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TENDENZEINFORMALIDAGLI ANNICINQUANTAAI PRIMI ANNISETTANTANELLE COLLEZIONIBRESCIANE

144edizioni aab

aab - vicolo delle stelle 4 - brescia

22 settembre - 17 ottobre 2007

orario feriale e festivo 15.30 - 19.30

lunedì chiuso

COMUNE DI BRESCIA

CIVICI MUSEI D’ARTE E STORIA

PROVINCIA DI BRESCIA

ASSOCIAZIONE ARTISTI BRESCIANI

mostra a cura di Alessandra Corna Pellegrini

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L’AAB è orgogliosa di inaugurare la stagione 2007/2008 con una prestigiosaesposizione, di rilievo certamente non solo locale, che propone opere di artistifra i più rappresentativi dell’Informale. La mostra prosegue la fortunata serie“Classici del contemporaneo” dedicata al collezionismo della nostra provincia,che ha già proposto artisti come Kolàr, Demarco, Fontana, Munari, Birolli,Dorazio, Vedova, Fieschi, Adami, Baj ed esponenti della Nuova Figurazione.La curatrice della rassegna, la storica dell’arte Alessandra Corna Pellegrini,ha selezionato un nucleo essenziale di opere (34) che rappresentano esempimolto significativi dell’esperienza e del linguaggio di un movimento pur tantocomplesso e così difficile da circoscrivere come l’Informale e dimostrano l’altaqualità delle collezioni bresciane, sia pubbliche sia private. L’impegnodell’AAB, scientifico organizzativo finanziario, può ben essere documentatodall’importanza internazionale degli autori proposti, da Dubuffet MathieuSchneider a Afro Basaldella Corpora Dorazio Fontana Morlotti SantomasoScanavino Scialoja Tancredi Turcato. L’esposizione, come è prassi costantedell’Associazione, è organizzata in collaborazione con i Civici Musei d’arte estoria di Brescia, che figurano anche come prestatori.

Alla curatrice va quindi rivolto il più vivo apprezzamento per il lavoro compiuto;mentre un sentito ringraziamento va espresso, per l’imprescindibile apportoalla realizzazione dell’iniziativa, ai collezionisti, il cui senso civico è veramenteencomiabile, alle istituzioni pubbliche (Soprintendenza per il patrimonio storico,artistico ed etnoantropologico per le province di Brescia Cremona e Mantova,Civici Musei, Associazione Arte e Spiritualità), alle Fondazioni ASM Brescia, CABe Banca San Paolo di Brescia e agli sponsor, che hanno risposto con generosadisponibilità alle nostre richieste.

Vasco FratiGiuseppina Ragusini

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Problemi di una definizione, ragioni di una scelta

Parlando di Informale, bisogna anzitutto partire dalla constatazione che lastessa definizione ha suscitato fin dal suo apparire una serie di problemi ediscussioni: basti pensare che persino Dubuffet, considerato uno dei fon-datori del movimento in Francia, non si è mai riconosciuto in questa eti-chetta1, coniata da Michel Tapié nel 1951 in occasione delle mostre Véhé-mences confrontées e Signifiants de l’Informel e divulgata nel suo testo fon-damentale Un art autre nel 1952; e la stessa cosa può dirsi per Fautrier eMathieu o per Vedova, per fare un nome italiano2. Ciò spiega anche la dif-fusione di altre definizioni, art autre, tachisme, abstraction lyrique (o psyqui-que)3, ognuna delle quali cercava di mettere in risalto alcuni aspetti di quellinguaggio che aveva preso il sopravvento nell’arte del dopoguerra in Eu-ropa e che aveva molti punti di contatto con le esperienze americane del-l’action painting e dell’espressionismo astratto. Pur fra le polemiche e i di-stinguo il termine si è comunque affermato, ma la critica, anche se da po-sizioni differenti, concorda sul fatto che l’arte informale non rappresentaun movimento unitario facilmente circoscrivibile, quanto piuttosto “un ar-ticolato ventaglio” di espressioni e di stili, una “nebulosa”.4

A differenza di movimenti come il Futurismo o altre avanguardie storiche,l’Informale è infatti un movimento non programmatico e organizzato, ma

L’INFORMALE, FENOMENO COMPLESSOE MULTIFORMEAlessandra Corna Pellegrini

1 Benchè Dubuffet sia stato il primo ad usare i termini informe e tache nel suo testo Prospectus auxamateurs de tout genre, pubblicato a Parigi nel 1946, in una lettera ad Enrico Crispolti del 1959 di-ceva: «Je ne comprende pas le sens précis de ce terme: “Art informel”. J’ai peur que ce terme nes’applique pas a quelque chose qui puisse vraiment bien se définir et se circonscrire. […] Si cer-taines des mes travaux peuvent peut-être remplir les conditions requises par la formule de l’Artinformel, il est hors de doute que d’autre de mes travaux, très nombreux aussi, sont en oppositiontotale avec cette formule. Ainsi ne vois-je pas clairement ce que j’ai à faire avec l’art informel. J’ajou-terai que je n’aime pas ce terme». Si veda E. Crispolti, Sulla radicalità esistenziale dell’Informale, inInformale. Jean Dubuffet e l’arte europea 1945-1970, catalogo della mostra a cura di L. M. Barbero,Modena 18 dicembre 2005-9 aprile 2006, New York 2005, p. 39.2«Quando si vedono le mie tensioni di segni, ove tutto scoppia, subito sono etichettato: informel!Questo è superficiale. I miei lavori sono pieni di strutture – queste strutture sono strutture dellamia coscienza». E. Vedova, Scontro di situazioni, in «Il Verri», n. 9, dicembre 1962.3 Anche il termine astrazione è stato utilizzato in accezioni molto diverse, spesso ambigue, creandooccasioni di fraintendimenti. Per i problemi relativi alla terminologia si vedano: R. Pasini, L’InformaleStati Uniti Europa Italia, Bologna 1996, pp. 179-182, e G. Dorfles, Glossarietto del nuovo gergo critico, inUltime tendenze dell’arte d’oggi, Milano 19815, pp. 193-203; si veda anche la nota 9.4 A. Negri, C. Pirovano, La nebulosa informale, in La pittura in Italia. Il Novecento/2 1945-1990, vol. 1,Milano 1993, pp. 256 e seguenti.

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“di fatto”, ricostruibile a posteriori attraverso strumenti storici e critici.Bisogna inoltre osservare che il termine è stato utilizzato con accezioni di-verse: un’interpretazione più larga, con la quale all’interno di determinatecoordinate storico-temporali si è cercato di trovare un denominatore co-mune per esperienze anche diverse, ma riconducibile al binomio segno-materia; un’altra più ristretta, «per la quale l’Informale sarebbe solo il rap-porto immediato, senza progetto né referente, con la pittura nel suo gor-go infinito, quale empito fisiologico portato al di là di qualsiasi tara ottico-percettiva nella più dirompente e icastica pulsione gestuale.»5 Questospiega perché la critica si divida sull’appartenenza di alcuni artisti all’Infor-male e spesso il dilemma è se un artista si sia fermato “al di qua” di quelmovimento o vi faccia legittimamente parte.

Fra i punti comuni di questa tempe-rie artistica che assunse diffusionemondiale sono stati individuati il ri-fiuto delle regole tradizionali dellacomposizione, la sfiducia nella razio-nalità e la convinzione che l’operad’arte debba essere il frutto dell’im-provvisazione e dell’intensa libera-zione di energie psichiche. Per distin-guere le diverse linee espressive checonvivono nel movimento, la criticaha spesso preferito raggruppareopere e artisti in base a criteri di ti-po linguistico-formale, individuandodue linee di tendenza, quella segnico-gestuale e quella materica; bisognaperò tenere presente che talvoltaqueste linee espressive convivononello stesso artista o addirittura nel-la stessa opera e che fra il segno diCapogrossi e quello di Vedova e Mo-reni, per fare soltanto un esempio,esistono più differenze (sia formali

sia concettuali) che punti di contatto. Va ricordato inoltre che all’internodell’Informale convivono esiti figurativi e non figurativi, anche nello stessoartista (si pensi a Dubuffet o a Fautrier).Le matrici filosofiche del movimento possono essere individuate nell’Esi-stenzialismo, mentre molteplici sono quelle artistiche, fra cui le più impor-tanti sono il primo astrattismo di Kandinskij, quello dal 1910 al 1917 circa,e il Surrealismo, che aveva già introdotto l’automatismo, la non progettualità

Giuseppe Capogrossi, Superficie 396, 1961Brescia, collezione privata

5 R. Pasini, L’Informale Stati Uniti Europa Italia, Bologna 1996, p. 331.

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nell’opera e alcune tec-niche poi riprese dal-l’Informale come il drip-ping e il grattage.Il fenomeno si affermòa partire dalla metà de-gli anni Quaranta in Eu-ropa; in Italia le manife-stazioni più precoci siebbero a Milano conFontana e la fondazionedello Spazialismo, ma ilmovimento si affermòsoltanto all’inizio degli

anni Cinquanta, divenendo però in breve una sorta di “marea montante”:negli anni successivi e per tutta la prima metà degli anni Sessanta si mutòin linguaggio di riferimento con cui quasi tutti gli artisti fecero bene o ma-le i conti, con il rischio di trasformarlo in una nuova forma di accademia.Partendo quindi dalla considerazione che l’Informale è un fenomenomolto complesso, difficile da definire e da circoscrivere, e che l’allesti-mento, come in tutte le mostre dell’Associazione Artisti Bresciani, pren-de in considerazione solamente opere presenti nelle collezioni locali, siè preferito presentare non solo maestri riconosciuti della corrente, maanche artisti che si sono avvicinati al linguaggio informale solo in certimomenti del loro percorso artistico, svolto altrimenti o per motivi ge-nerazionali o per convinzioni teoriche su altri fronti, a dimostrazione diquello che si è detto sopra, che cioè a una certa data la declinazioneinformale sembra essere un passaggio obbligato. Questo spiega il titoloTendenze informali, il cui sottotitolo individua l’arco cronologico delleopere esposte, che va dal 1952 al 1970 (per la precisione due tele diTurcato sono state assegnate dalla critica al 1970-1971, mentre unascultura di Fontana, la cui concezione risale agli anni Sessanta, è un mul-tiplo fuso nel 1973).Poiché le opere ascrivibili all’Informale presenti nelle collezioni brescianesono numerose e importanti, anche se rappresentative solo di alcuniaspetti del fenomeno, è stato necessario operare una scelta rigorosa te-nendo conto di questi elementi: le dimensioni dello spazio espositivo a di-sposizione, la significatività dell’opera rispetto al percorso dell’artista e allinguaggio informale, la preoccupazione di non riproporre opere già pre-sentate all’AAB (unica eccezione la ceramica di Fontana di proprietà deiCivici Musei esposta nel 1999 nella mostra dedicata dall’Associazione al-l’artista in occasione del centenario della nascita); in alcuni casi invece leassenze sono dovute alla delicatezza delle opere che ne sconsigliava lospostamento: è il caso di una Superficie di Capogrossi presente in colle-

Emilio Vedova, Spagna oggi ’61 n. 11, 1961Brescia, collezione privata

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zione privata e della tela di HartungT 1966 – E 9 del 1966, opera-simbo-lo della Collezione Arte e Spiritua-lità, che, tra l’altro, essendo stataesposta lo scorso anno al MuseoDiocesano di Brescia non poteva co-munque essere prestata a così brevedistanza di tempo e nella stessa città.

Le opere in mostra

Le opere esposte provengono daiCivici Musei di arte e storia, dallaCollezione Arte e Spiritualità e dadiverse collezioni private di Bresciae provincia.Qui si vuole dare un quadro genera-le dell’esposizione, mentre per noti-zie più dettagliate sugli artisti e leopere si rimanda alle schede biogra-fiche. Il nucleo di opere di proprietà dei

Musei è costituito da cinque tele, un pastello su carta e due sculture, inparte acquisti operati dall’allora direttore Gaetano Panazza con la colla-borazione del conservatore Bruno Passamani, in parte donazioni di colle-zionisti o degli autori stessi6. Le opere furono inserite nel percorso dellaGalleria d’arte moderna e contemporanea di Brescia, che era stata inau-gurata nel 1964, ad integrare il nucleo portante della sezione di arte con-temporanea, costituito da una parte consistente della Collezione Cavelli-ni, fra le più importanti e aggiornate in Italia sulle tendenze dell’arte italia-na ed europea dalla metà degli anni Quaranta in avanti7.

6 Ad eccezione della ceramica di Fontana del 1959, che come si è detto è stata esposta nella mo-stra dedicata dall’AAB a questo artista nel 1999, si tratta di opere che il pubblico ha potuto am-mirare l’ultima volta in occasione della mostra Dai Neoclassici ai Futuristi ed oltre. Proposte per una ci-vica galleria d’arte moderna e contemporanea allestita nel complesso di Santa Giulia dal novembre1989 al gennaio 1990. Si veda il catalogo della mostra a cura di Renata Stradiotti, Brescia 1989.Per notizie più precise sulla provenienza delle opere si vedano le schede relative agli artisti e le di-dascalie delle opere stesse.I Civici Musei conservano altre opere che dimostrano influenze informali: alcune di artisti brescia-ni, come per esempio Anna Coccoli e Valentino Zini, o di artisti che hanno trascorso a Brescia lun-ga parte della loro vita, come Giuseppe De Lucia e Turi Volante; altre di artisti la cui produzione piùconosciuta e significativa si è svolta in altri ambiti, come Franco Francese, Giansisto Gasparini, Fer-nando Picenni ed Ermanno Pittigliani.7 Per comprendere la ricchezza e l’importanza della collezione Cavellini è fondamentale G. Caran-dente (a cura di), Pittori moderni della Collezione Cavellini, catalogo della mostra, Galleria nazionaled’arte moderna Valle Giulia, Roma maggio-luglio 1957, Roma 1957; nella presentazione alla mostraPalma Bucarelli definendo la Collezione Cavellini «la più giovane ed aggiornata d’Italia» affermava

Hans Hartung, T 1966 - E9, 1966Brescia, Collezione Arte e Spiritualità

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Composizione in blu del 1959 (cat. n. 11) di Alfredo Chighine e Composizio-ne del 1961 (cat. n. 17) di Gino Meloni rappresentano due esempi di comeil linguaggio informale sia stato affrontato fra la fine degli anni Cinquanta e iprimi anni Sessanta a Milano, uno dei centri più importanti per la diffusionedel fenomeno, soprattutto grazie all’attività di due gallerie, Il Milione e Il Na-viglio. La tela di Chighine, proveniente proprio dalla galleria del Milione, è unasua tipica composizione per masse sintetiche, rese da spatolate vigorose ecompatte, messe in vibrazione, ma non sfaldate da un reticolo di segni sot-tili: una vocazione alla saldezza della struttura, un senso di controllo cui l’ar-tista non volle mai rinunciare del tutto. Il pastello di Meloni è significativo diuna sua particolare declinazione dell’Informale tesa a creare atmosfere etrasparenze cromatiche, via che nella sua produzione si alterna a una più de-cisamente materica, ma anche a frequenti ritorni alla figurazione.Lampare a mare del 1957 di Enzo Brunori (cat. n. 5) e Valle scura del1961 cir-ca di Enrico Paulucci (cat. n. 18) sono opere di autori oggi meno noti al pub-blico, ma che ebbero un ruolo molto importante nell’arte del dopoguerra:pur essendo soltanto tangenti all’Informale, dimostrano quanto potentemen-te abbiano agito in Italia le istanze di questa poetica fra la fine degli anni Cin-quanta e i primi anni Sessanta innestandosi sulle esperienze dell’astrazione li-rica8. La grande tela di Brunori, acquistata dal Comune di Brescia nel 1965, furealizzata in un anno importante nella produzione del pittore perugino: con-temporaneamente alla “scoperta del mare” come nuovo tema su cui lavora-re, il pittore si aprì alle istanze del linguaggio informale, liberando il colore dal-le strutture di derivazione cubista che fino a quel momento lo avevano in-

anche che offriva «per la prima volta un panorama dell’arte europea attuale dando […] la possibilità divalutare quanto oggi […] la giovane arte italiana si sia inserita nei grandi movimenti artistici europei».Importantissimi i nomi in catalogo; fra gli artisti collegati all’argomento del presente saggio segnalia-mo: 7 opere di Afro fra il 1951 e il 1953, 2 di Baumeister, 73 olii di Birolli oltre agli 86 Disegni dellaResistenza, un corpus veramente eccezionale, 6 opere di Brunori dal 1954 al 1957, Sacco e nero 3 diBurri del 1955, Composizione ritmica di Chighine del 1956, 8 tele di Corpora dal 1952 al 1956, dueDova, un Dubuffet, un Concetto spaziale di Fontana, 4 opere di Hartung dal 1950 al 1955, Expressionmordante di Asger Jorn, un quadro di Matta del 1951, 5 di Moreni, 5 di Morlotti, 8 di Santomaso, Com-posizione 44-B di Schneider del 1952, L’insetto di Turcato del 1952, 10 opere di Vedova. La presenzadi tale collezione fece della nostra città un centro sensibile alle tendenze più aggiornate dell’arte eu-ropea, come è testimoniato dall’apertura del collezionismo locale e anche dalla produzione degli ar-tisti bresciani. Parte della collezione Cavellini rimase in deposito presso la Galleria d’arte modernae contemporanea di Brescia che fu aperta al pubblico nel complesso di Santa Giulia dal novembre1964 al settembre 1971; l’elenco delle opere esposte (pubblicato in M. Valsecchi, Pittori della Colle-zione Cavellini nella Galleria d’arte moderna, Brescia 1964, utile anche per la ricca bibliografia) dimo-stra che la collezione si era ulteriormente arricchita di opere di artisti informali, con un particolareinteresse per i pittori europei e americani. Per ricostruire le vicende della collezione Cavellini e del-la sua dispersione e quelle strettamente collegate della Galleria d’arte moderna di Brescia si veda-no anche: G.A. Cavellini, Vita di un genio, Centro studi cavelliniani, Brescia 1989; AA.VV., Dietro la lun-ga parete bianca. In attesa della Galleria d’arte moderna, in «AB», n. 4, Brescia 1985; F. Lorenzi (a curadi), Il mondo di Gino Benedetti fra arte e poesia, catalogo della mostra, Associazione Artisti Bresciani,Brescia 22 settembre-17 ottobre 2000, Brescia 2000; B. Passamani, Testimone diretto, in Aspetti del Fu-turismo nelle collezioni bresciane, catalogo della mostra a cura di A. Corna Pellegrini e B. Passamani,Associazione Artisti Bresciani, Brescia 18 marzo-5 aprile 2006, Brescia 2006.8 Per le diverse accezioni con cui è stato utilizzato il termine “astrazione” si vedano la nota 3 e lanota seguente.

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quadrato. Fondamentale fu per lui la vicinanza con Birolli, presso la cui casadi Manarola passò in quell’anno le vacanze estive, condividendo discussioniteoriche ed esperienze pittoriche. Paulucci entrò in contatto con la tempe-rie informale dopo una lunga carriera di successo che lo aveva portato ad es-sere una delle figure più importanti della vita artistica di Torino. La sua espe-rienza può essere accostata a quella di pittori che in parte hanno condivisola sua traiettoria, in particolare quelli raccolti da Lionello Venturi sotto l’eti-chetta “astratto-concreti”9, e il nome più significativo è ancora Birolli: i sog-getti più amati, i paesaggi di mare o delle Langhe, vengono trasfigurati nell’e-mozione del colore, anche se la composizione rimane ancora articolata inuna struttura piuttosto rigorosa, di derivazione postcubista.10

Due tele, entrambe del 1963, sono di pittori stranieri, ma profondamentelegati all’Italia: Juan Del Prete, nato a Chieti, ma trasferitosi dal 1909 inArgentina, dove raggiunse la massima fama, e Ilia Peikov, artista bulgaroche visse a Roma insieme al fratello scultore Assen dalla fine della secon-da guerra mondiale. Composicion collage (cat. n. 22) è stata realizzata da DelPrete con la tecnica del collage di stoffe su tela presente costantementenella sua produzione, che alterna periodi figurativi e non figurativi, questiultimi prima sul versante dell’astrazione geometrica, poi, tra la fine deglianni Cinquanta e i primi anni Sessanta, sul versante della pittura informa-le. Del Prete, che partecipò a mostre nazionali ed internazionali di alto ri-lievo, espose a Brescia presso la sede dell’AAB in una collettiva nel 1964e in una personale nel 196511 e donò personalmente l’opera ai Civici Mu-

9 La formula “astratto-concreto”, ideata da Lionello Venturi nel 1952 per definire l’opera del Grup-po degli Otto presentato alla Biennale di Venezia di quell’anno (Afro, Birolli, Corpora, Moreni, Mor-lotti, Santomaso, Turcato, Vedova), nella sua ambiguità voleva sottolineare la distanza di questi pit-tori dall’astrazione geometrica e razionalista e il loro forte legame con la realtà naturale come da-to di partenza; il suo era anche un tentativo di uscire dalle strettoie del dibattito ideologico cheaveva assorbito l’ambiente artistico italiano dal 1948 in avanti e aveva contrapposto da un lato i so-stenitori di un’arte realistica di impegno politico-sociale allineata con le indicazioni del Partito Co-munista, dall’altro i propugnatori di un’arte astratta che trovava in sé stessa e nella purezza delleforme la propria giustificazione. È una definizione piuttosto generica, che non considera come giàa quell’epoca alcuni degli artisti del gruppo, in particolare Moreni, Morlotti, Turcato e soprattuttoVedova, erano ben oltre ormai una variante dell’astrattismo, perché nelle loro opere si faceva stra-da una pulsione vitalistica e una sensibilità materica del tutto nuove. D’altra parte il Gruppo degli Ot-to ebbe breve durata, perché già dal 1954 i suoi componenti presero strade diverse. Altri critici hanno preferito usare definizioni diverse; per esempio Argan, per descrivere l’opera diAfro, Birolli, Corpora, Paulucci e Santomaso, la assimila a quella dei francesi Edouard Pignon, AlfredManessier e Jean-René Bazaine, accomunandoli sotto il termine astrattismo lirico. Il termine astra-zione lirica fu usato anche dal pittore Georges Mathieu e dal critico Pierre Restany per indicare lapittura segnica e un genere di astrattismo non geometrico e non costruttivista ma più libero daschemi (si veda G. Dorfles, Ultime tendenze dell’arte d’oggi, Milano 19815).10 Nel 1961 Enrico Paulucci espose in una mostra collettiva presso la galleria La Loggetta di Brescia.11 Si veda il pieghevole illustrativo della mostra a cura di Gianfranco Maiorana e con presentazio-ne di Enrico Crispolti Juan Del Prete, Associazione Artisti Bresciani, Brescia 8-20 maggio 1965, Bi-blioteca Queriniana, SB M III 6m6; per informazioni sulle mostre presso la sede dell’AAB organiz-zate in quegli anni e sull’attività artistica e culturale svolta dall’Associazione in Brescia si veda: R.Ferrari, L’Associazione Artisti Bresciani. Un difficile cammino nell’arte e nella cultura (1945-1995), Brescia1995.

