Claudio Magris - Lei Dunque Capirà

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Claudio Magris Lei dunque capirà Garzanti Lei dunque capirà è il racconto di un amore totale e fallito, di un'unione struggente e rifiutata; la donna che parla da un'oscurità misteriosa mostra una forza tenera e spietata nello svelare la grandezza e le meschinità della vita e della morte. Un acre e dolorosa consapevolezza della passione, delle sue gioie e miserie, la porta - nel ricordo della felicità condivisa, che non vuol distruggere con l'angosciosa conoscenza acquisita - a non incrinare le imperiose sicurezze dell'uomo amato, a rinunciare a lui per proteggerlo, in una stanchezza che nessuno, tranne il nascosto interlocutore cui si rivolge, può capire. Claudio Magris si muove tra esperienza personale e mito, tra volontà di fuga e intensità della presenza, tra leggerezza e tragedia, tra volontà di sapere e ==interrogativi cui non si può rispondere. Con una scrittura sapiente e limpida, dall'impatto quasi musicale, Lei dunque capirà dà voce a una straordinaria figura di donna, vittima e prevaricatrice, in un disincantato e toccante omaggio alla femminilità. Claudio Magris Lei dunque capirà Garzanti Prima edizione: aprile 2006 Prima ristampa: maggio 2006 ISBN 88-11-59789-7 (c) Claudio Magris 2006 (c) 2006, Garzanti Libri s.p.a., Milano Printed in Italy www.garzantilibri.it A Francesco e a Paolo No, non sono uscita, signor Presidente, come vede sono qui. Ancora grazie per il permesso

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Claudio Magris

Lei dunque capirà

Garzanti

Lei dunque capirà è il racconto di un amore totale e

fallito, di un'unione struggente e rifiutata; la donna

che parla da un'oscurità misteriosa mostra una

forza tenera e spietata nello svelare la grandezza e

le meschinità della vita e della morte. Un acre e

dolorosa consapevolezza della passione, delle sue

gioie e miserie, la porta - nel ricordo della felicità

condivisa, che non vuol distruggere con l'angosciosa

conoscenza acquisita - a non incrinare le

imperiose sicurezze dell'uomo amato, a rinunciare

a lui per proteggerlo, in una stanchezza che nessuno,

tranne il nascosto interlocutore cui si rivolge,

può capire.

Claudio Magris si muove tra esperienza personale

e mito, tra volontà di fuga e intensità della presenza,

tra leggerezza e tragedia, tra volontà di sapere e

==interrogativi cui non si può rispondere.

Con una scrittura sapiente e limpida, dall'impatto

quasi musicale, Lei dunque capirà dà voce a una

straordinaria figura di donna, vittima e prevaricatrice,

in un disincantato e toccante omaggio alla

femminilità.

Claudio Magris

Lei dunque capirà

Garzanti

Prima edizione: aprile 2006

Prima ristampa: maggio 2006

ISBN 88-11-59789-7

(c) Claudio Magris 2006

(c) 2006, Garzanti Libri s.p.a., Milano

Printed in Italy

www.garzantilibri.it

A Francesco

e a Paolo

No, non sono uscita, signor Presidente, come

vede sono qui. Ancora grazie per il permesso

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speciale, davvero eccezionale, me ne

rendo conto, non creda che non Le sia grata;

anche lui era tutto emozionato, non avrebbe

mai creduto di ottenerla, quando l'aveva chiesta,

l'autorizzazione a entrare nella Casa, a venire

a prendermi. Certo temeva di non averLa

ringraziata abbastanza, tanto che qualcuno

- non ho visto bene chi, in questa luce fioca;

qui dentro si vede poco, un'ombra scivola

via prima che la si possa guardare in viso, a

parte che tutti si assomigliano, ci assomigliamo,

è logico, in una Casa come questa - qualcuno

ha creduto che lui all'ultimo momento

volesse tornare indietro per ringraziarLa ancora

una volta di questa Sua concessione e

che fosse stato per questo che... Se poi è andata

com'è andata, non è colpa di nessuno - cioè è colpa

mia, comunque non importa chi e cosa

faccia uno qui dentro. Almeno così pensano

quelli che stanno là fuori, per i quali

non contiamo proprio più nulla.

Per lui invece sì contavo e conto, eccome,

se si è presa la briga di venir fin quaggiù e

non si è arreso, come gli altri, ai severi

regolamenti della Casa di Riposo che vietano agli

ospiti - nel loro, nel nostro interesse - di ricevere

visite e di mettere a repentaglio la propria

pace e la propria tranquillità, figuriamoci

poi di uscire, si capisce, ci mancherebbe,

trovarsi in quella bolgia, in quel caos di traffico

e di gente maleducata o peggio, per non

parlare del tempaccio, da cui qui almeno siamo

al riparo. Ma lui mi vuole proprio bene, è

innamorato come il primo giorno; ha preso

una bella scuffia e non poteva stare senza di

me, da quando la mia salute, peggiorata di

colpo, mi ha costretta a farmi ricoverare nella

Casa di Riposo - bella, comoda e ben attrezzata,

niente da dire - e piangeva e sbraitava

e si lasciava andare, barba lunga e senza

nemmeno cambiarsi di biancheria. A ogni

amico che incontrava attaccava un bottone

sulla sua disgrazia e solitudine; non gli bastava

sapermi vicina e ben curata, meglio là che

a casa o in ospedale, diceva, questo è sicuro,

però io da solo come faccio, giro per le stanze

vuote come fossero di un altro, di un estraneo,

se apro un cassetto è sempre quello sbagliato,

mi scaldo il caffè del giorno prima, disgustoso,

e il letto, il letto vuoto... Dalla sua

parte vedo ancora il lieve avvallamento del

suo corpo, si esaltava; è impossibile, lo so, le

lenzuola sono state cambiate chissà quante

volte da quella volta, ma è là, sì, là, ripeteva,

quel vuoto leggero accanto a me, con me, la

sua assenza al mio fianco, compagna della

mia vita, neanche i libri riesco più a trovare,

era lei che li teneva in ordine, no, non potete

capire...

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Dopo un po' anche gli amici se lo levavano

di torno, quella malinconia instancabile dava

fastidio alla gente e anche quel suo battersi il

petto, quel suo accusarsi di chissà quali colpe...

È naturale, dicevano, facciamo tutti così,

quando uno sta male mica possiamo far altro,

le Case di Riposo ci sono per questo, per

i nostri cari, per il loro bene quando stanno

male, perché quando stanno male - e Dio sa

se non stavo male, con quella maledetta infezione,

neanche mi avesse morsa un serpente

velenoso, un fuoco e un gelo e uno svanire in

tutto il corpo - non sappiamo come aiutarli,

cosa fare di loro. Per questo esistono le Case

di Riposo. Bisogna rassegnarsi, anzi essere

contenti e in pace con la propria coscienza,

quando li accompagniamo e li affidiamo a

quel personale così qualificato.

