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#14 COMPARTIR LUGLIO 2010 C OMPARTIR Notiziario del gruppo “In Bolivia 2004” Patronato San Vincenzo In questo numero BOLIVIA I boliviani rientrano a casa, di Elena Catalfamo TESTIMONIANZE Viaggio di nozze in Bolivia, di Monica ed Emanuele DOSSIER Bilanci di giustizia, di Don Alessandro Sesana ATTUALITÀ I giovani e i conflitti, di Andrea Benassi CULTURA Recensione del libro Autoritratti”, di Don Roberto Pennati I NOSTRI PROGETTI L’esperienza dei campi di lavoro, di Luca Pesenti e Simona Loda

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Compartir (condividere) è il notiziario dell'associazione InBolivia2004 del Patronato S. Vincenzo di Bergamo. In queste pagine vogliamo provare a riflettere sul senso di quanto succede in Bolivia e, con uno sguardo più ampio, nel mondo.

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#14COMPARTIR

LUGLIO

2010

COMPARTIRNotiziario de l g r uppo “In Bol ivia 2004”

Patronato San Vincenzo

In ques to numeroBOLIVIA I boliviani rientrano a casa, di Elena Catalfamo

TESTIMONIANZE Viaggio di nozze in Bolivia, di Monica ed Emanuele

DOSSIER Bilanci di giustizia, di Don Alessandro Sesana

ATTUALITÀ I giovani e i conflitti, di Andrea Benassi

CULTURA Recensione del libro “Autoritratti”, di Don Roberto Pennati

I NOSTRI PROGETTI L’esperienza dei campi di lavoro, di Luca Pesenti e Simona Loda

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ccoci giunti al quarto appuntamento del nostro rinnovato Compartir e in occasione dell’arrivo dell’estate ci è venuta voglia di

fare un piccolo bilancio sul lavoro svolto per il giornalino nei mesi invernali.

Ci siamo impegnati affinché Compartir potesse essere per voi uno stimolo di riflessione su temi principalmente umanitari, come il volontariato, i conflitti internazionali, la drammaticità dei rifugiati politici, ma anche un mezzo per tenersi aggiornati su ciò che accade in Bolivia, ai missionari bergamaschi che vivono e lavorano lì con ammirevole passione, e sulle novità inerenti la Ciudad de los niños. Speriamo che per voi sia stato davvero così.

Vi saremo davvero grati, quindi, se compilerete il breve questionario valutativo che trovate cliccando

il link posto sotto l’immagine. In questo modo ci aiuterete a renderlo ancor più interessante e piacevole. Grazie!

In questo numero abbiamo pubblicato una breve rubrica sulle novità della Ciudad de los niños, che ci ha mandato direttamente dalla Bolivia Fulvio Diploma via e-mail, e l’idea è di continuare a farlo anche nei prossimi numeri, confidando nella disponibilità di Fulvio.

Vi auguriamo una buona lettura, con il desiderio di poter fare ancora meglio dopo la pausa estiva, magari anche con il vostro aiuto!

Un augurio di buona estate a tutti!!!

◆ Sara Citro

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Un piccolo bilancioprima dell’estate

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LINK AL QUESTIONARIO VALUTATIVO

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Ciudad de los niños

Cochabamba18 Maggio 2010

Buongiorno a tutti.Con questo primo scritto inauguriamo una rubrica che parla del piccolo mondo della Ciudad de los niños di Cochabamba. Questo spazio vuole essere uno strumento di informazione e di sensibilizzazione per tutte quelle persone che in differenti modi si sono già avvicinate alla Bolivia, in particolar modo alla Ciudad de los niños, e hanno il desiderio di sapere cosa succede in questa Missione.Vi parlerò della vita quotidiana dei nostri ragazzi, delle attività che abbiamo in programma, delle nostre visite, delle adozioni a distanza.

Gli ultimi mesi sono stati intensi per l’inizio delle scuole e di tutte le normali attività annuali. Le scuole iniziate a metà febbraio sono aperte, come sapete, oltre che ai nostri ragazzi, a tutti i ragazzi del quartiere e della città; tutto ciò implica un giro non indifferente di persone, quasi un migliaio tra alunni, maestri e personale.Oltre alla scuola, l’inizio dell’anno significa anche l’inizio dei cammini liturgici che quest’anno saranno particolarmente numerosi e organizzati in collaborazione con la casa di accoglienza “Villa Amistad”. Si inizia con il cammino del Buon Pastore dedicato ai bambini dai 3 ai 6 anni per una quindicina di ragazzi. Poi viene l’infanzia missionaria per un gruppo di 40 ragazzi delle scuole elementari. I ragazzi della Prima Comunione sono 45, mentre quelli della Cresima superano i 30. Tutti i cammini hanno una frequenza settimanale e a gestirli oltre a noi della Ciudad ci sono alcuni educatori di “Villa Amistad” e alcune suore della Parrocchia di Guadalupe, della quale facciamo parte.Il 18 Aprile si sono svolti i battesimi per 41 bambini della Ciudad de los niños e di Villa Amistad. Il numero di bambini è davvero enorme, ma tutto è andato per il meglio. Alla fine della cerimonia un buon momento di festa, gioco, musica e un pranzo tutti insieme.Tra le cose che ci apprestiamo a celebrare c’è sicuramente da ricordare il terzo anniversario della morte di padre Antonio Berta, fondatore della Ciudad. La Messa si svolgerà venerdì 21 Maggio alle 10.30 con la partecipazione di tutte le unità educative, e sarà celebrata dal Vescovo Gelmi, prete del Patronato San Vincenzo divenuto Vescovo ausiliare di Cochabamba.Per ora vi saluto, vi racconteremo presto altre notizie dalla Bolivia.

Fulvio,volontario della Ciudad de los Niños di Cochabamba

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il tempo del ritorno in Bolivia: sembrerebbe aprirsi una nuova tappa della migrazione tra Bergamo e

Cochabamba. Le condizioni economiche del nostro Paese (non più così vantaggiose per via della crisi del mercato del lavoro) e il desiderio di r i c o s t i t u i r e d e i l e g a m i familiari rotti dalla distanza s p i n g o n o s e m p r e p i ù boliviani a lasciare la nostra città per rientrare in Bolivia.

