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COACHING: DALLO SPORT ALL’AZIENDA Magazine OTTOBRE 2016 NUMERO 21 EDITORIALE ARTICOLO INTERVISTA INTERVISTA TI RISOLVO LA VITA COACHING parlano i coach parlano i coachee Il coaching è un cambiamento Pg. 1 Facciamo un pò di chiarezza Pg. 2 Il punto di vista degli esperti Pg. 4 I benefici dell’esperienza Pg. 18

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COACHING: DALLO SPORT ALL’AZIENDA

Magazine OTTOBRE 2016

NUMERO 21

EDITORIALE ARTICOLO INTERVISTA INTERVISTA

T I R I S O LV O L A V I TA C O A C H I N G p a r l a n o i c o a c h p a r l a n o i c o a c h e e

Il coaching è un cambiamento Pg. 1 Facciamo un pò di chiarezza Pg. 2 Il punto di vista degli esperti Pg. 4 I benefici dell’esperienza Pg. 18

La prima immagine che mi viene in mente con la parola Coach è il Coach Calhoun di Grease. La scena precisa è quella in cui Danny Zuko, alias John Travolta, per fare colpo su Sandy, alias Olivia Newton-John, decide di intraprendere un percorso sportivo. Prima di individuare la disciplina più adatta a lui, Calhoun gli fa provare una serie di sport fino ad arrivare alla corsa, esercizio individuale che ben si sposa con le caratteristiche di Danny. Ecco, questa per me è l’immagine cinematografica più realistica per rappresentare questo mestiere.

Il Coaching è di fatto un “allenamento” personalizzato e confidenziale che lavora sulla persona, sulle sue convinzioni e atteggiamenti mentali e comportamentali al fine di accrescere l’abilità nel rispondere in maniera adeguata e efficace agli eventi della vita. Il Coach è un facilitatore si un cambiamento intenzionale, voluto verso una maggiore consapevolezza di chi si è e cosa si vuole sia nell’oggi che a livello di potenziale latente.Questo però è mondo senza regole e molto spesso borderline con un intervento psicologico. Ho sentito più volte affermare che tutti possiamo diventare coach, ma mi permetto di dissentire con forza.

Innanzi tutto chi fa questo mestiere deve aver maturato un’esperienza lavorativa o di vita importante che permette di entrare in una vera empatia con chi intraprende questo percorso. Il secondo aspetto è rappresentato dalla formazione continua che è un requisito fondamentale per chi lavora con le persone. Infine, ma non per questo meno importante, il coach deve essere una persona positiva e in pace con se stessa. Non ti iscrivi alla facoltà di psicologia per risolvere i tuoi problemi, così come non diventi coach come forma di auto-aiuto.So che oggi il mercato è difficile e i clienti scarseggiano, ma un coach dovrebbe essere sempre consapevole dei propri limiti e lavorare nell’interesse del proprio coachee, anche effettuando un invio, se necessario, verso altre professionalità. Purtroppo, non essendo questa una professione medica che quindi non risponde a nessuna deontologia, questo è lasciato al buon senso del singolo…

Silvia Bertolotti General ManagerEpoché Service Integrator srl

TI RISOLVOLA VITACONTENUTI

1 TI RISOLVO LA VITAEDITORIALE

4 PARLANO I COACHINTERVISTe

18 PARLANO I COACHEEINTERVISTE

20LA METODOLOGIA TLC

21LA NOSTRA VIGNETTA

2 COACHING: FACCIAMO UN PÒ DI CHIAREZZAARTICOLO

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COACHING: FACCIAMO UN Po’ DI CHIAREZZAE’ di fondamentale importanza considerare il cambiamento: il mondo corre e le nostre competenze invecchiano con l’arrivo delle nuove tecnologie. E’ una sfida continua, che le aziende sono costrette ad affrontare e per farlo con successo devono costruire un team capace di fare fronte a qualsiasi tipo di innovazione. La risorsa deve quindi essere aiutata a prepararsi in maniera adeguata e, soprattutto, deve essere messa nelle condizioni di potere crescere (tenendo in considerazione l’ambizione dei diversi individui).

Ed è proprio a questo punto che entra in gioco il Coaching Aziendale, ma che cos’è, a cosa serve, quali sono i suoi obiettivi , quando è necessario e soprattutto perché è così importante.

Cerchiamo di dare una risposta a tutte queste domande, partendo dalla definizione: Il Coaching è una tecnica di formazione individuale e/o di gruppo che lavora sul cambiamento, al fine di migliorare o rendere più efficace le potenzialità del cliente e raggiungere obiettivi personali, di team e manageriali.Ma entriamo nel dettaglio per capire meglio le dinamiche di questa strategia.

• Acquisizione di un maggiore coinvolgimento ed una maggiore responsabilità

• Senso di decisione• Focalizzazione degli obiettivi• Attenzione allo sviluppo del team o del

progetto in atto• Maggiore pro attività e produttività• Padronanza nell’uso della leadership • Una resilienza superiore• Intelligenza Emotiva consapevole• Miglioramento della motivazione

Ecco quindi spiegato che cos’è il Coaching, a cosa serve, quali sono i suoi obiettivi , quando è necessario e soprattutto perché è così importante.

