stile occidentale ad accompagnare tale incremento demografico. Il Medio Oriente e il Nord Africa, analogamente all’Africa sud sahariana, hanno iniziato solo di recente a partecipare al processo di urbanizzazione con un marcato incremento della popolazione urbana all’inizio dell’XXI secolo. In tutta la regione le città lottano con svariati problemi quali degrado dell’ambiente urbano, espansione incontrollata, strutture abitative insufficienti; inoltre in quasi tutti i paesi del vicino Oriente e del Nord Africa i giovani lasciano le zone rurali per la città. In America Latina la maggioranza degli abitanti vive in città, molto spesso nelle città primate; le aree centrali, similmente a quanto avviene in Europa, continuano a mantenere quella forza di attrazione che invece hanno parte perso le città statunitensi. La mescolanza di usi del centro città si manifesta nel fatto che quest’ultimo è sempre più nettamente separato in due parti: da un lato il CBD in via di modernizzazione, dall’altro il segmento tradizionale di mercato, più vecchio, con piccole attività economiche e negozi sulla strada. Due elementi tipici del modello di città presente in America Latina sono degni di nota. Uno è l’arteria commerciale, ovvero un’area che rappresenta la continuazione del centro città verso l’esterno lungo l’ampio viale principale; al termine di questa via commerciale elitaria si trovano spesso un centro commerciale o un importante e competitivo nodo suburbano. Il secondo elemento caratteristico è la presenza dei quartieri residenziali disposti ad anelli concentrici attorno al nucleo centrale e abitate da fasce sempre più povere allontanandosi dal centro. CAPITOLO XI: L’ORGANIZZAZIONE POLITICA DELLO SPAZIO SISTEMI POLITICI NAZIONALI Stati, nazioni e stati-nazione. Il termine stato indica una unità politica indipendente, che occupa un territorio ben definito e stabilmente abitato ed è dotato dalla piena sovranità sui suoi affari interni e esteri. Non tutte le entità territoriali riconosciute rappresentano altrettanti stati, l’Antartide per

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esempio, non ha un governo costituito né una popolazione stabile, pertanto non è uno stato. Neppure le colonie e i protettorati sono riconosciuti come stati. Una nazione consiste in un gruppo di individui che condividono una coltura comune e occupano un determinato territorio, per esempio la Nazione basca esiste per la unicità culturale, non in virtù di una sovranità territoriale. Il termine composto stato-nazione si riferisce propriamente ad uno stato la cui estensione territoriale coincide con l’area occupata da una nazione o da un popolo distinto, oppure, la cui popolazione condivide un senso generale di coesione e adesione a un insieme di valori comuni. Benché tutti i Paesi si impegnino per conseguire valori unanimi, pochi possono definirsi realmente stati-nazione, poiché pochi sono omogenei etnicamente. L’Islanda, la Slovenia, la Polonia e le due Coree sono spesso citate quali esempi di stato-nazione. Uno stato multinazionale è uno stato che comprende al proprio interno più di una nazione e spesso in questi casi non vi è un singolo gruppo etnico predominante (esempio Svizzera). In alternativa, una singola nazione può essere distribuita su più territori, ricoprendo una posizione dominante in più stati. E’ questo il caso dello stato-nazione con espansione parziale (esempio Nazione Araba). Infine, esiste il caso particolare della nazione senza stato, ovvero di un popolo che non ha un proprio stato (zingari, baschi, corsi). Pressione nei confronti della supremazia nei confronti dello stato. La validità della visione stato centrica del mondo è sempre di più messa in discussione dal ruolo assunto dal potere economico e dalla società civile, per questo motivo va sottolineata la presenza dei seguenti fenomeni:

• La globalizzazione delle economie e l’emergere di società trans nazionali le cui decisioni sono slegate dagli interessi del singolo stato e possono rendere inapplicabile la pianificazione economica nazionale.