Ma lui no, al cuore non si comanda, diceva,

il cuore si spezza, e se gli dici di non spezzarsi

si spezza lo stesso, come il mio, protestava,

ah, non ce la faccio, saperla là, in quell'ambiente,

in quei cameroni o in quelle stanzette,

in quell'alveare, lei in mezzo a tutti quegli

altri, incartapecoriti come mummie, sporchi;

so che li puliscono subito, tutto è sempre

tenuto in ordine, anche il giardino, ma intanto

lei, lei così bella e delicata e trasognata - sì,

mi vede così, è proprio un tesoro d'uomo, il

mio uomo - con quel suo viso e con quel suo

sorriso inscalfibile dagli anni, in mezzo a tutti

quegli altri - lei magari starà anche bene,

aggiungeva, non le manca niente/ lo so, però io,

io come faccio senza di lei, beata lei e misero

me, pietà pietà dell'infelice amante... Se pensate

che esageri, diceva agli amici, vuol dire

che non avete cuore né sentimento, non avete

poesia nel cuore, chi potrà giammai capire

la mia pena e il mio tormento, la sofferenza,

il dolore di un poeta...

E si metteva a scrivere, su quei suoi quaderni

che conosco bene; scriveva il mio nome

e poi qualcosa d'altro e di nuovo il mio nome

e ancora qualcosa, ma dopo strappava il foglio

e lo buttava via, perché capiva che non

gli veniva niente da dire. Di queste cose se ne

intende, ce l'ha nel sangue, si accorge subito

se gli vengono fuori delle banalità - lui si è

sempre perdonato tutto, con le donne poi si

permetteva di cambiare le carte in tavola come

gli pareva e pretendeva anche di essere

compreso e compatito, così sensibile e

vulnerabile com'era... - ma con le parole no,

non si perdonava niente, sentiva subito quando

non andava e non tirava a fregare.

In fondo, solo quando eravamo insieme si

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sentiva tranquillo, sicuro - anche di quello

che scriveva, dopo che me l'aveva letto e aveva

visto nei miei occhi - anzi, diceva, sulla tua

bocca, quando le labbra prima un po' imbronciate

si dischiudono lievemente, quasi

un sorriso, no, non ancora, ma... - Io gliele

sforbiciavo, certo, le sue parole - lui, eccessivo

e smodato e magnanimo, com'è sempre

stato, profondeva parole a piene mani e io

gliele sbucciavo, buttavo via la scorza, il

torsolo e anche tanta polpa, quando era necessario.

Lui non ne sarebbe stato capace, avido

e incontinente e compulsivo com'era, sempre

un boccone e un bicchiere di troppo, ma da

me si lasciava mettere a dieta e sapeva che, se

restava qualcosa sul piatto dopo che avevo

passato tutto al setaccio, era veramente qualcosa

di buono. Con te, diceva, vicino a te so

chi sono e non sono niente male.

Se lo hanno viziato con tutti quegli allori e

quei premi letterari, è merito mio, che gli ho

ripulito le sue pagine di tanto grasso e di tanta

pappa sentimentale - ah, quanta zavorra

finita grazie a me nel cestino, magari fra la

carta straccia mi sarà scappato anche qualcosa

di bello, chissà, be', pazienza, così impara.

Lui, comunque, zitto - era sempre d'accordo

con me, aveva fiuto per queste cose e riconosceva

il mio fiuto e se si accorgeva che qualche

volta mi sbagliavo - oh, quasi mai - continuava

a star zitto, non rischiava certo di litigare

per una riga in più o in meno. Ero la

sua Musa e a una Musa si obbedisce, no?

Un poeta ripete fedelmente quello che lei

gli detta e così si guadagna il lauro. Poi lo porta

a casa e la sua Musa glielo mette nell'arrosto

che gli prepara con tanto amore, perché

così viene più saporito. Lui, nella confusione

fra un alloro in testa e uno nel piatto, ripeteva

anche a casa, a tavola, quello che dicevo io.

Dio mio, chiacchierone com'è, ampliava e amplificava

e ci aggiungeva del suo e io lasciavo

che tenesse banco, specie se c'era gente, e anzi

ero orgogliosa di quella sua parlantina così

vivace e pimpante - è quella che mi manca

tanto qui dentro, tutti silenziosi o a bisbigliare

come in chiesa - ero orgogliosa di sentirlo

ripetere, infiorate esagerate e gonfiate, le cose

che gli avevo detto io. Anche se le metteva in

ridere, per far colpo sulla compagnia, lo lasciavo

fare, tanto sapevo che sulle cose essenziali,

mettersi la maglia, smettere di fumare e

di giocare a carte con quegli altri scioperati,

essere meno spendaccione, piantarla con la

politica e non far tardi la sera, stava zitto, come

quando gli eliminavo una pagina o un capitolo

o una poesia, per esempio tutte quelle

scritte per quella squinzia tre anni fa.

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Ero orgogliosa che tutti lo ammirassero e

non mi importava che non sapessero che era

merito mio, che lo facevo rigar dritto. E mi fa

una rabbia, adesso, che, con la scusa del dolore

e dello strazio, si lasci andare a tutte

quelle indecenze da cui lo avevo ripulito una

a una, come i fili della giacca o i peli del naso

- sì, l'ho rimpannucciato e cambiato dalla cima

dei capelli alla punta dei piedi, da quando

ci siamo messi insieme, che nessuno lo

riconosceva più; sono sicura che anche lui, a

vedere la sua faccia nello specchio, così in

ordine, restava a bocca aperta. Ed è stata una

bella faticaccia, ma quel viziato, invece di essermi

grato... Pazienza, è il destino delle donne.

Tanto... Ma che adesso di nuovo unghie

nere, barba lunga, ore piccole e poi a letto fino

a mezzogiorno... insomma, fa quello che

vuole, come un giovanotto senza arte né parte,

sempre in disordine... Ah, se fossi uscita,

mi sarebbero bastati un paio di giorni...

So, so che qualche volta non ne poteva

più... perché, e io no? Ma... ma lo sa anche lui

che, a parte tutto, è fra le sue braccia che sono

diventata una donna ed è fra le mie che lui

è diventato un uomo... un uomo vero, non un

narciso guardingo; uno che va per la sua giusta

strada e non ha paura di cosa gli potrà capitare.

Da quando sono qui, per la verità, ho

sentito dire che è diventato insopportabile,

piagnucoloso e supponente; chiede aiuto a

tutti e non ascolta nessuno e pretende che lo

stiano ad ascoltare e lo ammirino solo perché

non sa che pesci pigliare. Ma se ci fossi io...

E chissà poi come farà adesso che non gli

posso più battere a macchina i suoi versi...

Faccio troppi errori, diceva, me la cavo troppo

male, è una vergogna, però era anche comodo,

così toccava farlo a me e intanto lui

leggeva il giornale o andava a bersi una birra.

Adesso, senza di me, se ne accorgerà - quelle

donne che vanno a sentirlo ogni volta che

legge qualcosa di suo in pubblico o fa una

conferenza se lo coccolano, se lo brancicano

- quelle stupide adorano chi sa mettere due

parole in rima e s'illudono che là sotto ci sia

chissà che grande cuore - se lo abbracciano,

se lo tirano di qua e di là, finirà che a una le

resta in mano la giacca e a un'altra un braccio,

gli fanno firmare i libri, gli scrivono lettere

esaltate e lui risponde a tutte, anche lui

in toni ispirati. Qualche volta mi pregava di

rispondere per lui, a nome suo, e mi divertivo

a farle gongolare ancora di più e a tenerle

sulla corda - però vorrei vedere se si mettono

a scrivere a macchina o al computer per

lui, a copiare i suoi scartafacci illeggibili,

quella sua grafia da nevrotico.

