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1 (IIIª Parte ) LO SPIRITO DELL’EVANGELIZZAZIONE (7)Spiritualità missionaria, dimensioni e attualità (8) Spiritualità mariana della Chiesa missionaria (9) Spiritualità sacerdotale per una Chiesa missionaria (7) SPIRITUALITÀ MISSIONARIA, DIMENSIONI E ATTUALITÀ 1. Spiritualità e missione "Spiritualità" significa "camminare secondo lo Spirito" (Rom 8,4.9), cioè "camminare nell'amore" (Ef 5,1). La spiritualità missionaria mette in rapporto due realtà cristiane: spiritualità e missione. Ognuna di queste realtà abbraccia un campo molto largo. Si tratta di una vita secondo lo Spirito che ci fa partecipare fedelmente e responsabilmente alla missione di Cristo. Ogni credente è chiamato a vivere la grande realtà cristiana e missionaria del battesimo che si concretizza nell'atteggiamento delle beatitudini (Mt 5,48) e del comando dell'amore (Gv 13,34-35). La spiritualità missionaria è uno stile di vita che corrisponde al mandato missionario di annunciare il vangelo a tutte le genti. L'espressione "spiritualità missionaria" si trova nel concilio Vaticano II nel momento di presentare i compiti della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli: "Questo Dicastero da parte sua deve promuovere la vocazione e la spiritualità missionaria, lo zelo e la preghiera per le missioni, e fornire a loro riguardo informazioni autentiche e valide" (AG 29). Il contenuto della

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(IIIª Parte ) LO SPIRITO DELL’EVANGELIZZAZIONE

(7)Spiritualità missionaria, dimensioni e attualità

(8) Spiritualità mariana della Chiesa missionaria

(9) Spiritualità sacerdotale per una Chiesa missionaria

(7)

SPIRITUALITÀ MISSIONARIA, DIMENSIONI E ATTUALITÀ

1. Spiritualità e missione

"Spiritualità" significa "camminare secondo lo Spirito" (Rom 8,4.9), cioè "camminare nell'amore" (Ef 5,1). La spiritualità missionaria mette in rapporto due realtà cristiane: spiritualità e missione. Ognuna di queste realtà abbraccia un campo molto largo. Si tratta di una vita secondo lo Spirito che ci fa partecipare fedelmente e responsabilmente alla missione di Cristo.

Ogni credente è chiamato a vivere la grande realtà cristiana e missionaria del battesimo che si concretizza nell'atteggiamento delle beatitudini (Mt 5,48) e del comando dell'amore (Gv 13,34-35). La spiritualità missionaria è uno stile di vita che corrisponde al mandato missionario di annunciare il vangelo a tutte le genti.

L'espressione "spiritualità missionaria" si trova nel concilio Vaticano II nel momento di presentare i compiti della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli: "Questo Dicastero da parte sua deve promuovere la vocazione e la spiritualità missionaria, lo zelo e la preghiera per le missioni, e fornire a loro riguardo informazioni autentiche e valide" (AG 29). Il contenuto della spiritualità missionaria si trova nel capitolo IV de decreto "Ad Gentes" ("I missionari").

La Cost. Apost. "Pastor Bonus", art. 86-88 (sui compiti del Dicastero missionario) puntualizza anche "gli studi di ricerca sulla teologia, la spiritualità e la pastorale missionaria" (art. 86), "lo spirito missionario" (art. 87), le "vocazioni missionarie" (art. 88). "Evangelii nuntiandi" dedica un capitolo a questo tema: "Lo spirito della evangelizzazione" (cap. VII), dove presenta la fedeltà allo Spirito Santo, l'autenticità e testimonianza, l'unità, il servizio della verità, la carità apostolica, la presenza di Maria.

L'enciclica "Redemptoris Missio" indica le linee principali di questa spiritualità: "piena docilità allo Spirito" (RMi 87), "comunione intima con Cristo" (RMi 88), "amare la Chiesa e gli uomini come li ha amati Gesù" (RMi 89), "carità apostolica" come "quella del Cristo Buon Pastore" (RMi 89), "nuovo ardore di santità" (RMi 91), essere "contemplativo" per diventare segno "credibile" (RMi 91). Questa spiritualità riguarda in modo speciale "quanti Dio ha chiamato ad essere missionari" (RMi 87).

La missione può essere studiata a livello teologico (che cosa è la missione), a livello pastorale (come fare la missione) e a livello spirituale (come vivere la missione da parte dei singoli apostoli e da tutta la comunità) (AG IV; EN VII; RMi VIII). Dalla teologia sulla missione si passa spontaneamente alla pastorale e alla spiritualità.

La spiritualità missionaria è parte integrante e funzione specifica della missiologia. Alla "funzione" teologica (scientifica, sapienziale), pastorale, storica, giuridica, comparativa, ecc., si aggiunge la "funzione" spirituale.

L'apostolo, inviato per evangelizzare, deve vivere ed esprimere un'atteggiamento di vita in sintonia con tutto quello che svolge nel campo dell'evangelizzazione. Lo stile di vita (spiritualità) corrisponde alla missione ricevuta e attuata nell'azione evangelizzatrice.

Gli elementi fondamentali della spiritualità missionaria dovranno essere ricavati dalla figura del Buon Pastore, il quale si lascia intravedere attraverso le figure missionarie sin da Pietro e Paolo fino ai nostri giorni. le "attitudini interiori" (EN 74) dei santi missionari, che costituiscono il loro "spirito" e stile di evangelizzazione ("spiritualità), sono sempre validi e fondamentali. E' pure questo atteggiamento spirituale dei santi che aiuta gli apostoli di tutte le epoche a fronteggiare fedelmente e generosamente le nuove situazioni nel campo apostolico. Un accurato discernimento aiuterà a distinguere tra elementi fondamentali permanenti e forme secondarie transitorie o anche difettose.

Altri elementi di spiritualità missionaria emergono dalle realtà apostoliche di ogni epoca e situazione, e dalle linee di spiritualità e di vita comunitaria del proprio gruppo o carisma.

2. Lo "spirito" dell'evangelizzazione oggi

Dal Vaticano II in poi, si può elaborare meglio una sintesi teologica di "spiritualità missionaria" (AG 29), anche se i testi conciliari presentano solo elementi descrittivi (AG 23-25). Da questi testi e del contesto del decreto "Ad Gentes" emergono virtù e dati basilari: unione a Cristo per poter annunziare con coraggio il suo mistero di croce e risurrezione; vita di preghiera; testimonianza di vita teologale (fede, speranza, carità) e di "vita realmente evangelica" (povertà, obbedienza); fortezza di fronte alle difficoltà della missione; zelo apostolico; comprensione, pazienza, umiltà, sensibilità e carità riguardo ai valori autentici delle culture, delle religioni non cristiane e delle situazioni sociologiche e storiche (AG 15); senso e amore di Chiesa locale e universale (AG 20), capire e vivere meglio il carisma missionario della propria istituzione (AG 27) ecc.

"Evangelii nuntiandi" offre una vera sintesi ordinata e relativamente completa della spiritualità missionaria, elencando nel capitolo finale i punto basilari: vocazione (EN 74; cf EN 4), fedeltà allo Spirito Santo (EN 75), autenticità e testimonianza di esperienza di Dio (EN 76), unità e fraternità apostolica (EN 77), servizio di verità (EN 78), carità pastorale (EN 79-80), atteggiamento mariano (EN 81-82).

L'enciclica "Redemptoris Missio" presenta ampiamente il nostro tema nel capitolo finale: "Spiritualità missionaria". Però è tutto il documento che viene impostato su questa linea di rinnovamento e di esigenza di santità, a scopo di disponibilità missionaria universale ("ad gentes") da parte di tutta la Chiesa. I temi concreti che vengono sviluppati nell'enciclica sono i seguenti: docilità allo Spirito Santo (RMi 87), comunione intima con Cristo (RMi 88), amore alla Chiesa e carità apostolica (RMi 89), santità (RMi 90), vita contemplativa (RMi 91), atteggiamento mariano (RMi 92).

Di fronte alla realtà del nostro tempo, che "è drammatico e insieme affascinante" (RMi 38), ci vuole una riposta coraggiosa che coinvolga persone e comunità in un processo di rinnovamento e di santità. La spiritualità missionaria è una chiamata al rinnovamento ecclesiale per la missione: "Occorre un radicale cambiamento di mentalità per diventare missionari, e questo vale sia per le persone sia per le comunità" (RMi 49). "La rinnovata spinta verso la missione ad gentes esige missionari santi" (RMi 90).

Una lettura accurata e responsabile dell'enciclica "Redemptoris Missio" mette in evidenza che la missione della Chiesa non sarà ben capita se non è a partire da un atteggiamento di fede e di fedeltà generosa: "La missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi" (RMi 11).

La chiamata alla responsabilità, cooperazione, rinnovamento e santità missionaria, resterà senza risposta adeguata se non si approfondisce l'atteggiamento di spiritualità missionaria. Senza le "attitudini interiori" (come diceva Paolo VI nell' Evangelii nuntiandi), non sarebbe possibile ne la nuova evangelizzazione ne la risposta generosa alla missione senza frontiere. "La fede si rafforza donandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno nell'impegno per la missione universale" (RMi 2).

3. Dimensioni della spiritualità missionaria

Nei documenti magisteriali attuali la spiritualità missionaria viene presentata in dimensione trinitaria, salvifica, pneumatologica, cristologica, ecclesiologica, pastorale, contemplativa, antropologica, sociologica.

La dimensione trinitaria della missione appare in tutta la stesura dell'enciclica "Redemptoris Missio" (nn. 1, 23, 32, 44, 47, 92; cf AG 2-4). "Il concilio Vaticano II ha inteso rinnovare la vita e l'attività della Chiesa secondo le necessità del mondo contemporaneo: ne ha sottolineato la 'missionarietà', fondandola dinamicamente sulla stessa missione trinitaria" (RMi 1).

La dimensione salvifica si riferisce all'uomo in tutta la sua integrità: "L'attività missionaria prima di tutto deve testimoniare e annunziare la salvezza in Cristo, fondando le Chiese locali che sono poi strumenti di liberazione in tutti i sensi" (RMi 83; cfr RMi 58, 59).

La spiritualità missionaria ha dimensione pneumatologica. Poiché "spiritualità" significa una "vita secondo lo Spirito", la fedeltà allo Spirito Santo è atteggiamento fondamentale della spiritualità missionaria. "Tale spiritualità si esprime, innanzitutto, nel vivere in piena docilità allo Spirito; essa impegna a lasciarsi plasmare interiormente dallo Spirito, per diventare sempre più conformi a Cristo... La docilità allo Spirito impegna poi ad accogliere i doni della fortezza e del discernimento, che sono tratti essenziali della stessa spiritualità... Oggi occorre pregare, perché Dio ci doni la franchezza di proclamare il Vangelo; occorre scrutare le vie misteriose dello Spirito e lasciarsi da lui condurre in tutta la verità (cf. Gv. 16,13)" (RMi 87; cf AG 4; EN 75).

Se mancasse questa fedeltà allo Spirito, la missione non sarebbe capita nel senso della fede, ma soltanto nella prospettiva delle ipotesi umane discutibili. Il capitolo III dell'enciclica offre i dati fondamentali per capire e seguire il vero senso della missione sotto la guida dello Spirito: "La presenza e l'attività dello Spirito non toccano solo gli individui, ma la società e la storia, i popoli, le culture, le religioni. Lo spirito, infatti, sta all'origine dei nobili ideali e delle iniziative di bene dell'umanità in cammino... E' anche lo Spirito che sparge i 'semi del Verbo', presenti nei riti e nelle culture, e li prepara a maturare in Cristo" (RMi 28).