Per ora si tratta di una tendenza registrata da chi opera da anni a contatto con i boliviani, difficile da fissare nei numeri ma confermata sia da Bergamo che da Cochabamba. «Abbiamo l ' impress ione che , dopo l'introduzione di regole più restrittive per ottenere anche il visto turistico, dal primo aprile 2007 il flusso incontrollato di boliviani verso la Spagna e l'Italia si sia interrotto - spiega padre Eugenio Coter, missionario bergamasco e direttore della Caritas di Cochabamba - . I l v isto turistico infatti dal 2004 al 2007 aveva permesso a molti boliviani di raggiungere Bergamo grazie ai f inti pellegrinaggi organizzati dalle agenzie turistiche. Moltissimi boliviani entravano in Italia come turisti pagando un volo aereo e un contatto nel nostro Paese per poi trovare lavoro nella clandestinità. Un "servizio" venduto a caro prezzo che aggiungeva nuovi debiti alla povertà che portava a una scelta così radicale di vita. É così che a Bergamo si era stimata la presenza di circa 12 mila boliviani, la maggior parte clandestini.

In generale i boliviani continuano a migrare, ma le restrizioni europee hanno bloccato l'afflusso. Ora prediligono l'Argentina, che invece allora escludevano per via del crack finanziario che aveva colpito il Paese

sudamericano, oppure altri Paesi del Nord Europa come la Svezia».

« C i s e m b r a - c o n t i n u a m o n s i g n o r T i t o S o l a r i , arcivescovo di Cochabamba -, m a n o n a b b i a m o d a t i nazionali che ci supportano, che molti boliviani stiano

rientrando spinti anche dalle sollecitazioni a riprendere i legami familiari interrotti. La partenza soprattutto di molte donne in cerca di un lavoro ha mandato in rovina le famiglie: la donna è il centro della famiglia boliviana. I figli sono rimasti in carico a zii e nonni ma non è la stessa cosa. I l cambiamento delle condizioni economiche in Europa e il desiderio di riunire la famiglia

spingono a riconsiderare il percorso migratorio. Qui poi t r o v a n o c o m u n q u e opportunità di crescita».

La Bolivia infatti tra mille contraddizioni politiche ed economiche conosce una nuova stagione di sviluppo

rispetto a qualche anno fa e offre quindi opportunità proprio ai migranti che hanno appreso competenze nuove nel loro percorso migratorio. La tendenza a rientrare è confermata anche dal Console onorario di Bolivia in Italia, Giuseppe Crippa, e da Pinuccia Schopf Fadda, a capo della Casa dei boliviani di Bergamo, ma anche da don Mario Marossi, referente della parrocchia dei latinoamericani in San Lazzaro a

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Bolivia

I boliviani rientrano a casa

ÈM o l t i s s i m i b o l iv i a n i entravano in Italia come turisti pagando un volo aereo e un contatto nel nostro Paese per poi t rov a re l avo ro n e l l a clandestinità

La partenza soprattutto di molte donne in cerca di un lavoro ha mandato in rovina le famiglie: la donna è il centro della famiglia boliviana

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Bergamo. «L'impressione - spiegano - è che molti stiano rientrando in maniera definitiva in Bolivia. Il costo della vita è aumentato: per chi vive in Italia da solo non è più così conveniente sostenersi e mandare nel Paese di origine qualcosa. La crisi economica poi ha penalizzato soprattutto le famiglie inserite qui da anni costrette a riconsiderare il percorso migratorio e rientrare. Se il capofamiglia perde il lavoro diventa difficile coprire le spese del mutuo o mantenere una famiglia numerosa: meglio ritornare. Per chi ha i figli nati in Italia però non è così facile pensare a un inserimento in un Paese di origine che di fatto non conoscono».

D’altro canto infatti, secondo i dati ufficiali arrivano quasi a quota 6.000 i boliviani che hanno un regolare permesso di soggiorno e vivono nella Bergamasca, prevalentemente concentrati in città. La Prefettura di Bergamo alla fine del 2008 ha registrato 4.107 iscritti all'anagrafe dei comuni orobici. Con l'ultima regolarizzazione di colf e badanti (al momento sono state istruite tre quarti delle pratiche) sono stati regolarizzati 1.136 boliviani. Sono dunque 5.243 i boliviani con le carte in regola residenti nella n o s t r a p r o v i n c i a . C o n s i d e r a n d o l o smaltimento delle ultime pratiche e i

successivi ricongiungimenti familiari la quota dei regolari potrebbe giungere intorno alle 6.000 presenze.

Ma, per chi rientra, che cosa ha lasciato questa esperienza d i m i g r a z i o n e ? S t a n n o tentando di rispondere a questa domanda Carmen Ledo, coordinatrice del C e p l a c , C e n t r o d e p lani f icac ion y gest ion dell'Università Mayor de San Simon di Cochabamba e un’equipe di ricercatori boliviani ed europei. Hanno condotto, grazie ai fondi della cooperazione belga, una serie di 35.000 interviste nella città di Cochabamba tra famiglie che hanno almeno

un familiare all'estero. Un migliaio di questi hanno parenti in Italia, e a Bergamo in particolare. Un lavoro scientifico fatto di numeri ma anche di raccolta di tante storie.

Carmen Ledo rileva anche le potenzialità della migrazione: «Abbiamo notato una mentalità più aperta nei migranti e la possibilità di sviluppare idee imprenditoriali. Molti hanno ben investito le rimesse e hanno migliorato la situazione familiare. Molti quartieri hanno conosciuto un nuovo sviluppo edilizio a cui deve seguire un aggiornamento infrastrutturale. Proprio i migranti possono essere il motore di un nuovo sviluppo per il Paese grazie alle competenze acquisite anche all'estero». Il tavolo delle associazioni di boliviani che vivono a Bergamo coordinato dal console Crippa è partito proprio da quest’ultima considerazione per far ripartire il lavoro del gemellaggio istituzionale tra Bergamo e Cochabamba. Puntare sulla formazione professionale, ma anche sul rinsaldare i legami familiari e il valore delle tradizioni culturali sono i punti da portare avanti con il Comune di Bergamo.