Ma per capire a fondo quanto il Coaching è presente nel mondo, diamo qualche numero. I dati che vedremo sono estrapolati da una ricerca dell’International Coach Federation (ICF) che è la principale organizzazione mondiale per i Coach.

Iniziamo con il sostenere che il Coaching rende l’individuo consapevole delle risorse a sua disposizione, dei propri punti di forza e di quelli dove è necessario un miglioramento.Il Coach (colui o colei che “allena” l’individuo durante il suo percorso) aiuta il Coachee (cliente) a sviluppare dei cambiamenti: prendere Consapevolezza dei suoi Punti di Forza, dei suoi Talenti, delle sue resistenze e soprattutto delle aree da sviluppare. Inoltre fa luce sul senso di Responsabilità, e motivazione al Cambiamento. Come avviene tutto ciò? Utilizzando le Domande: domande strutturate in modo da facilitare delle risposte creative, efficaci, e che sfruttino in toto la maturità e le competenze del Cliente. il coach aiuta il Coachee a prendere coscienza dei propri mezzi sviluppando strategie efficaci, e trovando la soluzione a problemi operativi/comportamentali.

Si può quindi dire con assoluta certezza che il Coach redige un programma su misura, diverso per ogni individuo.Parlando sempre in termini di obiettivi aziendali, vediamo ora i benefici che si possono riscontrare dopo avere intrapreso un percorso coaching, benefici che si evincono nel breve o nel lungo termine. Barbara Grecchi

Social Media SpecialistEpoché Service Integrator srl

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TOTALE MEMBRI ICF NEL MONDO Anno Membri 2014 24.635 2015 26.476

Membri USA 10.038 Canada 2.780 UK 1.353 Australia 1.124 Francia 954 Spagna 854 Brasile 580 Italia 543 Turchia 421 Svizzera 410

• La maggior parte dei Coach ha tra i 46 ed i 55 anni ed ha acquisito un avanzato livello di istruzione (IE, Master o dottorato) dopo aver seguito un training di 5-10 anni.

• Più della metà (52%) di tutti i Coach indicano che i loro clienti si aspettano da loro delle credenziali (titolo di studio, certificazione, esperienza, ecc).

• Le prime tre specialità di Coaching riportati in questo studio sono le seguenti: Executive (19%), Leadership Development (18%) e Life coaching (16%).

• La maggior parte dei clienti di Coaching sono per circa il 56% di genere femminile e 44% maschile: tra 38 e 45 anni di età.

Vi lascio con un affermazione dell’ American Management Association:

“Un percorso di Coaching efficace, rispetto alla formazione d’aula, produrrà l’89% in più in termini di obiettivi raggiunti.”

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Intervista alla coachester varchetta

1. Ci racconta qual è stato il suo percorso per diventare coach? Perché ha fatto questo tipo di scelta?

Il mio percorso inizia anni fa quando ho scelto di intraprendere gli studi universitari in Scienze dell’Educazione, come Esperto nei Processi Formativi. Dopo aver conseguito la laurea, con il massimo dei voti, ho iniziato a lavorare e mi sono resa conto che per diventare quello che avrei voluto essere, ovvero una Formatrice, mi “mancava” ancora qualcosa. Così ho deciso di intraprendere un nuovo percorso formativo, durato 3 anni, di Counseling ad orientamento analitico transazionale conseguendo il titolo di Counselor per privati ed aziende. Il mio percorso di sviluppo personale, a dire il vero, è stato ed è tuttora in continua evoluzione; infatti mi sono poi specializzata come Conduttrice di Gruppi con Metodi

2. Come si sta evolvendo il mondo della formazione?

In Italia avverto una forte evoluzione, anche se c’è ancora molto da fare. La formazione è uno strumento fondamentale che le aziende hanno per aiutare i dipendenti a crescere, la cui diretta conseguenza è la crescita dell’organizzazione. Viviamo in un mercato flessibile, in continua evoluzione ed assai competitivo; pertanto, diviene fondamentale saper affrontare e gestire il cambiamento. Il cambiamento si gestisce Allenandosi. È qui che subentra il coaching per rinnovare il modo di pensare, di ragionare e per ampliare i propri orizzonti e le possibilità di scelta.

3. Secondo lei, quali sono le persone, che lavorano all’interno di un’azienda, che hanno bisogno di affrontare un percorso di coaching?

Premettendo che il coaching risponde a delle esigenze individuali, personalmente lo consiglierei ai Junior che entrano in azienda o a chi sta vivendo un cambio di ruolo. In modo da vivere più serenamente ed efficacemente il cambiamento. Aggiungerei i Manager e tutti coloro che gestiscono persone e gruppi di lavoro, poiché è molto importante saper comunicare, dare feedback e gestire la relazione con l’obiettivo di far crescere le persone e quindi, di conseguenza, l’azienda.