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sei. La tela di Peikov, Universo di fuoco (cat. n. 24), fu donata ai Musei dalgeometra Mario Dora; appartiene a quel ciclo di visioni cosmiche, di spa-zi galattici, che caratterizzò la produzione potentemente visionaria del pit-tore bulgaro, realizzata con accensioni cromatiche violente e una materiapittorica che si addensa, grumosa. Significativo è il titolo Mondi iperboreidella personale tenuta presso l’AAB nel 1964.La ceramica di Lucio Fontana, Concetto spaziale del 1959 (cat. n. 31), ègiunta ai Civici Musei per acquisto comunale; il grande artista argentinofondatore dello Spazialismo, anch’egli legato all’ambiente milanese di cui fuuno degli elementi propulsori, realizza qui una variante dei tagli, che dal1958 diventarono un tema costante delle sue opere, sia tele che sculture.Nello stesso anno di questo disco, per esempio, Fontana iniziò il ciclo del-le Nature, sfere in ceramica irregolari in cui il taglio assume la forma dram-matica di spaccatura che fende la materia. Dalla natura trae ispirazione an-che l’opera di Quinto Ghermandi, scultore legato a Bologna, un altrogrande centro di irraggiamento dell’Informale. Momento del volo del 1970(cat. n. 33) è il bozzetto che vinse il concorso per il monumento alla Re-sistenza da collocare nei giardini di corso Magenta a Brescia; lo scultoreriesce a liberarsi dai vincoli della retorica celebrativa traducendo l’inno al-la libertà nel correlativo-oggettivo dell’ala che si libra in volo, forma di vi-ta oltraggiata dalla violenza, ma vittoriosa. A dialogare con queste sculturese ne propongono altre due conservate in collezioni private. Il bronzo Con-cetto spaziale di Fontana (cat. n. 34), multiplo ottenuto con una fusione po-stuma del 1973 da un’opera concepita negli anni Sessanta, è una variantedelle Nature: qui la forma perfetta, primigenia di una cellula-uovo, non vie-ne lacerata da un taglio, ma da un altro topos della produzione di Fontana,il buco, la cui consistenza slabbrata crea un forte contrasto materico e lu-minoso con il resto della superficie estremamente levigata. Largo gesto perun massimo spazio di Ghermandi (cat. n. 32), del 1969, ripropone l’idea dileggerezza, di elevazione, di liberazione della materia dalla sua opacità e pe-santezza; considerata una delle sue opere più importanti, rappresentò perl’artista il passaggio dall’«oggetto-forma» all’«oggetto-spazio».Le opere di artisti stranieri di collezione privata proposte in questa mo-stra non sono numerose, ma veramente significative ed esemplificativedelle declinazioni segnico-gestuali e materiche in cui si espresse il movi-mento. La grande tela di Georges Mathieu del 1952 (cat. n. 1) appar-tiene a un momento cardine della sua produzione e dello stesso Infor-male: un esempio importante della sua elegante “calligrafia”, che nasce dauna gestualità rapida e impulsiva, ma attenta al bilanciarsi armonioso del-la composizione. Non meno importante nella storia dell’Informale l’o-pera di Dubuffet del 1953, L’elefante bianco (cat. n. 3), nata da quellastraordinaria indagine sulla materia che è alla base della sua produzionealmeno fino al 1962; la tela, della serie Sols et terrains, presenta una pasta

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cromatica in rilievo, incisa, tormentata, che dà origine a un paesaggio vi-sionario e insieme concreto, arido e deserto, erto come un muro chechiude lo spazio al cielo. Anche l’opera dello svizzero Gérard Schnei-der (cat. n. 9), del 1958, è nata in realtà in ambito francese, perché l’ar-tista si formò a Parigi, dove si stabilì definitivamente nel 1924. La tela inmostra è un esempio della sua produzione informale avviata attorno al1953 e caratterizzata da una gestualità vigorosa e drammatica. Semprealla cultura francese va ricollegata anche l’opera di Simon Hantaï, un-gherese di nascita, qui presente con una tela del 1963 (cat. n. 23) di pro-prietà della Collezione Arte e Spiritualità: in questo caso l’artista ap-profondisce la ricerca su un segno brulicante, che crea forme cellulari esonda le possibilità del colore di creare il senso dello spazio. Molto in-fluenzato dall’ambiente parigino in cui visse dal 1956 al 1981, ma sem-pre legato alla città d’origine, Madrid, fu anche Luis Feito, uno dei rap-presentanti dell’Informale spagnolo, fondatore nel 1957 con Saura, Ca-nogar, Millares e altri del gruppo El Paso; l’olio in mostra del 1959 (cat.n.12) è tipico della produzione di questo periodo, essenzialmente ma-terica, basata su una gamma cromatica ridotta ai neri, ai bianchi, agliocra. Anche Jorge Eielson, peruviano di nascita, visse per alcuni anni aParigi, tappa obbligata in questo periodo per la formazione di molti pit-tori, ma scelse come patria d’elezione l’Italia; a Roma entrò in contattocon Burri e fu influenzato dalle sue sperimentazioni sui sacchi; tracciadel contatto è evidente nell’opera esposta (cat. n. 15), del 1960, in cuiaccosta alla materialità greve del cemento la tela grezza e il rigore geo-metrico delle forme.Le altre opere esposte appartengono ad artisti italiani, alcuni dei quali pos-sono essere accomunati, perché si avvicinarono al linguaggio informale at-traverso le stesse tappe. È il caso di Afro, Birolli, Corpora, Morlotti, Santo-maso, Turcato, che, accanto a Moreni e Vedova12, condivisero una matricepostcubista, spesso derivata dalla conoscenza diretta delle opere francesidurante viaggi e soggiorni a Parigi, e le avventure artistiche del Fronte nuo-vo delle arti nel 1947, sostenuti da Giuseppe Marchiori, e, fra il 1952 e il1954, del Gruppo degli Otto, promosso da Lionello Venturi; alcuni di loro,inoltre, come Afro, Birolli, Morlotti, nel corso degli anni Cinquanta espo-sero negli Stati Uniti, entrando in contatto diretto con la pittura america-na d’avanguardia. In seguito si mossero su strade diverse. L’avventura di Bi-rolli si interruppe con la morte nel 1959, quando il pittore stava vivendoquella che egli stesso definì la sua “quinta stagione”, da cui nacquero le bel-

12 Dispiace non avere in mostra opere di Moreni e Vedova, nomi molto importanti dell’Informaleitaliano, di cui interpretano intensamente la tendenza gestuale; del primo sono state reperite ope-re del periodo postcubista, mentre del secondo opere o precedenti o successive a quelle del pe-riodo cronologico qui preso in esame, a parte le opere già esposte nel 2003, che, come si è detto,si è deciso di non riproporre.

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lissime tele dedicate alle Cinque Terre13; qui è presente Manarola del 1958(cat. n. 8), dove l’immersione emotiva nella natura raggiunge un’espressio-ne suggestiva, che trasfigura il dato reale grazie alle macchie di colore li-bere da costrizioni formali. Afro e Santomaso svilupparono una pitturaper certi versi simile, nella quale la libertà del segno e il vigore del gestonon annullano un armonioso senso del colore di derivazione veneta; nesono prova le due opere esposte (cat. n. 14 e n. 19), entrambe dei primis-simi anni Sessanta. Corpora e Turcato proseguirono la loro ricerca dasempre orientata attorno ad una raffinatissima indagine sul colore e sullaforma, cui li aveva portati anche l’esperienza del gruppo Forma 1, da lorofondato a Roma nel 1947 assieme ad Accardi, Attardi, Consagra, Dorazio.Del primo viene esposto un olio del 1966 (cat. n. 26) che rivela la matri-ce fauve del suo colore, qui steso a larghe pennellate che creano una com-posizione insieme salda e mobile; del secondo due opere, entrambe data-bili al 1970-1971 (cat. n. 29 e n. 30) e delle stesse dimensioni, che unisco-no una profonda sensibilità per gli accordi cromatici e i valori di luce allasperimentazione di tecniche dell’automatismo informale vicine al drippingpollockiano. Morlotti, dopo essersi staccato dal Gruppo degli Otto e dal-l’influenza di Lionello Venturi nel 1953, continuò comunque la ricerca sul-la natura, immergendosi sempre più nella sua consistenza materiale e or-ganica; Nudo (o Nudo nella roccia) del 1964 (cat. n. 25) è un esempio chia-ro del modo in cui l’impasto pittorico, denso, tormentato dalla spatola, rie-sce a rendere la consistenza pesante e ancestrale della materia, sia essaquella organica di una figura umana o quella inorganica di una roccia. Lasua pittura fu sostenuta criticamente da Giovanni Testori e da FrancescoArcangeli, che la definì “ultimo naturalismo”, accomunando sotto questaetichetta altri pittori di area padana14; fra questi il bolognese PompilioMandelli, di cui si espone Inverno grigio del 1962 (cat. n. 20): del dato na-turale rimane l’atmosfera, resa attraverso la gamma dei grigi stesi con ge-sti vigorosi e messi in vibrazione con rapidi segni incisi.Due tele, di collezioni diverse, rappresentano altre modalità, rispetto allascultura, attraverso cui Fontana ha indagato l’idea di spazio: Concetto spa-ziale del 1957 (cat. n. 7) appartiene alla serie Gessi e propone una rifles-sione sulla forma e lo spazio, sulla figura e lo sfondo e infine sulla materia;Concetto spaziale. Attesa del 1967 (cat. n. 27) fa parte della celebre serie deitagli avviata nel 1958, in cui il segno-gesto raggiunge il massimo di concen-trazione lirica; qui la ricerca sullo spazio e la materia, sul finito e il non-fi-nito è già oltre l’Informale e apre la strada ad ulteriori percorsi di tipoconcettuale, come quello degli artisti di Azimuth, primi fra tutti Manzoni e

13 Alcune furono esposte nella mostra dedicata al pittore dall’AAB nel 2001, per la quale si riman-da a: G. Capretti (a cura di), Renato Birolli nelle collezioni bresciane, catalogo della mostra, Associa-zione Artisti Bresciani, Brescia 22 settembre-17 ottobre 2001, Brescia 2001.14 F. Arcangeli, Gli ultimi naturalisti, in «Paragone», n. 59, 1954.

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Castellani. Dello Spazialismo milanese condivise alcune ricerche ancheEmilio Scanavino, che però non volle mai aderire al gruppo; la sua pittu-ra si concentrò soprattutto sulle potenzialità espressive del segno, comeè ben evidente nell’opera Composizione del 1970 (cat. n. 28) che appartie-ne alla serie Tramature: i graffi incisi nella materia pittorica sembrano crea-re un ritmo uniforme, ma poi si accavallano, deragliano e la maglia dellastruttura si strappa a rivelare il vuoto.Percorso singolare fu quello di Bice Lazzari, giunta all’Informale attornoai sessant’anni, accettando di rimettersi in gioco e di rinnovare attraversole sperimentazioni sulla materia e sul segno una produzione già affermatasul versante di una raffinata astrazione. L’ostacolo del 1963 (cat. n. 21) è unagrande tela in cui la pittrice ottiene un particolare risalto materico delmezzo pittorico mescolando colla e sabbia alla tempera; il segno, privo dienfasi gestuale, costruisce una struttura salda che è tutta giocata su unagamma di bianchi, di grigi e di neri.Personalità affascinante e tragica è quella di Tancredi Parmeggiani, chediede una delle interpretazioni più originali dell’Informale italiano; nellasua breve vita conclusa dal suicidio nel 1964 continuò a viaggiare fra Ve-nezia, Roma, Milano e varie città d’Europa, elaborando diverse esperien-ze, quali la vicinanza allo Spazialismo milanese, la frequentazione deigruppi romani, il legame con Peggy Guggenheim, la conoscenza dell’arteamericana, senza peraltro inserirsi mai in uno schieramento definito. Ledue opere in mostra rappresentano diverse interpretazioni del suo se-gno distintivo, “il punto”: la prima, databile al 1952-1953 (cat. n. 2), èascrivibile alla serie delle Primavere ed è animata da un vorticare di pun-ti colorati, che nel loro addensarsi e rarefarsi creano il senso dello spa-zio; la seconda (cat. n. 4) del 1954 presenta un segno più concitato chedà vita a una composizione caotica ed inquieta in cui si avvertono fortitangenze con l’action painting.La formazione a Roma e la frequentazione del gruppo Origine di Burri,Capogrossi, Colla e Ballocco accomuna Nuvolo (pseudonimo di GiorgioAscani), Scialoja e Dorazio. Nuvolo, pur essendo poco noto al pubblico,ha sviluppato un suo linguaggio personale nell’ambito dell’Informale, par-tendo da alcune esperienze fondamentali: la passione per la tecnica ti-pografica appresa in famiglia, l’apprendistato presso Alberto Burri nellostudio di via Margutta, l’amicizia e il sodalizio artistico con Ettore Collae con il poeta e critico Emilio Villa; fra le numerose opere dell’artistaconservate presso la Collezione Arte e Spiritualità, fra cui molte dellesue famose serotipie, si è scelto di esporre una serie di 12 piccole tem-

15 Oltre alle opere di Hartung, di Hantaï e Nuvolo la Collezione Arte e Spiritualità custodisce al-tre opere di ambito informale. Si vedano C. De Carli (a cura di), Collezione Arte e Spiritualità BresciaCatalogo generale. La scultura, Brescia 1995 e C. De Carli (a cura di), Collezione Arte e Spiritualità Bre-scia. Catalogo generale. La pittura, Roma 2006.

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pere realizzate con un gesto libero e istintivo e forte senso del colore(cat. n. 13)15. La via di Scialoja verso l’Informale passò non solo attra-verso le esperienze romane, ma anche attraverso la conoscenza direttadell’Espressionismo astratto americano; elaborò una sua personale ri-cerca sul gesto, sulla materia e sul colore, da cui nacque, a partire dal1957, la serie delle Impronte, forme stampate in sequenza sulla tela dauna matrice carica di colore: la tela esposta Per il novembre n. 2 (cat. n.10) del 1958 ne è un bell’esempio. Proveniente dalle esperienze delgruppo Forma 1, della libreria-galleria L’age d’or e del gruppo Origine,Dorazio sembra ben lontano dagli orizzonti dell’Informale, anche se fuaffascinato dalla conoscenza diretta dell’opera di Newmann e Rothko inoccasione del suo soggiorno a New York fra il 1952 e il 1954. L’olio espo-sto (cat. n. 6), del 1957, dimostra come il pittore non rimanga immune difronte alle ricerche dominanti in quegli anni in Italia: il traliccio geome-trico delle opere precedenti sembra collassare, non contiene pìù il co-lore che sbava, sgocciola, si espande a macchie; di lì a pochi anni l’ordinee l’equilibrio formale si ricomporranno e daranno vita a quelle armo-niose tessiture di colore e luce che saranno i Reticoli.Per motivi diversi, anche il percorso di Agostino Ferrari è solo in par-te legato all’Informale; innanzitutto motivi generazionali, perché nasce aMilano nel 1938, poi perché la sua ricerca sul segno diventerà sottil-mente intellettuale, trasformandosi in una vera e propria forma di scrit-tura: Paesaggio del 1961 (cat. n. 16), in cui si sente ancora la suggestionedi certe periferie sironiane, dimostra comunque come un giovane artistaesordiente nei primi anni Sessanta non possa prescindere dalla poeticainformale.

Alcune considerazioni sui “luoghi” dell’Informale

La biografia degli artisti presenti in mostra evidenzia come alcuni centrisiano stati fondamentali nella loro formazione in ambito informale. Per l’I-talia indubbiamente Milano, con le sue numerose gallerie e in particolarele gallerie del Milione e del Naviglio; Roma, in cui, oltre alla Quadriennale,l’Art-club e la Rome-New York Art Foundation, spiccano le gallerie del Se-colo, Pogliani, L’Obelisco e La Salita; Venezia con la Biennale16, la galleria IlCavallino collegata a quella milanese del Naviglio, la collezione di PeggyGuggenheim a Palazzo Venier dei Leoni. Importanti sono anche Bologna e

16 Le edizioni della Biennale di Venezia dal 1948 al 1958 furono fondamentali per la conoscenza del-la pittura americana dell’action painting e dell’Espressionismo astratto e delle diverse tendenze del-l’Informale europeo e italiano. Si vedano: A. Dosaggio, Biennale di Venezia. Un secolo di storia, Firenze1988 e A. Negri, C. Pirovano, Esperienze, tendenze e proposte del dopoguerra, in La pittura in Italia. IlNovecento/2 1945-1990, vol. 1, Milano 1993; per il ruolo delle gallerie nella diffusione dei linguaggiartistici in quegli anni si veda anche: M. Fratelli, P. Rusconi, Il mercato, in La pittura in Italia. Il Nove-cento/2 1945-1990, vol. 2, Milano 1993, pp. 592-594.

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Torino. I riferimenti internazionali si moltiplicano, ma primi fra tutti sonoParigi da un lato e New York dall’altro.Brescia, apparentemente città di provincia fuori dai circuiti fondamentali, sitrovò in realtà in una situazione di grande apertura verso le tendenze piùaggiornate dell’arte contemporanea. Fondamentale fu la presenza dellaCollezione Cavellini, avviata nel 1946 con l’acquisto di un’opera di Birolli;nello stesso anno si tenne a casa Cavellini una mostra di Vedova e Santo-maso e da quel momento si moltiplicarono le occasioni espositive e la cir-colazione nella nostra città di artisti ed opere importanti, ma anche di cri-tici del livello di Argan, Bucarelli, Marchiori, Valsecchi,Venturi. Questa con-dizione di fermento artistico e culturale agì potentemente anche sugli ar-tisti locali, che spesso raggiunsero alti livelli espressivi uscendo dalla di-mensione provinciale: si pensi, per fare solo alcuni nomi, al caso di EnricoRagni e della moglie Pier Carla Reghenzi, a Ermete Lancini, a Vittorio Bot-ticini, ai fratelli Ghelfi17.Si può affermare che anche nell’ambiente bresciano si ripropose la con-trapposizione fra una tendenza figurativa e realistica, sostenuta sia perdifficoltà ad abbandonare un’arte tradizionale che per motivazioni poli-tico-ideologiche, e una tendenza non figurativa aperta al contesto na-zionale, come dimostrano le vicende dei premi nazionali locali come ilPremio Brescia, di cui si svolsero solamente due edizioni fra il 1952 e il1953 e che si concluse fra le polemiche. La stessa contrapposizione sievidenzia anche nella politica culturale e artistica dell’Associazione Ar-tisti Bresciani negli anni Cinquanta e Sessanta, che non è qui il caso diripercorrere. Basta ricordare il ruolo svolto dall’Associazione nello svi-luppo culturale in città nel corso degli anni Sessanta: promosse il mer-cato dell’arte sollecitando la nascita del collezionismo locale e di mol-te gallerie d’arte private; sostenne il progetto dell’apertura della Galle-ria d’arte moderna e contemporanea, al cui patrimonio contribuì stabi-lendo di donare alcune opere; organizzò conferenze, con relatori del va-lore di Francesco Arcangeli, Mario De Micheli, Enzo Paci, Marco Valsec-chi, e naturalmente mostre, di artisti non solo locali, ma anche di famanazionale e internazionale; per rimanere nell’ambito dei nomi affrontatinel nostro discorso ricordiamo la mostra di Ilia Peikov Mondi iperboreinel 1964, presentata da Vittorio G. Rossi; quella di Juan Del Prete nel1965, presentata da Enrico Crispolti e Gianfranco Maiorana; quella del-l’opera grafica di Emilio Vedova nel 1966, anch’essa presentata da Maio-

17 Il ruolo svolto dalla Collezione Cavellini sullo sviluppo artistico locale presenta aspetti anchecontrastanti; per alcuni l’influenza fu anzi negativa perché la collezione si imponeva come impossi-bile termine di confronto e Cavellini non si adoperò per promuovere momenti di studio che favo-rissero la crescita dell’arte locale. Si veda R. Ferrari, L’Associazione Artisti Bresciani. Un difficile cammi-no nell’arte e nella cultura (1945-1995), Brescia 1995.Si è deciso in questa esposizione di non prendere in considerazione la pittura bresciana di ambitoinformale, per non operare scelte eccessivamente parziali e poco significative.

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rana, e, nello stesso anno, quella di Georges Mathieu, presentata daMaiorana e Argan.18

Considerazioni finali

Le opere esposte ci danno una visione parziale dell’Informale e della suacomplessità, ma offrono lo spunto per alcune riflessioni generali. Emergechiaramente, per esempio, che l’Informale non si appoggia mai unicamentesui mezzi pittorici, ma è sempre legato al mondo, alla realtà, e questa è lamaggior differenza con l’astrattismo di tipo geometrico, o Concretismo, ba-sato su enti mentali, forme plastiche autonome; alla base della liberazionedelle forme c’è spesso la natura, anche se indagata per vie diverse, come di-mostrano da un lato l’esperienza di Birolli, Morlotti, Mandelli, da un altroquella di Fontana e Ghermandi e da un altro ancora quella di Dubuffet.Altro elemento chiaro è che soprattutto i pittori italiani non possono pre-scindere da quello che sono, e cioè non dimenticano facilmente la loro tra-dizione e cultura, che è fatta di armonia compositiva e cromatica: bastipensare al modo in cui viene rielaborata la sensibilità tonale della pitturaveneta da Afro, Santomaso e Tancredi o all’equilibrio compositivo e al sen-so del ritmo delle opere di Bice Lazzari, Scanavino, Turcato, per fare sol-tanto degli esempi. D’altra parte è stato più volte ribadito dalla critica che“informale” vuol dire “non-formale” e non “senza forma”.Un’ulteriore considerazione è relativa al ritardo con cui il clima informalesi diffonde in Italia rispetto agli Stati Uniti e all’Europa, dovuto alla parti-colare situazione culturale italiana del dopoguerra, come si può dedurreanche dalla biografia degli artisti qui proposti. L’arte si trova a fare i conticon la politica, fatto che determina la spaccatura fra realisti da un lato eastrattisti dall’altro. Per uscire dalla sterile contrapposizione fra pittori in-dotti dal dogmatismo marxista a una figurazione populista da un lato e pit-tori sostenitori di un esasperato formalismo per sfuggire alle ingerenzepolitiche dall’altro, il riferimento obbligato diventa il Picasso di Guernica; inmolti artisti, si veda il caso di Morlotti fra tutti, il postcubismo rappresen-ta però spesso più che un’opportunità di sviluppo una battuta d’arresto senon una regressione rispetto alla produzione precedente.In conclusione, la scelta delle opere vuole dare l’idea dell’estensione e del-la pervasività di questo fenomeno, fare intravedere l’alta qualità delle col-lezioni bresciane, in cui l’Informale, soprattutto italiano, trova un posto dirilievo, e soprattutto offrire degli esempi significativi del modo in cui è sta-ta declinata la poetica del segno e della materia in Europa.

18 Per una ricostruzione approfondita dell’attività dell’Associazione si veda il già citato R. Ferrari,L’Associazione Artisti Bresciani. Un difficile cammino nell’arte e nella cultura (1945-1995), Brescia 1995.Per un quadro complessivo del clima artistico a Brescia dal dopoguerra agli anni Sessanta si vedaanche F. Lorenzi (a cura di), Il mondo di Gino Benedetti fra arte e poesia, catalogo della mostra, Asso-ciazione Artisti Bresciani, Brescia 22 settembre-17 ottobre 2000, Brescia 2000.

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SCHEDE BIOGRAFICHEAlessandra Corna Pellegrini

Giorgio Ascani detto NuvoloCittà di Castello 1926

Nato nel 1926 a Città di Castello, ere-ditò dai genitori, entrambi tipografi, lapassione per la tecnica tipografica, chefu basilare nella sua attività artistica.Trascorsa la giovinezza in Umbria, du-rante la seconda guerra mondiale par-tecipò alla Resistenza con il nome diNuvolo, che mantenne poi come pseu-donimo e con cui firmò tutte le sueopere.All’inizio degli anni Cinquanta si tra-sferì a Roma su invito di Alberto Bur-ri, di cui era amico, e divenne suo aiu-tante nello studio di via Margutta. Eb-be modo così di entrare in contattocon i più importanti artisti romani diquegli anni, come Edgardo Mannucci,Corrado Cagli, Mirko e Afro Basaldel-la e soprattutto Ettore Colla, con cuistrinse una forte amicizia e un duratu-ro sodalizio artistico. A contatto conquesto clima artistico iniziò a speri-mentare le potenzialità di diversi ma-teriali e di diverse tecniche, fra cui inparticolare la serigrafia applicata allapittura.Nel 1952 iniziò a produrre quelle chel’amico poeta Emilio Villa battezzò se-rotipie, presentandole sulla rivista «Ar-ti visive» (diretta per un periodo dalfratello Ascanio Ascani, scrittore egiornalista) e in una mostra personalenel 1955; si tratta di opere che nasco-no da un innesto fra la tecnica pro-priamente pittorica e quella serigrafi-ca, utilizzata non per produrre multi-pli, bensì pezzi unici, monotipi caratte-rizzati da segni modulari che creanosequenze ritmiche e da un abile uso

del colore. Se negli anni Cinquanta illinguaggio era decisamente vicino allesperimentazioni informali, nel corsodegli anni Sessanta il ritmo dei segni sifece più morbido, più prezioso esplendente il colore grazie all’inseri-mento dell’oro e dell’argento e all’uti-lizzo di supporti lucidi come il cellotexe la pellicola fotografica, mentre neglianni Settanta prevalsero raffinatissimee calligrafiche forme totemiche basatesulla simmetria bilaterale.A Roma frequentò il gruppo Origine(fondato da Burri, Capogrossi, Balloc-co, Colla) ed espose nelle più impor-tanti gallerie, ma fu anche in contattocon il gruppo dello Spazialismo di Mi-lano, dove fu ospitato più volte da Lu-cio Fontana ed espose nel 1958 in unamostra personale. Nel 1959 fu presen-te alla Quadriennale romana e al Pre-mio Lissone, ma in quegli anni la suaopera fu presentata anche in diversemostre italiane e negli Stati Uniti.La sua opera è organizzata in serie, fracui spiccano Scacchi (1953-1957), Sero-tipie-pittura-collage (1954-1959), Cuciti amacchina (1958-1963), Pelli conciate didaini (1960-1962), Oigroig e Modulari(1967-77).Dal 1977 divenne docente di pitturapresso l’Accademia di belle arti di Pe-rugia, di cui fu direttore dal 1979 al1984. Una grande retrospettiva fu or-ganizzata nel 1993 a Perugia e a Cittàdi Castello, dove vive e opera tuttorasperimentando le potenzialità deimezzi tecnologici attuali come il videoe il computer; nel 2006 gli è stata de-dicata un’importante mostra antologi-ca in occasione dei suoi ottant’anni.Alla Collezione Arte e Spiritualità è

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giunto tramite monsignor Macchi uncospicuo gruppo di opere, che ben te-stimoniano la varietà della produzionein campo sia pittorico che serigraficodell’artista umbro fra il 1952 e il 1975;in questa mostra si espongono 12tempere su carta del 1959 (cat. n. 13),tutte delle stesse dimensioni, che ap-partengono a una serie di 18 temperepresentate dall’artista a due a due sucartoncini neri. Paradossalmente, co-me utilizza la serigrafia per creare pez-zi unici, Nuvolo usa qui la pittura perrealizzare una sequenza ritmica basatasu un segno vicino alle tecniche del-l’action painting, che talvolta si fa grovi-glio filamentoso, talaltra gesto più am-pio ed energico; una successione di“istanti” vitali collegati fra loro dallavariazione sapiente degli stessi colori.Analogamente anche alcune serotipiesono costruite su una struttura se-quenziale costituita da 2 o 3 campirettangolari figurati su fondo neutro.