◆ Elena CatalfamoGiornalista del quotidiano “L’Eco di Bergamo”

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Donne di Cochabamba indossano il loro tipico copricapo

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n g i o r n o d ’ a e r e o t r a s c a l i , coincidenze, ritardi e nausea e alla fine atterriamo a Cochabamba.

Mettiamo il piede sulla terra ferma, sull’asfalto della pista di atterraggio dell’aeroporto, ci guardiamo attorno in un clima primaverile, i monti ci impediscono di guardare oltre, aumenta la nostra curiosità: cosa sarà questa Bolivia, cosa ci lascerà? Cerchiamo insistentemente una risposta, come se fosse evidente e fossimo noi incapaci di vederla, di riconoscerla. Invece no, è il Viaggio che non è ancora iniziato.

Perché iniziassimo il viaggio non è bastato andare, e andare ancora, f ino a perdere i riferimenti geografici, trovarsi in un punto del mappamondo, lontano, che non si riesce nemmeno bene a capire dove sia, quanto lontano sia da casa e da ciò che conosciamo.Il viaggio inizia lentamente, con alcune note di sottofondo e una voce profonda che canta: “I see trees of green, red roses too, I see them bloom for me and you, and I think to myself what a wonderful world”. È la foresta nel Chapare. La natura è quasi incontaminata, l’uomo è ospite. Padre Mauro ci dice “qui nessuno muore di fame”; infatti la terra è ricca di frutti, i fiumi

impetuosi pieni di pesci, “basta tirare un amo perché i pesci abbocchino”. E poi c’è la coca, non quella da masticare per alleviare i dolori e i morsi della fame, ma quella da

raffinare. La coca è un grande business, le piantagioni si trovano anche lungo la strada principale, in una bella giornata di sole davanti ad ogni baracca ci sono le foglie stese ad essiccare. Con la coca ci si compra l’automobile, la t e l e v i s i o n e , l ’ a n t e n n a

satellitare e le case sono meno baracche e più in muratura.

Il viaggio continua, sulla strada che sale dal Chapare verso l’altopiano di Cochabamba, da

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Testimonianze

Non è da tutti scegliere di trascorrere il proprio viaggio di nozze in un paese lontano e molto diverso dal nostro come la Bolivia; per questo vi proponiamo il racconto di Monica ed Ema-nuele, che hanno voluto fare questa scelta e che di questo Paese sono rimasti innamorati.

Viaggio di nozze in Bolivia

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Monica insieme ad Enzo e Sergio

E quando scoprono che siamo in viaggio di nozze, s i l ev a u n o s g u a rd o s t u p i t o e s u b i t o c i chiedono di mostrare gli anelli

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300 metri di altitudine fino a 3800, tra asfalto, terra battuta, sterrato e acciottolato, bloqueos e derrumbe. Questa è una delle strade principali della Bolivia: non è quindi per le infrastrutture che passerà lo sviluppo del commercio e dell’industria. A bordo della flotta pensiamo a quale potrà essere lo sviluppo economico del Paese, tiriamo fuori dal portafogl io qualche dollaro: è vero quello che si dice al riguardo, puzzano. Il pullman sale lentamente i pendii e le note stavolta sono italiane, sono un’esortazione e sono illuminanti: “Adelante, Adelante! In questa terra s e n z a m i s u r e , c h e g i à confonde la notte e il giorno, e la ricchezza con il rumore, e il diritto con il favore, e l’innocente col criminale, e il diritto col carnevale”.

Anzaldo è già un’altra Bolivia. Il panorama è collinare, siamo a più di 3000 metri di altezza, la pulizia dell’aria conferisce una profondità spettacolare alle nuvole, il paesaggio sembra disegnato. Pietro ci accoglie nella sua famiglia, nel suo ospedale costruito in ormai 30 anni. La domanda del viaggio è: cosa ha spinto Pietro Gamba a

diventare un medico e a venire ad esercitare qui? Anche se non l’abbiamo rivolta a Pietro, lui già lo sa e ci risponde.Emilio è un giovane, ha una moglie e 4 figli, faceva il muratore finché una parete non gli è rovinata addosso, r e n d e n d o l o p a r a p l e g i c o . Arriviamo a casa sua, lui si trova su un lettino, in mezzo alla casa (un solo locale), sdraiato; la sua immobilità è enfatizzata dal fermento dei familiari intorno a lui. Qui non ci sono stimoli, non c’è assistenza, il malato così è un peso, e quando se ne accorge (di solito entro uno, al massimo due anni), si lascia morire.

Questo è Anzaldo: i padri vedono morire i propri figli perché non possono pagare una operazione da 300 dollari. Qui non c’è nessun trade-off tra benessere, salute e coca, solo miseria. Guardiamo il panorama dell’Anzaldo nella luce abbagliante del sole, sentiamo il senso di impotenza e le note di Time of your life (Green Day). Lasciamo

l’Anzaldo con un dubbio: Emilio ce la farà? Pietro non è riuscito a lasciarsi dietro questi dubbi.