Attivi e Psicodramma e tra poco conseguirò la Laurea Magistrale in Psicologia dei Processi Cognitivi e Tecnologie di Supporto Clinico alla Persona.A mio parere per poter lavorare bene in quest’ambito è fondamentale continuare ad aggiornarsi. Ritengo che sia impensabile avere a che fare con la materia umana senza mettersi in gioco in prima persona e senza lavorare in primis su sé stessi, anche attraverso percorsi di psicoterapia e di supervisione.Gli studi intrapresi mi hanno permesso di affacciarmi ad altre professioni, oltre a quella del formatore, una di queste è proprio il Coach… Trovo il coaching una modalità si supporto alla persona efficace, ne si possono osservare giorno per giorno i cambiamenti in un continuo dare e ricevere feedback ed avere quindi un riscontro effettivo rispetto al percorso che si sta “vivendo” insieme.

4. In base alla sua esperienza, quali sono i benefici per chi intraprende questo tipo di percorso?

I benefici sono molteplici. Utilizzerei due parole per semplificare la risposta a questa domanda: autonomia e benessere.

5. Quali sono le soddisfazioni maggiori che ottiene dal suo lavoro?

La soddisfazione maggiore è quando incontro una persona che all’inizio ha un sguardo cupo, triste, o un atteggiamento negativo e arrendevole verso la vita ed il lavoro e poi cambia grazie al percorso che gli offro e che vive insieme a me.

6. Se potesse dare un consiglio a chi vuole fare questo lavoro, cosa gli direbbe?

La prima cosa è lavorare molto su di sé. Consiglio percorsi di psicoterapia o counseling con un buon psicoterapeuta e counselor e continuare ad aggiornarsi e studiare. Non è un lavoro che si improvvisa e non basta un anno o una certificazione qualsiasi. Bisogna fare tanta esperienza, stare a contatto con le persone, con le organizzazioni e continuare a formarsi. Il Coach è uno strumento che il Coachee utilizza per diventare autonomo e per stare bene.

Ester Varchetta è Soft Skills Trainer e Professional Advanced Counselor, lavora con le persone e le organizzazioni per supportarle nei processi di cambiamento e di crescita, per esplorare alternative rispetto a difficoltà, per ritrovare la motivazione e molto altro.

È, inoltre, Coach nel favorire ed allenare la così detta “agilità mentale” nel senso di trovare modi differenti di affrontare situazioni complesse, superare blocchi di pensiero che non permettono di realizzarsi nella vita, nel lavoro e di stare bene.

OLTRE A LAVORARE CON LE AZIENDE Scrive ed eroga progetti dedicati alle famiglie, sia per i genitori che per i figli , conduce seminari a richiesta su svariati temi, come ad esempio: conoscere e gestire le emozioni; negoziare in famiglia; gestire il tempo e il budget domestico; come comunicare con più efficacia; dare e ricevere riconoscimenti.

La passione per questo lavoro, la porta costantemente ad approfondire nuove metodologie e modelli

integrandoli insieme, al fine di rispondere al meglio alle specifiche esigenze.

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Intervista al coachMARCO bedin

1. Ci racconta qual è stato il suo percorso per diventare coach? Perché ha fatto questo tipo di scelta?

Ho approcciato le tematiche del Coaching dapprima inconsapevolmente, a partire dal settembre del 1981, tramite la pratica di una “rigida Arte Marziale” basata sulla preparazione mentale a supporto della crescita personale. Successivamente ho traslato questo modo di operare della mente al Business coniugando i principi delle due discipline; ritengo, infatti, che affrontare il mondo del Business sia una vera e propria disciplina basata sulla lucidità mentale, chiarezza degli obiettivi, preparazione, abnegazione, capacità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato, capacità di risolvere i conflitti, motivazione, passione per il proprio lavoro. Senza questi ingredienti, la ricetta della felicità e di conseguenza del successo non

esperti in Italia, Europa e Stati Uniti per scoprire prima, ed imparare ad usare successivamente, le tecniche che avrei utilizzato tutti i giorni per supportare me stesso, gli individui e le organizzazioni nell’ottenere il massimo dalle proprie risorse.

Il cerchio si è chiuso lavorando per Aziende Leader nel mondo dell’innovazione, entrando regolarmente in contatto con i livelli CXO di numerose organizzazioni, di apprezzarne i cambiamenti di pensiero nel corso degli anni, di comprendere quante poche certezze esistano, di assaporare meravigliose menti, conoscere grandi Manager e di lavorare per loro.

Una delle cose che più mi fa soffrire è vedere tantissime persone con grandissime potenzialità che, per i più disparati motivi, non vengono espresse arrecando un disagio non solo a loro stesse, ma anche a chi vive intorno a loro: e questo è per me davvero frustrante. Io amo la vita, penso che sia un piacere onorarla tutti i giorni, e questa mia visone mi ha spinto sempre più ad abbracciare le tematiche di competenza del Coaching.