Afro Basaldella detto AfroUdine 1912 - Zurigo 1976

Formatosi nell’ambito della Scuolafriulana d’avanguardia insieme al fratel-lo Mirko, frequentò il Liceo artistico aVenezia, diplomandosi nel 1931; ma findal 1929, grazie alla borsa di studiodella Fondazione Marangoni di Udine,poté recarsi con il fratello a Roma, en-trando in contatto con Cagli, Scipionee Mafai. Nel 1932 raggiunse Mirko aMilano, dove espose nel 1933 pressola galleria Il Milione. Tornato a Romanel 1934, frequentò fra gli altri Capo-grossi, Fazzini e Guttuso. Espose nel1935 alla Quadriennale romana e par-tecipò nel 1936 alla Biennale di Vene-zia; nello stesso anno decorò l’atriodell’Opera Nazionale Balilla a Udine,ma le sue tempere murali furono fattericoprire dalle autorità fasciste. Nel1937 lavorò insieme a Cagli ad una se-rie di pannelli con vedute ideali di Ro-

ma per l’Esposizione internazionale diParigi, città dove entrò in contatto conla pittura francese e in particolare conil Cubismo, che influenzò il suo lavoronegli anni successivi, come dimostranole opere degli anni Quaranta. Nel 1941eseguì i cartoni per i mosaici del Pa-lazzo dell’EUR a Roma; nel 1943 tornòa Venezia, dove nel 1947 aderì al Fron-te nuovo delle arti; nel 1948 espose allaV Quadriennale romana e fu presenteanche alla I Mostra nazionale d’artecontemporanea a Bologna. Nel 1950soggiornò per otto mesi negli StatiUniti ed espose alla galleria di Cathe-rine Viviano con Cagli, Guttuso, Mor-lotti e Pizzinato; conobbe così la pittu-ra di Arshile Gorky e di Jackson Pol-lock, da cui rimase fortemente impres-sionato e che fece maturare in lui l’e-sigenza di una nuova ricerca espressi-va di tipo segnico-gestuale. Partecipòalla mostra Arte astratta in Italia allaGalleria d’arte moderna di Roma nel1951 e nel 1952 entrò a far parte delGruppo degli Otto, con cui espose allaBiennale di Venezia nello stesso anno enelle edizioni successive, ricevendo nel1956 il premio come miglior pittoreitaliano. Nel 1958 realizzò un grandemurale per il Palazzo dell’Unesco a Pa-rigi. In quegli stessi anni frequentò as-siduamente anche Burri, con il qualecondivise la costante sperimentazionelinguistica. Durante gli anni Sessantatenne mostre personali sia negli StatiUniti che in Italia e dal 1967 al 1973,anno in cui fu presente alla mostra Si-tuazione dell’arte non figurativa nell’am-bito della X Quadriennale romana, in-segnò pittura all’Accademia di Firenze.Negli anni Settanta tornò a viverepresso Udine, dedicandosi alla graficae agli arazzi; trasferitosi infine a Zuri-go, vi morì nel 1976.Dopo la matrice neocubista che coin-volge la maggior parte dei pittori italia-ni negli anni Quaranta, sulla sua pitturaagisce fortemente l’influenza dell’actionpainting americana, che non cancella

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però mai del tutto la raffinata sensibi-lità cromatica, derivata dal tonalismoveneto. Ciò è ben dimostrato anchedall’opera qui in mostra datata 1960(cat. n. 14) e conservata in collezioneprivata; in essa Afro unisce alla liberagestualità a al tachisme informale la ca-pacità di modulare il colore fra traspa-renza liquida e opacità, fra colori cupi eintense macchie luminose, senza rinun-ciare a creare una composizione dispazialità armoniosa tutta italiana.

Renato BirolliVerona 1905 - Milano 1959

Studiò all’Accademia Cignaroli di Vero-na, da cui venne espulso per indiscipli-na; nel 1927 decise di trasferirsi a Mi-lano, dove, oltre a coltivare l’attivitàartistica, dal 1929 entrò nella redazio-ne dell’«Ambrosiano», prima comecorrettore di bozze, poi dal 1930 co-me critico d’arte. Ciò gli permise diconoscere Carlo Carrà e EdoardoPersico, che allora dirigeva la galleriadel Milione, dove espose per la primavolta nel 1932; nello stesso anno fupresente anche a Roma presso la Gal-leria d’arte nella mostra 10 pittori econobbe gli artisti della Scuola romana.La sua pittura in quegli anni era moltovicina alle teorie di Persico e si espri-meva in uno stile arcaico, vagamenteingenuo.Nel 1936 compì un viaggio a Parigi,dove approfondì la sua conoscenzadella pittura di Van Gogh e di Cézannee delle ultime tendenze dell’arte fran-

cese. Fra il 1936 e il 1937 le composi-zioni si liberarono di qualsiasi formaprecostituita e virarono verso un cro-matismo molto acceso, di ispirazionefauve, vero elemento strutturante del-l’opera.Nel 1938 fu animatore del gruppo mi-lanese Corrente e dell’omonima rivista,iniziando un’intensa attività di promo-zione artistica e culturale e introdu-cendo nelle sue opere figure di emar-ginati, zingari e saltimbanchi; in queglianni fu anche arrestato per motivi po-litici. Dal 1940 espose in mostre per-sonali e collettive presso la galleriaBottega della Corrente, che dal 1942prese il nome di galleria della Spiga.Durante la guerra si distaccò dal grup-po di Corrente, si iscrisse al partito co-munista e partecipò a diverse azionidella Resistenza; a questo periodo ri-salgono i Disegni della Resistenza. Leopere del 1945, ispirate a personaggidella vita contadina, risentivano dell’in-fluenza di Van Gogh ed Ensor, ma dalpunto di vista stilistico tendevano aforme più salde e definite.Nel 1946 iniziò a frequentare Santo-maso, Vedova e Marchiori e firmò ilManifesto della nuova Secessione artisti-ca, atto di fondazione del Fronte nuovodelle arti, la cui prima esposizione sitenne presso la galleria della Spiga nel1947; il 1946 è anche l’anno a cui risa-le l’incontro con Guglielmo AchilleCavellini, che divenne, oltre che suocollezionista e mercante di riferimen-to, anche un grande amico, come testi-monia il ricco carteggio conservatopresso l’Archivio Cavellini di Brescia1.

1 Oltre ai Disegni della Resistenza nella Collezione Cavellini al momento dell’esposizione a Roma al-la Galleria d’arte moderna nel 1957 si trovavano 73 opere di Birolli, contro le 10 di Vedova, le 8 diCorpora e Santomaso, le 7 di Afro, le 6 di Cassinari, le 5 di Moreni e Morlotti, per citare soltantogli artisti con maggiori presenze nella collezione bresciana [G. Carandente (a cura di), Pittori mo-derni della Collezione Cavellini, catalogo della mostra, Galleria nazionale d’arte moderna Valle Giulia,Roma maggio-luglio 1957, Editalia, Roma 1957]; per il legame con Cavellini e il carteggio fra i duesi veda: G. Capretti (a cura di), Renato Birolli nelle collezioni bresciane, catalogo della mostra, Associa-zione Artisti Bresciani, 22 settembre-17 ottobre 2001, Brescia 2001.A proposito dell’intenzione espressa da Cavellini di far entrare nella propria collezione sempre piùinformali europei a scapito di artisti italiani come lui, Birolli scriveva a Marchiori con la caratteristica

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Fra il 1947 e il 1949 compì numerosiviaggi in Francia, che influenzarono lasua produzione in senso postcubista. Apartire dal 1950 la sua opera fu moltovicina a quella di Afro, Corpora, More-ni, Morlotti, Santomaso, Turcato e Ve-dova, pittori che avevano in comunel’intento di aprire la pittura italiana adimensioni sovranazionali e che furonopresentati nel 1952 da Lionello Venturialla Biennale di Venezia in una famosamonografia dal titolo Otto pittori italianicome gli interpreti di un’arte astratto-concreta capace di trovare una nuovavia rispetto alla sterile contrapposizio-ne astrazione versus realismo. Grazie al-l’amicizia con Afro entrò in contattocon Catherine Viviano, presso la cui gal-leria di New York tenne tre personalinel 1951, 1955 e 1958 e nel 1953 unacollettiva con Morlotti e lo stesso Afro.A partire dai primi anni Cinquanta lasua pittura fu legata soprattutto al te-ma della natura, come idea non tantoarchetipica, quanto indagata ed emoti-vamente rivissuta nei luoghi importan-ti della sua vita: Grado, le Marche, An-versa e soprattutto i paesi delle Cin-que Terre, in particolare Manarola; nel-le opere di quest’ultimo periodo (inparticolare le serie Incendi e Vendem-mie alle Cinque Terre) la suggestioneemotiva del colore assume un ruolofondamentale, fino alle ultime tele incui si perde ogni riferimento ad ele-menti oggettivi e in cui le «forme so-no ormai mobili tracce di situazioniemozionali».2

Manarola (cat. n. 8) è un olio del 1958,donato o venduto dall’artista al pitto-

re Gildo Covelli pochi mesi prima del-la morte, come testimonia la dedicasul retro datata 26 gennaio del 1959; èuna delle opere ambientate nel paesedelle Cinque Terre dove amava tra-scorrere le vacanze, soggetto ricor-rente negli ultimi anni.Qui il colore, libero da ogni linea dicontorno, si dispone a macchie infor-mi, corpose, travalicando la struttura-zione geometrica, a tacche quadrango-lari, che comunque si era mantenutanegli anni immediatamente preceden-ti; un’effusione lirica delle emozioni, uncontatto pieno e totale con la natura,termine di paragone con cui aveva co-struito un rapporto elettivo lungo ilsuo percorso di uomo e di pittore.Come aveva detto nel 1953 in unaconferenza al Gabinetto Viesseux diFirenze: «Colori e forme sono la vitasenza bisogno di assomigliarla, minutoper minuto». Forse «non è ancora l’in-quietudine radicale dell’informale»3,ma sicuramente una delle risposte piùpersonali, tutta italiana, all’onda in pie-na del movimento.

Enzo BrunoriPerugia 1924 - Roma 1993

Si formò prima al Liceo artistico e poiall’Accademia di belle arti di Perugia,dove fu l’allievo prediletto di GerardoDottori; tenne la sua prima personalealla Galleria Nuova della sua città nel1946, anno in cui conobbe all’Univer-sità per stranieri Lionello Venturi, chesarebbe diventato il suo più grande so-

ironia, il 23 aprile 1959, dieci giorni prima di morire: «Cavellini è in crisi, dopo aver visitato a Milanola raccolta del Conte Panza. Corrono guai per la nostra generazione. È il caso di dire: “Je m’en Fau-trier”! Ne ho un’altra, sfornata fresca: “Quando a Moreni va male, ricorre in Appel”»; copia della let-tera dattiloscritta conservata nell’Archivio Marchiori, pubblicata in S. Salvagnini, Vite parallele. L’arte ela critica in Italia negli anni dell’Informale, in Informale. Jean Dubuffet e l’arte europea 1945-1970, catalogodella mostra a cura di L.M. Barbero, Modena 18 dicembre 2005-9 aprile 2006, New York 2005, p. 147.2 G. Bruno, in Renato Birolli, catalogo della mostra, 17 maggio-30 luglio 1970, Ferrara 1970.3 R. Barilli, Renato Birolli, in «Espresso», 19 gennaio 1977, in occasione della retrospettiva alle Scu-derie della Pilotta, Parma, pubblicato in Informale. Oggetto. Comportamento, vol. 1, La ricerca artisticanegli anni ’50 e ’60, Milano 20063, p. 218.

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stenitore. Dal 1949 si stabilì a VillaMassimo a Roma, dove il contatto congli artisti e i critici italiani più aggior-nati fu molto importante per la suamaturazione e favorì la sua affermazio-ne nell’ambiente della capitale. Oltreche alla pittura, in cui sperimentò ini-zialmente un linguaggio postcubista in-fluenzato anche dal neoplasticismo, sidedicò alla realizzazione di ceramichedecorative con Leoncillo, suo conter-raneo, e alla decorazione di edifici sa-cri. Grazie all’interessamento di Lio-nello Venturi ottenne nel 1949 unaborsa di studio per Parigi, dove entròin contatto con Metzinger. La sua prima personale a Roma fu or-ganizzata nel 1951 dall’Art Club di En-rico Prampolini alla galleria del Pincio.Fra il 1952 e il 1954 Brunori diede vi-ta alla prima serie delle Mimose e de-gli Alberi, in cui reinterpretava la vege-tazione attorno a Villa Massimo, ren-dendo via via più libere le tacche cro-matiche; in questa fase «spinse lascomposizione cubista verso l’astra-zione, frantumando le forme chiuse intocchi e linee di colore e attingendodi colpo a quella ritmicità», che diven-ne la componente fondamentale dellasua opera 4. Il suo linguaggio era mol-to vicino a quello del Gruppo degli Ot-to che Venturi, loro sostenitore alleBiennali del 1952 e 1954, definì astrat-to-concreto, per descrivere quel parti-colare tipo di astrazione che, pur su-perando il rimando oggettivo al datonaturale, vi rimaneva legato, venendo-ne anzi sostanziato e vivificato. Bruno-ri non accettò però l’invito di Venturiad esporre alla Biennale di Venezia del1952 con il Gruppo degli Otto, perples-so per l’eterogeneità del gruppo stes-so. A partire dalla seconda metà deglianni Cinquanta le partecipazioni a im-portanti esposizioni in Italia e all’este-ro si moltiplicarono, sostenute dai piùimportanti critici d’arte del momento:

nel 1955 partecipò ad Arte astratta ita-liana e francese alla Galleria d’arte mo-derna di Roma e all’Exposición de arteitaliano contemporáneo a Madrid, in oc-casione della quale Palma Bucarelli de-finì Brunori, Capogrossi e Birolli i piùsignificativi esponenti dell’arte italianapresenti all’evento; nel 1956 espose aMilano alla galleria del Milione presen-tato da Nello Ponente, alla galleria LaMedusa di Roma presentato da Mauri-zio Calvesi, al Circolo di Cultura pre-sentato da Renato Birolli, e partecipòalla Biennale di Venezia; nel 1958 fu an-cora presente alla Biennale di Veneziae nuovamente alla galleria La Medusadi Roma sempre con la cura di Mauri-zio Calvesi; nel 1959 espose alla Qua-driennale romana presentato da Fran-co Russoli (che nello stesso anno lopresentò anche a Los Angeles alla ras-segna New Names in Italian Painting) ealla galleria Klemann di New York pre-sentato da Lionello Venturi; partecipòinoltre a numerosi concorsi, ottenen-do anche prestigiosi premi nazionali einternazionali. Il 1957 segnò un annodi svolta nella sua produzione: al temadell’albero si sostituì quello del mare,esplorato con grande trasporto emo-tivo e uno stile in cui si accentuava l’a-pertura al linguaggio informale, checulminò nella realizzazione del Grandespecchio (1961) e caratterizzò la suaopera per tutti i primi anni Sessanta; lemacchie di colore, che già negli anniprecedenti si erano sempre più affran-cate da ogni griglia strutturale, diven-tando l’elemento costitutivo dellecomposizioni, assunsero una consi-stenza materica più concreta, si feceropiù vibranti, pulsanti di emozioni. Con la morte di Venturi, il suo princi-pale promotore, avvenuta nel 1960,iniziò l’isolamento progressivo di Bru-nori, anche se continuarono le esposi-zioni in Italia e all’estero, almeno finoal 1977, anno in cui le condizioni di sa-

4 C. Vivaldi, Brunori, Roma 1972.

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lute della sua compagna lo portaronoa diradare le apparizioni. Nel 1988 glifu dedicata una retrospettiva a Perugiae a Faenza. Dal 1965 diresse per tuttoil decennio gli Istituti d’arte di Cortinad’Ampezzo e di Civitavecchia; dal 1972fu titolare della cattedra di pittura al-l’Accademia di belle arti dell’Aquila edal 1977 al 1993, anno della sua mor-te, di quella di Roma. Lampare a mare del 1957 (cat. n. 5) fuacquistata dalla Galleria d’arte moder-na di Brescia nel 1965 e inserita nelpercorso espositivo5. Fu realizzata nel-l’anno in cui l’artista iniziò a dedicarsi aun nuovo tema, il mare, che ebbe mo-do di affrontare anche trascorrendo levacanze estive alle Cinque Terre a casadi Birolli, l’artista della generazioneprecedente che in quel momento gliera più vicino, come dimostra anche ilconfronto fra le loro opere; è anche unanno che la critica considera di svoltanel suo percorso, verso un uso del co-lore più libero e materico, più vicino allinguaggio informale: la grande tela re-spira nel ritmico pulsare dei colori diuna notte marina.

Alfredo ChighineMilano 1914 - Pisa 1974

Negli anni Trenta frequentò i corsi diincisione all’Umanitaria, dove conobbeFranco Francese, e in seguito i corsi

serali all’Istituto superiore di arti de-corative di Monza, mentre contempo-raneamente lavorava a causa delle pre-carie condizioni familiari. Finita laguerra, si iscrisse all’Accademia di Bre-ra, seguendo i corsi di scultura e di de-corazione di Giacomo Manzù. Nelcorso degli anni Quaranta si dedicòsoprattutto al disegno e alla scultura,esponendo per la prima volta nel 1941e partecipando con due opere ligneealla Biennale del 1948; la sua opera inquesta fase risentiva specialmente del-l’influenza di Martini e di Barlach. Ver-so la fine del decennio approfondì l’at-tività pittorica, che divenne in seguitola sua occupazione esclusiva, portan-dolo, fra i primi in Italia, ad aderire al-l’Informale, interpretato da lui in mo-do personale. Nel corso degli anniCinquanta e Sessanta partecipò a nu-merose esposizioni in Italia e all’este-ro e ai maggiori concorsi, in cui otten-ne importanti riconoscimenti. Nel1950 tenne una personale a Milano al-la galleria San Fedele, nel 1956 esposealla rassegna Italienische Malerei Heutea Leverkusen con prefazione tedescadi Kurt Schvekher e italiana di Lionel-lo Venturi; fu presente alla galleria delMilione nel 1955, 1956, 1958, 1966, al-la V Mostra pittori d’oggi Francia-Italia ealla I Mostra Rome-New York Art Founda-tion nel 1957, anno in cui si recò a Pa-rigi; nel 1958 venne invitato da MichelTapié al Festival di Osaka ed espose a

5 In occasione dell’apertura della Galleria d’arte moderna e contemporanea il Comune di Bresciacontattò, su indicazione del conservatore Bruno Passamani, una serie di artisti fra i più rappresen-tativi allora in Italia allo scopo di acquistare alcune loro opere; presso i Civici Musei si conserva lalista degli artisti da interpellare, la copia delle lettere loro inviata dal sindaco Bruno Boni e le ri-sposte ricevute. Fra queste la lettera di Brunori al sindaco datata 7 luglio 1964 (protocollo 1293-23.7.64), in cui l’artista plaude alla costituzione della «Pinacoteca Civica d’Arte Moderna», si dicemolto interessato al progetto e propone l’acquisto a prezzo di favore di Lampare a mare: «Da lun-go tempo speravo nell’occasione di potere sistemare in una raccolta pubblica italiana un mio qua-dro al quale sono particolarmente attaccato, che è ritenuto, non solo da me, tra i più significatividella mia produzione. L’opera in questione è “Lampare a mare”, olio su tela, cm 254x154 del 1957,esposto alla Biennale di Venezia ed in numerosi Musei d’America, che mi sono sempre rifiutato divendere ai vari collezionisti stranieri che me lo richiedevano, perché, come le ho detto, speravo chenon uscisse dal nostro paese».Nel 1994 fu inaugurato a Monticino di Bertinoro (FO) il Museo Brunori, diretto da Attilio Zam-marchi, con catalogo di Enrico Crispolti (sito www.museobrunori.org, molto ricco di materiali, incui è possibile consultare il regesto delle opere e una nutrita antologia critica).

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Pittsburg, a Charleroi e alla Biennale diVenezia, dove nel 1960 Russoli pre-sentò una sua sala personale; parte-cipò inoltre a diverse edizioni dellaTriennale a Milano e alle Quadriennaliromane del 1959 e del 1965; vanno ri-cordate infine le partecipazioni alla VIBiennale di San Paolo del Brasile nel1962 e alla mostra Pittura a Milano1945-1964 organizzata a Palazzo Rea-le nel 1964. Dopo un’iniziale fase espressionista eun ulteriore, breve, periodo cubista,Chighine abbandonò progressivamen-te ogni rigida griglia spaziale per ap-prodare fra il 1956 e il 1957 a una pit-tura materica e gestuale, dalla densapasta cromatica, spesso spremuta di-rettamente dal tubetto, percorsa dauna rete di segni e di graffi, con esiti vi-cini a Wols e a Fautrier; nel 1958, inve-ce, le composizioni tornarono ad es-sere più controllate, costruite in modopiù saldo da forme per lo più rettan-golari e dense campiture cromatiche,con esiti vicini a De Staël e a Soulages.Alla fine degli anni Sessanta Chighineiniziò a sovrapporre alle masse croma-tiche figure larvali vicine al clima dellaNuova Figurazione, dovute probabil-mente al riaffiorare di una suggestionesurrealista. Composizione blu e bianco del 1959(cat. n. 11), venne «offerto alla Galleriad’Arte Moderna dal Sig. Bortolo Gnut-ti il 6 novembre 1964», come docu-menta la scritta sul retro dell’opera, ecioè pochi giorni prima dell’inaugura-zione della Civica Galleria d’arte mo-derna avvenuta il 15 novembre del1964: il fatto testimonia da un lato l’a-pertura del collezionismo brescianoalla pittura informale (l’opera proveni-va dalla galleria del Milione di Milano),ma anche l’entusiasmo per la nascitadella nuova struttura museale, tantoche venne donata l’opera di uno degliartisti allora più importanti sulla scenanazionale e internazionale, un atto divero e proprio mecenatismo e di fidu-

cia nel futuro della collezione pubblica.La tela nella ricerca di equilibrio dellemasse e negli accostamenti cromaticiricorda molte altre opere fra la finedegli anni Cinquanta e l’inizio dei Ses-santa; il pittore predilige una gammafredda di colori, in cui spesso ritorna-no, come in questo caso, combinazionidi grigio, di nero, di bianco e di blu.