• La proliferazione di istituzioni internazionali sono tutte espressione di una volontaria rinuncia a parte della tradizionale autonomia dello stato.

• L’emergere di organizzazioni non governative (ong) le cui azioni collettive travalicano i confini nazionali e uniscono coloro che condividono preoccupazioni comuni, spesso ampiamente pubblicizzate tanto che influenzano e limitano le azioni dei governi.

• I massicci flussi migratori che tendono a minacciare lo stato come comunità culturale caratterizzata da valori omogenei e comuni.

• La crescita dei movimenti nazionalisti e separatisti nei paesi compositi dal punto di vista culturale.

Caratteristiche geografiche degli stati. Dimensioni. E’ facile supporre che maggiore è la superficie di uno stato, maggiori saranno le possibilità che esso includa risorse energetiche e suoli fertili da cui può trarre benefici. Avere grandi dimensioni, però, può essere anche uno svantaggio in quanto un paese molto esteso può contenere vaste zone remote e una popolazione sparsa, zone difficili da integrare nel corpo principale dell’economia e della società. Inoltre gli stati piccoli hanno in genere una popolazione culturalmente omogenea, maggiore facilità a sviluppare sistemi di comunicazione per collegare le varie zone del paese. Possiamo dunque concludere che l’estensione del territorio incide sulle risorse, sulla stabilità e sulla sicurezza, ma dobbiamo anche considerare che la grande dimensione non è necessariamente un vantaggio. Forma. La forma di un paese può influire sullo sviluppo di uno stato, favorendo la possibilità che esso consegua una organizzazione efficace,

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la forma più efficiente appare quella circolare, con la capitale ubicata nel centro. Certi stati compatti si caratterizzano per la presenza di estensioni territoriali, che hanno rilevanza economica o strategica, infatti sono volte ad assicurare l’accesso a risorse o al mare, o altrimenti a stabilire zone cuscinetto tra stati che altrimenti sarebbero confinanti. La forma meno efficiente sul piano amministrativo è rappresentata da paesi lunghi e stretti. In tali stati a forma allungata è probabile che le zone lontane dalla capitale siano isolate. Una quarta categoria, quella degli stati frammentati, fa si che per lo stato sia più difficile imporre un controllo centralizzato sul proprio territorio. Un caso particolare di frammentazione si verifica quando un’area distaccata del territorio di uno stato, un’exclave, è ubicata all’interno di un altro paese (Campione d’Italia in Svizzera è un’exclave italiano). Il fenomeno opposto a un’exclave, l’enclave, aiuta a definire il quinto tipo di forma che un paese può assumere, quella dello stato conglobante. E così denominato uno stato che circonda un territorio su cui non esercita il proprio governo, è questo il caso di San Marino o Città del Vaticano, che sono enclave dell’Italia. Ubicazione. Talvolta l’ubicazione rappresenta la risorsa principale di uno stato. Singapore si trova in un punto nodale dei commerci marittimi a livello mondiale; grazie al porto, il paese è un notevole esempio di successo economico nel Sud Est Asiatico. In generale la storia ha dimostrato che i paesi traggono beneficio se sono situati lungo le principali direttrici degli scambi, non solo per i vantaggi economici, ma anche per la più facile diffusione di ide e tecnologie che tale ubicazione consente. Confine: i limiti dello stato. Ogni stato è separato da quelli vicini medianti confini, ovvero linee che stabiliscono il limite entro il quale esso ha giurisdizione e autorità. Tradizionalmente i geografi tracciano una distinzione tra confini naturali e geometrici. I confini naturali sono quelli basati su caratteristiche fisiografiche riconoscibili, quali montagne, fiumi e laghi. L’alternativa hai confini naturali consiste nei confini geometrici, come segmenti di paralleli o di meridiani, tali confini si trovano principalmente in Africa e nelle Americhe e molti di questi furono stabiliti quando le aree in questione erano colonie, il territorio presentava insediamenti sparsi e mancava una conoscenza dettagliata della geografia della regione. I confini possono essere classificati anche a seconda che siano stati tracciati prima o dopo lo sviluppo del paesaggio culturale. Un confine antecedente è un confine presente in un’area prima che questa si popolasse in misura consistente; la parte occidentale del confine tra Stati Uniti e Canada è un confine antecedente. I confini designati dopo lo sviluppo di un paesaggio culturale sono denominati susseguenti. Un tipo di confine susseguente è il confine conseguente, un confine tracciato per assecondare le differenze religiose, linguistiche o etniche; un esempio al riguardo è il confine designato fra l’Irlanda del Nord e la Repubblica di Irlanda (EIRE). E’ inoltre possibile che dei confini sovrapposti susseguenti vengano assegnati con la forza a un paese, da parte di conquistatori che non si preoccupano dei modelli culturali preesistenti; in Africa le potenze coloniali sovrapposero nuovi confini alle diverse culture locali. Le linee di confine possono creare numerose occasioni di conflitto:

• Controversie sulla posizione dei confini si verificano quando gli stati sono in disaccordo sull’interpretazione di documenti che definiscono un confine e/o sulle modalità su cui il confine è stato tracciato. Le controversie di questo tipo nascono quando il confine è antecedente ma dopo il popolamento dell’area e la sua acquisizione di valore, l’ubicazione esatta del confine diventa importante.

• Controversie territoriali circa la proprietà di una regione nascono spesso, quando un confine che è stato sovrapposto in un paesaggio divide una popolazione etnicamente omogenea. Ciascuno dei due stati è dunque giustificato nel rivendicare il territorio abitato dal gruppo etnico in questione.

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• Strettamente correlate ai conflitti territoriali sono le controversie sulle risorse. E’ probabile infatti che gli stati confinanti desiderino impossessarsi delle risorse situate nelle zone di confine, per esempio nel mediterraneo sono molto frequenti le dispute per lo sfruttamento delle zone di pesca.

• Controversie sulla funzione dei confini nascono quando stati confinanti sono in disaccordo sulle politiche da applicare lungo un confine; sulle relazioni fra gli Stati Uniti e il Messico, per esempio, hanno influito il numero di stranieri clandestini e il flusso di stupefacenti che entrano in territorio statunitense dal Messico.

Forze centripete: promozione della coesione dello stato. Nazionalismo. Una delle forze centripete più potenti è il nazionalismo, la tendenza ad identificarsi con lo stato e ad accettare gli obbiettivi prefissati a livello nazionale. Il nazionalismo si basa sul concetto di fedeltà a un solo paese e si tratta di un sentimento che genera un senso di identità e la convinzione che il proprio paese si distingua da tutti gli altri popoli e dalle altre nazioni. In una società multiculturale il nazionalismo contribuisce all’integrazione di gruppi diversi e consente di avere una popolazione unita. La presenza di una famiglia reale può essere utile a tale scopo: la monarchia è infatti un simbolo catalizzatore dei sentimenti di attaccamento allo stato. Bisogna comunque sottolineare che il nazionalismo può assumere anche caratteri fortemente negativi, come è avvenuto spesso in Europa, e sfociare nel razzismo. Istituzioni con funzione unificatrice. Tra le istituzioni più importanti vi sono le scuole, dove i bambini imparano la storia del proprio paese mentre i contenuti che riguardano quella degli altri sono ridotti. Ci si attende che le scuole instillino nei giovani un senso di valori e tradizioni e li portino a identificarsi con il loro paese. Altre istituzioni che favoriscono il nazionalismo sono le forze armate e talvolta una chiesa di stato. Alle forze armate viene insegnato di identificarsi con lo stato mentre in circa un quarto dei paesi del mondo, la fede professata dalla maggioranza della popolazione è stata trasformata per legge nella religione di stato. In questi casi la religione contribuisce all’unità come accade per l’Islamismo in Pakistan. Organizzazione e amministrazione. Un ulteriore forza che agisce da collante è l’efficiente organizzazione dello stato. Lo stato, riprendendo le parole della costituzione italiana, si impegna “a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando la libertà e l’uguaglianza, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Se tali attese non vengono soddisfatte, i sentimenti di fedeltà allo stato possono indebolirsi o venire meno. Trasporti e comunicazioni. Il ruolo di una rete di trasporti ai fini della coesione di un paese è riconosciuto sin dai tempi antichi (vedi sistema strade nell’antica Roma). In Italia la costruzione della rete ferroviaria tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 fu vista come un elemento fondamentale per completare l’unità politica appena raggiunta. Forze centrifughe: sfide all’autorità dello stato. La coesione statale non si raggiunge facilmente, sono sempre presenti, forze centrifughe destabilizzanti; d’altra parte le istituzioni che in alcuni casi promuovono l’unità nazionale, in altri possono agire come forze che creano divisioni. La religione per esempio, può essere una potente forza centrifuga in grado di competer con lo stato per conquistare la fedeltà della popolazione. Inoltre i conflitti fra comunità religiose in un paese possono avere effetti destabilizzanti per l’ordine sociale, come avviene fra cattolici protestanti in Irlanda del Nord.

