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Collana Gli Orizzonti

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IL CIGNO GG EDIZIONI

ROMA

a cura diGiovanni Granzotto e Antonella Ranaldi

RRIICCCCAARRDDOO LLIICCAATTAAee ii mmaaeessttrrii ddeell mmoossaaiiccoo

Antonella RanaldiSoprintendente

Cetty MuscolinoDirettore del Museo Nazionale di Ravenna

Aurora AncaraniElisa Emaldi

Emanuela GrimaldiIlaria LugaresiPaola Palmiotto

Servizio Museo e Comunicazione

Maria Pia ViselliServizio Manutenzioni

IL CIGNO GG EDIZIONI

Piazza San Salvatore in Lauro, 15 00186 RomaTel +39/066865493 fax +39/066892109www.ilcigno.org

sito nel Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro, un immobile dell’Ente morale Pio Sodalizio dei Piceni

ISBN 978-88-7831-298-2Tutti i diritti riservati©2013 IL CIGNO GG EDIZIONI, ROMA

fotografie sezione “opere Museo Nazionale di Ravenna”su concessione della SBAP-RA (MiBAC)ne è vietata ogni ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo

a cura diGiovanni Granzotto e Antonella Ranaldi

organizzazione e catalogo

IL CIGNO GG EDIZIONI

in collaborazione con

coordinamento tecnico-scientificoAlberto Pasini

coordinamento organizzativoMaria Lucia Fabio e Ugo Granzotto

trasporto opereFlavio FasanFabio Ianna

Museo Nazionale di Ravenna9 febbraio - 26 maggio 2013

INDICE

RAVENNA IN UN CONTINUUM MUSIVO 6Antonella RanaldiSoprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggisticiper le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini

IL MUSEO NAZIONALE DI RAVENNA 10Cetty Muscolino

L’ARTE BI-TRIDIMENSIONALE 15Giovanni Granzotto

RICCARDO E I MOSAICI 21Giovanni Granzotto

RICCARDO LICATA, LA STORIA DEL MOSAICO CONTEMPORANEO 24Alberto Pasini

DALL’ANTICO AL CONTEMPORANEO: DEBITI E CREDITI 29Cetty Muscolino

OPERE MUSEO NAZIONALE DI RAVENNA 35

PITTURE RICCARDO LICATA 45

MOSAICI RICCARDO LICATA 85

PITTURE E MOSAICI AUTORI VARI 105

PITTURE E MOSAICI MAR 147

ELENCO TAVOLE 155

APPARATI 167INTERVISTA A RICCARDO LICATA

di Marco MinuzRICCARDO LICATA. STORIA E QUASI POESIA DI UNA VITA

di Elsa Dezuanni ed Ennio PouchardBIOGRAFIE

l’Editore ringrazia gli amici di RavennaAdriano AntoliniMaurizio BucciMassia CasadioMarcello LandiGiuseppe RossiSalvatore Sangermano

i Curatori esprimono un particolare ringraziamento aRenzo BarbonDaniela BravuraRenzo LimanaAntonio, Fiorenzo, Gaspare e Giancarlo LucchettaLuciana e Marino SinosiEzio Trentin

ringrazianoHenry-Noël AubryGiuliano BabiniMara e Gioni BorsettiMarco BravuraGian Piero BrovedaniGiorgio CelibertiSergio ColussaDuilio Dal FabbroMarco De LucaGianni FrezzatoGiovanna GalliInarte s.r.l.Lilaï LicataVerdiano MarziMaria Pia MorassiPaolo OlivatoPaolo RacagniAntonio RimedioMaria e Gino RomorRiccardo RonchiFranca SannaS. Fabrizio Zichichi

e la Scuola Mosaicisti del Friuli per le opere gentilmente concesse e il MAR

in copertina e quarta di copertina Riccardo Licata, Mosaico Trittico (particolare)2002, mosaico

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RRIICCCCAARRDDOO LLIICCAATTAAee ii mmaaeessttrrii ddeell mmoossaaiiccoo

Si pensa a Ravenna e si dice mosaico. Quale altra città poteva ospitare unamostra il cui soggetto sono i mosaici? Certamente Ravenna, che come croceviamarittimo nel passato ha assorbito su di sé l’influenza di chi, romano, barbaro,greco o bizantino giungeva in città attraverso il porto di Classe. Oggi nuovoimpulso si trova a vivere quell’approdo con l’arrivo delle navi dei crocieristi nelporto di Ravenna. Verso l’esterno la città si apre candidandosi per il 2019 aCapitale della Cultura, evento che preannuncia nel 2021 l’ancor più importan-te, per la città, VII Centenario dantesco, anche I centenario dell’apertura delMuseo Nazionale nel Complesso benedettino di San Vitale, appunto, il luogoche ospita questa importante mostra dedicata ai mosaici di Riccardo Licata.Con essa, insieme ad una serie di iniziative che riorganizzano i percorsi di visi-ta al Museo, riproponendone l’ordinamento voluto dai soprintendenti che nevissero la gestazione dal 1910 al 1921, Giuseppe Gerola e poi Ambrogio Annoni,ci prepariamo ad offrire per il suo centenario un Museo rivisitato. Un luogo chesia finalmente riconosciuto, per la sua posizione e la contiguità con San Vitale,il polo museale della città e dei suoi monumenti (era il Museo Bizantino poiNazionale dal 1885), nelle sue collezioni classensi e benedettine, rappresentati-vo della storia della città e anche dell’azione della Soprintendenza nella direzio-ne della tutela e della conservazione dei monumenti; attrezzato dei servizi alpubblico al pari dei musei europei, ma soprattutto un luogo ameno all’ombra deisuoi tre chiostri. Due noti e visitati, tra cui quello del secondo Cinquecento diAndrea da Valle del 1562, che ricalca il quadriportico d’ingresso all’antica basi-lica di San Vitale, ad una quota più alta, ma anche il terzo chiostro, da aprire alpubblico e destinare a giardino lapidario per il diletto e la ristorazione. L’attrazione dei vibranti mosaici dei monumenti paleocristiani e bizantini diRavenna, eletti dall’UNESCO patrimonio dell’umanità, fanno del mosaico ilmedium identificabile e riconoscibile della città. Arte decorativa, se vogliamo,per altri arte minore, per Ravenna straordinario unicum di connubio ed esal-tazione dello spazio architettonico, dove la tecnica artistica, tra le più lente elaboriose, gioca un fattore essenziale, separando e decantando il momentodell’ideazione da quello della realizzazione, specializzata nella suddivisionedelle fasi di lavorazione. Opera paziente degna delle Muse, come suggeriscel’etimologia, seppure incerta, del termine musaikòn. I monumenti più celebri,il Mausoleo di Galla Placidia, il Battistero della Cattedrale, San Vitale,

RAVENNA IN UN CONTINUUM MUSIVO

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Sant’Apollinare in Classe, rivelano all’interno straordinari mosaici che rive-stono lo scabro mattone di riflessi di luce, superficie riflettente, preziosa epi-dermide di tessere policrome di pasta vitrea, lamine d’argento e oro, fredda eliscia al tatto. Essi fanno di Ravenna la città dei mosaici. Proprio per conser-vare questo patrimonio e con esso la memoria materiale di Ravenna, dal V alVI secolo, sotto Onorio, sede imperiale, con Teodorico, capitale del Regno deiGoti e con Giustiniano, capitale dell’esarcato bizantino, centro di produzionemusiva e coagulo di civiltà, tra Oriente e Occidente, Ravenna contempora-nea ha assunto un ruolo di portata internazionale, come centro specializzatonelle tecniche musive, sia nel restauro che nella produzione di mosaici. Dallasua istituzione nel 1897 con Corrado Ricci, la Soprintendenza di Ravenna hadato impulso in tal senso, nel riscoprire le antiche tecniche del mosaico nellesue espressioni di più alta qualità, nel taglio dei materiali e nella tessitura deimosaici parietali del V e VI secolo; continuandone l’opera nella conservazio-ne dei mosaici e nella formazione dei restauratori del mosaico. In mostra i mosaici di Licata, bozzetti studi, pitture, di un’artista che ha pra-ticato diverse tecniche, vetri, ceramiche, incisioni, arazzi, oltre al disegno, allapittura e al mosaico, veicolando nell’intera sua prolifica produzione, daglianni Cinquanta in poi, l’inconfondibile cifra stilistica licatiana. Come spiega-no nel catalogo Giovanni Granzotto e Albero Pasini, Licata è un artista atutto tondo, che sempre afferma la libertà dell’arte nel suo inconfondibilesegno artistico, meta-linguaggio che sfugge a vincoli stretti di appartenenza amovimenti – informale, astrattismo – pur partecipandovi da protagonista. Perquesto, anche la sede che lo ospita, il Museo Nazionale, crea (spero) quel-l’empatia artistica nella varietà che sfugge a catalogazioni in generi precisi;una caratteristica del museo, un suo limite per la difficoltà che comporta alvisitatore, ma anche la sua ricchezza per la varietà degli oggetti che vi sonoesposti – antichità, avori, vetri stoffe, icone, bronzetti, ceramiche, armi, affre-schi – come qui bene trattato da Cetty Muscolino nello spazio che il catalogodedica al Museo. Con Il Cigno GG Edizioni, promotore e organizzatore dellamostra, si è intesa questa empatia nell’ottica di promozione del Museo e dellesue collezioni permanenti. Non mero contenitore quindi, come spesso le espo-sizioni intendono i luoghi che le ospitano.

Riccardo Licata al Museo Nazionale è un omaggio alla città. I cartoni e gli studidei mosaicisti ravennati che tra Ottocento e Novecento s’impossessavano diquella tecnica, vivendola sui ponti a distanza ravvicinata; gli stessi allestimentivirtuali della mostra del 2008 dedicata a Corrado Ricci, La cura del bello, prelu-

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dono e convivono con le opere in mostra. La sinopia dell’abside diSant’Apollinare in Classe, il frammento musivo della testa di angelo provenien-te dal presbiterio di San Vitale, i pavimenti di San Severo instaurano un dialo-go raffinato tra oggetti diversi nella sedimentazione dell’espressione artistica. Imosaici di Licata vengono collegati alla sua opera pittorica e a quella degli arti-sti italiani protagonisti del secondo Dopoguerra nelle opere di Afro, MirkoBasaldella, Giuseppe Capogrossi, Giorgio Celiberti, Carlo Ciussi, MarioDeluigi, Piero Dorazio, Armando Pizzinato, Giuseppe Santomaso, GinoSeverini, Emilio Vedova, Giuseppe Zigaina, rimandando alle opere dell’impor-tante collezione permanente di mosaici contemporanei del MAR (Museod’Arte della città di Ravenna). Si mostrano poi di Licata le eccezionali e inedi-te opere di ultima produzione, espressione di una vitalità che ci ammalia. Sonole opere di recente data (2010), successive alla rassegna che Palazzo Venezia aRoma ha dedicato all’artista nel 2009, al compimento dei suoi ottant’anni. ConLicata ma anche Armando Pizzinato (1999), Piero Dorazio (2000) le opere inmostra della felicissima stagione dell’arte italiana ci portano a ridosso dei nostrigiorni con diversi mosaici di questi ultimi anni di Mimmo Paladino. Licata ha vissuto la tecnica del mosaico nell’esperienza parigina accanto a GinoSeverini e poi dal 1961 fino al 1995 come professore di Mosaico all’ÉcoleNationale de Paris. Da qui, attraverso l’insegnamento, la mostra crea il collega-mento con Ravenna, in omaggio alla città, per il tramite dei maestri mosaicistidi ultima generazione ravennati e non, ma soprattutto ravennati: Henry-NoëlAubry, Giuliano Babini, Vittorio Basaglia, Franco Batacchi, Marco Bravura,Marco De Luca, Ennio Finzi, Giovanna Galli, Verdiano Marzi, Paolo Racagni,scelti e indicati dallo stesso Riccardo Licata, a cui si aggiunge la più fresca eattuale proposta tutta materica dei giovani del gruppo CaCO3. Il continuum del mosaico arriva dal V-VI secolo all’attualità e questo trapassoal XXI secolo è bene espresso dai mosaici di Riccardo Licata: i tagli il più dellevolte netti, talvolta frastagliati, marcano l’orizzonte, spezzano la superficie.Tracciano la linea di separazione tra infiniti e lontani mondi immaginari popo-lati di segni – le cifre stilistiche di Licata. Segnano un prima e un dopo, unsopra e un sotto, il confine tra materie di diversa densità e consistenza, tra ariae acqua o terra, tra nuvole cielo e terra. Troviamo la vibrazione del mosaico, laricercata semplificazione di uno spazialismo evoluto, che ha con i mosaici diRavenna l’appartenenza all’architettura e a Venezia, la preziosità dell’oro, deigialli e dei blu, in Nuvole e sole, Bella giornata, Architettura, Discorsi, per citare leopere più recenti in mostra dell’ultima produzione dell’artista, tutte del 2010,realizzate all’età di ottantuno anni, con tutta la freschezza di un suo linguaggio

inconfondibile, della meta-scrittura che diventa segno, in una ricerca che, nelcorso dei decenni, ha portato Licata ad elaborare un proprio alfabeto. Questistessi segni rappresentano la materia dei suoi mosaici, dei tappeti, delle operepittoriche, nei quali il colore e la materia riescono attraverso il linguaggio adare vita ad un logos artistico che soprattutto attrae, nella gioiosità e vitalità diuna creazione che comunica spontaneità.Il merito di questa mostra va a Il Cigno GG Edizioni, a Lorenzo Zichichi eNorberto G. Kuri, all’ATI concessionaria dei servizi al pubblico, attiva daquest’anno nei siti in consegna alla Soprintendenza, Sant’Apollinare inClasse, Mausoleo di Teodorico e Museo Nazionale, in omaggio a Ravenna,in una formula promozionale degli stessi siti del circuito UNESCO.Fondata nel 1968, la Casa Editrice è specializzata in pubblicazioni scienti-fiche e libri d’arte ed è leader nella promozione dell’arte contemporanea,organizza mostre di ricercata qualità, e soprattutto lavora a far apprezzarela ricchezza d’arte che la generazione degli artisti italiani dal secondoDopoguerra ad oggi ha saputo dare al mondo.

Antonella RanaldiSoprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici

per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini

Museo Nazionale di Ravenna

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Il Museo Nazionale di Ravenna,sorto nel 1885 come MuseoBizantino e ospitato dai primi decen-ni del Novecento nella prestigiosasede dell’ex-monastero benedettinodi San Vitale, è un formidabile scri-gno che conserva la storia della cittàe del territorio e custodisce capolavo-ri d’arte di straordinaria importanza.Il nucleo primitivo, arricchitosi neltempo attraverso vari processi diacquisizione, ritrovamento e scavo, ècostituito dalle prestigiose collezioni(bronzetti e placchette, oggetti inavorio e in osso, ceramiche, icone emonete) dei frati camaldolesi diClasse, di cui Pietro Canneti (1659-1730) fu il principale artefice, e dalleraccolte lapidarie dei monaci bene-

dettini, composte nel 1754 dall’abate Pier Paolo Ginanni.Nel chiostro antistante al nartece di San Vitale, alle possenti e rigogliose chio-me dei secolari tassi si affianca una foresta pietrificata che si dirama e sidispiega nei marmi finemente lavorati a giorno come preziosi pizzi, nei trafo-ri rabescati dei recinti sacri, nei capitelli scolpiti nelle cave imperiali dell’isoladi Proconneso sul mar di Marmara, e giunti fin qui via mare. Foglie d’acan-to acuminate e spinose, foglie morbidamente mosse dal vento come ali di far-falla, agnelli dal vello soffice, pavoni incorruttibili e veloci levrieri, agili cer-biatti e candide colombe… testimonianze di antiche glorie.Nel sarcofago denominato della Traditio legis per la scena di teofania raffi-gurata sul fronte, è esplicitato il messaggio della salvezza cristiana nellaconsegna delle leggi ai primi apostoli Pietro e Paolo, ambientata fra palmeparadisiache, e nelle scene rappresentate sui lati brevi: la resurrezione diLazzaro risvegliatosi dal torpore mortale e Daniele, in abito frigio, erettofra due leoni adoranti.Nel chiostro successivo fra le numerose iscrizioni funerarie e stele di epoca

IL MUSEO NAZIONALE DI RAVENNA

Copertura di Evangeliario detta “Dittico di Murano”

Avorio, Egitto, prima metà del VI secoloMuseo Nazionale di Ravenna, Sala degli avori

romana legate all’esistenza del portomilitare voluto da Augusto e attorno acui si sviluppò la città di Classe, digrande effetto è la stele del carpentiere,faber navalis, Publio Longidieno, ritrat-to mentre lavora alacremente al fascia-me della sua imbarcazione. Lì accantosi trova una delle più importanti scultu-re della Ravenna romana: un frammen-to marmoreo, denominato Bassorilievodi Augusto, celebrativo della famigliadell’imperatore e rinvenuto nel XVIsecolo nell’area tra il Mausoleo di GallaPlacidia e la Basilica di San Vitale.Da ritrovamenti casuali e programmatecampagne di scavo sono emersi neltempo interessanti corredi funebri com-prendenti balsamari in vetro, bottiglie,urne cinerarie e monili di grande pregioquali un eccezionale anello in ambrarossa trasparente che presenta al postodel castone un busto muliebre concapelli alti sulla fronte, divisi al centro e

legati in una crocchia sopra la nuca, acconciatura caratteristica di età flavia.Non solo la terra, anche il mare è stato generoso di doni, come attestanocinque poderose erme marmoree raffiguranti divinità e personaggi famosicome Milziade, Carneade, Epicuro e Dioniso.Il prezioso carico di sculture inviato da Roma alla corte estense di Ferrarada parte del cardinale Ippolito d’Este nel 1570, si inabissò all’altezza del Podi Primaro, insieme alla nave che le trasportava e che avrebbe dovuto rag-giungere la città per via fluviale.I busti scultorei furono individuati casualmente in mare da alcuni pescato-ri alle foci del fiume Reno, tra Casal Borsetti e Porto Corsini e recuperati apiù riprese dagli anni Trenta agli anni Cinquanta.Nella sala dove sono esposte le raffinate recinzioni marmoree (transenne) pro-venienti da San Vitale e da San Michele in Africisco, si trova il famoso basso-rilievo marmoreo del VI secolo che mostra Ercole impegnato nel compimentodella sua terza fatica, la cattura della cerva di Cerinea, sacra ad Artemide,dopo un inseguimento durato quasi un anno. L’eroe è raffigurato nudo, con la