"La venuta dello Spirito Santo fa di essi (gli Apostoli) dei testimoni e dei profeti (cf. At 1,8; 2,17.18), infondendo in loro una tranquilla audacia che li spinge a trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù e la speranza che li anima. Lo Spirito Santo dà loro la capacità di testimoniare Gesù con 'franchezza'" (RMi 24).

La dimensione cristologica della spiritualità missionaria si concretizza nel rapporto personale con Cristo per condividere il suo stesso modo di vivere: "Nota essenziale della spiritualità missionaria è la comunione intima con Cristo: non si può comprendere e vivere la missione, se non riferendosi a Cristo come l'inviato ad evangelizzare... 'Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù'... (Fil 2,5-8)" (RMi 88; AG 3; EN 6-12).

L'esperienza dell'incontro con Cristo diventa missione: "trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù'" (RMi 24). "Proprio perché 'inviato', il missionario sperimenta la presenza confortatrice di Cristo, che lo accompagna in ogni momento della sua vita -'Non aver paura..., perché io sono con te' (At 18,9-10) - e lo aspetta nel cuore di ogni uomo" (RMi 88). L'esperienza paolina è un paradigma ripetuto frequentemente nell'enciclica "Redemptoris Missio".

Questa dimensione cristologica fa capire il vero senso della missione come annuncio della salvezza in Cristo: "La missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi... La missione, oltre che dal mandato formale del Signore, deriva dall'esigenza profonda della vita di Dio in noi" (RMi 11).

La dimensione ecclesiologica della spiritualità missionaria è una conseguenza dell'amore a Cristo. Si ama la Chiesa (e tutta l'umanità) con lo stesso amore con cui Cristo l'ha amata: "Chi ha spirito missionario sente l'ardore di Cristo per le anime ed ama la Chiesa, come Cristo... Come Cristo egli deve amare la Chiesa: 'Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei' (Ef 5,25). Questo amore, spinto fino a dare la vita, è per lui un punto di riferimento. Solo un amore profondo per la Chiesa può sostenere lo zelo del missionario... Per ogni missionario 'la fedeltà a Cristo non può essere separata dalla fedeltà alla sua Chiesa' (PO 14)" (RMi 89; AG 5; EN 13-16).

Soltanto da questo "senso" e amore di Chiesa scaturirà una autentica teologia sul Regno e sul rapporto tra Chiesa e Regno: "Il Regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzitutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine di Dio invisibile" (RMi 18). "La Chiesa non è fine in se stessa, ma fervidamente sollecita di essere tutta di Cristo, in Cristo e per Cristo, e tutta degli uomini, fra gli uomini e per gli uomini" (RMi 19). "La Chiesa, infine, serve il Regno... Noi dobbiamo chiederlo, accoglierlo, farlo crescere in noi; ma dobbiamo anche cooperare perché sia accolto e cresca tra gli uomini" (RMi 20).

La dimensione pastorale della spiritualità missionaria mette in evidenza la fecondità apostolica della carità. La santificazione dell'apostolo è in stretto rapporto con l'esercizio dei ministeri (PO 13). La nota più caratteristica della spiritualità apostolica è la "carità" che ha come modello il Buon Pastore: "La spiritualità missionaria si caratterizza, altresì, per la carità apostolica, quella del Cristo... buon Pastore che conosce le sue pecore, le ricerca ed offre la sua vita per loro (cf. Gv 10)... Il missionario è l'uomo della carità... egli deve testimoniare la carità verso tutti, spendendo la vita per il prossimo. Il missionario è il 'fratello universale', porta in sé lo spirito della Chiesa, la sua apertura ed interesse per tutti i popoli e per tutti gli uomini, specie i più piccoli e poveri... è segno dell'amore di Dio nel mondo" (RMi 89; cf EN 76-80).

La dimensione pastorale della spiritualità farà scoprire le necessità pastorali più urgenti, gli immensi orizzonti della missione ad gentes: "La Chiesa ha un immenso patrimonio spirituale da offrire all'umanità, in Cristo che si proclama 'la via, la verità e la vita' (Gv 14,6). E' il cammino cristiano all'incontro con Dio, alla preghiera, all'ascesi, alla scoperta del senso della vita. Anche questo è un areopago da evangelizzare" (RMi 38). Farà anche riscoprire le vie della missione: "La testimonianza della vita cristiana è la prima e insostituibile forma della missione... La prima forma di testimonianza è la vita stessa del missionario, della famiglia cristiana e della comunità ecclesiale, che rende visibile un modo nuovo di comportarsi" (RMi 42))

La spiritualità missionaria susciterà la disponibilità missionaria da parte dei responsabili: "La Chiesa è missionaria per sua natura, poiché il mandato di Cristo non è qualcosa di contingente e di esteriore, ma raggiunge il cuore stesso della Chiesa" (RMi 62). "I missionari e le missionarie, che hanno consacrato tutta la vita per testimoniare fra le genti il Risorto, non si lascino, dunque, intimorire da dubbi, incomprensioni, rifiuti, persecuzioni. Risveglino la grazia del loro carisma specifico e riprendano con coraggio il loro cammino, preferendo in spirito di fede, obbedienza e comunione con i propri Pastori i posti più umili e ardui" (RMi 66).

La dimensione contemplativa si presenta nel contesto di una chiamata pressante alla santità. Dall'incontro con Cristo scaturisce la disponibilità missionaria incondizionata: "La chiamata alla missione deriva di per sé dalla chiamata alla santità... L'universale vocazione alla santità è strettamente collegata all'universale vocazione alla missione... La spiritualità missionaria della Chiesa è un cammino verso la santità. La rinnovata spinta verso la missione ad gentes esige missionari santi... Occorre suscitare un nuovo 'ardore di santità fra i missionari e in tutta la comunità cristiana" (n.RMi 90). "Da parte loro, i missionari riflettano sul dovere della santità, che il dono della vocazione richiede da essi, rinnovandosi di giorno in giorno nel loro spirito ed aggiornando anche la loro formazione dottrinale e pastorale" (RMi 91).

La vita contemplativa viene presentata in stretto rapporto con l'attività missionaria: "Il missionario deve essere 'un contemplativo in azione'. Egli trova risposta ai problemi nella luce della parola di Dio e nella preghiera personale e comunitaria. Il contatto con i rappresentanti delle tradizioni spirituali non cristiane, in particolare quelle dell'Asia, mi ha dato conferma che il futuro della missione dipende in gran parte dalla contemplazione. Il missionario, se non è un contemplativo, non può annunziare il Cristo in modo credibile. Egli è un testimone dell'esperienza di Dio e deve poter dire come gli Apostoli: 'Ciò che noi abbiamo contemplato, ossia il Verbo della vita..., noi lo annunciamo a voi' (1Gv 1, 1-3)" (RMi 91).

Soltanto un vero spirito contemplativo farà scoprire le vie per evangelizzare un "nuovo areopago": "Il nostro tempo è drammatico e insieme affascinante... si manifestano l'angosciosa ricerca di significato, il bisogno di interiorità, il desiderio di apprender nuove forme e modi di concentrazione e di preghiera. Non solo nelle culture impregnate di religiosità, ma anche nelle società secolarizzate è ricercata la dimensione spirituale della vita come antidoto alla disumanizzazione. Questo cosiddetto fenomeno del 'ritorno religioso' non è privo di ambiguità, ma contiene anche un invito" (RMi 38).

La dimensione antropologica e sociologica della spiritualità missionaria accenna alle circostanze e situazioni delle persone, delle culture e dei popoli. La carità cristiana si concretizza nell'atteggiamento delle beatitudini: "Fedele allo spirito delle beatitudini, la Chiesa è chiamata alla condivisione con i poveri e gli oppressi di ogni genere. Esorto, per ciò, tutti i discepoli di Cristo e le comunità cristiane, dalle famiglie alle diocesi, dalle parrocchie agli istituti religiosi, a fare una sincera revisione della propria vita nel senso della solidarietà con i poveri... Sono, infatti, queste opere che testimoniano l'anima di tutta l'attività missionaria: l'amore, che è e resta il movente della missione" (RMi 60).

4. Spiritualità missionaria secondo la vocazione specifica

La spiritualità missionaria deve essere applicata ad ogni vocazione cristiana: sacerdotale, vita consacrata, laicale. "Tutti i sacerdoti debbono avere cuore e mentalità missionaria, essere aperti ai bisogni della Chiesa e del mondo" (RMi 67). "La Chiesa deve far conoscere i grandi valori evangelici di cui è portatrice, e nessuno li testimonia più efficacemente di chi fa la professione di vita consacrata nella castità, povertà e obbedienza, in totale donazione a Dio ed in piena disponibilità a servire l'uomo e la società sull'esempio di Cristo" (RMi 69). I laici, "per l'indole secolare, che è loro propria, hanno la particolare vocazione a cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e orientandole secondo Dio" (RMi 71; cf LG 31).

Le linee basilari della spiritualità missionaria si possono trovare in rapporto ai tre elementi che costituiscono la "vita apostolica": sequela di Cristo (generosità evangelica), fraternità (vita comunitaria del gruppo), disponibilità missionaria "ad gentes". Ogni vocazione apostolica deve approfondire queste linee della vita degli Apostoli applicate al proprio carisma.

L'enciclica parla frequentemente di un'atteggiamento di gioia e speranza alla luce delle Beatitudini: "Il missionario è l'uomo delle Beatitudini... La caratteristica di ogni vita missionaria autentica è la gioia interiore che viene dalla fede. In un mondo angosciato e oppresso da tanti problemi, che tende al pessimismo, l'annunziatore della 'buona novella' deve essere un uomo che ha trovato in Cristo la vera speranza" (RMi 91).

Se questa spiritualità viene messa in pratica, ci sarà nella Chiesa un grande risveglio della coscienza e della responsabilità missionaria: "Mai come oggi la Chiesa ha l'opportunità di far giungere il Vangelo, con la testimonianza e la parola, a tutti gli uomini ed a tutti i popoli. Vedo albeggiare una nuova epoca missionaria... se tutti i cristiani e, in particolare, i missionari e le giovani Chiese risponderanno con generosità e santità agli appelli e sfide del nostro tempo" (RMi 92). Il concilio Vaticano II collega il "rinnovamento interiore" di tutti i fedeli al fatto di arrivare ad "una viva coscienza della propria responsabilità in ordine alla diffusione del Vangelo" (AG 35).

L'invito dell'enciclica alla cooperazione e alla spiritualità missionaria si può riassumere in un'atteggiamento mariano della Chiesa, che vede in Maria "il modello di quell'amore materno, dal quale devono essere animati tutti quelli che,nella missione apostolica della Chiesa, cooperano alla rigenerazione degli uomini" (RMi 92; cf LG 65). E un invito "alla vigilia del terzo millennio" per "vivere più profondamente il mistero di Cristo, collaborando con gratitudine all'opera della salvezza" (ibidem).

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Estratto da: Dizionario di Missiologia (Pontificia Università Urbaniana, 1993) 481-486 (Spiritualità Missionaria).

Vedere ulteriori pubblicazioni e bibliografia aggiornata: Dizionario dell'Evangelizzazione (Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2005). Voci: Spirito Santo, Spiritualità, Spiritualità Missionaria.

Teologia della evangelizzazione, Spiritualità missionaria (Pontificia Università Urbaniana 1992),cap.I-XI (tutti i temi della spiritualità missionaria)

Il Soffio dello Spirito (Bologna, EMI, 1987).

Compendio de Misionología. La vida es misión (Valencia, EDICEP, 2007) cap.V.

Misionología. Evangelizar en un mundo global (Madrid, BAC, 2008) cap.X.