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Però innamorato e testardo, come un vero

nevrotico. È bello essere amata da un nevrotico,

dà sicurezza. Sai che non gli passerà,

un'idea fissa resistente a tutti i colpi della vita.

Non credo che me ne sarei così innamorata

se non fosse stato così nevrotico. Lei ne sa

qualcosa, signor Presidente, della sua ansiosa

pignoleria. La sua domanda per ottenere il

mio permesso di uscita, con tutti i bolli e timbri

in regola, il suo ricorso dopo il vostro primo

rifiuto, con i nuovi allegati e la puntigliosa

contestazione dei vizi di forma del vostro

documento, sempre con quel sapiente dosaggio

di precisione burocratica, maniacale formalismogiuridico

e improvvisi voli di fantasia e

slanci di passione, destinati a far colpo

sul Consiglio di Amministrazione della Casa

di Riposo - anche se voi, e soprattutto Lei, signor

Presidente, non vi lasciate impressionare da

belle frasi, suppliche e preghiere da far

piangere i morti.

Lei, Presidente, conosce meglio d'ogni altro

il cuore umano. È da tempo immemorabile,

un'eternità, che lo vede gonfiarsi

pomposo, sussultare esaltato, aprirsi entusiasta

quando fa comodo e chiudersi arido quando

si tratta di pagare veramente dazio - sempre

in buona fede, per carità, tutti sono compiaciuti

di soffrire per la loro ipersensibilità e di

intenerirsi dolorosamente vedendo soffrire

quegli altri che hanno innocentemente ferito.

Come si può farne a meno, è la vita; certo è

triste veder afflosciarsi i fiori che il destino

crudele ci ha fatto calpestare, ma... - Anche

lui, se è per questo, non si faceva scrupolo di

qualche innocente e infatuata ragazzina. Se

strappava qualche fiorellino, si convinceva

che, in fondo, potevano essere fiere di adornare

la ghirlanda di un poeta, no?

Come? Non La sento bene, Presidente, mi

scusi. oooE che non La vedo, in questo buio -

capisco, capisco, non è taccagneria della Casa,

È che tanti dormono, mica volevo protestare,

ci mancherebbe, sarei una bella ingrata, dopo

aver ricevuto quel permesso eccezionale,

eccezionalissimo, una vera grazia, che se poi

non ne ho approfittato è solo colpa mia. Anzi,

questa luce velata, opaca, mi piace; mi

sembra di essere sul fondo del mare, dove

tutto è fermo, immobile, anche il tempo. Ci

piaceva tanto scendere insieme nell'acqua

blucupa, subito profonda, in riva a quella nostra

isola; forse solo là sotto, nella fissità di

quegli istanti lunghi come secoli, siamo stati

felici. Ma allora anche qui dentro, qui sotto,

in questo quasi buio... Comunque volevo solo dire

che non La vedo, signor Presidente,

non so dove Lei sia, e così magari mi volto

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dalla parte sbagliata e ogni tanto le Sue parole

mi sfuggono. Ah, voleva chiedermi se anche

con me è stato così, se ero anch'io uno di

quei suoi poveri fiori vezzeggiati, stropicciati

e, una volta non più freschi, fatti sparire...

Neanche per idea, stia tranquillo, io no.

Del resto altrimenti lui non si sarebbe

sobbarcato questa faticaccia di venire fin qua

dentro, fin quaggiù; una cosa da fare spavento,

infatti nessun altro se l'è mai sentita - solo

lui, per me, per me che non sono un fiore

da cogliere, diceva, ma una fiamma cui scaldarsi

il cuore o anche bruciarselo, un vino

aspro e dolce che lo dissetava e gli lasciava

con ogni sorso una grande arsura, una grande

estate... Gli ho insegnato io tutto, a restare

a lungo in me, prima e dopo, ad attendere

che gli permettessi, che gli ordinassi di venire,

e tutto il resto. Quando facevamo l'amore,

era come un mare, una grande onda che

culla solleva sprofonda si rompe sulla riva; lui

senza di me sarebbe ancora un bambino, uno

che fa all'amore come soffiarsi il naso, non un

uomo.

Sì, gli ho insegnato io tutto. Non solo

l'amore. Anche quello, si capisce, ma pure

tutto il resto, il coraggio, la fedeltà, guardare

il buio e fregarsene della tremarella... - un

uomo, non uno scribacchino che fa il gradasso

con la penna e poi se la squaglia. Entrava

in me come una spada, docile e possente, signore

e schiavo e compagno e tutto - l'ala di

falco squarcia il cielo, odore di umida terra,

mio, suo, foglie si arrotolano nel vento. Con

quella spada non hai più paura di niente e anche lui,

fra le mie braccia e le mie gambe, dimenticava

le sue paure, e sì che ne aveva, ma

se le buttava dietro le spalle, come faceva con

i vestiti quando andavamo a letto. Che pena

mi fanno quelli che hanno paura, che si agitano

per un granello di troppo sotto il seno o

nella pancia, per uno scarafaggio sotto la tavola

o per un giro d'aria; la gente è piena di

tic, vuol dire che non fa l'amore al modo giusto,

se no quelle manie le passerebbero, io

mica ho fatto tante storie per quella brutta

infezione anche se Dio sa che mi dispiaceva,

ma mica si può dare in ismanie come un'isterica

per ogni biscia che ti trovi tra i piedi -

anche se ti vengono a prendere quegli sbirri

vestiti di nero e ti sbattono in quelle loro

macchine nere ti fanno solo pena, come tutti

i carcerieri i guastafeste e i capoccia di questo

mondo. E se mi veniva un brivido, è naturale,

capita, mi bastava pensare al suo... -

Scusi, Presidente, non intendevo prendermi

confidenze e tanto meno essere poco

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educata. Me l'hanno detto e ripetuto tante

volte che di queste cose non si deve parlare.

Con Lei, poi, sarebbe una sfrontatezza,

un'indecenza. Però... ecco, anch'io, una volta,

credevo che Lei fosse molto severo,

puritaño, uno che punirebbe Adamo ed Èva soltanto

perché magari facevano all'amore in

quel bel giardino, che solo a vedere tutti quei

bei fiori, quelle corolle aperte, ti doveva venire

una voglia come neanche noi due quell'estate

in riva a quel mare... Insomma, Lei

passa per uno che non vede di buon occhio le

classi miste. È una calunnia, posso testimoniarlo,

anche se Lei se ne infischia delle bugie

e delle volgarità che si dicono sul Suo conto.

Da quando sono qui, in questa grande casa -

non l'ho neanche visitata tutta, macché tutta,

nemmeno una piccola parte - mi pare che

non sia così, che Lei non badi a quelle cose,

anzi, che Le faccia piacere se due... Comunque

non se ne impiccia. Mentre su altre faccende,

invece - come litigare, mentire, far

male a qualcuno - si capisce subito che non

transige, diventa un castigamatti. Sarà anche

perché non c'è troppo da preoccuparsi, qui

dentro, che qualcuno allunghi le mani sotto

le gonne o fra i pantaloni... con queste luci

così basse e questo freddo e così poca aria

siamo tutti un po' mogi, se no non saremmo

qui, del resto, e non è che ci sia fra noi una

gran voglia di scop... insomma dei piaceri e

dei peccati della carne. E così Lei, nel governo

della Casa, non ci bada e lascia correre

qualche innocua promiscuità.