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Il nazionalismo, in contrasto con il suo ruolo di potente forza centripeta, può dimostrarsi anche una forza centrifuga potenzialmente distruttrice. Il concetto alla base dello stato nazione è che gli stati si formano attorno alle nazioni e coincidono con esse. Da qui all’idea che ogni nazione ha il diritto di possedere il proprio stato. Le forze centrifughe possono essere molto forti in paesi che ospitano svariate nazionalità e una molteplicità di lingue o religioni. In Europa occidentale diversi paesi ospitano movimenti politici separatisti, i cui membri respingono il controllo totale da parte dello stato sovrano (Corsica in Francia o Catalunya in Spagna). Le due condizioni imprescindibili per tutti i movimenti autonomisti regionali sono il territorio e la nazionalità. Innanzitutto il gruppo deve essere concentrato in una regione che rivendica come propria Patria nazionale; in secondo luogo, devono esistere determinate caratteristiche culturali sulla base delle quali il gruppo avverte un senso di diversità. Altre caratteristiche comuni a molti movimenti separatisti sono una ubicazione periferica, in base alla quale la preoccupazione del governo centrale nei confronti dello spazio politico da esso controllato diminuisce all’aumentare della distanza dalla città capitali; in secondo luogo i movimenti separatisti presenti in regioni relativamente ricche ritengono che potrebbero sfruttare a proprio vantaggio le risorse di cui dispongono e ottenere risultati economici migliori senza i vincoli imposti dallo stato centrale. LA PROIEZIONE DEL POTERE Il controllo territoriale e politico da parte di uno stato non si ferma necessariamente ai suoi confini ufficiali. Sovente infatti, gli stati hanno proiettato il loro potere su zone esterne al loro territorio. Gli imperi coloniali, ad esempio, esercitarono un controllo su territori non contigui e spesso continuano a mantenere una certa influenza anche oggi. Valutazioni geopolitiche. La geopolitica è una branca della geografia politica che si occupa di esaminare il peso strategico delle singole nazioni nel contesto del sistema economico e militare globale. Secondo la teoria dell’heartland, la maggiore potenza terrestre è situata in eurasia, definita come l’isola mondiale. Il suo entroterra, ovvero l’heartland, avrebbe rappresentato una base da cui partire per la conquista del mondo. Sviluppata in un secolo che vide l’Europa dominata prima della Germania e in seguito dall’Unione Sovietica dalla sua parte orientale, la teoria suscitò grande impressione. La teoria del rimland sosteneva che l’Eurasia rappresentava probabilmente la base più adatta da cui sviluppare un potenziale dominio del mondo, però le aree chiave erano quelle periferiche situate lungo la costa, anziché la zona centrale come sostenuto dalla teoria dell’heartland. Agli occhi degli americani l’heartland fu equiparata all’URSS, la politica estera statunitense durante la guerra fredda era basata sul concetto di contenimento,ovvero un’azione mirata a mantenere l’URSS entro i suoi confini attraverso una rete di alleanze all’interno del rimland (NATO, CENTO, SEATO). Un modello spaziale semplice, la teoria del domino venne utilizzata come appendice alla politica del contenimento: i paesi adiacenti vengono allineati come le tessere del domino; se una di esse cade, crolleranno anche tutte le altre. La teoria del domino fu invocata per spiegare l’intervento statunitense in Vietnam e il coinvolgimento in America Centrale. Nel contesto geopolico attuale sono evidenti due tipi di competizione globale: la prima è la sfida economica fra gli stati del mondo sviluppato e tra questi e quelli in via di sviluppo; la seconda scaturisce da un antagonismo culturale, che mette in conflitto tra loro civiltà diverse. SISTEMI POLITICI INTERNAZIONALI Alcuni ritengono che nell’era atomica non sia affatto possibile garantire la sicurezza nazionale. Il fatto di riconoscere che un paese non può di per se assicurare la propria sicurezza nazionale ha portato ha incrementare la cooperazione tra gli stati.