Bassorilievo di AugustoMarmo pario, Arte romana

metà del I secolo d.C.Museo Nazionale di Ravenna, Primo Chiostro

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testa fortemente ricciuta, le forme ana-tomicamente accentuate, mentre affer-ra l’animale per le corna e lo sottomet-te premendolo col ginocchio.Esemplari d’importanza artisticaeccezionale caratterizzano la colle-zione degli avori che comprende for-melle e tavolette a carattere religio-so, come il celeberrimo Dittico diMurano del VI secolo che costituivala parte anteriore della copertura diun evangeliario e oggetti a carattereprofano quali cofanetti e portagioie.In una tavoletta della fine del V seco-lo, probabile coperta di un libro pro-fano, è raffigurato il mito di Apollo eDafne, soggetto classico che siriscontra raramente negli avori delperiodo paleocristiano. MentreApollo è intento a suonare la cetracon il plettro, Dafne se ne sta langui-damente appoggiata ai rami dell’allo-ro, iniziando la sua metamorfosi al

canto del cigno, attributo simbolico della dea Afrodite.Nella collezione delle icone, oltre duecento dipinti su tavola per lo più discuola cretese-veneziana, singolare è la Deesis che raffigura Cristo giudicefra la Vergine e San Giovanni Battista. L’icona, contraddistinta da un viva-ce cromatismo, mostra sul fondo dorato Cristo in trono, vestito di tunicarosa clavata d’oro, cinta con una fascia verde scuro lumeggiata d’oro e fian-cheggiato dai simboli degli evangelisti.Nella non molto vasta, ma interessante, collezione di armi e armature delMuseo (nota in passato col nome di Oploteca) il pezzo più significativo èsenza dubbio l’Elmetto da incastro del 1540 riconducibile a DesideriusHelmschmid. Interessante anche la spettacolare Mensa circolare, prodottodell’arte ottomana del XVI secolo. L’oggetto costituito da cuoio inciso,intarsiato e dorato, aveva probabilmente la funzione di desco trasportabilee utilizzabile durante le campagne militari. Nelle numerose iscrizioni incise,parte in persiano parte in turco, sono espressi elogi beneaugurali affinché lamensa sia sempre ricca e trabocchi di vivande.

Erma raffigurante DionisoMarmo, copia romana di originale greco

II secolo d.C.Museo Nazionale di Ravenna, Sala delle erme

Nella collezione delle ceramiche sisegnala il grande boccale, opera delfaentino Baldassare Manara, del quar-to decennio del XVI secolo, colta testi-monianza del sincretismo rinascimen-tale. Paganesimo e cristianesimo paio-no fondersi nelle rappresentazioni cheal Cristo Bambino, adorato dai pasto-ri, fanno corrispondere Ercole cheuccide Anteo e lotta contro il leone diNemea, secondo un’interpretazioneallegorica delle fatiche quali provenecessarie di un cammino iniziatico.Bellissimi gli esemplari di piatti dapompa cinquecenteschi di Deruta,con leggiadri profili femminili affian-cati da ondulati cartigli che recitanoespressioni come: «In chor gintilenon regnia ingratitudine» o «Sola lamorte istingie el vero amore».

Trova posto nella sala della farmacia la raccolta di placchette e bronzetti cherappresentano uno dei momenti più caratteristici della cultura rinascimen-tale, come, ad esempio, quello che raffigura l’Imperatore Marco Aurelio acavallo, realizzato da Severo da Ravenna agli inizi del XVI secolo.Nella grande sala, un tempo refettorio del convento, è stata ricomposta “inesploso” l’abside della chiesa ravennate di Santa Chiara, grazie a un labo-rioso percorso conservativo iniziato negli anni Cinquanta e concluso nel2000. Il ciclo pittorico, salvato dallo stato di crescente abbandono e degra-do conseguente alla soppressione napoleonica del 1805, e realizzato neiprimi decenni del Trecento da Pietro da Rimini, illustra la storia dellaSalvezza dell’uomo e l’esaltazione della Croce.

Cetty Muscolino

Baldassarre ManaraGrande boccale

Maiolica, Faenza, quarto decennio del XVI secoloMuseo Nazionale di Ravenna

Sala delle ceramiche

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Riccardo Licata, non diversamente dagli “Assassini” di Oliver Stone, è “unartista nato”: uno di quegli eletti con nel DNA la condanna e il privilegio diuna carriera d’artista; e, nel suo caso, di una vita d’artista. Ma nella versio-ne del lindore più assoluto, della naturalezza, della semplicità. Licata nasceper fare l’artista, e quasi da subito lo fa bene, compiutamente, interamente,senza esitazioni e senza rimorsi. Accompagnato, per di più, dalla già defini-tiva intuizione che la vita, il suo percorso, il suo divenire e il suo evolversi,combacino e concorrano con il progredire dell’arte. E se, forse, sarebbeeccessivo parlare di completa identificazione, certo, per lui, la vita sembramaterializzarsi, concretizzandosi quasi, nell’espressione artistica. Questainterdipendenza e simbiosi risulta, in verità, motivo frequente in ogniavventura d’artista. Ma, solitamente, in una posizione speculare e inversa,ponendosi da un punto di vista, e partecipando ad un processo, opposto:l’arte come vita, l’estetica come luogo principe della realtà. Per Licata è,invece, la vita che si manifesta, si dipana, si consuma, perfino si racconta nelmomento artistico. Egli è un messaggero e testimone degli eventi; come eglistesso, d’altronde, si era definito «un pittore della realtà e della verità, per-ché ogni mio segno o colore o spazio è relativo ad una impulsione dettata daun preciso avvenimento, o emozione, o visione, o ascolto, o sensazione, opensiero, o meditazione, o ricordo»1.

Naturalmente percorre il sentiero dei propri passi, e allo stesso tempo loapre, lo libera, lo pulisce dalle incrostazioni e dai detriti, lo monda da ster-paglie e sudiciume, consegnandocelo nel suo nitore poetico. V’è in questoveneziano di origini siciliane, nato a Torino, e cittadino di Parigi e delmondo, una stupefacente facilità, una incredibile souplesse, nel convivere conil proprio mestiere di artista. E rimane, infatti, impossibile coniugare la suaattività con i movimenti e i gruppi più rilevanti del panorama artistico italia-no e internazionale del Dopoguerra. Ma non perché ne sia rimasto escluso,o ne sia invece uscito con la fuga della giovinezza a Parigi; quanto, piutto-sto, perché il suo totalizzante abbraccio dell’esperienza artistica gli impedi-va di accettare o rifiutare aprioristicamente ogni occasione stilistica, gliimpediva di assecondare razionalmente delle scelte teoretiche, di seguirecon il rigore appassionato e parziale degli iniziati, qualsiasi dogma, anche

L’ARTE BI-TRIDIMENSIONALE

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1 R. Licata, Riccardo Licata, edizioni Galleria Villata, Cerrina, 1979.Museo Nazionale di Ravenna, Andrea da Valle, Secondo Chiostro, XVI secolo

quello fondato sulla libertà. Era pur vero che la sua prima matrice (per mefondamentale) si confermava quella spaziale: quell’universo mentale, ideale,ma per Licata anche naturale, dove egli immergeva la propria ricerca, rico-noscendolo come il luogo degli accadimenti musicali, ritmici, anzi comeluogo degli accadimenti tout court; e allo stesso tempo come il luogo dove ten-tare di dipingerli, di trasporli nella sua concretezza poetica. Chi scrive ha giàsottolineato l’esistenza di una specie «di diarchia spaziale, che sembravaobbligarlo ad architetture spaziali molto ordinate e strutturate. V’era lo spa-zio universo, il momento cosmico degli accadimenti musicali e fisici, il luogodei paesaggi e delle persone; e tutto era percepito come parte vitale del pro-cesso della storia. Ma continuava a mantenere un proprio ruolo anche lospazio del racconto, dove egli trasferiva la propria verità, dove attraverso ilsuo particolarissimo linguaggio pittorico, si sviluppava la narrazione. Checomunque coincideva con il percorso della coscienza. In Licata persisteva ilbisogno di spiegare e di mostrare ciò che aveva formidabilmente intuito. Edecco che la tela, il foglio diventavano contenitori spaziali di architetture nar-rativo-sequenziali»2. Ma il giovane maestro si era anche proclamato astrat-tista: «Evidentemente questi concetti mi portavano verso una nuova astra-zione. Avevo studiato il Futurismo, il Suprematismo, il Cubismo, ilSurrealismo, la Bauhaus, l’opera di Kandinskij, Klee, Mondrian, e tutti gliastratti. Amavo queste manifestazioni dello spirito, libere e poetiche, mentredetestavo la pittura convenzionale, nazista e fascista, che si situa in un tipodi figurazione nella sua manifestazione più ottusa»3.

In realtà, proprio la partecipazione del giovane artista al percorso della sto-ria, non poteva estraniarlo dalle spinte che provenivano dall’“informale”, edall’ascendente che l’informale stesso possedeva nei confronti delle nuovegenerazioni di artisti. Le sue geometrie segniche, che riferivano alla crescita progressiva di unnuovo alfabeto geometrizzante, non lo sottraevano alla gestualità, non loconducevano, comunque, al di fuori delle tortuose e imprevedibili offertedella materia, non condizionavano il segno a muoversi all’interno di sche-matismi formali. Anzi, gli permettevano di impossessarsi, con piena volut-tà, di ogni elemento e situazione emozionale. Lasciando sempre all’intuizio-ne il compito di impostare il cammino, di indicare il tragitto. Bene coglievaLuciano Caramel, un aspetto significativo di quella esperienza, accennandoalla scelta di campo di Licata «a favore del formalismo, inteso non con le

connotazioni negative di disimpegno, di chiusura nell’autosufficienza dellospecifico attribuito al termine dalla critica marxista, che in quella congiun-tura, con robusti strumenti (anche di stampa, con l’«Unità» e «Rinascita»),difendeva e promuoveva un realismo sociale con ambizioni nazionalpopola-ri e di inclinazione meridionalistica, il cui campione era Guttuso; ma nelsenso della coscienza delle valenze dell’arte propria in quanto arte, cioè inquanto forma, colore, segno organizzati entro quel composto di progettua-lità e d’invenzione che è l’immagine appunto artistica»4.

Avvicinava, così, l’attività di Licata a quella dei coetanei romani di “Forma”, aivari Accardi, Attardi, Consagra, Dorazio, Perilli, Turcato, ecc. Ma anche que-sta interpretazione, pur estensiva, non bastava e non basta a definire e rappre-sentare Licata. La sua dichiarata, più volte ripetuta, fede nell’Astrattismo, lasua partecipazione esterna al movimento spazialista, i suoi frequenti passaggisui fronti dell’informale, stavano a rappresentare i molti angoli e le molte faccedi uno stesso solido, ogni aspetto esteriore di una stessa anima.L’Astrattismo non poteva non apparire come il riferimento più moderno e ade-guato nella costruzione del suo innovativo alfabeto; lo Spazialismo consisteva,invece, nell’infinito, nel grande lago dove riflettersi, immergersi e risalire, edove abbeverarsi, in quella inesausta tensione a padroneggiare gli strumentidella conoscenza. E dell’informale Licata era figlio, figlio naturale e necessario,per l’immediatezza biologica delle sue risposte artistiche, per il suo vitalismo,per la sua condivisione del mestiere, inteso e amato sì come gli artigiani dellebotteghe antiche, ma anche cercato e posseduto con l’occhio e il cuore di fan-ciullo, ma di un fanciullo e di un figlio del nostro tempo. Ecco perché ci appa-re impossibile limitare l’analisi della sua arte ad uno soltanto degli aspetti edelle vie da lui sperimentate: pittura, mosaico, incisione, scultura, vetro, cera-mica. In men che meno ricondurle ad una fase, pur se originalissima, del rin-novamento e della organizzazione del linguaggio artistico, come invece soste-nuto, fra gli altri, anche da Enzo Di Martino: «La ricerca dell’arte è, infatti,ormai volta prevalentemente al suo interno in una operazione autoriflessiva, edi rispecchiamento su se stessa che comporta grandi rischi e che tende perciòalla sempre più necessaria e accentuata giustificazione del linguaggio ridottoalle sue nervature logico formali… L’opera di Riccardo Licata si colloca coe-rentemente all’interno di una situazione siffatta…»5.

Il magma Licata non è mai smosso e sospinto da motivazioni estetiche, nonribolle per pulsioni di pura sostanza sintattica o lessicale. Queste certamen-

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2 G. Granzotto, Finzi e Licata a confronto, edizioni Verso l’Arte, Roma, 2000.3 G. Xuriguera, Les années ‘50, edizioni Arted, Parigi, 1984.

4 L. Caramel, Licata, grandi opere, edizioni Galleria San Carlo, Milano, 1993.5 E. Di Martino e A. Spinardi, Riccardo Licata, Fabbri Editori, Milano, 1985.

espansi, riportati su un piano avanzato, e caricati di tensione vitale e dicapacità allusiva, sostenute da un colore drammatico e intenso. È il nuovoLicata degli anni Sessanta che respira e si esprime in grande. Ed ecconascere, infatti, un ciclo di grandi arazzi, assieme a Dupuis e Chevalley, colgruppo di Tapisserie Nouvelle, che vanno a confermare, una volta di più, ilbisogno di Licata di affidarsi a tutte le forme espressive coerenti e in sinto-nia con la sua condizione esistenziale. E agli arazzi, sempre in questadimensione partecipativa, seguirà, verso la fine degli anni Sessanta, un ulte-riore ciclo di monumentali mosaici, a confermare, secondo le sue parole, ilfatto che «il nuovo problema dell’arte murale e il suo inserimento nell’archi-tettura, tenendo conto delle nuove ideologie, mi hanno dato una ulteriorespinta ad una nuova struttura e ad un nuovo spazio»6.

Ma il Licata pittore continua incessantemente a lavorare sul foglio e sullatela, come un ricercatore. E lo farà anche nei decenni successivi, come unuomo del laboratorio, da cui, inevitabilmente, sgorgheranno le nuove com-ponenti del linguaggio, i nuovi elementi di un alfabeto progressivo, le nuovesimbologie, i nuovi ritmi, le nuove cadenze metriche e il nuovo colore, pron-to a sollecitare le febbri e le passioni del tempo. Mentre registro della real-tà quotidiana vanno diventando i libretti di Licata, diari pittorici di giorna-te vissute incontrando gente, paesaggi, luci e spazi nuovi, o già conosciuti,ma riscoperti con una sensibilità diversa. Qui si confeziona il tessuto prima-rio, la trama e l’ordito di tutta l’arte di Licata, nel laboratorio dove egli traeispirazione anche per i passi successivi. Enzo Di Martino, riferendosi allastrategia espressiva di Licata, parlerà di scrittura interiore; ed è proprio neipiccoli volumi, o album, nei mille cartoncini sparsi, che si svolge il primoindirizzo di quella strategia espressiva, dando voce alla scrittura interiore,che racconta la vita, e allo stesso tempo la fissa sul foglio, anche spazialmen-te e temporalmente, attraverso scansioni lineari, sovrapposizioni di piani,“definizioni compartimentali”, come le chiama Licata. Poi spetterà al dipin-to, alla tela, o alla grande fatica musiva, esplorare in profondo quegliannunci, o leggere anche plasticamente quel sentimento della forma. Edecco la plastica – la necessità di tradurre anche plasticamente la percezione,l’idea di spazio – non poteva non condurlo anche ad affrontare le altre disci-pline, come la scultura, la ceramica e l’arte vetraria. E nella scultura Licataha voluto coniugare la possibilità di penetrare plasticamente volumetrica-mente e fisicamente, lo spazio, con i momenti concettualmente, eidetica-mente più alti, della sua simbologia espressiva. In certi piccoli bronzi di

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te si evidenziano durante il percorso, ma come una condizione inevitabile, ilportato naturale di un agire d’artista. Egli si muove, fin dagli inizi, per par-tecipare al mondo, per comunicare al e con il mondo. La musica, grande enon esaurito amore, assurge a testimonianza primaria e diretta (nemmenomediata, simbolica) dello stupefacente spettacolo del reale. Tanto da diven-tare insopprimibile, per Licata, il trasferirla sulle pagine, sul foglio, sullatela, non per creare un’altra, e alternativa, forma d’arte, ma, anzi, per riusci-re a viverla e raccontarla più compiutamente. I tempi e i ritmi musicalidiventano i tempi e i ritmi della realtà, che egli cerca di conquistare in quel-la unità di tempo e di luogo, che appare lo spazio del foglio e della tela.Soprattutto del foglio, agli inizi, e della lastra, così candidamente sensibile edisponibile a ricevere tutte le sollecitazioni del segno colore, a sostenere leferite e le lacerazioni del bulino, degli acidi, e di tutti gli strumenti di unmestiere artigianale, che rappresenta il momento perfetto di congiunzione,il ponte fra vita e arte. Quegli anni Cinquanta furono il tempo della nascitasorgiva del nuovo alfabeto Licata, che andrà a disporsi, materializzandosi,su tutte le discipline che il maestro verrà affrontando negli anni, come unbagaglio di arnesi e segreti, da utilizzare con maestria nello svolgimento delproprio lavoro. Ma fu anche e soprattutto il tempo delle raffinatissime inci-sioni, in cui, nell’articolazione temporale delle varie fasi del processo grafi-co, dal momento progettuale fino a quello della stampa, Licata giunge quasia riconoscere la parabola del percorso vitale, riuscendo a riconquistare,attraverso i passaggi grafici, una integrale spazialità, ad una ricostruita pla-sticità. Quando, quasi contemporaneamente, il suo interesse si sposteràanche sul mosaico, sarà solo confermata, oltre alla straordinaria golositàintellettuale e alla ricchezza dei suoi approvvigionamenti culturali e artisti-ci, l’urgenza di un rapporto costante, quotidiano, in una comunione precisafra progettualità ed esecuzione, con il mestiere dell’arte, quindi con ilmestiere della vita. Ad arricchire ulteriormente quella concezione dell’arte musiva come allego-ria della vita, soccorrevano la ricerca quotidiana e lo studio dei materiali, ladiscussione con gli uomini della bottega, il confronto con gli allievi dellascuola. Il mosaico, dunque, si proponeva davvero come uno spaccato dellarealtà. Con la partenza e lo stabilirsi a Parigi, poi, gli spazi naturali, e quin-di ideali, erano venuti ad espandersi, ad ampliarsi; così come il respiro dellagiornata di Licata, e la sua stessa gestualità pittorica, ora più fluida e inva-siva. Sopraggiungevano nuove affascinazioni, che conducevano il suo lin-guaggio ad un utilizzo più monodico degli elementi dell’alfabeto, ingranditi, 6 E. Di Martino, Licata, Fabbri Editori, Milano, 1993.