2. Come si sta evolvendo il mondo della formazione?

Le aziende si stanno accorgendo che sapere fare le cose non è una condizione sufficiente per avere successo.

funziona.

Il libro che ha fatto scoccare la scintilla definitiva della mia passione è stato una pietra miliare nella storia della letteratura del settore: “I sette pilastri del Successo” di Stephen Covey.

Ricordo come fosse ieri, tanto importante è stato per la mia vita questo episodio, che comprai il volume in una notte di novembre del 1994 all’autogrill Bauli di Verona: da quel giorno la mia consapevolezza su ciò che sarebbe diventato il Coaching è completamente cambiata. Leggendo quel testo ho capito che dovevo strutturare in maniera molto più razionale le mie conoscenze e che mi sarebbe stato necessario imparare a conoscere e ad usare molti nuovi strumenti.

Decisi quindi di iniziare a studiare, frequentando in maniera strutturata i corsi ed i seminari dei maggiori

Il mero tecnicismo è una base dalla quale non si può prescindere, ma che da sola non è più sufficiente a fare la differenza in un mercato sempre più competitivo composto anche da Clienti sempre più preparati e capace di apprezzare i dettagli che distinguono i grandi Leader dai Follower.

Da qui l’enorme richiesta di Coaching sviluppatasi in questi ultimi anni.

Io credo sinceramente che Coaching e Formazione siano due attività molto differenti e che l’una non esclusa a priori l’altra, all’interno di un percorso di crescita, anzi.Il Formatore ha il compito di rivolgersi ad un individuo con l’obiettivo di prepararlo ad eseguire tecnicamente una serie d’istruzioni per interpretare con competenza, efficacia ed efficienza il suo ruolo.

Tra i vari compiti del Coach ci sono quelli di fare chiarezza sulla situazione attuale del Cliente, di individuare con precisione estrema la situazione desiderata, di evidenziare gli strumenti e le competenze necessarie al Cliente per passare dallo stato presente a quello desiderato. Il Coach ha inoltre il dovere di dare feedback sulle Azioni concordate, di scegliere il modo più idoneo per misurare i progressi, di stabilire con precisione i criteri per i quali si può ritenere di avere raggiunto l’obiettivo individuato.È poi fondamentale identificare le

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Marco Bedin, Executive e Life Coach, ideatore del progetto Take Action Coaching Studio che aiuta le persone a sviluppare foucs, energia, coraggio e propensione al cambiamento per adeguarsi con velocità e successo alle nuove esigenze e raggiungere obiettivi identificati

leve motivazionali da utilizzare per motivare una persona a lavorare con passione e felicità per raggiungere ciò che ha deciso di traguardare. Il Coach ha anche il dovere di accertarsi che il proprio Cliente abbia piena coscienza dell’impatto che avrà sulla sua vita personale e lavorativa il raggiungimento degli obiettivi che ha individuato. A volte il Coach suggerisce il supporto di un Formatore al proprio “Coachee”, così è chiamato in gergo chi fruisce del supporto di un Coach, per consentirgli di apprendere competenze specifiche utili a fare il salto di qualità stabilito.

Ecco quindi che l’integrazione di Formazione e Coaching diventano il propellente per raggiungere il successo, e le dosi di questa miscela variano da situazione a situazione.

3. Secondo lei, quali sono le persone, che lavorano all’interno di un’azienda, che hanno bisogno di affrontare un percorso di coaching?

Tutti coloro che sono responsabili di un qualsiasi tipo di risultato possono trarre grandi benefici lavorando con un coach al proprio fianco.

Bisogna evitare di pensare che il Coach venga assimilato alla stampella per lo zoppo: un numero sempre in aumento di persone di successo di avvale di un Coach di valore.

Il Coaching può aiutare tutti coloro che devono affrontare un processo di cambiamento positivo: può rivolgersi al Top Management, Executive Coaching, può essere utilizzato per favorire una più rapida crescita dei “Talenti”, o per migliorare l’ integrazione tra team o all’interno di uno stesso gruppo di lavoro, o per favorire un cambiamento in una situazione stagnante precorritrice di una situazione pericolosa.E aggiungo una riflessione personale e provocatoria: se oramai numerosi studi hanno dimostrato che il Coaching è in grado di migliorare le prestazioni individuali e di un’organizzazione, e se è vero che più persone remano vigorosamente nella stessa direzione e più la barca procede in maniera spedita, perché riservare le attività di Coaching a pochi individui in un’Azienda? Perché pochi devono apprendere come trascinare molti e non molti come trascinare pochi?