Il viaggio continua rapido, incessante, senza pause perché la Bolivia è grande, è varia di paesaggi , v i te , esperienze. Ogni regione, città, ha la sua musica. La Paz è densa di persone frenetiche,

mercati affollati, di case che si arrampicano sulla bocca del vulcano spento, su per i pendii e oltre. La musica? Crocodile rock. Il lago Titicaca è immenso, un mare, come immenso è il cielo che si specchia sopra l’acqua e il sole che ti fa chiudere gli occhi, e appena l i r iapr i se i g ià tornato a Cochabamba, alla Ciudad de los niños. Alla Ciudad l’accoglienza è calorosa, ci sen-tiamo subito parte di una grande famiglia. Andiamo a conoscere l’orfanotrofio, le sue

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Il sorriso di Enzo, che si dischiude dal suo volto malinconico, la risata fragorosa di Sergio, che scaccia con ironia le asperità della vita, sono le due immagini che ci accompagnano qui in Italia

Il medico Pietro Gamba

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casette e i suoi piccoli “abitanti”. I bambini ci scrutano da lontano, ma presto la diffidenza lascia spazio alla curiosità, per noi, adulti, provenienti da un paese lontano. Sono loro i primi a rompere il ghiaccio e ci assalgono di domande “Chi siete? Da dove venite? Volete giocare con noi?” e quando scoprono che siamo in viaggio di nozze, si leva uno sguar-do stupito e subito ci chiedono di mostrare gli anelli. E’ tra queste mura che iniziamo a prendere consapevolezza del nostro Viaggio, è da questo entusiasmo, semplice dei bam-bini, ma forte e vigoroso, che le esperienze e i ricordi penetrano nei nostri cuori e nelle nostre anime. Nella casa dei pequenos, giocando con i bambini, conosciamo le loro storie fatte di abbandono, di violenza, di maltrattamento, di sofferenza e vediamo i volti di queste storie: Isabel, Dana, Leo, Tito, Pablo e gli altri piccoli, che ci riempiono di abbracci e di sorrisi.Pensiamo che questi bambini cresceranno nella Ciudad e un giorno saranno pronti a lasciare il nido e volare, come Enzo e Sergio due ragazzi di quasi vent’anni, appena tornati dal servizio militare, in cerca di un

lavoro e una sistemazione fuori dalla Ciudad. Ci accompagnano per Cochabamba, diventano i nostri “ciceroni” e anche i nostri “bodyguard”. Seguono alla lettera le raccomandazioni di Padre Matteo per “preservare la nostra incolumità” . I l militare li ha fatti diventare più responsabili e più riconoscenti verso la Ciudad de los niños che li ha accolti e cresciuti, sono diventati adulti.Sono due ragazzi intelligenti e curiosi, sono interessati alle lingue straniere. Ogni cosa che ci diciamo la traduciamo in spagnolo, italiano, inglese e francese; e poi ci chiedono “non sapete nessun altra lingua?” Sì, il bergamasco! E quindi anche

loro dicono qualche parola in quechua. Hanno due occhi grandi, profondi come il mare, ci scruti l’infinito cielo stellato della Bolivia. E’ una grande emozione quando, giorno dopo giorno, scherzando con loro, il loro viso, talvolta cupo e tenebroso, si apre liberando tutta la gioia e la spensieratezza dei loro vent’anni.

Il sorriso di Enzo, che si dischiude dal suo volto malinconico, la risata fragorosa di Sergio, che scaccia con ironia le asperità della vita, sono le due immagini che ci accompagnano qui in Italia, anche nella nostra nuova casa, in cucina, con amici, mentre cerchiamo di imparare un po’ di castigliano: “Yo soy, tu eres, el es…..comer y tomar, perro, gato, buenas dias….” e cose del genere.Grazie a chi ha reso possibile questa esperienza, questo Viaggio nell’anima, ad Enzo e Sergio.

◆ Monica ed Emanuele

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Emanuele con uno dei ragazzi della Ciudad

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Dal documento preparato dal movimento “Beati i costruttori di pace” per il convegno della chiesa Italiana a Verona:

Vorremmo che tutti ci interrogassimo se la comunità dei credenti non debba reagire in particolare nei confronti di quei pastori che condividono questo cinismo nei confronti della guerra, facili a dire o a fare capire che siamo di fronte a uno scontro di civiltà e che l’Occidente deve essere comunque difeso in ogni modo. La condizione poi dei cosiddetti extracomunitari, pure affrontata da tante strutture di base, dovrebbe essere la priorità delle priorità nell’esercizio della carità a favore di quelli che sono, qui e ora nel nostro paese, i veri “ultimi” di cui parla il Vangelo. Un maggiore e generalizzato intervento in questa direzione può essere anche l’occasione di un maggiore ecumenismo, di un convinto dialogo interreligioso oltre che di un prezioso arricchimento culturale. E di altre gravi sofferenze sociali la Chiesa dovrebbe occuparsi di più (pensiamo a quelle derivate dalla crisi del welfare). Una “rappresentanza” degli ultimi, dei soggetti deboli potrebbe essere il fondamento di una maggiore credibilità della nostra Chiesa ed anche della sua maggiore indipendenza nei confronti delle istituzioni. È questa una strada che può essere discussa a fondo?

Campagna “Beati i Costruttori di Pace”

"Quando l’economia uccide bisogna cambiare!". Con questo slogan il movimento "Beati i Costruttori di Pace", in occasione del quinto raduno del movimento tenutosi a Verona il 19 settembre 1993, lancia la campagna "Bilanci di Giustizia" rivolta alle famiglie, intese come soggetto micro-economico. Ad oggi le famiglie impegnate sono più di 1200.

Cosa si prefigge la campagna? L’obiettivo delle famiglie è modificare secondo giustizia la struttura dei propri consumi e l’utilizzo dei propri risparmi, cioè l’economia quotidiana. Parlare di "giustizia" è impegnativo, perché suppone un orizzonte etico condiviso in buona parte ancora da costruire, ma la sfida è proprio quella di combattere l’invadenza e lo strapotere della "razionalità economica" a partire dal carrello del supermercato e dallo sportello di una banca. Da qui l’adesione convinta al consumo critico e alla finanza alternativa (MAG e Banca Etica) a favore di uno sviluppo che risulti sostenibile per i poveri del pianeta, per il pianeta stesso e - perché no - anche per noi. Ciò che però contraddistingue Bilanci di Giustizia è l’idea che questi obiettivi si possano realizzare efficacemente solo insieme, in modo organizzato, mediante una comunicazione costante e un’azione comune. Lo strumento ideato sia per "auto-misurare" il proprio impegno che per socializzarlo nel movimento e all’esterno, in funzione politica, è quello del "bilancio familiare": lì si rendono visibili e si quantificano i cambiamenti effettuati nelle scelte economiche.