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morbida compostezza, così come nei grandi bronzi asciutti, austeri, ieratici,di una essenzialità di linea da riavvicinare la bidimensionalità – come quel-li del ciclo dall’Amor Pungente all’Amor di Gloria –, la forza espressiva, nei sot-tili, allusivi, o più diretti rimandi a messaggi esoterici o coscienti conclusio-ni, riesce perfino a travalicare la stessa iconografia dell’opera. E questo sipuò anche dire per i pastosi marmi di quello stesso ciclo, eseguito per lagrande mostra di Mantova nel 1998.Ma è nell’approccio alla ceramica e soprattutto all’arte vetraria, che Licatarealizza una perfetta identificazione fra il momento esistenziale e quelloartistico. Nelle fucine di Murano si concretizza una sorta di piccolo miraco-lo di simbiosi fra l’artista-artigiano, i maestri vetrai, la materia meraviglio-samente duttile e la forza intelligente del fuoco.Ho potuto osservare personalmente la partecipazione sentimentale ed emo-tiva del maestro, e anche l’impegno fisico (il calore in prossimità dei forni èquasi insostenibile), nel seguire il crearsi del ciclo degli stupendi vetri dedi-cati a Re Artù e al Mago Merlino. Ne ho scrutato la concentrazione, l’atten-zione meticolosa nel controllare ogni gesto del maestro vetraio, perchévenissero rispettati fedelmente i bozzetti; ma ho anche scoperto un entusia-smo gioioso per le invenzioni plastiche e cromatiche che il plasmarsi delvetro andava man mano offrendogli, senza stravolgere il progetto originale,ma aggiungendo alla fantasia dell’artista quella imprevedibile del fuoco edella materia. Forse, davvero, in quella fucina, vicino ai forni, la paraboladell’arte come vita si andava realizzando compiutamente.

Giovanni Granzotto

Franco Batacchi, in un testo di particolare acutezza esegetica, scritto pro-prio per una delle poche esposizioni italiane di Riccardo Licata riguardantianche i mosaici, quella tenutasi al Castello di Pergine nel 1997, tentava dispiegare, proponendo una interpretazione personale, ma piuttosto docu-mentata, il significato dei segni dell’alfabeto licatiano, di quell’alfabeto con-tinuamente mutante e in espansione. Secondo Batacchi, che in questa suadisamina prendeva spunto da uno studio, Des signes et des hommes, del desi-gner svizzero Adrian Frutiger, sui rapporti intercorrenti, all’interno dellacomunicazione, fra segni e simboli, qualsiasi dipinto di Licata – si potrebbeaggiungere ogni opera artistica eseguita da Licata – «può essere assunto adesempio paradigmatico di tutta la casistica attinente l’immagine, la trascri-zione del linguaggio, il simbolo, tanto che fungerebbe da perfetta rappresen-tazione visiva di un trattato semiologico di Umberto Eco. […] Egli ha ela-borato un complesso sistema grafico, che gli consente di trasporre in termi-ni visivi l’impulso emotivo. […] È pervenuto a tale mirabile risultatomutuando e sintetizzando processi evolutivi che affondano radici nella prei-storia dell’uomo e nella storia delle civiltà […]; per incontrare il più anticoesempio di “scrittura”, vale a dire di trasposizione di un linguaggio parlatoin simboli grafici, occorre arrivare al Neolitico. Diecimila anni prima diCristo comincia a fiorire una “narrativa” protostorica: disegni e segni tenta-no di riprodurre parole, frasi. I primi scribi appaiono in Medio Oriente nelV millennio a.C.; nei pittogrammi ittiti notiamo rappresentazioni schemati-che di oggetti ed azioni che poi […] si trasformano in gruppi lineari di segni[…]. La pittografia si evolverà in due direzioni: scritture figurative […] escritture alfabetiche. Perché risalire tanto lontano, nel sondare una pitturaalle soglie del Duemila? […] I segni di Licata, così tipici e immediatamentericonducibili al suo autore, ci sembrano ripetibili ma in realtà sono sempredifferenti e appartengono a svariate famiglie. Alcuni possono ricordare i pit-togrammi cretesi […] o quelli ittiti ritrovati in Siria […]. Altri segni ricor-dano la scrittura della valle dell’Indo, così incredibilmente simile a quellatrovata sull’isola di Pasqua (civiltà distanti 3.000 anni e 20.000 chilometri!).Quest’ultima ha lasciato alcuni legni parlanti, veri antesignani delle xilogra-fie [...]. Anche l’attuale scrittura cinese è collegabile al lessico di Licata:composta da decine di migliaia di segni, consente tuttora nuove possibili

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RICCARDO E I MOSAICI

combinazioni […]. Uno studio approfondito sulle matrici della semiologiadel pittore indurrebbe invece a scartare attinenze con pittografie più “figu-rative” (Inca, Atzechi, Maya), semmai risultano suggestivi i collegamentitra le organizzazioni compositive di alcune scritture precolombiane e le“campiture” di Licata.Mentre più vicine rispondenze possiamo rintracciare nelle scritture vocaliz-zate dell’ebraico e dell’arabo. Ma tutti i paragoni “tengono” parzialmente,poiché – se esiste la comune finalità della comunicazione – le scritture diogni civiltà o latitudine e quella di Licata divergono radicalmente sui con-tenuti. Le prime, nate da processi semplificativi […] successivi al passaggioda immagine a segno, sono strumenti a disposizione di chiunque ne appren-da l’uso. Al contrario, la scrittura dell’artista è duttile, variabile, lontana dastereotipi. È una lingua in continuo divenire, che si appoggia al colore e allospazio, evoca il suono. Ogni frase può essere pronunciata una sola voltaperché non serve a descrivere od evocare immagini, oggetti, concetti noti,bensì realtà e verità del tutto personali […]. Sono composizioni che, appar-tenendo a una realtà soggettiva, la sublimano nella catarsi del simbolo […].Ecco delinearsi una possibilità di risposta al quesito concernente il signifi-cato dei segni che contraddistinguono ogni opera di Licata. Quei segnisignificano tutto e nulla. Tutto, per lo spessore culturale che sovrintendealla loro sortita quasi stenografica o automatica: essi posseggono in nuce lequalità evocative di tutta la simbologia artigianale […]. Ma nulla vogliondire, se crediamo di potervi rintracciare echi dei significati primitivi.L’eccezionalità, l’unicità di questa scrittura consiste appunto nel supera-mento della sua condizione di mezzo tecnico […]. L’opera di Licata serbamemoria di tutto […] ma la travalica per sostituire, alla necessità del mes-saggio, l’inquietante fascino del miraggio e la solennità della metafora»1.Dunque, secondo questa tesi abbastanza esaustiva, l’alfabeto licatiano è unportato, di natura quasi biologica, di mille sedimentazioni storico-culturali,alle quali, però, Licata, automaticamente e naturalmente, ha sostituito ilmomento della comunicazione con quello evocativo della metafora, e, ioaggiungerei, anche con quello dell’espressione mediata, ma altrettanto genui-na e sorgiva, dell’emozione. E in questo senso, come già ampiamente confer-mato da tanta critica illustre, di decisiva importanza diventa il ruolo del colo-re, componente strutturale della architettura dell’opera, e al tempo stesso col-lante di tutti gli elementi grafici e segnici che invadono le sinfonie licatiane.

Ma quando dai dipinti ci spostiamo al campo musivo, al mondo atemporalee cristallizzato dei mosaici, ecco che Licata riesce ad aggiungere ancoraqualcosa di più e di diverso. Abituato a trasfondere sulla tela, e ancor più eforse meglio sulla carta, l’intero patrimonio emozionale del suo meraviglia-to e gioioso quotidiano, il maestro, quando si affida al mosaico, si sente ingrado di affrontare anche la storia; non con un mutamento di interessi e diaffascinazioni, non attraverso un cambio di rotta, che lo possa distrarre daisuoi amori, allontanandolo da quell’infinito piacere che egli prova non tantoa descrivere, quanto a testimoniare la realtà. Il suo racconto attraverso letessere musive non assume i connotati dell’epica, mantenendo invece la fre-schezza, la leggerezza e la libertà espressiva del diario. Ma il tempo immo-to della storia, nel mosaico prende il sopravvento sulla caducità e sulla pre-carietà dell’emozione, conferendo a quelle opere una diversa dimensione:quasi esercitando un’azione salvifica, di elevazione e di cristallizzazione del-l’immagine. Lo stesso utilizzo di tessere piuttosto grandi, di una certaampiezza e di un certo spessore, sembra confermare l’intenzione di Licatanel voler occupare spazi importanti, assecondando l’idea ispiratrice in pro-getti formali di grande respiro, e di grande tensione e rilievo plastico: quasia voler lasciare proprio con questi mezzi, proprio attraverso i mosaici, testi-monianze possenti e indelebili del proprio passaggio nella storia dell’arte.Pensiamo ai mosaici di Genova, di Lille, di Grenoble, all’ultimo, quello diCaorle del Villaggio Sant’Andrea, davvero sontuoso e geniale nella capaci-tà fantastica di rilanciare un messaggio all’attrazione turistica; e infine alprogetto faraonico del mosaico della Pace di Beirut, purtroppo ancora nonrealizzato. In tutte queste opere Licata aggiunge all’inarrivabile abilità nelraccontare le emozioni per immagini, anche un senso di eternità e di sacra-lità, riscontrabile appunto solo nella sua produzione musiva. Per restare,però, sempre Licata, per non smentire, neppure in questi passaggi, la suaquotidiana e insaziabile curiosità, la sua felice partecipazione alle novità ealle invenzioni della vita, egli non cessa di sperimentare nuovi materiali,nuove paste, soluzioni vitree sintetiche con squillanti colorazioni, magariproponendole in piccoli formati. Anche la metafisica sacralità del mosaicodeve, pur sempre, fare i conti con la inesauribile, golosa partecipazione allavita di Riccardo Licata.

Giovanni Granzotto

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1 Franco Batacchi, Licata, arcani alfabeti, catalogo mostra Riccardo Licata, arcani alfabeti: mosaici, sculture,vetri, dipinti, incisioni, Castel Pergine, Pergine Valsugana, 1997.

Riccardo Licata ricopre a tutti gli effetti l’esempio perfetto, quasi lo stereo-tipo, di quel che fin da tempi lontanissimi è definito artista “a tutto tondo”.Senza prediligere una tecnica ad un’altra persegue un disegno creativocompleto, dove i vari strumenti pratici non sono altro che mezzi per diffon-dere, nel modo più ampio e variato, la propria vena artistica e la propriavisione del mondo. Mezzi che appunto gli permettono di raggiungere, nellaloro completezza, quasi ogni tipo di sensibilità, suscitando di conseguenzal’interesse, o perlomeno l’attenzione, di una parte molto estesa di pubblicoe addetti ai lavori. L’articolato linguaggio segnico-simbolico, l’elegante eimprevedibile equilibrio nella composizione e l’energia dei moti interiori,sono veicolati, alternativamente e senza preferenze, dal disegno, dalla pittu-ra sui più svariati materiali, dall’incisione in tutte le sue derivazioni, dallascultura, dai rilievi in bronzo e vetro, dagli arazzi, dai gioielli e dal mosaico,tecnica particolarmente significativa nella sua storia professionale e nel-l’esperienza accademica. Licata non imbriglia la sua arte in soffocanti recin-ti, non considera una musa seconda ad un’altra, tutte ricoprono, con inge-nuo e genuino ammaliamento, la stessa importanza; come traspare esplici-tamente dalle parole del maestro in una recente intervista: «Per quanto miriguarda, dipinti e mosaici hanno la medesima importanza, così come gliacquarelli o le incisioni; non le considero arte maggiore o minore come ledefiniva una certa critica deficiente. I mosaici per me sono eccezionalmen-te interessanti»1. Il suo rapporto nei confronti dell’arte, così come di ogniaspetto della vita quotidiana, è tutt’altro che schizzinoso o elitario, Riccardoè aperto verso ogni tipologia di derivazione creativa, è affamato di esperien-za e conoscenza: apprezza, gioisce e inventa senza sosta e senza preclusio-ni, nel lavoro esattamente come nella consuetudine di ogni giorno.Stilata questa doverosa premessa sull’approccio licatiano verso il mondoartistico, e in senso metaforico anche verso il mondo reale, arriviamo ora adanalizzare il rapporto con il mosaico, la storia di una vita, di un percorsocreativo, appunto attraverso questa complessa e sempre più desueta tecni-ca. Fin dal suo primo approccio professionale verso l’arte, avvenuto già sul

RICCARDO LICATA, LA STORIA DEL MOSAICO CONTEMPORANEO

1 La mia seconda giovinezza, intervista di Giovanni Granzotto a Riccardo Licata, «Arte In», n. VI, Mestre(VE), 2012.

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finire degli anni Quaranta, Licata dimostra una febbrile voglia di sperimen-tare che nel 1957 lo porterà fino a Parigi, grazie ad una borsa di studio otte-nuta per esplorare nuove tecniche incisiorie. In questa effervescente città,non mancheranno le occasioni di conoscere e di farsi conoscere, tanto chenello stesso anno le sue abilità lo porteranno, a soli 28 anni, ad assistereGino Severini nell’insegnamento presso l’École d’Art Italienne. A queltempo la preparazione e le capacità del giovane nel procedimento musivoerano cose già assodate, causa un singolare episodio: nel 1954 il comune diGenova indice un bando di concorso per la realizzazione di una serie dimosaici che dovranno andare a decorare l’interno del Palazzo del RegioneLiguria. Partecipa al concorso, però si trova indeciso se presentare un pro-getto astratto o figurativo e il regolamento ammette un solo progetto perartista. Licata, per fuggire da questo impedimento, s’inventa uno pseudoni-mo e prende parte comunque alle selezioni con due differenti lavori che sicollocheranno primo e secondo in graduatoria. Nonostante questa vivacemacchinazione la commissione decide di affidargli soltanto la realizzazionedei dieci mosaici figurativi, tutt’oggi visibili presso il palazzo.Dopo aver ampiamente dimostrato le sue doti tecniche al fianco del maestroSeverini, nel 1961 gli viene assegnato l’incarico di docente di mosaico pres-so École Nationale de Paris, dove insegnerà fino al 1995. Tra le svariatecreazioni musive di respiro monumentale, oltre al già citato Palazzo diGenova, ricordiamo quelle di Lille nel 1970, di Bourgoin-Jailleau nel 1980,di Sault les Rethel nel 1981, di Perpignan nel 1983, di Monza nel 1986, diCerrina nel 1987, di Gattinara nel 1988, di Sarcelles nel 1991 e nel 2008, diGrenoble nel 1991, di Caorle nel 2006. La creazione licatiana per così dire “tradizionale” (disegno, pittura, incisio-ne) è caratterizzata da una singolare, e quasi unica, facilità nell’esecuzione:il Licata-disegnatore, ad esempio, s’immerge a capofitto nella carta e, assor-to nella sua attività quasi in uno stato di trance, muove serratamene matite epastelli sulla superficie e in maniera quasi automatica compone, modifica esovrappone vari piani prospettici, trasferendo di getto, impulsivamente econ gran rapidità, le sue impressioni, i resoconti, le assonanze musicali, inuna mirabile composizione pittorica. Quando si passa al mosaico, l’aspettoistintivo deve irrimediabilmente venire a mancare, causa le caratteristichespecifiche del procedimento di realizzazione, che richiede per definizionemolto tempo e pazienza, nonché la disponibilità di determinati materiali espazi. Per tali motivi diventa necessario veicolare il messaggio e il senso ulti-mo dell’opera attraverso specificità differenti: la poetica di Licata si fregia