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Sopranazionalità. Le associazioni fra stati rappresentano una nuova dimensione nell’organizzazione del potere e dell’indipendenza nazionali. Tali organismi sono espressione della presenza di associazioni di tre o più stati create per cogliere benefici reciproci e conseguire obbiettivi condivisi. L’ONU e le sue agenzie. Quelle delle nazioni unite è l’unica organizzazione che cerca di avere carattere universale, è il tentativo più ambizioso di riunire le diverse nazioni in un’assemblea internazionale e promuovere la pace nel mondo. Per quanto concerne il ruolo neutrale e passivo delle nazioni unite riguardo alle relazioni internazionali, ultimamente si stanno facendo strada alcune opinioni diverse. L’idea della completa sovranità degli stati sta perdendo vigore per l’applicazione sempre più ampia del principio di intervento d parte delle nazioni unite. Alleanze regionali. Fra le alleanze economiche regionali più antiche, vi sono quelle evolutesi in Europa, in particolare l’unione europea e i suoi numerosi precursori. Non è importante se i paesi hanno economie simili o distinte, esistono infatti esempi sia del primo sia del secondo caso. Se i paesi sono diversi possono completarsi a vicenda, un meccanismo che fu alla base della nascita del mercato unico europeo; d’altra parte i paesi che producono lo stesso tipo di materie prime si uniscono in una alleanza economica nella speranza di riuscire a migliorare la capacità di controllo dei mercati e dei prezzi dei loro prodotti. Le alleanze tra paesi nascono anche per ragioni diverse da quelle economiche. L’interesse a cooperare, infatti può essere incentivato da considerazioni strategiche, politiche e culturali. Le alleanze militari poggiano sugli interessi comuni e sulle affinità tra i paesi, ma al mutare della realtà politica le alleanze strategiche cambiano. La Nato fu creata per difendere l’Europa Occidentale e il Nord America dalla minaccia militare sovietica, quando con lo scioglimento dell’URSS tale minaccia venne meno, nel corso degli anni ’90, i suoi membri ripresero in considerazione le proprie relazioni con gli Stati dell’Europa Orientale e della Russia. PARTE V CAPITOLO XII: IMPATTO UMANO SUI SISTEMI NATURALI CLIMI,BIOMI E CAMBIAMENTO I biomi sono grandi comunità di piante e animali che occupano ampie zone della superficie terrestre, adattandovisi in funzione delle condizioni climatiche. Biomi sono, per esempio, il deserto, la prateria e contengono a loro volta ecosistemi più piccoli e specializzati. Gli ecosistemi furono i primi ad avvertire i segni dell’azione distruttrice dell’uomo, tuttavia in modo lento, l’attività antropica iniziò ad esercitare un impatto sempre maggiore, spingendo molto al di là dell’ambito locale le conseguenze del cattivo uso della biosfera da parte dell’uomo. Durante gli anni ’80 crebbero le preoccupazioni riguardanti tre fonti diverse: il riscaldamento globale causato dall’effetto serra, le piogge acide e la distruzione dell’ozono. Riscaldamento globale. L’attacco massiccio all’atmosfera da parte dell’uomo ebbe inizio presumibilmente con la rivoluzione industriale. Il così detto effetto serra è una condizione naturale e un fattore necessario ai fini del bilancio termico della terra. Senza l’azione di assorbimento e trattenimento del calore svolta dal biossido di carbonio e dal vapore acqueo, l’energia re irradiata dal pianeta passerebbe attraverso l’atmosfera disperdendosi nello spazio. L’effetto serra, che di recente ha iniziato a ridestare preoccupazione, consiste nell’incremento del grado di assorbimento delle radiazioni, a causa dell’evidente aumento delle concentrazioni di biossido di carbonio nell’atmosfera. L’impatto più duro del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici si manifesta nei paesi in via di sviluppo, le cui economie dipendono in larga misura da ambienti naturali ancora poco dominati dall’uomo.