Antonio CorporaTunisi 1909 - Roma 2004

Diplomatosi all’Accademia di belle ar-ti di Tunisi, Corpora si trasferì nel 1929a Firenze, dove tenne la sua prima per-sonale l’anno seguente; avvertendonell’ambiente toscano un’eccessivachiusura, si trasferì a Parigi, dove rima-se fino al 1939, assimilando diretta-mente le novità della pittura francese.Si formò in particolare su Cézanne ePicasso, ma soprattutto sul colore fau-ve di Matisse e Dufy, iniziando ad ela-borare la propria personale via dell’a-strattismo. Durante il soggiorno fran-cese mantenne stretti rapporti conl’ambiente artistico italiano, entrandoin contatto con gli astrattisti della gal-leria del Milione di Milano, presso laquale espose nel 1939 e strinse rap-porti di amicizia con Fontana, Soldati,Licini, Reggiani, Ghiringhelli e CarloBelli. Nel 1945, tornato in Italia comeprofugo, si avvicinò al gruppo dei neo-cubisti e nel 1946 espose in una per-sonale alla galleria dell’Obelisco di Ro-ma. Partecipò al Fronte nuovo delle artinel 1947 e nel 1952 al Gruppo degli Ot-to, con cui espose alla Biennale di Ve-nezia, dove fu presente anche alle edi-zioni del 1956, 1960 e 1966, mentrecontinuavano a susseguirsi le sue ras-segne in altre città italiane e all’estero.Dalla metà degli anni Cinquanta l’inte-laiatura strutturale dell’immagine ten-de a sfaldarsi, mentre la materia cro-matica prende sempre più energia ecorpo, dando vita ad opere intensa-

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mente luminose. Partecipò con una sa-la personale alle Quadriennali romanedel 1954 e 1955; fu presente a Docu-menta a Kassel nel 1955 e nel 1959, aParigi nel 1957, a Berlino nel 1958, aNew York nel 1960. Nello stesso annoespose in una collettiva presentata daNello Ponente alla galleria Pogliani diRoma e si avvicinò sempre più decisa-mente all’Informale, di cui sperimentòsoprattutto l’uso di macchie cromati-che, che creano talvolta ritmi concita-ti e vorticosi, talvolta sequenze più ar-moniose e composte. Nel corso deglianni Sessanta e Settanta tenne nume-rose personali sia in Italia che all’este-ro. Negli ultimi decenni della sua vitaandò via via recuperando i riferimentinaturalistici e figurativi, mantenendo alcentro della sua produzione la ricercasul colore. Nel 2003 fu nominato ac-cademico di San Luca e gli fu conferi-to il Premio nazionale Presidente del-la Repubblica. Le sue opere sono con-servate nei maggiori musei del mondo. La tela, del 1966 (cat. n. 26), mette inevidenza la predilezione di Corporaper il colore: larghe pennellate dannovita a una frequenza ritmica di ondeverdi, accese di vibrazioni luminose gial-le e bianche che creano diversi piani dirilievo; una struttura mossa sul fondorosso reso ancora più splendente dal-l’urto dei complementari, un’espressio-ne di energia e intensità, ma contempo-raneamente di misura e di controllo.

Juan Del Prete Vasto (Chieti) 1897 - Buenos Aires1987

Nato in provincia di Chieti, emigrò nel1909 in Argentina, dove studiò pitturatenendo la sua prima personale a Bue-nos Aires nel 1925. Nel 1928 fu invitatoa Montevideo dalla “Casa del arte” e nel1929, presa la cittadinanza argentina, ri-cevette una borsa di studio dall’istituto“Amigos del arte” per recarsi a Parigi,

dove rimase quattro anni. Nel 1930tenne una personale presso la GalérieZack, nel 1932 alla Galérie Vavin; espo-se al Salon des surindépendents dal1930 al 1933, anno in cui entrò a farparte del gruppo Abstraction-Création-Art non figuratif ed espose nella primamostra di arte astratta in Argentinacon lavori realizzati a Parigi: dipinti, col-lages e sculture in gesso e ferro. Nel1933 fece ritorno a Buenos Aires, dovepresentò la sua produzione astratta ot-tenendo scarso successo. Negli anniTrenta la sua pittura era orientata ver-so un’astrazione popolata da presenzevagamente biomorfiche, mentre tra il1946 e il 1949 fu influenzato dal rigori-smo concretista, realizzando composi-zioni geometriche; in entrambi i perio-di produsse anche collages polimatericiche rimasero caratteristici della sua ar-te nei decenni successivi. Nel 1949espose alla galleria Cavalotti centoopere non figurative e nel 1951 vi ten-ne una mostra antologica compren-dente opere non figurative dal 1932 al1951. Partecipò alle Biennali di Veneziadel 1952 e 1958 e alle Biennali di SanPaolo del Brasile del 1953, 1957 e1959. Tenne personali a Genova, Mila-no, Como, San Paolo del Brasile nel1953 e a Parigi e alla galleria del Navi-glio di Milano nel 1954. Nella secondametà degli anni Cinquanta fu influenza-to dall’Informale, che lo portò a speri-mentare ricerche materiche. In tuttoquesto lungo e articolato percorso DelPrete non abbandonò mai la figurazio-ne, anche se la sottopose a molteplicivarianti di stile nei diversi periodi dellasua produzione. Contemporaneamen-te alla pittura, inoltre, coltivò la scultu-ra, passando da opere di scomposizio-ne cubista a composizioni astratte, poispazialiste e ancora concretiste oppurepolimateriche. Nel 1961 fu organizzataal Museo di arte moderna di BuenosAires una mostra antologica che rico-struiva il suo percorso fino a quel mo-mento attraverso 150 opere a partire

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dal 1920. Negli anni Sessanta si susse-guirono esposizioni sia in Italia che al-l’estero, fra cui nel 1964 quelle alla gal-leria del Cavallino a Venezia, alla galleriaSchneider a Roma e la collettiva al-l’AAB di Brescia con Oscar Di Prata,Anna Coccoli, Vittorio Botticini, Ferdi-nando Crippa e i fratelli Ghelfi; nel1965 la personale a Brescia pressol’AAB (in collaborazione con la Di-rección de Cultura e il Ministerio deRelaciones exteriores della RepubblicaArgentina e presentata da Enrico Cri-spolti nel pieghevole di invito) e quellaalla galleria Wildenstein di Buenos Ai-res. Ottenne numerosi premi, fra cui sisegnalano il Gran Premio internaziona-le di Bruxelles nel 1958 e il PremioGuggenheim a New York nel 1960. Nel1977 donò numerose tele alla Pinaco-teca civica di Vasto, sua città natale; nel1982 furono presentati i suoi collages alMuseo di arte moderna di Buenos Ai-res, mentre alcune sue opere del pe-riodo astratto-concreto furono espo-ste nel 2002 alla GaMeC di Bergamo inuna mostra dal titolo Arte astratta su-damericana. Composición collage del 1963 (cat. n.22), di proprietà dei Civici Musei, èun’opera tipica della produzione di DelPrete tra la fine degli anni Cinquanta ei primi anni Sessanta, quando l’artista siera avvicinato al tachisme e alle ricer-che materiche informali. In questo qua-dro, realizzato con una tecnica che gli ècongeniale e ritorna in tutto il corsodella sua lunga attività, il collage di stof-fe su tela, l’artista sembra sondare lepotenzialità espressive della materiache si fa forma, colore, ma anche co-struzione e rilievo; il medium pittoricosi sovrappone al collage con pennellategialle che danno rilievo luminoso aipezzi di stoffa seguendo per lo più laloro forma, mentre macchie informi e

sgocciolature di colore nere si deposi-tano come impronte su tutta la super-ficie. L’opera venne donata ai Museidall’autore stesso, probabilmente inoccasione della collettiva del 1964 odella personale del 1965 presso l’As-sociazione Artisti Bresciani6.

Pietro DorazioRoma 1927 - Todi (Perugia) 2005

Si dedicò alla pittura fin dai primi anniQuaranta, frequentando con AchillePerilli lo studio del pittore Bandinelli edipingendo paesaggi e nature morte; siiscrisse nel frattempo alla Facoltà diarchitettura, anche se non conseguì lalaurea. Fra il 1946 e il 1947 frequentòassiduamente lo studio di Renato Gut-tuso insieme agli amici Achille Perilli,Lucio Manisco e Mino Guerrini, parte-cipando al dibattito sul rapporto artee società e respingendo sin dal princi-pio la via del realismo socialista. Erapiuttosto interessato da un lato al re-cupero delle istanze futuriste, soprat-tutto delle ricerche sulle linee-forza esul dinamismo universale, dall’altro al-la lezione postcubista, spingendosi finoall’astrazione. Nel 1947 con Perilli,Guerrini, Manisco, Carla Accardi, UgoAttardi, Antonio Sanfilippo, Giulio Tur-cato e Pietro Consagra diede vita algruppo Forma 1, ponendo l’istanza diun’arte astratta e nello stesso tempomarxista; in quell’anno si recò più vol-te a Parigi, dove incontrò Severini eMagnelli. Fra la fine degli anni Quaran-ta e l’inizio degli anni Cinquanta que-sta esperienza si tradusse nella crea-zione di quadri di impianto rigorosa-mente geometrico; dopo aver lasciatoil gruppo Forma 1 nel 1949 organizzòa Roma insieme a Perilli, Manisco eGuerrini la mostra Arte concreta e nel

6 Si veda il pieghevole illustrativo della mostra a cura di Gianfranco Maiorana e con la presenta-zione di Enrico Crispolti: Juan Del Prete, Associazione Artisti Bresciani, Brescia 8-20 maggio 1965,Biblioteca Queriniana, SB M III 6m6.

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1950 aprì la galleria-libreria L’age d’or,finalizzata alla diffusione dell’astratti-smo. Nel 1951 espose alla Triennale diMilano su invito di Lucio Fontana e co-nobbe Giacomo Balla, di cui lo affasci-nava la ricerca sulle linee andamentalie sulle vibrazioni cromatiche e lumi-nose delle compenetrazioni iridescen-ti. L’anno successivo partecipò per laprima volta alla Biennale di Venezia,collaborò alla fondazione del gruppoOrigine e alla pubblicazione della rivi-sta «Arti visive». Nel 1952 si recò aNew York, dove visse per qualchetempo e nel 1954 tenne la sua primapersonale; ebbe così modo di cono-scere i più importanti artisti dellaScuola di New York, affascinato in par-ticolare da Barnett Newmann e MarkRothko. Nelle opere di questo perio-do le superfici geometriche iniziaronoa rompersi in una più libera composi-zione di segni-colore, spesso giocatesu forti contrasti di timbri delle mac-chie cromatiche. Nel 1955 partecipòcon Perilli presso la galleria delle Car-rozze di Roma alla mostra Colore comestruttura, che nel titolo indicava la lineadi ricerca su cui si svolse in seguito lasua produzione, interessata alle poten-zialità espressive del colore. Nel 1956e nel 1958 partecipò alla Biennale diVenezia, dove fu presente anche nel1960, anno in cui soggiornò a Phila-delphia con l’incarico di direttore delDipartimento di belle arti dell’Univer-sità di Pennsylvania. A partire dal 1959dipinse i primi Reticoli, che inizialmen-te erano talmente fitti da produrredense monocromie, poi, a partire dal1961-1962, divennero più nitidi, costi-tuiti da linee più nette e distanziate eda colori più saturi. In ogni caso alcentro della sua ricerca c’era il segno-colore che nelle sue sequenze ritmi-che diveniva generatore di luce, di mo-vimento e di spazio. Presente nel 1965alla mostra The responsive eye al MoMadi New York, espose ancora alla Bien-nale nel 1966. Dalla fine degli anni Ses-

santa introdusse nelle opere forme ogeometriche o irregolari con coloripuri e piatti. Nel 1970 lasciò l’insegna-mento e tornò in Italia, dove curò unaretrospettiva di Marc Rothko allaBiennale di Venezia. Trasferitosi a Todinel 1974, continuò a lavorarvi fino allamorte, avvenuta nel 2005.Anche se Dorazio non aderì alla poe-tica informale, non rinunciando mai aun’intenzionalità progettuale del fareartistico, l’opera qui esposta del 1957(cat. n. 6), come altre dello stesso pe-riodo, dimostra che il pittore non ri-mane immune di fronte alle ricerchedella pittura di segno e di gesto, da luiconosciute bene sia nelle declinazionieuropee che statunitensi: la gestualitàinformale sembra destabilizzare lecomposizioni geometriche delle opereprecedenti e le forme paiono collassa-re, il colore sgocciolare fuori dei con-fini delle linee nere come se la strut-tura portante fosse sottoposta all’on-da d’urto di una forza incontrollabile.Di lì a pochi anni l’ordine, l’equilibrio,l’armonia del colore-luce sarebberotornati ad avere il sopravvento eavrebbero dominato in tutto il percor-so successivo.

Jean DubuffetLe Havre 1901 - Parigi 1985

Studiò alla Scuola d’arte di Le Havre enel 1918 si recò a Parigi per frequen-tare l’Académie Julian, che però lasciòdopo sei mesi. Frequentò Utrillo, Su-zanne Valadon, Raoul Dufy, Max Jacob,Fernand Léger, di cui divenne amico, edal 1924 André Masson. Per lunghi pe-riodi (dal 1925 al 1927, dal 1930 al1933, dal 1933 al 1941) abbandonò lapittura per occuparsi del commercionel settore vinicolo; a partire dal 1942si dedicò definitivamente all’attivitàartistica, diventando uno dei protago-nisti e uno dei teorici più lucidi dellapittura informale. Nel 1943 strinseamicizia con Jean Paulhan, che lo in-

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trodusse nell’ambiente artistico e let-terario parigino, e nel 1944 il mercan-te René Drouin organizzò la sua pri-ma personale, con opere caratterizza-te da un disegno infantile, che risenti-va della lezione di Klee. Egli non siconsiderava un artista, ma un alchimi-sta: l’arte era per lui soprattutto di-vertimento, che non derivava dalla co-scienza, dalle idee, dall’intelligenza esoprattutto dalla cultura, ma dall’istin-to e dalla “veggenza”. Da qui la sua co-stante operazione “anticulturale” e lasua attrazione da un lato per gli arti-sti marginali, non integrati nel sistema,dall’altro per gli alienati mentali, cherappresentavano per lui esempi in-consapevoli di un’arte “primaria”,“aculturale” e di inedite possibilitàespressive; definì Art brut questo tipodi produzioni artistiche, le collezionòper lunghi anni a partire da un viaggioin Svizzera nel 1945 e le promossefondando nel 1947 la Compagnie del’Art brut; nel 1972 donò la sua colle-zione alla città di Losanna. Nel 1946pubblicò Prospectus aux amateurs detout genre per Gallimard, una delle piùchiare e profonde teorizzazioni dellapoetica informale.La sua opera si organizzò in cicli, allacui base rimase sempre un interessefondamentale per la materia, la “gran-de madre” da cui tutto ha origine, il«grand bouillon continu», come lui ladefiniva. La critica ha individuato tregrandi periodi, a loro volta frazionabi-li in numerose serie.7 Il primo perio-do, dal 1942 al 1962, è legato alla na-tura e alla materia; fondamentale fu ilciclo Mirobolus, Macadam & Cie, hau-tes pâtes, le cui opere, esposte nel1946 alla galleria Drouin accompa-gnate da una monografia di Michel Ta-pié, rappresentarono un punto fermonon solo nell’evoluzione di Dubuffet,

ma anche nella poetica informale nelsuo complesso. Per accentuare laconsistenza materica Dubuffet avevamescolato all’olio materiali diversi,gesso, carbone, vetro frantumato, sab-bia, bitume, in modo da creare unacrosta greve, granulosa, talvolta solca-ta da figurazioni. Al 1950-1951 risale ilciclo Corps des dames, in cui la pastacromatica tornava ad appiattirsi e ve-niva solcata da segni che delineavanocorpi grevi, sgraziati, brutali. Fra il1951 e il 1954 si colloca il ciclo pre-valente dei Sols et terrains, in cui rie-mergeva prepotente la ricerca mate-rica con una pasta cromatica spessa,tormentata dalla spatola, che creavapaesaggi desolati e tormentati. Fra il1953 e il 1957 sperimentò assemblag-gi polimaterici con ali di farfalle, ele-menti botanici, cocci di vetro, ritaglidi giornale, fra cui spiccano i Tableauxd’assemblages, dalla ricca vena deco-rativa, che hanno la preziosità di unmosaico o di un commesso di pietredure. In questo caso non è tanto lospessore materico ad interessarlo,quanto il brulichio minerale, geologi-co della materia. Fra il 1957 e il 1960realizzò la serie Topographies, texturo-logies, matériologies e fra il 1958 e il1962 la serie di litografie Phénomènes;in esse sparisce l’orizzonte, che rima-neva presente in Sols et terrains, e l’ar-tista sembra dominare dall’alto la di-stesa di terreni desertici. Nel frat-tempo aveva tenuto nel 1947 la suaprima personale a New York, dovesoggiornò fra il 1951 e il 1952; a Pari-gi nel 1954 fu organizzata una retro-spettiva al Cercle Volney con 193opere, altre furono allestite nel 1957al Museo di Leverkusen, nel 1960 alMuseo delle arti decorative di Parigie nel 1962 al Museum of Modern Artdi New York.

7 Si vedano: L. M. Barbero (a cura di), Informale. Jean Dubuffet e l’arte europea 1945-1970, catalogodella mostra, Modena 18 dicembre 2005-9 aprile 2006, New York 2005; L. Trucchi, Dubuffet, Firen-ze 2001.

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Nel 1962 inizia il suo secondo perio-do, incentrato sulla serie L’Hourloupe,che si protrasse per oltre un venten-nio, in cui l’elemento unificante, purnelle infinite variazioni, è un segnoschematico, irregolare, che crea inces-santemente forme ad incastro, anima-te da tratteggi e rare campiture piatteprevalentemente blu, nere e rosse.Questo ciclo fu esposto nel 1964 a Ve-nezia a Palazzo Grassi, con la presen-tazione di Renato Barilli.Verso la metà degli anni Settanta ini-ziò il terzo e ultimo periodo, in cui ilcolore divenne protagonista ed ele-mento sovrastante: fra le serie piùimportanti Lieux abrégés (1975),Théâtres de mémoire (1979), Mires(1983) esposti alla Biennale di Vene-zia nel 1984, Non lieux (1984), ultimaserie, eseguita con fatica, a pochi me-si dalla morte avvenuta il 12 maggiodel 1985.Nel 1981 il Guggenheim di New Yorke il Centre Pompidou di Parigi ricor-darono il suo compleanno con impor-tanti esposizioni. Elefante bianco del 1953 (cat. n. 3), il cuititolo è probabilmente dovuto alla sa-goma di una delle macchie bianche inalto, è un’importante tela che appar-tiene al fondamentale ciclo Sols et ter-rains, in quella particolare declinazionerappresentata dalle Terrecotte, cosìchiamata per il colore rossiccio domi-nante; l’artista, nella sua inesauribile in-dagine sulla materia, crea, lavorando eincidendo la pasta cromatica, un pae-saggio scabro e tormentato, erto co-me un muro, in cui la linea dell’oriz-zonte frastagliata lascia pochissimospazio alla luce del cielo, in alto. Comelo stesso artista diceva nel suo testofondamentale Prospectus et tous écritssuivants (Parigi 1967): «L’arte deve na-scere dal materiale e dallo strumentoe deve mantenere la traccia dello stru-mento e la lotta di questo con la ma-teria […]. Ogni materiale ha il propriolinguaggio».

Jorge Eduardo EielsonLima 1924 - Milano 2006

Nato a Lima, in Perù, nel 1924 da ma-dre peruviana e padre nordamericanodi origine scandinava, mostrò fin dabambino un talento precoce ed eclet-tico che lo portò a coltivare la musica,la letteratura e l’arte e a vincere nel1945 il Premio nazionale di poesia el’anno successivo un premio nazionaledi teatro. A quegli anni datano le sueprime tele, che dimostrano l’influenzadi Klee e di Mirò, e gli studi pressol’Accademia di belle arti di Lima, chepresto interruppe perché non nutrivamolta fiducia nell’insegnamento acca-demico. Nel 1948 espose per la primavolta a Lima disegni, acquerelli, olî, as-semblages con legni colorati e combu-sti e movils di metallo. Fondamentalinella sua formazione furono un viaggionel 1948 a Parigi, dove entrò in con-tatto con Mondrian e l’astrattismofrancese, elaborando una pittura geo-metrica, costruttivista e neoplastica, enel 1951 un viaggio in Italia, che scelsecome patria di elezione. A Roma espo-se presso la galleria dell’Obelisco, unadelle più aggiornate della capitale, econobbe il poeta Emilio Villa, che re-censì la sua mostra sulla rivista «Artivisive» da lui diretta e lo mise in con-tatto con Alberto Burri ed Ettore Col-la; fu influenzato particolarmente dalprimo e dalle sue sperimentazioni diquel periodo sui sacchi, di cui si avver-te il riflesso nelle opere degli anni suc-cessivi. Frequentò anche Giuseppe Ca-pogrossi, Corrado Cagli, Mirko e AfroBasaldella, Piero Dorazio, Achille Peril-li, Antonio Sanfilippo, Carla Accardi, Se-bastian Matta. Per qualche tempo ab-bandonò la pittura per dedicarsi allapoesia e alla stesura di romanzi; nel1959 riprese la produzione artisticautilizzando materiali eterogenei cometerra, sabbia, argilla, polvere di marmoe soprattutto cemento, con il quale dàrilievo alla superficie delle tele speri-

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mentando le potenzialità materichedel linguaggio informale. In quegli anniavviò uno stretto rapporto con le gal-lerie Lorenzelli di Milano e di Berga-mo. All’inizio degli anni Sessanta inserìnelle sue tele indumenti quali camicie,giacche, pantaloni, che alludono a pre-senze umane, facendo emergere quel-la sensibilità per i tessuti che accom-pagnò nel tempo la sua produzione eche si riallacciava all’interesse per lestoffe precolombiane. A partire dal1963 assunse come elemento basedelle sue opere il quipu, cioè il nodo,che nel mondo andino precolombianorappresentava un sistema di registra-zione di numeri e informazioni e chel’artista riprese in molteplici varianti; laprima serie fu presentata alla Biennaledel 1964. Da quel momento ottenneprestigiosi riconoscimenti internazio-nali ed espose nei più importanti mu-sei del mondo. Continuò a viaggiare siain Europa che nelle Americhe, ma ri-mase molto legato all’Italia, dove morì,a Milano, nel 2006.L’opera in mostra, del 1960 (cat. n. 15),appartiene al periodo informale roma-no, concentrato tra la fine degli anniCinquanta e i primissimi anni Sessanta;il cemento, materia greve, slabbrata,corruga drammaticamente la superfi-cie dell’opera e dialoga con la telagrezza e il rigore del quadrato nero difondo: una struttura in cui la sensibilitàmaterica si sposa a un senso armonio-so, direi “classico”, della composizionee dimostra l’influenza esercitata inquegli anni su Eielson da Burri.

Luis FeitoMadrid 1929

La sua formazione avvenne presso laScuola di belle arti a Madrid a partiredal 1950. Dopo un breve periodo figu-rativo, sperimentò il linguaggio cubista,per approdare infine, a partire dal1953, all’arte non figurativa. Nel 1954

tenne a Madrid la sua prima personalee da quel momento iniziò ad esporrenelle più importanti città del mondo.Grazie a una borsa di studio del Go-verno francese nel 1956 si recò a Pa-rigi, continuando però a mantenere vi-vi i contatti con i pittori spagnoli. Nel-la capitale francese fu influenzato dal-l’automatismo di matrice surrealista,ma fu affascinato soprattutto dalle po-tenzialità espressive della pittura ma-terica, che lo portarono ad addensarela pasta cromatica mescolando all’oliosabbia, calce, gesso; la sua tavolozza siridusse ai neri, ai bianchi e agli ocra.Nel 1957 fondò a Madrid insieme aAntonio Saura, Rafael Canogar, Mano-lo Millares e altri il gruppo El Paso, unadelle più importanti formazioni del-l’Informale spagnolo, la cui attività pro-seguì fino al 1960, anno in cui ottenneil Premio David Bright alla XXX Bien-nale di Venezia; nel frattempo nel 1958aveva aderito anche al gruppo barcel-lonese Cuixart e Tharrats.Intorno al 1962 introdusse nelle sueopere un quarto colore, il rosso, e ac-centuò la componente segnico-ge-stuale. Negli anni Settanta le sue com-posizioni tendevano ad organizzarsi informe geometriche più controllate.Nel 1981 lasciò Parigi per Montreal,dove rimase fino al 1983, quando sitrasferì definitivamente a New York. Lesue opere sono conservate in impor-tanti musei in Europa e nelle Ameri-che; in Italia, fra gli altri, presso la Gal-leria d’arte moderna di Roma e il Mu-seo di Lissone.L’opera in mostra, un olio del 1959(cat. n. 12), ben rappresenta le caratte-ristiche della pittura di Feito della se-conda metà degli anni Cinquanta e iprimissimi Sessanta, una delle stagionifondamentali e più interessanti dellasua produzione; in questa fase il pitto-re utilizzava, come si è detto, una gam-ma cromatica essenziale, circoscrittaai bianchi, ai neri e agli ocra, creando alcentro della tela o di poco decentrate

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delle concrezioni materiche per lo piùdi forma circolare, simili a crateri, cherisaltano sul fondo tendenzialmentemonocromo e uniformemente chiaro,come in questo caso, oppure scuro.