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infatti di numerose peculiarità presenti contemporaneamente, o in manieraalternata: se l’elemento più spontaneo e passionale viene a mancare, l’artistadecide di sopperire a questo concentrandosi con pacato vigore sui cardini,sempre fondamentali, della decorazione e della sintesi. Con il termine “deco-razione” non intendo riferirmi al significato ordinario che fa capo al comu-ne ornamento degli ambienti, piuttosto ad uno spirito artistico nobile e ricer-cato che prende forma e ispirazione dalla più alta tradizione bizantina, indis-solubilmente legata al mosaico. Secondo questa visione tende dunque arivolgere i propri sforzi verso una ricerca cromatica preziosa, basata solita-mente su poche tinte primarie che si alternano in maniera mai banale, i colo-ri saturi contrastano apertamente con quelli spenti ma l’ordine è sempreinterrotto a tratti, da geniali accostamenti tono su tono; anche le proprietàdei materiali utilizzati acuiscono elegantemente la gradazione e il rapportotra i colori, mediante la differenza di luminosità tra lucido e opaco.Seguitando su questo aspetto, l’ordinamento dell’opera è fornito da un regi-stro semplice, che predilige un numero ristretto di elementi chiari e ben defi-niti, disposti comunque su livelli differenti, che permettono di dare originead un equilibrio strutturale spontaneo ma non scontato. A completare taleconcetto di decorazione perviene un minuzioso lavoro di finitura e cesella-mento, riscontrabile in ogni fase di lavorazione, dalla scelta al taglio dellepietre, fino alla posa di queste e alle modalità di lucidatura. Il segno utilizzato assume ora qualità differenti da quello presente in pittu-ra: perde le articolate sfaccettature e l’energia vibrante, diventando piùampio a causa dei vincoli tecnici, conseguentemente si fa maestoso, quasisolenne. In particolar modo, le relazioni e il dialogo che si vengono a crearetra i diversi elementi, sono notevolmente semplificati e la composizione fina-le acquisisce un grado di sintesi mirabile, raramente presente in prove diffe-renti, visivamente chiaro e immediato, ma molto complesso da raggiungere.In questa maniera la varietà dell’alfabeto licatiano subisce una notevole ridu-zione e il segno, in precedenza parte elementare di una strutturata corrispon-denza, conquista un marcato valore simbolico. Questo rinnovato segno-sim-bolo tende dunque a fuggire dallo status di “lettera” e diventa, anche se soli-tario, parte fondamentale del messaggio conquistando una maggiore autono-mia e, soprattutto grazie alla capacità evocativa di cui è ora portatore, rico-pre allo stesso tempo il ruolo di significante e significato. In questo contestola portata legata all’evocazione è di importanza fondamentale e a tal propo-sito considero di particolare rilevanza il pensiero di Franco Batacchi, valen-te artista, critico militante e carissimo amico di Licata: «I segni di Licata, così

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2 Franco Batacchi, Licata, arcani alfabeti, cit.

tipici e immediatamente riconducibili al suo autore, ci sembrano ripetibili main realtà sono sempre differenti ed appartengono a svariate famiglie. Alcunipossono ricordare i pittogrammi cretesi […] o quelli ittiti ritrovati in Siria[…]. Altri segni ricordano la scrittura della valle dell’Indo, così incredibil-mente simile a quella trovata sull’Isola di Pasqua (civiltà distanti 3000 annie 20.000 kilometri!). Quest’ultima ha lasciato alcuni legni parlanti, veri ante-signani delle xilografie […]. Anche la scrittura cinese è collegabile al lessicodi Licata: composta da decine di migliaia di segni, consente tuttora nuovepossibili combinazioni […] la scrittura dell’artista è duttile, variabile, lonta-na da stereotipi. È una lingua in continuo divenire, che si appoggia al colo-re e allo spazio, evoca il suono. Ogni frase può essere pronunciata una voltasola perché non serve a descrivere od evocare immagini, oggetti, concettinoti, bensì realtà e verità del tutto personali»2.Come la pittura, anche la produzione musiva di Licata, subisce un energicoe vitale cambio di tendenza negli ultimi anni che vede in primo piano unavariazione cromatica indirizzata verso tinte accese e sgargianti. Il costituen-te grafico assume connotati meno frenetici, conquistando una leggerezza euna serenità raramente presenti in passato, peculiarità raggiunte di certograzie alla saggezza e all’esperienza accumulata negli anni, ma che stridonoapparentemente con i colori forti e il cesellamento decorativo quasi mania-cale. In realtà questi elementi riescono a trovare una perfetta armonia nelbilanciamento dell’opera, dando luogo ad un ciclo creativo incredibilmentefresco e gioioso, il cui fine ultimo non è più quello di raccontare una storiaarticolata o di imprimere un momento musicale sulla tela, ma quello di stu-pire positivamente, di giocare, di fermare per sempre un attimo di serenità.Appare dunque evidentemente unica e straordinaria la capacità di rinasce-re, o meglio, di rifiorire, presente in Riccardo Licata, che, con l’assennattez-za da ultraottantenne e la curiosità ingenua di un bambino, è stato in gradodi infondere nuova vita ad uno stile inventato oltre sessant’anni addietro,per mezzo di composizioni a tratti decorative, a tratti pop, a tratti violentema sempre in grado di apparire attuali.Con questa mostra, che trova sede privilegiata a Ravenna, capitale mondia-le del mosaico, s’intende concentrare finalmente l’attenzione su una produ-zione di nicchia, e poco conosciuta dal grande pubblico, di un maestro notoormai in tutto il mondo per le sue opere pittoriche. È questa l’occasione percomprendere a fondo, proprio attraverso il confronto e le esplicite relazio-

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ni tra quadri e mosaici, l’importanza su fronti differenti e la duttilità chel’opera di Licata ha ricoperto, e ricopre tutt’ora, nell’universo artistico dalDopoguerra ad oggi. Anche se internazionalmente osannato come mosaici-sta e grande insegnante di questa materia, la conoscenza diretta e la fruizio-ne di tale produzione è sempre rimasta esclusiva degli addetti ai lavori o deipiù attenti ammiratori; con questa esposizione rimane viva la speranza chesi diffonda la cultura e la familiarità del mosaico inteso come forma d’artecontemporanea, proprio grazie a Riccardo Licata, sicuramente uno deimaggiori rappresentanti. Di particolare interesse e di fondamentale impor-tanza per comprendere la portata e l’intorno del mosaico nell’arte coeva,appare il confronto, che si articola su fronti differenti, con l’opera di altriartisti. Da un lato troviamo gli amici, illustri colleghi, che, affascinati dal-l’arte musiva, ma non avendo mai avuto modo di praticarla, hanno realizza-to i cartoni preparatori, che sono stati presi a modello dai membri dellescuole di Ravenna e Spilimbergo per la creazione di mosaici. Dall’altraparte troviamo invece le opere di mosaicisti più giovani, alcuni dei qualiallievi di Licata, altri che hanno raccolto gli insegnamenti attraverso laconoscenza delle sue opere; è così possibile seguire l’evoluzione e i paralle-lismi di questa derivazione artistica anche attraverso illustri testimonianze.

Alberto Pasini

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I mosaici parietali che ornano le chiese e i battisteri paleocristiani diRavenna sono la testimonianza artistica più importante di un periodo stori-co particolarmente significativo per la città. Da sempre indagati per gliinterrogativi che ancora suscitano e i molteplici significati che esprimono,continuano a fornire nuove suggestioni e indizi sulla spiritualità, la cultura,la politica e sulla tecnica musiva fiorita fra il V e il VI secolo e che qui haraggiunto esiti di assoluta eccellenza.Il grande fervore edilizio promosso nella città nella seconda metàdell’Ottocento, fra innovazioni e audaci sperimentazioni, condotti in unprimo momento dall’ingegnere capo del Genio Civile Filippo Lanciani esuccessivamente da Corrado Ricci, dopo l’istituzione della Soprintendenza(1897), era mirato al recupero del momento aureo di Ravenna e a riscattar-la dall’immagine di città morta e popolata da fantasmi.Corrado Ricci (1858 - 1934), una delle personalità più complesse della cul-tura italiana tra Ottocento e Novecento, studioso, museologo, storico del-l’arte e primo Soprintendente d’Italia, è il padre fondatore e pioniere diun’impostazione metodologica storico-filologica di ricognizione delle super-fici a mosaico, confluita poi nelle Tavole Storiche dei Mosaici di Ravenna, pub-blicate tra il 1930 e il 1937, realizzate col fondamentale contributo diAlessandro Azzaroni (1857 - 1939) e Giuseppe Zampiga (1860 - 1934).La Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Ravenna,proseguendo con coerenza sul solco tracciato dal Ricci, ha conseguito esitidi grande rilievo, anche attraverso l’attività della Scuola per il Restauro delMosaico operante a Ravenna a partire dagli anni Ottanta. Dalle TavoleStoriche di Ricci si è arrivati quindi (nel corso delle campagne di restauro)alla registrazione ed informatizzazione dei dati che documentano le molte-plici trasformazioni avvenute sulle superfici musive parietali dagli anniTrenta fino ai nostri giorni. Grazie a questi interventi conservativi sonoaumentate esponenzialmente le informazioni e le conoscenze su alcuni par-ticolari aspetti iconografici, sulle tecniche esecutive e sulle problematiche diconservazione e restauro ed è aumentata inoltre la documentazione fotogra-fica e grafica (realizzata anche con l’ausilio di strumentazioni digitali), cheintegra, puntualizza e precisa la documentazione storica.Presso il Museo Nazionale di Ravenna sono esposte alcune opere e testimo-

DALL’ANTICO AL CONTEMPORANEO: DEBITI E CREDITI

nianze documentarie, tratte dagli archivi della Soprintendenza di Ravenna,significative per avvicinarsi alla comprensione e allo studio delle problema-tiche storico-conservative delle decorazioni musive.

LA SINOPIA DA SANT’APOLLINARE IN CLASSE

Tutti conoscono il verdeggiante paradiso mosaicato nell’abside dellaBasilica di Sant’Apollinare in Classe e ricordano che in primo piano si trovail Santo con dalmatica intessuta di api d’oro, e ai lati candidi agnelli simbo-leggianti la comunità dei fedeli. Ma nella sala del Museo Nazionale dedica-ta a Classe la sinopia (disegno preparatorio realizzato con terra rossa) delmosaico mostra una serie di pavoni affrontati a vasi fioriti, elemento chepone al visitatore un quesito: che fine hanno fatto le pecore?Agli inizi degli anni Settanta accadde qualcosa del tutto imprevedibile airestauratori che si apprestavano a distaccare parte dei mosaici del semica-tino destro, pericolanti e disancorati: al di sotto degli strati di intonaco nontrovarono pecore… bensì pavoni affrontati a un vaso. E le pecore? Al primitivo progetto, che prevedeva la rappresentazione dell’albero dellavita adorato da pavoni, in corso d’opera subentrò evidentemente la decisio-ne di optare per un tema più efficace dal punto di vista dottrinale e i pavo-ni… si trasmutarono in pecore.Data l’eccezionalità della scoperta la parte superficiale dei mattoni, con lasoprastante sinopia, venne “strappata”, restaurata, ancorata su di un sup-porto adeguato ed esposta al Museo Nazionale.

IL MOSAICO CON ANGELO DA SAN VITALE

Il lacerto musivo parietale raffigurante il volto di un angelo proviene dallavela sud della volta del presbiterio della Basilica di San Vitale. Il preziosoframmento fu staccato, perché in procinto di crollare, dai mosaicisti-restau-ratori Carlo Novelli e Ildebrando Kibel nel 1885 e sostituito in sito con unacopia realizzata dallo stesso Novelli. L’intervento fu concepito come misuraprovvisoria; infatti già a partire dal 1917 si manifestò l’intenzione di resti-tuire alla chiesa il frammento originario, ma per le vicissitudini più variequesto non fu possibile e l’angelo rimase al Museo Nazionale.Nel 1976 il lacerto musivo venne restaurato dal Gruppo Mosaicistidell’Accademia di Belle Arti di Ravenna: il mosaico, dopo aver eliminato lamalta di allettamento originaria (di cui minime tracce sono presenti fra gliinterstizi delle tessere) fu posto su malta cementizia armata e inserito in untelaio in ottone.

Nel 2008 il mosaico è stato accuratamente indagato e restaurato1: dopo gliapprofondimenti relativi agli aspetti iconografici, iconologici e alle vicendedei restauri pregressi, l’attenzione si è rivolta all’applicazione di nuove tec-nologie d’ausilio all’identificazione e alla conoscenza della materia2.Attraverso un videocomponimento multimediale3 vengono restituite inmaniera accattivante e puntuale le complesse vicissitudini dell’opera dal suodistacco fino agli ultimi studi e interventi: il percorso visuale animato ècostituito da immagini che si affiancano, si sovrappongono, approfondisco-no il livello di dettaglio e mettono in relazione la documentazione storica ed’archivio (foto, rilievi grafici e calchi al vero) con quelle delle recenti inda-gini diagnostiche e degli interventi di conservazione e restauro.

DOCUMENTARE IL RESTAURO. UN VIDEO-ALLESTIMENTO PER AVVICINARSI

AL MOSAICO

Un suggestivo allestimento video, utilizzando le potenzialità delle nuovetecnologie, rende accessibile anche ai non addetti ai lavori, la complessadocumentazione del restauro delle straordinarie decorazioni musive dellaBasilica di Sant’Apollinare Nuovo e del Battistero Neoniano4.L’allestimento video, realizzato in multivisione, è costituito dall’unione ditre videoproiettori sospesi che compongono in modo flessibile e variabile datre a sei distinti quadri di proiezione lungo un’ampia porzione della paretebianca della sala espositiva. L’intero videocomponimento appare come ununicum dinamico e articolato, un percorso visuale animato fra immagini sto-riche, foto di cantiere, immagini derivanti da indagini diagnostiche, elabo-razioni di documentazione grafica, che di volta in volta si affiancano, si

1 Il mosaico è stato restaurato dalla Scuola di Alta Formazione per il Restauro del Mosaico di Ravenna,sezione distaccata dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.2 Accanto alle tradizionali indagini fotografiche e spettrofotometriche, interessante è risultata l’applica-zione di strumenti come il Laser Scanner 3D e la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), tecnichegià sperimentate in alcuni settori del campo artistico e archeologico. L’applicazione delle tradizionalianalisi chimiche (diffrattometria e analisi termica) alla malta di allettamento del mosaico, ha avvaloratol’ipotesi, già sostenuta da Corrado Ricci e da Giuseppe Gerola, secondo cui il frammento musivo è frut-to di un rifacimento antico posteriore alla redazione originaria del VI secolo.3 Il videocomponimento, prodotto e curato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici ePaesaggistici di Ravenna, è stato realizzato dalla p-bart.com.4 Il video allestimento Documentare il restauro è stato prodotto dalla Soprintendenza per i BeniArchitettonici e Paesaggistici di Ravenna, Scuola per il Restauro del Mosaico di Ravenna. Produzionevideo: p-bart.com. Visual design: Francesco Borghesi. Assistenza alla produzione: MassimilianoBorghesi. Video a cura di: Cetty Muscolino, Claudia Tedeschi, Ermanno Carbonara. Con la collabora-zione di: Federica Cavani, Emanuela Grimaldi, Paola Palmiotto. Il video allestimento è fruibile pressole sale espositive del Museo Nazionale di Ravenna nei consueti orari di apertura.

30 31

sovrappongono e approfondiscono il livello di dettaglio suggerendo associa-zioni e nuovi livelli di lettura. Completa l’allestimento una grande cupolasospesa del diametro di tre metri, sotto la quale è possibile osservare visio-ni storiche, contemporanee e alcune animazioni grafiche che documentanoi più rilevanti interventi di restauro che hanno interessato l’impianto musi-vo della cupola del Battistero Neoniano. Grazie a questo allestimento videol’utente ha l’opportunità di vedere dettagli delle decorazioni musive difficil-mente fruibili nei monumenti perché troppo lontani.

I CARTONI PITTORICI

Durante lo svolgimento dei lavori di restauro all’interno dei monumenti, neldelicato momento storico in cui si affermava una rigorosa impostazione filo-logica, più che mai importante era la scelta di collaboratori capaci di coniu-gare sensibilità artistica e abilità tecnica.Alessandro Azzaroni e Giuseppe Zampiga, formatisi presso l’Accademia diBelle Arti di Ravenna, di cui divennero docenti, operarono a stretto contattosotto la guida di Corrado Ricci e dei soprintendenti che lo seguirono, nelrestauro del patrimonio musivo ravennate acquistando nel tempo e nellacostante presenza nei cantieri, una profonda conoscenza e una familiarità conle tecniche esecutive i materiali delle decorazioni musive. Realizzarono anchenumerosi rilievi tecnici (con appunti, annotazioni, misure e osservazioni checonfluirono poi nelle Tavole Storiche corredate dai testi di Corrado Ricci),schizzi a matita, rilievi a china acquerellati e cartoni pittorici.Tra i vari generi di riproduzioni della decorazione musiva un’attenzione par-ticolare meritano, per la grande valenza estetica oltre che documentaria, icosiddetti cartoni pittorici o calchi al vero, realizzati su carta. La consuetudi-ne dei mosaicisti-restauratori di tradurre in copie pittoriche alcuni particola-ri significativi della decorazione mosaicata rappresenta un importante docu-mento da cui è possibile ricavare anche informazioni dei cambiamenti avve-nuti nel tempo e parimenti si tratta di una tecnica di riproduzione della real-tà estremamente dettagliata e particolarmente preziosa, soprattutto perl’aspetto cromatico ma non solo, in un momento storico in cui la tecnica foto-grafica aveva grossi limiti nel restituire questo genere di dettagli. I cartoni pit-torici costituiscono infatti vere e proprie copie in scala reale e rilevano l’esat-ta posizione, gli andamenti e la cromia di tutte le tessere musive utilizzate.Nell’analisi dei mosaici parietali realizzati a Ravenna fra il V e il VI secoloè di vitale importanza registrare le diverse inclinazioni delle tessere sullamalta, la loro morfologia e i differenti materiali impiegati, vale a dire tutte

quelle connotazioni musive che caratterizzano il risultato finale, mostrandoi caratteri stilistici dell’opera e rivelando la mano del mosaicista. I cartonimusivi inoltre hanno assolto, e tuttora assolvono, una fondamentale funzio-ne didattica presso gli istituti d’arte della città5.