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SPIRITUALITÀ MARIANA DELLA CHIESA MISSIONARIA

1.La realtà e la terminologia della "spiritualità mariana" della Chiesa

L'espressione "spiritualità mariana" ha trovato cittadinanza nella Chiesa grazie all'enciclica "Redemptoris Mater": "Si tratta qui non solo della dottrina della fede, ma anche della vita della fede e, dunque, dell'autentica "spiritualità mariana vista alla luce della Tradizione e, specialmente, della spiritualità alla quale ci esorta il Concilio" (RMa 48).

Questa "vita della fede" costituisce la "spiritualità (vita "spirituale"), cioè, la "vita secondo lo Spirito". La Chiesa vive i contenuti della fede, non solo come concetti che illuminano, ma specialmente come realtà di grazia che trasformano la vita. La dottrina su Maria, come parte integrante della dottrina sul Mistero di Cristo, si trasforma in vita "spirituale". Al tempo stesso la Chiesa guarda a Maria per imitare la sua vita di fede ed essere aiutata da lei in questa stessa vita di fede: "La Beatissima Vergine avanzò nella pellegrinazione della fede" (LG 58). In questo senso Maria è "figura ed eccellentissimo modello per essa nella fede e nella carità" (LG 53). Da ciò deriva, da parte della Chiesa, non solo l'imitazione e la supplica di intercessione, ma anche "l'affetto di pietà filiale" (LG 53).

La spiritualità mariana è, perciò, una realtà storica nella vita e nella dottrina della Chiesa e, in modo particolare, nella vita e nella dottrina dei santi e delle comunità ecclesiali di tutti i tempi, sparse in tutte le nazioni, infatti: "La 'spiritualità mariana' al pari della devozione corrispondente, trova una ricchissima fonte nell'esperienza storica delle persone e delle varie comunità cristiane, viventi tra i diversi popoli e nazioni su tutta la terra. In proposito, mi è caro ricordare, tra i tanti testimoni e maestri di tale spiritualità, la figura di S. Luigi Maria Grignon de Montfort" (RMa 48).

Questo "fatto" mariano, che è una realtà permanente nella Chiesa, quando si è trattato di esprimerlo in terminologia concreta, ha avuto diversi nomi: pietà o devozione mariana, ascetica e mistica mariana, teologia spirituale mariana, spiritualità mariana. La parola "pietà" o "devozione" sta ad indicare l'atteggiamento dei credenti per mezzo di atti devozionali e di culto. E' un tema classico nei trattati di mariologia quando parlano di devozione e di culto mariano. L'espressione "ascetica e mistica mariana" vorrebbe indicare il cammino della vita spirituale, aiutati da Maria quale Modello e quale mezzo particolare di questa stessa vita. Gli specialisti di trattati di spiritualità in genere, non tralasciano mai di sottolineare (anche se brevemente) l'aspetto mariano della vita spirituale. La frase "spiritualità mariana" è oggi comunemente accettata, non solo perché è stata assunta dal magistero della Chiesa (RMa 48), ma anche perché nelle Facoltà di Teologia (con la specializzazione nella spiritualità, o in Mariologia) è già normale un corso ordinario su questo tema concreto: "Spiritualità mariana", "Spiritualità mariana della Chiesa", "Dimensione missionaria della spiritualità mariana", ecc.

L'atteggiamento di rapporto personale tra la Chiesa e Maria, è una delle note caratteristiche dell'enciclica "Redemptoris Mater". La Chiesa, e ogni credente, vive la "presenza attiva e materna" di Maria (cf. RMa 1,24,28,48,52), in "comunione di vita" con Lei (RMa 45, nota 130): "Affidandosi filialmente a Maria, il cristiano... la introduce in tutto lo spazio della propria vita interiore, cioè nel suo 'io' umano e cristiano" (RMa 45), come espressione di una "vita di fede" a imitazione di Maria (RMa 48). Tutto questo è la conseguenza dell'attuazione del comando del Signore: "Ecco tua Madre... e il discepolo la ricevette in casa sua" (Gv 19, 25‑27). Origene diceva che per intuire il "significato" del vangelo, bisogna imitare il discepolo amato, che "ha ricevuto da Gesù Maria come Madre".

Nei documenti del magistero della Chiesa, Maria è presentata come "Maestra di vita spirituale" (MC 21) in tutto l'"itinerario di fede" (RMa 2,27,48,49), con una "presenza attiva" e "materna" (RMa 1,24; RH 22). La Chiesa, di fronte a questa realtà attiva e relazionale, è invitata a entrare in sintonia con "l'amore materno" di Maria (RMi 92; LG 65). L'atteggiamento relazionale della Chiesa con la Vergine presuppone la presenza di Maria; una presenza reale, affettiva ed effettiva, ricordata e vissuta, che esige da parte della Chiesa una riflessione teologica. Tal volta, per non aver prestato sufficientemente attenzione alla teologia della spiritualità mariana, non si è neanche approfondito questa verità mariana (la sua presenza nella Chiesa), che è in stretto rapporto con la presenza di Cristo risorto (che continua ad associare Maria alla sua opera salvifica). I santi più mariani invitavano a vivere la vita di Maria, in rapporto con la sua presenza attiva, affinché per mezzo di questa unione con Maria, potessero donarsi totalmente a Cristo come Lei.

2.Natura e dati basilari della spiritualità mariana

E' necessario distinguere tra l'espressione "spiritualità mariana" e il suo contenuto. Ciò che è in gioco non è propriamente l'espressione, bensì il significato e la méta della stessa. Se per "spiritualità" si intende la docilità alle grazie (o carismi) dello Spirito Santo (come "vita secondo lo Spirito": Gal. 5,25), la spiritualità mariana sarebbe un atteggiamento di fedeltà a ciò che lo Spirito Santo comunica alla Chiesa in rapporto a Maria.

La spiritualità mariana aiuta la Chiesa a vivere la sua relazione sponsale con Cristo, come realtà profondamente biblica che è la base della teologia patristica, della vita liturgica e della vita evangelica secondo la sequela radicale di Cristo. Leggendo con attenzione i documenti mariani, conciliari e postconciliari, si nota in essi non solo un contenuto dottrinale di concetti, ma anche un invito ad assumere atteggiamenti ecclesiali (personali e comunitarie) riguardo Maria. Queste attitudini sono: fedeltà alla Parola, alla volontà di Dio, all'azione dello Spirito Santo, come anche la relazione personale con Cristo, con Maria e con la Chiesa. Sentendosi unita ed identificata con Maria, la Chiesa assume un atteggiamento di fedeltà e di relazione più profonda con Cristo Sposo: "La Chiesa pensando a Lei con pietà filiale e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo, con venerazione penetra più profondamente nell'altissimo mistero dell'incarnazione e si va ognor più conformando con il suo Sposo" (LG 65).

Per questo la spiritualità mariana e eminentemente cristocentrica ed ecclesiale. "I padri greci e la tradizione bizantina, contemplando la Vergine alla luce del Verbo fatto uomo, hanno cercato di penetrare la profondità di quel legame che unisce Maria, in quanto Madre di Dio, a Cristo ed alla Chiesa: la vergine è una presenza permanente in tutta l'estensione del mistero salvifico" (RMa 31). Per questo "Maria appartiene indissolubilmente al mistero di Cristo, ed appartiene anche al mistero della Chiesa sin dall'inizio" (RMa 27).

I contenuti ed i dati fondamentali della spiritualità mariana della Chiesa potrebbero essere riassunti nei seguenti:

1º Sintonia "vitale" dei temi mariani, orientata verso un "affetto di pietà filiale" (LG 53) che comprenda la conoscenza, l'imitazione, la relazione, la supplica, la celebrazione.

2º Relazione di "intimità" con Maria come "comunione di vita" (RMa 45, nota 130), vivendo la realtà della sua presenza nella vita di ogni persona e di ogni comunità ecclesiale.

3º Accettazione effettiva del suo "salutare influsso" (LG 60), accogliendola "fra le sue cose proprie e introducendola in tutto lo spazio della propria vita interiore, cioè nel suo 'io' umano e cristiano" (RMa 45).

La riflessione teologica su questa vita mariana della Chiesa deve, perciò, incentrarsi nell'atteggiamento vitale ("spirituale", esperienziale, devozionale, cultuale) dei temi mariani, che comprendono l'atteggiamento interrelazionale e la dipendenza effettiva ed affettiva per lasciarsi trasformare in Cristo.

Questa realtà mariana della Chiesa fa scoprire e vivere la "presenza attiva e materna" di Maria in tutto il cammino di perfezione o della vita spirituale e missioanria: virtù teologali e morali con i doni dello Spirito Santo (anche come sintonizzazione ai criteri, valori e attitudini di Cristo), vita contemplativa, vita comunitaria, vita apostolica, vita sociale.

Tutti partecipiamo alla fede di Maria, che "permane nel cuore della Chiesa" (RMa 27), come un bene che deve svilupparsi mediante un cammino di santificazione e di missione.

La riflessione teologica sulla spiritualità mariana prende in considerazione:

- la vita di fede in rapporto con Maria,

- tutto il cammino di questa vita,

- nelle persone e nelle comunità,

- nella Chiesa particolare e universale,

- con elementi differenziati ("carismi", culture...).

La teologia della "spiritualità mariana" deve approfondire la vita spirituale di Maria (presenza, affetto, modello, aiuto come mediazione materna), la vita spirituale della Chiesa (coscienza, affetto, imitazione, supplica) e la relazione tra ambedue. Il "salutare influsso" di Maria (LG 60) e la "pietà filiale" della Chiesa (LG 53), si incrociano nel cammino della vocazione, della contemplazione, della perfezione, della comunione e missione.

La spiritualità mariana mette in risalto l'attitudine di relazione con Maria, aiutando a vivere la sua presenza attiva (modello e influsso di maternità e di intercessione). Si cerca di vivere con Maria e come Lei, associati alla vita e ai misteri di Cristo.

3.Problemi de metodologia scientifica

Quando nella riflessione teologica si è già intrapreso un cammino, sorge un'allergia rispetto ad un eventuale cambiamento di direzione. Se i temi teologici (e mariologici) sono già stati classificati secondo alcuni programmi e quadri mentali, risulta difficile accettare una novità nella terminologia e nella metodologia di insegnamento, di ricerca e delle pubblicazioni. Nel caso della "spiritualità mariana" avviene questo stesso fenomeno. Le allergie che possono sorgere al momento di accettare o rifiutare l'espressione, nascono più dal fatto che si intravede la necessità di dover rifare la metodologia dello studio, per evitare doppioni inutili. Si corre il rischio allora di assumere una soluzione facile: non accettare la novità della terminologia, attribuendo difficoltà di metodo scientifico.

Nel campo missiologico è successo qualcosa di simile con l'espressione "spiritualità missionaria", usata ufficialmente per la prima volta nel Concilio Vaticano ll (AG 29) e spiegata ampiamente nell' "Evangelii Nuntiandi" (Cap. VII) e nella "Redemptoris Missio" (Cap. VIII). Esiste, perciò, la "spiritualità" specifica, tanto nel campo mariano come in quello missionario.

Analogicamente potrebbero servire le indicazioni della "Pastores dabo vobis" sul contenuto della spiritualità sacerdotale che resta adesso sistematizzata in un capitolo (il terzo) di questo documento del magistero della Chiesa, invitando ad uno studio specifico. La "vita spirituale" è "vita animata e guidata dallo Spirito verso la santità o perfezione della carità" (PDV 1s); riguardo la spiritualità sacerdotale specifica, si tratta di carità pastorale.

La spiritualità mariana è la stessa vita spirituale cristiana (come vita e come riflessione teologica) nel suo aspetto mariano; questa risulta tanto ricca di contenuto che merita una spiegazione dettagliata e particolare.