Bill Gates, in un famosissimo video fruibile su You Tube, esordisce con la frase “Tutti hanno bisogno di un Coach”. Se lo dice lui……

4. In base alla sua esperienza, quali sono i benefici per chi intraprende questo tipo di percorso?

Uno dei benefici maggiori è quello di iniziare, o riprendere a pensare con la mentalità della start up. “Questo non è mai stato fatto” è

una frase che, mentre imprigiona in vecchie catene chi non ha voglia di rinnovarsi, di cambiare positivamente per trovare alternative di miglioramento ed affrontare efficacemente nuove sfide, diventa il trigger per cercare con passione nuove possibilità di successo. Più un essere umano ha disponibilità di scelte, più possibilità ci sono che una di queste sia quella vincente. Le scelte vanno create, non “capitano”: il modo migliore per predire il futuro è inventarlo. (cit. Alan Kay)Il più grande beneficio che si ottiene intraprendendo un percorso di Coaching è la costruzione del proprio presente e futuro.

5. Quali sono le soddisfazioni maggiori che ottiene dal suo lavoro?

Osservare i risultati positivi generati dalle mie sollecitazioni, dai miei stimoli. Vedere Azioni, non parole, che cambiano i risultati delle persone e di conseguenza delle organizzazioni. Ma la più grande soddisfazione è quando mi viene detto:” Grazie Marco, adesso siamo in grado di andare avanti da soli”. Prima mi sento dire questa frase più sono felice, perché anche il tempo è una misura della mia efficacia.

6. Se potesse dare un consiglio a chi vuole fare questo lavoro, cosa gli direbbe?

Il Coach ha grandissime

responsabilità, può abilitare trasformazioni positive ma purtroppo può anche creare danni ingenti: di conseguenza consiglio a tutti coloro che intendono prepararsi per intraprendere questa professione di farlo in maniera estremamente consapevole.Il web propone migliaia di corsi per diventare Coach: come in tutti i casi della vita esistono buoni percorsi da seguire, e percorsi meno buoni. E mi fermo qui perché credo sia inutile spiegare cosa può valere un titolo di Coach ottenuto in qualche week end...

Indipendentemente dal percorso che si individui, voglio sottolineare un importante differenziale per avere soddisfazione dalla propria professione di Coach: bisogna vivere intensamente l’ambiente nel quale si desidera esercitare il Coaching.

La mia personale opinione è che non sia possibile uscire con pieno merito da un percorso, ad esempio, di studi sul Business Coaching e pensare di potere essere efficaci e di aiuto ai propri Clienti senza avere respirato il “day by day” delle Aziende nelle quali si intende lavorare; è fondamentale conoscerne il linguaggio che si parla nei corridoi, i problemi che caratterizzano l’industria di contesto, le regole del business nel quale le organizzazioni agiscono, i limiti del mercato, le priorità ad esempio di un Responsabile Finanziario, di un Direttore Marketing o del

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Responsabile Vendite. Inoltre le dinamiche delle Aziende cosiddette “Enterprise”, le grandi Aziende multinazionali, sono spesso totalmente diverse da quelle che governano lo ”small and medium business”, che caratterizza peraltro l’economia del nostro Paese: e questa differenza deve essere ben nota in tutti i suoi dettagli.

Consiglio quindi a tutti di immergersi nell’ambiente nel quale si intende lavorare, per avere maggiori leve e consapevolezza per aiutare i propri clienti a raggiungere gli obiettivi.

Non dimentichiamo, infine, che tutti noi nella vita siamo stati coach in molte occasioni: lo siamo stati spontaneamente, naturalmente, senza saperlo. Questo ci deve dare lo stimolo e la consapevolezza di potercela fare.Essere coach tutti giorni, in contesti diversi, in maniera strutturata, usando metodologie consolidate è naturalmente decisamente più impegnativo e richiede un’adeguata preparazione, ma la volontà e la motivazione sono in grado di farci ottenere i risultati a cui ambiamo e che ci meritiamo.

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Intervista al coachMATTEO ANDREONE

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1. Ci racconta qual è stato il suo percorso per diventare coach? Perché ha fatto questo tipo di scelta?

Mi occupo da molti anni di psicologia dell’umorismo finalizzata allo sviluppo della creatività e al miglioramento della comunicazione intra e inter-personale: un’attività senz’altro originale che richiede competenze molto trasversali per essere svolta. Il mio perciò è stato necessariamente un percorso formativo un po’ “anomalo”, dedicato allo studio e all’applicazione dell’Intelligenza Umoristica in ogni sua forma ed espressione.

Sono partito come attore teatrale, quindi regista e commediografo, seguendo i corsi del Centro Teatro Attivo di Milano, poi mi sono dedicato per molti anni all’insegnamento e alla formazione dell’attore. La mia prima esperienza di coach è stata quella: preparare

2. Come si sta evolvendo il mondo della formazione?

Il tipo di società che abbiamo contribuito a creare e in cui viviamo ci mette quotidianamente di fronte a sfide che solo una collaborazione efficace, con persone di cui ci fidiamo, ci consente di affrontare e superare. Ma, certo, la macchina che abbiamo a disposizione per compiere il nostro percorso quotidiano verso il superamento di queste sfide necessita di un controllo costante, il controllo di un esperto.