Almeno credo, perché non ne abbiamo mai

parlato. Per forza, non L'ho mai vista. Questo

mi ha un po' stupita, devo dire. Che là fuori

Lei non si faccia vedere, è ovvio. Magari andrà

a spasso travestito, anzi, di sicuro, non è

mica un ricoverato come noi, Lei, ma non

può certo correre il rischio di farsi riconoscere.

Se lo immagina? Tutti addosso, a domandare

ringraziare protestare raccomandarsi insultare

chiedere scusa rinfacciare tirar fuori

lamentele e questioni e pasticci e disgrazie di

chissà quando... neanche Lei, così autorevole

e temuto, se la caverebbe facilmente. Ma qui

dentro, nella Casa, la Sua faccia potrebbe anche

mostrarcela - così, giusto per rassicurarci,

ecco, sono qui, tranquilli. Dopo tutto Lei è

il Presidente della Fondazione che provvede

alla Casa, il primo e finora unico Presidente,

quello che ha messo su tutta la baracca,

dentro e fuori, per amor nostro... E invece non si

fa mai vedere, qui dentro, chi L'ha mai vista.

Sarà colpa di quelle luci così soffuse e velate

da sembrare spente - che poi, scusi, magari è

suggestivo e a me personalmente non dispiace,

ma non è di buon gusto, talvolta pare di

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essere in una discoteca equivoca, là non si capisce

niente per via di quella musica a tutto

volume, qui tutti stanno zitti o parlano così

piano che non si capisce nulla ugualmente.

Ma, a parte le luci, non è che ci sia poi una

gran differenza tra la Casa e là fuori, come si

crede o almeno come la Casa reclamizza, nelle

sue filiali e nei suoi uffici di rappresentanza,

nelle sue agenzie così numerose. Non bisogna

credere a quei piazzisti; li capisco, rifilare

patacche è il loro mestiere, tengono famiglia,

ti mostrano dépliant e fotografie e

quadri, spiagge meravigliose cicli senza nuvole,

il biglietto per i paradisi costa poco, comodità

e decoro assicurati e sconti per le famiglie,

quando è il caso, vedrà, signora, laggiù

è tutto diverso, la vita vera che la nostra

società falsa e bacata ha inquinato. Adamo ed

Eva hanno fatto porcherie dappertutto e i loro

figli e nipoti ancora peggio, il mondo è

malato e guasto, montate in macchina - anche

quella messa a disposizione dalla ditta,

inclusa nel prezzo - e partite, non ve ne

pentirete, non potete neanche immaginare come

vi troverete bene, tanto la Casa è diversa.

E invece non mi sono quasi accorta di essere

da un'altra parte. Le strade, per esempio,

si assomigliano, sono quasi uguali. Scure di

gente che cammina, si sfiora, si urta, si guarda

bieca e sospettosa, scompare fra le case e

nei corridoi, un fiume che scorre fra anse e

curve, s'ingrossa o si assottiglia fra le rive anche

se le rive non si vedono, non ci sono.

L'acqua brilla per un attimo nella luce, sparisce

nell'ombra; una nuvola, il soffitto si abbassa,

la marea bruna ti rovina addosso, ti

travolge ma non ti fa male, l'acqua è soffice

come nebbia, anche la folla che ti preme è

soffice, corpi di tenero fango che ti si squagliano

fra le mani e svaniscono prima che tu

li abbracci. La corrente è veloce, gli alberi

chinano le loro fronde e i loro rami sull'acqua,

ti sferzano il viso ma è solo una lieve

carezza di foglie subito dissolta; un viso ti passa

accanto, ti sorride incerto ed è già sparito

nella cedevole ressa, figura di fumo. Il cuore

si stringe. Amor mio, fammi scudo...

Quella domenica nella città dov'eri soldato

- ieri, oggi, mille anni fa, qui ci è proibito

avere orologi e calendari, ce li sequestrano

all'entrata, tutto è adesso e mai - oddio soldato,

eri in divisa, con tutti quei libri che avevi

scritto ti avevano messo subito a fare lo scrivano,

in fureria; anche se facevi molti errori

non ti importava, perché non si trattava delle

tue canzoni; a te la macchina da scrivere ti

piace così com'è, le tue dita sui tasti come

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colpi del destino, le lettere e i numeri che

scorrono sulla carta. Ti è sempre piaciuto

scrivere, non importa cosa, scrivere punto e

basta; è il gesto che conta, gesto di poeta, gesto

da re, sovrano arbitrio sulle povere vocali e

consonanti che saltano fuori a comando e

si mettono in fila, avanti marsc', fila destr,

rompete le righe. Appallottolare il foglio e

buttarlo nel cestino; ma questo, là, in caserma,

non lo potevi fare; ogni foglio era giusto

e sensato e lo mettevi in ordine nelle mappe

e nei registri. Magari fosse stato sempre così

anche fuori dalla caserma, anche finito il servizio

militare; ogni parola ogni frase ogni pagina

giustificata e necessaria come in quei

registri, una forte e bella canzone della vita.

Invece fuori, in libera uscita, smessa la divisa,

in congedo, le canzoni, anche le tue, si

confondono nel vociare e nel brusio, tutto un

chiacchierare che si perde per strada; è anche

inutile alzare la voce, ancora peggio, un'enfasi

stridula, un giro d'aria sparpaglia le pagine

sul tavolo e le disperde chissà dove. Anche

adesso che là fuori gridi straziato il mio nome,

o uno di quei tanti nomi che ti piaceva darmi

precipitando in me, la mia Euridice, dicevi, la

mia... - anche adesso che gridi e piangi l'amore

perduto, in rima con lo scorrere delle acque

e il fruscio delle foglie o in versi sciolti e

selvaggi come i clacson per strada, chissà cosa

ne vien fuori...

In caserma, invece, tenevi le carte in ordine; anche

il maresciallo furiere era contento

di te e ti dava volentieri permessi di libera

uscita, quando venivo a trovarti. Come quella

domenica... le strade piene di gente, spingevano,

urtavano, talora nella ressa ci separavano.

Noi due timidi ardenti vergognosi a

cercare una stanza, a ritagliare dall'universo

che mostrava le zanne un infimo spazio per

noi, solo per noi, piccolo e angusto da poterci

stare solo stretti, abbracciati. Far l'amore

per terra, sulla sedia vicina alla brocca d'acqua

nella stanza di quella vecchia mezzana;

un'ora, disse con oscena familiarità, sapeva

che rumorosa la vita, adulta ostile minacciava

la nostra giovinezza - no, non sono tuoi quei

versi, amore mio, forse neanche li conoscevi,

te li ho ricordati e detti io, tra quella folla, e

tu non ti stancavi di ripeterli, hai sempre avuto

l'istinto sicuro della grandezza, e li hai cantati

e ridetti sulla tua lira. Cosa importa che

non fossero tuoi, erano tuoi, dicevi; il canto

parla per tutti, anche per me che non saprei

mai creare quei versi. Lo sapevi che la poesia

non è mai solo tua, come l'amore, ma di tutti;

non è il poeta che crea la parola, dicevi e

declamavi, è la parola che gli piomba addosso

Page 11: Claudio Magris - Lei Dunque Capirà

e lo fa poeta, così magari anche un poco ti

consolavi, povera canna in cui senza suo merito

soffia il dio come in tutte le canne, anche

in quelle più grandi e melodiose ma non per

loro virtù. Cosa importa di chi è quel canto se

parla per te, per noi, cosa importa da dove

viene l'acqua che ti disseta e diventa tua nella

tua bocca? Anche tante mie parole sono finite

tra i tuoi canti, tra le tue rime più celebrate

e ammirate da tutti, e io ne sono felice,

perché sei tu che le dici e così mi ami ancora

di più...