La teologia mariana ("mariologia") ha tre funzioni principali:

1ª) Scientifica sapienziale (riflessione sui dati biblici, storici, sistematizzazione, ecc.),

2ª) Pastorale (dell'annuncio, della celebrazione, dell'organizzazione o animazione, ecc.)

3ª) "Vitale" (sarebbe il campo della "spiritualità mariana", basato sempre sulla teologia e puntando verso la pastorale).

La funzione vitale (vivenziale, esistenziale) della mariologia (o lo studio sulla stessa funzione) è il campo proprio della spiritualità mariana. Si studia la vita della fede della Chiesa in rapporto con Maria.

Questi temi sono stati studiati fino ad ora implicitamente nel capitolo mariologico sul culto e la devozione mariana. Precisamente per merito di questi stessi studi, la materia è oggi tanto ampia che merita un'attenzione speciale, strutturandola come presenza di Maria in tutto il cammino della vita spirituale. In questo senso e prospettiva, il tema non era stato sufficientemente sviluppato. Il capitolo mariologico sul culto e la devozione, di fatto, non tratta questo tema che è sufficientemente ampio da poterle dedicare un trattato speciale.

La spiritualità ecclesiale o fedeltà della Chiesa missionaria all'azione dello Spirito ("chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice": Ap. 2,7) si è modellata guardando Maria come "il segno grandioso" (Ap. 12,1) che personifica la Chiesa stessa. Vivere in rapporto con Maria significa essere coerenti con queste realtà mariane che costituiscono una presenza attiva e materna: Maria è l'"icona" della Chiesa, come una presenza attiva che è mediazione materna e "salutare influsso" (LG 60).

Maria "permane nel cuore della Chiesa" (RMa 27), nelle sue attitudini profonde di rapporto sponsale con Cristo, come vergine che diventa madre ad esempio di Maria, mediante un cammino di ascolto, di preghiera e di amore. Se "tutta la Chiesa è invitata a vivere più profondamente il mistero di Cristo, collaborando con gratitudine all'opera della salvezza, ciò essa fa con Maria e come Maria, sua madre e modello" (RMi 92) .

In questo cammino storico della fede, verso l'incontro definitivo con Cristo, la Chiesa sperimenta Maria che "sulla terra brilla ora innanzi al pellegrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza" (LG 68; cf. RMa 51‑52). Per questo, l'atteggiamento della Chiesa riguardo a Maria (atteggiamento "spirituale" o secondo lo Spirito), è un atteggiamento di relazione (preghiera, contemplazione....), di imitazione (fedeltà, virtù), di celebrazione (liturgia del mistero pasquale), di esperienza (vita dei santi e dei fedeli), di sapienza (teologia, ecc.).

Questo atteggiamento ecclesiale mariano costituisce la sua "spiritualità", vale a dire, il suo modo di rispondere alla voce e ai carismi dello Spirito Santo. Maria è il modello, la figura dell'atteggiamento della Chiesa rispetto al Verbo (Parola di Dio) e allo Spirito.

La spiritualità ecclesiale è, per sua natura, spiritualità mariana e missionaria. Questa è, perciò, parte integrante della spiritualità cristiana. Si può dire che la spiritualità mariana è l'espressione fondamentale della spiritualità cristiana, poiché la spiritualità di Maria è il Modello della spiritualità della Chiesa, come atteggiamento di apertura al Verbo Incarnato, sotto l'azione dello Spirito Santo. secondo i disegni salvifici del Padre.

Come studiare questa realtà ecclesiale mariana, che va al di là della "devozione" e del "culto"? Qual'è la natura di questa spiritualità, i suoi contenuti, la sua sintesi teologica?.

La Chiesa crede, celebra, vive e trasforma in preghiera il mistero di Cristo. Vivere il mistero di Cristo, nato da Maria, e che associa a Maria è la quintessenza della spiritualità mariana. Si potrebbe studiare questa spiritualità mariana ecclesiale in rapporto con la Chiesa mistero (segno portatore di Cristo), comunione (fraternità), missione (evangelizzazione).

Come vive la Chiesa la presenza di Maria in questo cammino di fede per essere fedele all'azione dello Spirito Santo? Come è la sua spiritualità nel suo aspetto mariano?

4.Dinamismo della spiritualità mariana: contemplazione, perfezione, evangelizzazione PRIVATE

A)Nel cammino della contemplazione, dimensione contemplativa della spiritualità mariana della Chiesa

L'attitudine contemplativa della Chiesa è un'attitudine profondamente mariana: "ascoltare" la parola col "cuore" aperto ai piani di Dio (cf. Lc 2, 19.51). E' l'attitudine del ritorno all'autenticità di un cuore, che si apre all'amore "in Spirito e Verità" (Gv 4,23).

Nel Vangelo e negli scritti di Giovanni (il discepolo amato che riceve Maria in "comunione di vita"), contemplare ("theorein") significa: "vedere Gesù" (Gv 12,21), "vedere la sua gloria" (Gv 1,14; 2,11); vederlo perfino nel sepolcro vuoto, o nella foschia del lago, con un atteggiamento di fede: "vide e credette" (Gv 20,8); "e' il Signore" (Gv 21,7). E' come vedere Gesù dove e quando è invisibile, conoscerlo amandolo (Gv 10,14; 14,21). Da questo incontro di vita con Cristo, scaturisce l'annuncio: "Vi annunciamo quello che abbiamo visto e udito.... il Verbo della vita" (1Gv 1 1ss).

Precisamente perché la Scrittura è il "libro nel quale ognuno può leggere il Verbo", bisogna ricevere la Parola di Dio con atteggiamento mariano come quello di Giovanni.

L'attitudine contemplativa verso il Verbo incarnato, si attua nella chiesa "meditando devotamente su Maria e contemplandola alla luce del Verbo fatto uomo" (LG 65). La Chiesa impara a recitare con Maria il "Magnificat", nel quale "traspare la personale esperienza di Maria, l'estasi del suo cuore" (RMa 36).

La fede contemplativa di Maria, come modello della fede contemplativa della Chiesa, equivale ad una "vita nascosta con Cristo in Dio" (Col. 3,3), come "notte" dello Spirito (cf. RMa 17‑19). "Mediante questa fede Maria è perfettamente unita a Cristo nella sua spoliazione" (RMa 18). E' l'atteggiamento di "povertà" biblica di chi è "beata per aver creduto" (Lc 1,45; cf. Gv 20,29).

L'atteggiamento mariano ed ecclesiale davanti al mistero, è atteggiamento di adorazione, cioè di silenzio attivo, gioioso, di ammirazione nel buio della fede. La riflessione e gli affetti divengono accettazione amorosa, gioiosa del mistero, ammirando i disegni di Dio con un silenzio di donazione totale di sé: "Essi non compresero... sua Madre contemplava tutte queste parole nel suo cuore" (Lc 2,50‑51).

Il processo di contemplazione è stato descritto dai santi in diversi modi: come apertura graduale "all'acqua viva" o presenza attiva dello Spirito; come entrando ogni volta di più nel più profondo ("dimora") del cuore; come un itinerario per uscire dal proprio Io (esodo) e per entrare nel silenzio di Dio (deserto) e arrivare all'unione con Lui (Gerusalemme); come ascolto ("lettura") della Parola per lasciarsi questionare ("meditazione"), chiedere luce e forza ("preghiera" o "petizione") e unirsi totalmente ai disegni di Dio amore ("contemplazione").

I "contemplativi", nel descrivere questo processo, prendono Maria come modello di apertura totale alla Parola, e di unione sponsale a Cristo. Il tema dello "sposalizio" (e matrimonio spirituale) è un tema classico nelle espressioni sulla contemplazione. Per ciò, la Chiesa, in questo processo contemplativo, trova in Maria il suo modello e il suo aiuto "e si va ognor più conformando col suo Sposo" (LG 65). Maria è "la donna" (Gv 2,'4; 19,25: Gal. 4,4), che "acconsentendo" ai piani di Dio e "associandosi" a Cristo (LG 65), è "Tipo della chiesa" per "l'unione perfetta con Cristo" (LG 63).

Questa dimensione contemplativa della spiritualità mariana della Chiesa, abbraccia persone e comunità, nei momenti più meditativi e nei momenti più celebrativi. La persona è sempre persona (non massificata), specialmente quando celebra in comunione ecclesiale i misteri di Cristo. Meditando questi misteri e celebrandoli con Maria, "la chiesa ammira ed esalta in Lei il frutto più eccelso della redenzione" (SC 103), e "proclama il mistero pasquale" compiuto in lei e in tutti i santi (SC 104).

La "lex orandi" della Chiesa è eminentemente Mariana, a partire dalla "lex credendi" e tendendo verso la "lex vivendi". Maria è garanzia di autenticità. "Lo Spirito Santo perfeziona costantemente la fede con i suoi doni" (DV 5), quando trova nei credenti l'atteggiamento mariano di apertura fedele e generosa.

Maria aiuta la Chiesa a "vedere" Cristo risorto quando sembra non esserci. Nei momenti del "silenzio" di Dio, si scopre il Verbo incarnato e risorto. E' Dio che parlando al cuore (Lc 24,32) dalla "nube" del silenzio ci dice: "questo è il Figlio mio prediletto, ascoltatelo" (Mt 17,5). Nei momenti di "assenza" di Dio, si scopre la vicinanza dell'Emmanuele: "sono Io" (Gv 6,20); "sono con voi" (Mt 28,20). Maria, la madre del Verbo fatto uomo e dell'Emmanuele, ci indica il cammino della fede contemplativa e coinvolgente: "Fate quello che vi dirà" (Gv 2,5).

B) Nel cammino di perfezione e di comunione

La santità o perfezione cristiana, consiste sempre nella carità, come espressione delle beatitudini. "Tutti i fedeli, di qualsiasi stato o grado, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità" (LG 40).

"Dio è amore" (1Gv 4 8ss). In Dio questa carità è "comunione", massima unità di donazione reciproca. Tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, regna soltanto "la relazione pura" di amore infinito. In ogni cuore umano e in ogni comunità deve riflettersi la comunione Trinitaria come ha chiesto Gesù nell'ultima Cena: "Che tutti siano una sola cosa. Come Tu, Padre, sei in me e io in Te..., perché siano perfetti nell'unità" (Gv 17,21‑23). Tutta la Chiesa è chiamata ad essere questa "unità" o comunione nel cuore e con i fratelli: "Così la chiesa universale si presenta come un popolo riunito nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (LG 4).

Maria "è madre nostra nell'ordine della grazia" perché: "cooperò... all'opera del Salvatore, con l'obbedienza, la fede, la speranza e l'ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime" (LG 61). Ella continua a cooperare "con amore materno" alla nostra "generazione e formazione" come fratelli in Cristo (LG 63; Rom. 8,29) e "figli nel Figlio" (cf. Ef. 1,5).

Senza dimenticare le matrici e i carismi di ogni vocazione, c'è da sottolineare l'importanza della spiritualità mariana in rapporto con tutto il processo di perfezione, per configurarsi pienamente a Cristo, con l'esempio e l'aiuto di Maria. Il processo di perfezione è un cammino di virtù e doni, per svuotarsi del falso Io e unirsi a Dio. Maria è presente in tutte le tappe di questo processo di purificazione, illuminazione e unione ("esodo", "deserto", "Gerusalemme"). Lo sposalizio della Chiesa con Cristo, ha Maria come modello e aiuto (LG 65).

L"esperienza dei santi fa capire la presenza attiva di Maria in tutti i momenti della spiritualità cristiana (lex vivendi). E' il cammino della fede, come "vita di fede" con Maria (RMa 48). "L'anima perfetta diventa tale per mezzo di Maria". Ella è "guida e maestra sicura". Bisogna imitarla specialmente "nelle virtù più umili". "La Vergine fu costituita principio diffusivo di ogni santificazione... La Chiesa intera attinge da lei la santificazione".