Ecco come vedo la formazione oggi e, in proiezione, negli anni futuri: come la possibilità che abbiamo di avvalerci di seri collaboratori al nostro fianco, per raggiungere i nostri obiettivi, e di tecnici specializzati che ci aiutano a fare rendere al massimo i mezzi che abbiamo per raggiungerli. Una buona formazione dovrebbe consentire a che ne usufruisce di sviluppare le risorse personali, di ottenere le competenze utili allo svolgimento del proprio business, di trovare la motivazione giusta per conseguire i propri obiettivi e di rende riconoscibile la propria leadership. Oggi però, seguire percorsi già tracciati e schemi pre-impostati, stabilire regole e protocolli, essere in grado di svolgere un compito preciso mediante una specifica procedura ed essere riconosciuti in un determinato modo dai propri

l’attore al personaggio che deve interpretare, trovando e mettendo a frutto le risorse personali. Negli anni seguenti la mia attività si è divisa tra ricerca universitaria (sono membro dell’International Society for Humor Studies, presso la Holy Names University in Oakland, California), docenza teatrale (sono stato tra i fondatori dell’Accademia Nazionale del Comico) scrittura (ho scritto manuali sull’umorismo per Rizzoli Etas, Audino e Sagoma Comedy) e la formazione in area business.

Il coaching vero e proprio è iniziato con l’ideazione, l’assunzione e l’applicazione del metodo Humor Coaching e con l’utilizzo sempre più programmatico dell’Intelligenza Umoristica come strumento per il benessere personale e relazionale, in ogni ambito dell’attività umana.

collaboratori, partner e clienti, a volte non è sufficiente. Più importanti sono la capacità di rinnovare continuamente le proprie competenze e le proprie modalità comportamentali e relazionali, e la disponibilità ad accettare la sfida quotidiana di un obiettivo, un procedimento o un ruolo che possono essere periodicamente messi in discussione. In una società-mercato in continua trasformazione, in cui regole vecchie sono sostituite, sempre più velocemente, da regole nuove, si sente allora l’esigenza di sviluppare una formazione che aiuti chi ne usufruisce di sviluppare una competenza super partes, che permetta di adattarsi al continuo aggiornamento delle domande e delle risposte, delle ambizioni, delle esigenze e degli obiettivi. Una competenza che consenta di acquisire sempre nuove competenze, di imparare a imparare e di sviluppare la capacità di adattarsi al nuovo, senza restare ancorati a abitudini che, molto spesso, possono diventare zavorre per la propria crescita personale e professionale. In questa direzione, secondo me, si sta muovendo il mondo della formazione: verso una personalizzazione sempre più mirata e completa sulle esigenze del singolo e, insieme, verso una ricerca del “sapersi adattare” e del “sapersi trasformare” in base alle trasformazioni della società.

Matteo Andreone, ricercatore e docente di pensiero umoristico applicato per la formazione e lo sviluppo delle risorse umane, commediografo, attore, autore e regista teatrale, È insegnante di tecniche teatrali, meccanismi umoristici e drammaturgia comica e direttore didattico dell’Accademia Nazionale del Comico. Attore cinematografico e regista teatrale, dal 2002 è coach per De-Formazione Training. Dal 2005 organizza e gestisce, in Italia e all’estero, corsi e stage di risoterapia creativa e deformazione umoristica.

3. Secondo lei, quali sono le persone, che lavorano all’interno di un’azienda, che hanno bisogno di affrontare un percorso di coaching?

L’utilità è molto trasversale poiché il coaching si rivolge all’individuo, più che alla “risorsa umana”, si rivolge più all’uomo che vive nella società piuttosto che al ruolo professionale che lavora per una società. In altre parole, non ci sono ambiti o mansioni particolari all’interno di un’azienda che beneficiano più di altre di un percorso di coaching: la realtà cambia, così cambiano le risposte da dare, tutto qui. Al netto delle responsabilità di cui ogni ruolo si fa carico, ovviamente differente, mi rifiuto di ritenere più semplice o più complicata da gestire una mansione piuttosto che un’altra. In alcuni casi la responsabilità e il vorticoso cambiamento delle situazioni genera stress ma anche la ripetitività quotidiana dei propri compiti. La competenza relazionale che richiede l’esigenza del contatto continuo con il cliente non è meno utile di quella che richiede la gestione dei collaboratori.

Ciò che voglio dire è che all’interno di un’azienda un percorso di coaching è utile a chiunque come utile è la tutela del benessere nel posto di lavoro. Inoltre, lo sviluppo e la crescita personale dovrebbe essere, dal mio punto di vista, sancita dalla costituzione.

Ecco, se davvero volessimo dare il

via a una vera riforma costituzionale, direi che tra i diritti e i doveri dell’uomo moderno, indipendentemente dalla cultura, dalla forma mentis e dalla volontà, dovrebbe esserci quello di migliorare, sempre comunque. Basta un piccolo passo ogni giorno, e il coaching dovrebbe aiutare tutti a compierlo. Negli ultimi anni infatti l’utilità dei percorsi personalizzati si è rivelata in ogni ambito dell’agire umano dove si richieda sviluppo della creatività e miglioramento della comunicazione. In ambito professionale, per esempio, consente di acquisire competenze sempre nuove per rendere più elastico e creativo il proprio modo di pensare e di agire e il proprio comportamento nei confronti di colleghi, collaboratori, dipendenti, datori di lavoro e clienti.