Siamo saliti svelti per quelle scale, per non

perdere minuti e secondi preziosi di quell'ora

pagata in anticipo; ho avuto pietà della ruffiana

che sogghignava, povera illusa, convinta

che quei due, noi due, come tanti altri, dopo

qualche fremito e qualche macchia sulle

lenzuola saremmo scesi per quella scala estranei,

indifferenti, frettolosi di salutare e di

sparire ognuno dietro il suo angolo. Povera

vecchia illusa; magari andasse sempre così, i

soldi nella sua mano sudata, un rapido

ansimare, qualche giochetto fuori regola, ognuno

ha il suo, cuore tranquillo, in pace, assente,

non c'è e tutto va bene, il mondo è un hôtel

de passe, un paradiso, nessun morso in cuore,

nessun addio. E invece, anche nella più

stanca abitudine, nel più lurido vizio, quella

fitta d'amore, quegli occhi stranieri e perduti

che per un attimo dicono tutto ciò che manca...

La felicità, il vuoto, la catastrofe, la pienezza

insostenibile di stare insieme...

Quando era ormai chiaro che stavo per trasferirmi

nella Casa e tu passavi le ore al mio

letto, mi vedevo così bella, nei tuoi occhi; mi

desideravo attraverso il tuo sguardo; sapevo

di essere bianca e pallida, spossata da quel

veleno, ma nei tuoi occhi ero ancora bruna di

sole e di mare come quando andavamo su

quella nostra piccola isola, la raggiungevamo

a nuoto e sbarcavamo fra lo stridere dei gabbiani,

nudi e splendenti come dèi. Tu eri seduto ai

bordi del letto, ti ho preso la mano e

mi sono fatta accarezzare sotto le coperte; la

tua mano affondava in me, il pescatore scendeva

nella grotta marina di nuovo umida e

stillante, ti guidavo in quella profondità, senza

paura, io non ho mai avuto paura dell'amore,

tu invece sì, uomo di poca fede, ma

io ogni volta ti tiravo fuori dalla voragine

dell'angoscia facendoti precipitare in me,

entrare, penetrare nella mia fonda oscurità; quando

scendevi nella notte scura del mio grembo

ritrovavi la tua chiarità, la tua libertà e sicurezza.

Come in quella grotta marina della nostra

isola, dicevi; ci si tuffa nelle tenebre e ci

si trova in una meravigliosa luce azzurra.

Page 12: Claudio Magris - Lei Dunque Capirà

Anche quella volta, all'inizio, esitavi a sprofondare

in me; la tua mano era incerta sotto

le coperte, è la mia che l'ha guidata e spinta

dentro. Entrando in me sentivo che risalivi

dal fondo della tua paura, che ritrovavi forza

e coraggio; la tua mano prima cauta si faceva

ardita e forte, quel piacere notturno sulla soglia

della grande notte che stava calando su

di noi era incontenibile, in quella tua mano

ho goduto come forse mai - vai al mare, ti ho

detto poco dopo, in quella nostra baia così

blu da sembrare nera - dopo aver fatto

l'amore, in quell'isola, andavamo sempre a

gettarci in mare - va', fallo anche per me,

ogni tuo piacere è anche mio e ti restituisce a

me più forte e più uomo. Senza quella volta

sotto le coperte - l'ultima, poi quel veleno

nelle mie vene ha vinto - non avresti forse

avuto il coraggio di entrare qui dentro, di

scendere a cercarmi quaggiù, nella Casa, in

quest'altro antro di tenebra.

Ecco, signor Presidente, alla notizia di

quell'incredibile, unico permesso, mai prima

accordato a nessun altro, la prima cosa che

ho pensato è che saremmo andati di nuovo

insieme al mare. Come dev'essere stato bravo,

pensavo orgogliosa, chissà come avrà fatto

a commuovere pure Lei, signor Presidente,

Lei così misericordioso ma anche giusto e

severo, Lei che scruta i cuori e non si lascia

certo ingannare dalle sceneggiate e dalle lacrime

facili, come tanti là fuori, pronti a farsi

fregare da uno col cuore in mano. Anzi, devo

dire che, se avessi saputo di quella sua idea

temeraria, pazza, grandiosa di venire qui

dentro e di presentarsi a Lei con quella richiesta

inaudita, sfacciata, avrei avuto paura

che Lei s'infuriasse e prendesse tutto per una

bravata. Lo conosco, il mio uomo, anche

quando si lamenta per il mal di pancia sembra

una tragedia. Anche a me talvolta dava

fastidio e anzi con me non si permetteva

quelle scene, gliene facevo passar subito la

voglia. Adesso invece mi dicono che straparla

di nuovo... Però... ecco, pochi si accorgono

di quanto vero dolore e passione e amore ci

siano in quelle sue recite. Già, non sono poeti,

loro, e non possono capire chi è poeta. Ma

Lei, Presidente, dev'essere certo un poeta,

nascosto e grande, anonimo, come quei grandi

poeti antichi, che non si sa chi erano...

Dunque, se ha lasciato che venisse a prendermi,

deve aver letto il suo cuore meglio di me,

perché talvolta anch'io...

Gli sono andata dietro subito; quel pensiero

del mare mi aveva messo le ali, camminavo

e salivo veloce le scale in penembra, attraversavo

Page 13: Claudio Magris - Lei Dunque Capirà

i lunghi corridoi, i pianerottoli e disobblighi

ingombri di borse, di valigie e di

pacchi, tutta roba che cerchiamo di portarci

qui dentro e che invece, secondo il

regolamento, dobbiamo consegnare al personale.

Chissà che cosa ne fanno, poi, di quei bagagli,

visto che è pure proibito restituirli alle

famiglie. Forse restano semplicemente là,

abbandonati in un angolo, a consumarsi e a

marcire finché spariscono. Altrimenti avrebbero

da tempo occupato e intasato tutta la Casa.

Camminavo, correvo, incespicavo in qualche

pozzanghera, lo seguivo, inseguivo, non

vedevo l'ora di parlargli, di guardarlo negli

occhi. Ma era proibito e ne capivo i motivi.

Se gli altri avessero saputo di quella visita

impossibile, mai concessa a nessuno... forse una

volta, dicono, tanto tempo fa, ma è una di

quelle storie che si raccontano ai bambini per

farli stare buoni, per far loro credere che non

è proprio impossibile e che dunque stiano

tranquilli e fiduciosi, ma è accaduto tanto,

tanto tempo fa, così tanti anni fa che è come

se non fosse accaduto mai o forse sì ma così

tanto tempo fa che si può sperare ma con pazienza,

tanta pazienza, perché prima che succeda

di nuovo deve passare altrettanto tempo

e dunque non è il caso di agitarsi. Ma se avessero

saputo che lui invece era venuto qua

dentro, quaggiù, in carne e ossa, per me, se ci

avessero visti insieme, si sarebbero scatenati

chissà come. Dio mio, scatenati. Non fanno,

non facciamo paura a nessuno, così malmessi e

macilenti, una sfilza di vestiti appesi al

gancio. Ma siamo - sono, mi pareva ormai di

poter dire - così tanti, innumerevoli, che un

po' di paura possiamo farla, uno sciame di

insetti che oscura il cielo.