La vita di comunione si manifesta nella comunità ecclesiale: famiglia, piccole comunità, gruppi apostolici e di perfezione, parrocchia, Chiesa particolare, Chiesa universale. Ogni comunità ecclesiale, per il fatto di essere comunione, deve vivere questi elementi essenziali: ascolto della Parola, orazione, celebrazione eucaristica, condivisione dei beni. Sono elementi che appaiono nella comunità ecclesiale primitiva (At. 2 e 3). "Ogni comunità, infatti, per essere cristiana, deve fondarsi e vivere in Cristo, nell'ascolto della Parola di Dio, nella preghiera incentrata sull'Eucarestia, nella comunione espressa in unità di cuore e di anima e nella condivisione secondo i bisogni dei suoi membri (cf. At 2,42‑47). Ogni comunità deve vivere in unità con la Chiesa particolare e universale" (RMi 51).

Maria è punto di riferimento per vivere questa comunione ecclesiale, come nel cenacolo di Gerusalemme: "Tutti erano assidui e concordi nella preghiera... con Maria la Madre di Gesù" (At 1,14). La presenza attiva e materna di Maria guida la comunità a trasmettere questa realtà di comunione a tutti i popoli: "Ella che con le sue preghiere, aiutò le primizie della Chiesa, anche ora in cielo esaltata sopra tutti i Beati e gli Angeli, nella comunione dei Santi interceda presso il Figlio suo insino a tanto che tutte le famiglie di popoli sia quelle insignite del nome cristiano, sia quelle che ancora ignorano il loro Salvatore, in pace e concordia siano felicemente riunite in un solo popolo di Dio, a gloria della Santissima e indivisibile Trinità" (LG 69).

La presenza di Maria in ogni comunità, aiuta a perseguire un cammino di perfezione che è cammino di comunione. La comunità diventa scuola di contemplazione, santità, sequela evangelica, missione. Il fondamento biblico della vita comunitaria indica la continua presenza di Cristo che associa a sé Maria. Per questo la comunità è segno efficace di santità e di missione (Mt 18,20; Gv 2,11‑12; 13,35‑37; 17,23; At 1,4; 4,32‑34).

La comunità ecclesiale, "con Maria e come Maria" (RMi 92), diventa:

Scuola di vita in Cristo (Mt 12 46‑50):

Comunità che prega:incontro personale e comunitario con Cristo,

Comunità che celebra il mistero di Cristo (liturgia),

Comunità che ama: incontro con i fratelli,

Comunità che si santifica: cammino di perfezione.

Scuola di generosità e perfezione evangelica (Gv 2,12):

Sposalizio con Cristo (castità),

Scambio dei beni (povertà),

Unione di volontà (obbedienza).

Scuola di Missionarietà (At 1,14):

Per l'annuncio della parola,

Per la celebrazione della salvezza,

Per i servizi di carità.

C) Maria nel cammino della missione, dimensione missionaria della spiritualità mariana.

Il cammino della Chiesa, che è mistero e comunione, diventa per sua stessa natura, cammino di missione. La contemplazione, la sequela e la vita fraterna (che abbiamo visto prima) dispongono la comunità ecclesiale a divenire missionaria e madre.

Nel Cenacolo di Gerusalemme, la Chiesa, insieme con Maria, comincia la sua "nuova maternità nello Spirito" (RMa 47), che costituisce la sua ragione d'essere, quindi la sua missionarietà. In ogni periodo storico lo Spirito Santo fa possibile la missione della Chiesa, trasmettendole nuove Grazie per "dare testimonianza con l'audacia della risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo" (At 4,33).

I periodi più fecondi per l'evangelizzazione sono sempre stati caratterizzati dalla presa di coscienza della maternità della Chiesa. Questo è evidente in modo speciale nella vita e negli scritti dei santi. Da questo "senso" di Chiesa si passa facilmente a Maria, come tipo della maternità ecclesiale.

La maternità della Chiesa è "ministeriale" e "sacramentale" in quanto opera attraverso i ministeri o servizi profetici, cultuali e di carità, come segni efficaci e portatori di Cristo. "La Chiesa... si fa madre attraverso la Parola di Dio accolta con fedeltà, poiché con la predicazione, e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio" (LG 64). In questa maternità apostolica la Chiesa imita Maria: "Per questo nella sua opera apostolica la Chiesa giustamente guarda a colei che generò Cristo, concepito dallo Spirito Santo e nato dalla vergine, per nascere e crescere anche nei cuori dei fedeli per mezzo della Chiesa" (LG 65).

L'essere e la funzione apostolica della Chiesa sono una maternità permanente e universale. La natura di questa maternità è quella di essere strumento salvifico. La permanenza di questa maternità, può paragonarsi a quella di Maria: "Questa maternità di Maria nella economia della grazia, perdura senza sosta dal momento del consenso fedelmente prestato nell'Annunciazione, e mantenuto senza esitazione sotto la Croce, fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti" (LG 62).

Il rapporto tra la maternità di Maria e quella della Chiesa è talmente stretto che si può parlare di una sola maternità (cf. RH 22). In verità è la maternità di Maria che si attua per mezzo della Chiesa: "le parole che Gesù pronuncia dall'alto della Croce significano che la maternità della sua genitrice trova una 'nuova' continuazione nella Chiesa e mediante la Chiesa" (RMa 24).

Questa realtà materna, mariana ed ecclesiale, si basa nel fatto che Cristo continua la sua presenza operante nei segni ecclesiali (Mt 28,20), associando a sé Maria e la Chiesa (cf. Gv 19,25‑27). La missione che la Chiesa ha ricevuto da Cristo (Gv 20,21‑22) si attua sotto l'azione dello Spirito Santo. Essa annuncia, rende presente e comunica Cristo perché sia realtà vivente nel cuore di ogni essere umano.

Il termine "maternità" applicato alla missione della Chiesa, trova il suo punto d'appoggio nella stessa dottrina di Gesù sulle difficoltà dell'apostolato (cf. Gv 16,20‑22). S. Paolo fa uso di questa terminologia persino paragonandola "ai dolori del parto" (Gal. 4,19), in un contesto che è nello stesso tempo mariano (Gal 4,4‑7), apostolico (Gal. 4,19) ed ecclesiale (Gal. 4,26).

L'insegnamento paolino sulla maternità della Chiesa si basa sul testo di Isaia che riguarda la nuova Sion o nuova Gerusalemme che sarà madre di tutti i popoli (Is 54,1; 11,12). Questa nuova Gerusalemme "è libera ed è nostra madre" (Gal. 4,26), ed ha la sua origine "nella pienezza dei tempi", quando "Dio ha inviato il suo Figlio nato da donna" (Gal 4,4). Tuta l'umanità è chiamata a partecipare alla filiazione divina di Cristo per opera dello Spirito Santo (Gal 4,6), poiché lui è "il Salvatore di tutti" (1Tim 4,10).

In ogni comunità ecclesiale si concretizza la maternità della Chiesa (2Gv 1,4.13). Ogni credente riceve la vita divina per mezzo della Chiesa o dei segni ecclesiali; per questo la fede nella Chiesa si può esprimere in questo modo: "Credo nella santa madre Chiesa". Perciò, nello stesso tempo, ogni credente è Chiesa madre, come parte attiva ed integrante di una comunità che è madre per i servizi profetici, cultuali e regali (cf. PO 6). Ogni comunità ecclesiale, e specialmente la Chiesa particolare, si fa responsabile di mettere in pratica questa maternità che è di missionarietà universale.

La condizione della Chiesa peregrina fa capire il significato delle difficoltà e persecuzioni. Queste tribolazioni fanno parte della maternità e missionarietà della Chiesa e diventano fecondità quando la vita si fa donazione. Questi sono "i dolori del parto" inerenti alla vita apostolica (Gv 16,20‑21; Gal 4,19), che fanno della Chiesa personificata in Maria "il grande segno" (Ap 12,1ss). Cristo continua associando la Chiesa che deve essere consorte (sposa) delle sue sofferenze (Ef 5,25ss), a imitazione di Maria che è stata chiamata a condividere la "sorte" (spada) e "l'ora" di Cristo (Lc 2,35; Gv 19,25‑27). I segni ecclesiali di questa maternità, quali sono le vocazioni e i ministeri, partecipano di questa dinamica evangelica di saper morire per risorgere con Cristo, come "il chicco di frumento" (Gv 12,24).

Gesù continua associando Maria sua madre nell'applicazione della redenzione, anche con la sua presenza attiva di risorto per mezzo dei segni ecclesiali che costituiscono la maternità ministeriale e sacramentale della Chiesa. In questa prospettiva salvifica, mariana ed ecclesiale, si capisce meglio il principio patristico, ribadito dal Concilio sul bisogno della Chiesa per la salvezza (cf. LG 14,16; AG 7).

Cristo è l'unico Salvatore, perché i semi evangelici che Dio ha seminato in ogni cuore e in ogni popolo (culture, religioni...) tendono, per se stessi a farsi esplicitamente Chiesa adesso su questa terra. La maternità della Chiesa in rapporto alla maternità di Maria, è strumento di Cristo, sia perché la salvezza raggiunga ogni essere umano (ancora non esplicitamente cristiano), sia perché tutta l'umanità arrivi un giorno ad essere esplicitamente la Chiesa che Cristo ha istituito come segno visibile e sacramentale di salvezza per tutti.

La maternità della Chiesa ha carattere "verginale" nel senso della fedeltà alla Parola di Dio e all'azione dello Spirito Santo. Questa fedeltà verginale, ad esempio di Maria, è fedeltà alla dottrina (fede), alle promesse (speranza) e all'azione amorosa di Dio (carità). La Chiesa è madre come mediatrice di verità, come portatrice delle promesse divine e come strumento di vita divina.

Nella misura in cui la Chiesa è vergine fedele, diventa anche madre, sposa feconda, "sacramento universale di salvezza" (AG 1, in relazione con AG 4). Maria è modello e aiuto di questa verginità materna ecclesiale: "come già insegnava S. Ambrogio, la Madre di Dio è Tipo della Chiesa nell'ordine cioè della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo. Infatti, nel mistero della Chiesa, la quale pure è giustamente chiamata madre vergine, la Beata Vergine Maria è andata innanzi, presentandosi in modo eminente e singolare, quale vergine e quale madre" (LG 63: cf. RMa 44).

Il "senso" e l'amore di Chiesa, che equivale alla consapevolezza fedele di essere Chiesa "mistero" (segno di Cristo) e "comunione" (fraternità), porta necessariamente a responsabilizzarsi della missione materna della Chiesa. La relazione con Maria nasce spontaneamente nel cuore degli apostoli e della comunità che desidera vivere la sua realtà integrale di Chiesa.

Nella Chiesa, tutti i segni sacramentali sono "mediazioni". In realtà sono segni portatori di Cristo, unico Salvatore e Mediatore (1Tim 2,5). Questa mediazione è, dunque, un'azione materna e missionaria che comunica Cristo al mondo. Come la mediazione mariana, così la mediazione ecclesiale è subordinazione a Cristo unico Mediatore, è partecipazione all'unica mediazione del Signore e ha caratteristiche di maternità.

La mediazione ecclesiale trova nella mediazione mariana la sua figura o personificazione, il suo modello di cooperazione materna e il suo aiuto per una attuazione adeguata. Anche Maria attua la sua mediazione materna per mezzo della Chiesa. La maternità di Maria "permane nella Chiesa come mediazione materna" (RMa 40). "La maternità della Chiesa si attua non solo secondo il modello e la figura della Madre di Dio, ma anche con la sua cooperazione" (RMa 44).