La genesi dei mosaicisti formatisi nell’ambito di Ravenna si pone proprionel rapporto che questi artisti hanno avuto, a vario titolo, con le stupefacen-ti testimonianze musive parietali della città.È stato infatti per la volontà e la necessità di riparare e conservare questeopere che gli artisti-mosaicisti-restauratori, a partire dai primi delNovecento, hanno dovuto entrare nel corpo dei mosaici per comprenderli erecuperare un’arte che si era perduta nel tempo.Solo da una profonda e intima conoscenza (e l’esperienza del restauro,come la realizzazione di un cartone pittorico sono formidabili strumenti dipenetrazione e interiorizzazione del mosaico) può infatti scaturire la possi-bilità di andare oltre. Quindi appare evidente come il restauro e l’approcciodiretto con i mosaici del V e VI secolo, sia stata per molti artisti la via regiaper comprendere lo spirito del mosaico antico e acquisirne la magistralelezione per poi declinarla liberamente là dove li spinge l’estro creativo.

Cetty Muscolino

5 Nell’archivio della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Ravenna sono conser-vate alcune lettere nelle quali il mosaicista Giuseppe Zampiga chiede di poter disporre dei cartoni pit-torici già realizzati e di poterne produrre di nuovi, allo scopo di corredare il patrimonio didattico per glistudenti dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna.

32 33

MUSEO NAZIONALE DI RAVENNAOPERE

I. Sinopiadalla Basilica di Sant’Apollinare in Classe, VI secolo

Museo Nazionale di Ravenna, Sala della sinopiaII. La scoperta della sinopia

durante i restauri della decorazione musiva di Sant’Apollinare in Classe

IV. Angelomosaico dalla Basilica di San Vitale, VI secolo

Museo Nazionale di Ravenna, Sala delle transenne

V. Veduta del presbiterio di San Vitale (pagine successive)(da cui è tratto il frammento del mosaico IV)

III. Calco al vero de “La samaritana al pozzo”della decorazione musiva della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, inizi XX secolo

VII. ALESSANDRO AZZARONI

Calco al vero di un trono della decorazione musiva della cupola del Battistero Neoniano, inizi XX secolo

VI. GIUSEPPE ZAMPIGA

Calco al vero di un leggio con il Vangelo secondo Giovanni della decorazione musiva della cupola del Battistero Neoniano, inizi XX secolo

RICCARDO LICATAPITTURE

1. Senza titolo1954, tecnica mista su carta intelata, cm 60 x 50

2. Senza titolo1956, olio su tela, cm 62 x 92

3. Senza titolo1956, tecnica mista su carta, cm 60 x 90

4. Senza titolo1956, olio su tela, cm 65 x 80

5. Senza titolo1958, olio su tela, cm 100 x 100

6. Giudice1960, tempera su carta, cm 65 x 65

7. Giudici1960, olio su carta intelata, cm 150 x 160

8. Il giudice1960, olio su tela, cm 60 x 56

9. Senza titolo1963, tecnica mista su tela, cm 65 x 50

10. Situazione1965, olio su tela, cm 115 x 89

11. Peinture BV711971, tecnica mista su tela, cm 89 x 116

12. Senza titolo1973, olio su tela, cm 150 x 200

13. Senza titolo1975, tempera su tela, cm 81 x 60

14. Senza titolo1980, tempera su tela, cm 60 x 81

15. Composizione1985, olio su tela, cm 90 x 70

16. Barcellona1989, tecnica mista su tela, cm 70 x 70

17. Ritratto di Giovanni1997, tecnica mista su tela, cm 81 x 100

18. Sicilia2005, tecnica mista su tela, cm 70 x 100

19. Senza titolo2007, olio su tela, diametro cm 120

20. Le nevi sul Mediterraneo2006, olio su tela, cm 89 x 116

21. Senza titolo2009, tecnica mista su carta, cm 55 x 74

22. Senza titolo2007, carta a mano, cm 68 x 100

23. Senza titolo2007, carta a mano, cm 80 x 94

25. Senza titolo2008, tecnica mista su tela, cm 195 x 130

24. Senza titolo2008, tecnica mista su carta spagnola, cm 65 x 85

27. Senza titolo2010, tecnica mista su tela, cm 130 x 195

26. Senza titolo2010, tecnica mista su tela, cm 98 x 146

28. Italia 1861-20112010, tecnica mista su telacm 98 x 146

29. Senza titolo2010, tecnica mista su tela, cm 100 x 150

30. Senza titolo2011, tecnica mista su tela, cm 100 x 150

32. Senza titolo2011, tecnica mista su tela, cm 100 x 150

31. Senza titolo2011, tecnica mista su tela, cm 114 x 146

33. Senza titolo2011, tecnica mista su telacm 100 x 150

34. Senza titolo2012, tecnica mista su tela, cm 70 x 100

35. Senza titolo2012, tecnica mista su tela, cm 70 x 100

RICCARDO LICATAMOSAICI

36. Mosaico AMN1989, mosaico, cm 45 x 60

37. Mosaico VBN1989, mosaico, cm 70 x 105

38. Introduzione1990, mosaico, cm 200 x 30

40. Mosaico BAN1990, mosaico, cm 70 x 70

39. Mosaico BRM1995, mosaico, cm 53 x 86

41. Amor pungente2000, mosaico, cm 50 x 50opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

42. Senza titolo2005, mosaico, cm 51 x 73

43. Mosaico trittico2002, mosaico, cm 110 x 40 / 110 x 40 / 110 x 40

44. Considerazioni2005, mosaico, cm 71 x 52

45. Senza titolo2009, mosaico, cm 56 x 41

47. Nuvole e Sole2010, mosaico, cm 57 x 42

46. Nuvole2010, mosaico, cm 80 x 60

48. Bella Giornata2010, mosaico, cm 80 x 60

50. Architettura2010, mosaico, cm 99 x 74

49. Discorsi2010, mosaico, cm 53 x 78

AUTORI VARIPITTURE E MOSAICI

52. AFRO

Discanto1952, tecnica mista su tavola, cm 150 x 90

51. AFRO

Città1952, tecnica mista su tavola, cm 27 x 10 / 27 x 10

53. HENRY-NOËL AUBRY

Trace XXVI2010, mosaico, cm 70 x 70

54. GIULIANO BABINI

Autoritratto con grande orecchio2012, mosaico, cm 38 x 44,5

55. VITTORIO BASAGLIA

Il Filo di Arianna1999, mosaico, cm 50 x 50opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

56. MIRKO BASALDELLA

Composizionefine anni ‘50, pastello su carta, cm 40 x 30

57. FRANCO BATACCHI

La danza del fuoco n. 21995, mosaico e affresco, cm 49 x 36

58. MARCO BRAVURA

Arazzo nero1990, mosaico, cm 95 x 154

59. CACO3

Movimento n. 272012, mosaico, calcare e malta su pannello a nido d’ape e ferro, cm 52 x 42 x 5

60. CACO3

Movimento n. 282012, mosaico, calcare e malta su pannello a nido d’ape e ferro, cm 52 x 42 x 5

61. CACO3

Movimento n. 292012, mosaico, calcare e malta su pannello a nido d’ape e ferro, cm 52 x 42 x 5

62. GIUSEPPE CAPOGROSSI

Superficie 1031954, olio su tela, cm 200 x 165

64. GIORGIO CELIBERTI

Tessera Etrusca1999, mosaico, cm 50 x 43

opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

63. GIORGIO CELIBERTI

397 V. B. terzo livello1992, affresco su tavola, cm 123 x 147

66. CARLO CIUSSI

Senza titolo 11998, mosaico, cm 50 x 50

opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

65. CARLO CIUSSI

Composizione1973, olio su tela, diametro cm 71

68. MARIO DELUIGI

Grattage1965, olio e tecnica mista su tavola, cm 70 x 80

67. MARCO DE LUCA

Cipresso2010, mosaico, cm 220 x 130 x 26

69. PIERO DORAZIO

Garbino1990, olio su tela, cm 70 x 165

70. PIERO DORAZIO

Bleu2000, mosaico, cm 50 x 66

opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

71. ENNIO FINZI

Architettura del colore nero1999, mosaico, cm 50 x 50opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

72. GIOVANNA GALLI

XY2010, mosaico, cm 70 x 70

73. VERDIANO MARZI

Grimace2008, mosaico, cm 48 x 44

74. VERDIANO MARZI

Silenzio2008, mosaico, cm 48 x 44

76. MIMMO PALADINO

Senza titolo2007, mosaico edizione 9/12, cm 75 x 75

75. MIMMO PALADINO

Senza titolo2003, tecnica mista su tela, cm 75 x 83

77. MIMMO PALADINO

Senza titolo2010, mosaico edizione 20/28, cm 45 x 40

78. MIMMO PALADINO

Senza titolo2010, mosaico edizione 7/28, cm 40 x 30

79. ARMANDO PIZZINATO

Gabbiani1976, olio su tela, cm 50 x 70

80. ARMANDO PIZZINATO

Vento di primavera1999, mosaico, cm 50 x 50

opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

81. PAOLO RACAGNI

Porta2007, mosaico, cm 100 x 100

82. BRUNO SAETTI

Maternità1949, olio su tavola, cm 55 x 45

83. GIUSEPPE SANTOMASO

Senza titolo1953, olio su tela, cm 150 x 120

85. GINO SEVERINI

Poste di Alessandria1936-1938, mosaico, cm 118 x 3800

84. GINO SEVERINI

Ballet à l’Opéra. Lumière et mouvement1952-1953, olio su tela, cm 116 x 81

86. EMILIO VEDOVA

Senza titolo1961, pittura su tela riportata su tavola, cm 119 x 119

87. GIUSEPPE ZIGAINA

Interrogatorio1973, olio su tela, cm 113 x 145

88. GIUSEPPE ZIGAINA

Mio padre e l’occhio1999, mosaico, cm 50 x 50

opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

MARPITTURE E MOSAICI

89. AFRO

Senza titolo1954, tecnica mista su carta, cm 183 x 90

90. RENATO SIGNORINI

Senza titolo1955, mosaico, cm 182 x 89

91. MIRKO BASALDELLA

Senza titolo1954-1958, pastello su carta nera, cm 212 x 90

92. ANTONIO ROCCHI

Senza titolo1958-1959, mosaico, cm 217 x 94

93. GIUSEPPE CAPOGROSSI, INES MORIGI BERTI

Senza titolo1956-1959, mosaico, cm 119 x 199

94. BRUNO SAETTI

Senza titolo1956-1958, tecnica mista su carta, cm 196 x 136

95. RENATO SIGNORINI

Senza titolo1958-1959, mosaico, cm 196 x 140

96. GIUSEPPE SANTOMASO

Senza titolo1956-1958, tecnica mista su carta, cm 102 x 151

97. ROMOLO PAPA

Senza titolo1958-1959, mosaico, cm 105 x 154

98. EMILIO VEDOVA

Senza titolo1957, tecnica mista su carta, cm 204 x 90

99. ISLER MEDICI

Senza titolo1957-1959, mosaico, cm 204 x 94

ELENCO TAVOLE

I. Sinopiadalla Basilica di Sant’Apollinare in ClasseVI secoloMuseo Nazionale di RavennaSala della sinopia

II.La scoperta della sinopia durante i restauri della decorazione musivadi Sant’Apollinare in Classe

III. Calco al vero de “La samaritana al pozzo”della decorazione musiva della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, inizi XX secoloI II

IV V VI

VII

III

IV. Angelomosaico dalla Basilica di San VitaleVI secolo Museo Nazionale di RavennaSala delle transenne

V. Veduta del presbiterio di San Vitale(da cui è tratto il frammento del mosaico III)

VI. GIUSEPPE ZAMPIGA

Calco al vero di un leggio con il Vangelo secondo Giovanni della decorazione musiva della cupoladel Battistero Neoniano, inizi XX secolo

VII. ALESSANDRO AZZARONI

Calco al vero di un trono della decorazione musiva della cupola del Battistero Neoniano, inizi XX secolo

13. RICCARDO LICATA

Senza titolo1975, tempera su telacm 81 x 60

14. RICCARDO LICATA

Senza titolo1980, tempera su telacm 60 x 81

15. RICCARDO LICATA

Composizione1985, olio su telacm 90 x 7013 14 15

16 17 18

19 20 21

22 23 24

22. RICCARDO LICATA

Senza titolo2007, carta a manocm 68 x 100

23. RICCARDO LICATA

Senza titolo2007, carta a manocm 80 x 94

24. RICCARDO LICATA

Senza titolo2008, tecnica mista su carta spagnolacm 65 x 85

16. RICCARDO LICATA

Barcellona1989, tecnica mista su telacm 70 x 70

17. RICCARDO LICATA

Ritratto di Giovanni1997, tecnica mista su telacm 81 x 100

18. RICCARDO LICATA

Sicilia2005, tecnica mista su telacm 70 x 100

19. RICCARDO LICATA

Senza titolo2007, olio su teladiametro cm 120

19. RICCARDO LICATA

Le nevi sul Mediterraneo2006, olio su telacm 89 x 116

21. RICCARDO LICATA

Senza titolo2009, tecnica mista su cartacm 55 x 74

1. RICCARDO LICATA

Senza titolo1954, tecnica mista su carta intelatacm 60 x 50

2. RICCARDO LICATA

Senza titolo1956, olio su telacm 62 x 92

3. RICCARDO LICATA

Senza titolo1956, tecnica mista su cartacm 60 x 901 2 3

4 5 6

7 8 9

10 11 12

10. RICCARDO LICATA

Situazione1965, olio su telacm 115 x 89

11. RICCARDO LICATA

Peinture BV711971, tecnica mista su telacm 89 x 116

12. RICCARDO LICATA

Senza titolo1973, olio su telacm 150 x 200

4. RICCARDO LICATA

Senza titolo1956, olio su telacm 65 x 80

5. RICCARDO LICATA

Senza titolo1958, olio su telacm 100 x 100

6. RICCARDO LICATA

Giudice1960, tempera su cartacm 65 x 65

7. RICCARDO LICATA

Giudici1960, olio su carta intelatacm 150 x 160

8. RICCARDO LICATA

Il giudice1960, olio su telacm 60 x 56

9. RICCARDO LICATA

Senza titolo1963, tecnica mista su telacm 65 x 50

37. RICCARDO LICATA

Mosaico VBN1989, mosaicocm 70 x 105

38. RICCARDO LICATA

Introduzione1990, mosaicocm 200 x 30

39. RICCARDO LICATA

Mosaico BRM1995, mosaicocm 53 x 8637 38 39

40 41 42

43 44 45

46 47 48

46. RICCARDO LICATA

Nuvole2010, mosaicocm 80 x 60

47. RICCARDO LICATA

Nuvole e Sole2010, mosaicocm 57 x 42

48. RICCARDO LICATA

Bella Giornata2010, mosaicocm 80 x 60

40. RICCARDO LICATA

Mosaico BAN1990, mosaicocm 70 x 70

41. RICCARDO LICATA

Amor pungente2000, mosaicocm 50 x 50opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

42. RICCARDO LICATA

Senza titolo2005, mosaicocm 51 x 73

43. RICCARDO LICATA

Mosaico trittico2002, mosaicocm 110 x 40 / 110 x 40 / 110 x 40

44. RICCARDO LICATA

Considerazioni2005, mosaicocm 71 x 52

45. RICCARDO LICATA

Senza titolo2009, mosaicocm 56 x 41

25. RICCARDO LICATA

Senza titolo2008, tecnica mista su telacm 195 x 130

26. RICCARDO LICATA

Senza titolo2010, tecnica mista su telacm 98 x 146

27. RICCARDO LICATA

Senza titolo2010, tecnica mista su telacm 130 x 195 25 26 27

28 29 30

31 32 33

34 35 36

34. RICCARDO LICATA

Senza titolo2012, tecnica mista su telacm 70 x 100

35. RICCARDO LICATA

Senza titolo2012, tecnica mista su telacm 70 x 100

36. RICCARDO LICATA

Mosaico AMN1989, mosaicocm 45 x 60

28. RICCARDO LICATA

Italia 1861-20112010, tecnica mista su telacm 98 x 146

29. RICCARDO LICATA

Senza titolo2010, tecnica mista su telacm 100 x 150

30. RICCARDO LICATA

Senza titolo2011, tecnica mista su telacm 100 x 150

31. RICCARDO LICATA

Senza titolo2011, tecnica mista su telacm 114 x 146

32. RICCARDO LICATA

Senza titolo2011, tecnica mista su telacm 100 x 150

33. RICCARDO LICATA

Senza titolo2011, tecnica mista su telacm 100 x 150

61. CACO3

Movimento n. 292012, mosaico, calcare e malta su pannelloa nido d’ape e ferro, cm 52 x 42 x 5

62. GIUSEPPE CAPOGROSSI

Superficie 1031954, olio su telacm 200 x 165

63. GIORGIO CELIBERTI

397 V. B. terzo livello1992, affresco su tavolacm 123 x 14761 62 63

64 65 66

67 68 69

70 71 72

70. PIERO DORAZIO

Bleu2000, mosaicocm 50 x 66opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

71. ENNIO FINZI

Architettura del colore nero1999, mosaicocm 50 x 50opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

72. GIOVANNA GALLI

XY2010, mosaicocm 70 x 70

64. GIORGIO CELIBERTI

Tessera Etrusca1999, mosaicocm 50 x 43opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

65. CARLO CIUSSI

Composizione1973, olio su teladiametro cm 71

66. CARLO CIUSSI

Senza titolo 11998, mosaicocm 50 x 50 opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