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Dossier

Bilanci di giustizia

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Un primo obiettivo è il contenimento dei consumi. Consumi che vanno scelti tenendo presente anche "la giustizia".

Le famiglie impegnate nella campagna hanno dimostrato la possibilità di condurre una vita sobria senza compiere sacrifici eccessivi: ne è una prova il fatto che la spesa media mensile risulti inferiore al dato ISTAT dei consumi degli italiani e che, nella sua composizione, è stato rilevato un minore esborso per generi voluttuari, quali l'abbigliamento e i regali. Comportamenti ormai consolidati sono la raccolta differenziata dei rifiuti e l'acquisto di prodotti il più possibile locali e delle Botteghe del Mondo, insieme alla preferenza per alimenti di stagione e il riuso e scambio di vestiti.

Altre risorse sono state destinate dalle famiglie per il sostegno economico ai progetti di cooperazione e sviluppo, così come per le adozioni a distanza, simboli di una globalizzazione della gratuità e di un'equa redistribuzione delle risorse. Interventi strutturali sulla casa, con la posa di pannelli solari o la coibentazione delle pareti, o sull'auto, con l'installazione dell'impianto a gas, sono una delle voci di spesa; come pure l'auto-formazione, attraverso la sottoscrizione di abbonamenti a riviste "alternative" e l'appoggio a gruppi ed associazioni pacifiste ed ambientaliste.

Dove arriveremmo se potessimo aggiungere tutti i soggetti impegnati nel consumo critico e nella finanza etica che non sono ancora collegati fra loro?

Obiettivo principale della campagna è sperimentare, con un consistente numero di nuclei familiari, le possibilità di "spostamento" da consumi dannosi per la salute, per l'ambiente e per le popolazioni del Sud del mondo, a prodotti più sani, che non incidono in modo irreparabile sulle risorse naturali e che riducono i meccanismi di sfruttamento nelle regioni sottosviluppate. Non si tratta quindi di affrontare sacrifici e rinunzie in nome di un'etica e di una giustizia concepite in termini astratti, ma di rifiutare in base ad analisi non superficiali e a scelte coscienti e responsabili i consumi che non rispondono più ai bisogni umani reali o che danneggiano in modo spesso irrecuperabile i meccanismi ecologici e le popolazioni da troppo tempo confinate in una povertà incolpevole.

Come suo strumento fondamentale la campagna ha scelto i bilanci mensili nei quali ogni famiglia deve indicare i suoi consumi "normali" e i suoi obiettivi di sostituzione di un prodotto considerato dannoso con un altro meno dannoso o valutato in termini positivi. Prodotti del commercio equo e solidale, detersivi biologici, uso delle biciclette al posto dell’auto, acquisto di elettrodomestici a basso consumo energetico e che non usano i CFC responsabili del "buco" nell'ozono sono solo alcuni degli esempi di "spostamenti" possibili e che in realtà possono non modificare i nostri livelli dei consumi. In altri casi, peraltro, un’attenta analisi dei prodotti può far emergere rapporti tra prezzi e calorie e tra costi e rischi che spingono anche a ridurre i consumi, tenendo presente che siamo tutti sovralimentati (e soffriamo delle malattie causate dal cibo in eccesso) e che è ormai evidente che una diminuzione dell'uso delle auto (e quindi del relativo inquinamento dell'aria) del 20% costituirebbe in realtà un miglioramento della nostra qualità della vita.

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Il giudizio della Bibbia

Commento (spunto da un commento di Enzo Bianchi)

“Ci sono brani del Nuovo Testamento che nel corso della bimillenaria storia della chiesa hanno conosciuto stagioni di grande eloquenza, alternate a periodi di oblio durante i quali venivano confinati nell’utopia. È il caso dei cosiddetti “sommari” degli Atti degli apostoli in cui Luca descrive in modo efficace e sintetico la vita della prima comunità di Gerusalemme, facendone una vera e propria norma capace di ispirare l’agire delle comunità cristiane di ogni tempo e latitudine.

Sono affermazioni di forte impatto per cercare di vivere l’ideale cristiano della condivisione dei beni, le esigenze della giustizia sociale, e molto altro ancora. Ma questi testi degli Atti possono ispirare ancora oggi la comunione ecclesiale? La narrazione di come i credenti vivevano al tempo degli apostoli può fornire indicazioni su come i cristiani dovrebbero sempre vivere la comunione ecclesiale, al di là del mutamento di tempi e condizioni? E, in particolare, la stagione ecclesiale e civile che stiamo vivendo può ancora trovare ispirazione e stimolo nella vita di una comunità cristiana così lontana nel tempo? Il messaggio che ci giunge dalla chiesa primitiva di Gerusalemme appare chiaro ed esigente per i cristiani di ogni epoca: chi ha ricevuto il dono dello Spirito Santo e ha conosciuto l’irrompere della forza di Dio nella propria vita, è generato a vita nuova. Tale novità deve esprimersi concretamente nella differenza cristiana, “differenza” rispetto al proprio passato da non credente, differenza rispetto a chi non è credente, una differenza che consiste soprattutto in un “bel comportamento” (1Pt 2,12), rivelato da un tratto ben preciso che siamo venuti riscoprendo a partire dal concilio Vaticano II: la differenza della comunione.

Ma come ci viene presentata la realtà della comunione nel Nuovo Testamento? Innanzitutto la comunione avviene solo grazie all’iniziativa di Dio: è la relazione di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo con il credente e con la comunità cristiana, resa possibile dall’umanizzazione di Dio; è l’inaudita possibilità di partecipare della vita divina, apertaci dal Padre, nella sua infinita misericordia, attraverso il Figlio. Di conseguenza, la comunione è l’alleanza tra i credenti, la chiesa è comunione di fratelli e sorelle, animata dalla comunione al corpo e al sangue di Cristo, segno della partecipazione del credente a tutta la vita del Figlio, riassunta nella sua passione, morte e resurrezione. In questo senso la comunione è anche “comunione dello

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“Ed erano perseveranti nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere. Ognuno era preso da timore; e molti prodigi e segni erano fatti dagli apostoli. Tutti quelli che credevano stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le proprietà e i beni, e li distribuivano a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Il Signore aggiungeva ogni giorno alla loro comunità quelli che venivano salvati.”