Inoltre "si può dire che la Chiesa apprenda da Maria anche la propria maternità... perché, come Maria è al servizio del mistero dell'Incarnazione, così la Chiesa rimane al servizio del mistero dell'adozione a figli mediante la grazia" (RMa 43).

Si può ancora allagare la dimensione missionaria della spiritualità mariana ad altri punti: Maria in ognuno dei ministeri (profetici, liturgici, di animazione e di carità...); universalismo della missione in relazione alla maternità di Maria e della Chiesa, l'annuncio del Vangelo "ad gentes", confrontando Ef 3,6 ("gentili coeredi") con Mt 2,1‑11 ("i Magi di Oriente... trovarono il bambino con Maria"); la vicinanza ai più poveri (contenuto del "Magnificat", secondo RMa 35‑37, Puebla 297, Santo Domingo 15); inserimento nella situazione umana, storica, culturale, sociale (Santuari, pietà popolare...); Maria nella nuova Evangelizzazione, ecc.

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Estratto da: Estratto da: Spiritualità mariana della Chiesa, Esposizione sistematica (Roma, Centro Cultura Mariana, 1994), cap. II e V.

Il tema è stato sviluppato in ulteriori pubblicazioni dell’autore, con bibliografia aggiornata:

Teologia della evangelizzazione, Spiritualità missionaria (Pontificia Università Urbaniana 1992), cap.XI.

Dizionario dell'Evangelizzazione (Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2005). Voci: Spiritualità mariana,Spiritualità mariana dell’apostolo, etc.

Dizionario di Missiologia (Pontificia Università Urbaniana, 1993), pp.329-332 (Maria nella missione della Chiesa)

Espiritualidad Mariana. María en el corazón de la Iglesia (Valencia, EDICEP, 2009), cap.I, V-VI.

(9)

SPIRITUALITÀ SACERDOTALE PER UNA CHIESA MISSIONARIA

1.Spiritualità cristiana e spiritualità sacerdotale

La spiritualità cristiana è una vita secondo lo Spirito: «camminiamo secondo lo Spirito» (Rm 8, 4); «vivete secondo lo Spirito» (Rm 8, 9). Esattamente è il cammino o processo di santità che consiste nell'amore o carità: «camminare nell'amore» (Ef 3, 2).

La spiritualità, come vita secondo lo Spirito Santo, che è Spirito d'Amore, si centra nella carità e fa riferimento a Cristo come «maestro, modello, ...iniziatore (autore) e consumatore» della stessa santità cristiana. Per questo, «tutti sono chiamati alla santità» (LG 39), in qualsiasi stato di vita e in qualsiasi circostanza, «tutti i fedeli, di qualsiasi stato o condizione, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità, e questa santità fa nascere un livello di vita più umano, anche nella società terrena» (LG 40).

Così, tutta la Chiesa diventa trasparenza di Cristo (Chiesa sacramento) in qualunque delle vocazioni o stati di vita: chiamata alla santità (LG V); sacerdoti ministri (LG III): segno del Buon Pastore; laici (LG IV): segno di Cristo in mezzo al mondo; vita consacrata (LG VI): segno forte delle beatitudini.

Le strade dello Spirito, a partire dal battesimo, passano attraverso le beatitudini (rispondere con l'amore in ogni circostanza) e il mandato dell'amore (amare come Cristo): «Quindi, tutti i fedeli cristiani, nelle condizioni, impegni o circostanze della loro vita, e per mezzo di tutte queste cose, si santificheranno ogni giorno di più se accetteranno tutto con fede, dalle mani del Padre celeste e collaborando con la volontà divina, rendendo nota a tutti, anche nella loro dedizione agli impegni temporali, la carità con la quale Dio ha amato il mondo» (LG 41).

Ogni cristiano si santifica nel proprio stato di vita e circostanza attraverso un processo di sintonia con Cristo, nello Spirito Santo, secondo i progetti o la volontà del Padre (cfr. Ef 2,18). Questo processo è di cambiamento o conversione (in criteri, scala di valori e atteggiamenti) per immergersi (rifiorire) in Cristo (pensare, sentire, amare come Lui). È dunque: partecipazione e configurazione (Gal 3,27); unione, intimità, rapporto (Gv 6,56‑57; 15,9 ss.); somiglianza, imitazione (Mt 11,29); servizio, esecuzione della volontà di Dio (Mc 3,35; 10,44‑45; Gv 14,16); carità, vita nuova (Gv 13,14‑35; Rm 6,4; 13,10).

Le sfumature di questa spiritualità cristiana, comune a tutti, sono molto varie. Cosicché si può parlare di spiritualità e scuole diverse. Ci sono pure diverse dimensioni o prospettive sottolineate da quelle scuole: trinitaria, cristologica, pneumatologica, ecclesiale, missionaria, contemplativa, sociologico‑caritativa, ecc. Vediamo alcune concretizzazioni, tutte esse radicate nella stessa spiritualità cristiana fondamentale:

-- Spiritualità laicale, come fermento evangelico inserito nelle strutture umane (LG 31).

-- Spiritualità della famiglia: come «testimoni e collaboratori della fecondità della madre Chiesa» (LG 41); per «rivelare e comunicare l'amore, come riflesso dell'amore di Dio e dell'amore di Cristo verso la sua sposa, la Chiesa» (FC 17; cfr. GS 48).

-- Spiritualità del lavoro: trasformandolo in dono, poiché così «l'uomo realizza se stesso... diventa più uomo» (LE 9).

-- Spiritualità della vita consacrata alla professione e pratica permanente dei consigli evangelici: «come segno e stimolo della carità e come una sorgente straordinaria di spirituale fecondità nel mondo» (LG 42), «memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli» (VC 22).

-- Spiritualità del sacerdote ministro: come «strumento vivo di Cristo sacerdote» (PO 12), segno personale della carità del Buon Pastore (cfr. PO 13), «una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo, Capo e Pastore» (PDV 15).

-- Spiritualità missionaria, come disponibilità permanente per l'evangelizzazione ad gentes (cfr. AG 23, 29).

Deve risultare chiaro che ogni cristiano è chiamato alla santità senza riduzione e alla missione senza frontiere. «Tutti i fedeli quindi sono invitati e tenuti a tendere alla santità e alla perfezione nell'ambito del proprio stato. Tutti si sforzino di orientare correttamente i propri affetti, affinché l'uso delle cose del mondo e un attaccamento alle ricchezze, contrario allo spirito di povertà evangelica, non impedisca loro la ricerca costante della carità perfetta» (LG 42).

La spiritualità sacerdotale consiste nella sintonia con gli atteggiamenti e le esperienze esistenziali di Cristo sacerdote, Buon Pastore. Attraverso il sacramento dell'ordine, si partecipa dell'essere sacerdotale di Cristo. Questa partecipazione ontologica rende capaci di continuare l'azione sacerdotale del Buon Pastore. La sintonia con la carità pastorale di Cristo è una conseguenza della partecipazione al suo essere e alla sua funzione. La grazia ricevuta nel sacramento dell'ordine rende possibile di compiere con questo impegno. «Imitate ciò che fate» (rito dell'ordinazione). Questa è la spiritualità specifica del sacerdote; per il sacerdote diocesano secolare si farà concreta nelle grazie di appartenenza permanente a una Chiesa locale, in rapporto di dipendenza nei riguardi del carisma santificante di un successore degli apostoli e nell'appartenenza a un presbiterio, anche in rapporto alla sua vita spirituale: per il sacerdote cosiddetto religioso (appartenente ad aggregazioni speciali) si renderà concreto nel carisma di fondazione e di gruppo.

La fisionomia spirituale del sacerdote ministro e analogicamente della persona consacrata, consiste nella trasparenza della carità pastorale di Cristo, che compie il progetto salvifico del Padre, facendo suoi i problemi degli uomini, dando la vita in sacrificio.

L'esigenza e la possibilità di questa santità e spiritualità sacerdotale partono dalla stessa natura del sacerdozio ministeriale, come segno trasparente e sacramentale del Buon Pastore: per ciò che è, per ciò che fa, per il suo rapporto personale e la sua amicizia con Cristo.

La spiritualità sacerdotale e di vita consacrata è una risposta alla chiamata di Cristo, che vuol bene a «i suoi» (Gv 13,1) come sua «gloria» o trasparenza (Gv 16,14; 17,10), in sintonia con il suo dono totale o immolazione (santificazione) al Padre: «santificali nella verità... e mi sacrifico (santifico) per loro, affinché essi siano santificati nella verità» (Gv 17, 17‑19).

Si tratta, dunque, di una santità o spiritualità «secondo l'immagine del sommo ed eterno sacerdote», per essere «una testimonianza viva di Dio» (LG 41). Il sacerdote è un «Gesù vivente» (San Giovanni Eudes), cioè, «strumento vivo di Cristo sacerdote» (PO 12), visto che: si trasforma in segno vivente di Cristo nell'esercizio del ministero (PO 12‑13); diventa segno trasparente di Cristo vivendo in sintonia o unità di vita con Lui (PO 14); si fa segno del Buon Pastore imitando la sua carità pastorale e tutte le altre virtù che da lei derivano (PO 15‑17), senza dimenticare i mezzi comuni a ogni spiritualità cristiana e i mezzi specifici della spiritualità sacerdotale (PO 18).

Vivendo la spiritualità sacerdotale, il sacerdote ministro si rende segno credibile del Buon Pastore in un mondo che esige autenticità (n.1), in una Chiesa sacramento o trasparenza e strumento di Cristo (n.2) e in una nuova tappa di evangelizzazione (n.3), che ha bisogno di sacerdoti fedeli alle nuove grazie dello Spirito Santo (n.4). L'identità sacerdotale e della vita consacrata ha le sue radici in questa spiritualità cristologica, ecclesiale e antropologica.

2.La vita apostolica e il ministero apostolico al servizio del popolo di Dio

Ogni credente è chiamato a esercitare un servizio ai fratelli, rendendosi così complemento o strumento vivo di Cristo (Col 1,24). Ognuno è un altro Cristo a seconda della propria vocazione e missione. Le vocazioni e i ministeri sono, infatti, segno della presenza attiva di Gesù risuscitato nella Chiesa e nel mondo (cfr. Cap. VIII). Alcuni seguaci di Cristo, gli Apostoli, sono stati eletti per essere espressione o segno personale di Cristo in quanto capo, Sacerdote e Buon Pastore (Lc 6,12‑16; Mc 3,13‑19; PO 1-3).

Gesù ha voluto prolungarsi nella sua Chiesa attraverso servizi e ministeri (Mt 28,20). Gesù ha voluto lasciare, tra il suo popolo sacerdotale, questo segno speciale del suo essere, del suo agire e della sua esperienza, nella linea di servizio dall'ultimo posto, senza privilegi, né vantaggi umani (Lc 22,28).

I servizi che gli Apostoli (e i loro successori e immediati collaboratori) prestano al popolo sacerdotale sono un prolungamento dell'azione di Gesù, come suoi inviati che partecipano del suo essere e, in modo speciale, della sua missione. Gesù comunica loro (adesso attraverso il sacramento dell'ordine) una grazia speciale dello Spirito Santo (Gv 16,14), perché siano la sua gloria e trasparenza (Gv 17,10), per garantire il significato della sua parola (Lc 10,16; Gv 15,26‑27) per continuare la sua presenza (Mt 28,20), il suo sacrificio della nuova alleanza (Lc 22,19), la sua azione salvifica e sacramentale (Gv 20,21; Mc 16,20) e la sua azione pastorale (Mt 28,19; At 1,8). Questa è la missione del ministero apostolico dei dodici Apostoli e dei loro successori e immediati collaboratori.

Questa scelta e ministero è un servizio o diaconia speciale, che partecipa all'umiliazione («kenosis») di Cristo (Fil 2,5‑8), per essere segno di come il Buon Pastore ama e per costruire la Chiesa come comunione («koinonia») con Cristo e con tutti i fratelli (1 Pt 5,3; 1Cor 9,19; Mc 10,44).