Correvo silenziosa, fendevo la calca friabile.

File di gente passavano davanti a me, ombre

come i passanti in quel viale in riva al mare

stagliati nel fuoco del tramonto, figurine di

carta piegate dal vento. Le attraversavo affannata

cercando di non dare troppo nell'occhio,

rispondevo a qualche debole sorriso di

saluto che mi pareva di scorgere ogni tanto in

un volto. Nebbie si sfilacciavano, grumi di

fanghiglia franavano senza rumore sotto i

miei passi; lui davanti a me, lontano, la sua

schiena dritta e giovane come se gli anni non

fossero passati neanche per lui. Ogni tanto

spariva dietro la svolta di un corridoio, oltre

un pendio scosceso, affondava in quegli strani

fiori scarlatti che l'Amministrazione sparge

per la Casa e poi lascia ammucchiati dappertutto,

una coltre di brace sempre più cupa.

Strano come non sentissi l'odore sicuramente

frollo di quei petali carnosi e sfatti;

Page 14: Claudio Magris - Lei Dunque Capirà

forse ci sono abituata, pensavo, mentre lui

riappariva, si rialzava barcollante da un rigagnolo

rugginoso dov'era scivolato. Lui avanzava

a fatica, io solo sfioravo quelle paludi e

quei dirupi; l'avrei raggiunto in un attimo se

non mi fossi frenata, sapevo che non dovevamo

farci vedere insieme, posto che quegli occhi

bianchi intorno a noi, a furia di stare tanto

tempo al buio, potessero ancora distinguere

un'ombra da un'altra.

Non mi spaventava l'idea di ritrovarmi presto

di nuovo là fuori, dove tutto è tanto più

difficile e crudele che non qui nella Casa. Da

sola sì che avrei avuto paura e non sarei mai

uscita da questa pace, che avevo desiderata e

invocata quando quel morbo più velenoso di

un serpente mi aveva prostrata. Anche lui, là

fuori, da solo aveva certo avuto paura; forse

per questo era venuto a riprendermi. Non

per salvarmi - anche se ne era convinto, se se

lo dava ad intendere nelle sue canzoni. Forse

ingannevoli, ma ammalianti; io l'avrei seguito

anche solo per sentirle di nuovo.

No, non era venuto per salvarmi, ma per

essere salvato. Come potrei cantare le mie

canzoni in terra straniera? mi diceva. Ero io

la sua terra perduta, la linfa della sua fioritura,

della sua vita. Era venuto per riprendersi

la sua terra, da dove era stato esiliato.

E anche per essere di nuovo protetto da quei colpi

feroci che arrivano da ogni parte e che io

avevo sempre parato per lui, le frecce velenose

destinate a lui che incontravano invece il

mio seno, tenero nella sua mano ma forte come

uno scudo rotondo a ricevere e a fermare

quelle frecce, a intercettare e ad assorbire il

loro veleno prima che arrivasse a lui. Alla fine

sono state troppe e il veleno mi ha vinta,

però fra le sue braccia anch'io sono stata felice

e senza paura; non importa dove arriva la

freccia, sul fianco o sul cuore, sul mio o sul

tuo, quando due sono uno. Senza di lui, anch'io

non sarei stata niente, come lui; una

donnetta e un ometto che si guardano pavidi

intorno cercando di far bella figura, senza

vedere i gigli dei campi.

No, non temevo l'aria cruda e tagliente che

presto mi avrebbe di nuovo soffiato in volto.

Neanche le complicazioni che avrei trovato

tornando a casa. Qualche pasticcio sentimentale,

in mia assenza, l'avrà certo combinato,

pensavo; anche serio, perché lui è un'anima

generosa che s'innamora davvero, insomma

se lo dice e ci crede e così combina guai. Ma

l'avevo già perdonato - cosa dico, perdonato;

solo chi non è innamorato perdona facilmente,

chi ama è implacabile, non lascia passar

Page 15: Claudio Magris - Lei Dunque Capirà

nulla. Del resto con me non avrebbe avuto il

coraggio di barare come con sé stesso, di parlarmi

di sorelle generose che volevano solo

lenire il suo grande dolore, di dirmi che

neanche lui capiva come poteva essere qualche

volta successo che... Non lo perdonavo affatto

e gli correvo dietro, sì, anche per dirgli il

fatto suo, per fargliela pagare, non sapevo

per che cosa, ma fargliela comunque pagare.

Volevo ben vedere se avrebbe avuto il coraggio

di giustificarsi - quella mania di aver sempre

ragione gliel'avevo cavata da un pezzo e

anche quella sua prepotenza di voler sempre

ribattermi quando lo strapazzavo - e sapevo

bene perché, o almeno lo intuivo, lo sentivo

- quel suo insinuare che anch'io forse qualche

volta avevo i miei torti... Dio come mi feriva

questa sua presunzione, questa pretesa

di alzare anche lui la voce, quasi a rifarmi il

verso, a prendermi in giro, quanto mi esasperava

con quei suoi grilli di essere culo e camicia

con tutti, di aprire le porte e le tasche al

primo venuto, senza pensare alla famiglia.

Ma con me non attacca e dopo un po' aveva

messo la testa a posto anche lui.

Non mi preoccupavano quel paio di donnette

che lo avevano di sicuro consolato durante

la mia assenza. Quelle non fanno né

caldo né freddo; so che a lui per primo gli

viene da ridere, se solo le paragona a me,

e quella di paragonarle a me è sempre stata una

sua mania, una vera fissazione. Tanto meglio

per me, così le mollava subito, stufo quasi

prima di cominciare. Che un marito faccia

queste cose, posso capirlo, quantunque, se lo

pizzico sul fatto, so come fargli passare per

sempre la voglia di ripeterle. Anche lui ha

sempre capito chi è che comanda, a letto. Invece

quell'aria da zingaro, da amico del mondo

che mi dicono adesso si dia di nuovo già,

la poesia, si capisce, l'umanità, il senso

religioso dell'umano e del divino, conosco la

solfa, e intanto fumare a letto e dimenticarsi

il compleanno di mia madre, mentre ricorda

sempre quello della sua vecchissima tata e

magari delle sue compagne di scuola, quello

sì mi faceva uscire dai gangheri e volevo proprio

vedere se aveva ricominciato.

E così gli correvo dietro, facendomi largo

tra la folla che mi avvolgeva e si disperdeva

come uno stormo di uccelli se scuoti le fronde

tra le quali si sono posati. Il percorso era

lungo, lunghissimo - no, non infinito, la Casa

è enorme ma non infinita, come si crede là

fuori, e presto avrei attraversato i canali che

la cingono, avrei preso quegli ascensori che

attraversano innumerevoli piani, sarei arrivata

alla porta custodita da quei cani elettronici

Page 16: Claudio Magris - Lei Dunque Capirà

che avevano ricevuto dalla Centrale l'ordine

di lasciarci andare e sarei uscita, arrivata;

avremmo potuto guardarci in volto, il suo

sguardo, il mio, gli anni volati via come quegli

uccelli notturni che si levavano al mio passaggio.