“I credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune...erano un cuore solo e un’anima sola...Nessuno diceva suo quello che gli apparteneva, ma tra loro tutto era comune...nessuno tra loro era bisognoso” (cf. At 2,42-45; 4,32-35)”

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Spirito Santo” (2Cor 13,13), attraverso la quale il cristiano si dispone ad abitare con Dio e a vivere come suo esempio.

Comprendiamo allora come sia stata possibile un’ulteriore accezione della comunione che troviamo testimoniata negli scritti del Nuovo Testamento: la “colletta” in favore di chi si trova nel bisogno.

Siamo così ricondotti all’istanza della condivisione dei beni, che gli Atti testimoniano non come un ideale, bensì quale vera e propria necessità per la chiesa nascente. Essa non nasce da una valutazione pessimistica delle realtà terrene, non nasce dalla volontà di orgoglioso distacco rispetto ai beni del creato, e neppure da una spiritualità pauperistica: la sua unica fonte è la discesa dello Spirito Santo che è agápe e, in quanto tale, esige che i cristiani si adoperino per eliminare il bisogno, la povertà. “Questo è il comandamento che abbiamo da Cristo: chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1Gv 4,21). Sì, la comunione con Dio non può essere vissuta senza un’attenzione reale per la comunità degli uomini, senza divenire comunione con i fratelli e le sorelle anche nei beni!

La vita del cristiano e della chiesa deve perciò essere plasmata dalla comunione, la quale non è una tra le tante opzioni, bensì la forma ecclesiale fin dai primi passi compiuti dai discepoli all’indomani della resurrezione del Signore Gesù Cristo e della discesa dello Spirito Santo: la chiesa è comunione, ovvero, “la comunione incarna e manifesta l’essenza stessa del mistero della chiesa” (Giovanni Paolo II).

Certo, la comunione dei cristiani tra loro e con Dio nel pellegrinaggio della chiesa verso il Regno sarà sempre fragile, continuamente messa alla prova e sovente anche contraddetta; sarà una comunione che tende a essere piena ma che tale non sarà mai, se non nel Regno eterno. Ma questa fragilità, questa incompletezza non esonera le generazioni dei credenti dal percepire la propria chiamata a “essere un cuore solo e un’anima sola”, nel vissuto quotidiano: le esigenze poste dai sommari degli Atti non hanno perso nulla della loro attualità e del loro valore normativo per la prassi cristiana. Se mai, occorrerebbe l’onestà di chiedersi per quale motivo oggi siamo così restii ad ascoltare queste parole, che suonano ormai come desuete agli orecchi della maggior parte dei cristiani: perché insistiamo tanto su alcuni aspetti dell’agire morale, mentre preferiamo tacere sulla necessità della condivisione materiale dei beni, via maestra per eliminare il bisogno e la povertà? È la nostra una stagione che mette a tacere e disattende questa esigenza ineludibile della “buona notizia” cristiana?

La chiesa deve riscoprire che il vero nome della povertà cristiana è condivisione fraterna, praticata nelle forme e nei modi che volta per volta si discerne come buoni. In questo senso anche lo stile di vita dei singoli e delle comunità cristiane deve essere eloquente e manifestare che si ama la semplicità, la povertà bella, e che questa è sempre garantita e rinnovata ogni giorno dalla condivisione con gli altri, con i poveri. Il cristiano è colui che si adopera per eliminare la situazione di bisogno che fa soffrire il suo fratello. Il cristiano infatti sa bene che, come amava ripetere Giovanni Crisostomo, “il ‘mio’ e il ‘tuo’ non sono altro che parole prive di fondamento reale. Se dici che la casa è tua, dici parole inconsistenti, perché l’aria, la terra, la materia sono del Creatore, come pure tu che l’hai costruita, e così tutto il resto”. Il cristiano sa che nel giorno del giudizio la sua fedeltà al Signore, che ha condiviso la nostra condizione umana, verrà pesata anche su questa condivisione fraterna, che è il nome comunitario dell’amore.

◆ Don Alessandro Sesana

12 Compartir · Luglio 2010

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Perché ci sono giovani che si divertono a "spaccare" invece di "costruire"?Perché ci sono giovani che impostano la propria vita sulla "violenza" invece che sulla "pace"? Perché ci sono giovani che guardano gli altri giovani che "spaccano" senza dire loro che sbagliano?Perché ci sono giovani che fanno del linguaggio volgare e blasfemo una scelta naturale? Perché ci sono giovani che si identificano con quei gruppi che non vogliono aprirsi agli altri? Perché ci sono ragazze giovani che "impazziscono" dietro a questi giovani? Perché ci sono giovani che fanno dell'inganno e della menzogna un proprio valore di vita?Perché ci sono giovani che quando sono a casa sono dei "bravi ragazzi" e quando escono si "trasformano", non rispettando più né gli altri, né le strutture? Perché...???

E noi, cosa facciamo per questi giovani?

egli anni settanta la nostra generazione del ’55 cercava di lottare per un mondo migliore,

senza conflitti né divisioni. Un mondo dove ognuno, aprendo la propria mentalità, riconosceva nell’altro una persona portatrice di valori, cultura e umanità.Oggi si ritorna a parlare di “etnie” e di “razze”, di guerre mai concluse, di nuovi scontri di civiltà e di religione; conflitti che sono una pericolosa forma di chiusura e di

deriva dell’intera umanità. È vero che nelle nostre contestazioni non consideravamo sufficientemente l’economia, sbagliando, e centravamo molto il dibattito sui valori di solidarietà, di amicizia, di libertà, di giustizia e di pace: valori che però hanno ancora la forza di cambiare la vita delle singole persone, credenti e non, provocando scelte radicali che contano e devono contare!

Con i mezzi d’informazione attuali (tv, digitale, internet, cellulare…) non puoi fare a meno di conoscere ciò che ti sta attorno: questo ti obbliga ad “assumere” non solo i tuoi problemi ma anche quelli del mondo, e ciò non è facile.Una crisi economica in America o in Grecia si ripercuote inevitabilmente, volenti o nolenti, anche sull’economia italiana! Apriamo gli occhi!!