La spiritualità di questa vocazione si concretizza nel seguire, imitare e unirsi al Buon Pastore (carità pastorale), seguendo l'esempio della vita apostolica dei Dodici, che si modella nella fedeltà allo Spirito Santo come garante e agente della consacrazione e della missione ricevuta da Cristo (cfr. Lc 4,18; At 1,4‑8).

3. Chiamata, sequela e missione degli Apostoli

L'elezione degli Apostoli e dei loro successori e immediati collaboratori è stata e continua a essere iniziativa di Cristo: «ha scelto coloro che ha voluto» (Mc 3,13; cfr. Gv 15,16). Il Signore si avvicina alla situazione concreta in cui vive ciascuno per pronunciare il seguimi come dichiarazione d'amore (Gv 1,43; Mt 4,18‑22; 9,9).

La sequela apostolica equivale a condividere la vita con Cristo (Mc 3,14; cfr. Gv 15,27) come amicizia profonda (Gv 15,9‑15).

Visto che gli Apostoli si sarebbero convertiti in segno del Buon Pastore, furono chiamati a imitare il suo modo di vivere, in povertà, obbedienza e castità (Mt 8,21; 12,50; 19,12).

La nota di disinteresse assoluto si trova nel rapporto stretto con la sequela per amore (Mt 19,27), per correre la stessa sorte di Cristo Sposo e amico (Mc 10,38; Gv 11,16; 21,18‑19).

Gesù volle dar loro il nome di Apostoli, inviati, per sottolineare la loro identità missionaria (Lc 6,13). Rendere testimonianza a Cristo supponeva una condivisione di vita con Lui (Gv 1,35‑46; 1Gv 1,1ss.; Gv 15,26‑27). In tal modo partecipavano della stessa vita e missione di Cristo (Gv 17,18; 20,21) di predicare e guarire, annunciando la penitenza e il perdono (Mt 10,5‑42; Mc 6,7‑13; Lc 10,1‑10). Questa missione si riassume in una triplice prospettiva: insegnare, battezzare (santificare) e guidare (Mt 28,19‑20; Mc 16,15‑20; Lc 24,45‑49).

Secondo i testi appena citati, Gesù ha trasmesso ai suoi questa realtà pastorale e sacerdotale in modo stabile, attraverso diverse tappe:

-- elezione,

-- invio (prima e dopo la risurrezione),

-- istituzione dell'eucaristia (ultima cena),

-- istituzione del sacramento del perdono (risurrezione),

-- comunicazione dello Spirito Santo (Pentecoste).

Il Concilio Vaticano II riassume così queste tappe dell'istituzione apostolica: «Il Signore Gesù, dopo d'avere pregato il Padre, chiamati così coloro che ha scelto, ne scelse dodici perché vivessero con lui e per mandarli a predicare il regno di Dio; costituì i dodici a modo di collegio, cioè, di gruppo stabile, a capo del quale scelse Pietro... Prima li mandò ai figli d'Israele e poi a tutte le genti... Nel giorno di Pentecoste furono pienamente confermati per svolgere questa missione» (LG 19).

Conviene riconoscere lo stretto legame esistente tra l'eucaristia e l'istituzione del sacerdozio ministeriale: «con le parole "fate questo in memoria di me" (Lc 22,19; 1Cor 11,24) Cristo costituì come sacerdoti i suoi Apostoli». Effettivamente, l'eucaristia è la «sorgente e il culmine di tutta l'evangelizzazione» (PO 5; cfr. LG 11) . In tal modo, Cristo «lasciò alla sua amata sposa, la Chiesa, un sacrificio visibile, come esige la natura degli uomini». È il mistero pasquale, celebrato (e reso presente) nell'eucaristia, che deve essere annunciato e vissuto da tutta la comunità ecclesiale e per tutta la comunità umana.

Gli Apostoli, per incarico di Cristo, hanno trasmesso questa realtà sacerdotale attraverso l'imposizione delle mani (sacramento dell'ordine): «Lo stesso Signore, affinché i fedeli formassero un solo corpo, nel quale tutti i membri svolgono la stessa funzione (cfr. Rm 12,4), tra gli stessi fedeli scelse alcuni come ministri, perché nella società dei credenti esercitassero il sacro potere dell'ordine per offrire il sacrificio e perdonare i peccati, e svolgessero pubblicamente l'ufficio sacerdotale degli uomini in nome di Cristo. Così, quindi, mandati gli Apostoli come Lui era stato mandato dal Padre, Cristo, per mezzo degli stessi Apostoli, rese partecipi della sua stessa consacrazione e missione i loro successori, che sono i vescovi, il cui incarico ministeriale, in grado subordinato, fu dato ai presbiteri, affinché, costituiti nell'ordine sacerdotale, fossero cooperatori dell'ordine episcopale per compiere la missione apostolica affidata da Cristo» (PO 2; cfr. LG 28).

La missione sacerdotale, come partecipazione alla funzione pastorale di Cristo, risulterebbe incompleta se fosse separata dalla vocazione e dalla sequela; si correrebbe il rischio di professionalismo privilegiato, senza esigenze evangeliche. Cristo conferisce la missione sacerdotale a coloro che Egli ha chiamato per condividere la sua stessa vita di Buon Pastore. La carità pastorale, come sequela e imitazione di Cristo, è la linea maestra della spiritualità sacerdotale. Senza questa linea evangelica, il sacerdote come persona non potrebbe incontrare la propria identità.

4. I servitori del popolo sacerdotale: sacerdoti ministri

Ogni cristiano è servitore degli altri fratelli che formano la comunità ecclesiale. Vocazione e carismi si concretizzano in servizi e ministeri. Nelle comunità fondate dagli Apostoli vi erano alcuni ministri (servitori) che esercitavano una certa direzione o responsabilità, anche se in dipendenza da loro: i vescovi (At 20,28; 1Tm 3,2), presbiteri (At 11,30; 15,2ss.; 1Tm 5,17), guide, presidenti, liturghi, diaconi, ecc. (Eb 13,7ss.; 1Ts 5,12; Ef 4,11; 1Cor 1,2; Rm 15,6; 1Tm 3,12; Fil 1,1).

Questa terminologia, un po' fluttuante, si stabilizzò con un significato preciso nel II secolo. Sin dal III secolo, i vescovi e presbiteri vengono chiamati «sacerdoti» (San Cipriano e San Ippolito di Roma)

La diversità di carismi e servizi di ogni comunità troverà in questi ministri, stabiliti dagli Apostoli, un principio di unità, armonia e comunione ecclesiale.

L'autorità apostolica li considerò collaboratori immediati. Il rito dell'imposizione delle mani, come trasmissione di una grazia permanente dello Spirito Santo, era ciò che in seguito sarà chiamato sacramento dell'ordine (cfr. At 6,1‑6; 13,1‑3; 14,23; 1Tm 4,14; 2Tm 1,6; Tt 1,5). Dopo la morte degli Apostoli, troviamo in tutte le Chiese locali vescovi, presbiteri e diaconi, che costituiscono il Presbiterio in stretta comunione con il vescovo (cfr. San Ignazio d'Antiochia).

Si tratta, dunque, di ministri che continuavano, ognuno a seconda del suo grado, i ministeri apostolici.

Questi ministri non si chiamano «sacerdoti» fino al secolo III (con Tertulliano, san Cipriano, san Ippolito, ecc.). Però, sulla scia di Cristo Scerdote, i riti e i gesti ministeriali hanno avuto sempre una terminologia sacrificale e cultuale. Sono «ministri della nuova alleanza» (2Cor 3,6) che ha sempre carattere di sacrificio. Sono servitori di Cristo Mediatore (1Tm 2,5), sommo Sacerdote e Vittima (Eb 9,11‑15). Sono, dunque, ministri e servitori del popolo sacerdotale (1 Pt 2,4‑10; Ap 1,5‑6; 5,9‑10; 20,6).

Il fatto di esercitare la presidenza durante la celebrazione del sacrificio eucaristico a nome e in persona di Cristo Sacerdote sarà determinante per generalizzare il titolo di sacerdote ministro. Ciò nonostante, bisognerà ricordare sempre che è un servizio multiforme, che comprende armonicamente l'annuncio della parola, il servizio dei sacramenti e la costruzione della comunità nella comunione. I sacerdoti ministri sono testimoni qualificati della morte e risurrezione di Cristo con la propria vita e con la missione dell'annuncio, della celebrazione e della comunicazione del mistero pasquale.

Gli Apostoli hanno ricevuto questa realtà sacerdotale direttamente dallo stesso Gesù, dalla sua umanità vivificante come sacramento fontale. Adesso i sacerdoti ministri (sacerdozio ministeriale), attraverso il sacramento dell'ordine, ricevono questa realtà sacerdotale, che li rende partecipi nell'essere, nell'agire e nell'esperienza vissuta di Cristo Sacerdote e Buon Pastore. Con il sacramento dell'ordine si conferisce la consacrazione sacerdotale (carattere e grazia) ai chiamati dalla Chiesa (attraverso il vescovo), per esercitare i ministeri apostolici nel grado di vescovo, presbitero e diacono. I diaconi non vengono chiamati sacerdoti.

«Essendo chiaro dalla testimonianza della Scrittura, dalla tradizione apostolica e dal consenso unanime dei Padri, che attraverso la sacra ordinazione, che si compie con la parola e i segni esterni, si conferisce la grazia, nessuno può dubitare che l'ordine è veramente e propriamente uno dei sette sacramenti della santa Chiesa. Dice infatti l'Apostolo: Ti ammonisco che faccia rivivere la grazia di Dio che è in te attraverso l'imposizione delle mie mani» (DS 959).

Questa realtà sacerdotale, partecipata da Cristo, ha tre aspetti principali:

-- elezione divina o vocazione del Signore, manifestata attraverso la Chiesa,

-- consacrazione o partecipazione all'essere e all'operare di Cristo, attraverso il sacramento dell'ordine,

-- missione o invio da parte di Cristo e attraverso la Chiesa.

L'elezione o vocazione al sacerdozio ministeriale continua ad essere un dono e iniziativa del Signore (cfr. n.2). È una grazia o carisma. L'elezione di tutti in Cristo (cfr. Ef 1,3ss.) si concreta nel sacerdote ministro come segno di Cristo in quanto Sacerdote, capo e Buon Pastore, per operare in suo nome.

Questa vocazione giunge all'eletto per mezzo di mediazioni ecclesiali: famiglia, educatori, testimonianze, dottrina, comunità in generale, gerarchia... «Tuttavia, questa voce del Signore che chiama non si deve pensare in nessun modo che giunga in forma straordinaria alle orecchie del futuro presbitero. Piuttosto deve essere ascoltata e riconosciuta attraverso i segni che quotidianamente fanno conoscere ai cristiani prudenti la volontà di Dio; segni che i presbiteri devono prendere in considerazione con attenzione» (PO 11; cfr. OT 2). La Chiesa, attraverso il vescovo e i suoi collaboratori, garantirà l'esistenza della vocazione sacerdotale durante il periodo di formazione e specialmente nel momento di ricevere il sacramento dell'ordine (cfr. il capitolo VIII).

La consacrazione sacerdotale è partecipazione all'unzione di Cristo (Lc 4,18; Gv 10,36). L'umanità di Cristo è unta nell'incarnazione per opera dello Spirito Santo, cioè, è unita ipostaticamente (o in unità di persona) al Verbo. Il sacerdote ministro partecipa di questa unzione o consacrazione per mezzo del carattere e della grazia che conferisce il sacramento dell'ordine. «Con l'effusione sacramentale dello Spirito Santo che consacra e manda, il presbitero viene configurato a Gesù Cristo Capo e Pastore della Chiesa e viene mandato a compiere il ministero pastorale. In tal modo, il sacerdote è segnato per sempre e in modo indelebile nel suo essere come ministro di Gesù e della Chiesa» (PDV 70).