67.MARCO DE LUCA

Cipresso2010, mosaicocm 220 x 130 x 26

68. MARIO DELUIGI

Grattage1965, olio e tecnica mista su tavolacm 70 x 80

69. PIERO DORAZIO

Garbino1990, olio su telacm 70 x 165

49. RICCARDO LICATA

Discorsi2010, mosaicocm 53 x 78

50. RICCARDO LICATA

Architettura2010, mosaicocm 99 x 74

51. AFRO

Città1952, tecnica mista su tavolacm 27 x 10 / 27 x 10 49 50 51

52 53 54

55 56 57

58 59 60

58.MARCO BRAVURA

Arazzo nero1990, mosaicocm 95 x 154

59. CACO3

Movimento n. 272012, mosaico, calcare e malta su pannelloa nido d’ape e ferro, cm 52 x 42 x 5

60. CACO3

Movimento n. 282012, mosaico, calcare e malta su pannelloa nido d’ape e ferro, cm 52 x 42 x 5

52. AFRO

Discanto1952, tecnica mista su tavolacm 150 x 90

53. HENRY-NOËL AUBRY

Trace XXVI2010, mosaicocm 70 x 70

54. GIULIANO BABINI

Autoritratto con grande orecchio2012, mosaicocm 38 x 44,5

55. VITTORIO BASAGLIA

Il Filo di Arianna1999, mosaicocm 50 x 50opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

56. MIRKO BASALDELLA

Composizionefine anni ‘50, pastello su cartacm 40 x 30

57. FRANCO BATACCHI

La danza del fuoco n. 21995, mosaico e affrescocm 49 x 36

85. GINO SEVERINI

Poste di Alessandria1936-1938, mosaicocm 118 x 3800

86. EMILIO VEDOVA

Senza titolo1961, pittura su tela riportata su tavolacm 119 x 119

87. GIUSEPPE ZIGAINA

Interrogatorio1973, olio su telacm 113 x 14585 86 87

88 89 90

91 92 93

94 95 96

94. BRUNO SAETTI

Senza titolo1956-1958, tecnica mista su cartacm 196 x 136

95. RENATO SIGNORINI

Senza titolo1958-1959, mosaicocm 196 x 140

96. GIUSEPPE SANTOMASO

Senza titolo1956-1958, tecnica mista su cartacm 102 x 151

88. GIUSEPPE ZIGAINA

Mio padre e l’occhio1999, mosaicocm 50 x 50opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

89. AFRO

Senza titolo1954, tecnica mista su cartacm 183 x 90

90. RENATO SIGNORINI

Senza titolo1955, mosaicocm 182 x 89

91.MIRKO BASALDELLA

Senza titolo1954-1958, pastello su carta neracm 212 x 90

92. ANTONIO ROCCHI

Senza titolo1958-1959, mosaicocm 217 x 94

93. GIUSEPPE CAPOGROSSI

INES MORIGI BERTI

Senza titolo1956-1959, mosaicocm 119 x 199

73. VERDIANO MARZI

Grimace2008, mosaicocm 48 x 44

74. VERDIANO MARZI

Silenzio2008, mosaicocm 48 x 44

75. MIMMO PALADINO

Senza titolo2003, tecnica mista su telacm 75 x 8373 74 75

76 77 78

79 80 81

82 83 84

82. BRUNO SAETTI

Maternità1949, olio su tavolacm 55 x 45

83. GIUSEPPE SANTOMASO

Senza titolo1953, olio su telacm 150 x 120

84. GINO SEVERINI

Ballet à l’Opéra. Lumière et mouvement1952-1953, olio su telacm 116 x 81

76.MIMMO PALADINO

Senza titolo2007, mosaico edizione 9/12cm 75 x 75

77. MIMMO PALADINO

Senza titolo2010, mosaico edizione 20/28cm 45 x 40

78. MIMMO PALADINO

Senza titolo2010, mosaico edizione 7/28cm 40 x 30

79. ARMANDO PIZZINATO

Gabbiani1976, olio su telacm 50 x 70

80. ARMANDO PIZZINATO

Vento di primavera1999, mosaicocm 50 x 50opera musiva realizzata dalla Scuola Mosaicisti del Friuli, Spilimbergo, Italia

81. PAOLO RACAGNI

Porta2007, mosaicocm 100 x 100

APPARATI

97. ROMOLO PAPA

Senza titolo1958-1959, mosaicocm 105 x 154

98. EMILIO VEDOVA

Senza titolo1957, tecnica mista su cartacm 204 x 90

99. ISLER MEDICI

Senza titolo1957-1959, mosaicocm 204 x 94 97 98 99

LEI È CRESCIUTO IN UN CONTESTO FAMIGLIARE ESTREMAMENTE RICCO DI STIMOLI E CAMBIAMENTI,CREDO DETERMINANTI PER COMPRENDERE OGGI LA SUA MOLTITUDINE ESPRESSIVA. LE VA DI RACCON-TARMI LA SUA VICENDA FAMIGLIARE?Mio padre era già stato sposato; dopo aver conosciuto mia madre decise di prendere la nazionalitàungherese per riuscire a sposarla, visto che in Ungheria, a differenza dell’Italia, il divorzio era permes-so. Si sposarono così nel 1929 a Budapest mentre mia madre era già in mia attesa. Si erano conosciutia Torino in occasione di uno spettacolo al Teatro Regio dove mia madre, con la sua famiglia, aveva unpalco. Quando nacqui a Torino, mio nonno materno, importante banchiere, si dichiarò contrario almatrimonio e obbligò mia madre a ritornare in Ungheria per divorziare da mio padre. Inoltre temendorapimenti – all’epoca aveva destato grande scalpore il rapimento del figlio dell’aviatore Lindberg – miononno trasferì me e mia madre in Costa Azzurra. A seguire ci spostammo per un anno a Parigi e poi dinuovo a Torino, dove i miei zii materni, decidettero di far sposare mia madre con un ricco avvocato diTorino.

MA QUESTA È SOLO LA PRIMA PARTE DELLA SUA COMPLESSA VICENDA FAMIGLIARE...Infatti la storia è ben più complessa. A Torino frequentai l’asilo prima di trasferirmi a Roma con il miopatrigno. In quegli anni tutti mi conoscevano per Riccardo Forno, il cognome del marito di mia madre.Ben presto però il matrimonio terminò e con mia mamma andammo a vivere da via Veneto a via delBabuino. Presi così il cognome di mia madre, Cravario. Nel 1945 ci trasferimmo per un anno a Torino.Nel 1946 tornammo a Roma e in quell’occasione rivedetti mio padre e presi il suo cognome: Licata. Miamadre e mio padre cercarono di convivere assieme, ma non funzionò. Nello stesso anno mio padre michiese di raggiungerlo a Venezia al Lido, dove lui abitava e così anche mia madre mi seguì.

LEI DA BAMBINO GIÀ DIMOSTRAVA UNA PREDISPOSIZIONE VERSO IL DISEGNO, REALIZZANDO DEGLI

ALBUM CON DELLE STORIE ILLUSTRATE.Da bambino disegnavo spesso all’interno di album; erano delle specie di racconti, quasi dei fumetti.Erano storie, spesso di guerra, che realizzavo attraverso la mia fantasia in un’età compresa fra gli ottoe i quattordici anni. Erano quaderni che mi accompagnavano sempre durante i miei numerosi viaggi conla mia famiglia. Questo rapporto con questi taccuini, con la carta e i colori dura ancora adesso. Ma inquegli anni realizzavo anche delle sculture in plastilina.

L’INIZIO DELLA SUA CARRIERA ARTISTICA COINCIDE CON IL SUO ARRIVO A VENEZIA...Nell’estate del 1946 quando arrivai al Lido, mio padre mi affidò alle lezioni del giovane professore dilatino e italiano Giuseppe Mazzariol per preparare gli esami di riparazione del liceo scientifico di Romache frequentavo. Mazzariol notò che dipingevo e mi suggerì di iscrivermi al liceo artistico a Venezia.Avevo da poco iniziato a dipingere e mi ero trovato un piccolo studio. Decisi così di iscrivermi al liceoartistico, ma dovevo prepararmi all’esame di ammissione; così Mazzariol mi presentò ad un pittore emosaicista del Lido, Raimondo Scarpa, per colmare le mie lacune. Mazzariol mi insegnava storia del-l’arte, mentre Scarpa disegno e mosaico. Successivamente iniziai a prendere lezioni anche con l’archi-tetto Antonio Salvatori; fu lui che mi fece conoscere l’architettura e la pittura delle avanguardie comeKandisky, Klee, Mies Van Der Rohe e il Bauhaus.

CREDO CHE L’ESPERIENZA MULTIDISCIPLINARE DELLA BAUHAUS, ALLA LUCE DI QUELLO CHE GIÀ FACE-VA E DEI SUCCESSIVI SVILUPPI, SIA STATA UNA LEZIONE ESTREMAMENTE SIGNIFICATIVA?Molto importante; già all’epoca contemporaneamente creavo mosaici, disegnavo, e realizzavo vetri.Erano tutte esperienze che si collegavano alla lezione del Bauhaus, dove coglievo insegnamenti estre-mamente adatti al mio essere.

INTERVISTA A RICCARDO LICATAdi Marco Minuz

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PERTANTO LA CONOSCENZA E L’APPROFONDIMENTO DELLA DISCIPLINA DEL MOSAICO INIZIA FIN DA SUBITO?Certo ero giovanissimo quando iniziai a realizzare mosaici; è una disciplina che mi accompagna da oltresessant’anni e con cui ho raccolto grandi soddisfazioni, basti citare i numerosi mosaici che ho espostoalle Biennali dove sono stato invitato a partecipare.

QUALI SONO STATI I SUI PUNTI DI RIFERIMENTO PER IL MOSAICO?Certamente i mosaici di Ravenna, quelli dell’isola di Torcello e quelli di San Marco di Venezia. Ho sem-pre amato quelli romani più dei bizantini perché sono molto mentali, più astratti e puri.

L’INSEGNAMENTO DELL’ARCHITETTO SALVADORI LE HA FORNITO UNA SENSIBILITÀ PARTICOLARE RISPET-TO ALLA DIMENSIONE SPAZIALE CHE POI HA ASSIMILATO NEI SUOI LAVORI?Lui è stato molto importante perché mi ha insegnato il valore dello spazio e il suo significato più pro-fondo. Lo spazio è diventato così un elemento sempre presente nei miei disegni e dipinti, nelle mie scul-ture e mosaici. Peraltro all’epoca pensavo che il mio destino sarebbe stato quello di diventare architet-to, visto che al tempo il mestiere di artista nemmeno esisteva.

COM’È STATO IL SUO INSERIMENTO NELLA SCENA ARTISTICA VENEZIANA, ATTRAVERSO L’ISCRIZIONE AL

LICEO ARTISTICO DELLA CITTÀ?Molto bello; lì ho incontrato artisti come Bacci, Morandis, Gaspari, Viani, Saetti e soprattutto MarioDeluigi, uomo straordinario, di grande cultura. Le sue lezioni erano bellissime e venivano trasmesse conquella semplicità che appartiene solo ai grandi. Era un grande pittore, uno spazialista ed era molto aper-to al contemporaneo.

LA SUA GRANDE MAESTRIA NELL’USO DEL COLORE CREDO DEBBA MOLTO A DELUIGI CHE LEI HA APPE-NA CITATO.È vero. Avevo un rapporto molto intenso con Mario Deluigi. Mi amava perché ero un ragazzo moltoimpegnato, dedicavo tutto il mio tempo, con dedizione e passione, alla pittura. Pensa che in quegli anni,nonostante la mia giovane età, ero riuscito a realizzare un quadro dalle dimensioni di due metri per quat-tro. Purtroppo quell’opera andò distrutta con l’alluvione del 1951. Avevo da poco finito la mia primapersonale negli spazi delle Bevilacqua La Masa e avevo adagiato tutti i quadri, tra cui questo, per terra.Furono tutti ricoperti dalle acque.

LA VISITA DELLA BIENNALE DEL 1948 IMMAGINO RAPPRESENTÒ UN’OCCASIONE PER APPRENDERE NUOVE

MODALITÀ ESPRESSIVE?Quella Biennale è stata estremamente importante perchè vi erano esposti Picasso, Matisse, Braque e la collezio-ni degli artisti americani di Peggy Guggenheim. La vista dei quadri di Pollock esposti nell’occasione furono perme un colpo molto importante. Quando li ho visti ricordo di aver esclamato: «Che roba!». Si sentiva la forza el’energia nei dipinti di Pollock. Poi c’era Picasso che mi dava sempre entusiasmo e forza nel vederlo e studiarlo.

IN QUEGLI ANNI FARE PITTURA SIGNIFICAVA CONFRONTARSI CON UNA COMPONENTE IDEOLOGICO-POLI-TICA MOLTO FORTE?Certo. Nel 1944 a Roma mi ero iscritto al partito comunista perché, secondo me, nella liberazione icomunisti avevano partecipato maggiormente. Quando però fu pubblicato il famoso articolo di Togliatticontro l’astrattismo decisi di abbandonare il partito. Quell’intervento lo sentivo come una limitazionedella libertà, mentre io sostenevo un’idea di arte votata alla completa apertura e libertà. Decisi così diabbandonare definitivamente la politica, mentre Pizzinato, mio grande amico, rimase con profonda con-vinzione agganciato al partito.

QUALI SONO STATE LE ALTRE FIGURE IMPORTANTI PER LEI IN AMBITO ARTISTICO A VENEZIA?Nel 1950, dopo quattro anni di liceo, mi iscrissi all’Accademia di Belle Arti dove conobbi Saetti. Poic’era Guidi, anche lui grande artista e poeta. Avevo molti rapporti con Santomaso, uomo di gran cultu-ra ed educazione, equilibrato, completamente diverso dal fanatismo che animava la vita e il lavoro diartisti come Vedova. Negli anni Cinquanta conobbi anche Tancredi con cui diventammo grandi amici.

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NEL 1955 EBBE UN IMPORTANTE RICONOSCIMENTO NELL'AMBITO DEL MOSAICO CON L’INCARICO DI REA-LIZZARE UN GRANDE MOSAICO PER IL PALAZZO DEI LAVORI DI GENOVA.Nel 1955 mentre svolgevo il servizio militare realizzai i cartoni, in scala uno a uno, dei centoventi metriquadri per l’esecuzione del mosaico che mi era stato assegnato a seguito di un concorso. In quel concor-so bisognava partecipare in forma anonima. Io partecipai sia con un mosaico figurativo, che poi vinse,sia con un mosaico astratto, che arrivò secondo.

QUAL È UNO DEGLI ASPETTI CHE RENDE COSÌ AFFASCINANTE LA PRATICA DEL MOSAICO?La possibilità d’impiegare tessere di colore puro, in linea con la lezione di Matisse.

IN QUEGLI ANNI LAVORAVA ANCHE CON IL VETRO?Nel 1951 ho iniziato a lavorare anche con il vetro perché mio padre aveva una fabbrica di piselli aMurano vicino alla Chiesa degli Angeli; quando tornavo da scuola incontravo tutti i proprietari dellevetrerie e così divenni amico di Barovier, Seguso, Cenedese. Fu Seguso, mio collezionista, a farmi farei primi vetri incisi.

NELLO STESSO PERIODO INIZIA ANCHE LO STUDIO E LA PRATICA DELLE INCISIONI?Ho iniziato a fare incisioni dagli anni Cinquanta sperimentando tecniche come l’acquaforte, l’acquatin-ta, la punta secca, la cera molle. Mi piacevano tutte le tecniche perché mi permettevano di disegnaredurante i concerti senza fare rumore a differenza della matita che produceva sempre un fruscio fastidio-so. All’epoca seguivo cinque concerti alla settimana. Era la mia grande passione. Era fondamentale, e loè tutt’ora, la musica come fonte d’ispirazione per il mio lavoro.

DOVE NASCEVA QUESTA FORTE VICINANZA VERSO LA MUSICA?Dall’intima necessità di instaurare un rapporto con un’altra disciplina artistica, provvista di poesia esoprattutto libera. Il mio ero uno sforzo per avvicinarmi, con i miei strumenti a disposizione, alla dimen-sione della musica.

LA MUSICA FINÌ COSÌ PER ACQUISIRE, NEL SUO LAVORO, GRANDE IMPORTANZA?All’epoca cercavo di seguire e comprendere la musica per cercare di trascriverla in un segno grafico.Iniziano così a visualizzarsi nel 1952 i miei segni che arrivano a maturazione nel 1954. La musica mi per-metteva, e me lo permette ancora oggi, di togliere il superfluo. La musica mi fornisce il linguaggio.

NEL 1952 VIENE INVITATO A PARTECIPARE ALLA SUA PRIMA BIENNALE D’ARTE DI VENEZIA.Venni invitato dall’Istituto Veneto del Lavoro, che gestiva il Padiglione Venezia, ad esporre le mie inci-sioni, già caratterizzate dalla presenza del mio segno grafico ispirato dalla musica; esposi anche dei vetriincisi e quasi certamente anche un mosaico, realizzato con pezzi di pietra e di vetro recuperati dallediscariche di Murano.

È ESTREMAMENTE INTERESSANTE NOTARE COME ALL’EPOCA L’INCISIONE GODESSE DI GRANDE CREDITO

E RISPETTABILITÀ.All’epoca era presa in grande considerazione perché in essa si coglieva la sua maggiore intimità rispet-to alla pittura, la sua capacità di creare profondità, non solo fisiche ma soprattutto poetiche nel lavoroartistico. Credo molto nell’incisione ed è per questo che continuo ancora oggi a realizzarne molte. Laforza dell’incisione la chiamo io. Pensa che le incisioni esposte alla Biennale d’Arte di Venezia del 1956le feci durante il servizio militare con delle lastre di zinco e dell'acido che poi stampavo a Roma.