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Secondo le analisi economiche tagliare radicalmente le emissioni di biossido di carbonio sarebbe molto più costoso che non limitarsi a sostenere i costi necessari per adeguarsi al previsto aumento delle temperature. Inquinamento atmosferico e piogge acide. L’inquinamento atmosferico è un problema globale; è possibile che si manifestino conseguenze negative in zone lontane dal punto in cui si svolge l’attività inquinante, perché la circolazione atmosferica consente il libero movimento delle sostanze dannose. In aggiunta agli effetti molto gravi per la salute umana prodotti dall’inquinamento atmosferico, l’interazione degli inquinanti fra loro o con i costituenti naturali dell’atmosfera, come il vapore acqueo, può generare inquinanti derivati altamente dannosi. Tra questi agenti secondari figurano le piogge acide, che rappresentano il secondo dei tre motivi di preoccupazione ambientale emersi di recente. Quando le sostanze acide provenienti da fonte diverse ricadono nell’atmosfera per effetto della pioggia o della neve, si manifesta il fenomeno delle precipitazioni acide. Le piogge acide sono state messe in relazione con la scomparsa dei pesci in migliaia di corsi d’acqua e laghi, uccidono i microorganismi del terreno, che hanno la funzione di decomporre la materia organica e riciclare i nutrienti attraverso l’ecosistema. Il problema dell’ozono. A un esame più attento, i danni alle foreste generalmente attribuiti alle sole piogge acide, si sono dimostrati almeno in parte, il risultato del processo di distruzione dell’ozono. L’ozono è uno strato continuo e sottile che si accumula ai livelli superiori dell’atmosfera; questo schermo che blocca i raggi ultravioletti cancerogeni per il dna, rischia ora di essere distrutto dalle sostanze chimiche rilasciate nell’atmosfera dall’uomo. L’effetto e la distruzione dell’ozono sono fenomeni probabilmente irreversibili. Una volta avviati tendono infatti a diventare cumulativi e continui. La stessa inquietante irreversibilità sembra caratterizzare altri tre processi di degrado ambientale: la deforestazione tropicale, la desertificazione e infine l’inquinamento dell’aria. Deforestazione tropicale. Le foreste coprono ancora il 30% circa della superficie terrestre; il loro abbattimento ha accompagnato lo sviluppo dell’agricoltura e la diffusione della popolazione. Ora è il bioma della foresta pluviale tropicale a risentire delle pressioni legate all’espansione demografica e alla necessità di incrementare il terreno agricolo disponibile. Queste foreste in via di estinzione, che coprono non oltre il 6% della superficie terrestre e si estendono in Asia, in Africa e America Latina, costituiscono il bioma più vario e meno studiato al mondo. Questo processo suscita tre grandi problemi a livello mondiale. Innanzitutto dal punto di vista dell’intero pianeta, tutte le foreste svolgono un ruolo essenziale nel mantenere l’equilibrio di ossigeno e carbonio sulla terra. Se la foresta pluviale tropicale viene eliminata, non solo viene meno il suo ruolo quale assorbitore di carbonio, ma la sua stessa distruzione provoca il rilascio delle ingenti quantità di carbonio che essa stessa aveva immagazzinato. Un secondo problema è connesso anche al clima, in quanto la distruzione delle foreste modifica le temperature dei suoli e dell’aria, il contenuto di umidità e il potere riflettente della terra. Infine, nel lungo periodo la conseguenza più grave dell’eliminazione delle foreste pluviale e tropicali sarà la perdita di una parte importane della bio diversità del pianeta. Tali foreste sono il principale serbatoio di piante e insetti da cui ricavare medicinali e ciò priverebbe l’uomo di innumerevoli e potenziali benefici. Desertificazione. La desertificazione inizia sempre nello stesso modo quando è dovuta all’uomo, anziché a cause climatiche: la copertura autoctona di erbe e arbusti viene degradata attraverso le attività agricole o il sovra pascolamento; il suolo, così esposto, è soggetto a erosione durante le brevi ma intense piogge che sono il tratto dominante delle regioni semiaride. L’acqua defluisce sulla superficie anziché infiltrarsi nel terreno lasciandosi dietro un terreno denudato e la falda