Il carattere sacramentale dell'ordine è un segno o qualità indelebile, che configura il sacerdote ordinato con Cristo Sacerdote perché possa agire in suo nome. «Il sacerdozio (ministeriale)... è conferito attraverso quello speciale sacramento con il quale i presbiteri, per mezzo dell'unzione dello Spirito Santo, rimangono segnati con il carattere specifico, e così si configurano con Cristo Sacerdote, potendo così operare come nella persona di Cristo capo» (PO 2).

Ogni cristiano ha ricevuto il carattere del battesimo (e della confermazione) che configura a Cristo Sacerdote. Il carattere del sacramento dell'ordine conferisce una facoltà di agire a nome e in persona di Cristo Sacerdote, maestro e pastore (cfr. PO 2,6; LG 28).

Il carattere è una partecipazione al potere e alla missione sacerdotale e pastorale del Signore, che destina al servizio di Cristo presente nell'eucaristia, nella sua Chiesa e nel mondo (cfr. San Tommaso, III, q.63, a.16). «Il permanere di questa realtà, che lascia un segno per tutta la vita (dottrina di fede, conosciuta nella tradizione della Chiesa con il nome di carattere sacerdotale), dimostra che Cristo associò a sé la Chiesa, in modo permanente, per la salvezza del mondo e che la stessa Chiesa è definitivamente consacrata a Cristo per compiere la sua opera. Il ministro, la cui vita porta con sé il marchio del dono ricevuto per mezzo del sacramento dell'ordine, ricorda alla Chiesa che il dono di Dio è definitivo. Nella comunità cristiana che vive nello Spirito, e nonostante le sue mancanze, è pegno della presenza salvifica di Cristo» (Sinodo dei Vescovi del 1971).

La grazia speciale ricevuta nel sacramento dell'ordine (differente dal carattere) aiuta a esercitare santamente la funzione e la missione sacerdotale. In tal modo ci rendiamo «strumenti vivi di Cristo Sacerdote» (PO 12), in sintonia con la sua carità di Buon Pastore. E, dunque, una grazia che delinea la fisionomia del sacerdote, per aiutarlo ad essere segno chiaro o espressione di Cristo. Ha uno stretto rapporto con il carattere, creando una certa unità che bisogna permanentemente ravvivare (2Tm 1, 6).

-- una sfumatura di carità pastorale per tutte le virtù sacerdotali,

-- una sintonia d'esperienza con gli atti sacerdotali che si compiono,

-- unione con Cristo in quanto Sacerdote e Vittima,

-- essere strumento cosciente e volontario (responsabile) di Cristo,

-- santità per essere «dispensatore dei misteri di Dio» (1Cor 4,1).

Partecipare fedelmente e responsabilmente alla missione di Cristo è una conseguenza della vocazione e della consacrazione sacerdotale. La missione, che ha le sue radici nella realtà sacerdotale, ha bisogno di rendersi esplicita attraverso l'incarico della Chiesa. È, dunque, la missione di Cristo affidata agli Apostoli (Gv 17,18; 20,21), estesa adesso alla Chiesa e ricevuta per suo mezzo, secondo i diversi gradi e modi di partecipazione. È una missione esercitata nella comunione ecclesiale.

Tutta la missione della Chiesa è profetica, cultuale e regale, cioè, si esercita attraverso l'annuncio della Parola, la celebrazione liturgica (specialmente eucaristica e sacramentale) e i suoi servizi di carità e direzione della comunità. Il sacerdote esercita tale missione a nome di Cristo capo e Buon Pastore, in comunione con la Chiesa e in un equilibrio armonico e integrale d'annuncio, celebrazione e comunicazione del mistero pasquale di Cristo (PO 4‑6; cfr. capitolo IV).

5. Linee portanti della sequela evangelica degli apostoli

La sequela evangelica degli Apostoli è stata chiamata «vita apostolica» o modo di vivere degli Apostoli («apostolica vivendi forma»). Gesù ha dato facoltà di prolungare la sua parola, il suo sacrificio e la sua azione salvifica ad alcuni dei suoi discepoli che avevano lasciato tutto per seguirlo. Il servizio sacerdotale degli Apostoli è strettamente legato alla continuità evangelica. La linea di tutta la vita apostolica la riassume san Pietro: «Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito» (Mt 19,27).

La vita apostolica è incontro con Cristo, rapporto personale con lui, scelta fondamentale per mezzo di lui, sequela e imitazione, con l'intenzione di prolungarlo nel tempo e nello spazio.

I testi fondamentali dove appaiono le linee di forza di questa sequela apostolica sono i seguenti:

-- La chiamata per una sequela senza condizioni: Mt 4,18‑22; Mc 3,13‑19.

-- L'invio con le caratteristiche della vita missionaria di Cristo: Mt 10,1‑42 (4,23‑25); Lc 9,1‑6; 10,1‑2; Mc 6,7‑13.

-- La figura del Buon Pastore: Gv 10,1‑21 (Lc 15,1‑7).

-- L'ultima cena (eucaristia) e la preghiera sacerdotale: Gv 13‑17 (Lc 22,1‑39)

-- La vita evangelica del Signore: Mt 8,21 (povertà); Gv 10,18 (obbedienza del Buon Pastore); Mt 18,12 (castità per il regno).

-- Lo stile di servizio nel dirigere la comunità: 1 Pt 5,1‑5

-- Il riassunto della vita apostolica di Paolo: At 20,17‑38.

Queste linee appaiono in san Paolo attraverso i suoi scritti e negli Atti degli Apostoli:

-- chiamata per iniziativa divina: Gal 1,5 (At 9,1‑19)

-- unione con Cristo: Gal 2,19‑20; Fil 1,21; 2Tm 1,12

-‑ ministro di Cristo e della sua Chiesa: 1Cor 4,1; Cor 5,20; Col 1,25ss.

-- dispensatore dei misteri di Dio e riconciliatore degli uomini con Dio: 2Cor 5,18.

-‑ strumento di grazia: 2Cor 3,8.

-‑ ministro dell'eucaristia: 1Cor 11,23‑24.

-‑ custode dell'autenticità della Parola: 1Tm 6,20.

-- servitore della comunità ecclesiale con umiltà e Povertà: At 20,17‑38: Fil 2,1-11.

-- carità evangelizzatrice e zelo apostolico senza confini: 2Cor 5,14; 11,28.

La sequela evangelica e radicale di Cristo è, principalmente negli Apostoli, amicizia profonda (Gv 13,1; 15,9‑17.27). Solamente a partire da questo amore si possono capire le esigenze della sequela (Mt 8,18‑22). Si tratta di condividere la stessa sorte di Cristo o di bere il suo calice d'alleanza (Mc 10,38; cfr. Lc 22,19‑20; Gv 18,11). Nei momenti di difficoltà è l'amore quello che può far superare positivamente la situazione (Gv 6,67‑68; 16,20‑22).

La sequela, in rapporto alla missione apostolica, ha queste caratteristiche:

-- carità come quella del Buon Pastore: dedizione, virtù pastorali, servizio, vicinanza

-- missione totalizzante e universale: sotto l'azione dello Spirito Santo, per evangelizzare i poveri e tutti i popoli

-- fraternità apostolica a servizio della comunità ecclesiale: unità apostolica soprattutto nel Presbiterio, per costruire la comunione della Chiesa locale.

La vita apostolica o vita evangelica degli Apostoli è sintonia di vita e d'impegno con la carità e la missione del Buon Pastore, nel suo amore al Padre (Eb 10,5‑7; Gv 4,34; 10,18; 17,4; Lc 23,46), nel suo amore agli uomini (Mt 11,28‑30; 14,14; 15,32; Gv 10,14ss.), fino a dare la vita in sacrificio per tutti (Gv 10,11ss.; Mt 20,28) (cfr. Cap. II,2). È la carità pastorale che ha la sua radice nella consacrazione e che orienta alla missione, per un servizio umile e povero nell'essere un pane mangiato, dando se stesso agli altri (cfr. Cap. V).

Da questa carità emana la missione totalizzante e universale come partecipazione e prolungamento della stessa missione di Cristo (Gv 17,18; 20,21), che si dirige verso tutti i popoli perché non ha frontiere storiche, geografiche, culturali e settoriali (cfr. At 1,8; Mt 28,18‑20; Mc 16,15‑16; cfr. Cap. IV).

La fraternità apostolica è una conseguenza dell'essere prolungamento di Cristo. L'unità o comunione di Cristo con il Padre e lo Spirito Santo si esprime nella sua stessa unità di vita, in armonia con i progetti salvifici di Dio amore: «colui che vede me, vede il Padre» (Gv 14,9; 12,45‑46). Questa stessa unità di comunione si riflette nella comunità ecclesiale, specialmente negli apostoli: «che tutti siano una sola cosa, come tu, Padre, sei in me e io in te..., e il mondo creda che tu mi hai mandato... e li hai amati come hai amato me» (Gv 17,21‑23). Nella Chiesa locale, la comunione o unità fraterna nel Presbiterio è portatrice e segno efficace di questa unità ecclesiale (cfr. Cap. VII).

Nel cammino storico della Chiesa, la vita evangelica degli apostoli (vita apostolica) trova la sua forza nella celebrazione eucaristica del mistero pasquale (SC 7,10,47). Il ministero di rendere presente il sacrificio redentore di Cristo, morto e risorto, richiede non solo l'annuncio e l'esperienza dello stesso, ma anche la costruzione del Presbiterio e della comunità ecclesiale nella comunione o unità di «un solo corpo» (Rm 12,5). A partire dalla celebrazione eucaristica (come annuncio, celebrazione e comunicazione), l'azione apostolica tende a fare dell'umanità intera una comunione di fratelli. Il primo passo di questa comunione, che è riflesso della comunione in Dio amore, uno e trino, sarà la realtà di comunione ecclesiale nel gruppo apostolico e nella comunità dei credenti.

Queste linee portanti della sequela evangelica degli apostoli si andranno concretizzando in ogni epoca storica, in modo da formare la base della fisionomia spirituale del sacerdote. L'applicazione corretta dipenderà dalla fedeltà alle nuove grazie dello Spirito Santo nelle circostanze sociologiche, culturali e storiche. Il sacerdote deve essere «profumo di Cristo» (2Cor 2,15) o sua «trasparenza» (Gv 17,10) nelle circostanze di luogo e di tempo per l'uomo concreto.

6. Fedeltà alla missione dello Spirito Santo

Ogni battezzato (e cresimato) ha ricevuto il marchio (carattere) e il pegno permanente dello Spirito Santo (Ef 1,13‑14). Attraverso il sacramento dell'ordine, il sacerdote ministro ha ricevuto un nuovo marchio o nuova grazia permanente dallo stesso Spirito (1Tm 4,14; 2Tm 1,6‑7), che lo rende partecipe dell'unzione e missione di Cristo Sacerdote e Buon Pastore (Lc 4,18; Gv 10,36). La vita e il ministero sacerdotale sarà un costante rinvigorimento di questo dono dello Spirito, con un atteggiamento di discernimento e di fedeltà. La vita spirituale è una «vita secondo lo Spirito» (Rm 8,4‑9).

Gesù, Sacerdote e Buon Pastore, fu concepito nel seno di Maria per opera dello Spirito Santo (Mt 1,18‑25; Lc 1,35), guidato dallo Spirito per immergersi nel deserto (Lc 4,1) e per evangelizzare i poveri (Lc 4,14.18). Lo stesso Gesù si presentò come il «consacrato e inviat