VENEZIA IN QUEGLI ANNI BENEFICIAVA DELLA PRESENZA DEL CELEBRE GALLERISTA CARLO CARDAZZO.LEI EBBE DEI RAPPORTI CON CARDAZZO?Io ero amico di suo fratello Renato che abitava al Lido dove abitai fino al 1954 prima di trasferirmi inuno studio alle Zattere. Nel 1956 Carlo Cardazzo, nominato commissario per la Quadriennale di Roma,mi invitò a siglare un contratto in esclusiva con lui, ma non essendo completamente convinto della pro-posta, rinviai la decisione a dopo il servizio militare, che svolsi dal 1955 al 1957. La galleria di Cardazzo,

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Il Cavallino, era un’ottima galleria, ma temevo di rimanere troppo legato ad una sola galleria, com’eraavvenuto per Capogrossi. I quadri volevo farli io quando me la sentivo. Al termine del servizio militareuna serie di avvenimenti, fra cui il fallimento della ditta di mio padre, fece cambiare molte cose e cosìcon Cardazzo non se ne fece più nulla.

NEL 1957 SI SPOSTA DA VENEZIA A PARIGI.Avevo vinto una borsa di studio a Parigi in quell’anno. Tutto nasceva dal mio personale desiderio di spe-rimentare incisioni a colori, impiegando nuove tecniche che qui non si potevano trovare; così decisi difare delle domande e ne vinsi una. Alla base di questo trasferimento c’era la voglia di sperimentare.Nello stesso anno Gino Severini, che insegnava mosaico, mi scrisse se volevo diventare suo assistente;aveva visto i miei mosaici in varie occasioni, tra cui la mostra tenutasi alla Bevilacqua La Masa nel 1954,e ne era rimasto profondamente colpito. Nel 1961 ebbi la cattedra di Mosaico e poi quella di I ncisione.

PARIGI, RISPETTO A VENEZIA, COME LE APPARÌ?Parigi all’epoca era ancora attiva, iniziava in quegli anni a svuotarsi di esperienze artistiche a favore diNew York. Appena arrivai andai a trovare Severini all’ospedale per avere le chiavi della scuola. Iniziaisubito a fare lezione e fu una grande responsabilità, perché Severini non vi ritornò mai più. Ogni gior-no comunque andavo a trovarlo all’ospedale e gli raccontavo delle lezioni; poi al termine lui iniziava aparlarmi per ore del futurismo e di tutte le persone che aveva conosciuto, come Picasso e Modigliani.Mi piaceva molto stare ad ascoltarlo. Era un uomo di grande cultura. Non era particolarmente bravonel mosaico, aveva fatto solo alcuni mosaici in Svizzera e ad Alessandria, ma rimaneva pur sempreSeverini. A Parigi mi avvicinai molto ai surrealisti: Max Ernst, Hero, Matta, Lam di cui ero molto amicoe Hundertwasser.

QUAL È IL SUO RAPPORTO CON IL COLORE?Il colore è essenziale. Il segno è importante però il colore lo è ancora di più. Nel colore vi è l’essenza diogni cosa. Il colore è il luogo dove nascono le storie.

QUAL È LA PIÙ BELLA LEZIONE SUL COLORE CHE HA IMPARATO?Il lavoro sul colore di Matisse e Gauguin. Sono stati i due artisti che hanno sviluppato molto il concet-to di colore, lo hanno fatto evolvere e maturare.

PERCHÉ RIPETE SPESSO LA PAROLA “BENISSIMO” DURANTE IL SUO QUOTIDIANO INTERCALARE?Perché sono una persona ottimista. Perché sono convinto che quando vanno male le cose in realtà stan-no andando benissimo.

QUAL È LA PIÙ BELLA LEZIONE CHE LA PITTURA LE HA INSEGNATO?La libertà. La pittura è libertà e la cultura è possibilità di sviluppo.

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È una versatilità fuori del comune la caratteristica più evidente di Riccardo Licata, non solo in pittura,ma anche nel mosaico, l’incisione, la scultura e il design dell’arazzo e del vetro. Il racconto del suo esse-re artista si snoda nell’intreccio tra la sua origine, che per il cognome sembra evidentemente sicula, e ildato anagrafico che lo fa nativo di Torino, la pariginità che ha improntato la sua vita professionale efamiliare, da cui deriva l’apertura mentale che lo contraddistingue, e la venezianità di cui è intriso uncerto suo fare: non tanto per qualche vezzo linguistico, quanto per un riferimento innegabile della suaarte che è chiaramente il prezioso cromatismo bizantino di San Marco, armonizzante con quei suoi segniche agli esordi avevano la struttura delle erbe di barena. Nacque, dunque, a Torino, la città di sua madre – che amava l’opera e aveva il palchetto al Teatro Regio– il 20 dicembre del 1929. Il padre si era trasferito lì da Messina per studiare ingegneria, ma allo scop-pio della Grande Guerra fu costretto a interrompere gli studi per fare il suo dovere sotto le armi. Alritorno, decise di aprire un’attività in proprio per il trattamento dei piselli secchi, convinto che, nel climadi ristrettezze del Dopoguerra, quella fosse merce facile a commerciare. I genitori si conobbero diversianni dopo proprio a teatro e si innamorarono; lui era divorziato, in Ungheria perché in Italia non esi-steva questa possibilità, e quando seppe che sarebbe diventato padre, nella primavera del 1929 volleandare a legittimare l’unione a Budapest. Fu un matrimonio di breve durata, perché il nonno materno,banchiere, non voleva saperne di quel genero e rimandò subito gli sposi nella medesima capitale di SantoStefano a divorziare, minacciando una denuncia per bigamia. Impose poi alla figlia di allontanarsi conil piccolo Riccardo, prima in Costa Azzurra e quindi a Parigi, per sottrarlo a eventuali incontri con ilpadre. Il rientro a Torino, sempre per volere del nonno, significò l’unione della madre con un vedovo anzianoe benestante, e così Riccardo ebbe un nuovo cognome, Forno, e una sorellastra parecchio più grande dilui. In età scolare, nel 1935, seguì la famiglia a Roma, dove quattro anni dopo la madre chiese e otten-ne dalla Sacra Rota l’annullamento del matrimonio. Riccardo proseguì gli studi, riprendendo il cogno-me materno, Cravario. Intanto aveva cominciato a disegnare, usando sempre degli album che prelude-vano agli innumerevoli taccuini da lui riempiti via via fino a oggi, con disegni e acquerelli che hanno ilcarattere non di appunti ma di opere finite. Alla pittura arrivò a breve. Nel 1947, diciottenne, conobbe il padre che, da Venezia dove si era stabilito con la sua nuova famiglia,lo raggiunse a Roma per le pratiche di riconoscimento; e fu allora che il suo cognome diventò finalmen-te Licata. Verso la fine di quell’anno la madre decise di andare a vivere con lui a Venezia per favorire lesue frequentazioni con il genitore.Il percorso artistico ebbe inizio qui, quasi per caso, quando, poco dopo il trasferimento, fu affidato perqualche ripetizione di italiano a un giovane professore di lettere, Giuseppe Mazzariol: futuro direttoredella Fondazione Querini Stampalia e dell’Istituto di Discipline artistiche della Facoltà di Lettere eFilosofia, preside della Facoltà e quindi primo direttore del neonato Dipartimento di Storia e Criticadelle Arti, ora a lui intitolato. Questi, sentitolo parlare dei suoi dipinti, li volle vedere; e gli consigliòsubito di abbandonare il liceo scientifico e di passare all’artistico. Lì ebbe come insegnanti due artisti,Mario Deluigi e Luciano Gaspari, che nella sua formazione avrebbero potuto influenzarlo, se in lui nonavesse prevalso l’insegnamento privato di Romualdo Scarpa sull’arte del mosaico. Nel 1948 visitò la storica edizione della Biennale veneziana, la prima del Dopoguerra, dove vide da vici-no l’opera di quei protagonisti delle avanguardie storiche e delle nuove tendenze che tanto stimolaronoun’immediata presa di coscienza di artisti e critici, non solo in loco, sulla necessità di rinnovamento del-l’arte italiana; lo colpirono soprattutto i lavori di Kandinsky e di Pollock. Nello stesso periodo cominciò ad assistere ai concerti del Teatro La Fenice, assieme ad altri giovani arti-sti – i pittori Ennio Finzi, Tancredi e Bruno Blenner, lo scultore Giorgio Zennaro – con i quali nel 1949diede vita a un gruppo di tendenza astratta. Iniziò a germinare già allora quella che sarebbe diventatala sua scrittura grafico-pittorica, cui dava forma trasformando in segno materico – con un lavorio con-

RICCARDO LICATA

STORIA E QUASI POESIA DI UNA VITAdi Elsa Dezuanni ed Ennio Pouchard

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tinuo tra occhio e mente – gli invisibili segmenti tracciati nell’aria dalla punta dell’archetto di un violi-no o dalla bacchetta del direttore d’orchestra. Non segni casuali, ma “trascrizioni grafiche” precise di unandamento musicale, tant’è che ancor oggi, se gli si chiede quale musica gli aveva ispirato un dipinto oun altro di mezzo secolo fa, ci si sente dare una risposta esatta e immediata. Per lui questo legame tra lamusica e il segno tracciato su tela, carta o lastra di zinco per l’incisione doveva essere il più diretto pos-sibile; e per questo – avrà avuto ventidue o ventitre anni – osò andare alla Fenice portando con sé dellelastre preparate con cera per l’acquaforte, su cui, durante i concerti, poteva imprimere i suoi segni conuna punta senza fare alcun rumore; lastre che il giorno dopo avrebbe sottoposto a morsura nell’acido,per passarle subito all’inchiostratura e al torchio per la stampa. Quanto al colore, all’epoca per l’incisio-ne era inconcepibile pensare ad altro che non fosse, rigorosamente, solo il nero.La musica (o diciamo pure il suono, originato da strumenti musicali o dalla voce umana) è stata unacomponente essenziale nell’arte di Licata, quasi una materia pittorica che in lui ha generato e continuaa generare segno, colore e soprattutto ritmo, passando dal Presto, spesso con fuoco, degli appunti suilibretti che, come si è detto, porta ovunque dentro all’inseparabile zainetto (assieme ai colori per l’ac-querello, i pennelli e la boccetta dell’acqua), all’Andante della pittura su tela (cantabile, o con spirito, omosso), al Fugato con variazioni dell’arazzo (contra punctum del cartone e del telaio francese ad alto lic-cio) e dell’acquaforte (la tempistica della lastra metallica cerata-disegnata-morsa dall’acido) e all’Adagiodel mosaico (con le tessere tagliate dalla pietra, una per una diverse, e immerse nell’impasto di malta,studiando sia gli orientamenti per dare più luce, sia gli interstizi che segnano le pause).Iscrittosi all’Accademia di Belle Arti veneziana, Riccardo si diplomò nel 1955 con Bruno Saetti, specia-lizzandosi l’anno dopo in mosaico. Frattanto l’attività espositiva era culminata nella presenza alleBiennali del 1952 e del 1954, con vetri e mosaici. Partecipazione continuata nel 1956, con una sala per-sonale di incisioni, e in varie edizioni successive, anche con dipinti e arazzi.A ventisei anni era un artista affermato, vendeva molto, vinceva premi a Venezia e altrove, mentre lacritica – Giuseppe Mazzariol, certo, e Giuseppe Marchiori, Umbro Apollonio, Silvio Branzi, BertoMorucchio e il più giovane Toni Toniato – s’interessava sempre più al suo lavoro. Anni ricolmi di sod-disfazioni, anche economiche; ma forse tutto era arrivato troppo in fretta, prospettandogli un futuromonotono che non stava nelle sue corde. Provvidenziale nel 1957 arrivò l’assegnazione di una borsa distudio dal Governo francese per un soggiorno a Parigi, dove avrebbe potuto sperimentare nuove tecni-che incisorie seguendo i corsi di Johnny Friedlaender, Stanley Willlam Hayter e Henri Goetz. Dalprimo acquisì la profonda conoscenza dell’incisione a colori con l’uso di lastre differenti; da Hayter, dellarivoluzionaria stampa a colori con un’unica lastra; e da Goetz, dell’uso di lastre trattate con materialepolverizzato, detto carborundum.A Parigi rivide Gino Severini, conosciuto a Venezia, il quale aveva mostrato di apprezzare il suo lavo-ro. L’anziano maestro, con i finanziamenti dello Stato italiano, aveva fondato e dirigeva l’École d’Art ita-lienne – una piccola accademia per mosaicisti, la prima in Francia e in Europa – e gli chiese di fargli daassistente, lasciandogli poco dopo la direzione, allorché decise di ritirarsi. La nuova conduzione appor-tò innovazioni radicali nel carattere della scuola, che dai programmi classici, basati sulla copia dall’an-tico, passò a promuovere espressioni libere da parte degli allievi. Tale novità favorì l’accordo, nel 1962,tra l’Ambasciata italiana e l’Accademia di Francia, per inglobare la scuola italiana nell’École nationalesupérieure des Beaux Arts, dove Licata ha continuato a insegnare fino al 1995. I numerosi allievi del-l’École avevano a disposizione un banco di lavoro su cui costruire il proprio mosaico; lui passava dal-l’uno all’altro, trattando ognuno più come un collega che da professore. Cordiale, paziente, pronto a sof-fermarsi per dire o mostrare il modo in cui le cose andavano fatte: precisando che esprimeva opinioni enon norme ineludibili; anzi, sollecitava la discussione, chiedeva pareri, incoraggiava a pensare a soluzio-ni diverse. Così facendo, non plasmava soltanto le facoltà artistiche dei giovani, ma ne formava pure ledoti umane. Sono in molti a ricordare come animava le lunghe sedute nella grande aula, un padiglioneintero in rue Bonaparte, tra Saint-Germain des Prés e la Rive Gauche, a due passi da rue de Seine dove,appena le finanze glielo avevano permesso, prese la casa in cui abita ancora. In quell’appartamento hatrascorso anni sereni insieme alla moglie Maria (Maria Battistella, cantante e studiosa di antiche musi-che etniche, sposata nel 1961, che l’anno seguente gli diede il loro unico figlio, Giovanni, oggi afferma-to musicista jazz). A Parigi Licata divenne una personalità di rilievo anche nell’ambiente artistico italiano, cercando sem-

pre di sviluppare un dialogo costruttivo con colleghi più o meno coetanei, come Mondino e Tancredi, opiù anziani – i menzionati maestri incisori e Lam, Matta, Miró, Brauner, Magnelli, Campigli, Ernst eGiacometti – nonché studiosi e critici, quali Alain Jouffroy e Pierre Restany. La sua autorevolezzavenne anni dopo ampiamente riconosciuta con l’elezione all’unanimità a presidente dell’Association desPeintres et des Sculpteurs italiens de France, fondata nel 1970 in una “comune” di centoventi pittori escultori. L’Institut Italien de Culture era diventato porto aperto per le loro proposte e per voci già illu-stri della cultura italiana, come quelle di Umberto Eco e di Renzo Piano. Licata era il tramite e quindipresenza indispensabile giorno dopo giorno: impegno che si assommava ai suoi doveri da docente dimosaico alla citata scuola, di arti plastiche alla Sorbonne e d’incisione all’Academie Goetz, di nascitarecente, senza trascurare l’ampio ventaglio delle sue attività creative. Parigi era ormai la sua città e la casa di Rue de Seine si trasformò presto in teatro di incontri convivia-li durante i quali, con un costante sottofondo musicale, si parlava moltissimo (conversazioni, mai discus-sioni), accolti dal luminoso sorriso di Maria (per tutti gli amici presenza indimenticabile), piena di verveanche quand’era appena rientrata da una delle sue faticose tournées. Ma un altro punto di riferimentocostante continuò a esserlo Venezia, dove tenne e ha tuttora casa e dove dal 1972 insegnò alla ScuolaInternazionale della Grafica; i suoi corsi erano così affollati, fino a sessanta allievi, da dover essere divi-si in più turni.In oltre sei decenni di attività Licata ha continuato a costruire il proprio specifico, spaziando – comesopra detto – in vari campi dell’arte, con un’incursione anche nel teatro, realizzando le scenografie e icostumi per la Medea di Euripide (1978, Treviso, Teatro Comunale) e per il balletto Ichspaltung diGiuseppe Marotta (1980, Venezia, Teatro Goldoni). In tutte queste discipline è rimasta inconfondibilela cifra che lo distingue come fautore di un linguaggio personalissimo: una scrittura intima, non rappor-tabile a geroglifici o ideogrammi, fatta di lettere di un alfabeto in continuo divenire, che nelle intenzio-ni della sua poetica – lui stesso l’ha ribadito – hanno il senso della memoria, del sentire e del vivere chegli sono propri. Una scrittura comunicativa che gli ha portato riconoscimenti da ogni luogo, con premi, committenzepubbliche impegnative e innumerevoli richieste di mostre personali (oltre trecento), in spazi di grandeprestigio in città italiane e di tutto il mondo. Molti musei hanno accolto le sue opere, a Firenze, Milano,Roma, Torino, Venezia, Alessandria d’Egitto, Mulhouse, New York, San Paulo del Brasile, Stoccarda,Stoccolma, Varsavia, Vienna e altrove. Nel 1993 Venezia gli ha dedicato un’antologica al Museo d’ArteContemporanea di Ca’ Pesaro; e nel 2002 a Milano gli è stato consegnato il Premio Internazionale dellaCultura per i suoi meriti artistici. Lui continua a viaggiare, tra Parigi, Venezia e i luoghi delle sue mostre; e continua ad affascinare chi loincontra per la sua affabilità istintiva, l’attenzione che manifesta, l’instancabile curiosità – come impe-gno morale – nei contesti nuovi e l’energia che trapela da quel suo splendido modo – privo di qualsiasiaffettazione e dimentico degli ottantatre anni che compie in questi giorni – di ignorare la stanchezza.