Agostino FerrariMilano 1938

Iniziò professionalmente l’attività pit-torica nel 1959, quando sia negli StatiUniti che in Europa il linguaggio infor-male era entrato in crisi e a Milano, lacittà in cui si era formato e a cui èsempre rimasto legato, stava matu-rando una vivace pluralità di espe-rienze che, partendo proprio dal-l’Informale, ne cercavano il supera-mento in direzioni diverse, soprattut-to in senso oggettuale e preconcet-tuale; al di là delle differenze era co-mune l’intenzione di rifondare l’im-magine dall’interno, superando la ge-stualità incontrollata e le strutturecaotiche dell’estremo Informale, oltrealla volontà di ripristinare la comuni-cazione fra artista e fruitore. All’in-terno di questo clima, che comunquecontinuava ad avere in Fontana un im-portante punto di riferimento, Ferra-ri rivendicava la potenzialità del me-dium pittorico tradizionale, distaccan-dosi dalle ricerche che avviavano inquegli anni artisti con cui aveva stret-te frequentazioni, come Manzoni eCastellani, i quali ricercavano un azze-ramento radicale della pittura. Leopere del periodo di formazione, co-me ricorda lo stesso pittore, risenti-vano del clima naturalistico in cuierano immersi alcuni pittori lombar-di, anche se, a differenza di Morlotti,per fare un esempio, la natura di Fer-rari è la Milano industriale, tanto chele sue tele hanno per titoli Periferia,Ricordo di una periferia, Agglomerato in-dustriale, ma anche Paesaggio, in cui si

avverte la suggestione dell’opera diSironi; in queste tele, però, si perdeogni riferimento illustrativo, ogni le-game diretto al referente oggettivo, laperiferia industriale milanese, di cui ilpittore vuole piuttosto rendere l’at-mosfera tramite volumi semplificaticreati da fasci di colori tonali cupi sufondi grigi. Le opere di questo primoperiodo furono esposte nel 1961 inuna personale alla galleria Pater diMilano, presentata da Giorgio Kais-serlan. Già in questa prima fase dellasua produzione si era fatto strada ilvalore del segno, anche se fino a tut-to il 1961 rimase sempre ancorato aun contesto di immagine, senza tra-sformarsi in scrittura; fu a partire dal1962 che il segno divenne l’elementofondante della sua pittura, il filo con-duttore di tutta la sua produzionesuccessiva. Il 1962 è anche l’anno incui Ferrari fondò insieme ad ArturoVermi, Ettore Sordini, Angelo Verga,Ugo La Pietra e al poeta Alberto Lù-cia il gruppo del Cenobio, per svolgereuna ricerca nell’ambito di «un’opera-zione segnica minimale», come la de-finì il pittore stesso8. Nel 1963 il se-gno si tramutò in una vera e propriascrittura, con l’intento di descriverestati d’animo e ricordi, che diede vitaalla serie dei Racconti, Diari di viaggio,Manifesti. Nel biennio 1964-1965 sistabilì a New York, dove venne colpitodalle ricerche della Pop Art, anche seavvertì l’impossibilità di aderire a quel-la poetica. L’esperienza americana, tut-tavia, agì sulla sua pittura, che fra il1966 e il 1967 ricercò una maggioreplasticità e sensibilità formale (serieForma totale e Teatro del segno); nel1967 Lucio Fontana presentò una suamostra. Ritornò poi negli anni succes-sivi all’interesse primario per il segno,anche se considerato via via in relazio-ne alle forme e ai colori (serie Segnoforma colore) e indagato nelle sue mol-

8 L. Caramel, Agostino Ferrari, Milano 1991.

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teplici valenze, dal segno-scrittura alsegno-simbolo (Autoritratto, 1975; serieAlfabeti, Giardini, Ricordi e a partire dal1983 Eventi), spesso in consonanzacon l’amico Vermi, in una ricerca con-tinua che non si è ancora interrotta.Paesaggio del 1961 (cat. n. 16) benesemplifica la prima fase della produ-zione di Ferrari, che rappresenta il pe-riodo di maggiore tangenza con il lin-guaggio informale; su sfondi in generechiari ed uniformi si stagliano struttu-re caratterizzate da un cromatismodenso e scuro, ottenute con fasci dipennellate per lo più verticali, mosseda vibrazioni di diversa intensità lumi-nosa. Talora il colore veniva inciso conla spatola creando dei segni-graffiti, insingolare consonanza con le coeveesperienze di Hartung, anche se Ferra-ri non poteva ancora conoscere que-sta fase della pittura dell’artista fran-co-tedesco, che aveva presentato allaBiennale di Venezia del 1960 soltantolavori antecedenti al 1957. Colpiscenell’opera la sapienza con cui sono ge-stite la dialettica figura-sfondo e la re-sa volumetrica e luministica, pur nell’e-strema semplicità ed economia deimezzi pittorici.

Lucio FontanaRosario di Santa Fé 1899 - Comabbio(Varese) 1968

Nato in Argentina dallo scultore italia-no Luigi Fontana e da madre argentina,Lucio Fontana ritornò nel 1905 con lafamiglia in Italia e si stabilì a Milano, do-ve frequentò dal 1914 al 1915 l’Istitu-to tecnico Carlo Cattaneo. Nel 1915 siarruolò volontario; ferito, venne con-gedato, riprese gli studi e conseguì nel1918 il diploma di perito edile. Tornatonel 1922 in Argentina con il padre, cheaiutò nella sua attività di scultore, aprìnel 1924 uno studio di scultura. In que-sta prima fase il suo lavoro risentivadella plasticità vigorosa di Aristide

Maillol. Nel 1926 partecipò a una col-lettiva al Salon Nexus di Rosario diSanta Fé. Tornato a Milano nel 1928, fuallievo di Adolfo Wildt all’Accademia diBrera e si diplomò nel 1930. In quellostesso anno espose alla Prima mostrainterregionale di Firenze, partecipòper la prima volta alla Biennale di Ve-nezia e tenne la sua prima personalealla galleria del Milione a Milano; la suascultura rivelava già un modellato mol-to personale, in cui emergeva una for-te influenza postcubista. Le prime “ta-volette graffite” in cemento colorato,eseguite nel 1931, presentano già il ri-corso ad un segno gestuale, di ascen-denza surrealista, e una sensibilità ma-terica, anticipando il linguaggio infor-male degli anni successivi. Lungo il cor-so degli anni Trenta e Quaranta Fonta-na produsse contemporaneamenteopere figurative ed astratte, per lui duevie creative di pari importanza e inte-resse. Nel 1934 si accostò al gruppodegli astrattisti italiani, costituito daMelotti, Soldati, Reggiani, Licini, Bo-gliardi, Veronesi e Ghiringhelli, che ave-vano come punto di riferimento la gal-leria del Milione; insieme ad alcuni diessi nel 1935 sostenne il gruppo pari-gino Abstraction-Création e firmò il ma-nifesto della Prima mostra collettiva diarte astratta italiana organizzata a Tori-no nello studio di Enrico Paulucci e Fe-lice Casorati. Da quell’anno iniziò an-che a sperimentare l’uso della cerami-ca, che nel 1937 lavorò pure presso lemanifatture Sévres di Parigi. Nel 1939espose alla seconda mostra di Corren-te, alla galleria Grande di Milano e nel1940 tornò in Argentina, dove durantela guerra produsse opere prevalente-mente figurative.Il 1946 è un anno chiave nella sua pro-duzione: iniziò a indagare sul concettodi spazio (uno dei suoi disegni traccia-ti con un tratto che prefigurava quelloinformale si intitola Concepto espacio);fondò a Buenos Aires l’Accademia diAltamira con Jorge Romero Brest e

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Jorge Larco e redasse il Manifesto blan-co insieme a giovani artisti e intellet-tuali argentini, anche se non lo firmò.In questo testo sono già contenute leidee base dello Spazialismo, che Fonta-na sviluppò a partire dal 1947, dopoessere tornato in Italia, riprendendo lavocazione futurista al dinamismo e al-l’apertura verso i mezzi tecnici al pas-so con i tempi (Primo manifesto spazia-le, 1947; Secondo manifesto, 1948; Pro-posta per un regolamento, 1950; Quartomanifesto dell’arte spaziale, 1951; Mani-festo spaziale per l’arte della televisione,1952).Nel 1948 partecipò con cinque scultu-re alla Biennale di Venezia, cui saràininterrottamente presente fino al1968, anno della morte; eseguì una se-rie di gouaches (Evoluzioni e Ambientispaziali) in cui anticipava intuizioni chemise in opera nell’allestimento Am-biente spaziale alla galleria del Milionenel 1949, utilizzando tubi al neon inanticipo sull’arte degli anni Sessanta.Nel 1951 ottenne il primo premio exaequo con Luciano Minguzzi nel con-corso per la quinta porta del Duomodi Milano. Nel 1952 espose alla galleriadel Naviglio di Milano le prime telecon i “buchi”, sulle quali stava lavoran-do dal 1949, ed elaborò il motivo an-che in versione architettonica per isoffitti dei padiglioni Brera e Siderco-mit in collaborazione con l’architettorazionalista Luciano Baldessari in oc-casione della XXXII Fiera di Milano.Continuò a sperimentare l’uso di ma-teriali diversi, che lo portarono a rea-lizzare la serie Costellazioni, nella qualesovrapponeva a tele dipinte a macchiecolature di sabbia, e la serie Concettispaziali, in cui cosparse le tele anchecon pietruzze e frammenti di vetrocolorato a disegnare spirali, come ne-bulose galattiche. Nel 1951 alla IXTriennale di Milano realizzò il Grandeneon, un’installazione luminosa in cui lesue ricerche sul segno si trasformava-no in luce nello spazio. Nel 1955 ten-

ne la sua prima mostra personale aRoma alla galleria dello Zodiaco e par-tecipò alla VII Quadriennale. Nel 1958espose alla galleria del Naviglio di Mi-lano i primi tagli su tela (serie Attese),che poi sperimentò anche nelle scul-ture in ceramica (ciclo Nature, 1959) emetallo a partire dal 1961; in quell’an-no realizzò anche una variante dei ta-gli su tele dipinte a monocromo dedi-cate a Venezia, creando un effetto pla-stico e scultoreo, sottraendo la tela al-la sua bidimensionalità (furono espo-ste a Venezia a Palazzo Grassi nellamostra Arte e contemplazione e a NewYork alla Martha Jackson Gallery). Pro-seguendo nella ricerca sul significatodel gesto, dello spazio, del vuoto e del-l’infinito, Fontana realizzò il ciclo La fi-ne di Dio, grandi tele ovali monocromeperforate da miriadi di buchi, espostea Milano alla galleria dell’Ariete nel1963; la serie dei Teatrini nel 1964, co-stituiti da quinte di metallo ritagliato eperforato che costruiscono un’am-bientazione scenica; le Ellissi del 1967,forme di legno laccato percorse da fo-ri secondo un ritmo regolare.Quattro sono le opere di Fontana inmostra, due tele e due sculture, tuttesignificativamente legate dallo stessotitolo Concetto spaziale, che indica il fi-lone di ricerca primario in Fontana, inqualche modo la sua “ossessione”creativa.La prima dal punto di vista cronologi-co è Concetto spaziale del 1957 (cat. n.7), una composizione quasi monocro-matica realizzata ad anilina e collage sutela, che appartiene alla serie dei Gessi(1954-1958): una forma elementarechiusa, ovoidale, percorsa da un trac-ciato di rapidi segni, galleggia in rilievosulla superficie opaca della tela, chesembra avere la consistenza di un mu-ro; una manifestazione del linguaggioinformale molto vicina a certe espres-sioni di Fautrier e di Dubuffet.Concetto spaziale. Attesa, del 1967 (cat.n. 27), appartiene alla celebre serie dei

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Tagli, avviata nel 1958, in cui l’artistasupera i limiti di pittura, scultura e de-corazione e porta il segno-gesto almassimo di concentrazione lirica; i ta-gli lacerano e insieme muovono il sup-porto monocromo della tela dal colo-re intenso: la riflessione sullo spazio,sull’origine della vita, sulla tela comediaframma fra “l’aldiquà” e “l’aldilà”,sulla luce e sull’ombra che si annidanel taglio raggiungono il massimo del-la sintesi e superano l’Informale versoun’arte puramente concettuale; d’altraparte da qui si avvierà la ricerca diManzoni o di Castellani, per fare degliesempi.Concetto spaziale del 1959 (cat. n. 31) èuna ceramica acquistata dai Civici Mu-sei per la Galleria d’arte moderna, incui a graffito il segno delimita sulla su-perficie circolare una forma quadran-golare incisa da un taglio verticale piùprofondo: un’altra variante del temache torna in molte opere di questoperiodo, ad esempio nelle Nature, sfe-re dove il taglio è interpretato in mo-do più drammatico, come spaccaturaprofonda nel cuore della materia.L’ultima opera è un multiplo ottenutocon una fusione postuma del 1973, mala cui concezione risale agli anni Ses-santa, Concetto spaziale (cat. n. 34), unaboccia di bronzo in cui si realizza inmodo diverso il tema delle Nature eun altro topos del linguaggio di Fonta-na, il “buco”: la superficie liscia di unaperfetta cellula-uovo viene lacerata dasquarci slabbrati, in cui si addensal’ombra, creando un contrasto intensocon la luminosità diffusa e serica che licirconda.

Quinto GhermandiRonchi di Crevalcore (Bologna) 1916 -Bologna 1994

Nato in provincia di Bologna da fami-glia di ceto agrario, scoprì ancora dabambino la vocazione per la scultura,

che studiò a Bologna prima con CletoTomba al Liceo artistico, poi alla scuo-la di Ercole Drei e infine all’Accade-mia di belle arti, dove si diplomò nel1940. Combattè durante la secondaguerra mondiale prima in Grecia e poiad El Alamein; fatto prigioniero dagliInglesi, trascorse quattro anni in uncampo nel deserto, dove conobbe sul-le riviste inglesi l’opera di Picasso e diHenry Moore. Tornato in Italia, iniziòl’attività artistica dapprima realizzan-do piccole sculture in terracotta, poiin ceramica. Cominciò ad esporre lesue opere e fu presente alla Biennaledi Venezia nel 1952. Dal 1955 iniziò adutilizzare il ferro saldato e nel 1958,grazie a una commissione dell’impren-ditore Giona Baldissera, suo amico emecenate, avvenne l’incontro con ilbronzo, il materiale in cui da quel mo-mento, attraverso la tecnica della fu-sione a cera persa, si espresse costan-temente la sua creatività. Per Baldisse-ra realizzò nel corso degli anni Cin-quanta e Sessanta l’allestimento arti-stico del parco della villa a Pianoro, inprovincia di Bologna, con più di cin-quanta sculture informali, ispirate almondo animale e vegetale, una rein-terpretazione del dialogo arte-naturadei giardini delle ville manieriste. Nel1959 vinse il Premio internazionaledel bronzetto a Padova con LynnChadwick e il premio della scultura diCarrara; nel 1960 espose venti bronziin una sala personale alla Biennale diVenezia (Foglie, Ali, Voli) ottenendogrande successo di critica e di pubbli-co. Nel corso degli anni Sessanta sisusseguirono esposizioni personali epartecipazioni a collettive in Italia e al-l’estero: ricordiamo la III edizione diDocumenta a Kassel nel 1964, la IXQuadriennale romana nel 1965-1966,la Biennale di Venezia nel 1966; nelfrattempo ottenne importanti premi.Nel 1969 Ghermandi creò una dellesue sculture più famose, Largo gestoper un massimo spazio, con la quale

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scrisse nella sua autobiografia di averabbandonato «per sempre l’oggetto-forma per entrare nell’oggetto-spa-zio». Negli anni Settanta sperimentòl’uso del legno e tornò a lavorare ilferro, anche se non abbandonò mai ilbronzo, creando le prime scultureambientali e realizzando opere pubbli-che, monumenti e fontane, che gli die-dero l’opportunità di esprimere ingrande scala le sue tematiche formalie le sue idee circa lo spazio. Fra que-ste ricordava nella sua autobiografia lafontana dell’Ospedale Maggiore di Bo-logna, il Momento del volo, monumentoalla Resistenza nei giardini di corsoMagenta a Brescia, e la scultura davan-ti al Palazzo di Giustizia di Forlì. Fu ti-tolare della cattedra di scultura all’Ac-cademia di belle arti a Firenze e poi aBologna, dove ricoprì anche la caricadi direttore dal 1981 al 1984. Tra lemostre più recenti si ricordano lapersonale alla Galleria civica d’artemoderna di Palazzo dei Diamanti aFerrara nel 1993 e, dopo la morte nel1994, l’antologica organizzata a Pievedi Cento (Bologna) dalla galleria IlPonte nel 2005-2006 per arrivare al-l’esposizione dedicata soprattutto aiGrandi gesti e alle Foglie dalla galleriaArtforum di Bologna.L’Associazione Artisti Bresciani espo-ne in quest’occasione due sculture diGhermandi. La prima, di proprietà pri-vata, è una delle versioni di Largo gestoper un massimo spazio del 1969 (cat. n.32), forse la scultura più famosa del-l’artista, che la definiva «una sculturacompleta, di quelle che saltano fuorisolo poche volte», un «gesto ampioquanto il giro delle braccia», con cui,come si è detto, si chiudeva la fase del-l’oggetto-forma per entrare in quelladell’oggetto-spazio; l’altra, di proprietàdei Civici Musei, è il bozzetto, vincito-re del concorso indetto dal Comunedi Brescia per il monumento alla Resi-stenza da collocare nei giardini di cor-so Magenta (1970), intitolato Momento

del volo (cat. n. 33): lo scultore affrontaun tema in genere contaminato dallaretorica celebrativa con l’efficace ana-logia libertà-volo, tradotta in una for-ma vitale che si dispiega nello spazio,fragile e forse ferita, ma vittoriosa. Alfondo di entrambe le opere c’è l’ideaportante della scultura di Ghermandi,l’idea di leggerezza, di movimento, dielevazione, che si traduce in strutturecostruite su linee mosse, tendenzial-mente curve, e in una lavorazione chesolca il bronzo, lo corrode, ne sfrangiai bordi, ne esalta la duttilità e la bellez-za. Come scrisse Flavio Caroli allamorte dello scultore, «Ghermandi eratra i pochissimi ad avere capito l’es-senziale: il passato vive nel presente,ma il presente è così, volatile, un gesto,un attimo, che solo l’arte può renderemagico, durevole e profondo; tantoprofondo da protrarre nel tempo lasua consapevole caducità.» La materiasi riscatta dalla sua pesantezza per di-ventare volo e spazio.

Simon HantaïBiatorbágy (Ungheria) 1922

Dopo aver compiuto la sua formazio-ne artistica a Budapest e aver parteci-pato alla Resistenza durante la guerra,si trasferì nel 1949 a Parigi, dove si av-vicinò al movimento surrealista, in-fluenzato in particolare da tecniche dipittura automatica; fu Breton a pre-sentare la sua prima mostra personalenel 1953 presso la galleria L’Etoile.Sperimentò una grande varietà di tec-niche come il collage, il frottage e il grat-tage. Nel 1955 scoprì Pollock e gliespressionisti americani e contempo-raneamente si allontanò da Breton, av-vicinandosi invece a Mathieu, con cuicondivise una pittura segnica, vicina auna sorta di scrittura automatica, econ il quale espose nel 1957 alla galle-ria Kleber. Dal 1958 in poi affrontònelle sue opere tematiche religiose.

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Ricercando progressivamente uno sti-le più libero, che rinunciava al control-lo sulla composizione e sviluppava,sotto l’influenza determinante di Pol-lock, una pittura più gestuale, iniziò aelaborare una riflessione particolaresul rapporto pieno-vuoto, figura-sfon-do, che lo accompagnò in tutta la suaproduzione («È lo spazio tra le foglieche fa l’albero»; «Il dipinto non vale inse stesso, ma in quanto attiva esclusi-vamente il non dipinto»): nel corso de-gli anni Cinquanta ottenne effetti dipittura “in negativo”, lasciando appari-re fra i segni pittorici tracciati i fondicolorati della tela che sembrano illu-minare il quadro dall’interno. A partiredal 1960 abbandonò progressivamen-te la tela montata su telaio e adottò ilmetodo del pliage, che consiste nelpiegare in modo più o meno fitto teledi grandi dimensioni e dipingerle pie-gate, in modo che il pennello raggiun-ga soltanto le parti che rimangonoesterne; solo una volta dispiegate leopere si rivelano nella loro totalità,senza che il pittore abbia potuto con-trollare “a priori” la loro composizio-ne e l’ordine gerarchico fra le parti.Questo metodo fu poi sistematica-mente applicato e arricchito, produ-cendo alcune serie di opere, fra cuispiccano le grandi tele intitolate Ma-riales (1962-1968), Meuns (1967), Toilespour Reverdy (1969), Les blancs (1973-1974) e Les tabulas (dal 1974), in cui ilpliage si fa più controllato e geometri-co. Molte sue opere sono conservatepresso importanti musei: fra gli altri, ilCentre Pompidou a Parigi, i Musei va-ticani, quelli di Grenoble, Saint-Etien-ne, Bruxelles, Buffalo e numerose col-lezioni private.L’opera del 1963 qui esposta (cat. n.23), appartenente alla Collezione Artee Spiritualità, fu donata a monsignorMacchi da monsignor Raymond Mar-cel e fu inizialmente inserita nella Col-lezione d’arte religiosa moderna diRoma, di cui fa tuttora parte Le man-

teau de la Vierge (1960); pervenne poialla collezione bresciana sempre tra-mite monsignor Macchi.La tela, brulicante di forme cellulariprimigenie, appartiene alla fase in cuiHantaï si è decisamente avvicinato alletecniche e alle problematiche della pit-tura informale, memore da un latodell’automatismo surrealista, dall’altrodella suggestione del dripping pol-lockiano. Anche se in questo caso nonapplica la tecnica del pliage sperimen-tata in quegli stessi anni, è vicina al la-voro di quel periodo la riflessione su-gli effetti di rilievo e di vuoto, qui ot-tenuti con una sapiente vibrazione delcolore e con la distribuzione di segni-forme letti alternativamente come fi-gura o come sfondo; si crea la sensa-zione di un misterioso spazio cosmico,dove fluttuano organismi vitali che siaddensano o si vanno rarefacendo.