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freatica di conseguenza si abbassa così che alla fine nemmeno i cespugli con radici più profonde sono in grado di raggiungere l’acqua sotterranea. Quando sia la copertura vegetale che l’umidità del suolo vengono meno, siamo in presenza del fenomeno della desertificazione. E’ stata avanzata l’ipotesi che il Mali possa diventare al mondo a essere preso in abitabile a causa della distruzione dell’ambiente. Molti dei suoi abitanti, iniziano la giornata liberando l’ingresso dalle abitazioni dalla sabbia accumulatasi nella notte. Erosione del suolo. In condizioni naturali si verifica un processo costante di formazione del suolo, grazie alla decomposizione chimica e fisica del materiale roccioso e alla decomposizione della sostanza organica. Se la natura fa il suo corso, il tasso di formazione del suolo eguaglia o supera quello di erosione, pertanto lo spessore e la fertilità dei suoli tendono ad aumentare con il tempo. Il suolo è stato trasformato da risorsa rinnovabile a risorsa non rinnovabile e dissipata: condotta alle conseguenze estreme, l’erosione comporta la fine dell’uso agricolo del terreno. APPROVVIGIONAMENTO IDRICO E QUALITA’ DELL’ACQUA L’energia solare e l’acqua sono gli elementi indispensabili della vita sulla terra. La disponibilità di queste due risorse è costante e l’uomo non ha modo di alterarla, tuttavia è in grado di influenzarne la qualità. La disponibilità delle risorse idriche. Non esiste necessariamente una relazione fra disponibilità di acqua dolce sul pianeta e la distribuzione delle popolazioni. Che in una data regione vi sia una quantità sufficiente di acqua, però, dipende anche dalle dimensioni della popolazione, dagli usi, dal grado di deterioramento quantitativo e qualitativo da essa subita durante il suo ciclo di utilizzo. Queste sono condizioni controllate dall’uomo e non dalla natura. CUMULI DI SPAZZATURA E RIFIUTI TOSSICI L’uomo è sempre riuscito a lasciare il segno nelle zone da lui occupate; tra i segni della presenza umana più duraturi nel paesaggio, oltre gli scavi eseguiti deliberatamente e gli edifici, rientrano anche i rifiuti prodotti e abbandonati ovunque. La civiltà più moderna si differenzia da quelle precedenti per il volume e il genere di rifiuti prodotti, non certo per l’abitudine di abbandonarli nell’ambiente. Maggiori sono le popolazioni e la ricchezza materiale, più elevate saranno la quantità e la varietà di immondizia prodotta. La quantità di residui prodotta è al contrario, relativamente scarsa nelle società fondate sulle economie di sussistenza, dove i prodotti alimentari passano dall’orto alla tavola e i rifiuti vengono dati agli animali da allevamento o sono riciclati come compost. Smaltimento dei rifiuti in discarica. Nei paesi industrializzati la discarica è ancora il sistema più diffuso per lo smaltimento dei rifiuti. Il tipo di discarica più dannosa per la salute pubblica e per il paesaggio è quella a cielo aperto, oggi gradualmente sostituita dalla discarica controllata, una pratica che comporta il deposito dei rifiuti in una depressione che vengono poi compattati e quindi coperti ogni giorno con uno strato di suolo, con la funzione di sigillo. Incenerimento dei rifiuti. Per le città alle prese con volumi crescenti di rifiuti solidi, le alternative alle discariche sono limitate, una possibilità consiste nell’incenerimento, la pratica di bruciare i rifiuti per valorizzarli dal punto di vista energetico, producendo vapore o energia elettrica. Gli inceneritori però inquinano l’aria, la combustione dei rifiuti genere gas acidi e metalli pesanti. I probabili effetti inquinanti degli inceneritori hanno suscitato negli Stati Uniti forti proteste contro la costruzione di questi impianti. Scarico dei rifiuti negli oceani. Per le comunità costiere di tutto il mondo l’oceano è stato a lungo il luogo dove scaricare non solo i rifiuti urbani, ma anche le acque reflue. Questa pratica era talmente diffusa che gli oceani vennero inclusi tra le aree di grande emergenza ambientale, dato che il loro livello di inquinamento era sempre più evidente anche all’osservatore più distratto.