Era vicino, lo sentivo; si fa per dire, vicino,

la Casa è sterminata e i suoi corridoi scale

gallerie cantine stanzoni soffitte sembrano non

finire mai, ma io sapevo, sentivo che presto -

non importava quando, fra anni, fra poco -

sarei uscita e sarei stata fra le sue braccia,

la sua bocca sulla mia, le sue mani sui miei seni

assopiti, sul mio sesso immemore che cominciava

a ricordare, a risvegliarsi, un filo d'acqua

tornava a sgorgare dalla sorgente disseccata.

Mi pareva di sentire la sua mano di notte

nella mia, come sempre, nelle acque chiare

e profonde del sonno, così diverse da questi

acquitrini limacciosi e gorgoglianti che non ci

lasciano dormire - la Casa è il regno dell'insonnia,

appena uno di noi si addormenta - ma non succede

quasi mai - qualche sorvegliante

di turno lo scuote subito. Dicono che,

malandati come siamo, dormire ci fa male e

non dobbiamo lasciarci andare, è pericoloso,

come addormentarsi nella neve.

E invece noi qui vorremmo dormire e io

ero felice perché avrei presto dormito, dormito

con lui - far l'amore sul letto, per terra e

poi restare vicini, abbracciati, intrecciati, una

volta abbiamo tanto riso perché lui aveva baciato

il mio piede e io credevo di baciare la

sua spalla e invece, in quell'intreccio di gambe

e di braccia, era la mia. Addormentarsi di

nuovo insieme, lui ancora dentro di me, lo

sentivo ancora fremere, sempre meno, mentre

scivolavamo nel sonno, l'amore è questo

sonno in cui continua e si spegne dolcemente

senza spegnersi veramente mai - altrimenti è

solo un guizzo, un attrito, un sussulto e dopo

hai subito voglia di alzarti, rivestirti e andare

per conto tuo. Sono sicura che ha fatto così

con tutte le altre, che solo in me ha dormito

in quel grande abbandono.

Le sue labbra, la sua bocca, le sue parole.

Tante cose da dirci, da raccontarci, dopo tanto

tempo. Mi pareva già di sentirlo, quando

incomincia non finisce più, parla e parla, anche

a letto, qualche volta preferirei stesse un

po' più zitto, almeno a letto. Fra l'altro, ero

decisa a dirgli che volevo camere separate,

perché russa e perché ogni tanto si ha bisogno

di star soli. E comunque, fatto trenta che

facesse trentuno; se era venuto fin quaggiù -

una bella faccia tosta e un bel coraggio, per

questo mi piace tanto, non c'è nessuno capace

di questi colpi di testa come lui - che facesse

Page 17: Claudio Magris - Lei Dunque Capirà

ancora uno sforzo e mi comprasse, lassù,

un appartamento un po' più decente, più

grande, in posizione centrale e con garage,

senza tutta quella fatica di cercare ogni volta

un parcheggio, fatica che tocca a me, perché

se no lui finisce che tampona qualche macchina,

e una bella vista. Tanto, se vuole, un po'

di soldi sa farli se si rimbocca le maniche e si

mette al tavolo senza fare lo schizzinoso con

quello che gli chiedono di scrivere, anziché

passar la vita a parlare, a sbambare tutto il

giorno. Quella sua parlantina... Però anche

parlare, talvolta, è fare all'amore e non vedevo

l'ora di sentirlo, di sapere che cosa aveva

fatto e detto e scritto, se aveva composto nuove

canzoni.

E soprattutto cos'era successo di quella

canzone incompiuta, neppure veramente iniziata,

che gli rodeva il cuore di non sapere intonare.

Quella era tutto, diceva; cantarla e

poi deporre la lira non più necessaria, una

volta spalancate col canto le porte oscure e

svelato il segreto. Là dietro, diceva mostrandomi

le ferree porte della Casa, quando le vedevamo

in lontananza passeggiando alla periferia

della città, si possono guardare in faccia

le cose. Qui fuori possiamo solo guardare

quelle porte, le cui lucide scaglie convesse

riflettono le immagini spezzate delle cose, che

si allungano oblique o si gonfiano turgide se

ci spostiamo un po' indietro o in avanti, si

assottigliano si dilatano si spiaccicano - conosciamo

solo quelle fuggevoli caricature, non

la verità, nascosta dall'altra parte, dietro quegli

specchi di bronzo. Ma io, amore mio, mi

dicevi, non posso più cantare solo le fate morgane

di quegli specchi, quei riflessi illusori.

Il mio canto deve dire le cose, la verità,

ciò che tiene unito o disgrega il mondo, costi

quello che costi. Anche la vita - non gli ho

chiesto se la sua o la mia - oppure ammutolire,

che per me sarebbe peggio che morire.

E allora, signor Presidente, ho avuto una

fitta al cuore; una luce, una folgore che

squarcia il buio ma anche l'anima, perché ho

capito che cosa mi avrebbe subito chiesto e

ho capito che era finita. La strada sbarrata, il

ponte caduto, l'abisso invalicabile. Mi pareva

già di sentirlo chiedermi della Casa, e di Lei,

signor Presidente, della Fondazione e di noi

e di cosa c'è veramente qui dentro e di come

sono veramente le cose, i cuori, il mondo.

Sì, perché anche lui, signor Presidente, è

persuaso - come tutti, come me prima di venire

qui - che una volta entrati nella Casa si veda

finalmente in faccia la verità - non più velata,

riflessa e deformata, mascherata e truccata

come la si vede là fuori, ma direttamente, faccia

Page 18: Claudio Magris - Lei Dunque Capirà

a faccia. Cantare il segreto della vita e della

morte, diceva, chi siamo donde veniamo

dove andiamo, ma duro è il confine, la penna

si spezza contro le porte di bronzo che nascondono

il destino, e così si resta fuori ad almanaccare

inutilmente sul trascorrere e sul

permanere, sull'ieri sull'oggi e sul domani, e

la penna serve solo a succhiarsela in bocca,

perché soltanto il Vero grande e terribile è

degno del canto - almeno del suo, non lo diceva

ma lo pensava e quel Vero lo si conosce

soltanto dietro le porte.

Là fuori, signor Presidente, si smania di sapere;

anche chi fa finta di disinteressarsene

darebbe non so cosa per saperlo. Lui poi

smania più di tutti, perché è un poeta e la

poesia, dice, deve scoprire e dire il segreto

della vita, strappare il velo, sfondare le porte,

toccare il fondo del mare dov'è nascosta la

perla. Forse, ho pensato, era venuto a prendermi

soprattutto - soltanto? - per questo,

per sapere, per interrogarmi, perché gli

raccontassi ciò che sta dietro queste porte e lui

potesse afferrare la sua lira e inalzare il canto

nuovo, inaudito, il canto che dice ciò che nessuno sa.

Me lo vedevo, aggrappato a me, ad attendere

le mie parole, i suoi occhi verdi febbrili... e

come avrei potuto dirgli che... Lei ha già capito,

signor Presidente. Come dirgli che, qui

dentro, a parte la luce tanto più fioca, è come

là fuori? Che siamo dietro lo specchio, ma

che quel retro è anch'esso uno specchio,

uguale all'altro. Pure qui gli oggetti mentono,

si dissimulano e trascolorano come meduse.