Bice LazzariVenezia 1900 - Roma 1981

La sua formazione avvenne a Venezia,prima presso il Conservatorio Bene-detto Marcello e poi presso l’Accade-mia di belle arti, dove frequentò il cor-so di arti decorative. Si dedicò inizial-mente alla pittura paesaggistica, rein-terpretando la grande tradizione delvedutismo veneziano, anche se Astra-zione di una linea del 1925 dimostravagià una tendenza verso l’astrazione;nel 1927 espose alla Triennale di Mila-no, alle cui edizioni fu sempre presen-te fino al 1961; nel 1928 tenne la suaprima mostra personale alle Botteghed’arte di Venezia e nel 1929 alla galle-ria San Moisè. Dalla fine degli anni Ven-ti e nel corso degli anni Trenta fre-quentò Carlo Scarpa e Mario De Lui-gi, iniziando un percorso d’avanguardiae di ricerca razionalistica, che la portòad abbandonare la rappresentazionefigurativa e a sperimentare composi-zioni geometriche, soprattutto nelle

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arti decorative, anche se continuò aprodurre paesaggi dal vero. Trasferitasinel 1935 a Roma, dove espose pitturemurali e pannelli decorativi in occasio-ne delle mostre organizzate dal regi-me, nel corso degli anni Quaranta svi-luppò la ricerca sul segno, raggiungen-do a partire dagli anni Cinquanta im-portanti riconoscimenti: nel 1950 par-tecipò alla Biennale di Venezia nella se-zione arti decorative, ottenendo il pri-mo premio per il mosaico; a Romatenne personali alla galleria La Cassa-panca nel 1951 e alla galleria Schnei-der nel 1954. Dalla metà degli anniCinquanta ai primi anni Sessanta ap-profondì l’interesse per l’elementomaterico, abbandonando la pittura adolio per sperimentare le potenzialitàespressive di altri materiali, quali colle,sabbie, tempera, in un’interpretazionedel tutto personale della pittura infor-male; la produzione di questo periodofu presentata nel 1958 alla mostra Se-gno e materia alla galleria La Medusa diRoma e alla galleria del Cavallino a Ve-nezia, la più aggiornata in città sulle ul-time tendenze dell’arte. Parallelamen-te la passione mai dimenticata per learti decorative la portò a progettareoggetti d’artigianato e motivi decorati-vi per stoffe e tessuti da parati chepresentò al Centro internazionaled’arte e del costume a Palazzo Grassinel 1954 e nel 1956.Nel 1964 avvenne un’ulteriore svoltanella sua arte, che la portò a ridurredrasticamente i mezzi pittorici a lineetracciate con la grafite su fondi mono-cromi.Tra la fine degli anni Sessanta e gli an-ni Settanta si colloca l’ultima fase dellasua produzione, caratterizzata dall’usodi colori acrilici e da ricerche nel cam-po della percezione ottica, che dimo-stra la grande capacità di rinnovarsi edi mettersi in discussione di questapittrice, sempre in grado di rifuggireda imposizioni dogmatiche e di mante-nere una mentalità sperimentale, “da

laboratorio”, acquisita probabilmenteai tempi della sua formazione nell’am-bito delle arti applicate; morì a Romanel 1981. Una mostra antologica, orga-nizzata nel 2005 dalla galleria ArteCentro di Milano ha ripercorso le tap-pe della sua produzione.La tela in mostra (cat. n. 21), L’ostacolodel 1963, appartiene alla fase in cui lapittrice sperimentava le potenzialitàespressive del segno e della materia, inuna sua originale proposta in ambitoinformale. I mezzi pittorici tradizionalisi mescolano ad altri materiali: in que-sto caso come spesso accade in queglianni, sabbia e colla sono mescolate al-la tempera cui danno risalto materico;il segno esile organizza le campiture dicolore, ridotto alla gamma dei bianchi,dei neri e dei grigi, secondo sequenzeritmiche che creano una partiturachiara e misurata, forse originata daisuoi rigorosi studi musicali.

Pompilio MandelliVillarotta di Luzzara (Reggio Emilia)1912 - Bologna 2006

Dopo aver studiato al Liceo artisticodi Bologna, si formò come pittorepresso l’Accademia di belle arti dellastessa città sotto la guida di VirgilioGuidi, frequentando contemporanea-mente il corso di incisione tenuto daGiorgio Morandi. Nel 1936 partecipòalla Biennale di Venezia, cui fu presenteanche nelle edizioni del 1940, 1948,1950, 1954 e dove venne invitato consale personali nelle edizioni del 1952,1956, 1962, 1972. Espose anche alleQuadriennali romane nel 1939, 1947,1951, 1965, 1986 e in altre importantimanifestazioni nazionali ed internazio-nali. Nel 1939 fu fondamentale l’incontrocon Francesco Arcangeli, il critico chepresentò la sua prima personale nel1946 presso la galleria Cronache e chefu uno dei suoi principali interpreti e

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sostenitori. Nel frattempo il pittoreaveva insegnato all’Accademia di bellearti di Bologna su incarico di VirgilioGuidi dal 1940 al 1942 e, dopo esserestato richiamato alle armi, dal 1945 co-me suo assistente. Nel 1947 compì unviaggio a Parigi, che gli permise di en-trare in contatto diretto con la pitturaimpressionista e con quella postcubi-sta. In quegli anni la sua produzione siconcentrava sui temi del paesaggio edella figura umana, liberandosi progres-sivamente da strutture troppo rigide;andava preannunciandosi la sua parti-colare via nell’ambito informale, quellaoriginale interpretazione del dato na-turale che, a fianco di Morlotti e di Mo-reni, lo colloca fra i protagonisti del-l’Ultimo naturalismo, secondo la defini-zione coniata nel 1954 da Arcangeli,promotore del gruppo. Il critico indivi-duava nella grande tradizione romanti-ca da Turner a Courbet e a Monet gliantecedenti di questi pittori che cerca-vano un nuovo rapporto uomo-naturaal di là della misura intellettuale, possi-bile solo in un’immedesimazione tota-le. Si verificò quindi un progressivo al-lentamento delle strutture compositi-ve, uno sfaldarsi delle forme, mentre siaccentuava la libertà del segno-colore,l’intensità dei valori materici in cui sifondevano indistintamente natura edesseri viventi. Come scrisse Barilli nelsaggio introduttivo alla mostra tenuta-si alla galleria Il Canale a Venezia nelnovembre del 19609, «la natura di Man-delli, dunque, lungi dall’approdare allequiete rive della contemplazione arca-dica, giunge a far sospettare la presen-za di una travolgente “paura”», un bru-lichio, un’ebbrezza di vertigine cui«non bisogna aggiungere necessaria-mente un connotato psicologico-mo-rale di catastrofe imminente, di ango-scia e disperazione», ma che rappre-sentano «uno stato primario del mon-

do, un modo possibile di viverlo, di spe-rimentarlo e organizzarlo, ancor primache intervengano le nozioni di positivoe di negativo, di bene e di male».Dal 1961 al 1978 Mandelli fu titolaredella cattedra di pittura all’Accademiadi belle arti di Bologna, di cui fu anchedirettore dal 1968 al 1970. Continuò adipingere e ad ottenere riconoscimen-ti in Italia e all’estero, reinterpretandoi suoi temi principali, la figura umana eil paesaggio, fino a pochi anni primadella morte avvenuta nel 2006.L’opera in mostra (cat. n. 20), del1962, fu esposta nel 1965 alla IX Qua-driennale romana. Il titolo, Inverno gri-gio, rimanda come sempre alla realtànaturale, concreta, in questo caso diun inverno padano (tema a lui caro, siveda anche Paesaggio in grigio del 1954conservato nella Galleria comunaled’arte moderna di Bologna); il datooggettivo è però trasfigurato da unsegno denso e dinamico, rivelatore diun gesto pittorico intenso e vitale:Mandelli non vuole rendere le formedella natura, ma l’energia primordialeche la pervade.

Georges MathieuBoulogne-sur-Mer 1921

Dopo aver compiuto studi di lettere,diritto e filosofia ed avere anche colti-vato la matematica e la musica,Mathieu si laureò nel 1941 all’Univer-sità di Lille. A partire dal 1942 iniziò adedicarsi alla pittura, realizzando qua-dri non figurativi secondo un’astrazio-ne libera e gestuale; nel 1946 orga-nizzò la propria esposizione al Sestosalone dei minori di trent’anni alla Gale-rie des Beaux-Arts di Parigi e l’annoseguente partecipò alla mostra L’imagi-naire presso la Galerie du Luxem-bourg. In decisa opposizione all’astra-

9 R. Barilli, Informale. Oggetto. Comportamento, vol. I, Milano 20063, p. 198.

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zione geometrica allora dominante inFrancia e alla cultura occidentale, se-condo lui sclerotizzata sulle categorieestetiche di armonia, equilibrio, misu-ra, simmetria, promosse i concetti digioco, di festa, di sacro, di libertà com-positiva: «Bisogna vivere e partecipare,non soltanto essere e contemplare».10

Scelse per definire la sua arte il termi-ne “Abstraction lyrique” (o psichica)sottolineando la distanza rispetto all’a-strazione geometrica del concretismoe del postcubismo. L’incarico di re-sponsabile delle pubbliche relazioniper una compagnia marittima america-na ricevuto nello stesso 1947 gli per-mise di conoscere i movimenti d’avan-guardia statunitensi, cogliendo i puntidi contatto fra l’espressionismoastratto americano e l’astrazione liricae rivendicando il fatto di aver anticipa-to sia Wols che Pollock nell’uso dellapittura diretta e della macchia. Fu sicu-ramente il primo a introdurre la ge-stualità sulla scena artistica parigina ea fare del segno l’elemento portantedella sua opera. Nel 1950 organizzò la sua prima per-sonale presso la galleria Drouin e nel1951 partecipò all’esposizione Véhé-mences confrontées da lui stesso ideatae alla mostra Signifiants de l’Informelpresentata da Michel Tapié. Oltre cheuno dei primi interpreti della pitturainformale europea, divenne anche unodei teorici più lucidi dell’estetica delsegno che, per la prima volta nell’arteoccidentale, si separava dal significatoe lo precedeva, rovesciando l’istanzarazionalista e secoli di cultura: se l’o-pera d’arte continuava a “significare”qualcosa, questo significato non erapiù riducibile a un ambito concettuale.Fissò quattro punti fondamentali perla sua arte: 1) primato della velocità diesecuzione; 2) nessuna preesistenza diforma conosciuta; 3) nessuna preme-

ditazione del gesto; 4) l’opera va con-dotta in uno stato estatico. Nell’epocadella velocità meccanica, anche l’ese-cuzione dell’opera d’arte doveva esse-re rapidissima e Mathieu la trasformòspesso in forma spettacolare dipingen-do grandi tele in poco tempo davantial pubblico, spremendo direttamente ilcolore dal tubetto e facendosi ripren-dere dalle telecamere; anticipò così lapratica della performance: la pittura eraper lui «pura manifestazione dell’esse-re». La velocità del gesto, tuttavia, nondiventa mai furia e il segno che si di-pana sulle vaste tele mantiene una suaeleganza, che è stata avvicinata alla cal-ligrafia giapponese. I titoli delle sueopere alludono spesso a famose batta-glie dei secoli passati, quasi che sullatela si svolgesse un’eroica lotta conci-tata: e i rimandi storici, spesso legati almondo epico-cavalleresco, testimonia-no che siamo ben lontani da un azze-ramento culturale, ma assistiamo piut-tosto a un raffinatissimo e ironico gio-co intellettuale.Nel corso degli anni espose nei più fa-mosi musei del mondo e divenne unodei protagonisti della scena artistica,sia in Occidente che in Oriente.La grande tela del 1952 qui esposta(cat. n. 1) appartiene al periodo più im-portante di Mathieu, immediatamentesuccessivo alla sua esplosiva comparsasulla ribalta artistica con le due fonda-mentali esposizioni parigine sopra ri-cordate. Come in molte altre operecoeve il segno si fa materia colorata, siannoda, costruisce uno dei suoi con-sueti calligrammi; una struttura creatada una libera energia vitale che sem-bra tuttavia non andare fuori control-lo, perché la forma generata, che gal-leggia sull’uniforme fondo scuro, trovail suo equilibrio intorno a un asse disimmetria, accampato quasi al centrodel formato orizzontale.

10 G. Mathieu, Au-delà du Tachisme, 1963, p. 99, citato in R. Pasini, L’Informale Stati Uniti Europa Italia,Bologna 1996, p. 246.

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Gino MeloniVarese 1905 - Lissone (Milano) 1989

Studiò presso l’Istituto d’arte di Mon-za tra il 1923 e il 1927 e dal 1929 al-l’Accademia di belle arti di Brera, inse-gnando nel frattempo alla Scuola di ar-ti e mestieri di Lissone. I suoi primi di-pinti, di carattere figurativo e influenza-ti dall’Espressionismo, risalgono agli an-ni Trenta e dal 1939 tenne le sue primepersonali a Milano, presso la galleriaMazzucchelli e la galleria Piccola Mo-stra, ottenendo però scarso successo.Conobbe il pittore Giovanni Fumagalli,che da quel momento divenne il suomaggiore sostenitore. Dopo la guerrafu uno dei protagonisti della vita arti-stica milanese, esponendo opere di in-fluenza neocubista, organizzate in cicli:le Donne nella seconda metà degli anniQuaranta, cui seguirono i Galli (1947-1953) e le Venezie (1953-1956). Fu invi-tato alle Biennali del 1948, 1952 e 1954ed ebbe una sala personale in quelledel 1956 e del 1964; espose a Leverku-sen nel 1957, a New York nel 1960 e aParigi nel 1963. Pur non abbandonandomai del tutto la pittura figurativa, a par-tire dal 1953-1954 si avvicinò all’Infor-male, a volte con opere in cui la pastacromatica si faceva densa, materica,corrugandosi in asperità irregolari, al-tre con tele quasi monocromatiche, al-tre ancora con gestualità concitata ecromia molto accesa (Paesaggi, Immagi-ni, Pitture). Furono gli anni in cui propo-se e poi seguì l’organizzazione del Pre-mio Lissone, che richiamava nella cittàbrianzola i grandi maestri dell’Informa-le europeo, le cui opere costituisconoil nucleo fondamentale della collezionedel Museo di Lissone. Ciò lo portò an-che in contatto con importanti criticieuropei; in particolare Will Grohmannricondusse la sua opera alle esperienzedell’Informale europeo. Dalla metà de-gli anni Sessanta e per quasi tutto il de-cennio seguente ritornò a una pitturafigurativa ancorata alla realtà quotidia-

na. Gli sono state dedicate numerosemostre fra cui ricordiamo quelle orga-nizzate dal Comune di Milano nel 1971(Rotonda della Besana, a cura di MarcoValsecchi), dal Comune di Lissone nel1980 (a cura di Mario De Micheli) e1985 (a cura di Luciano Caramel),quella a Ferrara a Palazzo dei Diaman-ti nel 1988, sempre a cura di De Mi-cheli, che organizzò anche l’antologicaalla Permanente di Milano nel 1995, einfine la mostra organizzata dal Museodi Lissone in occasione del centenariodella sua nascita nel 2005 (a cura diLuigi Cavadini).Composizione del 1961 (cat. n. 17) fudonato ai Civici Musei dall’avvocatoCugini nello stesso anno della sua ese-cuzione; la semplicità del mezzo, il pa-stello, che l’artista ha utilizzato fre-quentemente nel corso di tutta la suaproduzione, è qui funzionale all’essen-zialità del gesto e alla creazione di for-me di densità e tonalità diverse chesembrano galleggiare, avanzare e re-trocedere nell’atmosfera trasparente,muovendo la superficie.

Ennio MorlottiLecco 1910 - Milano 1992

Lavorò fin da giovanissimo come ope-raio e come impiegato per le difficilicondizioni economiche; trasferitosi aMilano, coltivò comunque la sua pas-sione per l’arte, che lo portò ad ab-bandonare il lavoro nel 1936 e a con-seguire la maturità artistica a Brera.Frequentò l’Accademia di belle arti aFirenze sotto la guida di Felice Care-na, ma nel 1937 lasciò l’ambiente fio-rentino che l’aveva deluso, per torna-re a Lecco, dove si dedicò a dipingerepaesaggi, influenzato da Cézanne e daMorandi, ma anche dal Novecentismoe dal Chiarismo. Nell’autunno di quel-lo stesso anno fece un viaggio a Pari-gi, dove conobbe direttamente la pit-tura di Cézanne e di Picasso. Nel 1939

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si trasferì a Milano e si iscrisse all’Ac-cademia di Brera, diplomandosi nel1942; fu allievo di Aldo Carpi e diAchille Funi, col quale collaborò allarealizzazione degli affreschi per l’E-sposizione Universale di Roma e perl’Università di Padova. Nel 1940 aderìal gruppo di Corrente, diventando ami-co di Cassinari, e nel 1941 e 1942 par-tecipò alla III e alla IV edizione delPremio Bergamo; le sue opere in que-gli anni, pur impostate ancora sulla le-zione di Cézanne, evidenziavano nelcolore contrastante e violento e nelsegno spezzato l’influenza dell’Espres-sionismo tedesco. A partire dal 1942si trasferì a Mondonico, elaborandonei paesaggi e nelle nature morte unostile sempre più personale e autenti-co, in cui una tavolozza più densa escura sostituiva il colore espressioni-sta e le forme andavano progressiva-mente sfaldandosi e corrodendosi.Nel 1943 tenne la prima personalecon Cassinari e Treccani alla galleriadella Spiga a Milano, presentato daRaffaele De Grada, e stese con Trec-cani il Primo manifesto di pittori e scul-tori. Nel 1946 firmò il Manifesto delrealismo (Oltre Guernica), aderì allaNuova Secessione artistica italiana, chel’anno seguente si trasformò nel Fron-te nuovo delle arti, e tenne una perso-nale alla galleria Il Camino di Milano.In quello stesso anno prese avvio laserie dei Dossi, in cui si affermava unamodalità di vedere e strutturare ilpaesaggio che rimase pressoché inva-riata anche negli anni successivi: unpunto di vista progressivamente piùvicino alla realtà naturale dava vita abarriere rocciose sempre più erte fi-no a ridurre il cielo, a confinarlo a unastretta striscia in alto. Nel 1947, graziea una borsa di studio procuratagli daLionello Venturi, andò con Renato Bi-rolli a Parigi, dove visitò lo studio diPicasso e conobbe Braque, Wols e De

Staël. Rientrato a Milano dopo duemesi, espose col Fronte nuovo delle artialla galleria della Spiga, nel 1948 par-tecipò alla Biennale di Venezia e alla IMostra nazionale di arte contempora-nea a Bologna. Nel 1949 tenne unapersonale alla galleria del Milione aMilano e nel 1951 a New York pressola galleria di Catherine Viviano, dovefu presente anche nel 1953 con Afro eBirolli e nel 1959 presentato da Mi-chel Tapié. Aderì al Gruppo degli Ottosostenuto da Lionello Venturi, che lopresentò alla Biennale di Venezia del1952, ma presto se ne distaccò, insof-ferente a ogni tipo di raggruppamen-to. Fino a quell’anno risentì dell’in-fluenza picassiana, che raggiunse il suoesito più alto con Siesta (1952); partedella critica e lo stesso pittore consi-derarono questo periodo una battutad’arresto, un tributo quasi obbligato-rio da pagare all’esterofilia allora ine-vitabile nella cultura artistica italiana.Nel 1953 iniziò il periodo propria-mente informale della sua produzione;il pittore tornò al suo tema preferito,la natura, immergendosi completa-mente nella sua consistenza materialee organica ed eliminando, come giàpreannunciato nei Dossi, la distinzionefra primo piano e sfondo; accanto aipaesaggi affrontò costantemente il te-ma del nudo (espose cinque Nudi allaBiennale del 1954). L’attività di questoperiodo fu indagata e sostenuta criti-camente da due allievi di RobertoLonghi, Giovanni Testori, che lo pre-sentò alla Biennale del 1956, e France-sco Arcangeli, che coniò per l’artista ladefinizione di “ultimo naturalista”.11

Ottenne il Premio per la pittura (ex-aequo con Capogrossi) nella Biennaledi Venezia del 1962, espose alla galleriaOdyssia a New York nel 1964 (presen-tato da Francesco Arcangeli), nel 1966,nel 1968 e nel 1970 con Manzù e Mo-randi, ma la sua partecipazione alle più

11 F. Arcangeli, Gli ultimi naturalisti, in «Paragone», n. 59, 1954.

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importanti esposizioni in Italia e all’e-stero fu costante per tutta la vita. Lasua produzione proseguì organizzan-dosi attorno ai due temi fondamentalidel paesaggio e del nudo: si ricordanole serie dei Nudi e Paesaggi con figure(1970-1975), i Teschi (1974), le Rocce(1975-1986), le Bagnanti (dal 1986 al1991). Importanti antologiche furonoorganizzate a Milano e a Locarno nel1987, a Forte dei Marmi nel 1990, aFerrara nel 1994.L’olio esposto in mostra, Nudo o, signi-ficativamente, Nudo nella roccia (1964,cat. n. 25), affronta la figura umana nel-lo stesso modo della materia inorgani-ca, quasi fosse una creatura impastatanella creta; la pasta pittorica, quasi mo-nocroma, è una materia densa, grumo-sa, solcata dalla spatola, sembra creare«abbozzi di carne che sta per prende-re vita o invece la cede al magma pri-migenio; nudi affocati nello sforzo del-la materia, corpi appena accennati».12

Tancredi Parmeggiani detto Tan-crediFeltre (Belluno) 1927 - Roma 1964)

Dopo aver frequentato per alcuni anniil Liceo classico a Feltre, si dedicò al di-segno sotto la guida del pittore Roma-no Conversani; trasferitosi a Venezia, vifrequentò saltuariamente il Liceo arti-stico e successivamente seguì il corsodi nudo tenuto da Armando Pizzinatoall’Accademia di belle arti. In quegli an-ni dipinse paesaggi, nature morte, ri-tratti e soprattutto autoritratti, affasci-nato da un lato dalla carica espressio-nista di Van Gogh, dall’altro dall’elegan-za lineare di Modigliani, da Gino Rossie dal Picasso precubista. Conobbe imaggiori artisti dell’ambiente venezia-no, Cadorin, De Pisis, Guidi e Vedova,con cui strinse amicizia. Nel 1947 andòa Parigi, dove fu colpito in particolare

dalla pittura cubista e dal cromatismodi Rouault e Matisse, che incisero for-temente sulla sua produzione, avviatada quel momento verso opere diastrazione geometrica. Nel maggio del1949 tenne la sua prima personalepresso la galleria Sandri di Venezia pre-sentato da Virgilio Guidi. L’anno suc-cessivo si trasferì a Roma dove si avvi-cinò al gruppo dell’Age d’or, frequentòlo studio di Giulio Turcato e partecipònel 1951 alla mostra Arte astratta e con-creta alla Galleria d’arte moderna diRoma; a questo punto aveva raggiuntoormai un linguaggio del tutto persona-le, costruito in parte sulla rimeditazio-ne di Mondrian, in parte sull’influenzadell’automatismo del dripping pol-lockiano, che aveva come elemento co-stitutivo il “puntino”, segno molecola-re, particella pulviscolare che divennela sua cifra stilistica. Dalla moltiplicazio-ne di queste vibranti particelle di colo-re che creavano nebulose perse nellospazio infinito nacque il famoso ciclodelle Primavere. Tornato a Venezia, co-nobbe Peggy Guggenheim che gli misea disposizione uno studio nella sua re-sidenza veneziana, Palazzo Venier deiLeoni, e lo mise in contatto con i gran-di collezionisti internazionali e con Mi-chel Tapié. Attraverso Carlo Cardazzodella galleria del Cavallino conobbel’ambiente dello Spazialismo milanese esottoscrisse il Manifesto del movimentospaziale per la televisione nel maggio del1952. Espose alla galleria del Cavallinodi Venezia nel 1952, 1953, 1956 e 1959e alla galleria del Naviglio a Milano nel1953; nel catalogo di quest’ultima per-sonale esplicitò la teoria del “punto”:«un termine relativo, illusivo di spazio[…] in quanto è il più piccolo spaziomentalmente considerato». Semprenel 1953 partecipò alla Mostra pittorid’oggi Francia-Italia a Torino. Nel 1954Peggy Guggenheim organizzò una suapersonale a Palazzo Venier dei Leoni e

12 R. Pasini, L’Informale Stati Uniti Europa Italia, Bologna 1996, p. 338.

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nello stesso anno Tancredi partecipòcon Jackson Pollock, Wols, GeorgesMathieu, Jean-Paul Riopelle, fra gli altri,alla mostra Tendences actuelles alla Kun-sthalle di Berna. La sua opera in questianni va arricchendosi di un cromati-smo sempre più acceso. Nel 1955, in-terrottosi il sodalizio con Peggy Gug-genheim, soggiornò a Parigi, dove par-tecipò a due mostre Art autre. Sposato-si nel 1958 con la pittrice norvegeseDove Dietrichson, nello stesso annoespose a Londra e negli Stati Uniti.L’anno successivo decise di lasciare Ve-nezia per Milano, soggiornò alcuni me-si a Parigi, dove nacque la prima figliaed entrò in contatto con la rivista sur-realista «Phases», con il gruppo Cobra,con Giacometti, con l’opera di Massone di Dubuffet; fece inoltre un viaggio inNorvegia, dove ebbe modo di vederedirettamente l’opera di Munch, che loimpressionò notevolmente e lo spinsea tornare alla figurazione con l’inseri-mento di larvali personaggi nelle suecomposizioni. Tornato a Milano nel1960, approfondì la presa di coscienzadella crisi della società contempora-nea, da un lato opponendosi alla mer-cificazione dell’arte e agli accademismiufficiali, dall’altro denunciando la mi-naccia fisica e morale della bomba ato-mica (serie Hiroshima,1962). Nel 1962una lunga crisi nervosa lo costrinse alricovero in una clinica di Monza; a lun-go la malattia gli rese impossibile laproduzione pittorica, anche se conti-nuarono le sue riflessioni teoriche sul-l’arte. Nel 1963, dopo la nascita del se-condo figlio, la moglie decise di torna-re in Norvegia e il pittore lasciò Mila-no per Venezia, dove l’anno successivo,dopo essere stato costretto a un nuo-vo ricovero in ospedale psichiatrico, fuinvitato per la prima volta alla Biennaledi Venezia. Dopo un breve periodo si

trasferì dal fratello Romano a Roma,dove morì suicida gettandosi nel Teve-re il 27 settembre del 1964. Due sono le opere in mostra di Tan-credi, appartenenti a diverse collezionibresciane: la prima, databile al 1952-1953 (cat. n. 2), è ascrivibile alla seriePrimavere ed è costituita da uno scia-me di “puntini” che si addensa vorti-coso danzando nello spazio e nellostesso tempo creandolo, con un effet-to di nebulosa in espansione che avan-za verso di noi circondato da una cin-tura di vuoto: «Penso che nei mieiquadri si veda che lo spazio è cur-vo»13; nella seconda (cat. n. 4), del1954, l’automatismo del gesto si è fat-to più concitato, creando una compo-sizione più caotica e drammatica, an-che per la tonalità cupa del fondo; inquesto caso la suggestione dell’actionpainting americana e in particolare deldripping di Pollock si fa più evidente,anche se interpretata con un sensodello spazio tutto personale.