Oggi i giovani devono farsi carico di una so-cietà più frenetica, litigiosa, che ti obbliga a conoscere, capire e dover prendere decisioni rapide e immediate. In un mondo dove sem-pre più la vita umana viene monetizzata, quantificata e annullata, sembra che l’eco-nomia sia l’unico modello di riferimento. Certo, pensando anche ai recenti fatti storici del G8, alla globalizzazione, all’interdipen-

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Attualità

I giovani e i conflitti

N

“Sei tu che devi assumere l’impegno di determi-narti scegliendo e non lasciandoti influenzare o condizionare.”

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denza, al consumismo, allo sfruttamento, mi sento di consigliare ai giovani di non esclu-dere totalmente l’economia dalle loro rifles-sioni; è sì un fattore rilevante della realtà moderna, ma non va e non deve essere asso-lutizzata. Le leggi devono essere al servizio dell’uomo e non viceversa.

L’invito è quello di riscoprire quei valori “umani” per cui vale ancora la pena di vivere e lottare. La società, la famiglia, possono condizionarti ma fino ad un certo punto, con il tempo, sei tu che diventi protagonista della tua vita e della tua storia. Sei tu che devi as-sumere l’impegno di “determinarti” sce-gliendo e non lasciandoti influenzare o con-dizionare. Dobbiamo dare un senso alla no-stra esistenza, non lasciarci sopraffare dal-l’esteriorità rendendoci schiavi del possesso delle cose.

La scelta di stare dentro la fede è importante per poter condividere gli insegnamenti di Cristo ed allo stesso tempo per cercare di contribuire alla realizzazione di un mondo migliore, agendo dall’interno. Credere per

essere liberi di ricercare, condividere, criti-care per costruire e migliorare. Mi dispiace che al giorno d’oggi manchi an-cora un vero dialogo tra le generazioni, tra i generi, tra le regioni, le nazioni, il mondo…

Concludo con un forte e determinato appello, affinché possiamo essere tutti più responsabili e non giocare con il dolore delle persone su temi come razza, etnia, religione, guerra…nel “grande”; e casa, lavoro, salute, istruzione…nel “piccolo”. In una situazione di crisi, come questa che stiamo vivendo, non riesco a capire chi vuole creare un clima di odio invece di unire strategie e forze necessarie nella ricerca di soluzioni mature e durature. Forse oggi non abbiamo più la dignità e lo spessore morale di chi circa una sessantina di anni fa, pur appartenente ad ideologie politiche differenti o opposte, ha avuto il coraggio di mettersi insieme e proclamare in Italia la Costituzione, e nel mondo la Carta dei Diritti dell’Uomo! Se ci sono riusciti loro nel dopo guerra, perché non tentarlo anche noi oggi??

◆ Andrea Benassi

14 Compartir · Luglio 2010

L’affresco all’interno della chiesa della Ciudad de los niños, rappresentante la dimensione dei bambini boliviani e il diritto alla salute, all’educazione e all’istruzione

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“Autoritratti” è l’ultimo libro di don Roberto Pennati, sacerdote della diocesi di Bergamo che ha lavorato al Patronato San Vincenzo e ha fonda-to una comunità per il re-cupero dei tossicodipen-denti.

Innamorato della monta-gna, più volte ha scalato le vette delle Orobie, fin-ché a cinquant’anni si è scoperto ammalato di un terribile morbo neurode-generativo, la SLA (scle-rosi laterale amiotrofica), che progressivamente colpisce tutti i muscoli del corpo. Ne è affetto da 13 anni: dalla SLA non si guarisce, si può soltanto rallentarne il decorso.

Circondato dalle cure affettuose e dall’aiuto di tante persone amiche, dal suo studio riesce ancora a tenere riunioni, contatti, incontri, a dir messa, a lavorare, a scrivere, anche se con grande fatica. E “Autoritratti” è appunto la sua storia, scritta in modo semplice , essenziale , disarmante e commovente nella sua umiltà e sincerità. La storia della sua vita, appunto, attraverso flash, ricordi, piccoli episodi, bozzetti pittoreschi, tocchi delicati e amatissime montagne. Fino al resoconto, pieno di pudore, del calvario attuale, costretto in una nuova tragica dimensione dove niente è più

come prima, tutto è cambiato e continua a cambiare, presentando ogni giorno problemi diversi, difficoltà sempre maggiori, legate al progredire della malattia. Protagonista del libro è il corpo, quello giovane e scattante del bambino e del ragazzo che don Roberto è stato, quello pieno di energia di lui adulto e infine quello del malato di oggi, che sta affrontando l’ultima pesantissima prova.

◆ Laura C.

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“Autoritratti” si può trovare presso la libreria Enzo Rossi, via Paglia 17 oppure in Cartolibreria Facoetti, via 24 maggio 10.

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Cultura

“Autoritratti”, di DonRoberto Pennati

Don Roberto Pennati

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Nei mesi di marzo e aprile 2010 sono stati svolti tre campi di lavoro a favore della Ciudad de los niños: all’oratorio di Tagliuno, all’oratorio di Zogno e presso il Patronato S. Vincenzo. Vi proponiamo, dunque, le testimonianze di Luca e Simona su queste giornate, che insieme ad altri di noi hanno dato un personale contributo.

L’attività dei campi di lavoro nasce dalla volontà del gruppo InBolivia2004 di trovare un momento d’incontro fra tutti i giovani che in questi anni hanno orbitato attorno all’esperienza in Bolivia. Durante queste giornate ognuno di noi mette a disposizione una parte del proprio tempo libero per sviluppare azioni concrete, quali momenti di lavoro, di formazione e informazione; il tutto rivolto alla Ciudad de los niños. Questo momento di forte impegno nasce dunque da una volontà espressa resa possibile da un fattore indispensabile come l’amicizia. Lo stile del nostro gruppo non è certo quello di compiere opere faraoniche, bensì quello di aggiungere volta per volta nuovi tasselli e

nuove motivazioni ai progetti che ci stanno a cuore; questo stile inconfondibile delinea ogni nostra attività e dunque anche l’impegno dei campi di lavoro.