4. In base alla sua esperienza, quali sono i benefici per chi intraprende questo tipo di percorso?

Secondo alcuni il coaching ha molti benefici trasversali, secondo altri invece deve avere pochi ma precisi benefici. Io la penso un po’ come i primi e un po’ come i secondi: secondo me infatti il coaching deve avere o pochi benefici ma trasversali oppure tanti ma precisi. Vale a dire che non possiamo (ne dobbiamo, per il nostro bene) pretendere che un solo coach abbia la miracolosa capacità di risolvere qualsiasi problema con cui abbiamo a che fare (il coach è

un essere umano, non un angelo custode) ma, nello stesso tempo possiamo (e dobbiamo) dubitare di un coach troppo preparato in pochi ambiti o, addirittura, in una materia sola poiché potrebbe perdere di vista l’approccio olistico che ogni percorso di coaching necessita per essere efficace. Per esempio, non è sempre detto che l’acquisizione di nuove competenze (oppure il mantenimento di competenze che abbiamo acquisito negli anni) sia un bene per noi. Se infatti da una parte ciò che impariamo ci arricchisce e ci migliora, dall’altra tutte le regole, le tecniche e i metodi che ci sono stati imposti potrebbero avere considerevolmente inibito la nostra personale forma mentis originale, rendendoci talvolta meno flessibili, spontanei e aperti verso il nuovo, verso il cambiamento.

Per sviluppare al massimo le nostre risorse naturali occorre in questo caso sgravarci dal peso della formazione superflua e ritrovare il nostro pensiero libero, non costretto da preconcetti e gabbie mentali e comportamentali imposte da altri. E questo percorso è figlio di una concezione necessariamente olistica della formazione. Secondo me occorre che i percorsi di coaching svolgano un lavoro personalizzato su ogni utente, che aiuti lo a ritrovare la propria originale libertà di pensiero e di azione, permettendogli di sviluppare la capacità preziosa di adattarsi facilmente alle infinite trasformazioni

che la realtà quotidianamente offre. Occorre inoltre accompagnarlo nello sviluppo, nell’allenamento e nella messa in pratica della naturale capacità di resilienza, per trasformare ogni suo limite in una risorsa, ogni suo conflitto intra e inter-personale in un’opportunità di crescita e ogni problema in uno stimolo per imparare a risolverlo. Imparare a imparare, vuol dire abituarsi a sbagliare, a non lasciarsi inibire dalla propria inadeguatezza contingente e dalla propria eventuale incapacità momentanea, a non scoraggiarsi per gli errori che si possono commettere ma, anzi, a farne tesoro e creando presupposti per nuovi tentativi e nuovi successi.

5. Quali sono le soddisfazioni maggiori che ottiene dal suo lavoro?

Dovrei scrivere pagine e pagine per rispondere a questa domanda poiché le soddisfazioni si evincono dal resoconto stesso degli interventi che ogni settimana metto in atto con donne e uomini più diversi e nei più differenti ambiti, professionale, artistico, sanitario, sociale.

Preferisco allora non perdermi in fronzoli e rispondere in modo molto semplice e breve: la grande gioia che mi viene dal coaching è collaborare con le persone nella presa di coscienza della loro bellezza e della loro unicità. Adoro il momento in cui una persona

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si rende conto di quanto valore ci sia in lei e di come tutto ciò possa essere utilizzato per raggiungere ciò che davvero vuole, nellla vita di tutti i giorni come nel proprio lavoro.

E sono molto fortunato, perché nel mio lavoro ciò succede sempre con risate sincere.

6. Se potesse dare un consiglio a chi vuole fare questo lavoro, cosa gli direbbe?

Difficilissimo per uno come me dare consigli utili a chi vuole intraprendere il lavoro del coach, perché io stesso ho seguito un percorso di formazione, come ho già detto, anomalo e ricco di stimoli e degli spunti più disparati. Certamente non basta seguire un corso breve per diventare coach (ne è pieno il web, per cui attenti alle fregature) anche se può essere utile per iniziare a capirci qualcosa di più.

Diciamo che un preparazione solida e strutturata è condizione se non obbligatoria almeno fondamentale per standardizzare la propria professionalità in un settore che rischia spesso di essere ricettacolo di attori improvvisati. In altri casi, come il mio, la standardizzazione è più difficile perché viene solo a seguito di una dimostrazione costante, sul campo, di ciò che si è imparato a fare.