Enrico PaulucciGenova 1901 - Torino 1999

Trasferitosi a Torino nel 1912, compìstudi classici e si laureò prima in Scien-ze economiche e poi in Legge, colti-vando contemporaneamente la pas-sione per la pittura. Esordì alla Qua-driennale di Torino del 1923 e si avvi-cinò al gruppo torinese del SecondoFuturismo, esponendo alla Mostra futu-rista nel 1926 con Fillia, Dottori, Pram-polini. Successivamente si legò a Caso-rati, Chessa, Carlo Levi, che rappre-sentavano la pittura torinese più viva eaggiornata. Nel 1928 soggiornò conFrancesco Menzio a Parigi, rimanendoinfluenzato soprattutto dalle opere diPicasso, Braque, Matisse e Dufy. Al ri-

13 In M. Dalai Emiliani, Tancredi. I dipinti e gli scritti, Torino 1997, vol. I, p. 53, riportato in Informale. JeanDubuffet e l’arte europea 1945-1970, catalogo della mostra a cura di L. M. Barbero, Modena 18 di-cembre 2005-9 aprile 2006, Fondazione Solomon R. Guggenheim, New York 2005, p. 180.

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torno espose col gruppo dei Sei pittori(Gigi Chessa, Francesco Menzio, CarloLevi, Nicola Galante, Jessie Boswell)nel 1929, 1930, 1931 sia in Italia che al-l’estero, presentando nature morte epaesaggi. Nel corso degli anni Trenta fuinoltre presente alle Biennali del 1930e del 1938, alla Quadriennale romanadel 1935 e in numerose gallerie priva-te; viaggiò a Malta, a Parigi e a Londra,dove si recò più volte in compagnia diAlberto Moravia e Nello Rosselli. Inol-tre fu infaticabile promotore culturale:fondò a Torino lo studio Casorati-Pau-lucci, dove fu organizzata nel 1934 laprima Mostra degli astrattisti italiani,sempre con Casorati la galleria dellaZecca e nel 1938 il Centro delle arti,per promuovere artisti ancora scono-sciuti, con la collaborazione di G. C.Argan. Si dedicò inoltre alla scenogra-fia sia cinematografica (La duchessa diParma di Blasetti, 1937) che teatrale(La favola del figlio cambiato di Piran-dello-Malipiero, regia di Strehler,1952), creò disegni per stoffe e mosai-ci e progettò mobili. Divenuto titolarenel 1939 della cattedra di pittura al-l’Accademia Albertina, cercò di stimo-lare l’ambiente artistico torinese adaprirsi alla pittura europea. Finita laguerra, durante la quale si era trasferi-to a Rapallo realizzando paesaggi ispi-rati a Cézanne, la sua pittura si avvi-cinò al neocubismo degli astratto-con-creti, esponendo alla galleria della Spi-ga a Milano nel 1947, alla galleria dellaBussola a Torino nel 1951, alla Bienna-le di Venezia del 1954. Nel 1952 espo-se insieme al Gruppo degli Otto, svilup-pando una ricerca di tipo astratto-informale, che non perse mai il riferi-mento al dato naturale; continuò infat-ti a realizzare i suoi soggetti preferiti,paesaggi di mare e delle Langhe, de-strutturando in parte la griglia neocu-bista per liberare il colore, annullandola profondità attraverso il ribaltamen-to topologico degli elementi naturalisul piano. Fu direttore dell’Accademia

Albertina dal 1954 al 1972 (nel 1973ne divenne presidente), rimanendouno dei punti di riferimento della sce-na artistica torinese. Nel corso deglianni Sessanta tornò alla pittura figura-tiva e venne nominato accademico diSan Luca e membro dell’AccademiaClementina di Bologna. Valle scura, opera databile ai primi anniSessanta (cat. n. 18), fu donata dall’auto-re ai Civici Musei, forse in occasione diuna mostra tenuta a Brescia alla galleriaLa Loggetta nel 1961. Appartiene al mo-mento in cui il suo linguaggio pittoricosi fa molto vicino a quegli artisti, fra cuiBirolli, che superarono la contrapposi-zione fra realismo e astrazione, con unapittura profondamente radicata nel da-to naturale, ma trasfigurata nella libertàdel colore e del tratto. Per Paulucci, tut-tavia, probabilmente anche per motivigenerazionali, si trattò solo di un breveperiodo, perché presto tornò a una pit-tura figurativa; la sua vicenda, però, di-mostra come la temperie informale ab-bia influenzato percorsi artistici per altriversi molto distanti e sia stata un’istan-za con cui tutti hanno fatto i conti in Ita-lia verso la metà degli anni Cinquanta.

Ilia PeikovSofia 1911 - Roma 1988

Arrivato in Italia nel 1943, iniziò l’atti-vità di artista aiutando il fratello mag-giore Assen, scultore, per dedicarsi poialla pittura. Lo studio di via Marguttache condivideva con il fratello era fre-quentato da Guttuso e da De Chirico,ma anche da personaggi famosi delmondo della cultura, come Ungaretti,Alvaro, Savinio, Bontempelli, e dellospettacolo, come Fellini e Ava Gard-ner, molti dei quali si fecero fare il ri-tratto da Assen Peikov.Ilia Peikov, lasciato nel 1956 lo studiodel fratello, perseguì una pittura visio-naria, in cui colori intensi disposti conlibertà sulla tela creavano spazi siderei,

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mondi iperurani, in composizioni chehanno spesso titoli presi dall’astrono-mia (Fuori orbita, Righel, Via Lattea); inesse la pasta cromatica si addensa, siraggruma, evocando nella sua consi-stenza materica esplosioni cosmiche.Presa la cittadinanza italiana, partecipòa mostre nazionali e ad esposizioni inGermania, Olanda, Belgio e Lussem-burgo. Pur non avendo mai Peikov ade-rito ad alcun movimento artistico or-ganizzato e avendo percorso un cam-mino individuale fondamentalmentecoerente con l’ispirazione originaria, ilsuo linguaggio può essere assimilatoalla temperie informale per la sensibi-lità materica, l’uso di macchie e sgoc-ciolature di colore, la totale libertàcompositiva con cui genera l’immagi-ne. La sua attività si sviluppò soprat-tutto negli anni Sessanta e Settanta, ot-tenendo attenzione e riconoscimenti;sue opere sono conservate in nume-rosi musei e collezioni nel mondo. Nel 1964 tenne la personale Mondiiperborei a Brescia presso l’Associazio-ne Artisti Bresciani con la presentazio-ne del giornalista e scrittore VittorioG. Rossi.Universo di fuoco (cat. n. 24), del 1963,fu esposto nel 1964 all’AAB, come te-stimonia il timbro sul retro della tela.Acquistato dal geometra Mario Dora,fu da lui donato ai Civici Musei, che inquell’anno avevano aperto presso ilcomplesso di Santa Giulia la Galleriad’arte moderna.Come il titolo mette in evidenza, an-che quest’opera appartiene alla tema-tica principale di Peikov, quella delle vi-sioni cosmiche, dell’origine della vitadella materia, resa in tele sostanziatedi colore.

Giuseppe SantomasoVenezia 1907 - 1990

Dopo aver frequentato l’Accademia dibelle arti a Venezia, espose alle colletti-

ve di Ca’ Pesaro lavorando a contattocon Gino Rossi, Pio Semeghini e Artu-ro Martini. Nel 1935 tenne la sua primapersonale a Milano e nel 1939 esposealla seconda mostra di Corrente. In que-gli anni soggiornò in Olanda e a Parigi,entrando in contatto con le tendenzepiù aggiornate dell’arte europea, che loavviarono verso una pittura neocubi-sta; dal 1940 partecipò alle più impor-tanti rassegne nazionali ed internazio-nali. Nel 1946 espose con Vedova aBrescia in casa di Guglielmo Achille Ca-vellini, che fu un suo importante colle-zionista e sostenitore anche negli annisuccessivi; nel 1947 fu tra i promotoridel Fronte nuovo delle arti e nel 1948partecipò alla Biennale di Venezia, doveespose anche nel 1952 con il Gruppodegli Otto e vinse nel 1954 il Premio in-ternazionale di pittura, probabilmenteper la capacità di mediare le istanzecontrastanti della pittura internaziona-le. Dal 1954 iniziò ad insegnare all’Ac-cademia di belle arti di Venezia, profes-sione che proseguì fino al 1974. A partire dagli anni Cinquanta si de-dicò anche all’attività grafica, raggiun-gendo successo e riconoscimenti purein questo campo, parallelamente allapittura. Partecipò a diverse esposizioni,fra cui Documenta a Kassel nel 1955,1959 e 1964 e la personale alla galleriaPogliani di Roma nel 1959, che testi-moniava il cambiamento avvenuto nel-la sua produzione a partire dalla metàdegli anni Cinquanta in direzione diuna pittura meno controllata, emozio-nale, influenzata dal tachisme informale;il colore si liberava dalle linee nere dicontorno e diventava il protagonista. Ilsuo accostarsi all’Informale non fu maicomunque adesione totale ed esaspe-rata, sia per la sua natura fondamental-mente moderata, sia per la reticenzaad abbandonarsi a una gestualità trop-po drammatica e a un automatismo ec-cessivamente radicale. Dagli anni Set-tanta in poi le sue composizioni si fe-cero più controllate e organizzate in

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raffinate forme geometriche, campitecon colori più piatti e uniformi. Al pari di Afro, che per molti versi gliè affine, la sensibilità cromatica di ma-trice veneta è centrale nella pittura diSantomaso, come è evidente anchenell’opera esposta in mostra (cat. n.19), del 1961, periodo in cui l’influenzadel linguaggio informale è più presen-te. Segni netti dal cromatismo intensoe compatto, tracciati con gestualità vi-gorosa, si alternano a macchie di colo-re più trasparente e liquido, che sem-brano avanzare e retrocedere, crean-do un effetto di grande luminosità e dispazialità dinamica: una composizioneanimata da un moto ascensionale ori-ginato dalla direzione dei segni e dal-l’accento rosso in alto.

Emilio ScanavinoGenova 1922 - Milano 1986

Studiò al Liceo artistico di Genova, do-ve conobbe i maestri liguri della scuoladi paesaggio, che influenzarono la primafase della sua pittura iniziata alla finedegli anni Trenta; una mostra personalepresso il Salone Romano di Genovapresentò i paesaggi realizzati in questoperiodo. Nel dopoguerra si avvicinòprima allo stile espressionista e, dopoun viaggio a Parigi nel 1947, alla pitturapostcubista, anche se al linguaggio diderivazione picassiana si mescolò giàdagli ultimi anni del decennio un raffi-nato linearismo, che fu il comune de-nominatore della sua produzione suc-cessiva. Espose nel 1950 alla Biennale diVenezia e nel 1951 tenne una mostrapersonale presso la Apollinaire Gallerya Londra, dove conobbe l’opera di Ba-con e di Sutherland, che esercitaronosu di lui una grande influenza. Nellostesso anno iniziò a frequentare il labo-ratorio di ceramica di Tullio Mazzottiad Albisola, dove incontrò Fontana e inseguito diversi altri artisti, fra cui Dan-gelo, Dova, Crippa, Jorn, Appel; qui co-

nobbe inoltre Carlo Cardazzo, pro-prietario delle gallerie Il Naviglio a Mi-lano e Il Cavallino a Venezia, che diven-ne il suo mercante di riferimento e apartire dal 1953 lo mise il contatto conil gruppo dello Spazialismo milanese, dicui Scanavino condivise alcune ricercheanche se non vi aderì mai formalmen-te. Si avvicinò in quegli anni alla poeticadell’Informale, ricercando soprattuttole potenzialità espressive del segno, tal-volta associato a una forte sensibilitàmaterica (Il muro, 1954), talvolta teso acostruire minacciose forme di vita (For-ma in evoluzione, 1957), talaltra impe-gnato a tracciare misteriosi e incom-prensibili grafemi (Alfabeto senza fine,1957), in consonanza da un lato con leatroci distorsioni di Bacon, dall’altrocon l’opera di Wols e di Mathieu. Par-tecipò alle più importanti manifestazio-ni artistiche (fra cui si ricordano leBiennali di Venezia del 1954, del 1958,del 1960, dove ebbe una sala personalecome anche nel 1966, e l’VIII e IX Qua-driennale romana del 1961-1962 e1965-1966 ) e vinse numerosi premi; lasua pittura nel corso degli anni siorientò verso una maggiore definizionespaziale, organizzando il segno in strut-ture architettoniche. Nel 1973 venneallestita alla Kunsthalle di Darmstadtuna prima antologica, che passò poicon poche modifiche a Venezia (PalazzoGrassi) e nel 1974 a Milano (PalazzoReale). Negli anni Settanta e Ottantaelaborò varianti delle sue composizioniprecedenti, producendo la serie Trama-ture e riprendendo il tema degli Alfabe-ti senza fine, con i quali si era avviata lasua personalissima scrittura segnica ne-gli anni Cinquanta.La Composizione del 1970 in mostra(cat. n. 28) appartiene alla serie Trama-ture, in cui il segno graffia la pitturacreando l’effetto di una materia tor-mentata, effetto accentuato dalla mac-chia bianca che lacera la superficie, adestra, come una ferita slabbrata; l’ar-tista riesce a creare con grande eco-

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nomia di mezzi un forte senso di spa-zialità tridimensionale, la ricerca di unaltrove, di un aldilà o di un vuoto nul-la che si intravede oltre il “varco”, ol-tre la maglia che non tiene nella fittarete dei segni.

Gérard SchneiderSainte-Croix, Vaud 1896 - Parigi 1986)

Svizzero di nascita, ma francese di cul-tura e di adozione, fu tra i più anzianidella generazione informale. Nel 1916si iscrisse alla Scuola di arti decorativea Parigi, dove si stabilì definitivamentenel 1924. Nel 1926 espose per la pri-ma volta al Salon d’automne. Negli an-ni successivi si avvicinò alla pittura tar-docubista e surrealista, staccandosiprogressivamente dalla figuratività earrivando precocemente rispetto alclima culturale a destabilizzare la com-posizione formale già dalla secondametà degli anni Trenta e nei primi anniQuaranta. Nel 1946 partecipò alla pri-ma mostra di arte astratta e l’annosuccessivo tenne la sua prima perso-nale presso la galleria Lydia Conti aParigi, in cui esponevano in quellostesso periodo anche Hans Hartung ePierre Soulages, alla cui pittura gestua-le viene spesso accomunato; nel 1948fu presente alla Biennale di Venezia,dove espose anche nel 1954 nel padi-glione francese con Hartung e NicoleDe Staël. La sua pittura a partire dal1953 fu caratterizzata da una gestua-lità energica e drammatica; la veemen-za del segno, accompagnata da un’e-splosione di colori carichi, esuberanti,spesso dissonanti, generava composi-zioni vorticose e caotiche in cui l’arti-sta riversava con forza emozioni epassioni. Come egli stesso affermò, ap-prezzava soprattutto la teoria surrea-lista della liberazione del subconscio,alla ricerca del superamento di tutti icondizionamenti esteriori, per rag-giungere un processo di creazione

personale le cui forme non apparte-nessero che alla propria interiorità.Negli anni Cinquanta e Sessanta espo-se sia in Europa che negli Stati Uniti:oltre alla Biennale di Venezia di cui si ègià parlato, va ricordata in particolarela partecipazione alla prima edizionedi Documenta a Kassel nel 1955 e laprima retrospettiva che gli venne de-dicata a Düsseldorf e poi a Bruxelles.Nel 1960 conobbe il gallerista BrunoLorenzelli con il quale sottoscrisse uncontratto di esclusiva fino al 1975. Nel1970 fu organizzata un’altra importan-te retrospettiva alla Galleria civicad’arte moderna di Torino.L’opera in mostra (cat. n. 9), del 1958,è caratterizzata da una composizionetesa e drammatica, una massa scurache sembra debordare dalla tela: grevipennellate nere, larghe, tracciate conviolenta gestualità, illuminate qua e là diguizzi chiari, sembrano incombere sulfondo rosa, quasi invadendolo, e intrap-polare delle forme dai colori intensi. Latela si trasforma in un campo dove agi-scono forze profonde, passioni che sitraducono in gesti perentori, in azione:un modo di concepire la produzione ar-tistica che ha portato la critica non so-lo a riconoscere a Schneider un ruoloimportante nell’ambito dell’Informalesegnico-gestuale accanto ad Hartung ea Soulages, ma ad accostarlo all’espres-sionismo astratto americano.

Toti ScialojaRoma 1914 - 1998

Dalla metà degli anni Trenta frequentòl’ambiente della Scuola Romana gravi-tante intorno alla galleria La Cometa eorientato verso una pittura espressio-nista; dal 1937, abbandonati gli studi digiurisprudenza, si dedicò esclusivamen-te alla pittura, realizzando i primi dipin-ti dall’intenso cromatismo di matriceespressionista. Espose nel 1939 alla IIIQuadriennale di Roma e tenne perso-

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nali a Genova nel 1940 e a Torino nel1941. Nel 1943 espose alla IV Qua-driennale e a una collettiva con Leon-cillo,Vedova e Turcato presso la galleriadello Zodiaco; nello stesso anno eseguìla scenografia dell’Opera dello straccionedi John Gray, mettendo in evidenza queltalento eclettico che lo portò a inte-ressarsi nella sua vita di aspetti cultura-li molto vari: oltre che pittore fu perl’appunto scenografo, ma anche poeta,scrittore e docente all’Accademia dibelle arti di Roma. Terminata la guerra,durante la quale aveva preso parte atti-va alla Resistenza, fondò il gruppo deiQuattro fuori strada con Giovanni Stra-done, Arnoldo Ciarrocchi e Piero Sa-dun. Espose nel 1949 al Museum ofModern Art a New York nella mostraXX Century Italian Art e fu presente alleBiennali del 1950, 1952 e 1954. I viaggicompiuti nella seconda metà degli anniQuaranta a Parigi lo portarono in con-tatto con le più aggiornate correnti ar-tistiche europee, che influirono sullesue ricerche degli anni Cinquanta, ini-zialmente neocubiste e poi indirizzateverso l’arte astratta. La frequentazionedel gruppo Origine di Colla, Burri, Ca-pogrossi, Ballocco e l’amicizia con Afroda un lato e l’interesse per la pitturadell’espressionismo astratto americanodall’altro spinsero l’artista ad approfon-dire la sua ricerca sul colore, sulla ma-teria e sul gesto; fondamentale fu lamostra personale nel 1956 presso lagalleria di Catherine Viviano in occasio-ne della quale si fermò negli Stati Unitialcuni mesi, conoscendo direttamente ipittori della Scuola di New York, rima-nendo influenzato in particolare daRothko. Al 1957 risalgono le prime Im-pronte, tele impresse con una matricecarica di colore (in genere un foglio dicarta), che depositava su di esse, comeun timbro, tracce cromatiche secondosequenze ritmiche generatrici di una

scansione spaziale. Le prime Improntefurono esposte nel 1958 alla galleria LaSalita di Roma. Tra il 1960 e il 1963 Scia-loja soggiornò a New York e a Parigi,continuando a lavorare sulle Impronte,cui aggiunse spesso inserti materici.Tornato in patria nel 1964 ebbe una sa-la personale alla Biennale di Venezia enel 1966 gli fu dedicata un’ampia anto-logica presso la galleria Marlborough diRoma.Dalla metà degli anni Sessanta Scialojaabbandonò gradualmente la gestualitàinformale, geometrizzando progressi-vamente le sue sequenze ritmiche. Nelcorso dei decenni successivi si susse-guirono le mostre in Italia e all’estero,mentre il pittore accompagnava all’at-tività pittorica quella di docente al-l’Accademia di belle arti, di cui fu perlungo tempo anche direttore.Per il novembre n. 2 del 1958 (cat. n. 10)appartiene alla prima serie di Impronte,che rappresenta la vera adesione diScialoja al linguaggio informale, dopol’esperienza americana. Il pittore scris-se proprio nel 1958 a proposito diqueste opere: «Credo in un esprimereche sia un imprimere, cioè toccare il li-mite, la pelle delle cose che amo, ade-rire per necessità, ma non coincide-re»14. La materia-colore dà vita a unritmo di forme in sequenza, cometracce e residui dell’esistenza umana,creando una scansione che è insiemespaziale e temporale.

Giulio TurcatoMantova 1912 - Roma 1995

Formatosi artisticamente fra il 1925 e il1933 a Venezia, dove frequentò la Scuo-la dell’arte, il Liceo artistico e la Scuolalibera del nudo, Turcato si stabilì a Mila-no a partire dal 1937; qui lavorò nellostudio di un architetto ed espose per la

14 Toti Scialoja, Giornale di pittura (1954-1964), citato in R. Pasini, L’Informale Stati Uniti Europa Italia,Bologna 1996, p. 339.

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prima volta nel 1940 in una mostra col-lettiva alla Galleria Grande. Nel 1942insegnò disegno a Venezia e l’anno suc-cessivo espose con Scialoja e Vedova al-la galleria dello Zodiaco di Roma, dovesi trasferì dopo l’8 settembre del 1943.Le matrici pittoriche cui si ispirava laproduzione di quegli anni erano il Cu-bismo e l’Espressionismo. Nell’imme-diato dopoguerra partecipò all’intensodibattito artistico: nel 1945 fu tra i fon-datori a Roma dell’Art club con EnricoPrampolini, Piero Dorazio, Pietro Con-sagra, Antonio Corpora e altri, nel 1946firmò il Manifesto della nuova Secessioneartistica e nel 1947 fondò il gruppo For-ma 1 con Carla Accardi, Ugo Attardi,Pietro Consagra, Piero Dorazio, Anto-nio Sanfilippo e Mino Guerrini, forma-zione che propugnava una pitturaastratta formalistica, in opposizione siaal Neorealismo che al Neoconcreti-smo: «Noi ci proclamiamo formalisti emarxisti, convinti che i termini marxi-smo e formalismo non siano inconcilia-bili». In quello stesso anno partecipò alFronte nuovo delle arti, con cui esposeanche alla Biennale del 1948. Nel 1950,dopo aver trascorso un breve periodoa Parigi, durante il quale era entrato incontatto con la pittura francese post-cubista, espose alla Biennale di Venezia,alla quale partecipò anche nel 1952 conil Gruppo degli Otto presentato da Lio-nello Venturi e nelle tre edizioni suc-cessive; in quegli anni la sua pittura cer-cava di conciliare la libertà delle ricer-che formali con l’impegno politico e so-ciale (Rovine di Varsavia e Bandiere, 1948-1950; Comizio, 1949; Miniera, 1950; PrimoMaggio a Mosca, 1950-1951). Nel 1958alcune sue opere furono esposte al Mu-seum of Modern Art di New York nellamostra Painting in Post-War Italy; a parti-re da quegli anni si moltiplicarono leesposizioni nazionali ed internazionali,

fra cui ricordiamo la partecipazione al-la seconda edizione di Documenta aKassel nel 1959 e il premio alla Qua-driennale romana del 1966, anno in cuiebbe anche una sala personale allaBiennale di Venezia. Importanti per l’ar-ricchimento della sua opera furono an-che i numerosi viaggi in Europa, inEstremo Oriente, in Marocco, in Egittoe in Kenia. A partire dalla metà degli an-ni Cinquanta la sua pittura elaborò unlinguaggio basato sul segno e sulla ma-teria, sperimentando l’utilizzo di tecni-che e materiali diversi, come il collage ela pittura su gommapiuma, che produs-sero superfici scabre, rugose (Gomma-piume, esposte nella sala personale allaBiennale del 1966; Paesaggi lunari); allafine degli anni Sessanta e ai primi Set-tanta risalgono le serie Itinerari, Arcipela-ghi, Orme, in cui creò suggestivi “paesag-gi” surreali15 percorsi da colature egocce di colore memori del drippingpollockiano, ma vivificate da un’inten-sità cromatica che sembra emanare lu-ce: in realtà, al di là delle sperimentazio-ni sulla materia che lo portarono a pre-parare le superfici con materiali diversi(gommapiuma, sabbia, materiali catari-frangenti), il filo conduttore della pittu-ra di Turcato è stata la ricerca continuasulla natura e la qualità del colore. Le due opere in mostra costituisconoquasi un pendant, dato che hanno lestesse dimensioni e risalgono agli stes-si anni (1970-1971). L’una (cat. n. 29)appartiene alla serie Itinerari e si inti-tola significativamente Mosche cinesi,quasi la registrazione del volo disordi-nato e impazzito di un insetto in trap-pola: ma il respiro della tela sta nell’in-tensità cangiante del blu, il famoso blu“Turcato”; la seconda (cat. n. 30), dellaserie Orme, si intitola Floreale e pulluladi forme e di tracciati che si aggrovi-gliano su un intenso fondo uniforme.