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Tenendo in considerazione la lunghezza delle linee di costa, il numero dei paesi rivieraschi e la grande espansione delle popolazioni urbane che vivono vicino al mare, sono stati sollevati seri dubbi sul fatto che qualsiasi accordo internazionale possa risultare completamente efficace. Che la risposta alla questione dello smaltimento dei rifiuti sia cercata sulla terra, ricorrendo al fuoco oppure il mare, la crescente quantità di spazzatura prodotta dall’umanità minaccia di sommergere gli ambienti in cui viene riversata. Rifiuti tossici. I rifiuti di questi tipo inquinano l’ambiente in modi diversi e per vie differenti. Poiché nella maggior parte dei casi, i materiali pericolosi vengono smaltiti scaricandoli sul terreno o sotterrandoli, l’acqua di falda è la risorsa più a rischio di contaminazione. Ogni impianto che utilizzi o produca materiali radio attivi genera per lo meno rifiuti radioattivi a bassa attività, ovvero materiali la cui radio attività scenderà a livelli sicuri nel giro di cento anni o meno. I rifiuti radio attivi ad alta attività possono rimanere radio attivi per diecimila anni o più, sono formati principalmente da elementi provenienti dai reattori nucleari, e dai rifiuti militari, come sottoprodotti della produzione di armi nucleari. POSSIBILITA’ E PROSPETTIVE Dalla fine dell’ultima glaciazione gli esseri umani, sempre più numerosi e dotati di abilità tecniche via via più sofisticate, hanno alterato i paesaggi e il territorio in base alle loro esigenze. Spesso si osserva che, dal punto di vista ecologico, l’essere umano ha ormai il ruolo dominante nel rapporto uomo-ambiente. La domando implicita, ma raramente affrontata, non è se sia opportuno o meno che noi alteriamo l’ambiente, ma in che modo, possiamo sfruttare le risorse attingendo al patrimonio naturale, senza dissipare e distruggere la base della nostra sopravvivenza.