Posso dire che la mia è una

professionalità “honoris causa”, che penso e spero di continuare a meritarmi. Di base, comunque, c’è la volontà, l’esigenza, quasi l’urgenza innata di essere in qualche modo d’aiuto agli altri: è questo che fa si che si affronti un lavoro bellissimo ma assai delicato e, a volte, molto faticoso. Senza tale requisito (questo sì obbligatorio), il mio consiglio è di lasciare perdere: ci sono tanti lavori nel mondo, perché scegliere uno che deve essere anche un’insopprimibile passione?

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Non puoi cambiare la tua destinazione da un giorno

all’altro, ma puoi cambiare la tua direzione da un giorno

all’altro.

Cit: Jim Rohn

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Intervista alla coachEE nicoletta 35 anni, imprenditrice

Intervista al coachEE MARCELLO 42 anni, marketing manager

1. In quale momento della sua vita lavorativa ha intrapreso il percorso di Coaching?

Sono figlia di imprenditori. Mio padre ha ereditato da mio nonno la nostra azienda che si occupa di commercializzazione di tessuti per il settore dell’abbigliamento. Oggi stiamo sviluppando il mercato estero e mio padre mi ha affidato questo compito. Come può immaginare, è difficile acquisire un ruolo chiaro nell’azienda di famiglia, soprattutto quando il titolare ha la tendenza ad accentrare su di sé tutte le decisioni e si comporta con i figli secondo le leggi dettate dal legame familiare e non con un rapporto puramente professionale.Tuttavia le aspettative sono molte e la pressione è alta. Stavo quindi vivendo un periodo difficile dove non mi erano più chiari i miei obiettivi e non ero sicura di voler continuare il percorso di crescita all’interno dell’azienda paterna.Su consiglio di un amico mi sono rivolta a un coach.

2. Quali erano le sue aspettative iniziali?

Speravo sinceramente di trovare nel coach qualcuno che mi dicesse che cosa dovevo fare e che mi chiarisse le idee.

1. In quale momento della sua vita lavorativa ha intrapreso il percorso di Coaching?

Premetto che questo percorso è stato scelto dalla mia azienda per me e in qualche modo “imposto”. Ero da poso stato promosso da un ruolo di specialist a un ruolo di manager con il carico di responsabilità che comporta gestire delle persone. All’inizio sono partito entusiasta, sicuro che il cambiamento sarebbe stato qualcosa di naturale per me, poi però sono arrivate le prime difficoltà di rapporto con i miei collaboratori che non riuscivano a vedermi non più come un collega ma come il loro responsabile. Questo per me era diventato una fonte di stress notevole tanto da risentirne anche nella mia sfera professionale. A causa delle difficoltà di rapporto non riuscivo più a delegare, caricando me stesso eccessivamente con orari di lavoro che si prolungavano ben oltre il tollerabile.

2. Quali erano le sue aspettative iniziali?

Ho pensato che sarebbe stato l’ennesimo corso di gestione dei collaboratori, probabilmente più personalizzato, visto che era individuale, ma che sarebbe stato una ripetizione di qualcosa che avevo già imparato… insomma una

3. Quale è stato il risultato finale?

Alla fine ho rivisto completamente le mie aspettative perché, anziché dirmi cosa avrei dovuto fare, il coach mi ha aiutato a trovare da sola le risposte che cercavo attraverso un percorso di maggiore consapevolezza dei miei punti di forza e di presa di coscienza dei miei limiti. Ho ripreso fiducia in me stessa, la nebbia intorno a me si è diradata e ho compreso a fondo quale strada volevo intraprendere.

4. Quale è stato l’aspetto più motivante, all’interno del percorso, che l’ha portata al cambiamento?

Ho vissuto ogni incontro con il coach come se andassi a conoscere più a fondo me stessa. Ogni domanda è stata per me la possibilità di cambiare il mio punto di vista e vedere la situazione in maniera più distaccata e più razionale.

5. Consiglierebbe questo tipo di percorso? Perché?

Consiglierei questo percorso a tutti coloro che si trovano in una condizione come la mia: a metà strada tra l’essere figlio e l’essere imprenditore, per il loro bene e per il bene della loro azienda.

perdita di tempo.3. Quale è stato il risultato finale?

Già alla fine del primo incontro, il coach aveva messo in crisi tutte le mie certezze relativamente a quanto fosse irrimediabile la mia situazione. Ho iniziato a vedere le cose sotto una luce diversa e ho trovato un modo per relazionarmi con i miei collaboratori in maniera più costruttiva e positiva… e la cosa incredibile è che non è stato il coach ad “insegnarmelo”, ma mi ha guidato affinché da solo arrivassi ad una soluzione.

4. Quale è stato l’aspetto più motivante, all’interno del percorso, che l’ha portata al cambiamento?

L’aspetto più motivante di questo percorso è stato aver visto immediatamente il risultato. Alla fine del primo incontro infatti avevo già elaborato un piano di azione che ho applicato immediatamente con benefici per me e per i miei collaboratori.

5. Consiglierebbe questo tipo di percorso? Perché?

Consiglierei questo percorso a tutte quelle persone che perdono la lucidità per uno stress dovuto in gran parte a noi stessi.

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