MARCO BRAVURAÈ nato a Ravenna nel 1949. Dopo il diploma dell’Istituto Statale d’Arte per il Mosaico di Ravenna, com-pleta la sua preparazione all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove vive e lavora per alcuni anni.Fonda una Scuola di Mosaico a Beirut con un protocollo di collaborazione con il Comune di Ravennae il Centro per la Formazione Professionale della Provincia di Ravenna. Vince il I premio della Biennaled’Arte Romagnola, sezione mosaico, nel 1998.

CACO3

Il gruppo CaCO3 nasce nel 2006 su iniziativa di Âniko Ferreira da Silva, Giuseppe Donnaloia e PavlosMavromatidis, che, dopo l’esperienza di formazione alla Scuola per il Restauro del Mosaico di Ravennacondividono e sviluppano un comune percorso di ricerca artistica. CaCO3 espone come gruppo le sueopere soprattutto in Italia, a Ravenna, ma anche in Russia, Francia e Israele. I risultati dell’arte del grup-po possono essere paragonati alla Minimal Art e all’Op Art. Nel determinare una rete di contiguitàespressive, le opere del collettivo potrebbero essere idealmente collocate accanto alle esperienze pre-mini-maliste di indagine di textures di Robert Ryman o Francesco Lo Savio, agli achrome di Piero Manzoni, alledinamiche optical e fluttuanti di Dadamaino.

GIUSEPPE CAPOGROSSIÈ nato a Roma nel 1900. Studia pittura con Felice Carena e nel 1927 si reca a Parigi con FaustoPirandello. Nel 1933 firma con Melli e Cavalli il Manifesto del Primordialismo Plastico. Esponente dellaScuola Romana (Novecento), è figura di rilievo nel panorama dell’Informale Italiano insieme con LucioFontana, Raffaele Frumenti, Alberto Burri ed Emilio Scanavino. Partecipa più volte alla mostraDocumenta di Kassel e alla Biennale di San Paolo del Brasile. Nel 1960 espone alla II BiennaleInternazionale di Tokyo. Muore a Roma nel 1972.

GIORGIO CELIBERTIÈ nato a Udine nel 1929. Appena diciannovenne partecipa alla Biennale di Venezia del 1948. A Venezia fre-quenta lo studio di Emilio Vedova e con Tancredi divide la camera-studio alla pensione Accademia. Intensele frequentazioni anche con Carlo Ciussi, Marco Fantoni e Romano Parmeggiani che negli stessi anni vivo-no a Venezia. Oltre alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma, partecipa al Premio Internazionaledel Fiorino e alla Mostra della Nuova Pittura italiana in Giappone. Attualmente vive e lavora a Udine.

CARLO CIUSSIÈ nato a Udine nel 1930. Compie le prime esperienze artistiche nell’atelier di Fred Pittino. Tra il 1945e il 1949 frequenta il liceo artistico a Venezia e studia con Deluigi e Maioli. Nei primi anni Sessanta fre-quenta inoltre assiduamente il critico Giuseppe Marchiori e Afro; è influenzato dalla pittura di quest’ul-timo per poi prenderne le distanze. Il contatto con l’ambiente veneziano lo avvicina anche alla produ-zione di Vedova, Santomaso, Pizzinato, Viani. Muore a Udine il 24 aprile 2012.

MARCO DE LUCAÈ nato a Medicina in provincia di Bologna nel 1949. Si diploma presso l’Istituto Statale d’Arte per ilMosaico di Ravenna nel 1968 e nel 1973 all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel 1976, ottiene l’abi-litazione all’insegnamento di discipline pittoriche e nello stesso anno viene nominato docente di proget-tazione e laboratorio all’Istituto d’Arte, dove ha insegnato fino al 2002. È docente di Workshop diMosaico all’Accademia di Belle Arti di Ravenna.

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AFRO

È nato a Udine nel 1912. Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Partecipa alla Quadriennaledi Roma nel 1935 e l’anno successivo alla Biennale di Venezia. Durante la Seconda Guerra Mondiale ilsuo stile figurativo subisce l’influenza della pittura francese legata a Cézanne, Braque e Matisse. Dal1950 lavora con la Catherine Viviano Gallery di New York. Vince nel 1956 la Biennale di Venezia. Nel1958 partecipa, insieme a Calder, Matta, Mirò, Picasso e Tamayo alla decorazione della sededell’UNESCO di Parigi. Muore a Zurigo nel 1976.

HENRY-NOËL AUBRY

È nato a Tolone nel 1954. Da pittore il suo interesse per la materia e il colore lo conduce a lavorare ilmosaico nell’atelier di Riccardo Licata all’École des Beaux-Arts di Parigi. La sua ispirazione è molto piùpoetica che visuale, suggerita tanto dalle parole che dalla visione microscopica delle cose, della materiavegetale, minerale e organica. Vive e lavora tra Parigi e Tolone.

GIULIANO BABINI

È nato in Romagna nel 1951. Dopo il diploma all’Istituto Statale d’Arte per il Mosaico di Ravennaprima e all’Accademia di Belle Arti di Bologna poi, si dedica all’elaborazione di scenografie teatrali eperformance. Compie diverse esperienze nel campo della fotografia, della pittura e del mosaico. È inse-gnante all’Istituto d’Arte e all’Accademia di Belle Arti di Ravenna.

VITTORIO BASAGLIA

È nato a Venezia nel 1936. Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera dal 1954 al 1958 sotto la guidadi Marino Marini e insegna all’Accademia di Urbino e all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Partecipaa importanti manifestazioni d’arte, come la Quadriennale di Roma e le Biennali di Parigi e Alessandriad’Egitto. Muore a Valeriano di Pinzano al Tagliamento il 25 febbraio del 2005.

MIRKO BASALDELLA

È nato a Udine nel 1910. Studia arte a Venezia, Firenze e Monza. Nel 1934 si trasferisce a Roma, dovevolge il suo stile ad un arcaismo primordiale, esprimendo la sua rivolta alla concezione tradizionale e acca-demica del bello. Risalgono al 1946 e al 1947 le prime esperienze sul linguaggio post-cubista e sulla pro-posta di una pittura Neometafisica. Nel 1954 espone alla Biennale di Venezia e nel 1957 è nominato diret-tore del Laboratorio di Design al Visual Art Carpenter Centre della Harvard University di Cambridge.Nel 1966 ottiene il Primo Premio alla Quadriennale di Roma. Muore a Cambridge (USA) nel 1969.

FRANCO BATACCHI

È nato a Treviso nel 1944. Libero docente di Storia dell’Arte contemporanea alla ConstantinianUniversity di Cranston (Rhode Island, USA), è autore di numerosi saggi, documentari cinetelevisivi,monografie d’arte pubblicate da importanti case editrici, e di una Guida all’arte moderna e contemporanea.Partecipa a oltre trecento collettive in tutto il mondo; tra queste ha all’attivo due presenze alla Biennaledi Venezia (1976 e 1993).

BIOGRAFIE

MARIO DELUIGIÈ nato a Treviso nel 1901. Nel 1926 si iscrive all’Accademia di Belle Arti: suoi maestri sono Ettore Titoe Virgilio Guidi. A Venezia conosce Gino Severini. Partecipa dal 1930 a varie edizioni della Biennaledi Venezia e alla Quadriennale di Roma nel 1959 e nel 1972. Affascinato da Picasso, Braque e Gris,elabora uno stile improntato ad un’autonoma semplificazione plastica delle forme. Arturo Martini lonomina suo sostituto all’Accademia di Venezia, tra il 1942 e il 1944. Apre nel 1946, la Scuola Libera diArti Plastiche a Venezia, insieme a Carlo Scarpa e Anton Giulio Ambrosini. Nel 1951 aderisce alloSpazialismo legandosi in modo particolare a Edmondo Bacci, Luciano Gaspari e Gino Morandis.Muore a Venezia nel 1978.

PIERO DORAZIOÈ nato a Roma nel 1927. È uno dei protagonisti dell’evoluzione dell’Arte astratta italiana delDopoguerra. Dalla fine degli anni Quaranta soggiorna a Parigi e a Praga, ad Harvard e a Berlino, dal1960 al 1970 organizza e dirige il dipartimento delle Belle Arti dell’Università di Pennsylvania.Espone alla Biennale di Venezia nel 1960, nel 1966 e nel 1988 e più volte a Londra, New York e ingallerie svizzere e tedesche. Nel 1974 si stabilisce a Todi, dove lavora e insegna nella Scuola Atelierper la Ceramica moderna e nel proprio studio. Tra il 1985 e il 1986 espone a Tokyo e a Osaka. ÈMembro dell’Accademia di San Luca, dell’Akademie der Kunste di Berlino, è insignito del PrixKandinsky e del Premio internazionale della Biennale di Parigi e del Premio Michelangelodell’Accademia dei Virtuosi. Muore a Roma nel 2005.

ENNIO FINZIÈ nato a Venezia nel 1931. Durante i corsi dell’Istituto d’Arte di Venezia viene attratto dai ritmi spa-ziali di Modigliani, dalla valenza cromatica formale di Scipione e dallo sconvolgimento strutturale dellagrande lezione di Picasso. Frequenta Virgilio Guidi ed Emilio Vedova. Fino alla fine degli anniCinquanta, il suo lavoro è un’incessante e quasi ossessiva ricerca sulla semantica del gesto, della luce,del colore, del timbro. Sul finire degli anni Cinquanta, dopo l’incontro con Lucio Fontana, la turbolen-za gestuale e l’urgenza espressiva si placano declinandosi in un avvicinamento alle teorie gestaltichesulla fenomenologia della percezione. Attualmente vive e lavora a Venezia.

GIOVANNA GALLIÈ nata a Ravenna nel 1953. Si diploma all’Istituto Gino Severini di Ravenna, quindi all’Accademia diBelle Arti di Bologna e di Parigi. Dal 1970 al 1976 lavora nello studio di Renato Signorini e nel 1976 sitrasferisce a Parigi dove collabora nell’atelier di Riccardo Licata. Dal 1986 al 1993 lavora all’atelier LaMesure di Parigi e dal 1994 all’interno del suo proprio atelier a Parigi e a Tolone, rispondendo a ordina-zioni pubbliche e private.Interviene nel restauro di mosaici antichi, organizza stage di mosaico ed espone soprattutto in Francia ein Italia. Lavora e vive a Parigi e Tolone.

VERDIANO MARZIÈ nato a Ravenna nel 1949. Si diploma all’Accademia di Belle Arti di Ravenna e all’École des BeauxArts di Parigi. Appartiene a quel gruppo di artisti che tra gli anni Quaranta e Cinquanta si formano tral’Istituto d’Arte di Ravenna e il Laboratorio di Restauro e Mosaico di Signorini. Autore di diverse operepubbliche, partecipa alla Biennale di Venezia nel 1986 e nel 2011. Insegna le tecniche del mosaico vici-no Parigi, collaborando con il Louvre alla creazione di una serie di laboratori dal titolo “Immagine fram-mentata: il mosaico”.

MIMMO PALADINOÈ nato a Paduli, in provincia di Benevento, nel 1948. Folgorato dagli artisti della Pop Art americana allaBiennale di Venezia nel 1964, inizia la sua attività artistica dedicandosi alla fotografia. Negli anni Settanta,oltre a riscoprire la pittura, si appassiona a tutte le tecniche, dal disegno, al mosaico, all’incisione e alla scul-tura, realizzando fusioni in bronzo e in alluminio. È con De Maria, Cucchi, Clemente e Chia, l’esponentedi spicco della Transavanguardia, per il superamento dell’Arte concettuale. Dal 1976 al 1981 espone aEssen, Basilea e Amsterdam. Nel 1988 la Biennale di Venezia gli dedica una sala personale. Nel 1994 è ilprimo artista italiano a esporre in Cina alla Galleria Nazionale delle Belle Arti di Pechino.

ARMANDO PIZZINATOÈ nato a Maniago nel 1910. Ventenne si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia seguendo i corsidi Virgilio Guidi fino al 1934. Dopo il 1948, anno della prima Biennale veneziana del Dopoguerra, unasua opera è acquistata da Peggy Guggenheim e attualmente si trova al MOMA di New York. Dagli anniCinquanta aderisce in maniera radicale al realismo sociale, e nei primi anni Sessanta realizza opere epareti con maggiori richiami alla figurazione rispetto alle sue precedenti influenze costruttiviste. Muorea Venezia nel 2004.

PAOLO RACAGNIÈ nato a Ravenna nel 1948. Nel 1972 si diploma all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Insegna oltreche all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, di cui è stato vicedirettore dal 1977 al 1979 e direttore dal1982 al 1984, alla Scuola per il Restauro del Mosaico della Soprintendenza ai Beni Ambientali eArchitettonici di Ravenna. Dal 2002 a oggi tiene vari stage di mosaico al Centre européen de la mosaï-que a Paray-le-Monial.

BRUNO SAETTIÈ nato a Bologna nel 1902. Studia all’Accademia di Bologna dove si diploma nel 1924. Nel 1928 èammesso alla Biennale di Venezia, cui partecipa in seguito per quattordici edizioni. Docente dal 1930all’Accademia di Belle Arti di Venezia, assume l’incarico di direttore dal 1950 al 1956. Nel 1931 parte-cipa, per la prima volta, alla Quadriennale di Roma dove esporrà ininterrottamente in tutte le edizionisuccessive fino al 1972. Dal 1935 inizia a praticare la tecnica dell’affresco. Muore a Bologna nel 1984.

GIUSEPPE SANTOMASOÈ nato a Venezia nel 1907. Espone a Stoccolma nel 1948 insieme ad Afro e Birolli. Partecipa dal 1948al 1988 quasi in modo continuativo alla Biennale di Venezia, dove nel 1952, condivide con Afro, Birolli,Corpora, Moreni, Morlotti, Turcato e Vedova, l’esperienza del Gruppo degli Otto. In questi anni supe-ra le derivazioni cubiste per approdare ad un surrealismo alla Miró. Nel 1954 gli viene assegnato ilPrimo Premio Internazionale per la Pittura Italiana alla Biennale di Venezia. Dal 1957 al 1975 è docen-te di pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nel 1961 partecipa alla Biennale di San Paolo.Muore a Venezia nel 1990.

GINO SEVERINIÈ nato a Cortona nel 1883. Avviato alla pittura da Giacomo Balla è tra i firmatari del Manifesto delFuturismo nel 1910. Riesce a unire scienza e arte, rigore costruttivo e fantasia inventiva, raggiungendola più completa felicità espressiva tra il 1910 e il 1915 innestando i valori dinamici del Futurismo su quel-li costruttivi del Cubismo. A Parigi conosce Pablo Picasso, Georges Braque, Juan Gris e GuillaumeApollinaire e partecipa al nascere e allo svilupparsi del Cubismo. Muore il 26 febbraio 1966 a Parigi.

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EMILIO VEDOVAÈ nato a Venezia nel 1919. Si forma sull’Espressionismo, operando inizialmente con il gruppo diCorrente (1942-1943), con cui collaboravano anche Renato Guttuso e Renato Birolli. Fa parte delGruppo degli Otto passando dal primo Neocubismo delle “geometrie nere” a una pittura le cui temati-che politico-esistenziali hanno trovato via via espressione in una gestualità romanticamente automaticae astratta. Nel 1948 partecipa alla sua prima Biennale che lo vedrà spesso protagonista: nel 1952 gliviene dedicata una sala personale, nel 1960 riceve il Gran Premio per la Pittura, nel 1997 il Leone d’Oroalla carriera. Nel 2000 gli viene conferita la Medaglia d’Oro ai benemeriti della cultura e dell’arte.Muore a Venezia nel 2006.

GIUSEPPE ZIGAINAÈ nato a Cervignano del Friuli nel 1924. Fondamentale per lui l’incontro nel 1946 con Pasolini con cuistabilisce profondi legami sia umani che artistici, destinati a sopravvivere alla morte del poeta. Nel1949 espone a Roma alla Galleria d’Arte Moderna. Nel 1962 viene invitato a far parte della SocietàEuropea di Cultura e dell’Accademia di San Luca di Roma. Viene accolto nella Bayerische Akademieder Schönen Künster di Monaco per il suo lavoro di ricerca su Pasolini, oltre che per la sua attività dipittore. Attualmente vive e lavora nella sua città natale.

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GRUPPO EUROMOBIL

Dal 1985 il Gruppo Euromobil ha caratterizzato tutta la propria attività accompagnandola alla promozione dell’artemoderna e contemporanea. Motivato e sostenuto dalla personale passione e sensibilità dei fratelli Lucchetta, titolaridell’azienda, l’intervento si è gradualmente articolato e differenziato nel tempo, sviluppandosi in momenti paralleliintegrati e connessi tra loro: dal sostegno all’attività espositiva di artisti contemporanei, al contributo alla realizzazio-ne di importanti eventi e di fondamentali mostre sull’arte moderna, alla produzione editoriale.Il prodotto dell’industrial design del Gruppo, d’avanguardia nelle linee e scelta dei materiali, trova il suo naturale partnercomunicativo nell’arte contemporanea, campo nel quale l’innovazione, anche estrema, non rinnega la tradizione; propriocome nello sviluppo del percorso estremamente originale e creativo di Riccardo Licata, artista a cui tutti i fratelliLucchetta sono particolarmente legati.

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Museo Nazionaledi Ravenna

Finito di stamparenel mese di febbraio 2013presso Eurolabs Roma

per conto deIL CIGNO GG EDIZIONI

Piazza San Salvatore in Lauro, 15 00186 Romasito nel Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro,un immobile dell’Ente morale Pio Sodalizio dei Piceni.

PIO SODALIZIO DEI PICENI

€35,00 (i.i.)