15 Gillo Dorfles nel suo Ultime tendenze dell’arte d’oggi (Milano 19815, p. 43) considera Turcato «amezz’aria tra un’arte gestuale e l’evidente nostalgia di atmosfere surreali»; non si deve dimentica-re, inoltre, che la tecnica del dripping era stata anticipata dai surrealisti, in particolare da Ernst.

Le opere in mostra

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1. Georges Mathieu (Boulogne-sur-Mer 1921)Senza titolo, 1952

olio su tela, cm 121x161Brescia, collezione privata

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2. Tancredi Parmeggiani detto Tancredi (Feltre [Belluno] 1927-Roma 1964)Senza titolo (Primavera), (1952-1953)

tempera e tecnica mista su cartoncino, cm 48x68Brescia, collezione privata

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3. Jean Dubuffet (Le Havre 1901-Parigi 1985)Elefante bianco, 1953

olio su tela, cm 114,5x146Brescia, collezione privata

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4. Tancredi Parmeggiani detto Tancredi (Feltre [Belluno] 1927-Roma 1964)Senza titolo, (1954)

olio su tela, cm 91x125Brescia, collezione privata

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5. Enzo Brunori (Perugia 1924-Roma 1993)Lampare a mare, 1957

olio su tela, cm 155x255Brescia, Civici Musei d’arte e storia, inv. 1271

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6. Piero Dorazio (Roma 1927-Todi [Perugia] 2005)Senza titolo, 1957

olio su tela, cm 99x78Brescia, collezione privata

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7. Lucio Fontana (Rosario di Santa Fé 1899-Comabbio [Varese] 1968)Concetto spaziale, 1957

anilina e collage su tela, cm 33x48Brescia, collezione privata

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8. Renato Birolli (Verona 1905-Milano 1959)Manarola, 1958

olio su tela, cm 53x28 Brescia, collezione privata

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9. Gérard Schneider (Sainte-Croix, Vaud 1986-Parigi 1986)Senza titolo, 1958

olio su tela, cm 110x145Brescia, collezione privata

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10. Toti Scialoja (Roma 1914-1998)Per il novembre n. 2, 1958

vinilico su tela, cm 144,3x169Brescia, collezione privata

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11. Alfredo Chighine (Milano 1914-1973)Composizione blu e bianco, 1959

olio su tela, cm 162x113,5Brescia, Civici Musei d’arte e storia, inv. 1262

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12. Luis Feito (Madrid 1929)Senza titolo, 1959

olio su tela, cm 50x65Erbusco, collezione Bonetti Zucchetti

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13. Giorgio Ascani detto Nuvolo (Città di Castello [Perugia] 1926)Senza titolo, 1959

dodici tempere su carta, cm 16,5x9 ciascunaBrescia, Collezione Arte e Spiritualità, inv. 2368-1, 2, 5, 6, 9, 10, 13, 14, 15, 16, 17, 18

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14. Afro Basaldella (Udine 1912-Zurigo 1976)Senza titolo, 1960

olio su carta intelata, cm 35x50Brescia, collezione privata

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15. Luis Eielson (Lima 1924)Senza titolo, 1960

olio e cemento su tela, cm 85x65Erbusco, collezione Bonetti Zucchetti

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16. Agostino Ferrari (Milano 1938)Paesaggio, 1961

tempera su carta riportata su tela, cm 93x63Brescia, collezione privata

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17. Gino Meloni (Varese 1905-Lissone [Milano] 1989)Composizione, 1961

pastello su carta, cm 60x46,5Brescia, Civici Musei d’arte e storia, inv. 1233

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18. Enrico Paulucci (Genova 1909-1999)Valle scura, (1961 circa)

acrilico su tela, cm 90x120Brescia, Civici Musei d’arte e storia, inv. 1235

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19. Giuseppe Santomaso (Venezia 1907-1990)Senza titolo, 1961

tecnica mista su cartoncino, cm 47x66Brescia, collezione privata

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20. Pompilio Mandelli (Villarotta di Luzzara [Reggio Emilia] 1912-Bologna 2006)Inverno grigio, 1962

tempera su legno, cm 70x50Brescia, collezione dottor Gianpaolo Negrini

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21. Bice Lazzari (Venezia 1900-Roma 1981)L’ostacolo, 1963

tempera, colla, sabbia su tela, cm 146x195Brescia, collezione privata

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22. Juan Del Prete (Vasto [Chieti] 1897-Buenos Aires 1987)Composición collage, 1963

collage su tela, cm 81x120Brescia, Civici Musei d’arte e storia, inv. 1264

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23. Simon Hantaï (Biatorbágy [Ungheria] 1922)Sans titre, 1963

olio su tela, cm 60x45Brescia, Collezione Arte e Spiritualità, inv. 780

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24. Ilia Peikov (Sofia 1911-Roma 1988)Universo di fuoco, 1963

olio su tela, cm 59,7x79,5Brescia, Civici Musei d’arte e storia, inv. 1265

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25. Ennio Morlotti (Lecco 1910-Milano 1992)Nudo (Nudo nella roccia), 1964

olio su tela, cm 64x93Brescia, collezione privata

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26. Antonio Corpora (Tunisi 1909-Roma 2004)Composizione, 1966

olio su tela, cm 100x70Brescia, collezione privata

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27. Lucio Fontana (Rosario di Santa Fé 1899- Comabbio [Varese] 1968)Concetto spaziale. Attesa, 1967idropittura su tela, cm 73x60

Lumezzane, collezione commendatore Sergio Saleri

81

28. Emilio Scanavino (Genova 1922- Milano 1986)Composizione, 1970

olio su cartoncino, cm 50x50Lumezzane, collezione commendatore Sergio Saleri

82

29. Giulio Turcato (Mantova 1912-Roma 1995)Floreale (Orme), (1970-1971)

olio su tela, cm 100x80Brescia, collezione dottor Gianpaolo Negrini

83

30. Giulio Turcato (Mantova 1912-Roma 1995)Mosche cinesi (Itinerari), (1970-1971)

olio su tela, cm 100x80Brescia, collezione dottor Gianpaolo Negrini

84

31. Lucio Fontana (Rosario di Santa Fé 1899-Comabbio [Varese] 1968)Concetto spaziale, 1959

ceramica, diametro cm 42,5Brescia, Civici Musei d’arte e storia, inv. ceramiche 322C

85

32. Quinto Ghermandi (Crevalcore [Bologna] 1916-Bologna 1994)Largo gesto per un massimo spazio, 1969

bronzo, cm 31x36Brescia, collezione privata

86

33. Quinto Ghermandi (Crevalcore [Bologna] 1916-Bologna 1994)Momento del volo, 1970bronzo, cm 60x77x51

Brescia, Civici Musei d’arte e storia, inv. sculture 72

87

34. Lucio Fontana (Rosario di Santa Fé 1899- Comabbio [Varese] 1968)Concetto spaziale, 1973bronzo, altezza cm 25

Lumezzane, collezione Luca Saleri

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REGESTOAlessandra Corna Pellegrini

DIPINTI

1. Georges Mathieu (Boulogne-sur-Mer 1921)Senza titolo, 1952olio su tela, cm 121x161Firmato e datato in alto a sinistra:“Mathieu 52”Brescia, collezione privata

2. Tancredi Parmeggiani detto Tan-credi (Feltre [Belluno] 1927-Roma 1964)Senza titolo (Primavera), (1952-1953)tempera e tecnica mista su cartoncino,cm 48x68Firmato in basso a destra: “Tancredi”Brescia, collezione privata

3. Jean Dubuffet (Le Havre 1901-Parigi 1985)Elefante bianco, 1953olio su tela, cm 114,5x146Firmato e datato in alto a sinistra: “J.Dubuffet 53”Brescia, collezione privata

4. Tancredi Parmeggiani detto Tan-credi (Feltre [Belluno] 1927-Roma1964)Senza titolo, (1954)olio su tela, cm 91x125Brescia, collezione privata

5. Enzo Brunori (Perugia 1924-Roma1993)Lampare a mare, 1957olio su tela, cm 155x255Firmato e datato in basso a destra: “Bru-nori 57”Provenienza: acquisto comunale (11 feb-braio 1965)Bibliografia: C. Vivaldi, Brunori, Roma1972, tav. 20 b/n; M. Apa (a cura di), EnzoBrunori: antologica 1944-1988, catalogodella mostra, Perugia 23 aprile-28 mag-gio 1988, Faenza 4 giugno-3 luglio 1988,Perugia 1988, p. 79; R. Stradiotti (a curadi), Dai Neoclassici ai Futuristi ed oltre. Pro-

poste per una civica galleria d’arte moder-na e contemporanea, catalogo della mo-stra, Brescia novembre 1989-gennaio1990, Brescia 1989, p. 131Brescia, Civici Musei d’arte e storia, inv.1271

6. Piero Dorazio (Roma 1927-Todi[Perugia] 2005)Senza titolo, 1957olio su tela, cm 99x78Firmato e datato in basso a destra: “Do-razio 57”Brescia, collezione privata

7. Lucio Fontana (Rosario di Santa Fé1899-Comabbio [Varese] 1968)Concetto spaziale, 1957anilina e collage su tela, cm 33x48Sul retro: firma e data “Lucio FontanaMilan 1957”; bollo cartaceo Galleria ArteCentro Milano; timbro Galleria San Mi-chele Brescia con firma Paolo MaioranaProvenienza: Galleria Farsetti, Prato,991/1; Lucca, Collezione Tacconi, 1701/2Brescia, collezione privata

8. Renato Birolli (Verona 1905-Milano1959)Manarola, 1958olio su tela, cm 53x28 Firmato e datato in basso a destra: “Bi-rolli 1958”Sul retro: “Renato Birolli Manarola”; “AGildo Covelli 26 gennaio 1959”Brescia, collezione privata

9. Gérard Schneider (Sainte-Croix,Vaud 1986-Parigi 1986)Senza titolo, 1958olio su tela, cm 110x145Firmato in basso a destra: “Schneider III58”Brescia, collezione privata

10. Toti Scialoja (Roma 1914-1998)Per il novembre n. 2, 1958vinilico su tela, cm 144,3x169Brescia, collezione privata

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11. Alfredo Chighine (Milano 1914-1973)Composizione blu e bianco, 1959olio su tela, cm 162x113,5Firmato e datato in basso a destra: “Chi-ghine 1959”Sul retro: bollo cartaceo “Galleria delMilione / Milano/ n. 8268”; a matita sullacornice “Gnutti Brescia / offerto dal Sig.Bortolo Gnutti alla Galleria d’Arte Mo-derna/ Brescia 6 novembre 1964”; apenna “12-1959 / Composizione Blu ebianco”Provenienza: dono di Bortolo GnuttiBibliografia: R. Stradiotti (a cura di), DaiNeoclassici ai Futuristi ed oltre. Proposteper una civica galleria d’arte moderna econtemporanea, catalogo della mostra,Brescia novembre 1989-gennaio 1990,Brescia 1989, pp. 131-132Brescia, Civici Musei d’arte e storia, inv.1262

12. Luis Feito (Madrid 1929)Senza titolo, 1959olio su tela, cm 50x65Firmato e datato in basso a destra: “Fei-to 59”Sul retro: bollo cartaceo della GalleriaLorenzelli di Bergamo riportante titolo,data e dimensioni; timbri della GalleriaLorenzelli e della Galleria Michelangelodi BergamoErbusco, collezione Bonetti Zucchetti

13. Giorgio Ascani detto Nuvolo(Città di Castello [Perugia] 1926)Senza titolo, 1959dodici tempere su carta, cm 16,5x9 cia-scunaFirmato e datato in basso a destra: “Nu-volo 59”Bibliografia: C. De Carli (a cura di), Cata-logo generale. La pittura, Roma 2006, pp.320-322, scheda 799Brescia, Collezione Arte e Spiritualità, inv.2368-1, 2, 5, 6, 9, 10, 13, 14, 15, 16, 17, 18

14. Afro Basaldella (Udine 1912-Zuri-go 1976)Senza titolo, 1960olio su carta intelata, cm 35x50Firmato in basso a destra: “Afro 60”

Esposizioni: Galleria Blu, MilanoBrescia, collezione privata

15. Luis Eielson (Lima 1924)Senza titolo, 1960olio e cemento su tela, cm 85x65Sul retro: firma e dataErbusco, collezione Bonetti Zucchetti

16. Agostino Ferrari (Milano 1938)Paesaggio, 1961tempera su carta riportata su tela, cm93x63Firmato in basso a destra: “Ferrari”Sul retro: firmaEsposizioni: Galleria Arte Studio, MilanoBrescia, collezione privata

17. Gino Meloni (Varese 1905-Lissone[Milano] 1989)Composizione, 1961pastello su carta, cm 60x46,5Firmato e datato in basso a destra: “Me-loni 61”Provenienza: dono dell’avvocato Cuginidel 1961Bibliografia: R. Stradiotti (a cura di), DaiNeoclassici ai Futuristi ed oltre. Proposteper una civica galleria d’arte moderna econtemporanea, catalogo della mostra,Brescia novembre 1989-gennaio 1990,Brescia 1989, pp. 133-134Brescia, Civici Musei d’arte e storia, inv.1233

18. Enrico Paulucci (Genova 1909-1999)Valle scura, (1961 circa)acrilico su tela, cm 90x120Firmato in basso a destra: “Paulucci”Sul retro: bolli cartacei “Galleria La Bus-sola / Torino / n. 5093”; “Premio Arezzodi pittura”Provenienza: dono dell’autoreBibliografia: R. Stradiotti (a cura di), DaiNeoclassici ai Futuristi ed oltre. Proposteper una civica galleria d’arte moderna econtemporanea, catalogo della mostra,Brescia novembre 1989-gennaio 1990,Brescia 1989, p. 135Brescia, Civici Musei d’arte e storia, inv.1235

91

19. Giuseppe Santomaso (Venezia1907-1990)Senza titolo, 1961tecnica mista su cartoncino, cm 47x66Brescia, collezione privata

20. Pompilio Mandelli (Villarotta diLuzzara [Reggio Emilia] 1912-Bologna2006)Inverno grigio, 1962tempera su legno, cm 70x50Firmato e datato in basso a destra:“Mandelli 1962”Sul retro: bollo cartaceo “IX Quadrien-nale di Roma 1965-1966”Provenienza: Galleria Nettuno, BolognaBrescia, collezione dottor GianpaoloNegrini

21. Bice Lazzari (Venezia 1900-Roma1981)L’ostacolo, 1963tempera, colla, sabbia su tela, cm 146x195Brescia, collezione privata

22. Juan Del Prete (Vasto [Chieti]1897-Buenos Aires 1987)Composición collage, 1963collage su tela, cm 81x120Firmato e datato in basso a destra: “DelPrete 63”Sul retro: a penna “Composicion Colla-ge”; bollo “Associazione Artisti Bresciani/ Brescia”Provenienza: dono dell’autoreBibliografia: R. Stradiotti (a cura di), DaiNeoclassici ai Futuristi ed oltre. Proposteper una civica galleria d’arte moderna econtemporanea, catalogo della mostra,Brescia novembre 1989-gennaio 1990,Brescia 1989, pp. 132 e 173Brescia, Civici Musei d’arte e storia, inv.1264

23. Simon Hantaï (Biatorbágy [Un-gheria] 1922)Sans titre, 1963olio su tela, cm 60x45Firmato e datato in basso a destra:“Hantaï 63”Bibliografia: C. De Carli (a cura di), Cata-logo generale. La pittura, Roma 2006, pp.273-274, scheda 677

Brescia, Collezione Arte e Spiritualità,inv. 780

24. Ilia Peikov (Sofia 1911-Roma 1988)Universo di fuoco, 1963olio su tela, cm 59,7x79,5Firmato e datato in alto a sinistra: “963Ilia Peikov”Sul retro: bollo cartaceo “Galleria d’Ar-te / Bologna”; bollo “Associazione Arti-sti Bresciani / Brescia”Provenienza: dono del geometra MarioDoraBibliografia: R. Stradiotti (a cura di), DaiNeoclassici ai Futuristi ed oltre. Proposteper una civica galleria d’arte moderna econtemporanea, catalogo della mostra,Brescia novembre 1989-gennaio 1990,Brescia 1989, p. 135Brescia, Civici Musei d’arte e storia, inv.1265

25. Ennio Morlotti (Lecco 1910-Mila-no 1992)Nudo (Nudo nella roccia), 1964olio su tela, cm 64x93Firmato in basso a destra: “Morlotti”Sul retro: “64x93 Morlotti 1964”Brescia, collezione privata

26. Antonio Corpora (Tunisi 1909-Roma 2004)Composizione, 1966olio su tela, cm 100x70Firmato e datato in basso a destra:“Corpora 66”Esposizioni: Galleria Alberto Valerio, Bre-scia; Esposizione Fiera, BolognaBrescia, collezione privata

27. Lucio Fontana (Rosario di SantaFé 1899-Comabbio [Varese] 1968)Concetto spaziale. Attesa, 1967idropittura su tela, cm 73x60Sul retro: “ho fatto una discussione colpittore Bacci c’erano anche Pino e Norache…”Bibliografia: M. Pasquali, La raccolta Ser-gio Saleri 1954-2005, Brescia 2005, pp.76-77Lumezzane, collezione commendatoreSergio Saleri

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28. Emilio Scanavino (Genova 1922-Milano 1986)Composizione, 1970olio su cartoncino, cm 50x50Firmato in basso a destra: “Scanavino”Sul retro: “Scanavino/1970/Composi-zione”; timbri della Galleria San Miche-le di Brescia e della Galleria Arte Bor-gogna di MilanoProvenienza: Galleria San Michele, Bre-sciaBibliografia: M. Pasquali, La raccolta Ser-gio Saleri 1954-2005, Brescia 2005, pp.84-85Lumezzane, collezione commendatoreSergio Saleri

29. Giulio Turcato (Mantova 1912-Roma 1995)Floreale (Orme), (1970-1971)olio su tela, cm 100x80Firmato in basso a destra: “Turcato”Provenienza: Galleria Medea, MilanoBrescia, collezione dottor GianpaoloNegrini

30. Giulio Turcato (Mantova 1912-Roma 1995)Mosche cinesi (Itinerari), (1970-1971)olio su tela, cm 100x80Firmato in baso a sinistra: “Turcato”Provenienza: Galleria Medea, MilanoBrescia, collezione dottor GianpaoloNegrini

SCULTURE

31. Lucio Fontana (Rosario di SantaFé 1899-Comabbio [Varese] 1968)Concetto spaziale, 1959ceramica, diametro cm 42,5Firmata e datata in basso al centro: “L.Fontana / 59”Provenienza: acquisto comunaleBibliografia: R. Stradiotti (a cura di), DaiNeoclassici ai Futuristi ed oltre. Proposteper una civica galleria d’arte moderna e

contemporanea, catalogo della mostra,Brescia novembre 1989-gennaio 1990,Brescia 1989, p. 151; M. Panzera (a curadi), Lucio Fontana nelle collezioni brescia-ne, catalogo della mostra, AssociazioneArtisti Bresciani, Brescia 18 settembre-13 ottobre 1999, Brescia 1999Brescia, Civici Musei d’arte e storia,inv. ceramiche 322C

32. Quinto Ghermandi (Crevalcore[Bologna] 1916-Bologna 1994)Largo gesto per un massimo spazio, 1969bronzo, cm 31x36Firmato e datato sul piedistallo: “Q.Ghermandi 1969”Provenienza: Galleria Lo Spazio, BresciaBrescia, collezione privata

33. Quinto Ghermandi (Crevalcore[Bologna] 1916-Bologna 1994)Momento del volo, 1970bronzo, cm 60x77x51Provenienza: modelletto presentato alconcorso del Comune di Brescia per ilmonumento alla Resistenza da porsi incorso Magenta (1970)Bibliografia: R. Stradiotti (a cura di), DaiNeoclassici ai Futuristi ed oltre. Proposteper una civica galleria d’arte moderna econtemporanea, catalogo della mostra,Brescia novembre 1989-gennaio 1990,Brescia 1989, p. 151Brescia, Civici Musei d’arte e storia,inv. sculture 72

34. Lucio Fontana (Rosario di SantaFé 1899-Comabbio [Varese] 1968)Concetto spaziale, 1973bronzo, altezza cm 25Multiplo: esemplare 140/500Firmato e numerato sul retro: “Fonta-na”; “140/500”Provenienza: Galleria Moretto, BresciaBibliografia: M. Pasquali, La raccolta Ser-gio Saleri 1954-2005, Brescia 2005, p.160Lumezzane, collezione Luca Saleri

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Sommario

3 PresentazioneVasco Frati e Giuseppina Ragusini

5 L’informale, fenomeno complesso e multiformeAlessandra Corna Pellegrini

19 Schede biograficheAlessandra Corna Pellegrini

51 Le opere in mostra

89 RegestoAlessandra Corna Pellegrini

Classici del contemporaneo - 9Tendenze informali dagli anni Cinquanta ai primi anni Settantanelle collezioni brescianeMostra promossa e organizzata dall’Associazione Artisti Brescianiin collaborazione con i Civici Musei d’arte e storia22 settembre - 17 ottobre 2007

Cura della mostraAlessandra Corna Pellegrini

Comitato scientificoAlessandra Corna Pellegrini, Vasco Frati, Elena Lucchesi Ragni,Maurizio Mondini, Renata Stradiotti

Comitato organizzativoLuisa Cervati, Vasco Frati, Martino Gerevini, Giuseppina Ragusini, Laura Rossi,Piera Tabaglio, Giuliana Ventura

Cura del catalogoVasco Frati e Giuseppina Ragusini

Progetto grafico del catalogoMartino Gerevini

AllestimentoBeppe Bonetti

Referenze fotograficheRoberto Mora, BresciaPiera Tabaglio, dell’Archivio fotografico dei Civici MuseiFotostudio Rapuzzi, Brescia

TrasportiCortesi srlSquadra tecnica dei Civici Musei

AssicurazioneSocietà Cattolica di Assicurazione, Agenzia generale di Brescia

Segreteria dell’AABSimona Di Cio e Corrado Venturini

L’AAB e la curatrice della mostra rivolgono un cordiale ringraziamento per la loropreziosa collaborazione alla Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico edetnoantropologico per le province di Brescia, Cremona e Mantova, in particolare alsoprintendente Filippo Trevisani e al funzionario Rita Dugoni; alla direzione dei CiviciMusei d’arte e storia, in particolare alla direttrice Renata Stradiotti, alla conservatriceElena Lucchesi Ragni, a Luisa Cervati, Laura Rossi, Piera Tabaglio, Giuliana Ventura,Gerardo Brentegani e alla Squadra tecnica; a Maurizio Mondini; all’Associazione Arte eSpiritualità e ai collezionisti prestatori; alle Fondazioni ASM Brescia, CAB e Banca SanPaolo di Brescia; agli sponsor.

Fotocomposizione e stampaArti Grafiche Apollonio - Brescia

Finito di stampare nel mese di settembre 2007.Di questo catalogo sono state tirate 1000 copie.