Seguendo questa logica abbiamo pensato fosse importante portare al di fuori delle mura del Patronato San Vincenzo la nostra esperienza offrendo, a chi volesse, la possibilità di mettersi in gioco per una giusta causa. Con grande soddisfazione abbiamo accolto la volontà di due gruppi di adolescenti, rispettivamente dei paesi di Tagliuno e di Zogno, che si sono cimentati in una raccolta di materiale scolastico a favore della Ciudad de los niños. Nel corso di

16 Compartir · Luglio 2010

I nostri progetti

L’esperienza dei campi di lavoro

Gustando insieme alcuni dei ravioli appena preparati

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queste iniziative non ci siamo posti la volontà di raccogliere quantità industriali di materiale (per carità, serve anche questo), ma quella di interagire con i ragazzi ed essere un esempio di come un gruppo di persone possa condividere un’esperienza di forte impegno, spinti da valori come l’aiuto verso il prossimo e la carità. Il nostro gruppo ha ricoperto una parte quasi marginale per stimolare maggiormente i ragazzi; scelta ripagata in pieno, visto che si sono autogestiti nel produrre dei volantini per la raccolta, di postarli nelle abitazioni e infine di raccogliere il materiale scolastico.

Un grande lavoro che oltre ai ragazzi ha coinvolto gli animatori, le parrocchie e le persone che gentilmente hanno donato il materiale. Ho vissuto personalmente l’esperienza svolta con gli “Ado ‘93” di Tagliuno, paragonabile senza dubbio a quella di Zogno, e devo dire che c’è stato molto interesse e i ragazzi hanno sentito

talmente “loro” questa importante iniziativa che in prima persona hanno voluto donare del materiale. Alla faccia di chi sostiene che i giovani d’oggi non siano attivi in queste cose, forse la colpa è di chi non mette in campo idee ed iniziative. A conclusione di queste giornate non è mancato un momento di approfondimento formativo, in cui ovviamente s’è parlato di Bolivia e soprattutto della nostra esperienza personale. Chissà che un giorno non partecipino anche loro a delle esperienze del genere.

Sabato 17 Aprile si è svolto l’atto conclusivo, ovvero il campo di lavoro fra la mura amiche del Patronato San Vincenzo, in cui ci siamo adoperati in lavori di manutenzione all’in-terno della struttura, quali giardinaggio, pu-lizia, riordino e tinteggiatura; raccolta del materiale scolastico proveniente dalle par-rocchie sopra citate e la grande novità: la preparazione dei ravioli fatti in casa. Gior-nata intensa che ha visto la partecipazione di un buon gruppo di amici, uniti da un se-gno di riconoscenza verso la Bolivia, che du-rante il cammino della nostra vita ci ha for-mato e fatto crescere con grande responsa-bilità.

Non è da me trarre delle conclusioni, sicuramente è stato un anno impegnativo e allo stesso tempo armonioso. Non tiriamo i remi in barca ma cerchiamo di analizzare gli aspetti positivi, negativi e potenziali per il futuro; abbiamo fatto delle belle iniziative e credo che questo sia solo l’inizio di un lungo cammino chiamato Vita…Non c’è nulla di nuovo a questo mondo, tutto alla fine si ripete; l’importante è cercare sempre nuove motivazioni per continuare.

Grazie a tutti per l’impegno, grazie a Don Sandro e al Patronato San Vincenzo che ci stanno dando una buona opportunità per crescere insieme.

◆ Luca Pesenti

Compartir · Luglio 2010 17

Al lavoro per la preparazione dei ravioli!

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Fare un campo di lavoro, è stato un modo speciale per conoscere meglio gli amici e le amiche del gruppo Bolivia, ma anche per allargare il giro, visti i nuovi arrivi proprio in occasione di questa esperienza.

Partecipare ad una giornata di lavoro, per raccogliere fondi che serviranno a finanziare i progetti in Bolivia, vuol dire trovare un’energia particolare, diversa da quella vissuta quotidianamente sul posto di lavoro. Quel giorno al Patronato ho sentito uno spirito comunitario, una forza di volontà espressa nella collaborazione, nell’aiuto reciproco e nella leggerezza d’animo. Un clima (pioggia a parte) che ci ha portati al raggiungimento di buoni traguardi anche economici, oltre che aggregativi e formativi. Nel campo, che abbiamo realizzato lo scorso aprile, infatti, abbiamo venduto 24 Kg di ravioli freschi buonissimi, fatti a mano da noi in quell’occasione, abbiamo preparato i pacchi con il materiale scolastico raccolto in un altro campo all’oratorio di Tagliuno

(grazie ai mitici adolescenti del posto) e all’oratorio di Zogno, e che spediremo a settembre alla Ciudad de los niños, l’orfanotrofio di Cochabamba. L’elenco continua, perché abbiamo pitturato una stanza delle suore e infine sistemato le aiuole del Patronato S. Vincenzo. Tutto questo con una grande soddisfazione, conclusa mangiando pane e marmellata del mercato equo e solidale, (da leccarsi i baffi…). Insomma una giornata piena di entusiasmo, gioia di stare insieme e forte di quell’emozione che ti riempie il cuore, perché ti sei sentito capace di fare, di donare, e di condividere senza tante “paranoie” ma con il pensiero libero, proprio per il coraggio di aver partecipato e di esser servito a qualcosa. Nel frattempo noi del gruppo Bolivia ci stiamo trovando ancora certi del fatto che “..perché il mare possa esistere ogni piccola goccia è fondamentale”.

◆ Simona Loda

Viaggio estivoAnche quest’estate Don Sandro accompagnerà un gruppo di ragazzi in Bolivia per fare un’esperienza di volontariato e di conoscenza. Come di consueto il viaggio si terrà durante il mese di agosto.

18 Compartir · Luglio 2010

Contatt iDon Alessandro Sesana

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340.8926053

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