Siamo in tanti, come là fuori; ancora di più, il

che rende ancora più difficile conoscersi. Ho

parlato con qualcuno, ma nessuno sa da dove

viene - sì, la città, i genitori, va bene, anche i

nonni, sebbene la memoria s'indebolisca, ma

di quello che lui cerca, il segreto dell'origine,

della fine, nessuno sa niente. Facciamo anche

amicizia, ogni tanto perfino un flirt o magari

qualcosa di più, un amoretto, un amore, ma

presto anche qui non si sa più che differenza

ci sia tra l'uno e l'altro ed è subito la solita

solfa, incomprensioni e malintesi. Presto non si

sa più se ci si vuol bene o è solo un'abitudine,

e poi tutto il resto, mugugni ripicche dispetti,

insomma proprio come in famiglia.

Del resto, perché dovremmo saperne di più

di quelli là fuori, di più di noi stessi quando

eravamo là fuori? E anche Lei, signor Presidente,

perché qui dovremmo averLa vista?

Supponiamo, come supponevamo, che ci sia

qualcuno che dirige tutta la baracca, ma chi

sia e come sia e com'è fatto... perché dovremmo

saperlo? Quei malanni e quelle magagne

che ci hanno spedito in questi corridoi e in

Page 19: Claudio Magris - Lei Dunque Capirà

queste buie valli, quei piccoli accidenti al

cuore o al cervello, il morbo velenoso di un

serpente o di un rubinetto del gas non aiutano

a capire meglio quest'immenso labirinto

del prima e del dopo, del mai e del sempre e

dell'io e del tu e del...

Siamo dall'altra parte dello specchio, che è

pure uno specchio, e vediamo solo un pallido

volto, senza essere sicuri di chi sia. Se uno si

rompe una gamba, non pretende per questo

di vedere il Presidente, e rompersi la testa

non aiuta di più. Il fiume scorre, il sangue

scorre, un argine si rompe, l'acqua trabocca e

inonda i campi, il nuotatore va sotto, beve,

riemerge, continua a nuotare senza vedere nulla

né nel meriggio accecante né al buio della notte.

Dirgli che io, anche qui dentro, non ne so

più di lui? Gli sarebbe venuto un colpo, al

mio vate. Mi figuravo le sue lamentele, un uomo

finito, un poeta cui hanno rubato il tema;

avrebbe pensato che quella congiura cosmica

era tutta una manovra contro di lui, per metterlo

a terra, per condannarlo al silenzio.

Se avesse detto agli altri che qui dentro è come là

fuori lo avrebbero fatto a pezzi, specie le sue

smaniose ammiratrici che lo venerano come

un maestro di vita, e se avesse taciuto si sarebbe

sentito un codardo. Ma soprattutto che figuraccia,

venir fin qua dentro, fin quaggiù,

per scoprire che non ne valeva la pena, che

dietro la porta non c'è niente di nuovo.

Già me lo vedevo, straziato smarrito atterrito

inviperito impermalito seccatissimo con

me che gli avevo guastato tutto - e poi i giorni

e le notti insieme, io al suo fianco e lui che

mi guarda di traverso, la scassamarroni che

gli ha fatto cascare il palco, spaventato che lo

spifferassi agli altri, imbarazzato a farsi vedere

in giro con me, lui partito come un eroe

verso il mondo sconosciuto e tornato con le

pive nel sacco. E quando fosse venuta, per lui

o per me, l'ora di tornare di nuovo, e definitivamente,

nella Casa, che disastro la ripetizione degli

addii, ridotti a convenevoli. Di colpo

mi sono sentita stanca, sfinita; ricominciare,

cucinare, lavare, fare all'amore, andare

a teatro, invitare qualcuno a cena, ringraziare

per i fiori, parlare, equivocare e fraintendersi,

come sempre, dormire alzarsi rivestirsi...

No, impossibile, non ce l'avrei fatta, non ce

la facevo. Mi sentivo di colpo così stanca. Ma

forse avrei stretto i denti e inghiottito la mia

stanchezza e avrei tirato avanti. Le donne

sanno farlo, lo fanno quasi sempre, anche

quando non sanno più perché o per chi. Anche

l'idea di averlo di nuovo sempre fra i piedi

Page 20: Claudio Magris - Lei Dunque Capirà

non è che mi... ma soprattutto l'idea di dover

tacere, cambiar discorso quando lui

avrebbe chiesto, avrebbe voluto sapere,

lui così sensibile, così fragile...

Ecco dunque perché, signor Presidente.

No, non è come hanno detto, che si è girato

per troppo amore, incapace di pazienza e di

attesa, e dunque per troppo poco amore.

E nemmeno perché, se fossi tornata con lui, da

lui, non avrebbe più potuto cantare quelle

canzoni melodiose e struggenti che dicevano

il dolore della mia perdita e di ogni perdita e

avevano fatto il giro del mondo, diffuse dai

juke box e poi dai cd, amate da tutti, che

avrebbero continuato ad amarle solo se le

avesse cantate ancora e ne avesse cantate altre

come quelle, lo strazio per la mia lontananza,

il vento che muoveva le corde della

sua lira, che lo faceva poeta solo se era senza

di me per la pena di essere senza di me.

Conosco questo stupido pettegolezzo. No,

signor Presidente, non è per questo motivo

indegno e banale che si è voltato e mi ha perduta.

È una calunnia di colleghi invidiosi che

vogliono dipingerlo come un narciso egoista

per fargli perdere il favore del pubblico, magari

gli stessi che hanno diffuso pure quelle

voci sui bei ragazzi con i quali si sarebbe

consolato della mia lontananza, mandando su

tutte le furie quelle sue adoranti ammiratrici,

capaci per gelosia di cavargli gli occhi. No,

signor Presidente. Sono stata io. Lui voleva sapere

e io gliel'ho impedito. Dio sa se non mi

è costato. Sì, è vero, ero stanca, ormai mi ero

abituata, quasi affezionata alla Casa e ai suoi

ritmi. Ma mi sarebbe tanto piaciuto uscire

per un po' - solo per un po', lo sapevamo entrambi

- in quella luce d'estate - almeno per

un'estate, un'estate su quella piccola isola dove

io e lui... Anche da sola, anche senza di lui

sarei stata felice di fare una passeggiata da

quelle parti.

Ma l'avrei distrutto, uscendo con lui e rispondendo

alle sue inevitabili domande. Io,

distruggerlo? Piuttosto farmi mordere da un

serpente cento volte più velenoso di quella

banale infezione, piuttosto.

Lei dunque capirà, signor Presidente,

perché, quando eravamo ormai prossimi alle

porte, l'ho chiamato con voce forte e sicura,

la voce di quando ero giovane, dall'altra parte,

e lui - sapevo che non avrebbe resistito - si

è voltato, mentre io mi sentivo risucchiare

indietro, leggera, sempre più leggera, una

figurina di carta nel vento, un'ombra che si allunga

si ritira e si confonde con le altre ombre

Page 21: Claudio Magris - Lei Dunque Capirà

della sera, e lui mi guardava impietrito ma

saldo e sicuro e io svanivo felice al suo sguardo,

perché già lo vedevo ritornare straziato ma forte

alla vita, ignaro del nulla, ancora capace

di serenità, forse anche di felicità.

Ora infatti, a casa, a casa nostra, dorme, tranquillo.

Un po' stanco, si capisce,

però...������������������������������������������������������������������

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